ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel   giudizio   di   legittimita'    costituzionale    dell'art.
187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58
(Testo  unico  delle  disposizioni  in  materia  di   intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996, n. 52), come introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera b), della
legge 18 aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2004), promosso dalla Corte di cassazione,
sezione seconda civile, nel procedimento vertente  tra  D.  B.  e  la
Commissione nazionale per  le  societa'  e  la  borsa  (CONSOB),  con
ordinanza del 16 febbraio  2018,  iscritta  al  n.  54  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  D.  B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  13  aprile  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Antonio Saitta e Renzo Ristuccia per D.  B.  e
l'avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 13 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 febbraio 2018, la Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, ha sollevato  -  accanto  alle  questioni  di
legittimita' costituzionale gia' definite  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 112 del 2019 - questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-quinquiesdecies del  decreto  legislativo  24  febbraio
1998,  n.  58  (Testo  unico  delle  disposizioni   in   materia   di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), nel testo  originariamente  introdotto
dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005,  n.  62
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2004), «nella parte in cui  detto  articolo  sanziona  la
condotta  consistente  nel  non  ottemperare   tempestivamente   alle
richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni
anche  nei  confronti  di  colui  al  quale   la   medesima   CONSOB,
nell'esercizio delle funzioni di  vigilanza,  contesti  un  abuso  di
informazioni privilegiate». 
    La disposizione e' censurata in riferimento agli artt. 24, 111  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU),  e
all'art. 14, paragrafo 3, lettera g), del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici (PIDCP), nonche' in riferimento agli  artt.
11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  47  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    1.1.-  Il  giudizio  a  quo  trae  origine  da  un   procedimento
sanzionatorio avviato dalla Commissione nazionale per le  societa'  e
la borsa (CONSOB) nei confronti di D. B., all'esito  del  quale  sono
state irrogate a quest'ultimo le seguenti sanzioni amministrative: 
    a)  una  sanzione  pecuniaria  di  200.000  euro   in   relazione
all'illecito amministrativo di  abuso  di  informazioni  privilegiate
previsto dall'art. 187-bis, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 58 del
1998, nella  versione  vigente  all'epoca  dei  fatti,  con  riguardo
all'acquisto, effettuato da D. B. nel febbraio 2009, di 30.000 azioni
di una societa' quotata  della  quale  era  socio  e  consigliere  di
amministrazione,   sulla   base   del   possesso    dell'informazione
privilegiata relativa all'imminente lancio di un'offerta pubblica  di
acquisto di tale societa', da lui promossa assieme ad altri due  soci
della medesima societa'; 
    b) una sanzione  pecuniaria  di  100.000  euro  in  relazione  al
medesimo  illecito  amministrativo  nell'ipotesi  di   cui   all'art.
187-bis, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 58 del 1998, sempre nella
versione vigente all'epoca dei fatti, per avere  D.  B.  indotto  una
terza persona ad  acquistare  azioni  della  societa'  in  questione,
essendo in possesso della menzionata informazione privilegiata; 
    c)  una  sanzione  pecuniaria  di  50.000   euro   in   relazione
all'illecito amministrativo di cui all'art.  187-quinquiesdecies  del
d.lgs. n. 58 del 1998, nella versione vigente  all'epoca  dei  fatti,
per avere rinviato piu' volte la data dell'audizione alla  quale  era
stato convocato e, una volta presentatosi  alla  stessa  CONSOB,  per
essersi rifiutato di rispondere alle  domande  che  gli  erano  state
rivolte; 
    d) la sanzione accessoria della perdita temporanea dei  requisiti
di onorabilita' per la durata di diciotto mesi,  ai  sensi  dell'art.
187-quater, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998; 
    e) la confisca di denaro o beni, ai  sensi  dell'art.  187-sexies
del d.lgs. n. 58 del 1998, fino a concorrenza dell'importo di 149.760
euro, pari all'intero valore  delle  azioni  acquistate  mediante  la
condotta descritta sub a). 
    Per le stesse condotte di cui ai punti a) e b), a D. B. era stato
altresi' contestato, in un separato procedimento penale,  il  delitto
di abuso di informazioni  privilegiate  previsto  dall'art.  184  del
d.lgs. n. 58 del 1998. Per tale delitto, D. B. ha concordato  con  il
pubblico ministero la pena, condizionalmente sospesa, di undici  mesi
di reclusione e 300.000 euro di multa, applicata dal Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di Milano il 18 dicembre
2013. 
    D. B. aveva proposto opposizione avanti alla Corte  d'appello  di
Roma avverso il provvedimento sanzionatorio della  CONSOB,  allegando
tra l'altro l'illegittimita'  della  sanzione  irrogatagli  ai  sensi
dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    La   Corte   d'appello   di   Roma   aveva   tuttavia   rigettato
l'opposizione,  confermando  cosi'  il  provvedimento   sanzionatorio
adottato dalla CONSOB, con sentenza depositata il 20 novembre 2013. 
    Contro tale sentenza D. B. aveva quindi proposto il  ricorso  per
cassazione che ha dato origine al presente  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    1.2.- In  punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
osserva  che  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del  1998  inciderebbe
sull'esito del giudizio a quo, nel quale si controverte (anche) della
legittimita' di detta sanzione. 
    Non  sarebbe  d'altra   parte   possibile   escludere,   in   via
interpretativa,   l'applicabilita'    della    sanzione    ex    art.
187-quinquiesdecies   a   D.   B.,   poiche'   il   soggetto   attivo
dell'infrazione e' «chiunque». 
    La modifica recata  all'art.  187-quinquiesdecies  dall'art.  24,
comma 1, lettera c),  del  decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179
(Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, sarebbe  inoltre
ininfluente, atteso che la novella si limita ad estendere alla  Banca
d'Italia il dovere di  collaborazione  originariamente  previsto  nei
soli confronti della CONSOB. 
    Sarebbero parimenti irrilevanti le modifiche apportate  dall'art.
5, comma 3, del decreto legislativo 3 agosto 2017,  n.  129,  recante
«Attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai  mercati  degli  strumenti
finanziari e che modifica la  direttiva  2002/92/CE  e  la  direttiva
2011/61/UE, cosi', come modificata dalla direttiva  2016/1034/UE  del
Parlamento europeo  e  del  Consiglio,  del  23  giugno  2016,  e  di
adeguamento  della  normativa   nazionale   alle   disposizioni   del
regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del  Consiglio,
del 15 maggio 2014, sui mercati  degli  strumenti  finanziari  e  che
modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, cosi' come  modificato  dal
regolamento (UE) 2016/1033 del Parlamento europeo  e  del  Consiglio,
del 23 giugno 2016», il quale ha  precisato  che  il  ritardo  recato
all'esercizio  delle  funzioni  della  CONSOB   e'   sanzionato   con
riferimento alle sole  funzioni  «di  vigilanza»,  ha  modificato  la
cornice edittale delle sanzioni e le ha diversificate a  seconda  del
contravventore (persona fisica o giuridica). Il primo inciso  avrebbe
infatti valenza meramente esplicativa e  non  innovativa;  mentre  la
modifica del regime sanzionatorio  sarebbe  ininfluente,  poiche'  la
sanzione irrogata a D.  B.  si  colloca  comunque  all'interno  della
forbice edittale, pur modificata, e d'altro canto  l'interessato  non
ha censurato la sua quantificazione. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  la
Corte  di  cassazione  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella  parte
in cui esso si applica «anche nei confronti  di  colui  al  quale  la
medesima CONSOB, nell'esercizio  delle  sue  funzioni  di  vigilanza,
contesti un abuso di informazioni privilegiate», assumendo  anzitutto
il contrasto di tale disciplina con  il  diritto  di  difesa  di  cui
all'art. 24 Cost. 
