ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 18  (recte:
comma 1) del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti
per favorire l'occupazione),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 23 maggio 1997, n. 135, promosso dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio nel procedimento  vertente  tra  M.  M.  e  il
Ministero  della  giustizia,  con  ordinanza  del  29  ottobre  2019,
iscritta al n. 218 del registro ordinanze  2019  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  49,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  M.  M.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  18  novembre  2020  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato Luigi Paccione per  M.  M.  e  l'avvocato  dello
Stato  Ruggero  Di  Martino  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, quest'ultimo in collegamento da remoto, ai sensi del  punto
1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza   del   29   ottobre   2019,   il   Tribunale
amministrativo regionale per  il  Lazio  ha  sollevato  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  18  (recte:  comma  1)   del
decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire
l'occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 23  maggio
1997, n. 135, in riferimento agli artt. 3, 97, 104, primo comma,  107
e 108, secondo comma, della Costituzione. 
    La norma censurata violerebbe gli evocati  parametri  in  quanto,
nel prescrivere che le amministrazioni statali rimborsino  ai  propri
dipendenti nei  limiti  riconosciuti  congrui  dall'Avvocatura  dello
Stato le spese legali relative ai giudizi per responsabilita' civile,
penale e amministrativa promossi nei loro confronti in conseguenza di
fatti  e  atti  connessi  con  l'espletamento  del  servizio  o   con
l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi  con  sentenza  o
provvedimento che escluda la loro responsabilita',  non  prevede  che
tale rimborso «spetti anche ai funzionari onorari chiamati a svolgere
funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti, a  quelle
svolte da funzionari di ruolo», o, quantomeno, ai magistrati  onorari
nominati ai sensi della legge 21 novembre 1991, n.  374  (Istituzione
del giudice di pace). 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce che la ricorrente  nel  giudizio
principale, assolta con  sentenza  definitiva  da  un'imputazione  di
corruzione in atti giudiziari per fatti commessi nell'esercizio delle
funzioni di giudice di pace, ha presentato istanza di rimborso  delle
spese legali sostenute nel corso  del  procedimento  penale,  istanza
respinta  dal  Ministero  della  giustizia  con  l'argomento  che  il
rimborso non e' previsto per i giudici onorari. 
    Investito dell'impugnazione dell'atto di rigetto,  il  TAR  Lazio
sospetta che  il  "diritto  vivente"  formatosi  nell'interpretazione
dell'art. 18, comma 1, del d.l. n.  67  del  1997,  come  convertito,
escludendo  il  rimborso  in  favore  dei   funzionari   onorari,   e
segnatamente del giudice di pace, violi gli artt. 3, 97,  104,  primo
comma, 107 e 108, secondo comma, Cost. 
    L'art.  3  Cost.  sarebbe  violato  in  quanto  l'esclusione  del
rimborso determinerebbe un'irragionevole  disparita'  di  trattamento
con riferimento «quantomeno a quei funzionari  onorari  che  svolgano
funzioni  sostitutive/integrative,  ed  in  ogni   caso   di   valore
equivalente, rispetto a quelle svolte da funzionari "di ruolo"»;  con
specifico riguardo ai magistrati onorari, l'omesso riconoscimento del
diritto al rimborso ne lederebbe l'indipendenza, tutelata dagli artt.
104, primo comma, 107 e 108, secondo comma,  Cost.,  potendo  inoltre
«incidere sulla qualita' del servizio e, quindi, sul  buon  andamento
della  amministrazione  della  giustizia»,   con   violazione   anche
dell'art. 97 Cost. 
    1.2.- Il rimettente esclude di poter  operare  un'interpretazione
costituzionalmente orientata, poiche' l'estensione  del  rimborso  ai
funzionari onorari e' inequivocabilmente impedita dalla lettera della
norma,   che,   indicando   come   beneficiari   i   «dipendenti   di
amministrazioni  statali»   e   come   obbligate   al   rimborso   le
«amministrazioni di appartenenza», testualmente riserva il  beneficio
ai soggetti legati allo Stato da un rapporto di impiego. 
