ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle  unioni
civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle  convivenze)
e dell'art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della  Repubblica
3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la  revisione  e   la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della  legge  15  maggio  1997,  n.  127),
promosso dal Tribunale ordinario  di  Venezia,  nel  procedimento  di
volontaria giurisdizione instaurato da S. S. e A. B.,  con  ordinanza
del 3 aprile 2019, iscritta al n. 108 del registro ordinanze  2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  28,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione di S. S. e A. B., nonche' gli atti
di  intervento  dell'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI  APS  e   del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  20  ottobre  2020  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Susanna Lollini per l'Avvocatura per i diritti
LGBTI APS, Umberto Saracco per S. S. e A. B. e l'avvocato dello Stato
Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio per rettifica di atto di  nascita  -
proposto da due donne, le quali, premesso di essere unite  civilmente
e  di  avere,  una  di  esse  con  il  consenso  dell'altra,  avviato
(all'estero) pratica di  fecondazione  medicalmente  assistita  dalla
quale e' nato un bambino, chiedevano dichiararsi l'illegittimita' del
rifiuto opposto dall'Ufficiale dello stato civile alla loro richiesta
congiunta di indicare il minore come figlio di entrambe e  non  della
sola partoriente - l'adito Tribunale ordinario di Venezia, ritenutane
la rilevanza, ha sollevato, con l'ordinanza in epigrafe, questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 20, della legge 20
maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra  persone
dello stesso sesso e disciplina delle convivenze),  «nella  parte  in
cui limita la tutela ... delle  coppie  di  donne  omosessuali  unite
civilmente  ai  "soli  diritti  ...  e  doveri  nascenti  dall'unione
civile"», e dell'art. 29, comma 2, del decreto del  Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, (Regolamento per la  revisione  e
la semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato  civile,  a  norma
dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),  come
modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), del  d.P.R.  30  gennaio
2015, n. 26 (Regolamento recante attuazione dell'articolo 5, comma 1,
della legge 10 dicembre 2012, n.  219,  in  materia  di  filiazione),
nella parte in cui  «limita  la  possibilita'  di  indicare  il  solo
genitore "legittimo, nonche' di quelli che rendono ... o  hanno  dato
il consenso ad essere nominati" e non anche alle donne tra loro unite
civilmente e che abbiano fatto ricorso  (all'estero)  a  procreazione
medicalmente assistita», in riferimento agli  artt.  2,  3,  primo  e
secondo  comma,  30  e  117   [primo   comma]   della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3, della  Carta  dei
diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  agli
artt. 8 e 14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, e alla Convenzione sui diritti del  fanciullo,  fatta  a  New
York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva  con  legge  27
maggio 1991, n. 176, con particolare riferimento all'art. 2. 
    Secondo  il  rimettente,  il  combinato  disposto   delle   norme
censurate pregiudicherebbe, infatti, alcuni diritti inviolabili della
persona, quali il diritto  alla  genitorialita'  e  il  diritto  alla
procreazione nell'ambito di una unione civile legalmente riconosciuta
nell'ordinamento italiano; discriminerebbe i cittadini  per  il  loro
orientamento  sessuale  ed   in   considerazione   delle   condizioni
patrimoniali in cui versano le  coppie;  introdurrebbe,  anche  avuto
riguardo al panorama della  legislazione  europea,  un  irragionevole
divieto  basato  su   discriminazioni   per   mere   ragioni   legate
all'orientamento sessuale dei componenti la coppia. 
