ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  318-octies
del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale), come aggiunto dall'art.  1,  comma  9,  della  legge  22
maggio 2015,  n.  68  (Disposizioni  in  materia  di  delitti  contro
l'ambiente), promosso dal Giudice monocratico del Tribunale ordinario
di Marsala nel procedimento penale a carico di G. I. e A. B. R.,  con
ordinanza del  23  maggio  2016,  iscritta  al  n.  12  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2020  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 maggio 2016, il Giudice monocratico  del
Tribunale ordinario di Marsala, ha sollevato, in riferimento all'art.
3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 318-octies del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), nella parte  in  cui  prevede  che  la
causa estintiva contemplata nell'art. 318-septies cod. ambiente,  non
si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di  entrata  in
vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel cod. ambiente  dall'art.
1, comma 9, della legge  22  maggio  2015,  n.  68  (Disposizioni  in
materia di delitti contro l'ambiente). 
    Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di due persone
imputate del reato di cui all'art. 110 del codice penale  e  all'art.
256, comma 2, cod.  ambiente,  nell'ambito  del  procedimento  penale
iscritto al n. 853 del registro delle notizie di reato del 2013. 
    In particolare, da'  atto  che  nel  corso  dell'udienza  del  25
gennaio 2016, il difensore degli imputati ha chiesto di sollevare una
questione  di  legittimita'  costituzionale,  in   riferimento   alla
violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 318-octies cod. ambiente. 
    Il rimettente espone che il difensore degli imputati,  dopo  aver
premesso che l'art. 318-bis del decreto legislativo citato delinea un
preciso ambito applicativo avente ad oggetto reati  contravvenzionali
che puniscono condotte che  non  hanno  cagionato  danno  o  pericolo
concreto  e  attuale  alle   risorse   ambientali,   urbanistiche   e
paesaggistiche protette,  ha  rilevato  che  la  fattispecie  oggetto
d'imputazione non riguarderebbe rifiuti pericolosi, avuto riguardo al
tipo e natura degli stessi, oltre che  all'assenza  di  un  danno  in
termini d'impatto ambientale; e che la  Parte  Sesta-bis  del  codice
dell'ambiente introduce chiaramente una legislazione  di  favore,  in
quanto l'adempimento delle prescrizioni estingue il reato. 
    Il  rimettente  da'   atto   che   il   difensore   ha   eccepito
l'illegittimita'  costituzionale  della   norma   di   cui   all'art.
318-octies cod. ambiente,  la  quale  esclude  dall'applicazione  del
suddetto beneficio  le  condotte  rientranti  nell'art.  318-bis  del
medesimo codice, per le  quali  sia  gia'  pendente  un  procedimento
penale alla data di entrata in vigore della  legge  n.  68  del  2015
(ossia dal 29 maggio 2015). Il tenore di tale  dettato  normativo,  a
parere del difensore, contrasterebbe  infatti  con  il  principio  di
uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,  ponendosi  la  pendenza  del
procedimento penale come elemento discriminatorio rispetto a soggetti
che hanno commesso l'illecito e non hanno subito  l'azione  penale  e
coloro i quali che,  pur  avendo  commesso  il  reato,  hanno  subito
l'inizio  del  procedimento  penale  e  non  possono  dunque  vedersi
riconosciuta la prevista causa estintiva del reato. 
    Tale    trattamento    differenziato    apparrebbe,     altresi',
irragionevole anche alla luce dell'art. 318-sexies cod. ambiente,  il
quale prevede la sospensione del procedimento penale  in  conseguenza
della comunicazione  da  parte  dell'accertatore  delle  prescrizioni
impartite al reo e  del  termine  concesso  per  l'adempimento,  «non
risolvendosi incompatibile la pendenza del procedimento penale con il
potere del giudice di sospendere il procedimento  penale  richiedendo
all'organo accertatore di impartire  prescrizioni  ritenute  utili  e
verificarne in seguito  il  rispetto  (come  ad  esempio  avviene  in
materia di messa alla prova o in materia di  violazione  delle  norme
sulla sicurezza)». 
    Cio' sinteticamente  premesso,  il  rimettente  osserva  come  il
disposto di cui all'art. 318-octies cod. ambiente appare  evidenziare
una «doppia natura», sostanziale e processuale, perche' l'adempimento
delle prescrizioni impartite  dall'organo  di  vigilanza  rileva  sia
quale causa estintiva del  reato,  sia  come  modulo  di  definizione
alternativa del processo. 
