ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 5  del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure  urgenti  in  materia  di
detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione  della  pena,
nonche' in  materia  di  sostituzione  della  custodia  cautelare  in
carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi  connessi
all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o  internate
per delitti  di  criminalita'  organizzata  di  tipo  terroristico  o
mafioso, o  per  delitti  di  associazione  a  delinquere  legati  al
traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi  avvalendosi
delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o  con
finalita' di terrorismo, nonche' di detenuti e  internati  sottoposti
al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26  luglio  1975,
n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o con
altre persone cui hanno diritto i condannati,  gli  internati  e  gli
imputati) e dell'art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020,  n.  28
(Misure urgenti per la funzionalita' dei sistemi  di  intercettazioni
di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia
di ordinamento penitenziario, nonche' disposizioni integrative  e  di
coordinamento  in  materia  di  giustizia  civile,  amministrativa  e
contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di  allerta
Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020,
n. 70, promossi, quanto agli indicati artt. 2 e 5, dal  Tribunale  di
sorveglianza di Sassari  con  ordinanza  del  9  giugno  2020  e  dal
Magistrato di sorveglianza di Avellino con  ordinanza  del  3  giugno
2020  e,  quanto  all'indicato  art.   2-bis,   dal   Magistrato   di
sorveglianza di Spoleto con ordinanza del 18  agosto  2020,  iscritte
rispettivamente ai numeri 115, 138 e 145 del registro ordinanze  2020
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  numeri  34  e
37, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 4 novembre  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 giugno 2020 (r.o. n. 115  del  2020),  il
Tribunale di  Sorveglianza  di  Sassari  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3,  27,  terzo
comma, 32, 102, primo comma, e 104, primo comma,  della  Costituzione
dell'art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29  (Misure  urgenti
in materia di detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione
della  pena,  nonche'  in  materia  di  sostituzione  della  custodia
cautelare in carcere con la misura  degli  arresti  domiciliari,  per
motivi connessi  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19,  di  persone
detenute o internate per delitti di criminalita' organizzata di  tipo
terroristico o mafioso, o per delitti di  associazione  a  delinquere
legati al traffico di sostanze stupefacenti o  per  delitti  commessi
avvalendosi delle condizioni o al fine  di  agevolare  l'associazione
mafiosa  o  con  finalita'  di  terrorismo,  nonche'  di  detenuti  e
internati sottoposti al regime previsto  dall'articolo  41-bis  della
legge 26 luglio 1975, n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui
con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto  i  condannati,
gli internati e gli imputati), «nella parte in  cui  prevede  che  la
rivalutazione  della  permanenza  dei  motivi  legati   all'emergenza
sanitaria  sia  effettuata  entro  il  termine  di  quindici   giorni
dall'adozione  del  provvedimento  e,  successivamente,  con  cadenza
mensile e, ancora, immediatamente nel caso  in  cui  il  Dipartimento
dell'amministrazione  penitenziaria  comunica  la  disponibilita'  di
strutture penitenziarie o di reparti di medicina  protetta»,  nonche'
dell'art. 5 del medesimo decreto-legge, «nella parte in  cui  prevede
che  le  disposizioni  di  cui  all'articolo  2   si   applicano   ai
provvedimenti  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   di
differimento della  pena  adottati  successivamente  al  23  febbraio
2020». 
    1.1.- Premette il giudice a quo di aver disposto,  con  ordinanza
del 23 aprile 2020, la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter,
comma  1-ter,  della  legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta')  presso  l'abitazione  della
moglie e dei figli, per la durata di cinque mesi, nei confronti di un
condannato sottoposto al regime di  cui  all'art.  41-bis,  comma  2,
ordin. penit.,  in  ragione  delle  sue  condizioni  di  salute,  che
richiedevano controlli periodici e terapie ritenute incompatibili con
lo   stato   di   detenzione,   in   considerazione    dell'emergenza
epidemiologica in corso che interessava anche il  presidio  sanitario
presso il quale il detenuto era in carico, individuato quale  "centro
COVID-19".  La  misura  alternativa  si  era,  d'altra  parte,   resa
necessaria - riferisce il rimettente - in  relazione  al  rischio  di
contrazione del virus da parte del paziente in  ambiente  carcerario,
cio' che proprio in  considerazione  delle  sue  precarie  condizioni
pregresse lo avrebbe esposto a un  elevato  rischio  di  complicanze,
potenzialmente letali. 
    Essendo nel frattempo entrato in vigore,  l'11  maggio  2020,  il
d.l. n. 29 del 2020, il rimettente aveva proceduto immediatamente  ad
acquisire la  documentazione  prescritta  dall'art.  2  dello  stesso
decreto-legge,   tra   le   quali   una   nota    del    Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria con cui si individuava un  reparto
di medicina protetta all'interno di una casa di reclusione, nel quale
avrebbero potuto essere assicurate adeguate  terapie  al  condannato,
nonche'  i  pareri  contrari  alla   protrazione   della   detenzione
domiciliare  formulati  dal   Procuratore   nazionale   antimafia   e
antiterrorismo e dal Procuratore distrettuale antimafia del luogo  in
cui era stato commesso  il  reato.  Il  rimettente  aveva,  altresi',
provveduto ad acquisire «documentazione medica essenziale inerente al
follow up diagnostico-terapeutico» posto in essere dal condannato nel
corso della misura domiciliare. 
    Su istanza conforme della difesa  del  condannato,  il  Tribunale
ritiene di sollevare  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 2 e 5  del  d.l.  n.  29  del  2020,  nei  termini  sopra
enunciati. 
    1.2.- In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva  che  il
censurato art. 5 prescrive l'applicazione delle disposizioni in  esso
contenute, tra cui quelle di cui all'art. 2, a tutti i  provvedimenti
di ammissione alla detenzione domiciliare  o  di  differimento  della
pena adottati in presenza dei presupposti  indicati  da  tali  norme,
segnatamente per essere stata la misura disposta  nei  confronti  dei
condannati o internati per uno dei gravi delitti indicati nel comma 1
dell'art. 2 o comunque nei confronti di detenuti sottoposti al regime
differenziato di  cui  all'art.  41-bis  ordin.  penit.  «per  motivi
connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19». Tali presupposti  sono
integrati nel caso di specie, sicche' non  vi  sarebbe  dubbio  sulla
necessita' per il rimettente di  fare  applicazione  della  normativa
censurata. 
    1.3.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
sospetta anzitutto il contrasto tra gli artt. 2 e 5 del  d.l.  n.  29
del 2020 e gli artt. 102, primo comma, e 104, primo comma,  Cost.  Le
disposizioni  in  questione  invaderebbero  infatti   la   sfera   di
competenza dell'autorita' giudiziaria e violerebbero il principio  di
separazione  dei   poteri,   tanto   piu'   in   quanto   applicabili
retroattivamente ai provvedimenti gia' adottati a  decorrere  dal  23
febbraio 2020. Cio' in  quanto  tali  provvedimenti  sarebbero  stati
adottati con un preciso termine, calibrato sulle effettive necessita'
di tutela della salute del detenuto, come discrezionalmente  valutate
dall'autorita' giudiziaria;  mentre  l'imposizione,  ad  opera  della
disciplina censurata, di un obbligo di periodica rivalutazione  della
permanenza delle condizioni che giustificano la misura,  prima  della
scadenza  del  termine  fissato   nel   relativo   provvedimento   di
concessione, restringerebbe  indebitamente  la  sfera  di  competenza
riservata alla giurisdizione, orientando per di piu' la decisione nel
senso  della  revoca  del   provvedimento,   come   attesterebbe   la
limitatezza del quadro istruttorio sul quale  la  rivalutazione  deve
essere condotta, quadro istruttorio che non prevede, in  particolare,
l'acquisizione di documenti relativi  alle  effettive  condizioni  di
salute del detenuto,  e  che  appare  invece  unicamente  finalizzato
all'acquisizione di  informazioni  relative  alla  disponibilita'  di
strutture penitenziarie o  di  medicina  protetta  all'interno  degli
istituti penitenziari. 
    Il rimettente dubita poi della  compatibilita'  della  disciplina
censurata con gli artt. 32 e  27,  terzo  comma,  Cost.,  proprio  in
quanto il regime di frequenti rivalutazioni sostanzierebbe di per se'
una «ipotutela del  diritto  alla  salute»:  in  una  «situazione  di
costante sottoposizione a giudizio» - argomenta il giudice  a  quo  -
«e' difficile ipotizzare che  possa  essere  realmente  garantita  la
continuita' delle cure, nonche' la progettazione e  la  realizzazione
di quel percorso diagnostico-terapeutico non effettuabile  in  ambito
intramurario e per  il  quale  il  detenuto  e'  stato  ammesso  alla
detenzione domiciliare». E cio' tanto piu'  in  relazione  alla  gia'
segnalata assenza, nella disciplina censurata,  di  ogni  riferimento
alla necessita' di  una  verifica  delle  condizioni  di  salute  del
detenuto malato. 
