ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  commi
36, 51,  lettera  b),  e  67,  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2019, n. 13 (Assestamento del bilancio
per gli anni 2019-2021 ai sensi dell'articolo 6 della legge regionale
10 novembre 2015, n. 26), promosso dal Presidente del  Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato l'8-15 ottobre  2019,  depositato  in
cancelleria il 15 ottobre 2019,  iscritto  al  n.  108  del  registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2020  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Massimo Luciani  per  la  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, in collegamento da remoto,  ai  sensi
del punto 1) del decreto del Presidente della Corte  del  30  ottobre
2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 3 dicembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'8-15 ottobre 2019 e depositato il 15
ottobre 2019 (reg. ric. n. 108 del 2019), il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso distinte questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, commi 36, 51, lettera b), e 67 della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2019, n. 13 (Assestamento del
bilancio per gli anni 2019-2021 ai sensi dell'articolo 6 della  legge
regionale 10 novembre 2015, n. 26), in  riferimento  complessivamente
agli artt. 3, 32, 41, 117, terzo comma, e 118,  quarto  comma,  della
Costituzione,  nonche'  all'art.   5,   numero   16),   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia). 
    1.1.- Con il primo motivo e' impugnato il comma 36, il  quale  ha
sostituito il comma 29 dell'art. 9 della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2018, n. 29  (Legge  di  stabilita'
2019), prevedendo che  «[l]'Amministrazione  regionale,  al  fine  di
sostenere il sistema di mobilita' e  accessibilita'  a  favore  delle
persone con disabilita', e' autorizzata a concedere alle associazioni
di volontariato e di promozione sociale con sede in regione, iscritte
nei rispettivi registri regionali e aventi quali esplicite  finalita'
statutarie  la  tutela  e  promozione  sociale  delle   persone   con
disabilita', contributi straordinari per sostenere gli oneri connessi
all'acquisto di autoveicoli di categoria M1 e  M2  allestiti  per  il
trasporto di persone con disabilita'». 
    Nell'introdurre la  censura  l'Avvocatura  richiama  il  Registro
unico nazionale (da qui, anche:  RUN)  del  Terzo  settore,  previsto
dagli artt. 45 e seguenti del decreto legislativo 3 luglio  2017,  n.
117, recante «Codice del Terzo  settore,  a  norma  dell'articolo  1,
comma 2, lettera b), della legge 6 giugno  2016,  n.  106»  (da  qui,
anche: CTS) e segnala che, ai  sensi  dell'art.  102,  comma  4,  del
citato  decreto,  non  essendo  il  RUN  ancora  operativo,   restano
applicabili le disposizioni di cui agli artt. 7 e  8  della  legge  7
dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle  associazioni  di  promozione
sociale)  e  all'art.  6  della  legge  11  agosto   1991,   n.   266
(Legge-quadro sul volontariato). 
    Cio' premesso, il ricorrente prospetta innanzitutto la violazione
dell'art.  3  Cost.,  poiche'  la  norma  impugnata  riserverebbe   i
contributi in questione alle sole associazioni di promozione  sociale
iscritte nel  registro  regionale,  mentre  li  negherebbe  a  quelle
iscritte nel registro nazionale, ma  operanti  anche  nel  territorio
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Vi  sarebbe  quindi  un
contrasto con il contenuto degli artt. 7 e 8 della legge n.  383  del
2000, rispettivamente disciplinanti  il  registro  nazionale,  quelli
regionali  e  provinciali,  e  il  relativo   procedimento   per   le
iscrizioni. 
    Una  censura  analoga   e'   formulata   con   riferimento   alle
associazioni  di  volontariato,  poiche',  a  fronte   di   attivita'
parimenti svolte nel territorio friulano, la norma discriminerebbe le
organizzazioni soltanto sulla base del dato formale del  registro  di
iscrizione, inidoneo tuttavia a differenziarle: l'art. 6 della  legge
n. 266 del 1991 prevederebbe, infatti, per tali associazioni soltanto
una registrazione a  base  regionale,  senza  che  l'attivita'  delle
stesse possa essere limitata alla sola Regione di iscrizione. 
    Con un'ulteriore censura, la  violazione  dell'art.  3  Cost.  e'
motivata in quanto la disposizione si porrebbe  «come  disciplina  "a
regime"»; applicandosi anche quando sara' divenuto operativo  il  RUN
del Terzo settore, la stessa sarebbe pertanto  in  contrasto  con  la
finalita' di riforma insita nella unificazione del registro. 
    La  disposizione  regionale  e'  poi  contestata  laddove  limita
l'accesso ai contributi da questa previsti alle sole due tipologie di
enti ivi indicate, mentre, invece, il CTS avrebbe  inteso  equiparare
tutti gli enti del Terzo settore (da qui, anche: ETS)  dal  punto  di
vista funzionale, mantenendo differenze tipologiche  e  organizzative
essenzialmente per rispettare la volonta' degli associati, ma non per
distinguerne i compiti. Poiche' questi ultimi devono consistere nelle
«attivita' di interesse generale»  enumerate  dall'art.  5  del  CTS,
l'accesso ai contributi non potrebbe essere limitato ad  alcuni  ETS,
escludendone altri pur operanti nello stesso campo di attivita'. 
    Infine, e' addotta la violazione del principio di  sussidiarieta'
di cui all'art. 118, quarto comma, Cost., perche' la norma impugnata,
favorendo  con  i  contributi  solo   talune   tipologie   di   enti,
interferirebbe  in  modo  indebito  con  la  libera  dinamica   delle
formazioni sociali, orientando «"dall'alto" la  liberta'  associativa
del terzo settore, spingendola a preferire questi tipi di enti». 
    1.2.- La seconda disposizione  impugnata,  recata  dal  comma  51
dell'art. 9 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019, ha
ad oggetto le risorse del  fondo  regionale  per  il  contrasto  alla
poverta', trasferite ai servizi sociali dei Comuni in forza dell'art.
9, comma 9, lettera a), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  29
del 2018, ma  non  utilizzate  nell'anno  2019.  La  norma  impugnata
afferma che tali risorse «sono confermate» in capo ai servizi sociali
comunali «per la concessione di interventi di contrasto alla poverta'
a favore di nuclei familiari come definiti dall'articolo 2, comma  5,
del decreto legge 28 gennaio 2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in
materia di reddito di cittadinanza e di  pensioni),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n.  26,  aventi  almeno  un
componente  che  sia  in  possesso,  congiuntamente,   dei   seguenti
requisiti:  a)  cittadinanza  italiana  o  di  Paesi  facenti   parte
dell'Unione  europea,   ovvero   suo   familiare   come   individuato
dall'articolo 2, comma 1,  lettera  b),  del  decreto  legislativo  6
febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE  relativa
al  diritto  dei  cittadini  dell'Unione  e  dei  loro  familiari  di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri), che sia titolare del diritto di soggiorno o del  diritto  di
soggiorno permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del
permesso di soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo;  b)
residenza in regione da almeno cinque anni continuativi. In  caso  di
rimpatrio di corregionali, il periodo di residenza all'estero non  e'
computato e non e' considerato  quale  causa  di  interruzione  della
continuita' della residenza in regione». 
    1.2.1.- L'Avvocatura ritiene che in base alla suddetta previsione
l'accesso alla prestazione si baserebbe in modo decisivo sulla durata
della residenza in Regione, ovvero su una circostanza priva di alcuna
specifica connessione con lo stato di bisogno a  cui  la  prestazione
stessa mira a porre rimedio. 
    Ne conseguirebbe il  carattere  irragionevole  e  discriminatorio
della disposizione, in violazione dell'art. 3 Cost.,  perche'  questa
escluderebbe dalla prestazione situazioni  di  poverta'  maggiori  di
altre,  solo  perche'  nessun  componente  del  nucleo  familiare  ha
risieduto in Regione per almeno cinque anni. In senso  contrario  non
rileverebbe la finalita' diretta  a  evitare  abusi:  per  un  verso,
«anche  la  mera  residenza  [potrebbe]  attestare   il   radicamento
territoriale e il carattere non abusivo del trasferimento»; per altro
verso, gli abusi non potrebbero essere presunti ex lege, ma accertati
mediante appositi procedimenti di controllo. 
    In  ogni  caso  non  potrebbero  essere  richiesti  requisiti  di
residenza minima  a  fronte  di  prestazioni  assistenziali  volte  a
sopperire  a  necessita'  fondamentali  degli  individui,   come   la
protezione dallo stato di indigenza dell'intero nucleo familiare. 