    In ragione di tale natura,  secondo  il  giudice  a  quo,  appare
irragionevole  la  preclusione  dell'accesso  alla   suddetta   causa
estintiva per gli imputati  che  -  pur  in  possesso  dei  requisiti
soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge - si  siano  trovati  al
momento  dell'entrata  in  vigore  della  disciplina  in   una   fase
processuale piu' avanzata rispetto  a  quella  contemplata  nell'art.
318-octies cod. ambiente. 
    Il  rimettente  rileva,  pertanto,  che   tale   soluzione,   pur
nell'esercizio dell'ampia discrezionalita'  del  legislatore,  deroga
ingiustificatamente al principio di retroattivita' della lex  mitior,
incidendo  in  peius  sul  diritto  di  difesa  e  sul   diritto   di
uguaglianza. 
    La  mancata  possibilita'  di  procedere  agli  «adempimenti   di
bonifica» di cui all'art. 318-septies cod. ambiente, da  parte  degli
imputati che, alla data di entrata in vigore della legge  n.  68  del
2015, si trovino in una fase processuale avanzata,  quale  e'  quella
che si instaura  a  seguito  dell'esercizio  dell'azione  penale,  si
risolverebbe nella impossibilita' di beneficiare di una pronuncia  di
estinzione di  reato,  per  il  mero  fatto  dell'avvenuto  esercizio
dell'azione penale, in violazione dell'art.  2,  quarto  comma,  cod.
pen. 
    Secondo il rimettente, rispetto  a  tale  scelta  legislativa  si
imporrebbe «una verifica di  legittimita'  costituzionale,  sotto  il
profilo   della   ragionevolezza,   con   riferimento   all'oggettivo
differente trattamento sostanziale-sanzionatorio di  soggetti  che  -
pur versando nelle  medesime  condizioni  -  si  trovino  in  diversi
momenti del processo penale». 
    2.- Con atto depositato in data 2 marzo 2020, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel  presente  giudizio  di
legittimita' costituzionale chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 
    La difesa  dello  Stato  da'  atto  che  l'art.  318-octies  cod.
ambiente, nel disporre che «le norme  della  presente  parte  non  si
applicano ai procedimenti in corso alla data  di  entrata  in  vigore
della  medesima  parte»,  debba  interpretarsi  nel  senso   che   lo
sbarramento   temporale   sia    costituito    dall'iscrizione    del
«procedimento» nel registro delle notizie di reato ex  art.  335  del
codice  di  procedura  penale,  atteso  l'utilizzo  della   locuzione
«procedimenti in corso» in luogo di quella di «giudizi in corso». 
    Al riguardo,  rileva  che  l'art.  318-octies  cod.  ambiente  e'
inserito nella Parte Sesta-bis cod. ambiente, intitolata  «Disciplina
sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali  in  materia  di
tutela  ambientale»,  la  quale  prevede  apposite  prescrizioni   da
impartire al contravventore, il cui adempimento nel termine indicato,
seguito dal pagamento di una determinata somma di denaro, pari  a  un
quarto del massimo dell'ammenda  stabilita  per  la  contravvenzione,
estingue il reato, con  conseguente  richiesta  di  archiviazione  da
parte del pubblico ministero. 
    La difesa statale rileva, altresi', che l'adempimento in un tempo
superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma comunque  congruo,
ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose  o  pericolose  della
contravvenzione, con modalita' diverse da quelle indicate dall'organo
di vigilanza,  sono  valutati  ai  fini  dell'applicazione  dell'art.
162-bis cod. pen. In tal caso, la somma da versare  e'  ridotta  alla
meta' del  massimo  dell'ammenda  stabilita  per  la  contravvenzione
commessa. Inoltre, il procedimento penale e' sospeso fino a quando il
PM riceve notizia dell'adempimento o del  mancato  adempimento  delle
prescrizioni imposte. 