    Infine, la disciplina censurata  risulterebbe  incompatibile  con
l'art. 3 Cost., in  relazione  alla  sua  applicabilita'  soltanto  a
specifiche categorie di detenuti, sulla base di  una  presunzione  di
pericolosita' correlata esclusivamente  al  titolo  del  reato  e  al
regime detentivo; cio' che non sarebbe consentito rispetto  a  misure
finalizzate non  gia'  alla  individualizzazione  della  pena  e  del
trattamento penitenziario, ma alla tutela del diritto alla  salute  e
all'umanita' della pena, tutela che non tollera, a parere del giudice
a  quo,  alcun  automatismo,  come  dimostrerebbe  in  via   generale
l'esclusione dalle preclusioni di cui all'art. 4-bis ordin. penit. di
tutte le misure finalizzate a tale scopo. 
    1.4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, sollecitando in via preliminare questa  Corte  a  valutare  se
restituire gli atti al giudice a  quo  per  una  rivalutazione  della
perdurante rilevanza e non manifesta  infondatezza  delle  questioni,
alla luce delle  modifiche  apportate  in  sede  di  conversione  del
decreto-legge, sulla falsariga di quanto gia' deciso con  l'ordinanza
n. 185 del 2020. 
    Nel  merito,  le  questioni  sarebbero  comunque   manifestamente
infondate. 
    Nel contesto di un atto d'intervento che indugia sull'assenza  di
profili di contrasto con il diritto di difesa e i principi del giusto
processo - estranei, per la verita', alle questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari  -,
l'Avvocatura generale dello Stato osserva che la disciplina censurata
riguarderebbe condannati che si trovavano in carcere «sulla scorta di
una ritenuta compatibilita' delle loro condizioni di  salute  con  il
regime carcerario e che sono stati  scarcerati  non  a  causa  di  un
aggravamento delle predette condizioni di salute,  ma  solo  a  causa
dell'emergenza sanitaria, la quale, determinando problemi di gestione
(difficolta' ad assicurare il necessario distanziamento  in  carcere,
difficolta'  ad  accedere,  all'occorrenza,  a  strutture   sanitarie
esterne, difficolta' nel reperimento di altre strutture penitenziarie
cui trasferire i detenuti etc.), non ha  consentito  di  mantenere  i
medesimi livelli di  cura  assicurati  in  precedenza  e  ha  imposto
l'adozione di misure alternative volte  a  prevenire  il  rischio  di
contagio in soggetti portatori di patologie pregresse a tutela  della
loro  salute»;  di  talche',  «[c]essate   le   criticita'   connesse
all'emergenza», non vi  sarebbe  «ragione  per  non  ripristinare  il
regime  detentivo  originario.  Di  qui  la  frequente  rivalutazione
prevista dal decreto legge in esame». 
    2.- Con ordinanza del 3 giugno 2020 (r.o. n. 138  del  2020),  il
Magistrato di sorveglianza di  Avellino  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli  artt.  24,  secondo
comma, 32 e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 2 del d.l. n. 29 del
2020, «nella parte in cui prevede che  proceda  a  rivalutazione  del
provvedimento  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   di
differimento della pena per motivi connessi  all'emergenza  sanitaria
da Covid 19, il magistrato [di sorveglianza] che lo ha emesso». 
    2.1.- Premette la rimettente di aver  concesso  provvisoriamente,
con ordinanza del 20 aprile 2020, la detenzione domiciliare, ai sensi
dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit., a una donna di 76 anni,
condannata tra l'altro per il delitto di associazione finalizzata  al
traffico  di  stupefacenti,  in  ragione  del  rilevante  rischio  di
contagio da COVID-19 connesso alle numerose e severe patologie da cui
la stessa e' affetta. 
    In seguito all'entrata in vigore del d.l.  n.  29  del  2020,  la
rimettente  ha  acquisito:  il  parere  contrario   della   Direzione
distrettuale antimafia di Napoli alla  protrazione  della  detenzione
domiciliare; una relazione sanitaria  dell'Azienda  sanitaria  locale
(ASL) presso la quale e' in cura la paziente, che  ha  confermato  il
suo  quadro  patologico  complesso;  e  una  nota  del   Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, con la quale vengono tra  l'altro
indicati una serie di  reparti  di  medicina  protetti  destinati  al
ricovero di persone detenute e internate  sul  territorio  nazionale,
nei quali la paziente potrebbe teoricamente essere ricoverata. 
    Tale documentazione, osserva la rimettente, «deporrebbe nel senso
di una revoca della detenzione domiciliare con ripristino del  regime
ordinario e conseguentemente, la collocazione della  A.  in  uno  dei
tanti reparti di medicina protetti indicati», in applicazione appunto
dell'art. 2 del d.l. n. 29 del 2020. La medesima  rimettente  dubita,
tuttavia, della legittimita' costituzionale di tale  disposizione  al
metro dei parametri sopra indicati. 
    2.2.- L'art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 contrasterebbe, anzitutto,
con l'art. 24, secondo comma, Cost., in ragione della limitazione che
soffrirebbe il diritto di difesa del condannato nel  procedimento  di
rivalutazione imposto dalla  norma,  nel  quale  «il  contraddittorio
viene completamente sacrificato in funzione di una  decisione  celere
il piu' possibile», e nella quale  «la  partecipazione  della  difesa
tecnica e'  limitata  alla  formulazione  dell'istanza  iniziale  con
allegazione di documentazione sanitaria di parte», mentre non sarebbe
stato previsto nel d.l.  «un  diritto  dell'interessato  di  prendere
visione degli atti contenuti nel  fascicolo  della  rivalutazione  ed
eventualmente controdedurre nel merito delle risultanze istruttorie». 
    Sarebbe altresi' violato l'art. 111, secondo comma, Cost.,  sotto
il profilo  della  garanzia  del  contraddittorio  in  condizioni  di
parita' tra la difesa e  la  parte  pubblica,  soltanto  quest'ultima
avendo la possibilita' di fare sentire la propria voce attraverso  la
formulazione dei pareri prescritti dalla disposizione censurata,  che
restano ignoti alla difesa del detenuto. Ne' tale difetto di  parita'
tra le parti sarebbe colmato dal successivo procedimento  innanzi  al
tribunale  di  sorveglianza,  chiamato  ad  assumere   la   decisione
definitiva  sulla  concessione  della  detenzione  domiciliare,   dal
momento  che  l'eventuale   revoca   disposta   dal   magistrato   di
sorveglianza ha effetti  immediatamente  esecutivi,  con  conseguente
ripristino della detenzione inframuraria. 
    Proprio  gli  effetti  immediati  del  provvedimento  di   revoca
disposto in esito  alla  rivalutazione  regolata  dalla  disposizione
censurata sarebbe infine,  ad  avviso  della  rimettente,  di  dubbia
compatibilita' con il diritto alla salute di cui all'art.  32  Cost.,
che non tollererebbe alcuna compressione in conseguenza dello  status
detentionis. 
    2.3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  articolando  considerazioni  integralmente  sovrapponibili  a
quelle  gia'  svolte  con  riferimento   alle   questioni   sollevate
dall'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari di cui si  e'
detto (supra, punto 1.4.), e concludendo nel  senso  della  manifesta
infondatezza anche delle presenti questioni. 
    In merito, in particolare, all'allegata  violazione  del  diritto
alla difesa e al contraddittorio in  condizioni  di  parita'  tra  le
parti,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   ribadisce   la   piena
compatibilita' con tali principi costituzionali di  un  procedimento,
come  quello  su  cui  si  inserisce  la  disposizione  censurata,  a
contraddittorio  differito  avanti  al  tribunale  di   sorveglianza,
chiamato a rendere la decisione definitiva  sulla  concessione  della
misura alternativa in un procedimento a contraddittorio pieno. 
