ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  8  e  9
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente  assistita)  e  250  del  codice  civile,  promosso  dal
Tribunale ordinario di Padova, nel procedimento vertente tra V. B.  e
C. R., con ordinanza del 9 dicembre  2019,  iscritta  al  n.  79  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di V. B. e C. R.,  nonche'  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  27  gennaio  2021  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Vittorio Angiolini, in collegamento da remoto,
ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte  del  30
ottobre  2020,  Sara  Valaguzza  e  Alexander  Schuster  per  V.  B.,
l'avvocato Massimo Rossetto  per  C.  R.  e  l'avvocato  dello  Stato
Chiarina Aiello per il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019, il Tribunale ordinario  di
Padova ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia  di
procreazione medicalmente assistita) e  250  del  codice  civile,  in
riferimento  agli  artt.  2,  3,  30  e  117,  primo  comma,   Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4,  5,  7,  8  e  9  della
Convenzione sui diritti del fanciullo,  firmata  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    1.1.- Il Collegio premette di  essere  stato  adito  dalla  madre
intenzionale di due gemelle, nate a seguito del ricorso a tecniche di
procreazione medicalmente assistita (PMA)  -  cui  si  e'  sottoposta
l'allora partner della stessa -  per  ottenere,  in  via  principale,
l'autorizzazione a dichiarare all'ufficiale  dello  stato  civile  di
essere genitore, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 40 del  2004,  o
di essere dichiarata tale dalla sentenza dello stesso  Tribunale  per
aver prestato il  consenso  alla  fecondazione  eterologa,  ai  sensi
dell'art. 6 della medesima legge. 
    Il rimettente precisa che la ricorrente ha anche chiesto, in  via
subordinata,   di   essere   autorizzata   a   riconoscere    davanti
all'ufficiale di stato civile le minori quali proprie  figlie  ovvero
di accertare tale riconoscimento,  pronunciando  ai  sensi  dell'art.
250, quarto comma, cod.  civ.,  una  sentenza  che  tenga  luogo  del
consenso da lei stessa  prestato  e  rifiutato  dalla  madre  che  ne
dichiaro' la nascita e le riconobbe. 
    In via ulteriormente subordinata, e' stato chiesto  al  Tribunale
di  Padova  di  ordinare  all'ufficiale   dello   stato   civile   la
rettificazione degli atti di nascita delle minori,  si'  che  risulti
che le stesse sono nate a seguito di  fecondazione  eterologa,  sulla
base del consenso prestato dalla madre biologica e dalla  ricorrente,
madre intenzionale. 
    Il Collegio premette che la ricorrente chiede anche di attribuire
alle minori, in forza dell'art. 250, quarto  comma,  ultimo  periodo,
cod. civ. e dell'art. 262 cod. civ., il proprio cognome e  che  siano
pronunciati  gli  opportuni  provvedimenti  in  relazione   al   loro
affidamento e mantenimento, ai sensi dell'art. 315-bis cod. civ. 
    Dalla discussione della causa in udienza pubblica, dai  documenti
prodotti e dalle allegazioni non contestate,  il  Tribunale  dichiara
che e' inequivocabile la condivisione del progetto di PMA.  Le  parti
hanno convissuto, pur senza residenza anagrafica comune,  anche  dopo
la nascita delle bambine per quasi cinque anni, con coinvolgimento di
entrambe nella cura, nell'educazione e nella crescita  delle  stesse.
La peculiarita' della fattispecie in esame - prosegue il rimettente -
e' costituita dalla circostanza che le minori sono nate in Italia, ma
non vi e' stata alcuna dichiarazione congiunta davanti  all'ufficiale
di stato civile in occasione della nascita. La relazione fra  le  due
donne e' cessata e l'adozione in casi particolari,  di  cui  all'art.
44,  comma  1,  lettera  d),  della  legge  4  maggio  1983,  n.  184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori) e' risultata
impraticabile, in quanto l'art. 46  della  medesima  legge  prescrive
l'assenso del genitore legale dell'adottando, che, nella  specie,  e'
stato negato. 
    Il Collegio osserva che, nonostante la partecipazione al progetto
condiviso di maternita', la  convivenza  durata  cinque  anni  e  una
relazione genitoriale di fatto intrattenuta con le  bambine  fino  al
2017,  queste  ultime  sono  legalmente  figlie  della   sola   madre
biologica, che non consente ne' il riconoscimento, ne'  l'adozione  e
vieta  ogni  rapporto  con  la  ricorrente  madre  intenzionale.   Il
Tribunale di Padova segnala, inoltre, che anche il  Tribunale  per  i
minorenni e' intervenuto, ai sensi dell'art. 333  cod.  civ.,  finora
senza esito nel ripristinare i rapporti con la ricorrente. 
    1.2.- Il Collegio rimettente ritiene pertanto che gli artt. 8 e 9
della legge n. 40 del 2004 - che dispongono che i nati a  seguito  di
PMA anche di tipo eterologo hanno lo  stato  di  figli  «riconosciuti
dalla coppia che ha espresso la volonta' di ricorrere alle  tecniche»
di PMA, stato che non  puo'  essere  oggetto  di  disconoscimento  di
paternita', ne' di impugnazione del  riconoscimento  per  difetto  di
veridicita' - non possano essere interpretati se  non  nel  senso  di
escludere il riconoscimento dello stato di  figli  dei  nati  da  PMA
praticata da coppie dello stesso sesso,  in  violazione  dell'art.  5
della citata legge n. 40 del 2004. 
    Analogamente, anche l'art.  250,  quarto  comma,  cod.  civ.  non
consentirebbe di autorizzare il riconoscimento dello stato  di  figli
dei nati da PMA eterologa,  praticata  da  una  coppia  dello  stesso
sesso, da parte della madre intenzionale, superando il dissenso della
madre biologica. Il Tribunale di  Padova,  pertanto,  ritiene  che  -
sulla base delle norme censurate - non sia  possibile  accogliere  le
domande della ricorrente. Proprio per questo riscontra  un  vuoto  di
tutela nel garantire l'interesse delle minori. 
    Le    disposizioni    richiamate,    infatti,    sistematicamente
interpretate, non consentirebbero al nato nell'ambito di un  progetto
di procreazione medicalmente assistita eterologa,  praticata  da  una
coppia dello stesso sesso,  l'attribuzione  dello  status  di  figlio
riconosciuto anche da parte della madre intenzionale, che ha prestato
il consenso alla pratica fecondativa, se non sia possibile  procedere
all'adozione   nei   casi   particolari,   qualora   sia    accertato
giudizialmente l'interesse del minore. 
    Il rimettente segnala, inoltre, che nella  specie  non  sarebbero
neppure utilizzabili gli strumenti individuati  dalla  giurisprudenza
di legittimita' in casi simili per tutelare l'interesse  dei  minori,
consistenti  nella  trascrizione   dell'atto   di   nascita   formato
all'estero, ove la nascita sia avvenuta in  un  altro  Paese  la  cui
legislazione ammette l'omogenitorialita',  e  nell'adozione  in  casi
particolari, per il fatto  che  l'assenso  della  madre  biologica  e
legale, indispensabile ai sensi dell'art. 46 della legge n.  183  del
1984, e' stato negato. 