    Alla luce di tale  premessa,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  eccepisce,  in  primo   luogo,   l'inammissibilita'   della
questione per non avere il giudice rimettente motivato in ordine alla
rilevanza di essa rispetto al  giudizio  in  corso.  In  particolare,
l'ordinanza di  rimessione  non  specificherebbe  in  quale  fase  si
trovasse il procedimento al  momento  dell'entrata  in  vigore  della
normativa censurata. 
    Ne' da essa risulterebbe la fattispecie  concreta,  in  relazione
alla quale il rimettente procede, che,  ai  fini  dell'applicabilita'
della disciplina in esame, deve integrare un reato  contravvenzionale
che non abbia cagionato danno o pericolo concreto e attuale di  danno
alle risorse  ambientali,  urbanistiche  o  paesaggistiche  protette.
Inoltre, l'ordinanza di rimessione nulla affermerebbe in ordine  alla
possibilita' di imporre utilmente apposite prescrizioni, al  fine  di
consentire gli adempimenti di bonifica. 
    Infine,  la  carente  descrizione   della   vicenda   processuale
impedirebbe di conoscere il livello di istruttoria al quale e' giunto
il processo penale in corso. 
    Nel merito, la questione sarebbe, in  ogni  caso,  manifestamente
infondata. Al riguardo, la difesa statale evidenzia  come  l'invocato
principio della retroattivita' della lex mitior non goda di copertura
costituzionale, potendo soccombere  dinanzi  ad  altri  principi,  di
rilevanza costituzionale, quali la certezza dei rapporti esauriti  ed
il principio dell'economia processuale. 
    In proposito rileva che nella sentenza n. 72 del 2008,  la  Corte
costituzionale ha riconosciuto la legittimita' costituzionale di  una
disposizione  di  legge  che,  in  ragione  del   grado   processuale
raggiunto, precludeva l'applicazione di  una  nuova  piu'  favorevole
disciplina in tema di prescrizione, anch'essa causa di estinzione del
reato, come quella prevista dall'art. 318-septies cod.  ambiente.  E,
inoltre, evidenzia che nella sentenza n. 215 del 2008,  la  Corte  ha
ribadito che «la modifica mitigatrice della legge penale e, ancor  di
piu', l'abolitio criminis [...] devono riverberarsi anche a vantaggio
di coloro che hanno  posto  in  essere  la  condotta  in  un  momento
anteriore, salvo che,  in  senso  opposto,  ricorra  una  sufficiente
ragione giustificativa». 
    Cio' precisato, ad avviso dell'Avvocatura, nella  fattispecie  in
esame la «ragione giustificativa» del disposto  dell'art.  318-octies
cod.  ambiente,  risiederebbe  nell'esigenza  di  non  disperdere  le
attivita' processuali compiute e di non  rendere  vano  l'impiego  di
quelle risorse  umane  e  strumentali  che  sono  state  in  concreto
destinate all'avvio del procedimento in corso. 
    Pertanto,  nel  caso  in  esame,  la  deroga  al   principio   di
retroattivita' della lex mitior  sarebbe  giustificata  dallo  stadio
avanzato del processo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 maggio 2016, il Giudice monocratico  del
Tribunale ordinario di Marsala ha sollevato, in riferimento  all'art.
3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 318-octies del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), nella parte  in  cui  prevede  che  la
causa  estintiva  del  reato,   contemplata   nel   precedente   art.
318-septies, non si applichi ai procedimenti  penali  in  corso  alla
data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel  cod.
ambiente, dall'art. 1, comma 9, della legge 22  maggio  2015,  n.  68
(Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente). 
    Il giudice rimettente sospetta la violazione dell'art.  3  Cost.,
in   quanto   la   norma   censurata   dispone,    irragionevolmente,
l'irretroattivita'  della  lex  mitior,  determinando  un  differente
trattamento sostanziale e sanzionatorio  nei  confronti  di  soggetti
che,  pur  versando  nelle  medesime  condizioni,  siano  gia'  stati
destinatari dell'esercizio dell'azione penale al momento dell'entrata
in vigore della nuova disciplina, rispetto a coloro nei cui confronti
non sia stata ancora esercitata l'azione penale. 
    2.-  In  via  preliminare,  deve  considerarsi  che  l'Avvocatura
generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita'  della  questione
per non avere il rimettente specificato in quale fase si trovasse  il
procedimento  al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  normativa
censurata e per non avere descritto la specifica fattispecie concreta
oggetto del giudizio a quo; ed ancora, per non essersi il  rimettente
soffermato  sulla  possibilita'  di  imporre   utilmente   specifiche
prescrizioni al fine di consentire gli adempimenti di bonifica. 