    2.- Innanzi a questa  Corte  si  sono  costituite  le  due  parti
ricorrenti nel giudizio principale, le quali hanno richiesto: 
    - in via principale, la dichiarazione di  inammissibilita'  della
questione  sollevata  per   non   avere   il   Tribunale   rimettente
adeguatamente motivato «in merito alle ragioni per le quali  non  sia
stato  possibile  addivenire  ad  una  interpretazione   conforme   a
Costituzione» della normativa denunciata; 
    - in via subordinata, la dichiarazione di  non  fondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale, dovendo le norme  censurate
essere interpretate nel senso che esse consentono  la  formazione  in
Italia di un atto di nascita in cui siano riconosciuti come  genitori
due  donne  che  abbiano  fatto  accesso  all'estero  a  tecniche  di
fecondazione eterologa, quando esse siano unite civilmente; 
    - in via ulteriormente gradata, la  dichiarazione  di  fondatezza
della questione di legittimita' costituzionale  per  contrasto  della
normativa,  che  ne  forma  oggetto,  con  i  parametri  nazionali  e
sovranazionali evocati dal rimettente. A  loro  avviso,  non  sarebbe
dato, infatti, rinvenire nell'ordinamento interno «un  diritto  o  un
interesse di pari rango costituzionale  che  il  legislatore  avrebbe
l'obbligo di tutelare attraverso l'esclusione di altri  esseri  umani
dall'esercizio dei diritti fondamentali prescritti dagli artt. 2 e 30
Costituzione e 8 CEDU, nonche'  dalla  Convenzione  dei  Diritti  del
Fanciullo, esclusivamente in ragione dell'orientamento sessuale delle
persone a cui si sottraggono questi diritti». 
    3.-  E'  anche  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
    L'Avvocatura generale dello Stato - che lo rappresenta e  difende
- ha contestato, sotto ogni profilo,  la  fondatezza  della  riferita
questione. 
    A suo avviso,  l'iter  argomentativo  del  rimettente  muoverebbe
«dall'assunto, del tutto apodittico  e  indimostrato,  dell'esistenza
nel sistema  giuridico  di  un  "diritto  alla  bigenitorialita'"»  e
finirebbe per «esprimere unicamente e semplicemente una  impostazione
decisamente "adultocentrica", lontana  o  che,  comunque,  non  tiene
affatto conto del principio del "best interest of the  child"  ovvero
della  necessita'  di  adottare  tra  piu'  soluzioni   astrattamente
possibili quella piu' conforme e adatta alle esigenze del minore». 
    Cio' che troverebbe conferma  anche  nella  giurisprudenza  della
Corte EDU, per la quale, pur non potendosi ignorare il dolore provato
da  coloro  i  quali  vedono  frustrato  il  proprio   desiderio   di
genitorialita', resta comunque escluso che  la  Convenzione  sancisca
«alcun diritto di diventare genitore», atteso anche che  quest'ultima
aspirazione deve comunque cedere rispetto al superiore interesse  del
nascituro che,  infatti,  non  verrebbe  adeguatamente  tutelato  ove
venissero consentite pratiche di fecondazione assistita al  di  fuori
dei limiti consentiti dalla normativa vigente (in questo senso, CEDU,
grande camera, 24 gennaio 2017, Paradiso Campanelli contro Italia). 
    4.-  E'  intervenuta,   infine,   come   terzo   ad   adiuvandum,
l'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI  Aps,  la   quale   -   premessa
l'ammissibilita' del proprio intervento  -ha  rassegnato  conclusioni
sostanzialmente in linea con quelle espresse dalle parti costituite. 
    5.- Nell'imminenza dell'udienza, sia le parti  indicate,  sia  il
Presidente del Consiglio che  l'Avvocatura  LGBTI,  hanno  presentato
memorie, con le quali hanno ulteriormente argomentato  le  rispettive
conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- L'art. 1, comma 20,  della  legge  20  maggio  2016,  n.  76,
recante «Regolamentazione  delle  unioni  civili  tra  persone  dello
stesso sesso e disciplina delle convivenze», dispone che  «[a]l  solo
fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno
adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile  tra  persone
dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al  matrimonio
e le disposizioni contenenti le parole "coniuge", "coniugi" o termini
equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti  aventi  forza
di legge, nei regolamenti nonche' negli  atti  amministrativi  e  nei
contratti collettivi,  si  applicano  anche  ad  ognuna  delle  parti
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di
cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile
non richiamate  espressamente  nella  presente  legge,  nonche'  alle
disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983,  n.  184.  Resta  fermo
quanto previsto e consentito  in  materia  di  adozione  dalle  norme
vigenti». 