    1.2.2.-  La  disciplina  del  «rimpatrio  di   corregionali»   e'
parimenti censurata, ritenendola irragionevole per  incongruita'  tra
fini e mezzi, poiche'  assunto  come  fine  quello  di  «limitare  le
prestazioni ai soli casi che manifestino un effettivo radicamento con
la regione, e' contraddittorio equiparare a tali casi quello  in  cui
l'interessato non  abbia  risieduto  in  regione  perche'  residente,
addirittura, all'estero». 
    La   norma   sarebbe   irragionevole   anche    per    l'assoluta
indeterminatezza  del  presupposto;   trattandosi   di   disposizione
eccezionale, sarebbe stata  necessaria  la  definizione  dei  termini
«corregionali»  e  «rimpatrio»,  invece  mancante,  con   conseguente
eccessivo ampliamento della platea dei possibili beneficiari. 
    1.3.- Con l'ultimo motivo e' impugnato il comma  67  dell'art.  9
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019, ai  sensi  del
quale «[a]i fini della programmazione regionale,  per  consentire  la
rivalutazione del fabbisogno complessivo  di  strutture  residenziali
per anziani non autosufficienti, e' sospesa  la  presentazione  delle
domande per l'ottenimento dell'autorizzazione alla  realizzazione  di
nuove strutture sino alla conclusione del processo di accreditamento,
di cui all'articolo 49 della legge regionale 17/2014, delle strutture
gia'  autorizzate  all'esercizio  in  via  definitiva  o  in   deroga
temporanea, per le quali resta ammessa la possibilita' di  presentare
domanda di ampliamento, trasformazione e trasferimento della sede». 
    1.3.1.- La disposizione citata contrasterebbe con  le  previsioni
statutarie  e  costituzionali  che  riconducono   alla   legislazione
concorrente la materia della «igiene e sanita', assistenza  sanitaria
ed ospedaliera» - come  enunciato  dall'art.  5,  numero  16),  dello
statuto di autonomia - ovvero della «tutela  della  salute»,  di  cui
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In particolare, verrebbero in rilievo gli artt. 8-ter e  8-quater
del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23  ottobre  1992,  n.  421),  che   disciplinano,   rispettivamente,
l'autorizzazione e l'accreditamento delle strutture sanitarie private
e che sono peraltro richiamati dagli artt. 48 e 49 della legge  della
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  16  ottobre  2014,  n.  17
(Riordino dell'assetto istituzionale  e  organizzativo  del  Servizio
sanitario regionale e norme in materia di programmazione sanitaria  e
sociosanitaria). 
    Tali  fonti,  sia  statali,   sia   regionali,   distinguerebbero
nettamente per contenuto, presupposti e funzione  l'autorizzazione  e
l'accreditamento; sarebbe dunque  principio  generale  della  materia
quello secondo  cui  l'autorizzazione  alla  realizzazione  di  nuove
strutture  sanitarie  «presuppone  una   semplice   valutazione   del
fabbisogno  complessivo  e   della   distribuzione   (localizzazione)
territoriale» delle strutture stesse. 
    L'accreditamento, invece, comporterebbe l'inserimento  funzionale
della  struttura  sanitaria  autorizzata   nel   Servizio   sanitario
regionale (SSR) che, nei limiti stabiliti dagli accordi  contrattuali
previsti dall'art. 8-quinquies del  d.lgs.  n.  502  del  1992,  deve
remunerare le prestazioni rese dalle strutture accreditate. Pertanto,
come prescrivono l'art. 8-quater, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992
e l'art. 49, commi 1 e 2, della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.
14  del  2017,  l'accreditamento  sarebbe  rilasciato  soltanto  alle
strutture di cui si accerti la rispondenza ai requisiti ulteriori  di
qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto  agli  indirizzi  di
programmazione regionale  e  alla  verifica  positiva  dell'attivita'
svolta e dei risultati raggiunti. 
    Su tale base non sarebbe consentito collegare  la  proponibilita'
delle  domande  di  autorizzazione  per  la  realizzazione  di  nuove
strutture sanitarie  all'esito  dei  procedimenti  di  accreditamento
delle strutture esistenti, senza peraltro  prevedere  alcun  termine.
Infatti, secondo la logica del sistema, quand'anche queste ultime non
fossero piu' accreditabili  per  difetto  dei  requisiti  prescritti,
potrebbero  comunque  rimanere  autorizzate  a  operare   in   regime
puramente privato, al di fuori del SSR. 
    Ad avviso dell'Avvocatura, non avrebbe rilievo l'obiezione che il
fabbisogno, alla cui verifica l'autorizzazione e' soggetta,  potrebbe
essere determinato solo  conoscendo  numero  e  localizzazione  delle
strutture  accreditate;   infatti,   il   fabbisogno   in   questione
consisterebbe  nella  domanda  di  determinate  prestazioni  in   se'
considerate, prescindendo dalla circostanza, logicamente  successiva,
«se  tali  prestazioni  saranno  richieste  al   servizio   sanitario
regionale o, invece, in regime di diritto privato». 
    Pertanto, in presenza di un fabbisogno completamente soddisfatto,
non rileverebbe il numero delle  strutture  accreditate  o  meno  che
partecipano a tale risultato: per questo solo fatto  non  potrebbero,
infatti, autorizzarsi nuove strutture. Al contrario, se il fabbisogno
non fosse integralmente soddisfatto ben potrebbero essere autorizzate
nuove strutture, lasciando a un  momento  successivo  la  valutazione
sulla necessita' di  «potenziare  la  risposta  "pubblica"»  del  SSR
includendovi anche quelle strutture mediante l'accreditamento. 
    1.3.2.- Il ricorso lamenta altresi' la  violazione  dell'art.  41
Cost., nella parte in cui afferma che l'iniziativa economica  privata
e' libera e in quella in cui «garantisce la libera concorrenza». 
    In particolare, dall'Avvocatura viene  richiamato,  al  riguardo,
l'orientamento della giurisprudenza amministrativa  secondo  cui  «il
sistema di norme che regolamentano l'accesso al  mercato  di  privati
che  intendono  erogare  prestazioni  sanitarie  senza   rimborsi   o
sovvenzioni a carico della spesa pubblica non deve  tradursi  in  una
compressione della liberta' di iniziativa economica  privata»;  nello
stesso senso  e'  richiamata  la  posizione  espressa  dall'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato, diretta a  evidenziare  come
«una politica di contenimento dell'offerta sanitaria  possa  tradursi
in una posizione di  privilegio  degli  operatori  del  settore  gia'
presenti nel mercato, che possono  incrementare  la  loro  offerta  a
discapito dei  nuovi  entranti,  assorbendo  la  potenzialita'  della
domanda». 
    1.3.3.- Da ultimo, il ricorso afferma che «[s]otto i profili  ora
illustrati» l'impugnato comma 67 contrasterebbe anche con  l'art.  32
Cost., nella parte in cui questo garantisce la  «liberta'  di  scelta
dei cittadini riguardo alle strutture sanitarie a cui affidarsi». 
    2.- Con atto depositato il 21 novembre 2019 si e'  costituita  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente pro
tempore. 
    2.1.- Quanto al primo motivo di impugnazione, sostiene la Regione
resistente che  la  censura  sarebbe  inammissibile,  non  avendo  il
ricorrente  tenuto  conto  delle  disposizioni   dello   statuto   di
autonomia, neanche menzionate, in contrasto con la giurisprudenza  di
questa Corte (e' richiamata la sentenza n. 147 del 2019). 
    Nel merito, a escludere l'asserita disparita' di trattamento  tra
le associazioni di promozione sociale iscritte al registro  regionale
e quelle iscritte al registro nazionale, varrebbe il contenuto di una
disposizione non considerata dal ricorrente: l'art. 20, comma  2-bis,
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  9  novembre
2012,  n.  23  (Disciplina  organica   sul   volontariato   e   sulle
associazioni di promozione sociale). Questa, infatti,  consente  alle
associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale di
«presentare domanda  di  iscrizione  al  Registro  regionale  per  le
proprie  articolazioni  regionali  o  provinciali  che  operano   nel
territorio della Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  per  le  quali  si
considerano  accertati  i  medesimi  requisiti   valutati   ai   fini
dell'iscrizione nel Registro nazionale»; ad avviso della  resistente,
cio' attesterebbe la sostanziale identita' del trattamento  dei  vari
soggetti e impedirebbe di ravvisare  la  disparita'  lamentata  dallo
Stato. 