    Le eccezioni non sono fondate. 
    Vero e' che l'ordinanza di rimessione si limita ad  indicare  che
l'imputato e' stato tratto a giudizio per il reato  contravvenzionale
di cui agli artt.  110  del  codice  penale  e  256,  comma  2,  cod.
ambiente,  ma  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  investe,
unicamente, la norma transitoria che esclude  l'applicabilita'  della
causa estintiva,  di  cui  all'art.  318-septies  cod.  ambiente,  ai
procedimenti che si trovano nella fase processuale  pendente  innanzi
al rimettente, ovvero nella fase del processo. 
    Non di meno, il giudice a quo ha, invero, dato atto di  procedere
in relazione a una fattispecie penale  rientrante  nel  novero  degli
illeciti contravvenzionali cui sarebbe applicabile  la  normativa  in
esame; e, inoltre, dal numero e dall'anno del registro  generale  del
tribunale indicati nell'ordinanza  (r.g.  Trib.  n.  853  del  2013),
risulta chiaramente che al momento dell'entrata in vigore della legge
n. 68 del 2015  (29  maggio  2015),  il  procedimento  gia'  pendesse
innanzi al giudice rimettente. 
    In  tali  termini,  dunque,   non   sono   riscontrabili   lacune
argomentative relative a elementi necessari per la valutazione  della
rilevanza  della  questione  sollevata,  in  quanto  l'ordinanza   di
rimessione possiede i  requisiti,  sia  pure  minimi,  per  affermare
l'applicabilita',  nel   giudizio   principale   della   disposizione
censurata (sentenze n. 127 del 2017 e n. 23 del  2011;  ordinanza  n.
314 del 2011). 
    3.- Passando al merito, deve considerarsi che la legge n. 68  del
2015  -  che  ha  innovato  significativamente   la   tutela   penale
dell'ambiente, in particolare  introducendo  nel  libro  secondo  del
codice penale, il nuovo Titolo VI bis, rubricato «Dei delitti  contro
l'ambiente» - e' inoltre intervenuta, in  particolare,  sul  versante
dei  reati  contravvenzionali  previsti  nel  codice   dell'ambiente,
introducendo  la  Parte  Sesta-bis  (Disciplina  sanzionatoria  degli
illeciti amministrativi e penali in materia  di  tutela  ambientale),
recante gli artt. da 318-bis a 318-octies. 
    Tali disposizioni, innovative, prevedono una  speciale  procedura
estintiva del reato, di cui il  contravventore  puo'  beneficiare  se
elimina gli effetti della propria condotta o se ripristina  lo  stato
dei  luoghi  esistente  prima  dell'offesa,  provvedendo   anche   al
pagamento di una somma pari a  un  quarto  del  massimo  dell'ammenda
stabilita per la contravvenzione commessa. 
    In   particolare   -    con    riferimento    alle    fattispecie
contravvenzionali previste dal medesimo codice dell'ambiente che  non
abbiano cagionato ne' danno, ne' pericolo  concreto  e  attuale  alle
risorse ambientali,  urbanistiche  o  paesaggistiche  protette  (art.
318-bis) - e' previsto (art. 318-ter) che l'organo di  vigilanza  con
funzioni di polizia giudiziaria, o  la  stessa  polizia  giudiziaria,
«allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata», impartisce al
contravventore  «un'apposita  prescrizione  asseverata   tecnicamente
dall'ente specializzato competente nella materia trattata» e fissa un
termine per la regolarizzazione «non superiore al tempo  tecnicamente
necessario». Con la prescrizione «l'organo accertatore  puo'  imporre
specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la
prosecuzione di attivita' potenzialmente pericolose». 
    Nello stesso tempo l'organo  accertatore  riferisce  comunque  la
notizia di reato relativa alla contravvenzione al pubblico ministero,
ma il procedimento per la  contravvenzione  e'  sospeso  dal  momento
dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di  cui  all'art.
335 del codice di procedura penale, fino al  momento  in  cui  il  PM
riceve  comunicazione  dell'adempimento  o  dell'inadempimento  della
prescrizione (art. 318-sexies cod. ambiente). 