    Secondo il giudice a quo, le questioni sono rilevanti ai fini del
decidere, poiche' l'esclusione dei magistrati onorari dal  novero  di
coloro che hanno diritto al rimborso di cui all'art. 18, comma 1, del
d.l. n. 67 del 1997, come convertito,  «costituisce  l'unica  ragione
posta a fondamento dell'atto impugnato nel presente giudizio». 
    Non potrebbe  ritenersi  invaso  lo  spazio  di  discrezionalita'
appartenente al legislatore, in quanto l'estensione  del  diritto  al
rimborso ai magistrati onorari  sarebbe  una  necessaria  conseguenza
dell'equivalenza  tra  le  loro  funzioni  e  quelle  del  magistrato
professionale. 
    2.- Si e' costituita in  giudizio  la  parte  privata,  chiedendo
accogliersi le questioni sollevate e dichiararsi illegittima la norma
censurata, «limitatamente alla parte in cui tale norma non prevede il
rimborso delle spese legali anche a favore dei magistrati onorari». 
    3.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
chiesto dichiararsi  le  questioni  inammissibili  o,  in  subordine,
infondate. 
    3.1.- Le  questioni  sarebbero  inammissibili  per  insufficiente
motivazione sulla rilevanza,  derivante  dall'inadeguata  descrizione
della fattispecie, in quanto l'ordinanza di rimessione non  evidenzia
in   modo   specifico   il   nesso   tra   l'attivita'    giudiziaria
dell'interessata e i fatti dedotti  nell'imputazione  a  suo  carico,
nesso che invece dovrebbe emergere in  termini  di  stretta  inerenza
funzionale e non di mera occasionalita'. 
    Il TAR Lazio avrebbe inoltre  omesso  di  verificare  la  propria
giurisdizione,  che  l'Avvocatura  generale  reputa  carente   «nella
pacifica insussistenza di un rapporto di pubblico impiego». 
    3.2.- Le  questioni  sarebbero  comunque  infondate  nel  merito,
poiche' la norma censurata ha carattere eccezionale  ed  esprime  una
scelta  discrezionale  del  legislatore,  non  potendosi  la   tutela
estendere dall'una categoria all'altra, considerata «[l]a  diversita'
di status giuridico ed economico fra pubblici impiegati e  funzionari
onorari». 
    3.3.- In prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  ha  depositato
memoria illustrativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  ha
sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18
(recte: comma 1) del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni
urgenti per favorire l'occupazione), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 23 maggio 1997, n. 135, in riferimento agli artt. 3,  97,
104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, della Costituzione, nella
parte in  cui  non  riconosce  ai  funzionari  onorari  con  funzioni
equivalenti a quelle dei funzionari di ruolo -  e  specificamente  al
giudice di pace - il diritto al rimborso  viceversa  riconosciuto  ai
dipendenti statali per le  spese  legali  sostenute  nei  giudizi  di
responsabilita', quando questi siano  stati  promossi  per  fatti  di
servizio  e  si  siano  conclusi  con  accertamento  negativo   della
responsabilita'. 
    Ad avviso del rimettente,  la  mancata  previsione  del  rimborso
determinerebbe un'irragionevole disparita' di  trattamento  in  danno
dei funzionari onorari e cio' si tradurrebbe, riguardo ai  magistrati
onorari, in una lesione dell'indipendenza, oltre che in  un  ostacolo
al buon andamento dell'amministrazione della giustizia. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
l'Avvocatura generale dello Stato,  ha  sollevato  due  eccezioni  di
inammissibilita', l'una per carenza di giurisdizione del rimettente e
l'altra per insufficiente descrizione della fattispecie. 