    A sua volta, l'art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 3 novembre 2000,  n.  396,  recante  «Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127»,
come modificato dall'art. 1, comma, 1,  lettera  c),  del  d.P.R.  30
gennaio 2015, n. 26 (Regolamento recante attuazione dell'articolo  5,
comma 1, della  legge  10  dicembre  2012,  n.  219,  in  materia  di
filiazione),  articolo  rubricato  «Atto  di  nascita»,  prevede  che
«[n]ell'atto di nascita sono indicati il luogo, l'anno, il  mese,  il
giorno e l'ora della nascita, le  generalita',  la  cittadinanza,  la
residenza dei genitori del figlio  nato  nel  matrimonio  nonche'  di
quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato
fuori del matrimonio e di quelli che hanno espresso con atto pubblico
il proprio consenso ad essere nominati, il sesso  del  bambino  e  il
nome che gli viene dato ai sensi dell'articolo 35». 
    2.- Con l'ordinanza emessa nel giudizio di cui si  e'  detto  nel
Ritenuto in fatto, il Tribunale ordinario  di  Venezia  dubita  della
legittimita' costituzionale del predetto comma 20 dell'art.  1  della
legge n. 76 del  2016,  «perche',  limitando  l'applicabilita'  delle
leggi speciali alle coppie di donne omosessuali unite  civilmente  ai
"soli diritti  e  [...]  doveri  nascenti  dall'unione  civile",  nel
combinato disposto con l'art.  29,  2°  comma  d.P.R.  396  del  2000
preclude loro la possibilita' di  essere  indicate,  entrambe,  quali
genitori nell'atto di nascita quantunque  siano  unite  civilmente  e
[...]  abbiano   fatto   ricorso   (all'estero)   alla   procreazione
medicalmente assistita». 
    Secondo il rimettente, il «combinato disposto»  delle  due  cosi'
denunciate norme violerebbe infatti: 
    a) l'art. 2 della Costituzione, poiche' l'inapplicabilita'  delle
regole sulla genitorialita' intenzionale alle coppie di  donne  unite
civilmente «non realizza il diritto fondamentale alla  genitorialita'
dell'individuo, sia  come  soggetto  singolo,  sia  nelle  formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita'»; 
    b) l'art. 3, primo e secondo comma, Cost., per la  disparita'  di
trattamento, che ne conseguirebbe, «basata sull'orientamento sessuale
e sul reddito in quanto privilegia chi dispone  dei  mezzi  economici
non solo per concepire, ma anche per far nascere il figlio all'estero
e richiedere, con ormai sicuro successo, la  trascrizione  in  Italia
dell'atto di nascita straniero» e, per  altro  verso,  discrimina  il
nato, sul piano della  sua  tutela  sia  morale  che  materiale,  «in
considerazione delle caratteristiche della relazione tra  i  genitori
ed in particolare se questa sia omosessuale»; 
    c) l'art. 30 Cost., poiche' «sia per gli adulti che per il  nato,
l'attuale impossibilita'  di  indicare  due  madri  unite  civilmente
nell'atto di nascita formato in Italia non rispetta il  principio  di
tutela della filiazione di cui» al parametro evocato.  Mentre  «[u]na
concezione progressista di  tale  principio  indurrebbe,  infatti  ad
affrancarne   la   realizzazione   dalla   tradizionale    dimensione
naturalistico - fattuale, tutelandola come  diritto  pretensivo  che,
ove il progresso scientifico la consenta, non puo' essere  escluso  o
limitato,  se  non  in  funzione  di  interessi  che  il  Legislatore
consideri, legittimamente, pari - ordinati»; 
    d) l'art. 117 [primo comma]  Cost.,  in  relazione  all'art.  24,
paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, agli artt. 8 e 14  della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848,  e  con  la
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176, con particolare riferimento all'art.  2.  Si  desumerebbe  da
tali fonti «un principio  internazionale  definitivamente  acquisito,
quello per cui il matrimonio non costituisce piu'  il  discrimen  nei
rapporti tra genitori e figli, ne' per gli  uni  -  che  hanno  visto
riconosciuto il diritto non solo a formarsi una famiglia, ma altresi'
a diventare genitori, anche  oltre  i  limiti  imposti  dalla  natura
(sterilita', identita' di sesso dei partner) e comunque  per  effetto
di una manifestazione di volonta' svincolata dal dato biologico;  ne'
per  gli  altri,   che   debbono   godere   della   medesima   tutela
indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumo[no]
la genitorialita'». 