    Il denunciato vuoto di  tutela  si  risolverebbe,  quindi,  nella
lesione di diritti costituzionalmente e  convenzionalmente  garantiti
dagli artt. 2, 3, 30 e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, come interpretati  dalla  Corte  di
Strasburgo, e agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della  Convenzione  sui
diritti del fanciullo. 
    In particolare, gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e  250
cod. civ. lascerebbero privo di tutela  il  diritto  inviolabile  del
minore all'identita' garantito dall'art. 2  Cost.,  da  cui  discende
l'azionabilita' dei suoi diritti nei confronti di chi si  e'  assunto
la responsabilita' di procreare nell'ambito di una formazione sociale
che, benche' non riconducibile alla  famiglia  tradizionale,  sarebbe
comunque meritevole di tutela. In tal modo sarebbe violato il diritto
di  ciascun  bambino  ad  avere  due  persone  che  si  assumono   la
responsabilita'  di  provvedere  al  suo   mantenimento,   alla   sua
educazione e istruzione, nei  cui  confronti  poter  vantare  diritti
successori, ma soprattutto agire in caso di inadempimento e di  crisi
della coppia. Il contrasto evidenziato e' con gli artt. 2,  3,  30  e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8  CEDU.  Il  Collegio
rimettente ricorda che tale disposizione e'  al  centro  di  numerose
pronunce della Corte EDU (sono richiamate le sentenze 26 giugno 2014,
Mennesson contro Francia, e Labassee  contro  Francia).  Dell'art.  8
CEDU si occupa anche il parere reso il 10 aprile 2019  ai  sensi  del
Protocollo  n.  16  alla  CEDU,  per  affermare  che   l'assenza   di
riconoscimento di un legame tra il bambino e  la  madre  intenzionale
pregiudica il bambino, lasciandolo in una  situazione  di  incertezza
giuridica quanto alla sua identita' nella  societa',  e  puo'  ledere
gravemente il suo diritto alla vita privata. 
    Le norme censurate, inoltre, la' dove  non  comprendono  anche  i
nati da  PMA  eterologa  praticata  da  coppie  dello  stesso  sesso,
determinerebbero una ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei
confronti di questi ultimi, rispetto ai  nati  da  PMA  praticata  da
coppia eterosessuale e anche rispetto ai nati  da  PMA  praticata  da
coppie dello stesso sesso, nella situazione in cui la madre biologica
presta il suo assenso all'adozione in casi particolari. 
    I nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, per i quali
non si possa ricorrere all'adozione in  casi  particolari,  sarebbero
destinati a un perenne stato di  figli  con  un  solo  genitore,  non
riconoscibili dall'altra  persona  che  ha  contribuito  al  progetto
procreativo. Essi si troverebbero in una situazione giuridica diversa
e deteriore rispetto a quella di tutti gli  altri  nati  (compresi  i
nati da rapporto incestuoso), senza  che  si  possa  rinvenire  altra
giustificazione se non  l'orientamento  sessuale  delle  persone  che
hanno partecipato al progetto procreativo, in violazione dell'art.  3
e dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 14 CEDU. La nuova  categoria  di  nati  "non  riconoscibili"
contrasterebbe anche  con  il  principio  di  unicita'  dello  status
giuridico  dei  figli,  che  ha  connotato   tutti   gli   interventi
legislativi piu' recenti  in  materia  di  filiazione  (la  legge  10
dicembre  2012,  n.  219,  recante  «Disposizioni   in   materia   di
riconoscimento dei figli  naturali»,  e  il  decreto  legislativo  28
dicembre 2013, n. 154 recante «Revisione delle  disposizioni  vigenti
in materia di filiazione, a norma  dell'articolo  2  della  legge  10
dicembre 2012, n. 219»). 
    Sarebbe, infine, violato l'impegno assunto dallo Stato  italiano,
in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del  fanciullo  (in
specie agli artt. 2, 3, 4,  5,  7,  8  e  9)  ad  adottare  «tutti  i
provvedimenti appropriati affinche' il fanciullo  sia  effettivamente
tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione  motivate
dalla condizione sociale, dalle attivita', dalle opinioni  professate
o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei
suoi  familiari»  (art.  2),  nonche'  a  tenere  in   considerazione
«l'interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai
bambini (art. 3). 
    Pertanto, il Tribunale conclude  dichiarando  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  nei
confronti delle norme di cui agli artt. 8 e 9 della legge n.  40  del
2004 e 250 cod. civ. la'  dove,  sistematicamente  interpretate,  non
consentono  al  nato  nell'ambito  di  un  progetto  di  procreazione
medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia  di  donne,
l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della  donna
che, insieme alla madre biologica, abbia prestato  il  consenso  alla
pratica fecondativa, ove non vi siano  le  condizioni  per  procedere
all'adozione nei casi  particolari  e  sia  accertato  giudizialmente
l'interesse del minore. 
    Quanto alla rilevanza delle  questioni,  il  Collegio  rimettente
osserva che l'applicazione delle  norme  censurate  e'  evidentemente
ineliminabile nell'iter logico-giuridico che si deve  percorrere  per
la decisione. Solo l'accoglimento delle  questioni  consentirebbe  di
accogliere le domande della ricorrente,  laddove,  in  caso  opposto,
l'attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto. 
    2.- Si e' costituita  in  giudizio  la  ricorrente  nel  giudizio
principale, chiedendo che le questioni sollevate con l'ordinanza  del
Tribunale di Padova siano accolte. 
    In via preliminare, la difesa della ricorrente sottolinea che  il
carattere additivo della  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata non ne  pregiudica  l'ammissibilita',  poiche'  l'addizione
richiesta sarebbe a "rime obbligate". 
    Il vuoto di tutela potrebbe essere colmato solo nel modo indicato
dal rimettente, estendendo anche ai nati nell'ambito di  un  progetto
di  PMA,  praticata  da  una  coppia  di  donne,  quel  che  gia'  le
disposizioni censurate garantiscono agli altri nati  da  fecondazione
assistita,  ossia  l'attribuzione  dello  status  di  figlio   e   il
riconoscimento  della  responsabilita'  genitoriale  di   ambedue   i
genitori, che siano tali per aver preso parte e  aver  consentito  in
condivisione  al  progetto  di  procreazione,  quando  sia  accertato
l'interesse del minore. 
    Cio' anche in considerazione dei limiti specifici derivanti dalla
disciplina dell'adozione in casi particolari, per cui  e'  necessario
l'assenso dei genitori biologici dell'adottando, perche'  l'adottante
- che abbia instaurato un rapporto di coniugio o di convivenza con il
genitore biologico - e' soggetto terzo che  tipicamente  subentra  in
una fase successiva al concepimento  e  alla  nascita.  Nel  caso  di
conflittualita',  l'impossibilita'  di  superare  il   dissenso   del
genitore biologico, ai sensi dell'art. 46 della legge  sull'adozione,
rivelerebbe la necessita' di  applicare  direttamente  la  disciplina
generale  di  costituzione  del  rapporto  di  filiazione  fuori  dal
matrimonio, unico strumento di tutela dell'interesse del minore. 