    Il fulcro di questa procedura e' imperniato sulla disposizione di
cui all'art. 318-quater cod.  ambiente,  che  prevede  che  entro  60
giorni  dalla  scadenza  del  termine  fissato  nella   prescrizione,
l'organo accertatore verifica se la violazione e' stata eliminata nel
termine e con le modalita' indicati nella prescrizione stessa  (comma
1). 
    Qualora la verifica abbia esito  positivo  il  contravventore  e'
ammesso alla cosiddetta oblazione amministrativa, ossia «a pagare  in
sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma  pari  a
un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per  la  contravvenzione
commessa» (comma 2). 
    Se la verifica ha, invece, esito negativo  «l'organo  accertatore
ne da' comunicazione al pubblico ministero e al contravventore  entro
novanta giorni  dalla  scadenza  del  termine  fissato  nella  stessa
prescrizione» (comma 3). 
    Mentre tale ultima ipotesi determina la ripresa del  procedimento
penale, la positiva verifica dell'adempimento delle prescrizioni puo'
portare  all'estinzione  della   contravvenzione.   Infatti,   l'art.
318-septies cod. ambiente stabilisce  che  «[l]a  contravvenzione  si
estingue se il contravventore  adempie  alla  prescrizione  impartita
dall'organo di vigilanza  nel  termine  ivi  fissato  e  provvede  al
pagamento previsto dall'articolo 318-quater, comma 2». In  tal  caso,
il PM richiede l'archiviazione del procedimento. 
    E'   anche   prevista    un'evenienza    ulteriore    -    quella
dell'adempimento tardivo o con modalita' diverse - che si  ha  quando
il contravventore adempie «in un tempo superiore  a  quello  indicato
dalla prescrizione, e che comunque risulta congruo a norma  dell'art.
318-quater, comma 1», oppure nell'ipotesi della  «eliminazione  delle
conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con  modalita'
diverse  da  quelle  indicate   dall'organo   di   vigilanza»   (art.
318-septies, comma  3).  In  tale  evenienza,  aggiunge  il  comma  3
dell'art. 318-septies, l'adempimento tardivo o con modalita'  diverse
«sono valutati ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis del codice
penale. In tal caso, la somma da versare e' ridotta  alla  meta'  del
massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa». 
    4.- In questo contesto si colloca la disposizione censurata (art.
318-octies) che stabilisce: «Le norme della  presente  parte  non  si
applicano ai procedimenti in corso alla data  di  entrata  in  vigore
della medesima parte». 
    Va  subito  rilevato,  quanto   alla   portata   dell'espressione
«procedimenti in corso», che tale locuzione sembrerebbe  stabilire  -
come ritiene l'Avvocatura - che la causa  estintiva  in  esame  debba
applicarsi  soltanto  alle  contravvenzioni  per  le  quali  non  sia
avvenuta neppure l'iscrizione nel registro delle  notizie  di  reato,
alla data di entrata in vigore della legge;  con  l'iscrizione  della
notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. ha,
infatti, inizio il procedimento penale. 
    In   realta',   plausibilmente   -   e   correttamente    secondo
un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in
esame - il giudice rimettente ritiene che la locuzione  «procedimenti
in corso» faccia riferimento ai processi gia' iniziati,  si'  che  la
nuova normativa trova applicazione  anche  ai  procedimenti  pendenti
nella fase delle indagini preliminari alla data di entrata in  vigore
della Parte Sesta-bis del codice dell'ambiente, in relazione ai quali
non e' stata ancora esercitata l'azione penale. 
    L'individuazione del discrimine temporale di applicabilita' della
procedura estintiva nel momento dell'esercizio dell'azione penale - e
non  gia'  dell'iscrizione  della  notizia  di  reato   nell'apposito
registro - e' coerente con la ratio di tale nuova normativa  che,  da
una parte, mira ad  assicurare  una  maggiore  tutela  dell'ambiente,
favorendo la condotta ripristinatoria di chi abbia violato  le  norme
del codice  ponendo  in  essere  una  condotta  prevista  come  reato
contravvenzionale; e, dall'altra, persegue una finalita'  deflattiva,
perche'  con  la  possibilita'  dell'oblazione  amministrativa  prima
dell'esercizio dell'azione penale il processo non ha neppure inizio. 
