ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  1,
del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917
(Approvazione del testo unico delle imposte  sui  redditi),  promossi
dalla Commissione tributaria provinciale di Genova con due  ordinanze
del 22  gennaio  2019,  iscritte,  rispettivamente,  al  n.  148  del
registro ordinanze 2019 e al n. 38  del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
serie speciale,  dell'anno  2019  e  n.  20,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di Marco Cuzzi, nonche'  gli  atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza  pubblica  del  21  luglio  2020  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi l'avvocato Fabrizio Gaetano Pacchiarotti per Marco Cuzzi  e
l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del  Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo  tenore  del  22  gennaio  2019,
iscritte, rispettivamente, al n. 148 del registro ordinanze 2019 e al
n.  38  del  registro  ordinanze  2020,  la  Commissione   tributaria
provinciale (CTP) di Genova ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3, 24, 53 e 113 (recte: 3, primo comma, 24, secondo comma, 53,  primo
comma,  e  113,  secondo  comma)  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  1,  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito:
TUIR), secondo cui «[i] redditi  delle  societa'  semplici,  in  nome
collettivo e in accomandita semplice residenti nel  territorio  dello
Stato  sono  imputati  a  ciascun  socio,   indipendentemente   dalla
percezione, proporzionalmente alla sua quota di  partecipazione  agli
utili», limitatamente alla parte in cui prevede che l'imputazione dei
redditi ai soci avviene «indipendentemente dalla percezione». 
    1.1.- Le questioni sono sorte nel corso di due  giudizi  promossi
da un socio accomandante di  una  societa'  in  accomandita  semplice
(sas)  avverso  due  avvisi  di  accertamento  per  maggiori  imposte
relative agli anni 2011 e 2012, emessi dall'Agenzia delle entrate nei
confronti della societa' e dei soci ai fini dell'imposta sul  reddito
delle persone fisiche (IRPEF), dell'imposta regionale sulle attivita'
produttive (IRAP) e dell'imposta sul valore aggiunto (IVA). 
    La CTP adita, in entrambe le ordinanze,  espone  preliminarmente:
a) di aver sospeso in via cautelare l'efficacia degli avvisi;  b)  di
aver ordinato l'integrazione del contraddittorio nei confronti  della
societa' e del socio accomandatario, ritenuti litisconsorti necessari
originari, in base  al  principio  giurisprudenziale  di  unitarieta'
dell'accertamento dei redditi delle societa' di persone  e  dei  loro
soci;  c)  di  aver  disatteso  sia   l'eccezione   di   difetto   di
legittimazione attiva del socio accomandante,  sia  la  richiesta  di
declaratoria di cessazione della  materia  del  contendere  formulate
dalla  resistente  Agenzia  delle  entrate;  d)  di   aver   respinto
l'eccezione  di  nullita'  degli  impugnati  avvisi,  sollevata   dal
ricorrente per il  difetto  di  sottoscrizione  da  parte  del  «capo
dell'Ufficio  impositore»,  nonche'   la   doglianza   basata   sulla
violazione del beneficium excussionis di cui all'art. 2304 del codice
civile. 
    Quanto  alle  fattispecie  sottoposte  al  suo  esame,   la   CTP
rimettente ritiene dimostrato che, a suo tempo, il  contribuente  non
abbia  ricevuto,  dal  socio   accomandatario,   informazioni   circa
l'andamento  della  gestione  della  societa',  e   che   lo   stesso
contribuente  non  abbia  percepito  alcun  reddito  derivante  dalla
partecipazione societaria,  come  sarebbe  desumibile  dall'ordinanza
cautelare  con  la  quale  il  Tribunale   ordinario   di   Chiavari,
accogliendo   la   domanda    dell'accomandante,    aveva    ordinato
all'accomandatario, ai sensi dell'art. 700 del  codice  di  procedura
civile, di esibire «i libri contabili  e  la  documentazione  fiscale
afferente suoi rapporti con gli istituti di credito». 
    1.2.-  In  punto  di  diritto,  la  CTP  muove   dalla   premessa
interpretativa,  esposta  dal  ricorrente,  che  l'art.  1  del  TUIR
richiederebbe  in  generale,  per  l'applicazione  dell'imposta   sui
redditi delle persone fisiche, il possesso,  inteso  come  «materiale
disponibilita' di fruirne» ovvero come «capacita' di  disporne»,  dei
redditi «in danaro o in natura», laddove invece il successivo art.  5
dello stesso testo unico prevede, ai fini della medesima imposta, che
i redditi prodotti in forma associata  tramite  societa'  di  persone
residenti sono imputati  a  ciascun  socio  «indipendentemente  dalla
percezione»  (cosiddetta  "imputazione   per   trasparenza"),   cosi'
configurando una «presunzione assoluta» di attribuzione a  tali  soci
dei redditi societari, anche se non effettivamente percepiti. 