    3.- Con ordinanza del 18 agosto 2020 (r.o. n. 145 del  2020),  il
Magistrato di sorveglianza  di  Spoleto  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo
comma, e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 2-bis del decreto-legge
30 aprile 2020, n.  28  (Misure  urgenti  per  la  funzionalita'  dei
sistemi  di  intercettazioni  di   conversazioni   e   comunicazioni,
ulteriori misure urgenti in  materia  di  ordinamento  penitenziario,
nonche' disposizioni integrative e di  coordinamento  in  materia  di
giustizia civile, amministrativa e contabile  e  misure  urgenti  per
l'introduzione del sistema  di  allerta  Covid-19),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, «nella parte in cui
prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento  di  ammissione
alla detenzione domiciliare o di differimento della pena  per  motivi
connessi  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19,  il  magistrato  di
sorveglianza che lo ha emesso». 
    3.1.- Premette il rimettente di aver  concesso  provvisoriamente,
il 21 marzo 2020,  la  detenzione  domiciliare,  ai  sensi  dell'art.
47-ter,   comma    1-ter,    ordin.    penit.,    a    un    detenuto
ultrasessantacinquenne, affetto da patologie gravi  (in  particolare,
immunodeficienza collegata ad un trapianto di fegato), e  per  questo
particolarmente esposto a  rischi  nel  caso  di  contagio  da  virus
COVID-19 nel contesto penitenziario. 
    Il giudice a quo rammenta di avere  gia'  proposto  questioni  di
legittimita' costituzionale - in riferimento  ai  medesimi  parametri
oggi invocati - relative al previgente art. 2  del  d.l.  n.  29  del
2020, ora confluito nell'art. 2-bis del d.l. n.  28  del  2020,  come
convertito dalla legge n.  70  del  2020;  questioni,  peraltro,  non
decise da questa  Corte,  che  con  ordinanza  n.  185  del  2020  ha
restituito gli atti  al  rimettente  perche'  potesse  rivalutare  la
perdurante non manifesta  infondatezza  delle  questioni,  alla  luce
appunto delle modifiche alla  disciplina  censurata  apportate  dalla
menzionata legge n. 70 del 2020. 
    Pur alla luce  dello  ius  superveniens,  il  rimettente  ritiene
tuttavia di dover nuovamente sollevare le questioni  di  legittimita'
costituzionale nei termini sopra indicati. 
    3.2.- Ritiene in effetti il giudice  a  quo  che  la  previsione,
nella legge n. 70 del  2020,  di  un  termine  perentorio  di  trenta
giorni,  entro  il  quale  -  in  caso  di   revoca   dell'originario
provvedimento di concessione della misura da parte del magistrato  di
sorveglianza - il tribunale di sorveglianza e' tenuto ad assumere una
decisione definitiva sull'ammissione alla detenzione domiciliare o al
differimento della pena, non sia  idonea  a  sanare  i  vulnera  gia'
denunciati nella propria precedente ordinanza. 
    Osserva in proposito il rimettente che il provvedimento di revoca
pronunciato in esito  alla  rivalutazione  disciplinata  dalla  norma
censurata e' immediatamente  esecutivo,  con  conseguente  ripristino
della carcerazione e dei rischi alla  salute  ad  essa  connessi,  in
relazione  ai  quali  «la  rivalutazione  collegiale   di   eventuale
ripristino della misura diversa dalla  detenzione  potrebbe  giungere
ormai  tardivamente»,  prefigurando  altresi'  lo  scenario   di   un
possibile  «alternarsi  di  reingressi  in  carcere  e  ritorni   sul
territorio che [...] appaiono peculiarmente controindicati  a  fronte
di persone affette da gravi condizioni di salute». 
    Il giudice a quo ribadisce che il procedimento  di  rivalutazione
avanti il magistrato di sorveglianza e'  caratterizzato  dall'assenza
di qualsiasi formale coinvolgimento  della  difesa  dell'interessato,
alla  quale  non  e'  neppure  necessario  comunicare  l'inizio   del
procedimento; osservando altresi' che potrebbe addirittura  dubitarsi
della legittimazione a produrre memorie e documenti  da  parte  della
difesa, la quale resta comunque del tutto all'oscuro  degli  elementi
essenziali acquisiti mediante l'istruttoria  disposta  officiosamente
dal magistrato. 
    La procedura  disegnata  dalla  disposizione  censurata  avrebbe,
secondo il rimettente, carattere di marcata  atipicita'  rispetto  ad
altre procedure previste dal vigente  ordinamento  penitenziario,  in
cui pure al magistrato di sorveglianza e'  attribuito  il  potere  di
assumere decisioni  de  plano,  senza  formale  coinvolgimento  della
difesa   del   condannato.   La   particolare   problematicita'   del
provvedimento di revoca  disciplinato  dalla  disposizione  censurata
deriverebbe, infatti,  dal  suo  «effetto  dirompente  di  ricondurre
immediatamente in vinculis il condannato, che era stato ammesso  alla
misura extramuraria», durante tutto il tempo necessario per  attivare
l'intervento del tribunale di sorveglianza, senza adeguati spazi  per
la difesa del  condannato  e  in  condizioni  di  squilibrio  tra  il
patrimonio conoscitivo di quest'ultima e quello della parte pubblica;
con conseguente profilarsi, ad avviso del rimettente, di  un  duplice
contrasto con gli artt. 24, secondo  comma,  e  111,  secondo  comma,
Cost. 
    La disciplina censurata violerebbe, d'altra parte, anche l'art. 3
Cost., in conseguenza della irragionevole limitazione del suo  ambito
applicativo ai soli  provvedimenti  connessi  all'emergenza  COVID-19
emessi soltanto nei confronti dei condannati per alcune tipologie  di
delitti. 
    3.3.- Anche in questo giudizio e' intervenuto il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dell'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili e infondate. 
    Esse sarebbero, anzitutto,  inammissibili,  dal  momento  che  il
rimettente non avrebbe chiarito come il loro  eventuale  accoglimento
possa spiegare effetti nel procedimento a  quo,  non  facendosi  anzi
alcun riferimento nell'ordinanza di rimessione all'avvenuto riscontro
delle condizioni per il ripristino della misura detentiva in carcere. 
    Nel merito, non  si  ravviserebbe  comunque  alcuna  lesione  del
diritto di difesa e del diritto a un equo processo, da svolgersi  nel
contraddittorio tra le parti innanzi a un giudice terzo e imparziale,
giacche' la procedura  resterebbe  sempre  quella  a  contraddittorio
differito prevista dall'art. 47-ter, commi 1-ter e  1-quater,  ordin.
penit. e dagli artt. 666 e 678 del codice di  procedura  penale,  nel
cui ambito si inserirebbe lo  speciale  procedimento  previsto  dalla
disposizione  censurata;  ferma  restando,  dunque,   la   successiva
verifica,  in  contradditorio  pieno,  da  parte  del  tribunale   di
sorveglianza. 
    Per quanto concerne,  poi,  la  limitazione  della  disciplina  a
talune categorie soggettive di condannati, si tratterebbe di una  non
irragionevole scelta discrezionale del  legislatore  che,  in  quanto
tale, si sottrarrebbe al sindacato di legittimita' costituzionale,  e
che  troverebbe  comunque  spiegazione  «in  ragione  della  maggiore
caratura criminale» di  questi  condannati,  la  quale  a  sua  volta
giustificherebbe «una piu' frequente rivalutazione in vista del  loro
possibile rientro in carcere, una volta cessate le  ragioni  connesse
all'emergenza Covid-19  che  avevano  giustificato  il  ricorso  alla
misura alternativa, ferma restando, anche per  loro,  la  piu'  ampia
tutela del diritto alla salute». Sicche' «alla  revoca  della  misura
alternativa si provvedera', evidentemente, solo laddove il rientro in
carcere non pregiudichi l'esigenza di assicurare loro  cure  adeguate
ed efficaci rispetto alle patologie da cui sono affetti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  l'ordinanza  iscritta  al  n.  115  del  r.o.  2020,  il
Tribunale di  Sorveglianza  di  Sassari  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3,  27,  terzo
comma, 32, 102, primo comma, e 104, primo comma, della  Costituzione,
dell'art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29  (Misure  urgenti
in materia di detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione
della  pena,  nonche'  in  materia  di  sostituzione  della  custodia
cautelare in carcere con la misura  degli  arresti  domiciliari,  per
motivi connessi  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19,  di  persone
detenute o internate per delitti di criminalita' organizzata di  tipo
terroristico o mafioso, o per delitti di  associazione  a  delinquere
legati al traffico di sostanze stupefacenti o  per  delitti  commessi
avvalendosi delle condizioni o al fine  di  agevolare  l'associazione
mafiosa  o  con  finalita'  di  terrorismo,  nonche'  di  detenuti  e
internati sottoposti al regime previsto  dall'articolo  41-bis  della
legge 26 luglio 1975, n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui
con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto  i  condannati,
gli internati e gli imputati), «nella parte in  cui  prevede  che  la
rivalutazione  della  permanenza  dei  motivi  legati   all'emergenza
sanitaria  sia  effettuata  entro  il  termine  di  quindici   giorni
dall'adozione  del  provvedimento  e,  successivamente,  con  cadenza
mensile e, ancora, immediatamente nel caso  in  cui  il  Dipartimento
dell'amministrazione  penitenziaria  comunica  la  disponibilita'  di
strutture penitenziarie o di reparti di medicina  protetta»,  nonche'
dell'art. 5 del medesimo decreto-legge, «nella parte in  cui  prevede
che  le  disposizioni  di  cui  all'articolo  2   si   applicano   ai
provvedimenti  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   di
differimento della  pena  adottati  successivamente  al  23  febbraio
2020». 