    3.- Preliminarmente, va confermata l'allegata ordinanza,  con  la
quale   e'    stata    esclusa    l'ammissibilita'    dell'intervento
dell'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI,  poiche'  titolare  di  meri
interessi indiretti e generali correlati ai suoi  scopi  statutari  e
non  di  un  interesse  direttamente  riconducibile  all'oggetto  del
giudizio principale. 
    4.- Ancora  in  via  preliminare,  va  esaminata  l'eccezione  di
inammissibilita', formulata dalle  parti  costituite,  per  adombrata
carenza, nell'ordinanza di rimessione, di una adeguata motivazione in
ordine alla esclusa possibilita' di addivenire ad una interpretazione
delle norme denunciate conforme a Costituzione. 
    4.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il  rimettente  non  ha  mancato,   infatti,   di   prendere   in
considerazione la praticabilita' di una «via ermeneutica alla tutela»
richiesta dalle ricorrenti. Ma e' poi  pervenuto  ad  escluderla  per
l'ostacolo, a suo avviso non superabile,  rinvenibile  nella  lettera
(in particolare nell'incipit) dell'art. 1, comma 20, della  legge  n.
76 del 2016, oltre che nella preclusione normativa all'accesso  delle
coppie dello stesso sesso alla procreazione medicalmente assistita. E
tanto basta, poiche' attiene al merito, e non piu' all'ammissibilita'
della   questione,   la   condivisione   o   meno   del   presupposto
interpretativo della normativa censurata (da ultimo, sentenze n. 32 e
n. 11 del 2020, n. 189, n. 187 e n. 179 del 2019). 
    5.- Nel merito e', in primo luogo, comunque  esatta  la  premessa
esegetica da cui muove il giudice a quo. 
    5.1.- E' pur vero che, come  sostengono  le  due  ricorrenti,  la
genitorialita'  del  nato  a  seguito  del  ricorso  a  tecniche   di
procreazione medicalmente assistita (d'ora in  poi:  PMA)  e'  legata
anche   al   "consenso"   prestato,    e    alla    "responsabilita'"
conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso  di
accedere ad una tale tecnica procreativa. 
    Cio', infatti, si desume sia dall'art. 8 della legge 19  febbraio
2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita)
- per cui, appunto, i nati a seguito di un percorso  di  fecondazione
medicalmente assistita hanno lo stato di «figli nati nel  matrimonio»
o di «figli riconosciuti» della coppia che questo percorso ha avviato
- sia dal successivo art. 9 che, con riguardo  alla  fecondazione  di
tipo  eterologo,  coerentemente  stabilisce  che  il  «coniuge  o  il
convivente» (della madre naturale), pur in assenza di un suo  apporto
biologico,  non  possa,  comunque,   poi   esercitare   l'azione   di
disconoscimento   della    paternita'    ne'    l'impugnazione    del
riconoscimento per difetto di veridicita'. 
    Ma occorre pur  sempre  che  quelle  coinvolte  nel  progetto  di
genitorialita' cosi'  condiviso  siano  coppie  «di  sesso  diverso»,
atteso che le coppie dello stesso  sesso  non  possono  accedere,  in
Italia, alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. 
    5.2.- Tanto e' espressamente disposto dall'art.  5  della  citata
legge  n.  40  del  2004:  norma  della  quale   non   e'   possibile
l'interpretazione adeguatrice pretesa dalle ricorrenti medesime. 
    Con la recente sentenza n. 221  del  2019,  questa  Corte  -  nel
respingere le censure di  illegittimita'  costituzionale  rivolte  al
predetto art. 5 e all'art. 12, commi 2, 9 e 10, nonche' agli artt. 1,
commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, per  asserito  contrasto
con i parametri di cui agli artt. 2, 3, 11, 31,  secondo  comma,  32,
primo comma, e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
agli artt. 8 e 14 della CEDU, e con altre disposizioni sovranazionali
- ha, tra l'altro, affermato  che  «[l]'esclusione  dalla  PMA  delle
coppie formate da due donne non e' [...] fonte di alcuna  distonia  e
neppure di una discriminazione  basata  sull'orientamento  sessuale».