    I rimettenti dichiarano, pertanto, di prospettare  il  dubbio  di
costituzionalita', «impregiudicata ogni questione per l'irap e l'iva»
e «limitatamente alle parole "indipendentemente  dalla  percezione"»,
per violazione: 
    a)  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  per  la  disparita'  di
trattamento che in tal  modo  si  determinerebbe  tra  i  soci  delle
societa' di persone che sono assoggettati all'IRPEF  pur  non  avendo
«conseguito»   alcun   reddito   (quantomeno   nell'«annualita'    di
competenza»), da un lato, e «tutti  gli  «altri  soggetti  egualmente
privi di reddito, che ne sono invece esclusi», dall'altro; 
    b) dell'art. 24, secondo comma, Cost.,  perche'  il  socio  delle
societa' di persone non percettore di reddito da  partecipazione,  in
quanto «impossibilitato a dimostrare di  non  aver  conseguito  alcun
reddito», verrebbe leso nel proprio «diritto alla prova in giudizio»,
senza che tale lesione possa  essere  adeguatamente  ristorata  dalle
eventuali successive vittoriose azioni giudiziarie da lui  intraprese
per conseguire tale reddito da  partecipazione;  cio',  infatti,  «si
tradurrebbe in un inammissibile solve et repete imponendo al socio di
pagare sempre e comunque il tributo senza  possibilita'  di  proporre
difese, per poi consentirgli di recuperare - forse e comunque  poi  -
quanto  versato»,  dato  anche  il   rischio   di   decadenza   dalla
possibilita' di ottenere la ripetizione delle imposte,  in  tal  modo
creando una «differenza di trattamento», nell'ambito dei  soci  delle
societa' di persone non percettori di reddito da partecipazione,  tra
i soci che siano economicamente in  grado  di  pagare  immediatamente
l'intero tributo e  che  pertanto  possano  affrontare  i  tempi  per
ottenere giustizia  attraverso  «il  rimborso  delle  somme  versate»
(mediante, come detto, una sorta di solve et repete) e  i  soci  che,
invece,  non  abbiano  mezzi  economici  e  credito  sufficienti  per
effettuare il pagamento  e  ai  quali  pertanto  non  sia  consentito
ottenere tempestivamente e con certezza giustizia; 
    c) dell'art. 53, primo  comma,  Cost.,  perche'  il  socio  delle
societa'  di  persone,  ove  non  sia  percettore   di   reddito   da
partecipazione, verrebbe ugualmente assoggettato all'IRPEF, in aperto
contrasto con il principio di capacita' contributiva; 
    d) dell'art. 113,  secondo  comma,  Cost.,  perche'  risulterebbe
esclusa la tutela giurisdizionale dei soci di societa' di persone non
percettori di reddito da partecipazione, in relazione alla  categoria
di  atti  fiscali  costituita  dagli  accertamenti   effettuati   nei
confronti di societa' di persone, laddove tale  tutela  non  sarebbe,
invece, esclusa per i soci di societa' di capitali non percettori  di
reddito da  partecipazione,  in  relazione  alla  categoria  di  atti
fiscali costituita dagli accertamenti  effettuati  nei  confronti  di
societa' di capitali. 
    1.3.- I giudici a quibus, infine,  motivano  la  rilevanza  delle
questioni  affermando  che,  in  base  alla   indicata   «presunzione
assoluta» di attribuzione a ciascun socio dei redditi delle  societa'
di persone posta dalla  norma  censurata  (non  suscettibile  di  una
interpretazione costituzionalmente orientata, «stante le  inequivoche
espressioni utilizzate dal legislatore» nella  disposizione  ad  essa
relativa), i ricorsi del contribuente  dovrebbero  essere  rigettati,
almeno per la parte avente a oggetto l'IRPEF. 
    2.- In entrambi i  giudizi  si  e'  costituito  il  contribuente,
chiedendo, con difese del medesimo tenore,  che  le  questioni  siano
accolte. 
    La parte afferma preliminarmente che dal menzionato provvedimento
cautelare  del  Tribunale  di  Chiavari  sarebbe   desumibile,   come
osservato dalla stessa CTP rimettente, la prova  della  «assenza  del
presupposto impositivo» in capo al socio accomandante, il  quale,  in
conseguenza della «condotta inerziale costantemente tenuta dal  socio
accomandatario», «non ha - e mai ha avuto - il "possesso del reddito"
accertato dall'Ufficio di Genova» in relazione alla sas per  i  sopra
indicati periodi d'imposta. 
    Ad avviso del contribuente la contraddizione  tra  l'art.  1  del
d.P.R. n. 917 del 1986 (il quale individua il presupposto  dell'IRPEF
nel «possesso» di redditi in denaro o in natura, da  intendersi  come
«materiale  disponibilita'»  di  essi)  e  la  norma  censurata  (che
porrebbe, invece, una  «presunzione  assoluta»  di  percezione  degli
utili) condurrebbe,  quindi,  alla  violazione  del  principio  della
capacita'  contributiva  sancito  all'art.  53  Cost.,  perche',   in
sostanza,   «verrebbe   assoggettato   a   imposizione   un   reddito
inesistente». 
    3.- In entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
manifestamente infondate. 
    La difesa statale  osserva  che  la  cosiddetta  tassazione  "per
trasparenza" disciplinata dall'art. 5 del  d.P.R.  n.  917  del  1986
trova fondamento nella «particolare situazione  giuridica  soggettiva
del  socio»  rispetto  al  reddito  prodotto  dalla  societa':   egli
vanterebbe, infatti, un diritto, tutelabile in sede giudiziaria, alla
integrale divisione  degli  utili  a  seguito  dell'approvazione  del
rendiconto annuale. E da  tale  diritto  «attuale  e  incondizionato»
deriverebbe la sussistenza di una «effettiva relazione giuridica  con
la fonte di produzione» e, pertanto, della capacita' contributiva  di
cui all'art. 53 Cost. 