    Analoga  conclusione  varrebbe   a   maggior   ragione   per   le
organizzazioni del volontariato, in quanto la loro disciplina prevede
la sola registrazione a  base  regionale.  Infatti,  l'art.  5  della
citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del  2012  -  anch'esso
mai menzionato dal ricorrente - prevede, al comma 4,  che  «[p]ossono
iscriversi al Registro le organizzazioni  di  volontariato  aventi  i
requisiti previsti dall'articolo 3  della  legge  266/1991  con  sede
legale o operativa in regione e dotate di autonomia amministrativa  e
contabile». 
    In ogni  caso,  l'iscrizione  delle  associazioni  di  promozione
sociale  nel  registro  nazionale   o   in   quello   regionale   non
costituirebbe un  mero  dato  formale,  come  sostenuto  dal  ricorso
statale, ma sarebbe proprio  il  riflesso  della  diversa  dimensione
dell'azione delle  stesse,  come  si  desume  dai  requisiti  fissati
dall'art.  7,  commi  1  e  2,  della  legge  n.  383  del  2000.  Di
conseguenza, la normativa  regionale  dovrebbe  ritenersi  pienamente
rispettosa dell'art. 3 Cost. 
    La censura di violazione delle norme dettate dal  d.lgs.  n.  117
del 2017 sarebbe invece inammissibile per la sua  genericita',  anche
perche' carente della indicazione delle specifiche  disposizioni  del
CTS asseritamente violate. 
    In ogni caso, nelle more della compiuta attuazione delle norme in
materia di istituzione del RUN  sarebbe  ragionevole  la  scelta  del
legislatore regionale di fare ancora riferimento alle  due  categorie
di  ETS  e  ai  relativi,  distinti,  registri.  Il  rispetto  e   il
coordinamento con il  CTS  sarebbe  comunque  gia'  assicurato  dalla
presenza nella legislazione friulana di clausole idonee  ad  adeguare
il sistema alla futura operativita' del  RUN,  in  quanto  la  citata
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  23  del  2012  prevederebbe  che
l'iscrizione  nel  registro   regionale   delle   organizzazioni   di
volontariato (art. 5, comma 5-bis) e delle associazioni di promozione
sociale (art. 20, comma 6-bis)  abbia  validita'  fino  all'eventuale
iscrizione dell'ente in questione nel RUN del Terzo settore. 
    La  lamentata  violazione  dell'art.  118,  quarto  comma,  Cost.
andrebbe,  infine,  respinta  perche'   la   disposizione   impugnata
dimostrerebbe  un  favor  nei  confronti  proprio  delle   iniziative
considerate dalla previsione costituzionale. 
    Da  ultimo,  le  censure  sarebbero  comunque  inammissibili  per
sopravvenuto difetto d'interesse, poiche' l'art. 9, comma  29,  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  29  del  2018,  novellato  dalla
disposizione impugnata, e' stato abrogato dall'art. 8, comma 7, della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4  novembre  2019,
n.  16  (Misure  finanziarie  intersettoriali),  a  decorrere  dal  7
novembre 2019,  non  risultando  alla  difesa  regionale  alcun  atto
applicativo della disciplina censurata. 
    2.2.- L'impugnativa dell'art.  9,  comma  51,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019 sarebbe infondata. Sulla base di
una ricostruzione della normativa  regionale  e  statale,  la  difesa
regionale argomenta la tesi sotto tre profili: le  risorse  impiegate
per  l'intervento  sociale,  le  modalita'  di   erogazione,   e   il
coordinamento con analoghe misure stabilite dallo Stato. 
    In primo luogo, la  norma  impugnata  andrebbe  ricollegata  alla
«misura attiva di sostegno al reddito» familiare introdotta dall'art.
2 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 10  luglio
2015, n. 15 (Misure di inclusione attiva e di  sostegno  al  reddito)
per un periodo di tre anni ed espressamente in via sperimentale. 
    Tale intervento regionale sarebbe stato poi novellato  alla  luce
dell'adozione della misura statale  del  «Sostegno  per  l'inclusione
attiva (SIA)» - in forza dell'art. 1, comma 387,  lettera  a),  della
legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)» -, prevedendo che, fermo il carattere sperimentale,
la misura regionale si sarebbe coordinata  con  il  SIA  e  che,  per
coloro che erano eleggibili a entrambe le misure,  la  prima  avrebbe
costituito una "integrazione" del secondo (art. 8,  comma  53,  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2016, n.
14, recante «Assestamento del bilancio per l'anno 2016 e del bilancio
per gli anni 2016-2018 ai sensi della  legge  regionale  10  novembre
2015, n. 26»). 
    E'  poi  richiamata  la  normativa  statale  che,  dapprima,   ha
riformato il SIA, sostituendo questo  istituto  con  il  «Reddito  di
inclusione» (decreto legislativo 15 settembre 2017, n.  147,  recante
«Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto
alla poverta'») e,  successivamente,  ha  istituito  il  «Reddito  di
cittadinanza», contestualmente disponendo che  la  precedente  misura
non sia piu' riconosciuta o rinnovata a  far  data  dall'aprile  2019
(decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante  «Disposizioni  urgenti
in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni», convertito, con
modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26). 
    In  conclusione,  alla  luce  dei  notevoli   cambiamenti   nelle
politiche nazionali di  sostegno  al  reddito,  con  la  disposizione
impugnata il legislatore regionale si sarebbe  limitato  a  prevedere
una diversa destinazione per le sole risorse non utilizzate nel  2019
e gia' trasferite ai Comuni a titolo di acconto. 
    Al  riguardo,  secondo  la  difesa  regionale,   il   fatto   che
addirittura la prima tranche non sia  stata  integralmente  impiegata
dimostrerebbe  con  evidenza  l'eccedenza  rispetto  al  bisogno  per
l'attuazione  della  misura  di   sostegno   attiva   regionale.   Il
legislatore regionale avrebbe percio' reimpiegato  tale  surplus  per
ulteriori interventi a favore di nuclei familiari,  diversi  rispetto
alla suddetta misura di sostegno. 
    La norma avrebbe  dunque  rispettato  i  limiti  elaborati  dalla
giurisprudenza costituzionale, non avendo previsto  una  correlazione
tra la durata prolungata della residenza e le situazioni di bisogno o
di disagio, riferibili alla  persona  in  quanto  tale.  Infatti,  le
risorse utilizzate sarebbero quelle non impiegate per  la  misura  di
sostegno attivo al reddito e, percio', ulteriori  rispetto  a  quelle
necessarie a fronteggiare le correlate situazioni  di  bisogno  o  di
disagio della persona; inoltre, le  risorse  stesse  sarebbero  state
indirizzate  non  a  singole  persone,   ma   a   nuclei   familiari,
richiedendosi percio' ragionevolmente l'impiego  del  criterio  della
residenza,  peraltro  usato  in  maniera  limitata,  dovendo   essere
sussistente semplicemente per un componente. 
    Sarebbero, sostiene la Regione resistente, comunque  ben  diversi
da quello  in  esame  i  casi  in  cui  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di criteri stabiliti per l'accesso  a
determinate prestazioni sociali. Infatti, quanto alle sentenze n. 106
del 2018 e n. 168 del 2014, i requisiti li' esaminati erano di durata
ben piu' ampia (rispettivamente, 10 e 8 anni)  e  riferiti  ai  «c.d.
"soggiornanti di lungo periodo"»; quanto alla  sentenza  n.  107  del
2018, questa era relativa a un requisito di ben 15 anni di residenza,
che entrambi i genitori dovevano soddisfare ai  fini  dell'iscrizione
della prole a un asilo nido. Nella specie, invece, oltre alla  minore
durata del requisito, questo potrebbe essere soddisfatto anche da  un
solo componente del nucleo familiare. 
    Infine, le censure riferite alle nozioni di «corregionale»  e  di
«rimpatrio»  sarebbero   inammissibili,   consistendo   in   semplici
difficolta'   interpretative,   e   comunque    infondate,    potendo
l'interprete essere indirizzato dalla  ratio  della  norma,  volta  a
facilitare lo stabile rientro «dei friulani e dei giuliani che, per i
casi della vita, hanno sin qui vissuto all'estero». 
    2.3.-  Le  questioni  sulla  sospensione  dei   procedimenti   di
autorizzazione alla realizzazione di strutture  sanitarie  -  oggetto
del terzo motivo di impugnazione - sarebbero anzitutto inammissibili,
non avendo il ricorrente tenuto in alcun conto le disposizioni di cui
agli artt. 1 e seguenti del decreto legislativo 20  giugno  2005,  n.