Ha, inoltre, ricordato come in questo senso si sia espressa la  Corte
europea dei diritti dell'uomo, per la quale una legge  nazionale  che
riservi   il   ricorso   all'inseminazione   artificiale   a   coppie
eterosessuali sterili, attribuendole una finalita'  terapeutica,  non
puo' essere considerata fonte di  una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento nei confronti delle coppie  omosessuali,  rilevante  agli
effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: cio' proprio perche'  la  situazione
delle seconde non e' paragonabile a quella delle prime (Corte europea
dei diritti dell'uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas  e  Dubois  contro
Francia). 
    Con la successiva sentenza n.  237  del  2019,  questa  Corte  ha
altresi' affermato  che  ad  opposte  conclusioni  neppure  puo'  poi
condurre la legge n. 76 del 2016, che - pur riconoscendo la  dignita'
sociale e giuridica delle coppie  formate  da  persone  dello  stesso
sesso - non consente, comunque, la filiazione, sia adottiva  che  per
fecondazione assistita, in loro favore, in quanto «[d]al  rinvio  che
il comma 20 dell'art. 1 di detta legge opera  alle  disposizioni  sul
matrimonio (cosiddetta clausola di  salvaguardia)  restano,  infatti,
escluse, perche' non richiamate, quelle,  appunto,  che  regolano  la
paternita', la maternita' e l'adozione legittimante». 
    E ancor piu'  di  recente,  la  Corte  di  legittimita',  in  una
fattispecie analoga a quella oggetto del procedimento a  quo,  ha,  a
sua volta, ribadito  che  non  puo'  essere  accolta  la  domanda  di
rettificazione dell'atto di nascita di  un  minore  nato  in  Italia,
mediante l'inserimento del nome della madre  intenzionale  accanto  a
quello della madre biologica, sebbene la prima avesse  in  precedenza
prestato  il  proprio  consenso  alla  pratica   della   procreazione
medicalmente assistita eseguita all'estero, poiche'  nell'ordinamento
italiano vige, per le persone  dello  stesso  sesso,  il  divieto  di
ricorso a tale tecnica riproduttiva  (Corte  di  cassazione,  sezione
prima civile, sentenza 3 aprile 2020, n. 7668). 
    5.3.-  Resiste,  dunque,  a  censura  l'affermazione  assunta  in
premessa dal rimettente, che lo induce a chiedere a questa  Corte  se
«l'attuale impossibilita' di  indicare  due  madri  unite  civilmente
nell'atto di nascita formato in Italia» violi o meno,  «sia  per  gli
adulti che per il nato», i parametri evocati. 
    6.- In realta', i precetti di cui agli artt. 2, 3, 30 Cost.  e  i
parametri  europei   e   convenzionali,   congiuntamente   richiamati
attraverso l'intermediazione dell'art. 117, primo comma, Cost., cosi'
come non consentono  l'interpretazione  adeguatrice  della  normativa
censurata  -  alla  quale  lo  stesso  rimettente  esclude  di  poter
pervenire - allo  stesso  modo  neppure,  pero',  ne  autorizzano  la
reductio ad legitimitatem, nel senso  dell'auspicato  «riconoscimento
delle donne omosessuali civilmente unite quali genitori del  nato  da
fecondazione   eterologa   praticata   dall'una   con   il   consenso
dell'altra». 
    Ed invero,  la  scelta,  operata  dopo  un  ampio  dibattito  dal
legislatore del 2016 -  quella,  cioe',  di  non  riferire  le  norme
relative al rapporto di filiazione alle coppie  dello  stesso  sesso,
cui e' pur riconosciuta la piena dignita' di una «vita  familiare»  -
sottende l'idea, «non  [...]  arbitraria  o  irrazionale»,  che  «una
famiglia ad instar naturae - due genitori, di sesso diverso, entrambi
viventi e in eta' potenzialmente fertile - rappresenti, in  linea  di
principio, il "luogo" piu' idoneo per accogliere e crescere il  nuovo
nato» (sentenza n. 221 del 2019). E tale scelta non viola gli artt. 2
e 30 Cost., per i profili evidenziati  dal  giudice  a  quo,  perche'
l'aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge
a livello di diritto fondamentale della persona nei sensi di  cui  al
citato art. 2 Cost. 