    Ad avviso dell'Avvocatura, un  siffatto  sistema  impositivo  del
reddito d'impresa prodotto  in  forma  associata  sarebbe  del  tutto
coerente con la tassazione "per competenza" e  non  "per  cassa"  del
reddito d'impresa dell'imprenditore individuale persona fisica. 
    D'altra parte, aggiunge, questa Corte - nel  rigettare  l'analoga
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5,  comma  1,  del
d.P.R. n. 917 del 1986, sollevata per violazione degli artt. 3, 24  e
53 Cost. - ha gia' osservato che  la  norma  censurata  «e'  volta  a
realizzare, attraverso l'imputazione ai soci del  reddito  societario
indipendentemente dalla sua effettiva percezione, la  immedesimazione
- nell'ambito delle societa' di persone, nei limiti  della  quota  di
partecipazione ed  agli  specifici  fini  tributari  -  fra  societa'
partecipata e socio»;  e,  conseguentemente,  ha  ritenuto  prive  di
fondamento le doglianze mosse «sulla base della asserita  fittizieta'
del  reddito  sottratto  dagli   amministratori»,   ferma   restando,
«ovviamente, [...] la responsabilita' degli  amministratori  [stessi]
per  il  danno  derivante  ai  soci  dalla  sottrazione  del  reddito
societario» (e' citata l'ordinanza n. 53 del 2001). 
    Ne', ancora per la  difesa  statale,  risulterebbe  vulnerato  il
diritto di difesa del socio,  dal  momento  che,  come  precisato  da
questa  Corte,  «al  socio  accomandante,  privo  di   legittimazione
processuale  nel  giudizio  relativo  all'accertamento  del   reddito
societario  ai  fini  dell'imposta  ILOR,   deve   ritenersi   sempre
consentita, allorche' gli sara'  notificato  l'accertamento  del  suo
reddito personale,  la  possibilita'  di  tutelare  i  suoi  diritti,
contestando anche  nel  merito  l'accertamento  del  suo  reddito  di
partecipazione      nonostante      l'intervenuta       definitivita'
dell'accertamento del reddito societario ai fini ILOR» (ordinanza  n.
5 del 1998). 
    3.1.- Con specifico riferimento al giudizio relativo al n. 38 del
registro ordinanze 2020, l'Avvocatura generale ha inoltre argomentato
che i redditi prodotti dalle societa' di persone sono  individuati  -
in base ad «una fictio iuris» - considerando il  momento  della  loro
produzione  e,  successivamente,  sono  imputati  e  tassati  secondo
criteri  di  riferibilita'  soggettiva  e  di  imposizione  personale
relativi al singolo socio, in base ad «una  presunzione  assoluta  di
distribuzione  dell'utile   d'esercizio».   Con   il   principio   di
trasparenza, pertanto, entrambe  le  figure  soggettive  (societa'  e
socio)  parteciperebbero  «alla  realizzazione  del  presupposto   di
imposta, trattandosi di una fattispecie complessa». 
    Illustrati in raffronto i tratti distintivi della tassazione  dei
redditi delle  societa'  di  capitale,  la  difesa  erariale  ritiene
erroneo il presupposto interpretativo dei rimettenti secondo  cui  il
meccanismo di tassazione "per trasparenza" si porrebbe  in  contrasto
con l'art 53 Cost., poiche', in  linea  generale,  l'imposizione  dei
soggetti collettivi «consente in astratto due opzioni: a) considerare
una   distinta   autonoma   manifestazione   di    attitudine    alla
contribuzione, prima in capo al soggetto collettivo  quale  risultato
di esercizio, poi in capo ai singoli componenti  della  stessa  sotto
forma di utile distribuito;  b)  considerare  come  unico  centro  di
imposizione il soggetto collettivo o  le  persone  fisiche  a  questo
partecipanti». 
    Ad  avviso  della  difesa  statale,  le  scelte  del  legislatore
sarebbero,  pertanto,  coerenti  con  il   principio   di   capacita'
contributiva e cio' troverebbe  conferma  da  «un'analisi  svolta  in
parallelo  tra  diritto  tributario  e  diritto  commerciale»   sulle
distinte caratteristiche delle societa'  di  capitali  rispetto  alle
societa'  di  persone.  In  particolare,  «[i]l  diritto  attuale   e
incondizionato del socio» della societa' di  persone  all'apprensione
dei  risultati  reddituali  della  societa'   rappresenterebbe   «una
effettiva relazione giuridica con la fonte di  produzione,  idonea  a
configurare quella  capacita'  contributiva  richiesta  dall'art.  53
Cost.». 
    Precisa l'Avvocatura generale che la tassazione "per trasparenza"
dovrebbe del resto  considerarsi  coerente  con  il  principio  della
prevalenza della  sostanza  giuridica  delle  fattispecie  economiche
sulla forma apparente, in quanto, con riguardo  alla  tassazione  dei
redditi delle societa' di  persone,  la  sostanza  economica  sarebbe
costituita dalla «diretta partecipazione alla vita sociale  da  parte
di  tutti  i  soci».  La  disciplina  censurata  sarebbe  del   resto
giustificata anche dalla finalita' di evitare il rischio di  evasioni
per l'ipotesi di distribuzione occulta degli utili. 