    2.1.- L'eccezione relativa al difetto di giurisdizione  e'  priva
di fondamento. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte,   per
determinare  l'inammissibilita'  della   questione   incidentale   di
legittimita' costituzionale il difetto di giurisdizione del giudice a
quo deve  essere  macroscopico,  quindi  rilevabile  ictu  oculi  (ex
plurimis, sentenze n. 99 e n. 24 del 2020, n. 189 del  2018,  n.  269
del 2016, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999;  ordinanze  n.  318  del
2013, n. 291 del 2011 e n. 167 del 1997). 
    Nella  specie,  in  base  a  quanto  risulta  dall'ordinanza   di
rimessione, la parte privata ha  adito  il  TAR  Lazio  per  ottenere
l'annullamento del diniego di rimborso  emesso  dal  Ministero  della
giustizia e la pertinente  pronuncia  di  condanna,  petitum  il  cui
titolo la ricorrente ha indicato nella  natura  subordinata  del  suo
rapporto  di   servizio   quale   giudice   di   pace,   o   comunque
nell'equiparazione  funzionale  tra  il  magistrato  onorario  e   il
magistrato   professionale,    entrambi    appartenenti    all'ordine
giudiziario. 
    In costanza di questi assunti, la sussistenza della giurisdizione
amministrativa non puo' essere esclusa ictu  oculi,  atteso  peraltro
che l'Avvocatura generale non ha dedotto nei propri scritti difensivi
di aver sollevato l'eccezione di difetto di giurisdizione innanzi  al
giudice a quo. 
    2.2.- Priva di fondamento e' anche l'eccezione  di  insufficiente
descrizione della fattispecie. 
    L'inadeguata descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a
quo    da    parte    dell'ordinanza    di    rimessione    determina
l'inammissibilita'  della  questione  incidentale   di   legittimita'
costituzionale se e in quanto impedisce  il  controllo  di  rilevanza
della questione medesima (ex plurimis, sentenze n. 199 e n.  105  del
2019, n. 22 del 2018; ordinanze n. 147 e n. 92 del 2020, n. 103 e  n.
64 del 2019, n. 242 del 2018, n. 187 e n. 12 del 2017). 
    Peraltro, in virtu' dell'autonomia tra il giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale e il giudizio principale,  questa  Corte,
nel delibare l'ammissibilita' della  questione,  effettua  in  ordine
alla rilevanza solo un controllo "esterno", applicando  un  parametro
di non  implausibilita'  della  relativa  motivazione  (ex  plurimis,
sentenze n. 224 e n. 32 del 2020, n. 85 del 2017 e n. 228  del  2016;
ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016). 
    Nell'ordinanza di rimessione, il  TAR  Lazio  ha  motivato  sulla
rilevanza  delle  questioni   nei   seguenti   termini:   posto   che
l'esclusione dei magistrati  onorari  dal  novero  dei  soggetti  che
possono  fruire  del  diritto  al   rimborso   delle   spese   legali
«costituisce l'unica ragione posta a fondamento  dell'atto  impugnato
nel   presente   giudizio»,   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale  di  tale  esclusione   comporterebbe   l'annullamento
dell'atto medesimo, «con conseguente obbligo della Amministrazione di
rideterminarsi tenendo  conto  della  astratta  ammissibilita'  della
ricorrente  al  beneficio,  e  procedendo  quindi   a   valutare   se
sussistano,  in  concreto,  i  requisiti  indicati  dalla  norma  per
concederle il rimborso delle spese legali». 
    Tale motivazione supera il vaglio di non implausibilita',  mentre
l'eccezione dell'Avvocatura, appuntandosi sull'inadeguata descrizione
del nesso funzionale che integra il presupposto oggettivo del diritto
al rimborso, si colloca "a valle" delle questioni, viceversa limitate
alla astratta titolarita' soggettiva di quel diritto. 
    3.- Occorre procedere quindi all'esame di merito delle  sollevate
questioni, che  tuttavia  vanno  preliminarmente  dimensionate,  onde
garantirne l'aderenza alla fattispecie soggettiva del giudizio a quo. 