    Infatti, l'applicazione della procedura speciale ai  procedimenti
pendenti  nella   fase   delle   indagini   preliminari,   determina,
senz'altro, l'alleggerimento del carico giudiziario,  in  conformita'
all'intento altresi' deflattivo della  specifica  disciplina  di  cui
alla Parte Sesta-bis del codice dell'ambiente, come gia' riconosciuto
da questa Corte (sentenza n. 76 del 2019). 
    E'  sul  presupposto  di  tale  interpretazione  che  il  giudice
rimettente chiede una pronuncia di illegittimita' costituzionale,  al
fine di estendere l'ambito di applicazione di  tale  piu'  favorevole
disciplina ai procedimenti - quale quello a quo  -  che,  nella  fase
transitoria della sua iniziale applicazione alla data di  entrata  in
vigore (29 maggio 2015), si trovavano in una piu' avanzata  fase  del
processo, ossia dopo l'esercizio dell'azione penale. 
    5.- La questione di costituzionalita' non e', pero', fondata. 
    6.- Le (sopra richiamate) disposizioni sulla cosiddetta oblazione
amministrativa ambientale,  in  quanto  consentono  l'estinzione  del
reato prima che il processo abbia inizio con l'esercizio  dell'azione
penale,  hanno  anche  una  chiara  valenza  sostanziale,  oltre  che
processuale,  e  costituiscono  quindi   «disposizioni   [...]   piu'
favorevoli al reo», rilevanti nel regime ordinario della  successione
delle leggi penali nel tempo (art. 2, quarto comma, cod. pen.). 
    Cio' chiama in causa il principio  di  retroattivita'  della  lex
mitior, avendo questa Corte (sentenza n. 236 del 2011) affermato  che
«[l]'ambito di operativita' del principio di retroattivita' in mitius
non deve essere limitato alle sole disposizioni concernenti la misura
della pena, ma va esteso  a  tutte  le  norme  sostanziali  che,  pur
riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto, incidono
sul complessivo trattamento riservato al reo». Il  principio  non  si
riferisce, dunque, soltanto a quelle norme che  concernono  in  senso
stretto la pena, ma anche  a  quelle  disposizioni  che  incidono  su
discipline penali di natura sostanziale (sentenza n. 393 del 2006; in
tal senso anche le sentenze n. 455, n. 85 e n. 72 del 1998; ordinanze
n. 317 del 2000, n. 288 e n. 51 del 1999, n. 219 del 1997, n.  294  e
n. 137 del 1996). 
    Inoltre,  e'  costante  la   giurisprudenza   di   questa   Corte
nell'affermare che il principio della retroattivita' della lex mitior
in materia penale non e' riconducibile alla sfera di tutela dell'art.
25, secondo comma, Cost., secondo cui «[n]essuno puo'  essere  punito
se non in forza di una legge che sia  entrata  in  vigore  prima  del
fatto commesso». Si e', infatti, ritenuto che «tale  principio  deve,
invero, essere  interpretato  nel  senso  di  vietare  l'applicazione
retroattiva  delle  sole  leggi   penali   che   stabiliscano   nuove
incriminazioni, ovvero che  aggravino  il  trattamento  sanzionatorio
gia' previsto per  un  reato,  non  ostando  cosi'  a  una  possibile
applicazione  retroattiva  di  leggi  che,  all'opposto,   aboliscano
precedenti   incriminazioni   ovvero   attenuino    il    trattamento
sanzionatorio gia' previsto per un reato» (sentenze n. 63  del  2019;
nello stesso senso, sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del  2008  e  n.
393 del 2006). 
    L'applicazione retroattiva della legge favorevole - ha  precisato
ancora questa Corte (sentenza n. 63  del  2019)  -  non  e',  quindi,
imposta dall'art. 25, secondo comma, Cost., «la cui  ratio  immediata
e'  [...]  quella  di  tutelare  la  liberta'  di  autodeterminazione
individuale,  garantendo  al   singolo   di   non   essere   sorpreso
dall'inflizione di una sanzione penale per  lui  non  prevedibile  al
momento della commissione del fatto. Una simile garanzia non e' posta
in discussione  dall'applicazione  di  una  norma  penale,  pur  piu'
gravosa di quelle entrate in vigore successivamente, che era comunque
in vigore al momento del fatto: e cio' "per l'ovvia ragione che,  nel
caso considerato, la lex  mitior  sopravviene  alla  commissione  del
fatto, al quale l'autore si  era  liberamente  autodeterminato  sulla
base del pregresso (e per lui meno  favorevole)  panorama  normativo"
(sentenza n. 394 del 2006)». 