    Per l'Avvocatura generale dello Stato, percio',  non  vi  sarebbe
alcuna lesione del principio  di  capacita'  contributiva.  Le  altre
questioni sarebbero, poi,  manifestamente  infondate,  perche',  «una
volta  assodata  la  ragionevolezza  dell'opzione  normativa  per  la
trasparenza,  alternativa  a  quella  di  attribuire  rilevanza  alla
soggettivita'  passiva  della  societa'  con  autonoma  riferibilita'
all'ente della capacita' contributiva (e  successiva  imposizione  in
capo  ai  soci  al  momento  della   distribuzione),   non   appaiono
ravvisabili indici di contrasto con l'art. 3 Cost.». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo  tenore  del  22  gennaio  2019,
iscritte, rispettivamente, al n. 148 del registro ordinanze 2019 e al
n.  38  del  registro  ordinanze  2020,  la  Commissione   tributaria
provinciale (CTP) di Genova dubita, in riferimento agli artt. 3,  24,
53 e 113 (recte: 3, primo comma, 24, secondo comma, 53, primo  comma,
e 113, secondo comma) della Costituzione, e con  riguardo  all'IRPEF,
della legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito:
TUIR), secondo cui «[i] redditi  delle  societa'  semplici,  in  nome
collettivo e in accomandita semplice residenti nel  territorio  dello
Stato  sono  imputati  a  ciascun  socio,   indipendentemente   dalla
percezione, proporzionalmente alla sua quota di  partecipazione  agli
utili». 
    I   rimettenti   dichiarano   di   prospettare   il   dubbio   di
costituzionalita', «impregiudicata ogni questione per l'irap e l'iva»
e «limitatamente alle parole "indipendentemente  dalla  percezione"»,
per violazione: 
    a)  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  per  la  disparita'  di
trattamento che in tal  modo  si  determinerebbe  tra  i  soci  delle
societa' di persone che sono assoggettati all'IRPEF  pur  non  avendo
«conseguito»   alcun   reddito   (quantomeno   nell'«annualita'    di
competenza»), da un lato, e  tutti  gli  «altri  soggetti  egualmente
privi di reddito che ne sono invece esclusi», dall'altro; 
    b) dell'art. 24, secondo comma, Cost.,  perche'  il  socio  delle
societa' di persone non percettore di reddito da  partecipazione,  in
quanto «impossibilitato a dimostrare di  non  aver  conseguito  alcun
reddito», verrebbe leso nel proprio «diritto alla prova in giudizio»,
senza che tale lesione possa  essere  adeguatamente  ristorata  dalle
eventuali successive vittoriose azioni giudiziarie da lui  intraprese
per conseguire tale reddito da  partecipazione;  cio',  infatti,  «si
tradurrebbe in un inammissibile solve et repete imponendo al socio di
pagare sempre e comunque il tributo senza  possibilita'  di  proporre
difese, per poi consentirgli di recuperare - forse e comunque  poi  -
quanto  versato»,  dato  anche  il   rischio   di   decadenza   dalla
possibilita' di ottenere la ripetizione delle imposte,  in  tal  modo
creando una «differenza di trattamento», nell'ambito dei  soci  delle
societa' di persone non percettori di reddito da partecipazione,  tra
i soci che siano economicamente in  grado  di  pagare  immediatamente
l'intero tributo e  che  pertanto  possano  affrontare  i  tempi  per
ottenere giustizia attraverso «il rimborso delle somme versate»  e  i
soci che, invece, non abbiano mezzi economici e  credito  sufficienti
per effettuare il pagamento e ai quali pertanto  non  sia  consentito
ottenere tempestivamente e con certezza giustizia; 
    c) dell'art. 53, primo  comma,  Cost.,  perche'  il  socio  delle
societa'  di  persone,  ove  non  sia  percettore   di   reddito   da
partecipazione, verrebbe ugualmente assoggettato all'IRPEF, in aperto
contrasto con il principio di capacita' contributiva; 
    d) dell'art. 113,  secondo  comma,  Cost.,  perche'  risulterebbe
esclusa la tutela giurisdizionale dei soci di societa' di persone non
percettori di reddito da partecipazione, in relazione alla  categoria
di  atti  fiscali  costituita  dagli  accertamenti   effettuati   nei
confronti di societa' di persone, laddove tale  tutela  non  sarebbe,
invece, esclusa per i soci di societa' di capitali non percettori  di
reddito da  partecipazione,  in  relazione  alla  categoria  di  atti
fiscali costituita dagli accertamenti  effettuati  nei  confronti  di
societa' di capitali. 
    2.- Preliminarmente,  data  l'evidente  connessione  oggettiva  e
soggettiva, i due giudizi vanno  riuniti  per  essere  congiuntamente
trattati e decisi. 
    3.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    3.1.- I primi due commi dell'art. 5 del TUIR dispongono che  «[i]
redditi delle societa' semplici, in nome collettivo e in  accomandita
semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun
socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua
quota di  partecipazione  agli  utili»  (comma  1);  «[l]e  quote  di
partecipazione agli utili si presumono proporzionate  al  valore  dei
conferimenti dei  soci  se  non  risultano  determinate  diversamente
dall'atto  pubblico  o  dalla  scrittura   privata   autenticata   di
costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data
anteriore  all'inizio  del  periodo  d'imposta;  se  il  valore   dei
conferimenti non risulta determinato, le quote si  presumono  uguali»
(comma 2). 