    Questo riguarda invero - non genericamente i  funzionari  onorari
con «funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti»,  di
cui fa menzione l'ordinanza di rimessione, bensi' - quel  particolare
funzionario onorario che e' il giudice di pace,  con  riferimento  al
quale, pertanto, il petitum additivo deve essere circoscritto. 
    3.1.- Sempre al fine di individuare esattamente  il  petitum  del
giudizio incidentale, occorre altresi'  precisare  che,  benche'  nel
dispositivo il giudice a quo abbia fatto riferimento all'intero  art.
18 del  d.l.  n.  67  del  1997,  come  convertito,  il  sospetto  di
illegittimita' costituzionale ha  ad  oggetto,  come  chiaramente  si
evince dalla complessiva motivazione dell'ordinanza di rimessione, il
solo comma 1 della norma,  concernente  appunto  la  titolarita'  del
diritto al rimborso delle spese di patrocinio. 
    Si rammenta che, per costante giurisprudenza di questa Corte,  e'
possibile  circoscrivere  l'oggetto  del  giudizio  di   legittimita'
costituzionale ad una parte della disposizione censurata, se cio'  e'
suggerito dalla motivazione complessiva dell'ordinanza di  rimessione
(ex plurimis, sentenze n. 223 del 2020, n. 97 del  2019,  n.  35  del
2017 e n. 203 del 2016). 
    4.- La questione sollevata in riferimento  all'art.  3  Cost.  e'
fondata. 
    5.- Nel prevedere il rimborso delle spese  di  patrocinio  legale
sostenute nei giudizi promossi per fatti  inerenti  alla  funzione  e
conclusisi con accertamento negativo di responsabilita',  l'art.  18,
comma 1, del d.l. n.  67  del  1997,  come  convertito,  testualmente
individua   i   beneficiari   del   rimborso   nei   «dipendenti   di
amministrazioni statali» e le «amministrazioni di appartenenza» quali
obbligate,  sicche'  e'  corretta  la  premessa  da  cui   muove   il
rimettente,  vale  a  dire  l'impossibilita'  di  estendere  per  via
interpretativa  il  diritto  al  rimborso  a  soggetti  che   operano
nell'interesse dell'amministrazione al di fuori  da  un  rapporto  di
impiego. 
    D'altronde, per univoca giurisprudenza della Corte di  cassazione
(tra le tante, sezione prima civile, sentenza 10  dicembre  2004,  n.
23138) e del Consiglio di Stato (da ultimo, sezione quarta,  sentenza
13  gennaio  2020,  n.  281),  la  norma   censurata   ha   carattere
eccezionale,  e'  di  stretta  interpretazione,  e  quindi   non   e'
suscettibile di estensione per analogia. 
    5.1.- L'estensione e' stata talora operata  dal  legislatore  per
specifiche categorie di  funzionari  onorari,  segnatamente  per  gli
amministratori degli enti locali, ai quali ultimi  il  beneficio  del
rimborso  e'  stato  invero  riconosciuto,  sia  pure  a  determinate
condizioni  (assenza   di   conflitto   di   interessi   con   l'ente
amministrato, presenza di nesso causale  tra  funzioni  esercitate  e
fatti rilevanti, insussistenza di dolo o colpa grave), dall'art.  86,
comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sostituito dall'art.
7-bis, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni
urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni  per  garantire
la continuita' dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo  del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali), convertito, con modificazioni,  nella  legge  6  agosto
2015, n. 125. 
    Anteriormente, la tutela legale di fonte collettiva  riconosciuta
ai dipendenti degli enti locali dall'art. 67  del  d.P.R.  13  maggio
1987, n. 268 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo
sindacale, per  il  triennio  1985-1987,  relativo  al  comparto  del
personale degli enti locali), era stata  dichiarata  non  estensibile
agli amministratori degli enti medesimi, appunto  in  difetto  di  un
rapporto di impiego (tra le molte, Corte di cassazione, sezione terza
civile, sentenza 25 settembre  2014,  n.  20193,  e  sezione  lavoro,
sentenza 1° dicembre 2011, n. 25690). 