    2.- Con  l'ordinanza  iscritta  al  n.  138  del  r.o.  2020,  il
Magistrato di sorveglianza di  Avellino  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli  artt.  24,  secondo
comma, 32 e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 2 del d.l. n. 29 del
2020, «nella parte in cui prevede che  proceda  a  rivalutazione  del
provvedimento  di  ammissione  alla  detenzione  domiciliare   o   di
differimento della pena per motivi connessi  all'emergenza  sanitaria
da Covid 19, il magistrato [di sorveglianza] che lo ha emesso». 
    3.- Con  l'ordinanza  iscritta  al  n.  145  del  r.o.  2020,  il
Magistrato di sorveglianza  di  Spoleto  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo
comma, e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 2-bis del decreto-legge
30 aprile 2020, n.  28  (Misure  urgenti  per  la  funzionalita'  dei
sistemi  di  intercettazioni  di   conversazioni   e   comunicazioni,
ulteriori misure urgenti in  materia  di  ordinamento  penitenziario,
nonche' disposizioni integrative e di  coordinamento  in  materia  di
giustizia civile, amministrativa e contabile  e  misure  urgenti  per
l'introduzione del sistema  di  allerta  Covid-19),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, «nella parte in cui
prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento  di  ammissione
alla detenzione domiciliare o di differimento della pena  per  motivi
connessi  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19,  il  magistrato  di
sorveglianza che lo ha emesso». 
    4.-  I  tre  giudizi  riguardano  questioni  simili  e  meritano,
pertanto, di essere riuniti per un'unica decisione. 
    5.- Giova anzitutto ricostruire brevemente il quadro normativo su
cui si innestano le odierne questioni di legittimita' costituzionale. 
    Esse  hanno  ad  oggetto  disposizioni  introdotte  dapprima  dal
Governo nel d.l. n. 29 del  2020,  poi  abrogate  ma  nella  sostanza
trasfuse nel nuovo art. 2-bis del d.l. n.  28  del  2020,  introdotto
dalla legge di conversione n. 70 del 2020. 
    5.1.- Le prime due ordinanze, anteriori  alla  legge  n.  70  del
2020, hanno ad oggetto l'art. 2 e - limitatamente  all'ordinanza  del
Tribunale di sorveglianza di Sassari - l'art. 5 del d.l.  n.  29  del
2020. 
    Tale decreto-legge aveva fatto seguito al precedente d.l.  n.  28
del 2020, il cui art. 2, comma 1, lettera b),  aveva  introdotto  tra
l'altro un nuovo comma 1-quinquies all'art.  47-ter  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),  allo
scopo di imporre alla magistratura di sorveglianza, nei  procedimenti
di concessione della detenzione domiciliare cosiddetta in surroga  di
cui all'art. 47-ter, comma 1-ter,  ordin.  penit.,  di  acquisire  il
parere obbligatorio del Procuratore antimafia del  distretto  ove  ha
sede il tribunale che ha emesso la sentenza, nonche' -  nel  caso  di
detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui al  41-bis  ordin.
penit. - del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. 
    Tale  intervento   era   conseguito   alle   polemiche   causate,
nell'aprile 2020, dalla notizia dell'avvenuta scarcerazione - proprio
in forza dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit. - di condannati
per reati di criminalita'  organizzata,  in  taluni  casi  ricoprenti
posizioni apicali  all'interno  delle  rispettive  associazioni,  per
ragioni di salute connesse all'emergenza epidemiologica da  COVID-19,
che interessava ormai  in  maniera  significativa  anche  le  carceri
italiane. 
    La modifica dell'art. 47-ter ordin. penit. introdotta dal d.l. n.
28  del  2020  era  destinata  peraltro  ad  operare   soltanto   con
riferimento alle concessioni della detenzione domiciliare in  surroga
successive all'entrata in vigore del decreto-legge stesso; sicche', a
dieci giorni di distanza, il Governo era intervenuto con  un  secondo
decreto-legge  (il  n.  29   del   2020),   contenente   disposizioni
applicabili anche alle misure di detenzione domiciliare gia' disposte
in data successiva al 23 febbraio 2020 per ragioni  sanitarie  legate
all'emergenza da COVID-19 e ancora in corso di esecuzione. 
    In particolare, l'art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 disponeva che il
magistrato o il tribunale di sorveglianza, che  avesse  ammesso  alla
detenzione domiciliare o al  differimento  della  pena,  «per  motivi
connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19»,  i  condannati  e  gli
internati per una serie di gravi reati di criminalita' organizzata  o
comunque sottoposti al regime penitenziario di  cui  all'art.  41-bis
ordin.  penit.,  valutasse   «la   permanenza   dei   motivi   legati
all'emergenza  sanitaria  entro  il  termine   di   quindici   giorni
dall'adozione  del  provvedimento  e,  successivamente,  con  cadenza
mensile». Tale valutazione doveva essere preceduta  dall'acquisizione
del parere  del  Procuratore  distrettuale  antimafia  del  luogo  di
commissione  del  reato  e  del  Procuratore  nazionale  antimafia  e
antiterrorismo per i condannati e internati gia' sottoposti al regime
di cui all'art. 41-bis  ordin.  penit.  (comma  1).  La  disposizione
prescriveva  inoltre  che  il  tribunale  o  il  magistrato  sentisse
l'autorita' sanitaria regionale,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale, e acquisisse
altresi'   dal   Dipartimento   dell'amministrazione    penitenziaria
«informazioni in ordine  all'eventuale  disponibilita'  di  strutture
penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il  condannato
o l'internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire  del
differimento   della   pena   puo'   riprendere   la   detenzione   o
l'internamento senza pregiudizio per le  sue  condizioni  di  salute»
(comma 2). 
    L'inciso finale del comma 1 dell'art. 2 del d.l. n. 29  del  2020
disponeva,   inoltre,   che   tale   valutazione    fosse    compiuta
«immediatamente, anche  prima  della  decorrenza  dei  termini  sopra
indicati», nel  caso  in  cui  il  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria  avesse  comunicato  la  disponibilita'  di   strutture
penitenziarie  o  di  reparti  di  medicina  protetta  adeguati  alle
condizioni di salute  del  detenuto  o  dell'internato  ammesso  alla
detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena. 
    Ai  sensi,  infine,  del  comma   3   dell'art.   2   in   esame,
«[l]'autorita' giudiziaria provvede valutando se permangono i  motivi
che hanno giustificato l'adozione  del  provvedimento  di  ammissione
alla detenzione domiciliare o al differimento  di  pena,  nonche'  la
disponibilita' di altre  strutture  penitenziarie  o  di  reparti  di
medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute  del
detenuto o  dell'internato.  Il  provvedimento  con  cui  l'autorita'
giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento  della
pena e' immediatamente esecutivo». 
    Il successivo art. 5 del d.l. n. 29 del  2020  stabiliva  che  le
disposizioni  di  cui,  tra  l'altro,  al  precedente   art.   2   si
applicassero  «ai  provvedimenti  di   ammissione   alla   detenzione
domiciliare o di  differimento  della  pena  e  ai  provvedimenti  di
sostituzione della misura cautelare della  custodia  in  carcere  con
quella degli  arresti  domiciliari  adottati  successivamente  al  23
febbraio 2020. Per i provvedimenti di cui al periodo precedente  gia'
emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto il termine
di quindici giorni previsto dagli articoli 2, comma 1, e 3, comma  1,
decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto». 
    5.2.- In sede di conversione in legge del d.l. n. 28 del 2020, la
legge n. 70 del 2020 ha, all'art. 1, comma 3, abrogato interamente il
d.l. n.  29  del  2020,  trasfondendone  le  disposizioni  nel  corpo
normativo dello stesso  decreto-legge  n.  28.  Tale  abrogazione  ha
peraltro espressamente fatti salvi la  validita'  degli  atti  e  dei
provvedimenti adottati, nonche' gli effetti prodottisi e  i  rapporti
giuridici sorti sulla base del d.l. n. 29 del 2020. 