    Nel merito, la difesa della ricorrente  nel  giudizio  principale
sottolinea come non sia in discussione la legittimita' del divieto di
accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte
delle coppie formate da persone dello stesso sesso, su cui  la  Corte
si e' di recente pronunciata con la sentenza  n.  221  del  2019,  ma
esclusivamente l'irragionevole discriminazione operata nei  confronti
dei nati e concepiti da PMA per effetto di  un  progetto  genitoriale
avviato e condotto a termine da due persone dello  stesso  sesso.  Le
norme censurate, infatti, la' dove impediscono il riconoscimento  del
legame fra nato e partner  della  coppia  omosessuale  femminile  non
legata dal punto di vista biologico e genetico, non  farebbero  altro
che impedire l'adempimento dei doveri di cura da parte di entrambi  i
genitori, prescritto dall'art. 30 Cost.,  sottraendo  al  minore  una
figura che pure intende continuare  ad  assumersi  i  compiti  insiti
nell'esercizio della responsabilita' genitoriale. La declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  delle  norme  censurate  mirerebbe  a
impedire che le  vicende  personali  che  intercorrono  nella  coppia
(eterosessuale o omosessuale) possano  compromettere  la  definizione
dello status di figlio  e  renderlo  oggetto  di  contrattazione.  La
discrezionalita' del legislatore e il favor da quest'ultimo  espresso
per la famiglia tradizionale incontrerebbe, comunque, il limite degli
interessi dei minori e del  divieto  di  scelte  discriminatorie  per
motivi  di  genere  e  orientamento  sessuale.  Tale  limite  sarebbe
superato, considerato, tra l'altro, che taluni orientamenti nazionali
e internazionali delle scienze psicologiche  e  cliniche  evidenziano
l'assenza di pregiudizi per il benessere dei figli minori  quando  si
instaura un legame con due figure genitoriali dello stesso sesso. 
    3.- Si e' costituita in giudizio anche la madre biologica,  parte
resistente nel giudizio a quo, e  ha  chiesto  che  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di  Padova  siano
dichiarate inammissibili. 
    La difesa della parte resistente ritiene  che  il  riconoscimento
del minore concepito mediante PMA di tipo eterologo, da parte di  una
donna legata affettivamente, in quel momento,  a  quella  che  lo  ha
partorito, ma non avente alcun legame biologico  con  lo  stesso,  si
ponga in contrasto con l'art. 5 della legge n. 40  del  2004,  e  con
l'esclusione  del  ricorso  a  tali  tecniche  da  parte  di   coppie
omosessuali, riconosciuto non illegittimo dalla  sentenza  di  questa
Corte n. 221 del 2019, non essendo consentita, al di fuori  dei  casi
previsti dalla legge, la realizzazione  di  forme  di  genitorialita'
svincolate dal rapporto biologico.  Non  sarebbe,  quindi,  possibile
desumere dall'art. 9 della legge n. 40 del 2004 un principio generale
secondo cui, ai fini dell'instaurazione del rapporto  di  filiazione,
puo'  considerarsi  sufficiente  il  mero   dato   volontaristico   o
intenzionale rappresentato dal consenso  prestato  alla  procreazione
medicalmente assistita o comunque dall'adesione a un comune  progetto
genitoriale. 
    L'intera  disciplina  del  rapporto  di  filiazione,  cosi'  come
delineata dal codice civile, sarebbe tuttora saldamente  ancorata  al
rapporto biologico tra il  nato  e  i  genitori,  la  cui  esclusione
richiederebbe, a pena di inevitabili squilibri, radicali modifiche di
sistema, non realizzabili  attraverso  un  intervento  episodico  del
giudice. La stessa Corte costituzionale - prosegue  la  difesa  della
resistente  -  pur  avendo  posto  in  risalto  la  liberta'   e   la
volontarieta' dell'atto che consente di  diventare  genitori,  ne  ha
riconosciuto   il   necessario   bilanciamento,   da   demandare   al
legislatore, con altri valori costituzionalmente protetti. 
    La difesa della parte resistente nel giudizio principale esclude,
inoltre,  che  sia  ravvisabile  un  contrasto,  sul  punto,  con  la
giurisprudenza della Corte EDU, che ha ritenuto  non  sussistente  la
violazione del diritto al rispetto della vita familiare del minore  a
causa del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione, ove  sia
assicurata in  concreto  la  possibilita'  di  condurre  un'esistenza
paragonabile a quella delle altre famiglie. Una simile violazione non
sarebbe  configurabile  nel  caso  di  specie,  in  cui  non  e'   in
discussione il rapporto di filiazione con il genitore  biologico,  ma
solo  quello  con  il   genitore   d'intenzione,   il   cui   mancato
riconoscimento non precluderebbe al minore l'inserimento  nel  nucleo
familiare della coppia  genitoriale,  ne'  l'accesso  al  trattamento
giuridico  ricollegabile  allo  status   filiationis,   pacificamente
riconosciuto nei confronti dell'altro genitore. 
    Nessun  contrasto   si   ravviserebbe   con   il   riconoscimento
dell'efficacia nel nostro ordinamento dell'atto  di  nascita  formato
all'estero, da cui risulti che il nato, concepito con  il  ricorso  a
tecniche di PMA,  e'  figlio  di  due  persone  dello  stesso  sesso,
ancorche' una di esse non  abbia  alcun  rapporto  biologico  con  il
minore. Il riconoscimento dell'atto di nascita straniero non  farebbe
venir meno l'estraneita' dello stesso all'ordinamento  italiano,  che
si limiterebbe a consentire la produzione dei relativi effetti, cosi'
come previsti e regolati dall'ordinamento di provenienza, nei  limiti
del rispetto dell'ordine pubblico, inteso quale  insieme  dei  valori
fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che chiede che le questioni vengano dichiarate inammissibili. 
    Anzitutto, la difesa statale ritiene che il rimettente si  limiti
a  censurare  l'inerzia  del  legislatore,  in  una  materia  in  cui
quest'ultimo dispone di un ampio ambito di  discrezionalita',  mentre
questa Corte non avrebbe gli strumenti per imporre al legislatore  di
attivarsi. 
    L'addizione  richiesta  dal  rimettente  non  sarebbe,  pertanto,
costituzionalmente necessaria. 
    Inoltre, l'ostacolo all'interpretazione estensiva degli artt. 8 e
9 della legge n. 40 del 2004, che consenta  il  riconoscimento  dello
status di figlio del nato da PMA, praticata da  coppie  dello  stesso
sesso, sarebbe rinvenibile non gia' nelle norme citate  e  censurate,
quanto piuttosto  negli  artt.  4  e  5  della  medesima  legge,  non
censurati. 
    Infine, tutte le argomentazioni svolte a sostegno delle questioni
di legittimita' costituzionale  sollevate  dal  Tribunale  di  Padova
sarebbero prive di rilevanza,  in  quanto  non  sarebbe  stato  fatto
valere  in  giudizio  il  diritto  delle   minori   a   ottenere   il
riconoscimento da parte del secondo  genitore,  quanto  piuttosto  il
diritto della madre intenzionale a essere considerata genitore legale
delle minori, come emergerebbe dalla circostanza che  le  minori  non
risultano essere parti del giudizio. 
    5.- Ai sensi  dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale sono state  depositate  tre
opinioni scritte, a titolo di amici curiae. 
    Con decreto presidenziale del 3 dicembre 2020, sono state ammesse
- perche' conformi ai criteri previsti al  citato  art.  4-ter  delle
Norme integrative - le opinioni scritte  del  "Centro  Studi  Rosario
Livatino" e della "Avvocatura per i diritti LGBTI -  Associazione  di
promozione sociale". 