    5.2.-  Il  rimborso  ha   tratti   peculiari   nei   giudizi   di
responsabilita' amministrativa, per i quali l'art. 31, comma  2,  del
decreto legislativo 26 agosto  2016,  n.  174  (Codice  di  giustizia
contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20 della  legge  7  agosto
2015,  n.   124),   dispone:   «[c]on   la   sentenza   che   esclude
definitivamente  la  responsabilita'  amministrativa  per   accertata
insussistenza del danno, ovvero,  della  violazione  di  obblighi  di
servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa  grave,  il
giudice non puo' disporre la compensazione delle spese del giudizio e
liquida, a carico dell'amministrazione di  appartenenza,  l'ammontare
degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa». 
    Per  questa  tipologia  di  giudizi   vige   quindi   un   regime
particolare, nel quale -  come  da  questa  Corte  osservato  con  la
sentenza n. 41 del 2020  -  il  diritto  al  rimborso,  di  immediata
attuazione giudiziale, non e' esposto al rischio di compensazione  in
caso di proscioglimento nel merito. 
    5.3.-  E'  opportuno  altresi'  rammentare  quanto  rilevato   in
occasione della declaratoria di non  fondatezza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, della legge  della
Provincia autonoma di Trento 27 agosto 1999, n. 3  (Misure  collegate
con l'assestamento del bilancio per l'anno 1999),  che,  in  sede  di
interpretazione autentica dell'art. 92, comma 1,  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 29 aprile 1983, n. 12 (Nuovo ordinamento
dei servizi e del personale della Provincia autonoma di  Trento),  ha
riconosciuto «il rimborso anche delle spese  legali,  peritali  e  di
giustizia sostenute per la difesa nelle fasi preliminari  di  giudizi
civili, penali e contabili [...] anche  nei  casi  in  cui  e'  stata
disposta l'archiviazione del procedimento penale o  del  procedimento
volto  all'accertamento  della   responsabilita'   amministrativa   o
contabile». 
    Questa  Corte  ha  evidenziato  che  tale  disposizione,  insieme
all'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del  1997,  come  convertito,  e
all'art. 31, comma 2, cod. giust. contabile, «si inserisce nel quadro
di un complessivo apparato normativo volto a evitare che il  pubblico
dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle  conseguenze
economiche di un procedimento  giudiziario,  anche  laddove  esso  si
concluda senza l'accertamento di responsabilita'»  (sentenza  n.  189
del 2020). 
    Ai fini del riparto della competenza tra lo Stato e la  Provincia
autonoma, la medesima sentenza ha  affermato  che  la  citata  norma,
prevedendo il rimborso anche per le fasi preliminari  dei  giudizi  e
per quelli conclusi con l'archiviazione, «attiene non al rapporto  di
impiego - e quindi alla competenza statale in materia di "ordinamento
civile" - bensi' al rapporto di servizio», appunto perche'  «volta  a
soddisfare  esigenze,  di  sicuro  rilievo  pubblicistico,  attinenti
all'organizzazione dell'amministrazione provinciale, secondo  criteri
di efficienza e qualita' dei servizi». 
    6.- Ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 21 novembre  1991,
n. 374 (Istituzione del giudice di pace), «[l]'ufficio del giudice di
pace e' ricoperto da un magistrato onorario  appartenente  all'ordine
giudiziario». 
    L'art. 1 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116  (Riforma
organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici
di  pace,  nonche'  disciplina  transitoria  relativa  ai  magistrati
onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), dopo
aver ribadito che «[i]l "giudice onorario di pace" e'  il  magistrato
onorario addetto all'ufficio del giudice di pace» (comma 1), aggiunge
che «[l]'incarico di magistrato onorario ha  natura  inderogabilmente
temporanea, si svolge in modo da assicurare la compatibilita' con  lo
svolgimento di attivita' lavorative o professionali e  non  determina
in nessun caso un rapporto di pubblico impiego» (comma 3). 