    In particolare, gli originari artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020
-  oggetto,  come  si  e'  detto,  delle  censure  del  Tribunale  di
sorveglianza di Sassari e del Magistrato di sorveglianza di  Avellino
- sono confluiti nel nuovo art.  2-bis  del  d.l.  n.  28  del  2020,
aggiunto  in  sede   di   conversione   e   oggetto   delle   censure
dell'ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto. 
    L'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito,  riproduce
in effetti, nei primi tre commi, la disciplina dell'abrogato  art.  2
del d.l. n. 29 del 2020, con l'unica variazione  rappresentata  dalla
sostituzione dell'originario riferimento al «Procuratore distrettuale
antimafia del luogo in cui e' stato commesso il reato» con quello  al
«procuratore della Repubblica presso il tribunale del  capoluogo  del
distretto ove e' stata pronunciata la sentenza di condanna». 
    Il comma 4 dell'art. 2-bis, innovando  rispetto  alla  disciplina
del d.l. n. 29 del 2020, prevede poi che «[q]uando il  magistrato  di
sorveglianza procede alla valutazione del  provvedimento  provvisorio
di ammissione alla detenzione domiciliare  o  di  differimento  della
pena, i pareri e le informazioni acquisiti ai sensi dei commi 1 e 2 e
i provvedimenti adottati all'esito della valutazione  sono  trasmessi
immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unirli a quelli gia'
inviati ai sensi degli articoli 684, comma 2, del codice di procedura
penale e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n.  354.
Nel caso in cui il  magistrato  di  sorveglianza  abbia  disposto  la
revoca della detenzione domiciliare o  del  differimento  della  pena
adottati in via provvisoria,  il  tribunale  di  sorveglianza  decide
sull'ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento  della
pena entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca,
anche in deroga al termine previsto dall'articolo 47, comma 4,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354.  Se  la  decisione  del  tribunale  non
interviene nel termine prescritto, il provvedimento di  revoca  perde
efficacia». 
    Infine, il comma 5 dell'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020,  come
convertito, riproduce il previgente art. 5 del d.l. n. 29  del  2020,
stabilendo inter alia che la disciplina dettata nei commi  precedenti
e' applicabile a tutti i provvedimenti  di  revoca  della  detenzione
domiciliare o del differimento della pena gia' adottati alla data  di
entrata in vigore della legge di  conversione  e  a  partire  dal  23
febbraio 2020. 
    6.- L'Avvocatura generale dello Stato ha invitato questa Corte  a
valutare la possibilita' di  restituire  gli  atti  al  Tribunale  di
sorveglianza di Sassari e al Magistrato di sorveglianza  di  Avellino
per una nuova valutazione  della  rilevanza  e  della  non  manifesta
infondatezza delle questioni dagli stessi sollevate, alla luce  delle
modifiche  subite  delle  disposizioni  censurate  in  seguito   alla
trasposizione del loro contenuto  nel  d.l.  n.  28  del  2020,  come
convertito. Cio' sulla falsariga di quanto gia' stabilito  da  questa
Corte  con  l'ordinanza  n.  185  del  2020,  che  ha  effettivamente
restituito gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per  una
nuova valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni da
lui originariamente sollevate in relazione all'art. 2 del d.l. n.  29
del 2020, prima della sua abrogazione ad opera della legge n. 70  del
2020. 
    Questa Corte, tuttavia, ritiene che una tale  restituzione  degli
atti non sia in questo caso necessaria. 
    6.1.- Va premesso, in proposito, che in caso  di  abrogazione  di
una  disposizione,  nelle   more   del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale, con contestuale  trasfusione  del  suo  contenuto  in
altra disposizione, la questione di costituzionalita' originariamente
formulata  sulla  disposizione  abrogata  ben  puo',   essa   stessa,
"trasferirsi"   alla   nuova   disposizione,   che    ne    riproduce
sostanzialmente il contenuto (ex plurimis, sentenze n. 185 del 2018 e
n. 30 del 2012). E cio' in omaggio al principio di effettivita' della
tutela costituzionale,  sia  in  relazione  a  esigenze  di  economia
processuale, sia per scongiurare un eventuale utilizzo deviato  della
funzione legislativa, in ipotesi esercitata allo scopo  di  sottrarre
la disciplina contestata al giudizio di costituzionalita', o comunque
di ritardare indebitamente il suo svolgimento (sentenza  n.  533  del
2002). 
    In applicazione di tale principio, le questioni  di  legittimita'
costituzionale formulate dal Tribunale di sorveglianza di  Sassari  e
dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, a proposito degli artt. 2
e  5  dell'originario  d.l.  n.  29  del  2020,  devono  considerarsi
trasferite all'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, introdotto in sede
di conversione dalla legge n. 70 del 2020. 
    6.2.- In tale nuovo art. 2-bis,  come  si  e'  ricordato  (supra,
punto 5.2.), e' confluito il contenuto del previgente art. 2 del d.l.
n. 29 del 2020 (con la sola marginale variazione, che qui non rileva,
dell'individuazione del Procuratore della  Repubblica,  anziche'  del
Procuratore distrettuale antimafia, quale organo competente a fornire
il parere indicato dalla norma), collocato ora  ai  primi  tre  commi
della nuova disposizione; ed e' confluito altresi' il  contenuto  del
previgente art. 5 del d.l. n. 29 del 2020,  che  costituisce  ora  il
comma 5 di tale nuova disposizione. Il novum normativo introdotto con
la legge n. 70 del 2020 e' invece costituito, come  parimenti  si  e'
rammentato, dal suo comma  4,  che  prevede  l'obbligo  di  immediata
trasmissione degli atti da parte del magistrato  di  sorveglianza  al
tribunale di sorveglianza, il quale - nelle ipotesi in cui  il  primo
abbia disposto la revoca della  misura  extramuraria  precedentemente
concessa  -  e'  ora  tenuto  ad  adottare  la  decisione  definitiva
sull'ammissione alla misura entro i trenta giorni successivi, pena la
perdita di efficacia dello stesso provvedimento di revoca. 
    Con l'ordinanza n. 185 del 2020, questa Corte aveva  ritenuto  di
restituire gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto, perche'
rivalutasse la non manifesta infondatezza  delle  proprie  originarie
censure - formulate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo  comma,
e 111, secondo comma, Cost., sull'art. 2 del d.l. n. 29  del  2020  -
precisamente alla luce di  tale  novum  normativo,  che  all'evidenza
rafforzava il quadro di garanzie per la difesa del condannato  e  per
il suo diritto al contraddittorio in posizione  di  parita'  rispetto
alla parte pubblica, imponendo un termine perentorio per la decisione
definitiva da parte del tribunale di sorveglianza, nell'ambito di  un
procedimento in cui e' assicurata la piena  partecipazione  da  parte
della difesa, che ha altresi' accesso in quella fase a tutti gli atti
del procedimento. 
    Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha tuttavia ritenuto che
il novum normativo in questione non  abbia  eliminato  i  profili  di
illegittimita' costituzionale da lui in precedenza evidenziati, e  ha
pertanto nuovamente sottoposto le questioni originariamente formulate
- in riferimento ai medesimi parametri - sulla nuova disposizione  di
cui all'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, introdotta dalla legge di
conversione n. 70 del 2020. 
    A  questo  punto,  le  questioni  sollevate  dal   Tribunale   di
sorveglianza di Sassari, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  e  dal
Magistrato di sorveglianza di Avellino, in riferimento agli artt. 24,
secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.,  sull'originario  art.  2
del d.l. n. 29 del 2020 - questioni  da  intendersi,  per  quanto  si
diceva poc'anzi (supra, punto 6.1.), trasferite al nuovo  art.  2-bis
del d.l. n. 28  del  2020,  come  convertito  -  ben  possono  essere
affrontate subito da questa Corte, anche alla  luce  degli  argomenti
ora svolti dal Magistrato  di  sorveglianza  di  Spoleto,  che  assai
analiticamente si confrontano con il  novum  normativo  rappresentato
dal comma 4 di tale ultima disposizione, senza che appaia  necessaria
in proposito una ulteriore restituzione degli atti. 