126  (Norme  di  attuazione  dello  Statuto  speciale  della  regione
Friuli-Venezia Giulia, concernenti il trasferimento  di  funzioni  in
materia di salute umana e sanita' veterinaria), in contrasto  con  la
giurisprudenza  costituzionale  che  richiede  l'onere  di   motivare
l'estraneita'  della  disposizione  impugnata  anche  rispetto   alle
competenze definite  dalle  norme  di  attuazione  dello  statuto  di
autonomia (sono richiamate le sentenze n. 288 del 2013 e  n.  51  del
2006). 
    Nel  merito,  la  norma  impugnata   intenderebbe   tutelare   la
ricognizione del fabbisogno complessivo cui  le  strutture  sanitarie
devono far fronte, sospendendo temporaneamente (e non sine die,  come
sostiene  il  ricorrente)   la   presentazione   delle   domande   di
autorizzazione;  soltanto  una  volta  concluse   le   procedure   di
accreditamento delle strutture gia'  autorizzate,  sarebbe  possibile
avere «un quadro il piu' possibile completo della domanda complessiva
di prestazioni sanitarie». 
    Infatti, sia la disciplina statale  (art.  8-ter,  comma  3,  del
d.lgs. n. 502 del 1992) sia quella regionale  (art.  48  della  legge
reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  17  del  2014)  confermerebbero  la
necessita' di  provvedere  alla  verifica  dell'effettivo  fabbisogno
complessivo gia' all'atto  di  procedere  all'autorizzazione  per  la
realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie. 
    Inoltre,  sarebbe  erronea  l'affermazione  del  ricorrente   che
esclude ogni relazione tra i procedimenti di autorizzazione e  quelli
di accreditamento, ai fini della valutazione e dell'aggiornamento del
fabbisogno.  Infatti,  i   procedimenti   della   seconda   tipologia
identificherebbero  strutture  specifiche  di  soddisfacimento  della
necessita' di assistenza sanitaria  e,  dunque,  inciderebbero  sugli
stessi profili quantitativi e  qualitativi  del  fabbisogno  che,  in
quanto complessivo, dovrebbe essere calcolato tenendo conto  di  tali
profili. 
    Da cio' deriverebbe la infondatezza della censura  relativa  alla
violazione dell'art. 32 Cost. 
    Infine, le censure riferite all'art. 41 Cost. sarebbero parimenti
infondate, perche' la necessita' di una  previa  verifica  servirebbe
anche   a   evitare,   a   garanzia   dell'utilita'   sociale,    «la
proliferazione» delle richieste di autorizzazione e ad  accertare  in
maniera rigorosa sia  il  possesso  dei  requisiti  previsti  per  le
strutture richiedenti, sia la qualita'  delle  prestazioni  sanitarie
che esse erogano. 
    3.-  In  prossimita'  dell'udienza,  entrambe  le   parti   hanno
depositato una memoria. 
    3.1.- Il Presidente  del  Consiglio,  con  riferimento  al  primo
motivo del ricorso, relativo  ai  contributi  alle  associazioni  che
operano a favore dei disabili,  da  un  lato  riconosce  che  lo  ius
superveniens indicato opera una riformulazione della  disciplina  dei
contributi adeguandosi totalmente alle censure, ma dall'altro ritiene
che permanga l'interesse alla decisione  sul  merito,  salvo  che  la
Regione  dimostri,  nel  pur  breve  arco  di  vigenza  della   norma
impugnata, l'assenza di impegni contabili. 
    In ogni caso, in risposta  alle  difese  regionali  sullo  stesso
motivo,  l'Avvocatura  afferma  che  l'indicazione  delle  competenze
legislative  della  Regione  autonoma  non   sarebbe   nella   specie
necessaria, essendo in discussione  la  conformita'  della  normativa
regionale al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.  e  non
l'assetto delle competenze stesse. Nel  merito,  rileva  che  sarebbe
comunque ingiustificato  e  sproporzionato  imporre  l'iscrizione  ai
registri regionali  alle  associazioni  gia'  iscritte  nel  registro
nazionale o in quello di altra Regione. 
    Con riguardo poi al secondo motivo  d'impugnazione,  l'Avvocatura
replica  alla  difesa  regionale  ritenendo,  in   particolare,   non
dirimente la  destinazione  degli  interventi  ai  nuclei  familiari,
anziche'  alle  singole  persone:  mancherebbe  in  ogni   caso   una
ragionevole correlazione tra l'esteso requisito territoriale  preteso
dalla norma e lo stato di bisogno. Le risorse confluite nella  misura
in questione non potrebbero,  infine,  considerarsi  un  surplus,  in
quanto  la  loro  finalita'  non   sarebbe   mutata   rispetto   alla
impostazione originaria, sempre diretta a contrastare la poverta'. 
    Infine,  con  riguardo  all'ultimo  motivo,  la  memoria  confuta
l'eccepita inammissibilita', ritenendo che  le  norme  di  attuazione
richiamate dalla resistente siano estranee all'oggetto della censura.
Nel  merito,  ribadisce  che   ai   fini   dell'autorizzazione   alla
realizzazione di nuove strutture sanitarie il numero delle  strutture
accreditate non influirebbe sulla copertura astratta di questo: «[i]l
fabbisogno, infatti, e' quello delle prestazioni rese nella Regione e
non dalla Regione». 
    3.2.-   Nella   propria   memoria,   la   resistente    ribadisce
l'inammissibilita' delle  censure  articolate  col  primo  motivo  di
ricorso e precisa che il ricorrente, pur prospettando una  violazione
del principio di eguaglianza, non avrebbe indicato  «alcun  tertium»,
mentre avrebbe qualificato «apoditticamente il d.lgs. n. 117 del 2017
"norma interposta"»: tuttavia la «censura di violazione del principio
di eguaglianza e la censura di inosservanza di una  fonte  interposta
hanno struttura logica e schemi di articolazione del  tutto  diversi,
la cui  indebita  sovrapposizione  determina  l'inammissibilita'  del
gravame». 
    Nel merito, a  sostegno  delle  precedenti  difese,  richiama  la
sentenza di questa Corte n. 27 del 2020, resa su una censura analoga,
la  quale  varrebbe  a  valorizzare  la  ratio,  sottesa  anche  alla
disposizione regionale  impugnata,  di  promozione  di  attivita'  di
interesse generale nel rispetto  del  principio  di  territorialita',
«che e' corollario del principio di sussidiarieta'». In ogni caso, la
diversita' di trattamento stabilita dalla  disposizione  per  le  due
tipologie di enti sarebbe basata sulla oggettiva  diversita'  che  li
connoterebbe rispetto ad altri ETS, il che varrebbe a escludere anche
la violazione dell'art. 118, quarto comma, Cost. 
    Affrontando le censure  rivolte  al  requisito  di  accesso  agli
interventi di contrasto alla poverta', la memoria ribadisce  come  la
norma impugnata non realizzi «una sorta  di  "distrazione"  di  fondi
dalla loro originaria finalita'». Dando quindi conto  della  sentenza
di questa Corte n. 44 del 2020 precisa che nella specie, da un  lato,
sarebbe sussistente un nesso logico e ragionevole tra il requisito di
accesso alla prestazione e  il  beneficio  reso;  dall'altro  sarebbe
inesistente il pericolo di radicale  esclusione  dall'accesso  a  una
prestazione pubblica. 
    Quanto al primo profilo, l'intervento del legislatore  regionale,
complementare rispetto alle misure statali, fornirebbe  assistenza  a
nuclei familiari connotati da stabilita' di residenza  e  legame  col
territorio amministrato, fronteggiando situazioni di disagio connesse
proprio alla permanenza in aree del territorio regionale  colpite  da
difficolta' di sviluppo socio-economico (al riguardo sono  richiamati
alcuni contenuti della Nota di aggiornamento al Documento di economia
e finanza regionale per il 2020). 
    Quanto  al  secondo  profilo,  la  disposizione   impugnata   non
escluderebbe alcun  soggetto  dai  benefici  minimi  di  sostegno  al
reddito; infatti,  l'intervento  di  base  sarebbe  assicurato  dalla
disciplina  statale  sul  reddito  di  cittadinanza,  mentre   quella
regionale lo integrerebbe con misure  complementari  a  favore  delle
famiglie, al fine di intervenire contro la dispersione sociale  delle
giovani generazioni: sostegno alle famiglie e «legame col territorio»
andrebbero quindi «di pari passo». 
    Nel confutare le censure dell'ultimo motivo, la  memoria  afferma
che l'art. 8-bis del  d.lgs.  n.  502  del  1992  comprenderebbe  «le
strutture  accreditate  e  quelle  autorizzate  nella  programmazione
relativa alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza» e che la
norma impugnata si porrebbe in questa stessa prospettiva. 