    I commi successivi del medesimo art. 5  estendono  l'applicazione
di queste regole alle societa' di armamento, alle societa' di  fatto,
alle  associazioni  professionali   senza   personalita'   giuridica,
all'impresa familiare (con alcune peculiarita') e al  gruppo  europeo
di interesse economico (GEIE). 
    In questi termini le societa' di persone residenti e gli enti  ad
esse  assimilati  non  costituiscono  un  autonomo  soggetto  passivo
d'imposta, ma sono assunti alla stregua di centri di riferimento  per
la determinazione del  reddito,  che  viene  attribuito  ai  soci  al
termine  dell'esercizio  e  in  base   alle   rispettive   quote   di
partecipazione agli utili. 
    Questa scelta legislativa trova giustificazione  in  relazione  a
diversi profili riconducibili all'interesse fiscale dello Stato  alla
percezione dei tributi, anch'esso tutelato, assieme all'interesse del
contribuente  a  un'imposizione  correlata  alla  propria   capacita'
contributiva, dall'art. 53, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza
n. 181 del 2017). 
    Tale  meccanismo  impositivo  infatti  risulta,   da   un   lato,
rispondente  a  esigenze  di  cautela  fiscale  in  presenza  di  una
possibilita'  di  elusione  d'imposta  nel  contesto  delle  societa'
considerate dall'art. 5 del TUIR, stante il loro  minore  livello  di
formalizzazione e quindi l'assenza  dei  piu'  rigorosi  obblighi  di
natura  contabile  e  procedimentale  previsti  per  le  societa'  di
capitali,   anche   quanto   all'individuazione   degli   utili   non
distribuiti.  Dall'altro  appare  anche  funzionale  a  esigenze   di
semplificazione, permettendo di evitare duplicazioni dell'imposizione
(in capo alla societa', sotto forma di utile, e  in  capo  al  socio,
sotto forma di dividendo) con  riguardo  a  soggetti,  i  soci  delle
suddette societa', che esplicano i loro poteri in modo diretto e sono
a queste legati da un particolare vincolo di natura personale. 
    3.2.- Tale metodo dell'attribuzione del reddito "per trasparenza"
- che non e' peculiare del nostro sistema impositivo, costituendo  un
modello per certi versi conosciuto anche negli ordinamenti  di  altri
Paesi - comporta quindi la tassazione IRPEF direttamente in  capo  ai
soci degli utili societari, con imputazione degli stessi per  ciascun
periodo  d'imposta  e  indipendentemente  dalla  percezione:  assume,
cosi', rilievo il  solo  fatto  della  produzione  del  reddito  (con
conseguente irrilevanza fiscale della distribuzione degli utili negli
esercizi successivi). 
    In base a tale scelta legislativa il presupposto  di  imposta  si
realizza,  quindi,  in  capo  ai  soci  e  non  alla  societa'   che,
considerata "trasparente", diventa uno "schermo" dietro  il  quale  i
primi esercitano collettivamente un'attivita' economica. Infatti, «in
forza dell'imputazione al socio del  reddito  di  partecipazione  pro
quota, indipendentemente dall'effettiva percezione, il socio medesimo
diventa l'unico soggetto passivo dell'imposta  personale,  avendo  in
realta'  dichiarato  un  reddito  proprio  ancorche'  il  presupposto
dell'imposizione si verifichi unitariamente presso l'ente  collettivo
che lo produce e lo dichiara. Questa diretta imputazione del  reddito
e'  la  conseguenza  logica  immediata  del  principio  accolto   dal
legislatore tributario di "immedesimazione" esistente tra societa'  a
base personale e singoli soci che  la  compongono,  per  cui  non  e'
configurabile una soggettivita' distinta, separata o disgiunta  della
societa' rispetto ai soci.  Tale  principio  costituisce  espressione
della giuridica irrilevanza della  soggettivita'  delle  societa'  di
persone in campo tributario, considerando il  Fisco  le  societa'  di
persone come uno schermo  dietro  il  quale  operano  i  soci  con  i
particolari poteri di direzione, di controllo e di gestione anche  se
non sono amministratori» (Corte di cassazione, sezione prima  civile,
sentenza  2  marzo  1992,  n.  2514,  sostanzialmente  confermata  da
Cassazione, sezioni unite, sentenza 8 gennaio 1993, n. 125). 
    3.3.-  I  suddetti  soci,  dunque,  sul  piano  tributario,  sono
chiamati a  contribuire  alle  pubbliche  spese  in  relazione  a  un
incremento  patrimoniale  realizzato   per   effetto   dell'attivita'
sociale, rispetto alla quale hanno un onere e un potere di  controllo
(artt. 2261 e 2320 del codice  civile)  che,  da  un  lato,  li  pone
giuridicamente in  grado  di  avere  piena  conoscenza  dell'indicato
incremento patrimoniale e, dall'altro, rende  irrilevante,  a  questi
fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori. 