    A sua volta, l'art. 30 Cost. «non pone una  nozione  di  famiglia
inscindibilmente correlata alla presenza di figli» e «[l]a liberta' e
volontarieta' dell'atto che consente di diventare genitori [...]  non
implica che [...] possa esplicarsi senza limiti» (sentenza n. 162 del
2014). E cio' poiche' deve essere  bilanciata,  tale  liberta',  «con
altri interessi costituzionalmente  protetti:  [...]  particolarmente
quando si discuta della scelta di ricorrere a  tecniche  di  PMA,  le
quali,  alterando  le  dinamiche  naturalistiche  del   processo   di
generazione  degli  individui,  aprono  scenari  affatto   innovativi
rispetto  ai  paradigmi  della  genitorialita'   e   della   famiglia
storicamente radicati nella cultura  sociale,  attorno  ai  quali  e'
evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30 e 31  Cost.,
suscitando  inevitabilmente,  con  cio',  delicati  interrogativi  di
ordine etico» (sentenza n. 221 del 2019). 
    Quanto poi al prospettato vulnus all'art. 3 Cost.,  e'  pur  vero
che la giurisprudenza, anche di legittimita'  (Corte  di  cassazione,
sezione prima  civile,  sentenze  15  giugno  2017,  n.  14878  e  30
settembre 2016, n. 19599), ammette il  riconoscimento  in  Italia  di
atti formati all'estero, dichiarativi del rapporto di filiazione  nei
confronti di "due madri", ma, come  e'  stato  gia'  rilevato,  «[l]a
circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e  le
molteplici normative mondiali e' un fatto che l'ordinamento non  puo'
tenere  in  considerazione.  Diversamente  opinando,  la   disciplina
interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del
principio di eguaglianza, alla piu' permissiva  tra  le  legislazioni
estere che regolano la stessa materia» (sentenza n. 221 del 2019). 
    Ne' diversamente rilevano, infine, le richiamate  fonti  europee,
poiche' sia la Carta di Nizza sia la CEDU, in  materia  di  famiglia,
rinviano in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali  e  al
rispetto  dei  principi  ivi  affermati.  E,   in   particolare,   la
giurisprudenza della Corte EDU ha affermato in  piu'  occasioni  che,
nelle materie che sottendono delicate questioni  di  ordine  etico  e
morale, gli Stati conservano - segnatamente quanto ai temi sui  quali
non  si  registri  un  generale  consenso  -  un  ampio  margine   di
apprezzamento (tra le altre, sentenze 28 agosto 2012, Costa  e  Pavan
contro Italia; grande camera, 3 novembre 2011, S.H.  e  altri  contro
Austria). Nello stesso senso la Corte EDU  ha  recentemente  chiarito
che gli Stati non sono tenuti a registrare i dettagli del certificato
di nascita di un bambino  nato  attraverso  la  maternita'  surrogata
all'estero per stabilire la relazione legale genitore-figlio  con  la
madre  designata:  l'adozione  puo'  anche  servire  come  mezzo  per
riconoscere tale relazione,  purche'  la  procedura  stabilita  dalla
legislazione  nazionale  ne  garantisca  l'attuazione  tempestiva  ed
efficace, nel rispetto dell'interesse superiore  del  minore  (grande
camera,  parere  10  aprile  2019).  A  medesime   conclusioni   deve
pervenirsi con riguardo al diritto alla genitorialita'  di  cui  alla
Convenzione di New York sui diritti del  fanciullo  del  20  novembre
1989, diritto che e' riconosciuto non gia' in  termini  assoluti,  ma
solo ove corrisponda  al  migliore  interesse  per  il  minore  (best
interest of the child). 