    Viceversa,   il   ricorrente   si   muoverebbe   nell'ottica   di
un'incontrollata liberalizzazione delle attivita'  sanitarie,  invece
chiaramente disattesa dalla  giurisprudenza  amministrativa,  da  cui
risulta incontestata l'esigenza di programmazione. Di  tale  esigenza
il  legislatore  regionale  avrebbe  ragionevolmente  tenuto   conto,
limitando  la  sospensione  al  tempo   strettamente   necessario   e
sufficiente a concludere le procedure di accreditamento. 
    4.- Da ultimo, la difesa della resistente ha depositato una  nota
della  competente  direzione  regionale,  che  attesta   la   mancata
applicazione della norma impugnata con il primo  motivo  e  da'  atto
dell'assenza di prenotazioni,  impegni  e  liquidazioni  di  somme  a
titolo  di  contributi  sul  pertinente  capitolo  di  bilancio.  Nel
prendere atto di questa produzione, l'avvocato dello Stato in udienza
ha concluso esprimendosi a favore di una dichiarazione di  cessazione
della materia del contendere. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso distinte questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, commi 36, 51, lettera b), e 67 della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2019, n. 13 (Assestamento del
bilancio per gli anni 2019-2021 ai sensi dell'articolo 6 della  legge
regionale 10 novembre 2015, n. 26), in  riferimento  complessivamente
agli artt. 3, 32, 41, 117, terzo comma, e 118,  quarto  comma,  della
Costituzione,  nonche'  all'art.   5,   numero   16),   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia). 
    2.- La prima disposizione impugnata,  recata  dal  comma  36  del
citato art. 9, ha sostituito il comma  29  dell'art.  9  della  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2018, n.  29
(Legge  di  stabilita'  2019),  prevedendo  che  «[l]'Amministrazione
regionale,  al  fine  di  sostenere  il  sistema   di   mobilita'   e
accessibilita' a favore delle persone con disabilita', e' autorizzata
a concedere alle associazioni di volontariato e di promozione sociale
con sede in regione, iscritte nei  rispettivi  registri  regionali  e
aventi quali esplicite finalita' statutarie la  tutela  e  promozione
sociale delle persone con disabilita',  contributi  straordinari  per
sostenere gli oneri connessi all'acquisto di autoveicoli di categoria
M1 e M2 allestiti per il trasporto di persone con disabilita'». 
    In violazione dell'art. 3 Cost., secondo il ricorso  statale,  la
norma citata discriminerebbe le associazioni  che,  pur  in  possesso
delle altre condizioni, risultino iscritte  in  registri  diversi  da
quelli  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  secondo  la
disciplina tuttora  applicabile  fino  alla  piena  operativita'  del
Registro unico nazionale del Terzo settore, previsto dagli artt. 45 e
seguenti del decreto legislativo  3  luglio  2017,  n.  117,  recante
«Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2,  lettera
b), della legge 6 giugno 2016, n. 106». La stessa  censura,  dato  il
carattere di «disciplina  "a  regime"»  della  previsione  impugnata,
rimarrebbe valida anche una  volta  divenuto  operativo  il  Registro
unico nazionale. 
    Il contrasto con l'art. 3 Cost. e' altresi' motivato  perche'  la
disposizione medesima limiterebbe l'accesso  ai  previsti  contributi
alle sole due tipologie di enti  ivi  indicate  laddove,  invece,  il
codice del Terzo settore avrebbe inteso equiparare dal punto di vista
funzionale tutti gli enti che ne fanno parte. Poiche' i  compiti  che
tali enti possono svolgere  devono  consistere  nelle  «attivita'  di
interesse generale» enumerate dall'art. 5 del  codice,  l'accesso  ai
contributi non potrebbe essere limitato  solo  ad  alcuni  di  questi
enti,  escludendone  altri  pur  operanti  nello  stesso   campo   di
attivita'. 
    Infine, e' addotta la violazione del principio di  sussidiarieta'
di cui all'art. 118, quarto comma, Cost. perche' la norma  censurata,
favorendo  con  i  contributi  solo   talune   tipologie   di   enti,
interferirebbe  in  modo  indebito  con  la  libera  dinamica   delle
formazioni sociali, orientando «"dall'alto" la  liberta'  associativa
del terzo settore, spingendola a preferire questi tipi di enti». 
    2.1.- E' necessario innanzitutto verificare l'effetto  dello  ius
superveniens nel giudizio in  corso,  poiche',  come  segnalato  gia'
nell'atto di costituzione, la disposizione  regionale  sostituita  da
quella impugnata e' stata abrogata dall'art. 8, comma 7, della  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4 novembre 2019,  n.  16
(Misure finanziarie intersettoriali),  a  decorrere  dal  7  novembre
2019. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte  la  modifica
normativa, intervenuta nel corso  del  giudizio,  della  disposizione
oggetto della questione di legittimita'  costituzionale  promossa  in
via principale, determina la cessazione della materia del  contendere
quando  ricorrono,  al  contempo,  due   condizioni:   il   carattere
satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e il fatto che  la
disposizione censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex
plurimis, da ultimo, sentenze n. 200, n. 70 e n. 25 del 2020; n.  287
e n. 56 del 2019). 
    La  prima  condizione  deve  ritenersi  realizzata,   in   quanto
contestualmente alla richiamata abrogazione, i commi da  1  a  6  del
citato art. 8  hanno  modificato  la  disciplina  dei  contributi  in
questione  in  termini  oggettivamente  satisfattivi  delle   pretese
avanzate con  il  ricorso,  come  del  resto  anche  l'Avvocatura  ha
riconosciuto nella propria memoria. 
    La resistente ha poi  attestato  la  mancata  applicazione  della
norma impugnata,  depositando  la  nota  della  competente  direzione
regionale,  datata  30  novembre  2020;  a   seguito   della   stessa
l'Avvocatura  generale  ha  concluso  in  pubblica  udienza  per   la
cessazione della materia del  contendere.  D'altro  canto,  gia'  dai
lavori preparatori dell'art. 8 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 16 del 2019 - in particolare, dalla relazione  tecnico-finanziaria
dell'emendamento poi approvato - risulta che la copertura della spesa
per i contributi come ridisciplinati e' avvenuta mediante  lo  storno
delle somme stanziate sul capitolo di bilancio  relativo  alla  norma
abrogata, delle quali e'  attestata  la  integrale  disponibilita'  e
l'assenza di programmi di spesa in precedenza adottati. 
    Anche la seconda condizione si e' quindi realizzata; va  pertanto
dichiarata la cessazione della materia del  contendere  in  relazione
alle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  36,
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019. 
    3.- Con il secondo motivo e' impugnato il comma 51,  lettera  b),
dell'art. 9 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  13  del  2019.
Nel suo complesso, la disposizione  prevede  che  «[l]e  risorse  del
fondo per il contrasto alla poverta' trasferite  ai  Servizi  sociali
dei Comuni (SSC) a titolo di acconto ai sensi dell'articolo 9,  comma
9, lettera  a),  della  legge  regionale  29/2018  e  non  utilizzate
nell'anno 2019, sono confermate in capo ai SSC per la concessione  di
interventi di contrasto alla poverta' a favore  di  nuclei  familiari
come definiti dall'articolo 2, comma 5, del decreto legge 28  gennaio
2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   reddito   di
cittadinanza e di pensioni),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 28 marzo 2019, n. 26, aventi almeno un componente  che  sia  in
possesso, congiuntamente, dei seguenti requisiti: 
    a) cittadinanza italiana o di  Paesi  facenti  parte  dell'Unione
europea, ovvero suo familiare come individuato dall'articolo 2, comma
1, lettera b),  del  decreto  legislativo  6  febbraio  2007,  n.  30
(Attuazione  della  direttiva  2004/38/CE  relativa  al  diritto  dei
cittadini  dell'Unione  e  dei  loro  familiari  di  circolare  e  di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri),  che  sia
titolare  del  diritto  di  soggiorno  o  del  diritto  di  soggiorno
permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del  permesso
di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; 
    b) residenza in regione da almeno cinque  anni  continuativi.  In
caso di rimpatrio di corregionali, il periodo di residenza all'estero
non e' computato e non e' considerato  quale  causa  di  interruzione
della continuita' della residenza in regione». 