    6.1.- Questa Corte ha  piu'  volte  affermato  che  la  posizione
giuridico-economica dei magistrati  professionali  non  si  presta  a
un'estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite
evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano
le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in  via
concorrente. 
    Enunciata a proposito del trattamento  economico  dei  componenti
delle commissioni tributarie (ordinanza n. 272 del 1999) e per quello
dei vice pretori onorari (ordinanza n. 479 del 2000),  l'affermazione
e' stata ripetuta anche per i giudici di pace, sia in tema  di  cause
di incompatibilita' professionale (sentenza n. 60 del 2006),  sia  in
ordine alla competenza per il contenzioso sulle spettanze  economiche
(ordinanza n. 174 del 2012). 
    7.- In sede  di  rinvio  pregiudiziale,  la  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea ha stabilito che  l'art.  267  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea, come modificato  dall'art.  2  del
Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla  legge  2
agosto 2008, n. 130,  deve  essere  interpretato  nel  senso  che  il
giudice di pace italiano rientra nella nozione di  «giurisdizione  di
uno degli Stati membri», in quanto organismo  di  origine  legale,  a
carattere permanente, deputato all'applicazione di  norme  giuridiche
in  condizioni  di  indipendenza  (Corte  di  giustizia   dell'Unione
europea, sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18, UX). 
    Nella   medesima   sentenza,   considerate   le   modalita'    di
organizzazione del lavoro dei giudici di pace, la Corte di  giustizia
ha affermato che essi «svolgono le loro funzioni  nell'ambito  di  un
rapporto giuridico di subordinazione sul  piano  amministrativo,  che
non  incide  sulla  loro  indipendenza  nella  funzione   giudicante,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare». 
    Quindi, interpretando  gli  artt.  1,  paragrafo  3,  e  7  della
direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del  4
novembre  2003,  concernente   taluni   aspetti   dell'organizzazione
dell'orario di lavoro, nonche' le clausole 2 e 4 dell'accordo  quadro
sul lavoro a tempo determinato concluso il 18  marzo  1999,  allegato
alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo  determinato,
la Corte di Lussemburgo, riportata la figura del giudice di pace alla
nozione di  «lavoratore  a  tempo  determinato»,  ha  stabilito,  con
riferimento al tema specifico delle  ferie  annuali  retribuite,  che
differenze di trattamento rispetto al  magistrato  professionale  non
possono essere giustificate dalla sola  temporaneita'  dell'incarico,
ma unicamente «dalle diverse  qualifiche  richieste  e  dalla  natura
delle  mansioni  di  cui  detti   magistrati   devono   assumere   la
responsabilita'». 
    Nell'ambito di tale  valutazione  comparativa  assume  rilievo  -
osserva ancora la Corte di giustizia - la circostanza che per i  soli
magistrati ordinari la nomina debba avvenire per  concorso,  a  norma
dell'art. 106, primo comma,  Cost.,  e  che  a  questi  l'ordinamento
riservi le controversie di maggiore complessita' o da trattare  negli
organi di grado superiore. 
    8.- La differente modalita' di nomina, radicata nella  previsione
dell'art. 106, secondo  comma,  Cost.,  il  carattere  non  esclusivo
dell'attivita' giurisdizionale svolta e il  livello  di  complessita'
degli affari trattati rendono conto dell'eterogeneita'  dello  status
del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica  "onoraria"  del
suo   rapporto   di   servizio,   affermata   dal   legislatore   fin
dall'istituzione della figura e ribadita in occasione  della  riforma
del 2017. 
    Questi tratti  peculiari  non  incidono  tuttavia  sull'identita'
funzionale  dei  singoli  atti  che  il  giudice   di   pace   compie
nell'esercizio della funzione  giurisdizionale,  per  quanto  appunto
rileva agli effetti del rimborso di cui alla norma censurata. 