    Il Centro Studi Rosario Livatino chiede  che  la  Corte  dichiari
manifestamente infondate le  questioni  sollevate  dal  Tribunale  di
Padova.   L'accoglimento   delle    questioni    introdurrebbe    una
genitorialita' omosessuale fondata su uno  status  filiationis  pieno
anche nei confronti del genitore non  biologico,  che  priverebbe  il
minore di ogni diritto verso il genitore biologico di  sesso  diverso
dall'altro,  rispetto  al  quale  la  filiazione  resterebbe   sempre
accertabile, eludendosi,  inoltre,  la  necessita'  dell'assenso  del
genitore biologico esercente la responsabilita'. 
    L'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI  auspica  che  questa  Corte
individui una soluzione in  linea  con  la  giurisprudenza  di  Corti
costituzionali   straniere,   ampiamente   illustrata   nell'opinione
scritta, al fine  di  offrire  adeguata  tutela  al  nato,  reputando
applicabile l'art. 8 della legge n. 40 del  2004,  o  accogliendo  la
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal  Tribunale  di
Padova. Il consenso alla PMA - espresso all'estero da  due  donne  in
forme equivalenti a quelle previste dall'art. 6 della medesima  legge
n. 40 del 2004 - sarebbe idoneo e  sufficiente  all'assunzione  della
responsabilita' genitoriale rispetto al nato in Italia,  dal  momento
che l'art. 8 della citata legge tutela il nato  a  prescindere  dalle
concrete condotte di chi lo ha voluto. 
    6.- All'udienza pubblica le  parti  e  la  difesa  statale  hanno
insistito  per  l'accoglimento  delle  conclusioni  formulate   nelle
memorie scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Padova  dubita  della  legittimita'
costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n.  40
(Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e  250  del
codice  civile,  in  quanto,   sistematicamente   interpretati,   non
consentirebbero al nato nell'ambito di un  progetto  di  procreazione
medicalmente assistita  eterologa,  praticata  da  una  coppia  dello
stesso sesso, l'attribuzione  dello  status  di  figlio  riconosciuto
anche dalla madre intenzionale che abbia prestato  il  consenso  alla
pratica fecondativa, ove non vi siano  le  condizioni  per  procedere
all'adozione nei casi  particolari  e  sia  accertato  giudizialmente
l'interesse del minore. 
    Secondo il rimettente, le citate disposizioni  garantirebbero  il
riconoscimento del legame di  filiazione  del  nato,  a  seguito  del
ricorso a tecniche di PMA eterologa,  nei  confronti  di  entrambi  i
soggetti  che  hanno  prestato   il   consenso   e   che   si   sono,
conseguentemente, assunti la responsabilita'  genitoriale,  solo  ove
tali soggetti rientrino fra coloro che hanno potuto  accedere  a  una
tale tecnica procreativa ai sensi dell'art. 5 della medesima legge n.
40 del 2004 e cioe' solo ove siano di sesso diverso. 
    Pertanto, esse  lascerebbero  privo  di  tutela  l'interesse  del
minore, nato a seguito di fecondazione  assistita  praticata  da  due
donne, al riconoscimento del rapporto  di  filiazione  con  la  madre
intenzionale, non essendovi nella fattispecie  in  esame  neppure  le
condizioni per procedere all'adozione in  casi  particolari,  di  cui
all'art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983,  n.  184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), a causa del
mancato  assenso  del  genitore  biologico-legale,   previsto   quale
condizione insuperabile (art. 46). 
    Tale   vuoto   di   tutela   esorbiterebbe   dal    margine    di
discrezionalita'  riservata  in  tale  materia   al   legislatore   e
determinerebbe la violazione di una  serie  di  diritti  e  interessi
costituzionalmente e convenzionalmente garantiti. 
    Anzitutto, sarebbe violato il diritto del nato a far valere,  nei
confronti delle due persone, pur dello  stesso  sesso,  che  si  sono
comunque assunte la  responsabilita'  della  procreazione,  i  propri
diritti al mantenimento, all'educazione, all'istruzione, ma  anche  i
diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e  di  crisi
della coppia, in contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma,
Cost., quest'ultimo, in specie, in  relazione  all'art.  8  CEDU.  Si
profilerebbe - in linea con la giurisprudenza della Corte EDU  -  una
grave lesione del diritto alla vita  privata  del  bambino,  cui  sia
impedito il riconoscimento del  legame  con  la  madre  intenzionale,
lasciandolo cosi' esposto a una situazione  di  incertezza  giuridica
nelle relazioni sociali, quanto alla sua identita' personale. 
    Si realizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata  disparita'  di
trattamento  sia  rispetto  ai  nati  da  PMA  praticata  da   coppia
eterosessuale, sia rispetto ai nati da PMA praticata da coppie  dello
stesso sesso, che possano accedere all'adozione in casi  particolari,
in virtu' del consenso prestato dalla madre biologica. In mancanza di
tale assenso, i nati a seguito di PMA eterologa praticata  da  coppie
dello stesso sesso sarebbero destinati perennemente a  uno  stato  di
figli con un solo genitore, non riconoscibili dall'altra persona  che
ha intenzionalmente contribuito  al  progetto  procreativo.  Essi  si
troverebbero in una situazione giuridica deteriore rispetto a  quella
di tutti gli altri nati (compresi i nati da rapporto incestuoso), per
il solo fatto dell'orientamento  sessuale  delle  persone  che  hanno
condiviso la scelta di procreare con ricorso alle tecniche citate, in
violazione dell'art. 3  e  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 14 CEDU. 
    Un tale vuoto di tutela entrerebbe  in  contrasto  con  l'impegno
assunto dallo Stato italiano, in sede di ratifica  della  Convenzione
sui diritti del fanciullo, firmata a New York il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27  maggio  1991,  n.  176  (in
specie agli artt. 2, 3,  4,  5,  7,  8  e  9),  volto  a  considerare
«l'interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai
bambini (art. 3) e, comunque,  ad  adottare  «tutti  i  provvedimenti
appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro
ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione
sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate o convinzioni dei
suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei  suoi  familiari»
(art. 2). 
    2.- In linea  preliminare,  occorre  esaminare  le  eccezioni  di
inammissibilita' sollevate dalla difesa statale. 
    2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene che le  questioni
sollevate dal Tribunale di Padova siano  prive  di  rilevanza.  Nella
specie, non sarebbe fatto valere nel giudizio principale  il  diritto
delle minori a essere riconosciute quali figlie di entrambe le madri,
ma la  pretesa  della  ricorrente  di  essere  riconosciuta  genitore
legale. Cio' sarebbe dimostrato dalla circostanza che  la  convenuta,
madre biologica delle minori, non sarebbe stata  citata  in  giudizio
come esercente la  responsabilita'  genitoriale  sulle  minori  e  il
Tribunale  non   ha   ritenuto   di   disporre   l'integrazione   del
contraddittorio nei confronti  delle  stesse.  Non  sarebbe,  quindi,
chiara la fattispecie sottoposta all'esame del  Tribunale,  tanto  da
non consentire di comprendere l'individuazione delle norme censurate,
quali norme applicabili nel giudizio principale. 