    La censura del ricorrente  contesta  la  previsione  dell'accesso
alla prestazione basata in modo decisivo sulla durata della residenza
in Regione, ovvero su una circostanza priva di specifica  connessione
con lo stato di bisogno a cui la  prestazione  stessa  mira  a  porre
rimedio.  Da  cio'  conseguirebbe  il   carattere   irragionevole   e
discriminatorio della disposizione perche', in violazione dell'art. 3
Cost., escluderebbe dalla prestazione situazioni di poverta' maggiori
di altre, solo perche' nessun  componente  del  nucleo  familiare  ha
risieduto in Regione per almeno cinque anni. In senso  contrario  non
rileverebbe la finalita' diretta  a  evitare  abusi:  per  un  verso,
«anche  la  mera  residenza  [potrebbe]  attestare   il   radicamento
territoriale e il carattere non abusivo del trasferimento»; per altro
verso, gli abusi non potrebbero essere presunti ex lege ma  accertati
mediante appositi procedimenti di controllo. 
    In  ogni  caso  non  potrebbero  essere  richiesti  requisiti  di
residenza minima  a  fronte  di  prestazioni  assistenziali  volte  a
sopperire  a  necessita'  fondamentali  degli  individui,   come   la
protezione dallo stato di indigenza dell'intero nucleo familiare. 
    La  disciplina  del  «rimpatrio  di  corregionali»  e'  parimenti
censurata per incongruita' tra fini e mezzi,  poiche'  «assunto  come
fine  limitare  le  prestazioni  ai  soli  casi  che  manifestino  un
effettivo radicamento con la regione, e' contraddittorio equiparare a
tali casi quello in cui l'interessato non abbia risieduto in  regione
perche' residente, addirittura, all'estero». 
    La norma, infine,  sarebbe  irragionevole  anche  per  l'assoluta
indeterminatezza  del  presupposto;   trattandosi   di   disposizione
eccezionale, sarebbe stata  necessaria  la  definizione  dei  termini
«corregionali» e «rimpatrio», invece mancante. 
    3.1.-  La  norma  impugnata  dispone  anzitutto  un  criterio  di
ammissione alla prestazione,  basato  sulla  residenza  protratta  in
Regione per almeno  cinque  anni  continuativi;  stabilisce  poi  una
previsione derogatoria per il «caso di rimpatrio di corregionali». 
    Va dunque prioritariamente scrutinata la questione sul  requisito
della residenza protratta, che si pone come logico presupposto  della
seconda parte della impugnativa. 
    Essa e' fondata. 
    La censurata previsione del comma 51 intende consentire ai Comuni
il  reimpiego  delle  specifiche  risorse  loro  trasferite,  ma  non
utilizzate nel 2019, per la prima  attuazione  degli  interventi  del
«fondo di contrasto alla  poverta'»  istituito  per  lo  stesso  anno
dall'art. 9, comma 8, della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  29
del 2018. 
    Quest'ultima disposizione chiarisce che il  fondo  e'  introdotto
«[n]elle   more   della   compiuta   valutazione   del   periodo   di
sperimentazione della Misura attiva di sostegno  al  reddito  di  cui
all'articolo 2 della legge regionale 10 luglio 2015, n. 15 (Misure di
inclusione attiva e di sostegno al reddito), e della revisione  delle
misure  nazionali  in  materia  di  contrasto  alla  poverta'  e   di
inclusione sociale [...] al fine di garantire  la  continuita'  degli
interventi economici a favore dei nuclei familiari in  condizioni  di
disagio economico ed  esclusione  sociale».  Il  successivo  comma  9
indica come destinatari  del  fondo  gli  enti  gestori  dei  servizi
sociali dei Comuni, tra i quali le risorse sono ripartite  assegnando
«una quota pari al 50 per cento delle risorse disponibili,  a  titolo
di acconto per consentire l'avvio delle erogazioni  degli  interventi
economici, sulla base delle Misure attive di sostegno al  reddito  in
corso di concessione alla data del 30 giugno 2018» (cosi' la  lettera
a, richiamata dalla disposizione impugnata);  la  ripartizione  delle
restanti risorse  avviene  in  base  al  fabbisogno  necessario  alla
copertura delle domande in carico per tutto il periodo di concessione
(cosi' la lettera b dello stesso comma 9). 
    Le articolate previsioni contenute nei successivi commi da  10  a
19 individuano, infine, come beneficiari del fondo i nuclei familiari
aventi determinati requisiti economici  e  coordinano  le  misure  di
sostegno del fondo con quelle  analoghe  di  fonte  sia  statale  sia
regionale. 
    3.2.- Proprio quest'ultimo aspetto, relativo al  coordinamento  e
alla integrazione delle  misure  aventi  la  medesima  finalita',  e'
valorizzato, da piu' punti di vista, dalla difesa della resistente  e
in particolare per ritenere  che  il  legislatore  regionale  avrebbe
agito nell'ottica di  garantire  una  sostanziale  continuita'  degli
interventi regionali di sostegno  al  reddito  dei  nuclei  familiari
legati  al  territorio,  coordinandoli  pero'  con  le  significative
riforme  degli  analoghi  strumenti  apprestati   dallo   Stato.   In
quest'ottica, la disposizione impugnata  si  sarebbe  occupata  delle
risorse stanziate per l'attuazione della misura di sostegno regionale
che  non  sono  state  utilizzate  nel  2019,  in  quanto  rivelatesi
eccedenti rispetto al bisogno: per le stesse avrebbe quindi stabilito
una  diversa  destinazione  in  quanto  costituirebbero  un   surplus
rispetto a esigenze di carattere primario. 
    L'argomento tuttavia non e' dirimente, anche perche'  la  censura
del ricorrente, prescindendo  dalla  provenienza  delle  risorse,  si
concentra  piuttosto  sullo  specifico  requisito   della   residenza
quinquennale, necessario per beneficiare delle  prestazioni  concesse
dai Comuni con le risorse in capo ad essi «confermate» dalla norma. 
    Occorre poi soprattutto considerare che la disposizione censurata
non disciplina la  struttura  e  il  contenuto  degli  interventi  di
contrasto concessi dai servizi sociali comunali, ma si limita:  a)  a
"confermare" in capo ai servizi sociali dei Comuni  le  risorse  gia'
trasferite e non utilizzate per il 2019; b) ad affermare  che  queste
devono essere utilizzate per la concessione di generici interventi di
contrasto alla poverta';  c)  a  dettare  criteri  di  selezione  dei
destinatari. 
    Cio' a differenza di quanto e' dato riscontrare nella  disciplina
che ha istituito il fondo per l'anno 2019,  che  invece,  come  anche
quella relativa alla misura attiva di sostegno al  reddito  che  l'ha
preceduto, prevedeva espressamente due componenti, una  di  carattere
economico e una di inclusione sociale; quest'ultima, in  particolare,
strutturata  mediante  la  sottoscrizione  di  un  patto  cui   erano
obbligatoriamente  tenuti  (a  pena  di   decadenza   dal   beneficio
economico) i componenti maggiorenni del nucleo familiare. 
    Va inoltre rimarcato che la previsione impugnata nemmeno contiene
alcuna disposizione di coordinamento con la disciplina sul Reddito di
cittadinanza, mentre entrambe le precedenti discipline  regionali  si
raccordavano con le vigenti misure statali di  sostegno  al  reddito,
prevedendo un'integrazione di queste oppure,  come  disposto  per  il
piu' recente fondo del 2019, l'attivazione dell'intervento  regionale
per aiutare i soggetti rimasti esclusi dalle misure statali. 
    In conclusione, dal  tenore  della  norma  impugnata  emerge  una
soluzione  di  continuita'  rispetto  al  peculiare   modello   degli
interventi che l'hanno preceduta e  appare  chiara  la  finalita'  di
destinare le  risorse  individuate  (che  hanno  ormai  assunto,  nel
descritto sviluppo normativo, un carattere  autonomo  e  non  possono
piu' essere considerate un mero surplus dell'intervento del  2019)  a
soddisfare  un  bisogno  basilare   e   immediato   dei   beneficiari
selezionati,  genericamente  correlato  alla   loro   situazione   di
poverta', senza la previsione di un progetto di inclusione. 
    3.3.- L'analisi  dianzi  svolta  sulla  natura  degli  interventi
approntati dal censurato  comma  51  dell'art.  9  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019 esclude, quindi, la possibilita'
di distinguerli dalle prestazioni legate  ai  bisogni  primari  della
persona; ne' si rivela dirimente la formale individuazione del nucleo
familiare  come  beneficiario,  risultando  invece  determinante   la
condizione di indigenza delle persone che lo compongono. 
    Nemmeno risolutiva e'  la  circostanza  che  il  requisito  della
residenza protratta sia richiesto solo per un componente  del  nucleo
familiare,  dal  momento  che  il  requisito  mantiene  comunque   un
carattere  escludente:  questa  Corte  ha  invece  chiarito  che   la
residenza prolungata potrebbe semmai rilevare come criterio premiale,
da valutare «in sede di formazione della graduatoria»,  ma  non  puo'
costituire, come nella norma impugnata, un requisito che preclude  di
per se' l'accesso alle provvidenze (sentenza n. 44  del  2020;  nello
stesso senso, da ultimo, sentenza n. 281 del 2020). 