    L'imputazione reddituale  "per  trasparenza"  delle  societa'  di
persone, anche avuto riguardo al caso di soci non amministratori  (e,
in particolare, anche  nel  caso  dell'accomandante),  si  riconnette
quindi alla disciplina civilistica che attribuisce ad  essi  puntuali
poteri di controllo. 
    Tale aspetto concorre cosi' a giustificare - dal punto  di  vista
fiscale - la diretta imputazione  del  risultato  economico  prodotto
dalla  societa'  al  socio  indipendentemente  dalla  sua  percezione
dell'utile. 
    Infatti, anche a prescindere dall'approvazione del  rendiconto  e
dalla previsione statutaria di eventuali riserve di  utili  (o  dalla
decisione unanime dei soci in tal senso), il socio gia' si  trova  in
una relazione con il reddito societario prodotto che appare idonea  a
integrare  la  peculiare  nozione  di  «possesso»,   indicato   quale
presupposto  dell'IRPEF  dall'art.  1  del  TUIR  e  che  costituisce
l'indice di capacita' contributiva assunto dal legislatore. 
    D'altronde, a quest'ultimo spetta  un'ampia  discrezionalita'  in
relazione  alle  varie  finalita'  cui  si  ispira   l'attivita'   di
imposizione fiscale, essendogli consentito, «sia pure con  il  limite
della non arbitrarieta', di determinare i  singoli  fatti  espressivi
della  capacita'  contributiva  che,  quale  idoneita'  del  soggetto
all'obbligazione di imposta, puo' essere desunta da qualsiasi  indice
rivelatore di ricchezza» (ex plurimis, sentenza n. 111 del 1997). 
    Sul suddetto assunto riposa inoltre il  precedente  specifico  di
questa Corte,  relativo  anch'esso  a  una  societa'  in  accomandita
semplice - ma con il quale la CTP rimettente non  si  e'  minimamente
confrontata -, dove si e' precisato che «la norma in questione  [art.
5, comma 1, del TUIR] e' volta a realizzare, attraverso l'imputazione
ai soci del reddito societario indipendentemente dalla sua  effettiva
percezione,  la  immedesimazione  -  nell'ambito  delle  societa'  di
persone, nei limiti della quota di partecipazione ed  agli  specifici
fini  tributari  -  fra  societa'  partecipata  e  socio»;  ritenendo
conseguentemente prive di fondamento le doglianze mosse  «sulla  base
della   asserita   fittizieta'   del    reddito    sottratto    dagli
amministratori», in quanto  «tale  reddito  deve,  invece,  ritenersi
effettivo, posto che la sua  sottrazione,  che  e'  peraltro  vicenda
interna alla societa' e non incide sul  momento  genetico  della  sua
produzione, ne presuppone logicamente la esistenza», ferma  restando,
«ovviamente, [...] la responsabilita' degli  amministratori  [stessi]
per  il  danno  derivante  ai  soci  dalla  sottrazione  del  reddito
societario» (ordinanza n. 53 del 2001). 
    3.4.- Non e' quindi fondata, innanzitutto, la questione  riferita
al principio di capacita' contributiva ai sensi dell'art.  53,  primo
comma,  Cost.,  formulata  dalla  CTP  rimettente  ritenendo  che  il
contribuente non sia «percettore di reddito». 
    La CTP  rimettente  struttura  infatti  la  censura  sull'assunto
interpretativo,  esposto  dal  ricorrente,  per  cui  la  nozione  di
«possesso»  del  reddito,  indicata  dall'art.  1   del   TUIR   come
presupposto dell'IRPEF, consisterebbe nella «materiale disponibilita'
di fruirne», ovvero nella  «capacita'  di  disporne»,  cosi'  che  il
meccanismo di imputazione del censurato  art.  5  del  TUIR,  laddove
prevede  che   la   tassazione   avviene   «indipendentemente   dalla
percezione» degli utili, determinerebbe  un'imposizione  fiscale  «in
aperta violazione del principio di capacita' contributiva». 
    3.5.- Tale presupposto interpretativo e' errato. 
    Va in primo luogo rilevato che il reddito, quale sicuro indice di
capacita'  contributiva,   costituisce   in   realta'   una   entita'
conseguente alle regole di determinazione  disposte  dal  legislatore
tributario in ragione delle specifiche caratteristiche delle  singole
categorie di cui all'art. 6 del TUIR: redditi fondiari, di  capitale,
di lavoro dipendente,  di  lavoro  autonomo,  di  impresa  e  redditi
diversi. 
    In  questo  schema  impositivo  non  solo  alcuni   redditi   non
coincidono con una res (il reddito d'impresa, ad  esempio,  in  forza
dell'art. 83 del TUIR e' costituito da un dato contabile, tra l'altro
regolato  in  base  al  principio  di  imputazione  temporale   della
competenza e non a  quello  di  cassa;  i  redditi  fondiari  possono
rappresentare un dato solo  figurativo),  ma  il  termine  stesso  di
possesso assume un significato differente nell'ambito  delle  singole
categorie reddituali. 