    2.1.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Nell'ordinanza di rimessione emerge chiaramente che  le  domande,
proposte nel giudizio principale dalla ricorrente  sulla  base  degli
artt. 8 e 9 della legge n. 40 del  2004,  oltre  che,  in  subordine,
dell'art. 250 cod. civ., mirano alla  tutela  delle  minori,  proprio
perche'  volte  a  consentire   l'esercizio   della   responsabilita'
genitoriale nei confronti delle stesse anche  da  parte  della  madre
intenzionale, in virtu' del riconoscimento formale  dello  status  di
figlie dalla stessa auspicato. Il rimettente chiarisce che si  tratta
di una  richiesta  orientata  a  garantire  stabilita'  nel  rapporto
genitoriale, impostato in modo continuativo fin dalla  nascita  delle
bambine e tale  da  non  arrecare  pregiudizio  alle  stesse.  Si  fa
riferimento all'intervento, pur  infruttuoso,  del  Tribunale  per  i
minorenni, a seguito della brusca interruzione di contatti  regolari,
causata dalla madre biologica,  con  l'insorgere  di  una  situazione
conflittuale all'interno  della  coppia,  di  ogni  rapporto  tra  le
medesime minori e la madre intenzionale,  nonostante  il  consolidato
legame affettivo fra le stesse. 
    Il riconoscimento dello status di  figlio,  oggetto  delle  norme
censurate, corrisponde, secondo l'art. 30 Cost., al  dovere  di  cura
del genitore che e', al contempo, garanzia del diritto del minore  di
essere curato.  Tanto  basta  per  ritenere  che  gli  argomenti  del
rimettente non siano implausibili nell'individuare come  oggetto  del
giudizio che lo occupa il diritto delle minori a essere  riconosciute
figlie di entrambe le madri, in linea  con  l'indirizzo  costante  di
questa Corte, che, nel  delibare  l'ammissibilita'  della  questione,
«effettua in ordine  alla  rilevanza  solo  un  controllo  "esterno",
applicando  un  parametro  di  non  implausibilita'  della   relativa
motivazione» (sentenza n. 267 del 2020; nello stesso senso,  sentenze
n. 224 e n. 32 del 2020). 
    2.2.- La difesa statale  eccepisce,  inoltre,  l'inammissibilita'
delle questioni per aberratio ictus. 
    L'ostacolo  giuridico  all'accoglimento   della   domanda   della
ricorrente nel giudizio principale,  volta  al  riconoscimento  dello
status di figlie nei confronti delle bambine nate a  seguito  di  PMA
eterologa praticata da una coppia di  donne,  risiederebbe  non  gia'
nelle disposizioni censurate, ma nelle norme della medesima legge  n.
40 del 2004 che fissano i  limiti  all'accesso  alla  PMA  eterologa,
contenute negli artt. 4 e 5 della legge n. 40 del 2004,  non  oggetto
di censure. 
    2.2.1.- Anche questa eccezione e' priva di fondamento. 
    Il rimettente premette che la domanda proposta, in prima istanza,
dalla ricorrente e' proprio quella di riconoscere lo status di figlie
delle minori, applicando estensivamente gli artt. 8 e 9  della  legge
n. 40 del  2004,  muovendo  dal  loro  tenore  letterale.  L'art.  8,
infatti, si limita a stabilire che i nati a seguito dell'applicazione
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita «hanno lo stato
di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti dalla coppia che
ha espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai  sensi
dell'art. 6», il che  vuol  dire  prestando  il  consenso  informato.
L'art. 9, inoltre,  sanciva  il  divieto  del  disconoscimento  della
paternita' e  di  impugnazione  del  riconoscimento  per  difetto  di
veridicita'  nel  caso  di  fecondazione  eterologa,   anche   quando
quest'ultima non era  ancora  consentita  (prima  dell'intervento  di
questa Corte con la sentenza n. 162 del 2014). 
    Il Tribunale di Padova, tuttavia, afferma di non poter accogliere
l'istanza della ricorrente, ritenendo che  l'ambito  di  applicazione
delle   citate   disposizioni,   sulla   base    dell'interpretazione
sistematica e logica delle stesse e a seguito della sentenza  n.  237
del 2019 di questa Corte, sia implicitamente limitato ai nati da  PMA
eterologa praticata da coppie di sesso  diverso,  in  base  a  quanto
previsto dall'art. 5 della medesima legge n. 40 del 2004. 
    Il  rimettente,  pero',  rileva  che,  sebbene  la   fecondazione
eterologa fra coppie dello stesso sesso non sia consentita in  Italia
per una scelta del  legislatore  non  costituzionalmente  censurabile
(sentenza n. 221 del 2019), essa e' comunque praticata e  praticabile
in altri Paesi. I nati a seguito del ricorso a queste tecniche  sono,
dunque, titolari di diritti, indipendentemente  dalle  modalita'  del
loro concepimento. 
    Il rimettente non contesta  la  legittimita'  costituzionale  dei
limiti posti alle coppie omosessuali nell'accesso alla PMA. Denuncia,
piuttosto, l'illegittimita'  costituzionale  della  compressione  dei
diritti dei nati, su  cui  si  farebbe  ricadere  la  responsabilita'
inerente all'illiceita' delle tecniche adottate nella procreazione. 
    Poiche' «ricorre l'inammissibilita' delle questioni per aberratio
ictus solo ove sia erroneamente individuata la norma  in  riferimento
alla   quale   sono   formulate   le   censure   di    illegittimita'
costituzionale» (sentenza n. 224 del  2020),  si  deve  ritenere  che
questo non accada nel caso qui esaminato. 
    Il Collegio rimettente correttamente censura  gli  artt.  8  e  9
della  legge  n.  40  del   2004,   poiche'   da   essi   si   desume
l'impossibilita' di riconoscere lo status di figli  ai  nati  da  PMA
eterologa, praticata da  una  coppia  di  donne,  e  da  essi  si  fa
discendere il vuoto di tutela, quando si manifesta il dissenso  della
madre biologica all'accesso della madre intenzionale all'adozione  in
casi particolari, con  conseguente  pretesa  lesione  degli  indicati
parametri costituzionali. 
    2.3.- Gli argomenti appena richiamati  inducono  a  escludere  un
ulteriore profilo - pur non eccepito - di inammissibilita',  inerente
alla mancata sperimentazione dell'interpretazione  costituzionalmente
orientata delle disposizioni censurate,  auspicata  dalla  ricorrente
nel giudizio principale. 
    2.3.1.- Come gia'  sottolineato,  il  Collegio  rimettente  muove
dalla verifica della possibilita' di  un'interpretazione  dei  citati
artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, che consenta di assicurare la
tutela dei nati a seguito del ricorso a tecniche di PMA eterologa  da
parte di due  donne,  effettuato  all'estero,  riconoscendo  loro  lo
status di figli di  entrambe.  La  ritiene,  tuttavia,  impraticabile
muovendo da un'interpretazione sistematica e  logica,  poiche'  «allo
stato della legislazione, il requisito soggettivo della diversita' di
sesso  per  accedere  alla  procreazione   medicalmente   assistita»,
prescritto dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004,  ma  anche  «letto
[...] in relazione alle norme del  codice  civile  sulla  filiazione,
esclude l'opzione ermeneutica proposta dalla ricorrente». 