    6.3.- Quanto poi alle questioni sollevate tanto dal Tribunale  di
sorveglianza di Sassari quanto  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di
Avellino, in riferimento complessivamente agli artt. 32,  102,  primo
comma, e 104, primo comma, Cost., sugli artt. 2 e - limitatamente  al
primo rimettente  -  5  dell'originario  d.l.  n.  29  del  2020,  da
intendersi anch'esse trasferite al nuovo art. 2-bis del  d.l.  n.  28
del 2020, come convertito, la  restituzione  degli  atti  apparirebbe
all'evidenza inutile, dal momento che il novum normativo rafforza sia
le  garanzie  difensive  sia  la  possibilita'   di   esercitare   un
contraddittorio in condizioni di parita' tra difesa e parte pubblica,
ma non incide in alcun modo sui profili di lamentato contrasto  della
disciplina originaria, come riprodotta nel nuovo art. 2-bis,  con  il
diritto alla salute del condannato, ne' con la separazione tra potere
legislativo e potere giudiziario, e pertanto non muta i termini delle
questioni cosi' come prospettate dai rimettenti (sentenza n. 125  del
2018). 
    7.- L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha  eccepito,  inoltre,
l'inammissibilita' delle  questioni  prospettate  dal  Magistrato  di
sorveglianza  di  Spoleto  per  difetto  di  motivazione  sulla  loro
rilevanza. Dall'ordinanza di rimessione non sarebbe infatti possibile
cogliere come l'eventuale pronuncia  di  fondatezza  delle  questioni
possa  produrre  effetti  nel  procedimento  principale,  atteso  che
nell'ordinanza stessa non si farebbe alcun  riferimento  al  positivo
riscontro  delle  condizioni  per  il  ripristino  dello   stato   di
detenzione per il condannato. 
    L'eccezione  non  e'  fondata,  dal  momento   che   un'eventuale
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
censurata dispenserebbe  il  rimettente  dall'obbligo  di  provvedere
sulla prescritta rivalutazione, sulla base della  documentazione  nel
frattempo  acquisita,  cristallizzando  cosi'  l'efficacia  del   suo
provvedimento di concessione  della  misura  extramuraria  sino  allo
spirare del termine originariamente indicato, e  comunque  sino  alla
decisione definitiva da parte del tribunale di sorveglianza. 
    8.-  Quanto  al  merito  delle  questioni  prospettate,  conviene
anzitutto esaminare quelle formulate dai Magistrati  di  sorveglianza
di Avellino e di Spoleto,  in  riferimento  agli  artt.  24,  secondo
comma, e 111, secondo  comma,  Cost.,  che  possono  essere  vagliate
congiuntamente. 
    Le questioni non sono fondate. 
    8.1.- Le censure  formulate  dalle  ordinanze  di  rimessione  si
incentrano  sulla  previsione  da  parte  del  legislatore   di   «un
procedimento senza spazi di  adeguato  formale  coinvolgimento  della
difesa tecnica dell'interessato», che non avrebbe accesso ai pareri e
alla documentazione acquisita dal magistrato di sorveglianza in forza
della disposizione censurata e che sarebbe pertanto tenuta all'oscuro
degli elementi essenziali, acquisiti durante l'istruttoria, sui quali
l'autorita'  giudiziaria  formera'  il  proprio  convincimento  sulla
possibilita' di una revoca della misura extramuraria in essere;  cio'
che determinerebbe, come osserva il  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto, una «carenza assoluta di contraddittorio rispetto alla parte
pubblica» nella fase di rivalutazione  dell'originario  provvedimento
di concessione, da compiersi da  parte  dello  stesso  magistrato  di
sorveglianza. 
    Ne' tale carenza potrebbe considerarsi sanata, secondo lo  stesso
Magistrato di sorveglianza di Spoleto, dal dispiegarsi successivo del
contraddittorio nella fase innanzi al tribunale di sorveglianza,  dal
momento  che  gia'  dalla   revoca   disposta   dal   magistrato   di
sorveglianza, che la legge qualifica come  immediatamente  esecutiva,
puo' derivare grave pregiudizio  al  condannato,  il  quale  verrebbe
immediatamente ricondotto in vinculis, risultando  cosi'  esposto  ai
medesimi rischi sanitari che erano stati posti a base dell'originario
provvedimento di concessione della misura. 
    8.2.-  La  censura  essenziale  dei  rimettenti  concerne  dunque
l'allegata illegittimita' costituzionale del ricorso,  da  parte  del
legislatore, a un procedimento a contradditorio soltanto differito ai
fini della eventuale revoca della misura extramuraria, da parte dello
stesso magistrato di sorveglianza che l'aveva in precedenza concessa. 
    In proposito, occorre subito rilevare che non ha ragion  d'essere
il dubbio, prospettato dai rimettenti, se il difensore  del  detenuto
possa presentare memorie e documenti al  magistrato  di  sorveglianza
nella fase di rivalutazione del provvedimento,  cio'  che,  peraltro,
risulta essere avvenuto in  entrambi  i  procedimenti  a  quibus.  Al
riguardo, e' sufficiente richiamare il disposto dell'art. 121,  comma
1, del codice di procedura penale, a  tenore  del  quale  «[i]n  ogni
stato e grado  del  procedimento  le  parti  e  i  difensori  possono
presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante  deposito
nella   cancelleria»;   disposto   che,   come   riconosciuto   dalla
giurisprudenza, e' applicabile anche con riferimento al  procedimento
di sorveglianza  (ex  multis,  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
penale, sentenza 11 maggio 2011, n. 18600). 
    Cio' tuttavia non sarebbe sufficiente,  nella  prospettiva  delle
ordinanze  di  rimessione,  posto  che  l'attivita'   difensiva   nel
procedimento  avanti  al  magistrato  di  sorveglianza  di  cui  alla
disciplina censurata  sarebbe  comunque  destinata  a  svolgersi  "al
buio", senza che il difensore  abbia  contezza  del  contenuto  della
documentazione acquisita ex officio e senza che, dunque,  egli  possa
opporre  specifiche  controdeduzioni  rispetto  alla   documentazione
stessa. 
    L'osservazione  coglie,  in  punto  di  fatto,  nel  segno.  Cio'
tuttavia non e' sufficiente, ad avviso di questa Corte, a determinare
l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame. 
    In seguito ad un'istanza del  condannato  di  applicazione  della
detenzione domiciliare "in surroga", ai sensi dell'art. 47-ter, comma
1-ter, ordin. penit., l'intervento del magistrato di sorveglianza  e'
previsto dal successivo comma 1-quater come connesso alle ragioni  di
urgenza che sostengono l'istanza, il cui destinatario naturale e'  il
tribunale di sorveglianza; tanto che il  provvedimento  dello  stesso
magistrato di sorveglianza che dispone  l'«applicazione  provvisoria»
della misura e' inteso come meramente interinale, per  far  fronte  a
tale situazione di urgenza, essendo poi destinato a  essere  caducato
dalla successiva decisione definitiva del tribunale di sorveglianza. 
    Ora, gia' lo stesso provvedimento urgente  e  interinale,  emesso
dal magistrato di  sorveglianza  ai  sensi  dell'art.  47-ter,  comma
1-quater, ordin.  penit.,  viene  assunto  sulla  base  di  pareri  e
documenti acquisiti ex officio e non ancora ostensibili alla  difesa,
nell'ambito di un procedimento totalmente deformalizzato e funzionale
a una decisione de plano da parte del magistrato; un procedimento che
non  presuppone  alcuna  udienza,  ne'  alcuna  possibilita'  per  il
difensore di  replicare  di  fronte  all'eventuale  parere  contrario
espresso dalla parte pubblica. 
    Anche  rispetto  all'originario  provvedimento  di   concessione,
dunque, il contraddittorio - nella logica dello stesso  art.  47-ter,
comma 1-quater, ordin. penit., e del precedente art. 47, comma 4,  da
esso richiamato - e' tutto riservato alla fase successiva, in cui  il
tribunale di sorveglianza decidera' in  via  definitiva  sull'istanza
del detenuto, nell'ambito di un  procedimento  regolato  nelle  forme
dell'incidente di esecuzione. 
    E dunque, nel procedimento funzionale  all'eventuale  revoca  del
provvedimento di concessione del beneficio da  parte  del  magistrato
ora disciplinato dalla disposizione censurata, la difesa si  trovera'
nell'identica condizione nella quale  si  trovava  al  momento  della
originaria  decisione  interinale  del  magistrato  sull'istanza   di
applicazione provvisoria della misura. 