    Infatti, «[i]l termine possesso impiegato dal D.P.R. n.  917  del
1986, art. 1 non ha il significato tecnico che ha nel codice  civile,
ne' ha  un  significato  tecnico-tributario  uniforme  per  tutte  le
categorie reddituali. Ma il significato  minimo  comune  del  termine
senz'altro evoca, ai fini della tassabilita', la riferibilita' ad  un
soggetto di determinati redditi e la titolarita' in capo  a  lui  dei
poteri di disposizione in relazione ad essi»  (Corte  di  Cassazione,
sezione quinta civile, sentenza 10 gennaio 2013, n. 433) 
    Constatato quindi che il legislatore non ha adottato una  nozione
generale e unitaria di reddito  (preferendo  individuare  fattispecie
imponibili nell'ambito delle  singole  categorie)  e  ha  volutamente
utilizzato, con specifico riferimento  all'imposta  sul  reddito,  il
termine «possesso» nell'art. 1 del TUIR in un senso atecnico,  se  ne
deve concludere che quest'ultimo non  coincide  ne'  con  la  nozione
civilistica,  ne'  con  quella  della  materiale  disponibilita'  del
reddito. 
    Del resto, in forza dei  fini  che  la  Costituzione  assegna  al
diritto tributario  con  riguardo  alla  definizione  di  fattispecie
idonee a esprimere  la  capacita'  contributiva  di  singole  vicende
economiche, non e' sempre necessario, in presenza di adeguate ragioni
giustificative, che tra questo e il  diritto  civile  debba  comunque
esistere una  assoluta  corrispondenza  di  categorie  concettuali  e
terminologiche. 
    Il possesso cui fa riferimento  il  legislatore  tributario  agli
specifici fini dell'IRPEF deve essere inteso,  pertanto,  quale  modo
per  identificare  la  relazione  del  soggetto  con   la   peculiare
manifestazione di capacita' contributiva che  e'  costituita  appunto
dal reddito, secondo le regole  giuridiche  delle  singole  categorie
reddituali. 
    Questa  Corte  ha  avuto   peraltro   modo   di   precisare   che
«attualmente, ai fini della nozione giuridica di reddito occorre  far
capo a cio' che viene, nei limiti della  ragionevolezza,  qualificato
per  tale  dal  legislatore.  Cio'  significa,  pertanto,   che   per
dichiarare tassabile un provento occorre  accertare  in  quale  delle
ipotesi normative tipiche esso rientri» (sentenza n. 410 del 1995). 
    In  questa  prospettiva,  il  meccanismo  di   imputazione   "per
trasparenza" dei redditi  prodotti  dalle  societa'  di  persone  non
costituisce una contraddizione  rispetto  alla  nozione  generale  di
presupposto d'imposta  fissata  nell'art.  1  del  TUIR,  bensi'  una
particolare manifestazione di questo in riferimento a  una  specifica
fattispecie. 
    In conclusione, nell'attuale sistema di imposizione  sui  redditi
deve ritenersi che non arbitrariamente il legislatore  tributario  ha
individuato come indice di capacita' contributiva la relazione tra il
presupposto e il soggetto passivo attraverso la  diretta  imputazione
al socio ("per trasparenza") del reddito prodotto in forma associata,
indipendentemente dalla percezione. 
    4.- Nemmeno e'  fondata,  di  conseguenza,  la  censura  riferita
all'art. 3, primo comma, Cost., per disparita' di trattamento  tra  i
soci di societa' di persone (soggetti ad imposizione «pur non  avendo
conseguito alcun reddito») e  «altri  soggetti  egualmente  privi  di
reddito». Essa implica la non  riferibilita'  al  socio  del  reddito
prodotto dalla  societa'  di  persone,  cosicche'  la  sua  posizione
sarebbe analoga a quella di qualsiasi altro soggetto che,  in  quanto
privo di reddito, si colloca  invece  al  di  fuori  del  presupposto
dell'IRPEF. 
    In contrario vanno invece richiamate le gia' esposte  le  ragioni
per le quali il socio non puo' considerarsi  un  soggetto  "privo  di
reddito"  in  caso  di  imputazione  "per  trasparenza"  del  reddito
prodotto in forma associata. 
    5.- Parimenti non fondata e' la questione riferita al diritto  di
difesa ai sensi dell'art. 24, secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  la
disciplina  censurata  provocherebbe,  a  danno   del   contribuente,
un'ingiustificata limitazione della prova di non avere  la  capacita'
di disporre (o la disponibilita' materiale) del reddito. 
    Tale censura si fonda sull'assunto dei rimettenti per cui  l'art.
5, comma 1, del TUIR strutturerebbe  una  «presunzione  assoluta»  di
attribuzione al socio di redditi societari, anche se  da  questo  non
percepiti. 
    Nemmeno tale assunto e' condivisibile. 
    Infatti - mentre vere e proprie  presunzioni  sono  previste  dal
comma  2  dell'art.  5  del  TUIR  in   relazione   alle   quote   di
partecipazione e al valore dei conferimenti - la previsione del comma
1 del medesimo art. 5,  nello  stabilire  che  l'imputazione  avviene
«indipendentemente  dalla  percezione»,   individua   un   meccanismo
d'imputazione di cio' che  e'  stato  assunto  dal  legislatore  come
reddito prodotto, senza, invece, "presumere" la  distribuzione  dello
stesso.  La  norma  censurata  esclude   la   soggettivita'   passiva
tributaria della societa' di persone  e,  in  tal  modo,  elimina  lo
schermo societario imputando direttamente ai soci il reddito prodotto
dalla societa'. Si tratta di una connotazione  strutturale  dell'ente
ai fini tributari e non di una "presunzione" di  distribuzione  degli
utili. 