    L'interpretazione accolta dal Collegio rimettente,  peraltro,  e'
stata successivamente confermata dalla giurisprudenza di legittimita'
(Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 aprile  2020,
n. 8029, e sentenza 3 aprile  2020,  n.  7668).  Alcune  pronunce  di
merito l'hanno, invece, disattesa, proprio  in  considerazione  della
preminente esigenza, costituzionalmente garantita,  «di  tutelare  la
condizione giuridica del nato, conferendogli, da principio,  certezza
e stabilita'», tenendo distinta la questione relativa allo stato  del
figlio da quella inerente alla liceita' della tecnica  prescelta  per
farlo nascere (fra  gli  altri,  Tribunale  di  Brescia,  decreto  11
novembre 2020, Tribunale di Cagliari, sentenza n. 1146 del 28  aprile
2020. In termini analoghi, Corte d'appello di Roma, decreto 27 aprile
2020). 
    In  ogni  caso,  l'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della normativa  denunciata  e'  stata  esplorata  e  consapevolmente
scartata  dal  Collegio   rimettente,   «il   che   basta   ai   fini
dell'ammissibilita' della  questione  (sentenza  n.  189  del  2019)»
(sentenza n. 32 del 2020). 
    2.4.- La difesa  statale  eccepisce,  infine,  che  le  questioni
sollevate dal Tribunale di Padova  siano  inammissibili,  poiche'  le
integrazioni alla disciplina vigente, richieste dal  giudice  a  quo,
sarebbero protese a  colmare  un  vuoto  di  tutela  in  una  materia
caratterizzata da ampia discrezionalita' del legislatore. 
    2.4.1.- L'eccezione e' fondata nei termini di seguito precisati. 
    2.4.1.1.- In epoca antecedente all'adozione della legge n. 40 del
2004, in relazione a una questione inerente alla tutela dello  status
filiationis del concepito tramite fecondazione eterologa, ancora  non
disciplinata, questa Corte ha evidenziato «una situazione di  carenza
dell'attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali»  (sentenza
n. 347 del 1998). Senza addentrarsi nel valutare la  legittimita'  di
quella tecnica, e' stata in  quell'occasione  espressa  l'urgenza  di
individuare  idonei  strumenti  di  tutela  del  nato  a  seguito  di
fecondazione assistita, «non solo in relazione ai diritti e ai doveri
previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt.  30  e  31
della Costituzione, ma  ancor  prima  -  in  base  all'art.  2  della
Costituzione  -  ai  suoi  diritti  nei  confronti  di  chi  si   sia
liberamente  impegnato  ad  accoglierlo   assumendone   le   relative
responsabilita': diritti che e' compito del legislatore  specificare»
(sentenza n. 347 del 1998). 
    Gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004  stanno  a  dimostrare
che, nell'ascoltare quel monito, il legislatore ha inteso definire lo
status di figlio del nato da PMA anche  eterologa,  ancor  prima  che
fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale del relativo divieto
(sentenza n. 162 del  2014).  Nel  fondare  un  progetto  genitoriale
comune, i soggetti maggiorenni che, all'interno di  coppie  di  sesso
diverso,  coniugate  o  conviventi,  avessero  consensualmente  fatto
ricorso a PMA (art. 5 della legge n. 40 del  2004),  divenivano,  per
cio'  stesso,  responsabili  nei  confronti  dei  nati,   destinatari
naturali dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico. 
    L'evoluzione dell'ordinamento, del resto, muovendo dalla  nozione
tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto - e questa
Corte lo ha  evidenziato  -  rilievo  giuridico  alla  genitorialita'
sociale, ove non coincidente con quella biologica  (sentenza  n.  272
del 2017), tenuto conto che «il dato della provenienza  genetica  non
costituisce  un  imprescindibile  requisito  della  famiglia  stessa»
(sentenza n. 162 del 2014). 
    L'art. 9 della legge n. 40 del 2004, nel valorizzare, rispetto al
favor veritatis, il consenso alla genitorialita' e l'assunzione della
conseguente responsabilita' nell'ambito  di  una  formazione  sociale
idonea ad accogliere il minore - come questa  Corte  ha  rimarcato  -
«dimostra  la  volonta'  di  tutelare  gli  interessi  del   figlio»,
garantendo «il consolidamento  in  capo  al  figlio  di  una  propria
identita' affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva  l'interesse
a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche  eventualmente  in
contrasto con la verita' biologica della procreazione»  (sentenza  n.
127 del 2020). 
    A questo intervento  del  legislatore  hanno  fatto  seguito,  in
progressione armonica, le  modifiche  successivamente  apportate  dal
decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154  (Revisione  delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma  dell'articolo
2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) in  tema  di  filiazione.  Al
centro si pongono i diritti del minore: «crescere in famiglia e [...]
mantenere rapporti significativi con i parenti»  (art.  315-bis  cod.
civ.); «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno
dei  genitori,  [...]  ricevere  cura,   educazione,   istruzione   e
assistenza  morale   da   entrambi»   (art.   337-ter   cod.   civ.).
Parallelamente, al  posto  dell'originario  istituto  della  potesta'
genitoriale si introduce la  responsabilita'  genitoriale  (art.  316
cod. civ.), che recepisce l'indicazione  dell'art.  30  Cost.,  nella
formula sintetica, gia' da tempo espressamente individuata da  questa
Corte, volta a "tradurre" «gli obblighi di mantenimento ed educazione
della prole, derivanti dalla qualita' di genitore» (sentenza  n.  308
del 2008; nello stesso senso sentenza n. 394 del 2005).  L'evoluzione
dell'ordinamento segna dunque un'ancor piu' accentuata consonanza con
i diritti sanciti nella Costituzione. 
    Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 24, comma 2, si afferma  che
e' "preminente" la considerazione dell'interesse del minore in  tutti
gli  atti  che  lo  riguardano.  In  questa  direzione,  proprio  con
riferimento a tale disposizione, si e' orientata anche  la  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, che ha affermato il diritto dei  figli
di mantenere relazioni regolari e contatti  diretti  con  entrambi  i
genitori, se questo corrisponde al loro interesse (sentenza 5 ottobre
2010, in causa C-400/10 PPU, J. McB.). 
    2.4.1.2.- Come questa Corte ha gia' ricordato  (sentenza  n.  102
del 2020), il principio posto a  tutela  del  miglior  interesse  del
minore si afferma  nell'ambito  degli  strumenti  internazionali  dei
diritti umani, in specie nella Dichiarazione delle Nazioni Unite  sui
diritti del fanciullo del 1959 (principio 2), in cui si prevede  che,
nell'approvazione di leggi e nell'adozione di tutti  i  provvedimenti
che incidano sulla condizione del minore, ai best  interests  of  the
child   deve    attribuirsi    rilievo    determinante    ("paramount
consideration"). Successivamente esso e' ribadito  nella  Convenzione
sui diritti del fanciullo, in cui, all'art. 3,  paragrafo  1,  si  fa
menzione  del  rilievo  preminente   ("primary   consideration")   da
riservare agli interessi del minore. 
    Pur in assenza di una espressa base testuale riferita al  minore,
la Corte europea dei diritti  dell'uomo  ha  ricondotto  all'art.  8,
spesso in combinato disposto con l'art. 14 CEDU, l'affermazione che i
diritti alla vita privata e familiare del fanciullo devono costituire
un elemento determinante di valutazione («the child's rights must  be
the paramount consideration»: Corte EDU, sezione seconda, sentenza  5
novembre 2002, Yousef contro Paesi Bassi; sezione prima, sentenza  28
giugno 2007, Wagner e J.M.W.L.  contro  Lussemburgo,  paragrafo  133:
«Bearing in mind that the best interests of the child  are  paramount
in such a case»; grande camera, sentenza  del  26  novembre  2013,  X
contro Lettonia, paragrafo 95: «the best interests of the child  must
be of primary consideration»). 