    Una simile situazione, funzionale all'adozione  di  provvedimenti
interinali  urgenti  da  parte  del  magistrato  di  sorveglianza   -
"anticipatori" rispetto alla futura decisione  del  tribunale  -  non
rappresenta,  d'altra  parte,   un'anomalia   nel   procedimento   di
sorveglianza, come lo stesso Magistrato di  sorveglianza  di  Spoleto
correttamente  sottolinea;  ne'  questa   Corte   ha   mai   ritenuto
costituzionalmente necessario assicurare, in simili ipotesi, il pieno
contraddittorio gia' nella fase avanti al magistrato di sorveglianza,
destinata a sfociare in un provvedimento interinale  che  verra'  poi
confermato o smentito dal tribunale in  esito  a  un  procedimento  -
quello si' - a contraddittorio  pieno,  nel  quale  la  difesa  avra'
accesso  agli  atti  e  ai  documenti  sui  quali  si   formera'   il
convincimento del tribunale. Procedimento, quest'ultimo, che la legge
n. 70  del  2020  dispone  ora  che  debba  concludersi  nel  termine
perentorio di trenta giorni dall'eventuale  provvedimento  interinale
di revoca. 
    8.3.- Entrambi i rimettenti  evidenziano,  invero,  il  carattere
assai piu' gravoso, per il detenuto, del provvedimento di  revoca  di
un beneficio gia' concesso - che, come tale, comporta la  conseguenza
dell'immediato ritorno in carcere - rispetto a quello di  concessione
del beneficio stesso, che comporta un  mutamento  favorevole  per  il
detenuto. 
    Tuttavia la differenza, pur comprensibile sul piano  psicologico,
non e' decisiva dal punto di  vista  degli  interessi  in  gioco.  Se
davvero il protrarsi della detenzione genera un grave pericolo per la
salute e la vita  stessa  del  condannato,  allora  anche  la  scelta
iniziale di non concedergli il beneficio potrebbe essere  foriera  di
conseguenze assai gravi, esattamente come la decisione di  ricondurlo
in vinculis quando quel pericolo non sia ancora cessato. 
    A ben guardare, la logica  sottostante  alla  disciplina  di  cui
all'art.  47-ter,  comma  1-quater,  ordin.  penit.  e'   quella   di
attribuire al magistrato di sorveglianza il potere di intervenire, in
via di urgenza, per evitare gravi pregiudizi al detenuto, bilanciando
interinalmente le ragioni di tutela della  salute  e  della  vita  di
quest'ultimo  con   le   ragioni   contrapposte   di   tutela   della
collettivita'  in  relazione  alla  sua   persistente   pericolosita'
sociale; e cio' attraverso un procedimento attivato si' su istanza di
parte, ma destinato poi  a  svolgersi  mediante  poteri  di  indagine
officiosi (e comunque aperti alle  eventuali  produzioni  documentali
della difesa), in ragione proprio  della  necessita'  di  una  rapida
decisione sull'istanza del  detenuto.  Parallelamente,  e  del  tutto
coerentemente  con  tale  logica,  la  disposizione   qui   censurata
riconosce espressamente allo stesso magistrato - codificando peraltro
una soluzione gia' emersa in  giurisprudenza  (Corte  di  cassazione,
sezione  prima  penale,  sentenza  29  marzo  1995,  n.  982)  -   il
potere-dovere di reagire, mediante un contrarius actus,  a  eventuali
modificazioni della situazione di fatto sulla  cui  base  egli  aveva
assunto  la  decisione   di   concedere   la   misura   extramuraria;
modificazioni  delle  quali  egli  acquisisca   contezza   attraverso
l'esercizio dei medesimi poteri officiosi, suscettibili a loro  volta
di alterare i termini di quel provvisorio bilanciamento, e di indurlo
cosi' a revocare di propria iniziativa il  beneficio  gia'  concesso.
Sempre, peraltro,  in  via  provvisoria,  in  attesa  del  successivo
intervento del tribunale di sorveglianza. 
    Un  simile  assetto  normativo  non   appare   a   questa   Corte
incompatibile con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo  comma,
Cost., in considerazione del successivo recupero della pienezza delle
garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento  avanti  al
tribunale di sorveglianza; procedimento che, oggi, il  legislatore  -
accogliendo un suggerimento emerso in dottrina  -  ha  opportunamente
previsto debba concludersi entro  il  termine  perentorio  di  trenta
giorni, nell'ipotesi in  cui  il  magistrato  di  sorveglianza  abbia
disposto  la  revoca  della  detenzione  domiciliare  precedentemente
concessa ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit. 
    Non e' senza significato notare,  d'altronde,  che  la  scansione
procedimentale ora sancita dal comma 4 dell'art. 2-bis del d.l. n. 28
del 2020, come convertito, e' stata evidentemente  modellata  -  come
ancora esattamente coglie il Magistrato di sorveglianza di Spoleto  -
sulla gia' esistente disciplina di  cui  all'art.  51-ter,  comma  2,
ordin. penit.; tale disciplina  prevede  che,  nel  caso  in  cui  il
condannato  ammesso  a  una  misura  alternativa  ponga   in   essere
comportamenti suscettibili di determinarne la revoca, la possibilita'
per il magistrato di sorveglianza di disporre  in  via  interinale  e
urgente la  «provvisoria  sospensione  della  misura  alternativa»  e
l'immediato «accompagnamento in istituto del trasgressore», salva  la
necessita' di  una  successiva  decisione  definitiva  da  parte  del
tribunale di sorveglianza, per l'appunto, nel termine  perentorio  di
trenta giorni successivi, pena la perdita di efficacia  dello  stesso
provvedimento  provvisorio   di   sospensione   gia'   adottato   dal
magistrato. Questa disciplina,  rispetto  alla  quale  non  risultano
essere   state   sinora   formulate   questioni    di    legittimita'
costituzionale,  parimenti  prevede   l'immediata   riconduzione   in
vinculis   del   condannato,   nell'ambito   di    un    procedimento
deformalizzato e condotto ex officio dal magistrato di  sorveglianza,
senza alcuna necessita' di interlocuzione preventiva  con  la  difesa
del condannato, e con rinvio del pieno contraddittorio tra  difesa  e
parte pubblica al momento  del  successivo  procedimento  innanzi  al
tribunale di sorveglianza,  destinato  parimenti  a  concludersi  nel
termine perentorio di trenta giorni. 
    9.- Infondate sono, altresi', le censure formulate dal  Tribunale
di sorveglianza di  Sassari  e  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di
Avellino con riferimento all'art. 32 Cost. 
    9.1.- L'essenza  di  tali  censure  e'  che  il  procedimento  di
periodica (ri)valutazione delle condizioni che giustificano la misura
extramuraria  disciplinato  dalla  normativa  censurata  mirerebbe  a
indurre il giudice alla revoca di un provvedimento gia' concesso allo
scopo di salvaguardare la  salute  del  detenuto;  cio'  che  sarebbe
dimostrato,  in   particolare,   dall'imposizione   dell'obbligo   di
acquisire i pareri  del  Procuratore  distrettuale  antimafia  o  del
Procuratore   nazionale   antimafia   e    antiterrorismo,    nonche'
informazioni da parte del Dipartimento per gli affari penitenziari  e
del  Presidente  della  Giunta  regionale,  ma   non   -   invece   -
documentazione relativa allo stato di salute del detenuto. 
    Dal che deriverebbe, con le parole del Tribunale di  sorveglianza
di Sassari, una situazione di «ipotutela del diritto alla salute» del
detenuto imposta dallo stesso legislatore, in contrasto con l'art. 32
Cost. 
    9.2.- Tali assunti non possono, tuttavia, essere condivisi. 
    Intento del legislatore e',  certamente,  quello  di  imporre  ai
giudici che abbiano concesso la detenzione domiciliare in surroga o -
direttamente - il differimento della pena  ex  art.  147  del  codice
penale per ragioni connesse all'emergenza epidemiologica da  COVID-19
l'obbligo di periodiche e frequenti rivalutazioni  della  persistenza
delle condizioni che hanno giustificato la concessione della  misura,
sulla base anche della documentazione che la  disposizione  censurata
impone loro di acquisire. E cio' al  fine  di  verificare  a  cadenze
temporali ravvicinate, durante l'intero corso della misura  disposta,
la perdurante attualita' del  bilanciamento  tra  le  imprescindibili
esigenze di salvaguardia della salute del detenuto e  le  altrettanto
pressanti ragioni di tutela della sicurezza pubblica, poste in  causa
dalla speciale pericolosita' sociale  dei  destinatari  della  misura
(bilanciamento sul quale insiste  del  resto  anche  la  sentenza  di
questa  Corte  n.  99  del  2019,  pure  invocata  dal  Tribunale  di
sorveglianza di Sassari; nello stesso  senso,  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenze  7  dicembre  2017,  n.  55049,  e  20
dicembre 2010, n. 44579). 