    Il fondamento costituzionale e' invece da rinvenire nel principio
di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,  «che  impone,  in  linea  di
massima, di equiparare  il  trattamento  sanzionatorio  dei  medesimi
fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati  commessi
prima o  dopo  l'entrata  in  vigore  della  norma  che  ha  disposto
l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice» (sentenza n.  394  del
2006). 
    7.- Da cio' consegue anche  che,  mentre,  l'irretroattivita'  in
peius  della  legge  penale  costituisce  un   «valore   assoluto   e
inderogabile», la regola della retroattivita' in mitius  della  legge
penale medesima «e' suscettibile di limitazioni e  deroghe  legittime
sul   piano   costituzionale,   ove   sorrette   da   giustificazioni
oggettivamente ragionevoli» (sentenza n. 236 del 2011). 
    Quanto  «[a]l  criterio   di   valutazione   della   legittimita'
costituzionale delle deroghe al  principio  di  retroattivita'  della
legge favorevole», deve ribadirsi  che  tale  principio  puo'  essere
sacrificato da una legge ordinaria solo in  favore  di  interessi  di
analogo rilievo, con la conseguenza che la scelta  di  derogare  alla
retroattivita' di una norma piu' favorevole «deve superare un  vaglio
positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la
norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole» (sentenza  n.
393 del 2006). 
    Anche nella sentenza n. 236 del 2011  questa  Corte,  in  seguito
alla pronuncia della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  grande
camera, sentenza  17  settembre  2009,  Scoppola  contro  Italia,  ha
affermato che «il principio di retroattivita'  in  mitius  attraverso
l'art. 117, primo comma, Cost., ha acquistato un nuovo fondamento con
l'interposizione dell'art. 7  della  CEDU,  come  interpretato  dalla
Corte di Strasburgo»; ma ben puo' il legislatore «introdurre  deroghe
o limitazioni alla sua operativita', quando  siano  sorrette  da  una
valida giustificazione». 
    8.-  Alla  stregua  di  siffatti  criteri  di  giudizio,  possono
rinvenirsi,  nella  disciplina  transitoria  contenuta  nella   norma
censurata, ragioni idonee a giustificare  la  inapplicabilita'  della
nuova disciplina in esame  -  e  segnatamente  della  speciale  causa
estintiva del reato di cui all'art. 318-septies cod.  ambiente  -  ai
procedimenti in relazione ai quali sia gia' stata esercitata l'azione
penale alla data della sua entrata in vigore. 
    L'evidenziato  profilo  sostanziale  della  nuova  normativa   si
innesta    indissolubilmente     sulla     complessiva     disciplina
procedimentale, cadenzata diacronicamente nel momento in cui l'organo
di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscono al  contravventore
le prescrizioni di  ripristino  dell'integrita'  ambientale;  poi  in
quello della verifica e del controllo dell'adempimento; e, infine, in
quello  dell'ammissione  alla   speciale   oblazione   amministrativa
ambientale e del pagamento della somma cosi' determinata. 
    Solo  all'esito  di  tutto  cio'  il  reato  si  estingue   (art.
318-septies), sicche' questa "disposizione piu' favorevole", ai sensi
dell'art. 2, quarto  comma,  cod.  pen.,  presuppone  necessariamente
l'applicabilita'  delle  altre  disposizioni  procedimentali   (artt.
318-bis e seguenti), le quali a loro  volta  sono  strutturalmente  e
logicamente condizionate al fatto che l'azione penale non  sia  stata
gia' esercitata e che si  versi  invece  nella  fase  delle  indagini
preliminari, non essendo ipotizzabile una regressione in tale fase. 