    Infatti, mentre il requisito della residenza tout court  serve  a
identificare  l'ente  pubblico  competente  a   erogare   una   certa
prestazione,  quello  della   residenza   protratta   determina   una
irragionevole discriminazione tra i medesimi residenti sul territorio
regionale quando esclude l'accesso a provvidenze connesse ai  bisogni
primari a soggetti imputabili solo «di  aver  esercitato  il  proprio
diritto di circolazione» o di  aver  dovuto,  per  le  piu'  svariate
ragioni, «mutare regione di residenza» (sentenza n. 107 del 2018). 
    Tanto precisato,  ne  deriva  che  risulta  irragionevole  negare
l'erogazione della prestazione a chiunque abbia la  (sola)  residenza
nella Regione, dal momento «che non vi e' alcuna correlazione tra  il
soddisfacimento dei bisogni primari  dell'essere  umano,  insediatosi
nel  territorio  regionale,  e  la  protrazione  nel  tempo  di  tale
insediamento (sentenza n. 40 del 2011; sentenza  n.  187  del  2010)»
(sentenza n. 222 del 2013). 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
9, comma 51, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13
del  2019  con  riferimento  alle  parole  «da  almeno  cinque   anni
continuativi». 
    3.4.- Dalla illegittimita' ora dichiarata consegue  anche  quella
della disposizione, sempre contenuta nella medesima  lettera  b)  del
comma 51, relativa al caso di rimpatrio di corregionali. 
    Come gia' rilevato, tale previsione trova esclusiva  applicazione
come  deroga  al  criterio  selettivo  della  residenza  quinquennale
continuativa in Regione. Ma una  volta  ricondotto,  all'esito  della
presente  pronuncia,  il  requisito  di  ammissione  dalla  residenza
protratta alla mera «residenza in regione», anche la deroga  connessa
al periodo di residenza all'estero risulta priva di significato. 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
9, comma 51, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13
del 2019, anche con riferimento alle parole «In caso di rimpatrio  di
corregionali, il periodo di residenza all'estero non e'  computato  e
non e' considerato quale  causa  di  interruzione  della  continuita'
della residenza in regione». 
    Restano assorbiti gli altri motivi di censura. 
    4.- L'ultimo motivo di ricorso concerne  la  disposizione  recata
dal comma 67 dell'art. 9 della legge regionale  impugnata,  ai  sensi
del quale «[a]i fini della programmazione regionale,  per  consentire
la rivalutazione del fabbisogno complessivo di strutture residenziali
per anziani non autosufficienti, e' sospesa  la  presentazione  delle
domande per l'ottenimento dell'autorizzazione alla  realizzazione  di
nuove strutture sino alla conclusione del processo di accreditamento,
di cui all'articolo 49 della legge regionale 17/2014, delle strutture
gia'  autorizzate  all'esercizio  in  via  definitiva  o  in   deroga
temporanea, per le quali resta ammessa la possibilita' di  presentare
domanda di ampliamento, trasformazione e trasferimento della sede». 
    La  disposizione  citata   contrasterebbe   con   le   previsioni
statutarie  e  costituzionali  che  riconducono   alla   legislazione
concorrente la materia, ovvero, rispettivamente l'art. 5, numero 16),
dello statuto  di  autonomia,  in  relazione  a  «igiene  e  sanita',
assistenza sanitaria ed ospedaliera»,  e  l'art.  117,  terzo  comma,
Cost., in riferimento alla «tutela della salute». 
    In particolare, verrebbero in rilievo gli artt. 8-ter e  8-quater
del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992, n. 421), che stabiliscono una netta distinzione  per
contenuto, presupposti e funzione tra autorizzazione e accreditamento
delle  strutture  sanitarie:  la  prima,  infatti,  «presuppone   una
semplice valutazione del fabbisogno complessivo e della distribuzione
(localizzazione) territoriale»  delle  strutture  stesse,  mentre  il
secondo «comporta l'inserimento funzionale della struttura  sanitaria
autorizzata  nel  servizio  sanitario  regionale»  che,  nei   limiti
stabiliti dagli accordi contrattuali previsti  dall'art.  8-quinquies
del d.lgs. n. 502 del 1992, deve remunerare le prestazioni rese dalle
strutture accreditate. 
    Su tale base non sarebbe consentito collegare  la  proponibilita'
delle  domande  di  autorizzazione  per  la  realizzazione  di  nuove
strutture sanitarie all'esito dei procedimenti di  accreditamento  di
quelle esistenti, senza peraltro prevedere alcun termine. 
    Ad avviso dell'Avvocatura non avrebbe fondamento l'obiezione  che
il fabbisogno potrebbe essere determinato solo  conoscendo  numero  e
localizzazione  delle  strutture  accreditate;  cio'  in  quanto   il
fabbisogno in questione  «e'  quello  delle  prestazioni  rese  nella
Regione e non dalla Regione», poiche' determinato a prescindere dalla
circostanza  «se  tali  prestazioni  saranno  richieste  al  servizio
sanitario regionale o, invece, in regime di diritto privato». 
    Il ricorso lamenta altresi' la  violazione  dell'art.  41  Cost.,
nella parte in cui afferma  che  l'iniziativa  economica  privata  e'
libera e in quella in cui «garantisce la libera concorrenza». 
    In   particolare   viene    richiamato    l'orientamento    della
giurisprudenza amministrativa secondo cui - scrive l'Avvocatura - «il
sistema di norme che regolamentano l'accesso al  mercato  di  privati
che  intendono  erogare  prestazioni  sanitarie  senza   rimborsi   o
sovvenzioni a carico della spesa pubblica non deve  tradursi  in  una
compressione della liberta' di iniziativa economica  privata»;  nello
stesso senso  e'  richiamata  la  posizione  espressa  dall'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato diretta  a  evidenziare  come
«una politica di contenimento dell'offerta sanitaria  possa  tradursi
in una posizione di  privilegio  degli  operatori  del  settore  gia'
presenti nel mercato, che possono  incrementare  la  loro  offerta  a
discapito dei  nuovi  entranti,  assorbendo  la  potenzialita'  della
domanda». 
    Da  ultimo,  il  ricorso  afferma  che  «[s]otto  i  profili  ora
illustrati» l'impugnato comma 67 contrasterebbe anche con  l'art.  32
Cost., nella parte in cui questo garantisce la  «liberta'  di  scelta
dei cittadini riguardo alle strutture sanitarie a cui affidarsi». 
    4.1.-   Va   preliminarmente   disattesa    la    eccezione    di
inammissibilita' motivata dalla mancata considerazione, da parte  del
ricorrente, delle disposizioni di cui agli artt.  1  e  seguenti  del
decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 126 (Norme di attuazione dello
Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, concernenti  il
trasferimento di funzioni  in  materia  di  salute  umana  e  sanita'
veterinaria). In tal modo, secondo la difesa regionale,  non  sarebbe
stato assolto l'onere di motivare la estraneita'  della  disposizione
impugnata anche rispetto alle  competenze  definite  dalle  norme  di
attuazione dello statuto di autonomia. 
    A escludere la fondatezza della eccezione vale  la  constatazione
dell'estraneita' del contenuto del d.lgs. n. 126  del  2005  rispetto
allo specifico oggetto della disposizione impugnata. 
    Il   suddetto   decreto   legislativo,   infatti,   concerne   il
trasferimento alla Regione delle «funzioni in tema di salute umana  e
sanita' veterinaria di cui alla tabella «A» allegata al  decreto  del
Presidente del Consiglio dei Ministri in data 26 maggio  2000»  (art.
1), tabella che elenca funzioni chiaramente estranee all'ambito della
disposizione in esame. 
    4.2.- Va, invece,  rilevata  d'ufficio  l'inammissibilita'  della
questione riferita alla violazione dell'art. 32 Cost. nella parte  in
cui, afferma il ricorrente, questo garantisce la piu' ampia  liberta'
di scelta dei cittadini con riguardo alle strutture sanitarie  a  cui
affidarsi. 
    Per un verso, la censura e'  priva  di  un'autonoma  e  specifica
motivazione; per altro verso, essa  non  precisa  sufficientemente  i
termini del contrasto lamentato. Infatti, l'art. 8-bis, comma 2,  del
d.lgs. n. 502 del 1992  dispone  che  «[i]  cittadini  esercitano  la
libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell'ambito  dei
soggetti accreditati con cui siano stati  definiti  appositi  accordi
contrattuali»; pertanto, il ricorrente non chiarisce in che  modo  la
norma impugnata, la quale incide sulla fase dell'autorizzazione e non
su quella dell'accreditamento, possa limitare la suddetta liberta' di
scelta. 