    7.-  Se,  dunque,  il  riconoscimento  della   omogenitorialita',
all'interno di un rapporto tra due donne  unite  civilmente,  non  e'
imposto dagli evocati precetti costituzionali, vero e' anche che tali
parametri neppure sono chiusi a soluzioni di segno diverso,  in  base
alle valutazioni che il legislatore potra'  dare  alla  fenomenologia
considerata, non potendosi escludere la «capacita' della donna  sola,
della  coppia  omosessuale  e  della  coppia  eterosessuale  in  eta'
avanzata  di  svolgere  validamente  anch'esse,  all'occorrenza,   le
funzioni genitoriali» (sentenza n. 221 del 2019). 
    Non privo di rilievo, in questa prospettiva, e' poi il fatto che,
ai fini della (ammessa) trascrivibilita' in Italia di certificati  di
nascita formati all'estero, l'annotazione sugli stessi di una duplice
genitorialita'  femminile  e'  stata  riconosciuta,  dalla  ricordata
giurisprudenza, non contraria a principi di ordine pubblico,  secondo
le  disposizioni  di  diritto  internazionale   privato   (Corte   di
cassazione, sezioni unite, sentenza 8 maggio 2019,  n.  12193;  oltre
alle gia' citate sentenze n. 14878 del 2017 e n. 19599 del 2016). 
    8.- L'obiettivo auspicato dal Tribunale  di  Venezia,  quanto  al
riconoscimento del diritto ad essere genitori di  entrambe  le  donne
unite civilmente, ex lege n. 76 del  2016,  non  e',  pertanto,  come
detto, raggiungibile attraverso  il  sindacato  di  costituzionalita'
della disposizione di segno opposto, recata dalla legge stessa  e  da
quella del collegato d.P.R. n. 396 del 2000. 
    Esso e', viceversa, perseguibile per  via  normativa,  implicando
una svolta  che,  anche  e  soprattutto  per  i  contenuti  etici  ed
assiologici che la connotano, non e' costituzionalmente  imposta,  ma
propriamente  «attiene  all'area  degli  interventi,   con   cui   il
legislatore, quale interprete della volonta' della collettivita',  e'
chiamato a tradurre [...] il bilanciamento tra valori fondamentali in
conflitto, tenendo conto  degli  orientamenti  e  delle  istanze  che
apprezzi  come  maggiormente  radicati,  nel  momento   dato,   nella
coscienza sociale» (sentenza n. 84 del 2016). 
    Da qui l'inammissibilita', per tal profilo,  della  questione  in
esame. 
    9.- La questione  e'  posta,  peraltro,  anche  sotto  un  altro,
connesso e parallelo profilo, che e' quello relativo al vulnus che si
assume arrecato all'interesse del minore, nel caso  concreto  in  cui
una delle due donne civilmente unite abbia (sia pur in violazione del
divieto sub art. 5 della legge n.  40  del  2004),  con  il  consenso
dell'altra,  portato  a   termine,   all'estero,   un   percorso   di
fecondazione eterologa, da cui sia poi nato, in Italia, quel minore. 
    9.1.- Per questo secondo aspetto, la giurisprudenza ha gia' preso
in considerazione l'interesse  in  questione,  ammettendo  l'adozione
cosiddetta non legittimante in favore del partner dello stesso  sesso
del genitore biologico del minore, ai sensi dell'art.  44,  comma  1,
lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore  ad
una famiglia). In questa chiave,  «si  esclude  che  una  valutazione
negativa circa la sussistenza del requisito dell'interesse del minore
possa  fondarsi   esclusivamente   sull'orientamento   sessuale   del
richiedente   l'adozione   e   del   suo   partner,   non   incidendo
l'orientamento sessuale della  coppia  sull'idoneita'  dell'individuo
all'assunzione   della   responsabilita'   genitoriale   (Corte    di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962)»
(sentenza n. 221 del 2019). 
    Una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione
di piu' penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con
la "madre intenzionale",  che  ne  attenui  il  divario  tra  realta'
fattuale e realta' legale, e' ben possibile, ma le forme per attuarla
attengono, ancora una volta, al  piano  delle  opzioni  rimesse  alla
discrezionalita' del legislatore.