    La fattispecie in esame, in altre parole, e' qualificabile semmai
alla stregua di una  tipizzazione  legale,  rispetto  alla  quale  va
ribadito che «non ha senso denunciare quale violazione del diritto di
difesa  l'esclusione  della  prova»,   in   quanto   «[t]ipizzazioni,
qualificazioni, valutazioni legali  come  quelle  suindicate  possono
bensi'  essere  censurate  sotto  il  profilo   della   mancanza   di
ragionevolezza, contestandosi  che  esse  trovino  rispondenza  nella
situazione socio-economica in riferimento alla quale  sono  formulate
ai fini perseguiti dalla legge, o che esse, o le misure sulla base di
esse adottate, siano congrue rispetto a tali fini» (sentenza  n.  131
del 1991). 
    5.1.-  L'esercizio  del  diritto  di  difesa  potra',   peraltro,
pienamente  esplicarsi  contestando  nel  merito  l'accertamento  del
reddito societario (in questi termini, ordinanza n. 5 del 1998) o  la
propria qualita' di socio, senza che cio' precluda l'accertamento, ad
altri fini, della «responsabilita' degli amministratori per il  danno
derivante ai soci» (ordinanza n. 53 del 2001). 
    Va inoltre sottolineato che proprio il  meccanismo  d'imputazione
"per trasparenza" e la tassazione del socio «indipendentemente  dalla
percezione»  del  reddito  hanno   portato   la   giurisprudenza   di
legittimita' ad affermare il litisconsorzio necessario tra societa' e
soci al fine di  consentire,  con  pienezza  di  contraddittorio,  la
verifica in concreto del presupposto impositivo, stante l'unitarieta'
dell'accertamento  che   e'   alla   base   della   rettifica   delle
dichiarazioni dei redditi delle societa' di persone e dei soci  delle
stesse, cosicche' il ricorso tributario proposto,  anche  avverso  un
solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla  societa'  riguarda
inscindibilmente sia la societa' che tutti i soci, salvo il  caso  in
cui questi prospettino questioni personali. 
    5.2.-  Non  sono,  inoltre,  pertinenti  i  rilievi   della   CTP
rimettente - riferiti sempre alla lesione del  diritto  di  difesa  -
circa  l'«inammissibile  solve  et  repete»,  che,  determinando  una
«differenza di trattamento» tra i soci  che  sono  economicamente  in
grado di pagare immediatamente l'intero tributo e quelli che  non  lo
sono, imporrebbe al socio «di pagare sempre  e  comunque  il  tributo
senza possibilita'  di  proporre  difese,  per  poi  consentirgli  di
recuperare - forse e comunque poi - quanto versato». 
    A ben vedere, con il richiamo al solve et repete i rimettenti  si
limitano a  riproporre,  in  forma  involuta  e  solo  apparentemente
diversa, le censure sopra dichiarate non fondate. 
    Infatti, i rimettenti in primo luogo utilizzano  una  nozione  di
solve  et  repete  impropriamente  desunta  dalla  motivazione  della
sentenza n. 21 del 1961 di questa  Corte,  in  quanto  la  successiva
"ripetizione" non riguarda la  medesima  amministrazione  finanziaria
alla quale e' stato pagato il tributo, ma soggetti terzi: la societa'
o l'amministratore inadempiente ai  suoi  doveri,  destinatari  della
successiva richiesta  del  socio  di  risarcimento  dei  danni  e  di
corresponsione degli utili. 
    In secondo luogo di difficile comprensione  e'  l'accenno,  nella
medesima censura, alla decadenza dalla possibilita'  di  ottenere  la
ripetizione delle imposte  versate:  qualora  i  rimettenti  avessero
inteso affermare che solo con la  percezione  degli  utili  il  socio
avrebbe la piena conoscenza dell'andamento  effettivo  dell'attivita'
sociale e quindi solo da allora sarebbe in grado di tutelare  la  sua
posizione, sarebbe agevole tuttavia obiettare  che  il  socio  (anche
accomandante) ha il  potere  e  l'onere  di  controllare  l'attivita'
sociale (artt. 2261 e 2320 cod. civ.) e che, inoltre,  deve  vagliare
la fondatezza delle prove offerte  in  giudizio  dall'amministrazione
finanziaria. 
    6.- Non fondata e', infine, la questione riferita  all'art.  113,
secondo comma, Cost. 
    Per la CTP rimettente,  la  norma  censurata  esclude  la  tutela
giurisdizionale dei  soci  di  societa'  di  persone  che  non  hanno
«conseguito alcun reddito di partecipazione», laddove tale tutela non
e', invece, esclusa per i soci di societa' di capitali. 
    La censura, peraltro anch'essa formulata in modo  non  del  tutto
perspicuo (l'avviso di accertamento dei redditi da partecipazione  in
societa' di persone e', infatti, pacificamente impugnabile dal socio,
tanto che gli stessi giudizi a  quibus  derivano  dalle  impugnazioni
proposte da un socio di societa' di persone),  e'  infondata  per  le
stesse ragioni gia' esposte con riguardo alle questioni relative alla
disparita' di trattamento e alla lesione del diritto di difesa, delle
quali costituisce mera riproposizione.