    La ratio di tale istituto - individuata  da  questa  Corte,  come
gia' visto, nella sentenza n. 189 del 2020, con richiamo al  fine  di
«evitare che il pubblico dipendente possa subire  condizionamenti  in
ragione delle conseguenze economiche di un procedimento  giudiziario,
anche   laddove   esso   si   concluda   senza   l'accertamento    di
responsabilita'» - sussiste per l'attivita' giurisdizionale  nel  suo
complesso, quale funzione essenziale dell'ordinamento giuridico,  con
pari intensita'  per  il  giudice  professionale  e  per  il  giudice
onorario. 
    In questo senso, come pure rilevato dalla medesima  sentenza,  il
beneficio del rimborso delle spese  di  patrocinio  «attiene  non  al
rapporto  di  impiego  [...]  bensi'  al   rapporto   di   servizio»,
trattandosi di un presidio della funzione,  rispetto  alla  quale  il
profilo organico appare recessivo. 
    9.- Deve  rammentarsi  quanto  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
osservare all'indomani dell'emanazione della legge n. 374  del  1991,
istitutiva  del  giudice  di  pace,  cioe'  che  «mentre  il  giudice
conciliatore era per piu' ragioni un giudice minore,  il  giudice  di
pace si affianca - limitatamente al giudizio di primo  grado  -  alla
magistratura ordinaria nell'auspicata  prospettiva  che  questo  piu'
elevato  livello,  cosi'  realizzato,  consenta  una  risposta   piu'
adeguata, da parte dell'ordine giudiziario nel  suo  complesso,  alla
sempre crescente domanda di giustizia» (sentenza n. 150 del 1993). 
    Particolarmente significativa agli effetti dell'odierna questione
- che involge le spese di patrocinio nei giudizi di responsabilita' -
appare la posizione del giudice di pace nei giudizi di rivalsa  dello
Stato a titolo di responsabilita' civile, in quanto l'art.  7,  comma
3, della legge  13  aprile  1988,  n.  117  (Risarcimento  dei  danni
cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
civile dei magistrati),  mentre  nel  testo  originario  limitava  la
responsabilita' del giudice conciliatore al solo caso  di  dolo,  nel
testo modificato dall'art. 4, comma 1, della legge 27 febbraio  2015,
n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei  magistrati),  non
distingue il  giudice  di  pace  da  quello  professionale,  entrambi
chiamati a rispondere anche per negligenza inescusabile. 
    10.- Attesa l'identita' della funzione del giudicare,  e  la  sua
primaria importanza nel quadro costituzionale, e'  irragionevole  che
il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al
solo giudice "togato" e non anche al  giudice  di  pace,  mentre  per
entrambi ricorre,  con  eguale  pregnanza,  l'esigenza  di  garantire
un'attivita'  serena  e  imparziale,  non  condizionata  dai   rischi
economici  connessi  ad  eventuali  e   pur   infondate   azioni   di
responsabilita'. 
    Cio' rilevato sul piano della titolarita' soggettiva, resta fermo
che l'insorgenza del diritto al rimborso richiede sempre - anche  per
il giudice di pace - gli estremi  oggettivi  indicati  dall'art.  18,
comma 1, del d.l. n. 67 del 1997,  come  convertito,  e  quindi,  per
giurisprudenza costante,  l'esistenza  di  un  nesso  causale  e  non
meramente  occasionale  tra  la  funzione  esercitata  e   il   fatto
contestato (ex multis, Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenza
8 novembre 2018, n. 28597, e, da ultimo, Consiglio di Stato,  sezione
quarta, sentenza 28 settembre 2020, n. 5655). 
    11.- Per tutte  le  argomentazioni  che  precedono,  deve  essere
dichiarata,  con  riferimento  all'art.  3  Cost.,   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del  1997,  come
convertito, nella parte in cui non prevede  che  il  Ministero  della
giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice  di  pace
nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa. 
    12.- Restano  assorbite  le  questioni  riferite  agli  ulteriori
parametri.