    Del resto, tali disposizioni hanno  accolto  in  modo  pressoche'
integrale il modello di estinzione delle contravvenzioni previsto dal
decreto legislativo 19 dicembre  1994,  n.  758  (Modificazioni  alla
disciplina sanzionatoria in materia di  lavoro),  anche  quanto  alla
norma transitoria, di cui all'art. 25, comma  2,  cod.  ambiente,  di
contenuto identico a quello oggetto delle odierne censure. 
    Con specifico  riferimento  a  tale  disposizione,  questa  Corte
(ordinanze n. 460 del 1999, n. 415 e n. 121 del  1998)  ha  affermato
che   «e'   assolutamente   pacifico   che   la   nuova    disciplina
dell'estinzione del reato, contenuta nel capo II del  d.lgs.  n.  758
del 1994, e' costruita in guisa  tale  da  operare  solo  all'interno
della fase delle indagini preliminari, essendo finalizzata - in  caso
di adempimento alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza e
di pagamento in via amministrativa di una somma pari  al  quarto  del
massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa - alla
richiesta di archiviazione per estinzione  del  reato  da  parte  del
pubblico ministero (artt. 21-24) e, quindi,  ad  evitare  l'esercizio
dell'azione penale». 
    Tali considerazioni possono valere  anche  con  riferimento  alla
presente questione di legittimita' costituzionale. 
    L'articolata  procedura  messa  in   campo   per   gli   illeciti
contravvenzionali previsti nel codice dell'ambiente  dalla  legge  di
riforma del 2015, assegna  fondamentale  e  preminente  rilievo  alle
prescrizioni imposte dall'organo competente, le quali sono  impartite
subito dopo  l'accertamento  del  reato  contravvenzionale  in  danno
dell'ambiente e devono essere adempiute nei termini come  esattamente
fissati dallo stesso organo accertatore. 
    Il meccanismo delineato - che vede il PM intervenire  alla  fine,
alternativamente per  chiedere  l'archiviazione  per  estinzione  del
reato ove il  contravventore  abbia  adempiuto  alle  prescrizioni  e
versato la somma  a  titolo  di  oblazione  in  sede  amministrativa,
oppure, in caso di inadempimento, per riprendere  le  indagini  -  si
colloca necessariamente nella fase delle indagini preliminari. 
    E' questa necessaria collocazione che assicura  la  realizzazione
della finalita' dell'istituto. 
    La previsione della speciale oblazione amministrativa  ambientale
mira  infatti  da  una   parte   ad   assicurare,   nell'immediatezza
dell'accertamento  della  commissione  dell'illecito,  il  ripristino
della situazione ambientale alterata, ponendo tale onere a carico del
contravventore. Ed al contempo e' orientata a perseguire  un  effetto
deflattivo  perche'  la  definizione   del   procedimento   in   sede
amministrativa  evita  la  celebrazione  del  processo,  destinato  a
chiudersi con un decreto di archiviazione, qualora le prescrizioni  e
il pagamento siano stati adempiuti. 
    Per tale ragione la mancata applicazione  della  piu'  favorevole
disposizione  di  cui   all'art.   318-septies   cod.   ambiente   ai
procedimenti in relazione ai quali sia gia' stata esercitata l'azione
penale alla data di entrata in vigore della  disposizione  stessa  e'
pienamente ragionevole, non potendosi ipotizzare - senza smentire  le
ragioni di speditezza processuale alle quali  anche  e'  ispirata  la
norma -  una  regressione  del  processo  alla  fase  delle  indagini
preliminari al solo fine di attivare il meccanismo premiale  suddetto
con  l'indicazione,  ora  per  allora,  di  prescrizioni   ad   opera
dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria. 
    Del resto, il contravventore  che  comunque  abbia  eliminato  le
conseguenze dannose  o  pericolose  del  reato  puo'  avere  comunque
accesso all'oblazione prevista dall'art. 162-bis cod. pen. 
    9.- In conclusione, deve ritenersi  che  l'art.  318-octies  cod.
ambiente,  nella  parte  in  cui  prevede  che  la  causa   estintiva
contemplata nel  precedente  art.  318-septies  non  si  applichi  ai
procedimenti penali per i quali sia stata esercitata l'azione  penale
alla data di entrata in vigore della  Parte  Sesta-bis  del  medesimo
codice, non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. 
    La questione sollevata dal Giudice monocratico del  Tribunale  di
Marsala, va dichiarata, pertanto, non fondata.