    4.3.- Occorre, inoltre, precisare che ai fini dello scrutinio nel
merito rileva il parametro di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., e
non  quello  statutario  parimenti  evocato,  poiche'   la   relativa
competenza in tema  di  «tutela  della  salute»  e'  piu'  favorevole
rispetto a quanto previsto dallo statuto di autonomia  della  Regione
resistente in materia di «igiene e sanita', assistenza  sanitaria  ed
ospedaliera» (sentenza n. 98 del 2007). 
    4.4.- La questione promossa con riferimento agli artt. 41,  primo
comma, e 117, terzo comma, Cost. e' fondata. 
    Occorre premettere che la realizzazione di  strutture  sanitarie,
al pari dell'esercizio di attivita' sanitarie  e  sociosanitarie,  e'
disciplinata dall'art. 8-ter  del  d.lgs.  n.  502  del  1992  ed  e'
subordinata ad autorizzazione. Tali autorizzazioni, prosegue il comma
1 della richiamata disposizione, «si applicano  alla  costruzione  di
nuove strutture, all'adattamento di strutture gia' esistenti  e  alla
loro diversa utilizzazione,  all'ampliamento  o  alla  trasformazione
nonche'  al  trasferimento  in   altra   sede   di   strutture   gia'
autorizzate».  Cio'  con  riferimento  a  determinate  tipologie   di
strutture, tra cui quelle «sanitarie  e  sociosanitarie  che  erogano
prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo  o  diurno»;
categoria  in  cui   rientrano   le   strutture   per   anziani   non
autosufficienti oggetto della disposizione impugnata. 
    Il comma  3  del  citato  art.  8-ter  prevede  poi  che  per  la
realizzazione di  strutture  sanitarie  e  sociosanitarie  il  Comune
acquisisce,  nell'esercizio  delle  proprie  competenze  in   materia
edilizia, «la verifica di compatibilita' del progetto da parte  della
regione. Tale  verifica  e'  effettuata  in  rapporto  al  fabbisogno
complessivo  e  alla  localizzazione  territoriale  delle   strutture
presenti in ambito regionale,  anche  al  fine  di  meglio  garantire
l'accessibilita' ai servizi e valorizzare  le  aree  di  insediamento
prioritario di nuove strutture». 
    In   questi   termini   gli   unici   profili    rilevanti    per
l'autorizzazione sono quelli inerenti il  fabbisogno  complessivo  di
prestazioni  sanitarie  nel  territorio  e  in   particolare   quelli
concernenti la localizzazione delle strutture gia' presenti, cio'  al
fine di garantire la corretta distribuzione sul territorio  «in  modo
che siano adeguatamente servite tutte le zone, anche quelle  a  bassa
redditivita',  che  in  mancanza  di  tale  strumento  non  sarebbero
coperte» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 7  marzo  2019,
n. 1589). 
    Distinto  dal  fabbisogno  rilevante   ai   fini   del   rilascio
dell'autorizzazione e' quello rilevante ai fini  dell'accreditamento,
che  e'  il  fabbisogno  di  assistenza  programmato  per   garantire
l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza  (LEA).  Mentre  il
primo implica una valutazione complessiva,  che  considera  anche  le
prestazioni extra LEA e le  strutture  private  non  accreditate,  il
secondo riguarda unicamente i LEA e  prevede  il  coinvolgimento,  in
base all'art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992,  solo  «dei
presidi direttamente gestiti dalle aziende unita'  sanitarie  locali,
delle  aziende  ospedaliere,  delle  aziende  universitarie  e  degli
istituti di ricovero e  cura  a  carattere  scientifico,  nonche'  di
soggetti accreditati ai sensi dell'articolo  8-quater,  nel  rispetto
degli accordi contrattuali di cui  all'articolo  8-quinquies»,  senza
quindi considerare le strutture private non accreditate. 
    4.4.1.- Cio' premesso, la norma  impugnata,  ai  dichiarati  fini
della programmazione regionale, per consentire la  rivalutazione  del
fabbisogno complessivo di  strutture  residenziali  per  anziani  non
autosufficienti,  sospende  la  presentazione   delle   domande   per
l'ottenimento  dell'autorizzazione  alla   realizzazione   di   nuove
strutture sino alla conclusione del processo di accreditamento  delle
strutture gia' autorizzate  all'esercizio  in  via  definitiva  o  in
deroga temporanea. 
    In tal modo, tuttavia, essa contraddice il principio fondamentale
desumibile dall'art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992,  per
cui, come si e' visto - e come anche ha notato la memoria statale  -,
l'autorizzazione non e' subordinata alla verifica  di  compatibilita'
con il "fabbisogno programmato" delle  prestazioni  LEA  rese  «dalla
Regione», bensi' a quella con il "fabbisogno complessivo"  e  attuale
«nella Regione», che e' stabilito senza che risulti  determinante  la
circostanza  se  tali  prestazioni  saranno  richieste  al   Servizio
sanitario regionale o, invece, saranno  rese  in  regime  di  diritto
privato. 
    Non  convince  quindi  il  suggestivo  argomento   della   difesa
regionale, secondo cui solamente con la conclusione  delle  procedure
di accreditamento delle strutture gia' autorizzate, sarebbe possibile
avere un quadro completo della  domanda  complessiva  di  prestazioni
sanitarie. Seguendo tale impostazione, infatti, si attribuirebbe alle
procedure medesime l'impropria funzione di soddisfare il  "fabbisogno
complessivo" anziche' la quota oggetto della programmazione sanitaria
dei LEA; nell'impianto fondamentale dei ricordati articoli del d.lgs.
n. 502 del 1992, invece, le vicende del  processo  di  accreditamento
restano tendenzialmente estranee alla determinazione  del  fabbisogno
che rileva per la verifica di compatibilita' delineata  dall'indicato
art. 8-ter, comma 3. 
    Sussiste pertanto la denunciata violazione dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    4.4.2.- Inoltre,  la  norma  impugnata,  attraverso  la  suddetta
sospensione  delle  autorizzazioni  alla   realizzazione   di   nuove
strutture, introduce una indebita barriera all'ingresso  nel  mercato
delle prestazioni sanitarie in questione, in contrasto, altresi', con
la liberta' formale di accesso al mercato garantita dal  primo  comma
dell'art. 41 Cost. 
    Come rilevato dalla giurisprudenza  amministrativa,  infatti,  ai
fini dell'autorizzazione di cui all'art. 8-ter, comma 3,  del  d.lgs.
n. 502 del 1992 occorre una «valutazione del fabbisogno  accurata  ed
attualizzata,  che  sia  preceduta  e  sorretta   [da]   una   idonea
istruttoria sull'esistenza di una determinata domanda  sanitaria  sul
territorio e di una correlativa  offerta  da  parte  delle  strutture
private, senza che cio' si traduca di fatto in un illegittimo blocco,
a tempo indeterminato, all'accesso del nuovo operatore  sul  mercato,
con una indebita limitazione della sua liberta'  economica,  che  non
solo non risponde ai criteri ispiratori  dell'art.  8-ter,  comma  3,
d.lgs. n. 502 del 1992, ma  e'  contraria  ai  principi  del  diritto
eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in  riferimento  alla
pur ampia discrezionalita'  del  legislatore  in  materia  sanitaria»
(Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 marzo 2020, n. 1637). 
    4.4.3.- L'indebita  limitazione  della  liberta'  di  accesso  al
mercato - che  si  traduce  in  una  posizione  di  privilegio  degli
operatori in questo gia' presenti - peraltro,  risulta  ulteriormente
confermata dalla specifica previsione  che,  nella  norma  censurata,
ammette una deroga al regime di sospensione delle  autorizzazioni  in
favore della «possibilita'  di  presentare  domanda  di  ampliamento,
trasformazione e trasferimento della sede», accordata pero' alle sole
strutture  gia'  autorizzate  (in  via   definitiva   o   in   deroga
temporanea). 
    In tal modo, infatti, tale previsione riserva l'offerta  ai  soli
soggetti gia' presenti sul mercato, peraltro in contraddizione con le
stesse  esigenze  («consentire  la   rivalutazione   del   fabbisogno
complessivo   di   strutture    residenziali    per    anziani    non
autosufficienti»)   addotte   dalla   medesima    disposizione    per
giustificare la sospensione delle nuove autorizzazioni. 
    4.5.-   Dalle   considerazioni   fin    qui    svolte    discende
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  67,  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2019.