    Rileva la Corte di cassazione che l'accertamento di  un  illecito
amministrativo come  quello  di  cui  e'  causa  e'  prodromico  alla
possibile irrogazione, nei  confronti  di  chi  ne  sia  riconosciuto
autore, sia di sanzioni propriamente penali, per il  delitto  di  cui
all'art.  184  del  d.lgs.  n.  58  del   1998,   sia   di   sanzioni
amministrative di natura sostanzialmente punitiva, come e' quella  di
cui all'art. 187-bis del medesimo testo unico; cio' che si e' appunto
verificato nel caso di specie. Per tale ragione, il soggetto al quale
la CONSOB intenda addebitare  la  commissione  di  un  tale  illecito
amministrativo dovrebbe godere  di  tutte  le  garanzie  inerenti  al
diritto di difesa nei procedimenti penali,  cosi'  come  riconosciute
dalla giurisprudenza costituzionale sulla base dell'art. 24 Cost.  e,
segnatamente,  del  «diritto  di   non   collaborare   alla   propria
incolpazione» (sono citate l'ordinanza n. 291 del 2002 e la  sentenza
n. 361 del 1998). 
    1.4.- La disposizione censurata  contrasterebbe  inoltre  con  il
«principio della parita' delle parti» nel processo, sancito dall'art.
111, secondo comma, Cost., atteso che «[i]l dovere di collaborare con
la CONSOB in capo a colui che dalla stessa  CONSOB  venga  sanzionato
per l'illecito amministrativo di cui all'art. 187-bis [del d.lgs.  n.
58 del 1998] non sembra [...] compatibile con la posizione di parita'
che  tale  soggetto  e  la  CONSOB  debbono  rivestire   nella   fase
giurisdizionale di impugnativa del provvedimento sanzionatorio». 
    1.5.- L'art. 187-quinquiesdecies sarebbe poi  contrario  all'art.
117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 6 CEDU e 14 PIDCP. 
    Quanto all'art. 6 CEDU,  la  Corte  di  cassazione  osserva  che,
secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo (sono richiamate le sentenze 5 aprile 2012, Chambaz  contro
Svizzera; 8  febbraio  1996,  John  Murray  contro  Regno  Unito;  17
dicembre 1996, Saunders contro Regno Unito; 21 dicembre 2000,  Heaney
e McGuinnes contro Irlanda; 3 maggio 2001, J. B. contro  Svizzera;  4
ottobre 2005, Shannon contro Regno Unito;  8  ottobre  2002,  Beckles
contro Regno  Unito),  il  diritto  di  non  cooperare  alla  propria
incolpazione  e  il  diritto  al  silenzio  -  anche  nell'ambito  di
procedimenti amministrativi funzionali  all'irrogazione  di  sanzioni
aventi natura punitiva -  debbono  considerarsi  come  implicitamente
riconosciuti da tale norma convenzionale, situandosi anzi  «al  cuore
della nozione di processo equo». 
    Quanto poi al Patto internazionale sui diritti civili e politici,
la Corte di cassazione osserva che  il  suo  art.  14,  paragrafo  3,
lettera g), riconosce esplicitamente il  diritto  di  ogni  individuo
accusato di un reato a «non essere costretto  a  deporre  contro  se'
stesso  o   a   confessarsi   colpevole».   Tale   diritto   dovrebbe
necessariamente essere riconosciuto anche a colui che sia  sottoposto
a   un'indagine   condotta   da   un'autorita'   amministrativa,   ma
potenzialmente  funzionale  all'irrogazione  nei  suoi  confronti  di
sanzioni di carattere punitivo. 
    1.6.- La Corte di cassazione sospetta infine che la disciplina in
esame violi gli artt. 11 e 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 47, paragrafo 2, CDFUE. 
    Rilevato che  l'art.  187-quinquiesdecies,  e  piu'  in  generale
l'intera disciplina del d.lgs. n. 58 del 1998,  ricadono  nell'ambito
di applicazione del diritto dell'Unione europea ai sensi dell'art. 51
CDFUE, il giudice a quo osserva che  la  formulazione  dell'art.  47,
paragrafo  2,  CDFUE  e'  sostanzialmente  sovrapponibile  a   quella
dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU, e deve pertanto essere interpretata -
secondo quanto  previsto  dall'art.  52,  paragrafo  3,  CDFUE  -  in
conformita'  all'interpretazione  della   corrispondente   previsione
convenzionale, sopra menzionata,  fornita  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    La  Corte  di  cassazione  rileva,  inoltre,  che  dalla   stessa
giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di tutela della
concorrenza si evince il principio secondo  cui  la  Commissione  non
puo' imporre all'impresa l'obbligo di fornire risposte attraverso  le
quali  questa  sarebbe  indotta  ad   ammettere   l'esistenza   della
trasgressione, che deve invece essere provata dalla  Commissione  (e'
citata la sentenza 18 ottobre 1989, in causa C-374/87, Orkem). 
    La Corte di cassazione sottolinea, tuttavia, come dalla direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  28  gennaio
2003,  relativa  all'abuso  di  informazioni  privilegiate   e   alla
manipolazione  del  mercato  (abusi  di  mercato)  -   direttiva   in
attuazione della quale l'art. 187-quinquiesdecies e' stato introdotto
nel d.lgs. n. 58  del  1998  -  si  evinca  un  generale  obbligo  di
collaborazione con l'autorita' di vigilanza, la cui  violazione  deve
essere sanzionata dallo Stato membro ai sensi dell'art. 14, paragrafo
3, della direttiva medesima;  ed  evidenzia  come  tale  obbligo  sia
sancito anche dal recente regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli  abusi  di
mercato  (regolamento  sugli  abusi  di  mercato)  e  che  abroga  la
direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  e  le
direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione. 
    Tale considerazione induce il giudice a quo a domandarsi se detto
obbligo, ove ritenuto applicabile anche nei  confronti  dello  stesso
soggetto  nei  cui  confronti  si  stia  svolgendo  l'indagine,   sia
compatibile con l'art. 47 CDFUE; e, conseguentemente, se quest'ultima
osti   a   una    disposizione    nazionale    che,    come    l'art.
187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, presupponga un  dovere
di prestare  collaborazione  alle  indagini  (e  conseguentemente  di
sanzionare l'omessa collaborazione) anche da parte del  soggetto  nei
cui  confronti  la  CONSOB  stia  svolgendo  indagini  relative  alla
possibile commissione di un illecito punito con sanzioni di carattere
sostanzialmente penale. 
    1.7.- Rilevato, dunque, che l'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs.
n. 58 del 1998 si espone a  dubbi  di  illegittimita'  costituzionale
sotto  il  profilo  della  sua  possibile  contrarieta'  a  parametri
costituzionali nazionali (artt. 24, secondo  comma,  e  111,  secondo
comma,  Cost.),  nonche'  sotto  il  profilo  della   sua   possibile
incompatibilita' con la CEDU e con la stessa CDFUE - incompatibilita'
dalla quale deriverebbe pure, in via mediata, la  sua  illegittimita'
costituzionale in forza degli artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.  -,
la Corte di cassazione ha ritenuto di dover anzitutto sottoporre tali
questioni all'esame di questa Corte. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    2.1.- L'interveniente - premesso che D. B.  e'  stato  sanzionato
esclusivamente  per  l'ingiustificato  ritardo   nella   comparizione
innanzi alla CONSOB, sicche' la fattispecie  sarebbe  assimilabile  a
quella esaminata da questa Corte nella sentenza n. 33 del 2002  -  ha
sollevato alcune eccezioni preliminari. 