    Tuttavia, in nessun luogo della disposizione censurata emerge  la
prospettiva di  un  affievolimento  della  tutela  della  salute  del
condannato; sottolineandosi anzi, nel comma  2  dell'art.  2-bis,  la
necessita'  di  verificare  -  quale  presupposto  della   revoca   -
l'effettiva «disponibilita' di strutture penitenziarie o  di  reparti
di medicina protetta in cui il condannato [...]  puo'  riprendere  la
detenzione o l'internamento senza pregiudizio per le  sue  condizioni
di salute»: la cui tutela resta, dunque, essenziale anche nell'ottica
della legge. 
    Se e' vero, d'altra parte,  che  la  disposizione  censurata  non
impone l'acquisizione di documentazione sullo  stato  di  salute  del
detenuto  -  il  suo  obiettivo  essendo,  evidentemente,  quello  di
assicurare  al  giudice  pienezza  di  informazione  sulle  possibili
alternative intramurarie esistenti in grado di assicurare comunque la
tutela della salute di  condannati  pure  dall'elevata  pericolosita'
sociale -, e' anche vero che essa non vieta affatto  che  il  giudice
possa acquisire ex officio tale  documentazione,  come  di  fatto  e'
accaduto  nel  procedimento  pendente  innanzi   al   Magistrato   di
sorveglianza di Avellino; e non vieta, in particolare, di disporre ex
officio, se necessario, perizia sullo stato di salute del detenuto ai
sensi dell'art. 185 delle Norme di  attuazione,  di  coordinamento  e
transitorie del codice di procedura penale, senza alcuna  particolare
formalita'. Dovendosi peraltro rammentare, come non a  torto  osserva
l'Avvocatura generale dello  Stato,  che  la  disposizione  censurata
concerne condannati che in via generale non presentano condizioni  di
salute di per se' incompatibili con le condizioni carcerarie,  e  che
solo in relazione alla particolare situazione della pandemia in corso
sono stati ammessi al beneficio extramurario; di talche'  appare  del
tutto  logico  richiedere  al  magistrato,  in  sede   di   periodica
rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato  il  beneficio,
una puntuale verifica - grazie ai dati forniti, in  particolare,  dal
Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria  -  relativa   alla
situazione  epidemiologica  in  corso,   notoriamente   in   continua
evoluzione, anche  con  specifico  riferimento  ai  singoli  istituti
penitenziari   e   alla   effettiva   disponibilita'   di   strutture
intramurarie o di medicina protetta  idonee  ad  assicurare  la  cura
delle  patologie   di   cui   il   condannato   soffra,   tutelandolo
ragionevolmente dal rischio di contagio. 
    In definitiva, la nuova disciplina - come  la  stessa  Avvocatura
generale dello Stato giustamente sottolinea - non  abbassa  in  alcun
modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti
dall'art. 32 Cost. e dal diritto  internazionale  dei  diritti  umani
anche nei confronti di condannati ad elevata  pericolosita'  sociale,
compresi quelli sottoposti al regime penitenziario  di  cui  all'art.
41-bis ordin. penit. (Corte europea dei diritti  dell'uomo,  sentenza
25 ottobre 2018, Provenzano contro Italia, paragrafi da 126 a  141  e
da 147  a  158);  ne'  intende  in  alcun  modo  esercitare  indebite
pressioni sul giudice che abbia in  precedenza  concesso  la  misura,
mirando unicamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo  sulla
possibilita' di opzioni alternative intramurarie o presso  i  reparti
di medicina protetti in grado di tutelare egualmente  la  salute  del
condannato, oltre che sulla effettiva pericolosita' dello stesso,  in
modo da consentire al  giudice  di  mantenere  sempre  aggiornato  il
delicato bilanciamento sotteso alla misura in essere,  alla  luce  di
una situazione epidemiologica in continua evoluzione. 
    10.- Parimenti infondate sono le censure sollevate dal  Tribunale
di sorveglianza di  Sassari  e  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto con riferimento all'art. 3 Cost. 
    10.1.-   Secondo   i   rimettenti,   la    normativa    censurata
determinerebbe  in   sostanza   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento tra i detenuti in relazione  al  solo  titolo  di  reato,
creando automatismi  incompatibili  con  il  principio  indefettibile
della tutela della loro salute, che vale per tutti i detenuti. 
    10.2.- La censura non merita  accoglimento,  non  potendo  essere
giudicata irragionevole la  scelta  del  legislatore  di  imporre  al
giudice una frequente e penetrante rivalutazione delle condizioni che
hanno giustificato la  concessione  della  misura  nei  confronti  di
condannati  per  gravi  reati,  tutti  connessi   alla   criminalita'
organizzata, e a fortiori  per  quelli  giudicati  di  tanto  elevata
pericolosita' da essere sottoposti al  regime  penitenziario  di  cui
all'art. 41-bis ordin. penit. 
    Anche rispetto a tali condannati, beninteso, occorrera'  tutelare
in modo pieno ed  effettivo  il  loro  diritto  alla  salute;  ma  e'
evidente che il bilanciamento  con  le  pure  essenziali  ragioni  di
tutela della sicurezza collettiva contro  il  pericolo  di  ulteriori
attivita' criminose dovra' essere effettuato con speciale scrupolo da
parte del giudice, sulla base di una piena  conoscenza  dei  dati  di
fatto che gli consentano di valutare se, e a  quali  condizioni,  sia
possibile il ripristino della detenzione,  in  modo  comunque  idoneo
alla tutela della loro salute. 
    11.- Manifestamente infondata e' poi la  censura,  sollevata  dal
Tribunale di sorveglianza di Sassari,  in  riferimento  all'art.  27,
terzo comma, Cost., dal momento che le misure di cui  trattasi  -  la
detenzione domiciliare in  surroga  di  cui  all'art.  47-ter,  comma
1-ter, ordin. penit. e il differimento facoltativo della pena di  cui
all'art. 147 cod. pen. - non sono funzionali  alla  rieducazione  del
condannato, bensi' in via esclusiva alla  tutela  della  sua  salute;
donde l'inconferenza del parametro invocato. 
    12.- Del pari manifestamente infondate, infine, sono  le  censure
sollevate dal Tribunale di sorveglianza  di  Sassari  in  riferimento
agli artt. 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. sul  combinato
disposto degli artt. 2 e 5 dell'originario d.l. n. 29  del  2020,  in
ragione essenzialmente dell'allegata  interferenza,  da  parte  della
disciplina censurata, con  le  prerogative  del  potere  giudiziario,
anche in relazione al suo carattere asseritamente retroattivo. 
    Tale  disciplina,  tuttavia,  non  ha  a  ben  guardare   effetto
retroattivo, applicandosi bensi' alle misure extramurarie concesse  a
partire da una data antecedente all'entrata in vigore del d.l. n.  28
del 2020, ma con effetto  esclusivamente  pro  futuro,  imponendo  al
giudice,  da  quel  momento  in  poi,   un   obbligo   di   periodica
rivalutazione delle  condizioni  che  giustificano  un  provvedimento
attualmente in essere, che eccezionalmente consente a  condannati  il
cui   percorso   rieducativo   ancora   imporrebbe   una   permanenza
intramuraria di scontare parte della  propria  pena  all'esterno,  in
ragione della tutela della loro salute in un  contesto  di  emergenza
epidemiologica. 
    Ne' la  legge  pretende  -  cio'  che  le  sarebbe  evidentemente
precluso (sentenza n. 85 del  2013)  -  di  travolgere  ipso  iure  i
provvedimenti gia' adottati, bensi' soltanto di imporre al giudice di
effettuare ulteriori adempimenti istruttori, suscettibili di sfociare
in un distinto provvedimento di  revoca;  revoca  che,  peraltro,  il
giudice non e' in alcun modo tenuto ad adottare,  come  si  e'  avuto
modo di osservare, laddove ritenga che la salute del detenuto non sia
ragionevolmente  tutelabile  anche  in  ambito  intramurario,  ovvero
mediante il suo ricovero in appositi reparti di medicina protetti. 
    Ne', ancora, una  illegittima  interferenza  con  le  prerogative
della giurisdizione puo' essere riscontrata in ragione  dell'asserita
vanificazione del termine contenuto nell'originario provvedimento  di
concessione della misura. Tale termine, infatti,  non  viene  affatto
travolto dalla disposizione censurata, e potra' continuare ad operare
laddove  il  giudice  ritenga,   pur   in   esito   alle   periodiche
rivalutazioni, di non disporre la revoca della misura stessa.