    Questa  e'  la  prospettiva  prescelta  dalla   Corte   EDU   per
riconoscere  la  permanenza  e  la  stabilita'  dei  legami  che   si
instaurano tra il bambino e la sua famiglia e  per  salvaguardare  il
suo diritto a beneficiare di relazioni e  contatto  continuativo  con
entrambi i genitori (Corte EDU, grande camera, sentenza 10  settembre
2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 202).  A  meno
che un distacco si renda necessario nel suo superiore  interesse,  di
volta in volta rimesso alla valutazione del giudice,  il  minore  non
deve essere separato dai genitori contro la sua volonta' (Corte  EDU,
grande camera, sentenza 10 settembre  2019,  Strand  Lobben  e  altri
contro  Norvegia,  paragrafo  207).  Incombe,  infatti,  sugli  Stati
aderenti alla Convenzione di New York (art. 9, paragrafo 1) l'obbligo
di rendere effettivi tali diritti e di garantire (art.  9,  paragrafo
3)  la  stabilita'  dei  legami  e  delle  relazioni  del  minore  in
riferimento a tutte le persone con cui quest'ultimo abbia  instaurato
un rapporto personale stretto, pur in assenza di un legame  biologico
(«persons with whom the child has had strong personal relationships»:
cosi' il paragrafo 64 del General Comment No. 14 (2013) on the  right
of the child to have his or her best interests  taken  as  a  primary
consideration (art. 3, para. 1), adottato dal  Comitato  sui  diritti
del fanciullo il 29 maggio 2013, CRC/C/GC/14; una simile affermazione
anche nel paragrafo 60 dello stesso documento) a meno  che  cio'  non
sia contrario ai suoi superiori interessi. 
    La Corte EDU ha  ripetutamente  ricondotto  all'art.  8  CEDU  la
garanzia di legami affettivi stabili con chi,  indipendentemente  dal
vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale,
prendendosi cura del minore per un lasso  di  tempo  sufficientemente
ampio (Corte  EDU,  sezione  prima,  sentenza  del  16  luglio  2015,
Nazarenko contro Russia, paragrafo  66).  Ha  inoltre  assimilato  al
rapporto di filiazione il legame esistente tra la madre  d'intenzione
e la figlia nata per procreazione assistita, cui  si  era  sottoposta
l'allora  partner  (legame  che  «tient  donc,  de  facto,  du   lien
parent-enfant»), coerentemente con la nozione di "vita familiare"  di
cui al medesimo art. 8 CEDU (Corte EDU, sezione quinta,  sentenza  12
novembre 2020, Honner contro Francia, paragrafo 51). 
    La considerazione che la  tutela  del  preminente  interesse  del
minore comprende la garanzia del suo diritto all'identita' affettiva,
relazionale, sociale, fondato sulla stabilita' dei rapporti familiari
e di cura e sul loro riconoscimento giuridico e', inoltre, al  centro
delle stesse pronunce "gemelle" (Corte EDU, sezione quinta,  sentenze
26 giugno 2014, Mennesson contro Francia e Labassee contro  Francia),
richiamate dall'odierno rimettente. In esse la Corte EDU ha ravvisato
la violazione del diritto alla vita privata del  minore  nel  mancato
riconoscimento del legame di  filiazione  tra  lo  stesso,  concepito
all'estero ricorrendo alla specifica tecnica  della  surrogazione  di
maternita', e i  genitori  intenzionali,  proprio  in  considerazione
dell'incidenza  del  rapporto   di   filiazione   sulla   costruzione
dell'identita' personale (Corte  EDU,  sezione  quinta,  sentenze  26
giugno 2014, Mennesson  contro  Francia,  paragrafo  96,  e  Labassee
contro Francia, paragrafo 75). 
    Tale indirizzo - confermato da successive pronunce (fra le altre,
Corte EDU,  sezione  quinta,  sentenza  16  luglio  2020,  D.  contro
Francia) che hanno richiamato il parere consultivo reso, ai sensi del
Protocollo n. 16, dalla Corte EDU, grande camera, il 10 aprile  2019,
relativo al riconoscimento nel diritto  interno  di  un  rapporto  di
filiazione tra un minore nato da una gestazione per altri  effettuata
all'estero  e  la  madre  intenzionale,  richiesto  dalla  Corte   di
cassazione francese - fonda proprio nell'art. 8 CEDU l'obbligo  degli
Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di  filiazione
tra il minore e i genitori intenzionali. Pur lasciando agli stessi un
margine di discrezionalita' circa i mezzi da adottare - fra cui anche
l'adozione - per pervenire a tale  riconoscimento,  li  vincola  alla
condizione che essi siano idonei a garantire la  tutela  dei  diritti
dei minori in maniera piena. Se il rapporto  di  filiazione  e'  gia'
diventato  una  «realta'  pratica»,  la  procedura  prevista  per  il
riconoscimento deve essere «attuata in modo tempestivo ed efficace». 
    L'identita' del minore e' dunque incisa  quale  componente  della
sua vita pivata, identita' che il legame di  filiazione  rafforza  in
modo significativo. 
    Tutte queste precisazioni aggiungono chiarezza al  riscontro  che
la Corte EDU opera di ogni elemento volto a rafforzare la tutela  dei
minori dentro un perimetro di diritti concretamente  azionabili,  che
si traducono in altrettanti obblighi degli Stati a intervenire se  la
tutela non e' effettiva. 
    2.4.1.3.-  Le  norme  oggetto  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova riguardano, come  si
e' detto, la condizione di nati a seguito di PMA eterologa  praticata
in un altro paese, in conformita' alla legge  dello  stesso,  da  una
donna, che aveva intenzionalmente condiviso il  progetto  genitoriale
con un'altra donna e, per un lasso di tempo  sufficientemente  ampio,
esercitato le funzioni genitoriali congiuntamente, dando vita con  le
figlie minori a una comunita' di affetti e di  cure.  La  circostanza
che ha indotto la madre biologica  a  recidere  un  tale  legame  nei
confronti della madre intenzionale, coincidente con  il  manifestarsi
di situazioni conflittuali all'interno della coppia, ha reso  affatto
evidente un vuoto di tutela.  Pur  in  presenza  di  un  rapporto  di
filiazione  effettivo,  consolidatosi  nella   pratica   della   vita
quotidiana con la medesima madre intenzionale, nessuno strumento puo'
essere utilmente adoprato per far valere i diritti delle  minori:  il
mantenimento, la cura, l'educazione, l'istruzione, la successione  e,
piu'  semplicemente,  la  continuita'  e  il  conforto  di  abitudini
condivise. 
    L'elusione del limite stabilito dall'art. 5 della legge n. 40 del
2004, come gia' detto, non evoca scenari di contrasto con principi  e
valori costituzionali.  Questa  Corte  ha  gia'  avuto  occasione  di
affermare, in linea con la giurisprudenza di legittimita' in  materia
di accesso alla PMA, che, da un lato, non e' configurabile un divieto
costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere  figli,  pur
spettando  alla  discrezionalita'   del   legislatore   la   relativa
disciplina; dall'altro, «non esistono neppure certezze scientifiche o
dati di esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in
una famiglia formata da una coppia  omosessuale  abbia  ripercussioni
negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalita'  del
minore» (sentenza n. 221 del 2019). 