    Le  questioni  sarebbero  irrilevanti,  sia  per   il   carattere
ipotetico delle eventuali conseguenze pregiudizievoli in sede  penale
a carico di D.  B.,  sia  perche'  quest'ultimo  ben  avrebbe  potuto
presentarsi all'audizione e rendere dichiarazioni non  sfavorevoli  o
non suscettibili di pregiudicarlo in sede penale. 
    L'ordinanza di  rimessione  si  fonderebbe  inoltre  sull'erroneo
presupposto interpretativo che l'eventuale trasmissione  al  pubblico
ministero   della   documentazione   raccolta    nello    svolgimento
dell'attivita' di accertamento dell'illecito di abuso di informazioni
privilegiate  comporti  anche  l'effettiva  utilizzabilita'  a   fini
probatori, nel processo penale, del materiale raccolto. Dal  disposto
dell'art. 220 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.  271  (Norme
di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
penale) e dalla giurisprudenza di legittimita' formatasi  in  materia
si ricaverebbe, invece, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni  rese
da persona nei cui confronti siano emersi, nel  corso  dell'attivita'
ispettiva e di vigilanza, anche semplici dati indicativi di un  fatto
apprezzabile come reato e  le  cui  dichiarazioni,  cio'  nonostante,
siano state raccolte in violazione delle norme poste a  garanzia  del
diritto di difesa. Le stesse relazioni ispettive dei funzionari della
CONSOB sarebbero acquisibili ai sensi dell'art.  234  del  codice  di
procedura penale e utilizzabili  nel  processo  penale  limitatamente
alle parti riguardanti il rilevamento dei dati oggettivi. 
    Infine, la premessa interpretativa circa la natura punitiva delle
violazioni di cui all'art. 187-bis del d.lgs.  n.  58  del  1998  non
sarebbe adeguatamente argomentata. 
    2.2.- Nel merito, sarebbe insussistente la denunciata  violazione
dell'art. 24 Cost., atteso che il diritto  costituzionale  di  difesa
«non [potrebbe] concretarsi in comportamenti che  ledono  l'interesse
all'efficiente e  trasparente  funzionamento  del  mercato  pubblico,
tutelato dalla sanzione contemplata dall'art. 187-quinquiesdecies». 
    2.3.-  Del  pari  infondata  sarebbe  la  censura  formulata   in
riferimento all'art. 111 Cost., poiche' il dovere  di  collaborazione
presidiato dall'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n.  58  del  1998
non sarebbe suscettibile di alterare  la  posizione  di  parita'  tra
l'incolpato e la CONSOB nella fase giurisdizionale di impugnativa del
provvedimento, ove spetta alla seconda provare  la  fondatezza  della
propria pretesa punitiva, avvalendosi delle risultanze acquisite  nel
corso del procedimento amministrativo. 
    2.4.- Per le medesime considerazioni,  sarebbe  insussistente  la
violazione - prospettata peraltro in via ipotetica -  dell'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU. 
    2.5.- Sarebbe infine infondato  il  dubbio  di  costituzionalita'
dell'art. 187-quinquiesdecies in riferimento  agli  artt.  11  e  117
Cost., in relazione all'art. 47 CDFUE, poiche' la direttiva 2003/6/CE
-  di  cui  la  disposizione  censurata  costituisce   attuazione   -
sottolinea al trentottesimo considerando la necessita'  di  prevedere
sanzioni sufficientemente dissuasive e  proporzionate  alla  gravita'
della  violazione  dei  divieti  e  obblighi  fissati  dalla   stessa
direttiva, e precisa all'art. 12 che  i  poteri  di  vigilanza  e  di
indagine conferiti alle autorita' competenti includono il diritto  di
richiedere  informazioni  e  di  convocare  in  audizione  «qualsiasi
persona», ivi compreso, dunque, il soggetto cui si  contesti  l'abuso
di informazioni privilegiate. 
    3.- Si e' altresi' costituito in giudizio  D.  B.,  il  quale  ha
invece sostenuto la fondatezza delle questioni, in relazione a  tutti
i parametri evocati, ripercorrendo le  argomentazioni  dell'ordinanza
di  rimessione  ed  evidenziando  -  in  relazione  alla  prospettata
violazione degli artt. 117, primo comma, Cost. e 6 CEDU -  che  nelle
pronunce Chambaz contro Svizzera e J. B. contro Svizzera la Corte EDU
ha escluso la compatibilita' con  la  disposizione  convenzionale  di
sanzioni irrogate a fronte del  rifiuto  di  rispondere  a  richieste
dell'autorita' amministrativa o di fornire documenti, nell'ambito  di
procedimenti fiscali. 
    4.- Non si e' costituita in giudizio la CONSOB, che era parte nel
giudizio a quo. 
    5.-  Nella  memoria  illustrativa   depositata   in   prossimita'
dell'udienza pubblica del 5 marzo 2019, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha richiamato le deduzioni gia' svolte nell'atto di intervento. 
    6.- Nella propria  memoria  illustrativa  D.  B.,  contestate  le
eccezioni  di  irrilevanza  sollevate  dalla  difesa   erariale,   ha
sottolineato  che  il  diritto  di  non  contribuire   alla   propria
incolpazione non potrebbe ritenersi recessivo rispetto  all'interesse
all'efficiente   funzionamento   del   mercato    pubblico,    stanti
l'intangibilita' del diritto di difesa di cui all'art. 24  Cost.  (e'
citata la sentenza n. 232 del 1989) e la circostanza che la direttiva
2003/6/CE  debba  rispettare  i  diritti  fondamentali  della  CDFUE,
secondo quando indicato nel suo quarantaquattresimo considerando. 
    7.-  All'esito  dell'udienza  pubblica  del  5  marzo  2019,  con
l'ordinanza n. 117 del 2019 questa Corte ha sottoposto alla Corte  di
giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art.  267  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), le  seguenti  questioni
pregiudiziali: 
    «a) se l'art. 14, paragrafo  3,  della  direttiva  2003/6/CE,  in
quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l'art.  30,  paragrafo
1, lettera b),  del  regolamento  (UE)  n.  596/2014  debbano  essere
interpretati nel senso  che  consentono  agli  Stati  membri  di  non
sanzionare chi si rifiuti  di  rispondere  a  domande  dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la propria responsabilita'  per
un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva"; 
    b) se, in caso di  risposta  negativa  a  tale  prima  questione,
l'art. 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto  tuttora
applicabile ratione temporis, e l'art. 30, paragrafo 1,  lettera  b),
del regolamento (UE) n. 596/2014 siano compatibili con gli artt. 47 e
48 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,  anche
alla luce  della  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare
anche  chi  si  rifiuti  di  rispondere  a   domande   dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la propria responsabilita'  per
un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva"». 
    8.- Con sentenza del 2 febbraio 2021 (in causa  C-481/19,  D.  B.
contro Consob) la grande sezione della Corte di giustizia ha statuito
che «[l]'articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE [...], e
l'articolo 30, paragrafo 1,  lettera  b),  del  regolamento  (UE)  n.
596/2014 [...], letti alla luce degli articoli 47 e  48  della  Carta
dei  diritti  fondamentali   dell'Unione   europea,   devono   essere
interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri  di  non
sanzionare una persona fisica, la quale, nell'ambito  di  un'indagine
svolta nei suoi confronti dall'autorita' competente a titolo di detta
direttiva o di detto  regolamento,  si  rifiuti  di  fornire  a  tale
autorita' risposte che possano far emergere  la  sua  responsabilita'
per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere
penale oppure la sua responsabilita' penale». 
    9.- E' stata quindi fissata nuova udienza innanzi a questa Corte,
per  il  prosieguo  della  trattazione  del  presente   giudizio   di
legittimita' costituzionale. 
    10.- In prossimita' dell'udienza pubblica  del  13  aprile  2021,
l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato un'ulteriore  memoria
illustrativa, chiedendo alla Corte, in via principale, di  dichiarare
irrilevanti  o  infondate  le  questioni  sollevate  dalla  Corte  di
cassazione. 
    10.1.- La difesa erariale ribadisce che D. B. e' stato sanzionato
dalla CONSOB non per il silenzio serbato in sede di audizione, ma per
le reiterate ed ingiustificate richieste  di  rinvio  dell'audizione,
sicche'  la  dedotta  violazione  del  diritto  al  silenzio  sarebbe
meramente ipotetica, con conseguente irrilevanza delle questioni. 
    Poiche' inoltre, secondo la sentenza D. B.  contro  Consob  della
Corte di giustizia, il diritto  al  silenzio  non  puo'  giustificare
qualsiasi  condotta  di  omessa  collaborazione  con   le   autorita'
competenti, quale il rifiuto a presentarsi a un'audizione  o  manovre
dilatorie  tendenti  a  rinviare  lo  svolgimento  della  stessa,  le
questioni sollevate dalla Corte di cassazione non  potrebbero  essere
accolte, riferendosi a una fattispecie in cui  la  parte  privata  e'
stata sanzionata per avere appunto posto in essere manovre dilatorie. 
    10.2.- In subordine, l'Avvocatura generale dello Stato chiede che
l'eventuale accoglimento delle questioni circoscriva la  portata  del
diritto al silenzio nei  termini  ricavabili  dalla  sentenza  D.  B.
contro Consob. 
    Ivi la Corte di giustizia avrebbe ricostruito  il  contenuto  del
diritto al silenzio alla luce della giurisprudenza della  Corte  EDU,
da cui risulterebbe il carattere non assoluto di  tale  diritto,  che
assumerebbe rilievo solo nella misura in cui  le  dichiarazioni  rese
dall'incolpato  su  questioni  di  fatto   abbiano   influito   sulla
motivazione  della  decisione  adottata  o  sulla  sanzione  inflitta
all'esito del procedimento (sono citate  le  sentenze  Murray  contro
Regno Unito e 19 marzo 2015, Corbet e altri contro  Francia,  nonche'
le conclusioni dell'Avvocato generale Pikamäe rese il 27 ottobre 2020
nella causa D. B. contro Consob). 
    Nell'ambito dei procedimenti innanzi alla CONSOB, la garanzia del
diritto al silenzio non dovrebbe essere letta nel senso di «rimettere
all'arbitrio individuale di pochi soggetti qualificati che dispongono
di tutte le informazioni rilevanti  per  qualificare  come  lecite  o
illecite le singole operazioni, la decisione se collaborare  o  meno,
consentendo  loro  di  stabilire  a   propria   discrezione   se   la
collaborazione richiesta sia  potenzialmente  pregiudizievole  per  i
loro interessi in quanto li esporrebbe, a loro giudizio,  a  sanzioni
amministrative». 
    Tale lettura, alla luce dell'«asimmetria  informativa  che  regna
nel  mercato  finanziario»,  priverebbe  di  ogni  effetto  utile  le
funzioni di vigilanza della CONSOB, la quale non disporrebbe, al fine
dell'accertamento di illeciti legati ad abusi di mercato,  di  poteri
autonomamente esercitabili di accesso, perquisizione e sequestro o di
intercettazione di comunicazioni. 
    Occorrerebbe al contrario differire l'operativita' della garanzia
del diritto al silenzio «ad un momento  successivo  al  completamento
delle indagini: vale a dire  al  momento  della  decisione  circa  la
sussistenza degli illeciti, o comunque ad un momento successivo  alla
contestazione formale  degli  addebiti;  momento  in  cui  si  potra'
realmente   valutare   se   le   dichiarazioni   doverosamente   rese
dall'incolpato siano utilizzabili al fine di accertare a  sua  carico
una violazione sanzionata». 
    Considerato inoltre che, secondo la  giurisprudenza  della  Corte
EDU (e' citata la sentenza Chambaz contro Svizzera), la garanzia  del
nemo  tenetur  se  ipsum  accusare   nell'ambito   dei   procedimenti
amministrativi «acquista consistenza  nei  casi  in  cui  il  mancato
riconoscimento   di   essa   possa   condurre   all'acquisizione   di
informazioni utilizzabili  contro  l'interessato  nell'ambito  di  un
procedimento penale», detta garanzia non dovrebbe applicarsi fino  al
momento in cui il presidente della CONSOB procede  alla  trasmissione
al  pubblico  ministero  della  documentazione  raccolta  nel   corso
dell'indagine ispettiva, ai sensi dell'art. 187-decies, comma 2,  del
d.lgs. n. 58 del 1998. 
    11.- Nella propria ulteriore memoria illustrativa, D.  B.  chiede
invece l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale,
alla luce dell'indicata sentenza resa dalla Corte di  giustizia,  che
ha chiarito come gli artt. 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE
e 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n.  596/2014  non
impongano di  sanzionare,  ai  sensi  dell'art.  187-quinquiesdecies,
anche colui che sia «indagato» dalla CONSOB per l'illecito  di  abuso
di informazioni privilegiate. 
    11.1.- La parte richiama le considerazioni svolte da questa Corte
nell'ordinanza n. 117 del 2019, secondo cui il  diritto  al  silenzio
non  puo'  di  per  se'  legittimare  il  rifiuto  del  soggetto   di
presentarsi all'audizione disposta dalla CONSOB, ne' il suo  indebito
ritardo nel presentarsi alla stessa audizione, «purche' sia garantito
- diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie - il suo diritto
a non  rispondere  alle  domande  che  gli  vengano  rivolte  durante
l'audizione stessa». 
    Nel  caso  di  specie,  D.  B.  non  disponeva,  nell'ambito  del
procedimento  avviato  dalla  CONSOB,  di  detta   garanzia,   invece
contemplata in materia penale dall'art. 64, comma 3, lettera b), cod.
proc. pen., nonche' dall'art.  3,  paragrafo  1,  lettera  e),  della
direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  22
maggio 2012, sul diritto all'informazione  nei  procedimenti  penali,
richiamato dal trentunesimo e dal  trentaduesimo  considerando  della
direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9
marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione  di
innocenza e del diritto di presenziare al processo  nei  procedimenti
penali; sicche' le sue richieste di rinvio  dell'audizione  sarebbero
giustificate dall'esercizio del diritto fondamentale al silenzio. 
    La  disposizione  censurata  sarebbe  dunque   costituzionalmente
illegittima  ove   utilizzata   per   sanzionare   sia   «l'esplicita
manifestazione della volonta' dell'incolpato di non rispondere»,  sia
«un ritardo rispetto a convocazioni prive  di  indicazioni  circa  il
diritto  di  evitare  di   rendere   dichiarazioni   autoincriminanti
nell'ambito del procedimento sanzionatorio ed  in  particolare  nella
sua fase istruttoria». 
    11.2.- Tanto premesso, la parte ripercorre la  giurisprudenza  di
questa Corte sulla  natura  fondamentale  del  diritto  al  silenzio,
corollario del diritto di difesa (e' citata la sentenza  n.  253  del
2019) e sul  carattere  punitivo,  secondo  i  criteri  Engel,  delle
sanzioni  amministrative  in  materia  di  abusi  di  mercato   (sono
richiamate le sentenze n. 112 del 2019, n. 63 del 2019,  n.  223  del
2018 e n.  68  del  2017),  per  concludere  che  il  censurato  art.
187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998  «non  opera  [...]  un
ragionevole bilanciamento tra il diritto  di  difesa  da  un  lato  e
quello al buon andamento della p.a. e della  tutela  del  credito  ex
art. 47 Cost. dall'altro», cosi' violando  l'art.  24  Cost.  Osserva
inoltre  che  «sarebbe  contraddittorio  se   l'ordinamento   interno
riconoscesse natura sostanzialmente penale/punitiva alla sanzione  de
qua [...]  per  poi  non  pretendere  che  in  siffatti  procedimenti
sanzionatori siano assicurate  almeno  le  garanzie  fondamentali  da
sempre riconosciute in quelli penali tra cui, in primis, il  "diritto
al silenzio"». 
    11.3.- Con riferimento alla violazione degli artt.  111  Cost.  e
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 CEDU, 14, comma 3,
lettera g), PIDCP, e 47 CDFUE, la parte  ripercorre  adesivamente  le
argomentazioni dell'ordinanza di rimessione,  dell'ordinanza  n.  117
del 2019 di questa Corte e della sentenza D. B. contro  Consob  della
Corte di giustizia, concludendo che  l'art.  187-quinquiesdecies  del
d.lgs. n. 58 del 1998 si pone in contrasto con detti parametri e  non
puo' essere interpretato  in  maniera  costituzionalmente  orientata,
sicche' dovrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione seconda civile, ha sollevato  -  accanto  alle  questioni  di
legittimita' costituzionale gia' definite  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 112 del 2019 - questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-quinquiesdecies del  decreto  legislativo  24  febbraio
1998,  n.  58  (Testo  unico  delle  disposizioni   in   materia   di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), nel testo  originariamente  introdotto
dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005,  n.  62
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2004), «nella parte in cui  detto  articolo  sanziona  la
condotta  consistente  nel  non  ottemperare   tempestivamente   alle
richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni
anche  nei  confronti  di  colui  al  quale   la   medesima   CONSOB,
nell'esercizio delle funzioni di  vigilanza,  contesti  un  abuso  di
informazioni privilegiate». 
    La disposizione e' censurata in riferimento agli artt. 24, 111  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU),  e
all'art. 14, comma  3,  lettera  g),  del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici (PIDCP), nonche' in riferimento agli  artt.
11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  47  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    2.- Le eccezioni di  inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura
generale dello Stato non sono fondate. 
    2.1.- Infondata e', anzitutto, l'eccezione di  irrilevanza  della
questione. 
    L'ordinanza di rimessione da' atto, invero, che il ricorrente nel
processo a quo e' stato sanzionato dalla Corte d'appello di Roma  non
gia' per essersi rifiutato di rispondere  alle  domande  poste  dalla
Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB) in sede  di
audizione,  bensi'  per  il  ritardo  nel  presentarsi  all'audizione
stessa. Da cio' l'Avvocatura generale dello Stato deduce in  sostanza
- in particolare nella memoria presentata in prossimita' dell'udienza
del 13 aprile 2021 - che anche  nell'ipotesi  di  accoglimento  delle
questioni il ricorrente  dovrebbe  essere  comunque  sanzionato,  dal
momento che il suo diritto al silenzio - secondo quanto espressamente
affermato  dalla  sentenza  della  grande  sezione  della  Corte   di
giustizia del 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, D. B. contro Consob
- non coprirebbe la condotta consistente nel ritardare le funzioni di
vigilanza della medesima CONSOB. 
    Tale rilievo non e', tuttavia, dirimente. 
    In primo luogo, la rilevanza di  una  questione  di  legittimita'
costituzionale deve essere vagliata ex ante sulla  base  del  petitum
cosi' come prospettato dal giudice rimettente, non gia' - ex  post  -
sulla  base  della  decisione  di  questa   Corte,   che   ben   puo'
circoscrivere  l'accoglimento  della   questione   in   termini   che
potrebbero anche non giovare alla parte del giudizio a  quo  nel  cui
interesse la questione  stessa  e'  stata  formulata.  Nel  caso  ora
all'esame, il rimettente ha ritenuto per l'appunto  di  estendere  il
petitum anche all'ipotesi del procurato ritardo nell'esercizio  delle
funzioni di vigilanza della CONSOB da parte del ricorrente; cio'  che
rende di per se' rilevante la questione prospettata. 
    Inoltre, come piu' volte precisato da questa Corte  (sentenze  n.
59 del 2021, n. 254 del 2020, n. 253 e n. 179 del  2019,  n.  20  del
2018), la nozione di  rilevanza  non  si  identifica  con  l'utilita'
concreta dell'auspicata pronuncia di accoglimento per  la  parte  nel
procedimento a quo: essenziale e sufficiente  a  conferire  rilevanza
alla  questione  prospettata  e',  infatti,  che  il  giudice   debba
effettivamente  applicare  la  disposizione  della  cui  legittimita'
costituzionale  dubita  nel  procedimento  pendente  avanti   a   se'
(sentenza  n.  253  del  2019)  e  che  la  pronuncia   della   Corte
«influi[sca]   sull'esercizio   della    funzione    giurisdizionale,
quantomeno sotto il profilo del percorso argomentativo  che  sostiene
la decisione del processo principale (tra le molte,  sentenza  n.  28
del 2010)» (sentenza n. 20 del 2016). 
    Infine,  non  puo'  non  reiterarsi  il  rilievo  -  gia'  svolto
nell'ordinanza n. 117 del 2019, e ripreso dalla parte  nelle  proprie
difese - per cui, nella valutazione della sanzionabilita' del ritardo
di D. B. nel presentarsi all'audizione  disposta  dalla  CONSOB,  ben
potrebbe il giudice del procedimento a quo valorizzare la circostanza
che il diritto al silenzio  non  era,  all'epoca,  garantito;  e  che
pertanto il ricorrente - presentandosi  all'audizione  -  si  sarebbe
trovato  di  fronte  all'alternativa  tra  rendere  in  quella   sede
dichiarazioni potenzialmente  autoaccusatorie,  ovvero  rischiare  di
essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni. 
    2.2.- Infondata e' altresi'  l'ulteriore  eccezione  (invero  non
ripresa nella  memoria  conclusiva)  di  erroneita'  del  presupposto
interpretativo,  relativa  alla  mancata  considerazione,  da   parte
dell'ordinanza di rimessione, dell'art. 220 del  decreto  legislativo
28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
transitorie del codice di  procedura  penale).  Tale  disposizione  -
nell'interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimita' -
escluderebbe l'utilizzabilita' delle dichiarazioni  rese  da  persona
nei cui confronti siano emersi, nel corso dell'attivita' ispettiva  e
di vigilanza, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile
come reato e le  cui  dichiarazioni,  cio'  nonostante,  siano  state
raccolte in violazione delle norme poste a garanzia  del  diritto  di
difesa. 
    Come gia' rilevato nell'ordinanza n. 117 del  2019,  e'  indubbio
che nell'ordinamento italiano non e' consentito - ai sensi  dell'art.
220 norme att. cod. proc.  pen.  -  utilizzare  nel  processo  penale
dichiarazioni  rese  all'autorita'  amministrativa   nel   corso   di
attivita'  ispettiva  o  di  vigilanza   senza   l'osservanza   delle
disposizioni del  codice  di  procedura  penale;  ma  e'  altrettanto
indubbio   che   tali   dichiarazioni   -   ottenute   dall'autorita'
amministrativa mediante la  minaccia  di  sanzione  per  il  caso  di
mancata cooperazione -  possono  in  concreto  fornire  all'autorita'
stessa (e poi al pubblico ministero) informazioni essenziali in vista
dell'acquisizione di  ulteriori  elementi  di  prova  della  condotta
illecita, destinati poi a essere utilizzati nel  successivo  processo
penale  contro  l'autore   della   condotta,   e   possono   pertanto
contribuire, almeno  indirettamente,  a  determinare  la  sua  futura
responsabilita' penale. 
    Anche a prescindere da tale considerazione, e' peraltro  decisivo
il rilievo che il diritto al silenzio e'  qui  invocato  dal  giudice
rimettente  quale  garanzia  in  capo  a  colui  che   possa   essere
successivamente accusato di avere commesso  anche  solo  un  illecito
amministrativo, ma suscettibile di dar luogo all'applicazione di  una
sanzione amministrativa dal  carattere  punitivo.  Indipendentemente,
dunque,   dalla   eventualita'   che   nei   suoi   confronti   venga
effettivamente contestata la commissione di un reato. 
    2.3.- Ictu oculi infondata e', infine,  l'eccezione  -  anch'essa
formulata dall'Avvocatura generale dello  Stato  soltanto  nel  primo
scritto difensivo - secondo cui il rimettente non avrebbe argomentato
sulla natura punitiva delle sanzioni amministrative per l'illecito di
abuso di informazioni privilegiate, di cui  D.  B.  fu  poi  ritenuto
responsabile dalla CONSOB. Il rimettente ha, in  effetti,  ampiamente
motivato sul punto  (pagine  14  e  15  dell'ordinanza),  in  termini
peraltro corrispondenti ad affermazioni piu' volte compiute da questa
stessa Corte, in  epoca  precedente  (sentenza  n.  68  del  2017)  e
successiva all'ordinanza di rimessione (sentenze n. 112 del 2019,  n.
63 del 2019 e n. 223 del 2018, nonche' ordinanza n. 117 del 2019). 
    3.- Nel  merito,  le  questioni  sollevate  dal  rimettente  sono
fondate in riferimento agli artt. 24, 117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6 CEDU e 14, paragrafo  3,  lettera  g),  PIDCP,
nonche' agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all'art.
47 CDFUE, restando assorbita la questione  formulata  in  riferimento
all'art. 111 Cost. 
    3.1.-  Come  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  rammentare
nell'ordinanza n. 117 del 2019, l'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs.
n. 58 del 1998, nella versione applicabile ratione temporis ai  fatti
di cui e' causa nel procedimento a quo, prevedeva: «[f]uori dai  casi
previsti dall'articolo 2638 del codice civile, chiunque non ottempera
nei termini alle richieste della CONSOB  ovvero  ritarda  l'esercizio
delle  sue  funzioni  e'  punito  con  la   sanzione   amministrativa
pecuniaria da euro cinquantamila ad euro un milione». 
    Tra i poteri attribuiti alla CONSOB si annovera  in  particolare,
ai sensi dell'art. 187-octies, comma 3, lettera c), del d.lgs. n.  58
del 1998, quello di «procedere ad audizione personale» nei  confronti
di «chiunque possa essere informato sui fatti». 
    Il tenore letterale dell'art. 187-quinquiesdecies del  d.lgs.  n.
58  del  1998,  nella  versione  vigente  al  momento  dei  fatti   e
applicabile nel  giudizio  a  quo,  appare  dunque  estendersi  anche
all'ipotesi in cui l'audizione personale sia disposta  nei  confronti
di colui che la CONSOB  abbia  gia'  individuato,  sulla  base  delle
informazioni in proprio possesso, come  il  possibile  autore  di  un
illecito il cui accertamento ricade entro la sua competenza. 
    Il giudice a quo  dubita,  tuttavia,  che  un  simile  esito  sia
compatibile  con  il  "diritto  al  silenzio",  fondato  su  tutti  i
parametri costituzionali e sovranazionali poc'anzi rammentati. 
    3.2.- Nell'ordinanza n. 117 del 2019, questa Corte ha gia'  avuto
modo di affermare: 
    - che il "diritto al silenzio" dell'imputato - pur non godendo di
espresso riconoscimento costituzionale - costituisce  un  «corollario
essenziale dell'inviolabilita' del diritto di  difesa»,  riconosciuto
dall'art. 24 Cost. (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e  n.  291  del
2002),   garantendo   nel   procedimento   penale   all'imputato   la
possibilita' di rifiutare di  sottoporsi  all'esame  testimoniale  e,
piu' in generale, di avvalersi della facolta' di non rispondere  alle
domande del giudice o dell'autorita' competente per le indagini; 
    - che questa Corte non ha avuto, sinora, l'occasione di stabilire
se  tale  diritto  si  estenda  anche  nell'ambito  di   procedimenti
amministrativi  funzionali  all'irrogazione  di  sanzioni  di  natura
punitiva secondo i criteri Engel; 
    - che, tuttavia, in numerose occasioni questa Corte  ha  ritenuto
che singole garanzie costituzionali previste per la materia penale si
estendano  anche  a  tali  sanzioni  e   ai   relativi   procedimenti
applicativi (si vedano le sentenze citate nell'ordinanza n.  117  del
2019 al punto 7.1. del Considerato in diritto, cui adde  sentenze  n.
68 del 2021 e n. 96 del 2020); 
    - che, d'altra parte, non v'e' dubbio che  le  sanzioni  previste
dagli artt. 187-bis e 187-ter del  d.lgs.  n.  58  del  1998  abbiano
natura punitiva (si vedano le sentenze di questa Corte,  della  Corte
EDU e della Corte di giustizia parimenti citate nell'ordinanza n. 117
del 2019 al punto 7.1. del Considerato in diritto); 
    - che la Corte EDU ha  dal  canto  suo  espressamente  esteso  il
diritto al silenzio desumibile dall'art.  6  CEDU  -  sub  specie  di
diritto a non cooperare alla propria  incolpazione  e  a  non  essere
costretto a rendere  dichiarazioni  di  natura  confessoria  -  anche
all'ambito   dei   procedimenti   amministrativi,   riconoscendo   in
particolare il diritto di chiunque sia sottoposto a  un  procedimento
che potrebbe sfociare nella  irrogazione  di  sanzioni  di  carattere
punitivo a non essere  obbligato  a  fornire  all'autorita'  risposte
dalle quali  potrebbe  emergere  la  propria  responsabilita',  sotto
minaccia di una sanzione in caso  di  inottemperanza  (si  vedano  le
sentenze citate nell'ordinanza n. 117 del  2019  al  punto  7.2.  del
Considerato in diritto); 
    - che dagli artt.  47  e  48  CDFUE  parrebbe  parimenti  doversi
desumere un tale diritto, pur in assenza  di  una  giurisprudenza  in
termini della Corte di giustizia. 
    3.3.- Rilevato,  peraltro,  che  l'art.  187-quinquiesdecies  del
d.lgs. n. 58 del 1998 censurato costituisce  specifica  trasposizione
dell'obbligo sancito  dall'art.  14,  paragrafo  3,  della  direttiva
2003/6/CE  (poi  sostituito,  in  termini  analoghi,  dall'art.   30,
paragrafo  1,  lettera  b,  del  regolamento  UE  n.  596/2014),  con
l'ordinanza n. 117 del 2019 questa  Corte  aveva  ritenuto  di  dover
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la
duplice domanda pregiudiziale, di  interpretazione  e  di  validita',
letteralmente riportata supra (punto 7 del Ritenuto in  fatto).  Cio'
allo scopo di chiarire, da un lato, se le citate  disposizioni  della
direttiva 2003/6/CE e del regolamento (UE) n.  596/2014,  anche  alla
luce degli artt. 47 e 48 CDFUE, possano essere interpretate nel senso
di non vincolare gli Stati membri a  sanzionare  chi  si  rifiuti  di
rispondere a domande  dell'autorita'  competente  dalle  quali  possa
emergere la  propria  responsabilita'  per  un  illecito  punito  con
sanzioni amministrative di  natura  punitiva,  esercitando  cosi'  il
proprio diritto al  silenzio  nell'ambito  di  tale  procedimento;  e
dall'altro lato se,  in  caso  di  risposta  negativa  a  tale  prima
domanda, le disposizioni in parola siano  compatibili  con  i  citati
artt. 47 e 48 CDFUE. 
    3.4.- Nella propria sentenza D. B. contro  Consob,  la  Corte  di
giustizia ha in sintesi risposto: 
    - che, in forza del combinato disposto dell'art. 6, paragrafo  3,
del Trattato sull'Unione europea (TUE) e dell'art. 52, paragrafo,  3,
CDFUE, nell'interpretazione degli artt. 47 e 48 CDFUE occorre  tenere
conto dei diritti corrispondenti garantiti  dall'art.  6  CEDU,  come
interpretato dalla Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  in  quanto
soglia di protezione minima; 
    - che, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU  sull'art.  6
CEDU, il diritto al silenzio si trova al centro della nozione di equo
processo; 
    - che, «[t]enuto conto che la protezione del diritto al  silenzio
mira a garantire che, in una causa penale, l'accusa fondi la  propria
argomentazione senza ricorrere ad elementi di prova ottenuti mediante
costrizione o  pressioni,  in  spregio  alla  volonta'  dell'imputato
[...], tale diritto risulta violato, segnatamente, in una  situazione
in cui un sospetto, minacciato di sanzioni per  il  caso  di  mancata
deposizione, o  depone  o  viene  punito  per  essersi  rifiutato  di
deporre» (paragrafo 39); 
    - che, d'altra parte,  tale  diritto  «non  puo'  ragionevolmente
essere limitato alle confessioni di illeciti o alle osservazioni  che
chiamino  direttamente  in  causa  la  persona  interrogata,   bensi'
comprende anche le informazioni su questioni  di  fatto  che  possano
essere successivamente utilizzate a  sostegno  dell'accusa  ed  avere
cosi' un impatto sulla condanna o  sulla  sanzione  inflitta  a  tale
persona» (paragrafo 40), ma al tempo stesso non puo' essere  invocato
a  giustificazione  di  «qualsiasi  omessa  collaborazione   con   le
autorita' competenti, qual e' il caso di un rifiuto di presentarsi ad
un'audizione prevista  da  tali  autorita'  o  di  manovre  dilatorie
miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione  stessa»  (paragrafo
41); 
    - che il  diritto  in  questione  deve  essere  rispettato  anche
nell'ambito di procedure di accertamento di illeciti  amministrativi,
suscettibili di sfociare nell'inflizione di  sanzioni  amministrative
di carattere  sostanzialmente  penale,  come  nel  caso  oggetto  del
procedimento a quo; 
    - che tale conclusione «non trova smentita  nella  giurisprudenza
della Corte [di giustizia] relativa alle norme dell'Unione in materia
di concorrenza, da cui risulta, in sostanza, che, nell'ambito  di  un
procedimento inteso all'accertamento di una violazione di tali norme,
l'impresa interessata  puo'  essere  costretta  a  fornire  tutte  le
informazioni necessarie relative ai fatti  di  cui  essa  puo'  avere
conoscenza e a fornire, ove occorra, i documenti pertinenti che siano
in suo possesso, anche quando questi possano servire per  dimostrare,
segnatamente nei suoi  confronti,  l'esistenza  di  un  comportamento
anticoncorrenziale» (paragrafo 46). Cio' perche' - da un lato - anche
in tale contesto l'impresa non e' comunque tenuta a fornire  risposte
in  virtu'  delle  quali  essa  si  troverebbe  a   dover   ammettere
l'esistenza di una violazione siffatta, e perche' - dall'altro - tale
giurisprudenza concerne persone giuridiche, e  «non  puo'  applicarsi
per analogia quando si tratta di stabilire la portata del diritto  al
silenzio di persone fisiche» come il ricorrente nel  giudizio  a  quo
(paragrafo 48); 
    - che  nell'interpretazione  delle  norme  del  diritto  derivato
dell'Unione, deve  essere  sempre  preferita  «quella  che  rende  la
disposizione conforme al diritto primario anziche' quella che porta a
constatare la sua incompatibilita' con quest'ultimo» (paragrafo 50); 
    - che le disposizioni della direttiva 2003/6/CE e del regolamento
(UE) n. 596/2014, oggetto dei quesiti di questa Corte,  «si  prestano
ad una interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 della Carta, in
virtu' della quale essi non impongono che una  persona  fisica  venga
sanzionata per il suo rifiuto  di  fornire  all'autorita'  competente
risposte da cui potrebbe  emergere  la  sua  responsabilita'  per  un
illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale
oppure la sua responsabilita' penale» (paragrafo 55); 
    - che, anzi, dal diritto al silenzio garantito dagli artt.  47  e
48 CDFUE, come sopra interpretati, discende l'obbligo, a carico degli
Stati membri, di assicurare che una persona fisica non  possa  essere
sanzionata in circostanze siffatte (paragrafo 57). 
    3.5.- L'interpretazione della Corte di giustizia appena riassunta
collima, dunque, con la ricostruzione offerta da questa  Corte  della
portata  del  diritto  al  silenzio   nell'ambito   di   procedimenti
amministrativi che - come quello che ha interessato il ricorrente nel
giudizio a quo - siano comunque funzionali a scoprire  illeciti  e  a
individuarne i responsabili, e  siano  suscettibili  di  sfociare  in
sanzioni amministrative di carattere punitivo. 
    Tale diritto e' fondato, assieme, sull'art. 24 Cost., sull'art. 6
CEDU e sugli artt. 47 e 48 CDFUE, questi ultimi  nell'interpretazione
che ne ha ora fornito la Corte di giustizia; e puo'  essere  ricavato
altresi' dall'art. 14, paragrafo 3, lettera g), PIDCP,  laddove  alla
nozione di «reato»  contenuta  nell'incipit  del  paragrafo  3  venga
assegnato  un  significato  sostanziale,  corrispondente   a   quello
gradatamente individuato dalle due  corti  europee  a  partire  dalla
sentenza della Corte EDU 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi. 
    Tutte queste norme, nazionali e  sovranazionali,  «si  integrano,
completandosi reciprocamente nella interpretazione» (sentenza n.  388
del 1999, nonche', di recente,  sentenza  n.  187  del  2019),  nella
definizione dello standard di tutela delle condizioni essenziali  del
diritto di difesa di fronte  a  un'accusa  suscettibile  di  sfociare
nell'applicazione di sanzioni a contenuto comunque punitivo, che  non
possono non comprendere il diritto -  con  le  parole  dell'art.  14,
paragrafo 3, lettera g), PIDCP - a «non essere  costretto  a  deporre
contro se stesso». 
    3.6.- Resta, a questo punto, soltanto da precisare la portata  di
tale diritto con riferimento alla specifica  questione  sottoposta  a
questa Corte, a fronte della prospettazione del giudice rimettente  e
delle allegazioni delle parti. 
    Ritiene questa Corte, sulla base anche delle indicazioni  fornite
dalla Corte di giustizia in merito alla portata degli artt. 47  e  48
CDFUE,  che  sia  incompatibile  con  il  diritto  al   silenzio   la
possibilita' di sanzionare una persona fisica la quale, richiesta  di
fornire  informazioni  alla  CONSOB  nel  quadro  dell'attivita'   di
vigilanza svolta  da  quest'ultima  e  funzionale  alla  scoperta  di
illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero - a  fortiori
- nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei
suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a  domande,  formulate
in sede di audizione o  per  iscritto,  dalle  quali  sarebbe  potuta
emergere una  sua  responsabilita'  per  un  illecito  amministrativo
sanzionato con misure di carattere punitivo, o  addirittura  una  sua
responsabilita' di carattere penale. 
    Come ha chiarito la Corte  di  giustizia,  non  solo  il  diritto
derivato dell'Unione non impone allo Stato italiano di applicare  una
simile sanzione, ma - anzi - la sua applicazione in un caso  siffatto
risulterebbe in contrasto con lo stesso diritto primario dell'Unione. 
    Non puo' condividersi, in proposito, la lettura  restrittiva  del
diritto al silenzio proposta  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato
nella sua memoria conclusiva,  secondo  cui  l'operativita'  di  tale
garanzia andrebbe riservata  al  momento  della  decisione  circa  la
sussistenza dell'illecito, o comunque ad un momento  successivo  alla
contestazione formale di esso, quando l'autorita'  sia  in  grado  di
«valutare se le dichiarazioni doverosamente rese dall'incolpato siano
utilizzabili al  fine  di  accertare  a  sua  carico  una  violazione
sanzionata».  Una  tale  lettura  condurrebbe,  infatti,   a   negare
l'essenza stessa del diritto al silenzio, che consiste - precisamente
- nel diritto di rimanere in silenzio, ossia di non essere  costretto
- sotto  minaccia  di  una  sanzione,  come  quella  comminata  dalla
disposizione in questa  sede  censurata  -  a  rendere  dichiarazioni
potenzialmente contra se ipsum, e dunque a rispondere a domande dalle
quali possa emergere una propria responsabilita'. Tale garanzia  deve
potersi necessariamente esplicare anche in una fase antecedente  alla
instaurazione  del  procedimento  sanzionatorio,  e  in   particolare
durante l'attivita' di vigilanza svolta dall'autorita',  al  fine  di
scoprire eventuali illeciti e di individuarne i responsabili. 
    Peraltro, come parimenti sottolineato dalla  Corte  di  giustizia
(paragrafo 41 della sentenza D. B. contro Consob) e come gia'  questa
Corte aveva rilevato nell'ordinanza n. 117  del  2019  (punto  4  del
Considerato in  diritto),  il  diritto  al  silenzio  non  giustifica
comportamenti ostruzionistici che  cagionino  indebiti  ritardi  allo
svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB, come il rifiuto
di presentarsi ad un'audizione prevista  da  tali  autorita',  ovvero
manovre dilatorie miranti a rinviare  lo  svolgimento  dell'audizione
stessa. Ne' il diritto  al  silenzio  potrebbe  legittimare  l'omessa
consegna  di  dati,  documenti,   registrazioni   preesistenti   alla
richiesta della CONSOB,  formulata  ai  sensi  dell'art.  187-octies,
commi 3 e 4, del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    3.7.-  Va  dunque  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del  1998,  nel  testo
introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge  n.  62  del
2005 e vigente al momento del  fatto  addebitato  al  ricorrente  nel
processo a quo, nella parte in cui  si  applica  anche  alla  persona
fisica che si sia rifiutata  di  fornire  alla  CONSOB  risposte  che
possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile
di sanzioni amministrative  di  carattere  punitivo,  ovvero  per  un
reato. 
    4.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale deve essere estesa,
in    via     consequenziale,     alle     disposizioni     dell'art.
187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998 cosi' come  modificate,
rispettivamente, dall'art. 24, comma 1, lettera c), del decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del
Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre  2012,
n. 221, e dall'art. 5, comma 3,  del  decreto  legislativo  3  agosto
2017, n. 129, recante  «Attuazione  della  direttiva  2014/65/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014,  relativa  ai
mercati degli  strumenti  finanziari  e  che  modifica  la  direttiva
2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, cosi',  come  modificata  dalla
direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23
giugno  2016,  e  di  adeguamento  della  normativa  nazionale   alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento  europeo
e del Consiglio, del 15 maggio  2014,  sui  mercati  degli  strumenti
finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, cosi' come
modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio, del 23 giugno 2016». 
    La prima modifica estende le sanzioni previste dalla  norma  alle
condotte di mancata collaborazione con  la  Banca  d'Italia,  tra  le
quali deve ritenersi compresa anche la  mancata  risposta  a  domande
formulate dalla stessa Banca d'Italia, che possano  far  emergere  la
responsabilita' della persona fisica per  un  illecito  passibile  di
sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per  un  reato.
Anche rispetto a tale situazione, strutturalmente identica  a  quella
della mancata risposta  alle  domande  della  CONSOB,  non  puo'  non
operare il medesimo diritto al silenzio, nei limiti sopra  enucleati;
onde la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  che  colpisce
la disposizione nella  versione  vigente  all'epoca  dei  fatti  deve
necessariamente colpire, in parte qua, anche  la  nuova  formulazione
introdotta dalla novella in parola. 
    La  seconda  modifica  ha  precisato  che   il   ritardo   recato
all'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della  CONSOB  e'
sanzionato con riferimento alle  sole  funzioni  «di  vigilanza»,  ha
aggiunto al  novero  delle  condotte  sanzionate  quella  di  mancata
cooperazione, e ha modificato la  cornice  edittale  delle  sanzioni,
differenziando tra persone fisiche e persone giuridiche. Dal  momento
che il dato testuale  risultante  dalla  novella  lascia  intatta  la
possibilita' di sanzionare  la  persona  fisica  che  si  rifiuti  di
rispondere a domande formulate dalla Banca d'Italia  o  dalla  CONSOB
dalle quali possa emergere una sua responsabilita'  per  un  illecito
amministrativo punito con sanzioni di natura punitiva, ovvero per  un
reato,  anche  tale  nuova  formulazione   deve   essere   dichiarata
costituzionalmente illegittima in parte qua. 
    5.- Merita infine sottolineare che la decisione  delle  questioni
di legittimita' costituzionale ora  sottoposte  all'esame  di  questa
Corte    e'    unicamente    incentrata    sulla    disposizione    -
l'art.187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del  1998  -  dalla  quale
discende l'obbligo di  sanzionare  anche  chi  si  sia  rifiutato  di
rispondere  alle  domande  della  Banca  d'Italia  e   della   CONSOB
nell'esercizio del  proprio  diritto  al  silenzio,  obbligo  che  la
presente pronuncia dichiara costituzionalmente illegittimo. Spettera'
poi primariamente al legislatore la piu' precisa  declinazione  delle
ulteriori modalita' di tutela di tale diritto -  non  necessariamente
coincidenti con quelle che vigono nell'ambito del procedimento e  del
processo penale - rispetto alle attivita' istituzionali  della  Banca
d'Italia e della CONSOB, in modo  da  meglio  calibrare  tale  tutela
rispetto alle specificita' dei procedimenti che  di  volta  in  volta
vengono in considerazione,  nel  rispetto  dei  principi  discendenti
dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e
dal diritto dell'Unione europea.