    Al contrario, la concomitanza degli eventi prima descritti, svela
una preoccupante lacuna  dell'ordinamento  nel  garantire  tutela  ai
minori e ai loro migliori interessi, a  fronte  di  quanto  in  forte
sintonia affermato dalla  giurisprudenza  delle  due  corti  europee,
oltre  che  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  come   necessaria
permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non  biologici,
e  riconoscimento  giuridico  degli  stessi,  al  fine  di  conferire
certezza nella costruzione dell'identita' personale. 
    Nell'escludere l'esistenza  di  un  diritto  alla  genitorialita'
delle coppie dello stesso sesso, questa Corte (sentenza  n.  230  del
2020)  ha  lasciato  emergere  un  profilo  speculare,   direttamente
inerente alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito
di PMA praticata da due donne.  Pur  richiamando  gli  approdi  della
giurisprudenza di legittimita', che, al fine di evitare un vulnus, ha
ritenuto applicabile l'adozione cosiddetta non legittimante in base a
un'interpretazione estensiva dell'art. 44, comma 1, lettera d), della
legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso  sesso  del
genitore  biologico  del  minore,  questa  Corte   ha   preannunciato
l'urgenza di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in
direzione di piu' penetranti ed estesi contenuti  giuridici  del  suo
rapporto con la "madre intenzionale", che ne attenui il  divario  tra
realta'  fattuale  e  realta'  legale»,  invocando  l'intervento  del
legislatore. 
    Le questioni sollevate dal Tribunale  di  Padova  confermano,  in
modo ancor piu'  incisivo,  l'impellenza  di  tale  intervento.  Esse
rivelano   in   maniera   tangibile   l'insufficienza   del   ricorso
all'adozione in casi  particolari,  per  come  attualmente  regolato,
tant'e' che nello specifico caso e' resa impraticabile proprio  nelle
situazioni piu' delicate per il benessere  del  minore,  quali  sono,
indubitabilmente, la crisi della coppia e la  negazione  dell'assenso
da parte del genitore biologico/legale, reso necessario dall'art.  46
della  medesima  legge  n.  184  del  1983.  La  previsione  di  tale
necessario assenso,  d'altro  canto,  si  lega  alle  caratteristiche
peculiari dell'adozione in casi particolari,  che  opera  in  ipotesi
tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati,  visto  che  non
conferisce al minore lo status di  figlio  legittimo  dell'adottante,
non assicura la creazione di un rapporto di parentela tra  l'adottato
e la famiglia dell'adottante (considerata l'incerta  incidenza  della
modifica dell'art. 74 cod. civ. operata dall'art. 1, comma  1,  della
legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in  materia  di
riconoscimento dei figli naturali») e non interrompe i  rapporti  con
la famiglia d'origine. 
    Da quanto detto risulta evidente che i  nati  a  seguito  di  PMA
eterologa praticata da due donne versano in una condizione  deteriore
rispetto  a  quella  di  tutti  gli  altri  nati,  solo  in   ragione
dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il
progetto procreativo.  Essi,  destinati  a  restare  incardinati  nel
rapporto con un solo  genitore,  proprio  perche'  non  riconoscibili
dall'altra persona che ha costruito il progetto  procreativo,  vedono
gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi. 
    La loro condizione rivela caratteri solo in parte assimilabili  a
un'altra categoria di nati cui, per molti anni, e' stato precluso  il
riconoscimento dello status di figli (i cosiddetti figli incestuosi),
destinatari di limitate forme di tutela, a causa della  condotta  dei
genitori. Cio' ha indotto  questa  Corte  a  ravvisare  una  «capitis
deminutio  perpetua  e  irrimediabile»,   lesiva   del   diritto   al
riconoscimento formale di  un  proprio  status  filiationis,  che  e'
«elemento costitutivo dell'identita' personale, protetta,  oltre  che
dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo,
dall'art. 2 della Costituzione», e  in  contrasto  con  il  principio
costituzionale di eguaglianza (sentenza n. 494 del 2002). 
    2.4.1.4.- Al  riscontrato  vuoto  di  tutela  dell'interesse  del
minore,   che   ha   pieno   riscontro   nei   richiamati    principi
costituzionali, questa Corte ritiene di non poter ora porre  rimedio.
Serve, ancora  una  volta,  attirare  su  questa  materia  eticamente
sensibile l'attenzione del legislatore, al fine di individuare,  come
gia' auspicato in passato, un «ragionevole punto di equilibrio tra  i
diversi beni costituzionali coinvolti, nel  rispetto  della  dignita'
della persona umana»  (sentenza  n.  347  del  1998).  Un  intervento
puntuale di questa Corte  rischierebbe  di  generare  disarmonie  nel
sistema complessivamente considerato. 
    Il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', dovra'
al piu' presto colmare il denunciato vuoto di  tutela,  a  fronte  di
incomprimibili diritti dei minori. Si auspica  una  disciplina  della
materia che, in maniera organica, individui le modalita' piu' congrue
di riconoscimento dei legami affettivi stabili del  minore,  nato  da
PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della
madre intenzionale. 
    In via esemplificativa, puo' trattarsi di una  riscrittura  delle
previsioni in materia di riconoscimento, ovvero dell'introduzione  di
una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con  una  procedura
tempestiva  ed  efficace,  la  pienezza  dei  diritti  connessi  alla
filiazione. Solo un intervento del  legislatore,  che  disciplini  in
modo organico la condizione dei nati da PMA da  coppie  dello  stesso
sesso, consentirebbe di ovviare alla frammentarieta'  e  alla  scarsa
idoneita' degli strumenti normativi ora  impiegati  per  tutelare  il
"miglior  interesse  del  minore".  Esso,  inoltre,   eviterebbe   le
"disarmonie" che potrebbero prodursi per  effetto  di  un  intervento
mirato  solo  a  risolvere  il  problema  specificamente   sottoposto
all'attenzione di questa Corte. Come nel caso in cui si preveda,  per
il  nato  da  PMA  praticata  da  coppie  dello  stesso   sesso,   il
riconoscimento dello status di figlio, in caso di crisi della  coppia
e rifiuto dell'assenso all'adozione  in  casi  particolari,  laddove,
invece, lo status - meno pieno e garantito - di figlio  adottivo,  ai
sensi dell'art. 44 della legge n. 184 del  1983,  verrebbe  a  essere
riconosciuto nel caso di accordo e  quindi  di  assenso  della  madre
biologica  alla  adozione.  Il  terreno  aperto  all'intervento   del
legislatore e' dunque assai vasto e le misure necessarie a colmare il
vuoto di tutela dei minori sono differenziate e fra se' sinergiche. 
    Nel dichiarare l'inammissibilita' della questione ora  esaminata,
per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione  del  legislatore
circa  la  congruita'  dei  mezzi  adatti  a  raggiungere   un   fine
costituzionalmente  necessario,  questa  Corte  non   puo'   esimersi
dall'affermare  che  non  sarebbe  piu'  tollerabile   il   protrarsi
dell'inerzia legislativa, tanto e'  grave  il  vuoto  di  tutela  del
preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia.