ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2,
del decreto-legge 30 novembre  2013,  n.  133  (Disposizioni  urgenti
concernenti l'IMU, l'alienazione di  immobili  pubblici  e  la  Banca
d'Italia), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  29  gennaio
2014, n. 5, promossi con due ordinanze  del  7  novembre  2019  dalla
Commissione    tributaria    regionale    del    Lazio,     iscritte,
rispettivamente, ai numeri 153 e 193 del registro ordinanze  2020,  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  45,  prima
serie speciale,  dell'anno  2020,  e  n.  2,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione della Axa Mps assicurazione  danni
spa e della Axa Mps assicurazione  vita  spa,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
    Ritenuto che, con due ordinanze di analogo tenore del 7  novembre
2019 (reg. ord. n. 153 e n. 193 del 2020), la Commissione  tributaria
regionale (CTR) del Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
53  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 2, del decreto-legge  30  novembre  2013,  n.  133
(Disposizioni urgenti concernenti l'IMU,  l'alienazione  di  immobili
pubblici e la Banca d'Italia), convertito, con  modificazioni,  nella
legge 29 gennaio 2014, n. 5,  il  quale  prevede  che,  «[i]n  deroga
all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n.  212,  per  il  periodo
d'imposta in corso al 31 dicembre 2013,  per  gli  enti  creditizi  e
finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87,  per
la Banca d'Italia e  per  le  societa'  e  gli  enti  che  esercitano
attivita' assicurativa, l'aliquota di cui all'articolo 77  del  testo
unico delle imposte sui redditi, di cui  al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986,  n.  917,  e'  applicata  con  una
addizionale di 8,5 punti percentuali.  L'addizionale  non  e'  dovuta
sulle variazioni in aumento derivanti dall'applicazione dell'articolo
106, comma 3, del suddetto testo unico»; 
    che le questioni sono sorte nel corso di due giudizi che traggono
origine  dai  ricorsi  proposti,  rispettivamente,  dalla   Axa   Mps
assicurazioni danni spa  e  dalla  Axa  Mps  assicurazioni  vita  spa
avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulle istanze di  rimborso  dei
tributi da esse versati, ai sensi del citato art.  2,  comma  2,  del
d.l. n. 133 del 2013,  a  titolo  di  "addizionale"  all'imposta  sui
redditi delle societa' (IRES) dovuta per il 2013; 
    che, secondo quanto riferito dai giudici a  quibus,  le  societa'
ricorrenti  hanno  interposto  appello  avverso  le  sentenze   della
Commissione tributaria provinciale di Roma di  rigetto  dei  ricorsi,
chiedendo: a) in via principale, di riformare le  sentenze  impugnate
per insufficiente e contraddittoria motivazione circa la  sussistenza
di una discriminazione fiscale quale effetto dell'applicazione  della
norma censurata  alle  societa'  ed  enti  che  esercitano  attivita'
assicurativa; b)  in  via  subordinata,  di  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale della  norma  denunciata  per  violazione
degli artt. 3, 41, 53 e 77 Cost. o, in alternativa, di rimettere alla
Corte di giustizia la questione di compatibilita'  con  l'ordinamento
dell'Unione europea  della  predetta  addizionale;  c)  in  ulteriore
subordine, di sospendere il giudizio in attesa della pronuncia  della
Corte  «in  merito  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata a seguito dell'ordinanza n. 345/2018 dalla CTR del Piemonte
e dell'ordinanza 25/2019 della CTR di Trento»; 
    che, in  entrambi  i  giudizi,  la  CTR  del  Lazio  ha  ritenuto
rilevanti e non manifestamente infondate la  questioni  sollevate  in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. quanto ai principi di uguaglianza
e di capacita' contributiva; 
    che, ad avviso dei giudici rimettenti, secondo la  giurisprudenza
di  questa  Corte  sul  principio  di  capacita'  contributiva  quale
presupposto e limite  del  potere  impositivo  dello  Stato  e  quale
specificazione settoriale del piu' ampio principio di uguaglianza  di
cui all'art. 3 Cost. (sono citate le sentenze n. 258 del 2002; n. 341
del 2000  e  n.  155  del  1963),  una  diversificazione  del  regime
tributario per  aree  economiche  o  per  tipologia  di  contribuenti
sarebbe consentita solo laddove «supportata da adeguate e  comprovate
giustificazioni,  in  assenza   delle   quali   la   differenziazione
degener[erebbe]  in  arbitraria  discriminazione»  (sono  citate   le
sentenze n. 111 del 1997, n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012),  e  «la
eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta in  un  settore  [...]
dovrebbe     necessariamente     riflettersi     sulla      struttura
dell'imposizione» (sentenza n. 10 del 2015); 
    che il censurato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013,  come
convertito, non soddisferebbe nessuno dei requisiti di adeguatezza  e
ragionevolezza richiesti ai fini  del  rispetto  dei  principi  sopra
enunciati in quanto, avuto riguardo al 2013, per il settore  bancario
e  finanziario  non  risulterebbero  dimostrati  ne'   un'eccezionale
redditivita' (a fronte di una maggiore liquidita'), ne' l'ottenimento
di sovraprofitti riconducibili a rendite di posizione  o  a  vantaggi
congiunturali; 
    che,  inoltre,  la  struttura  dell'imposizione  addizionale  non
sarebbe ancorata a  un  indice  di  capacita'  contributiva,  ne'  il
legislatore avrebbe manifestato l'intenzione di  colpire  un  maggior
reddito o un volume di affari superiore a un dato valore; 
    che la norma censurata, per un verso, graverebbe dell'addizionale
il reddito  complessivo  netto  senza,  tuttavia,  individuare  alcun
elemento in grado di  giustificare  «il  sacrificio  patrimoniale  al
quale  viene  sottoposta  una  determinata  categoria  di  soggetti»,
lasciando altresi' indenni,  a  parita'  di  capacita'  contributiva,
altre categorie; per altro verso, non prevedrebbe un  meccanismo  che
consenta di  tassare  piu'  severamente  solo  l'eventuale  parte  di
reddito connessa alla presunta posizione privilegiata  dell'attivita'
esercitata dal contribuente; 
    che, ad avviso dei giudici rimettenti, l'unica ratio  ascrivibile
alla norma censurata consisterebbe nella necessita' di copertura  del
deficit di bilancio causato dalla  soppressione  della  seconda  rata
IMU, cosicche' l'oggetto della tassazione  sarebbe  «non  il  maggior
reddito o la presunta maggior capacita' di realizzare profitti, ma la
maggior liquidita' e la  presunta  maggior  solidita'  delle  imprese
bancarie e assicurative»; 
    che, il lamentato vulnus agli artt. 3 e  53  Cost.  non  potrebbe
d'altronde essere escluso soltanto in forza del carattere transitorio
della misura impositiva oggetto della censura; 
    che, infine, il trattamento differenziato riservato  dalla  norma
censurata solo ad alcuni soggetti non  potrebbe  essere  giustificato
nemmeno da  ragioni  di  solidarieta'  sociale,  non  essendo  queste
«idonee da sole,  in  difetto  di  un  obiettivo  indice  di  maggior
capacita'  contributiva»,  a  superare  gli  illustrati  rilievi   di
illegittimita' costituzionale; 
    che, le questioni sarebbero rilevanti  in  quanto  la  sorte  dei
relativi  giudizi  dipenderebbe  unicamente  dall'applicazione  della
norma denunciata, senza che a cio' osti la possibilita' per la  Corte
di regolare in sentenza gli effetti di una pronuncia di  accoglimento
(e' citata nuovamente la sentenza n. 10 del 2015); 
    che  nei  rispettivi  giudizi  si  sono  costituite  la  Axa  Mps
assicurazioni danni spa e la  Axa  Mps  assicurazioni  vita  spa,  le
quali, spendendo le medesime  difese,  hanno  chiesto  l'accoglimento
della questione di costituzionalita' sulla scorta  di  argomentazioni
sostanzialmente riproduttive di quelle addotte dai rimettenti; 
    che entrambe le parti hanno altresi' chiesto a  questa  Corte  di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2,  del
d.l. n. 133 del 2013 «eventualmente, per gli ulteriori  difetti,  non
considerati dal Giudice rimettente» e, segnatamente, in  riferimento:
a) all'art. 77 Cost., per la mancanza di «una effettiva necessita' di
urgenza collegata  all'adozione  dell'addizionale»;  b)  all'art.  41
Cost., per la lesione del legittimo affidamento riconducibile anche a
tale  parametro,  in  quanto  l'addizionale  avrebbe   frustrato   le
iniziative economiche gia' assunte e i costi  gia'  sostenuti,  senza
consentire al privato di rideterminare le sue scelte imprenditoriali; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate inammissibili o manifestamente non fondate; 
    che l'inammissibilita'  discenderebbe  dall'asserito  difetto  di
motivazione in  ordine  alle  ragioni  per  le  quali  «il  carattere
temporale dell'operazione non sarebbe rilevante al fine  di  provarne
la  legittimita'   costituzionale»,   laddove   invece   proprio   la
transitorieta' consentirebbe di circoscrivere l'aggravio di imposta a
una cerchia specifica di contribuenti; 
    che, nel merito,  le  questioni  sarebbero,  in  ogni  caso,  non
fondate; 
    che la denunciata discriminazione  qualitativa  del  reddito  non
sarebbe irragionevole, poiche', da un lato, i  redditi  prodotti  dai
soggetti   passivi   incisi   dall'addizionale   esprimerebbero   una
differenziata  capacita'  contributiva  desumibile  dalle   peculiari
caratteristiche di accesso e di regolazione del settore economico cui
appartengono  i  «servizi  bancari,  assicurativi,  finanziari»,   e,
dall'altro lato, l'aggravio d'imposta derivante dalla norma censurata
sarebbe transitorio e giustificato anche  da  esigenze  di  copertura
finanziaria a beneficio di settori socialmente ed economicamente piu'
deboli; 
    che, pertanto, la norma in esame  costituirebbe  «un  ragionevole
contemperamento   tra   tutti   gli   interessi   coinvolti»,   cosi'
sottraendosi alle censure dei rimettenti; 
    che, ad avviso della  difesa  statale,  conformemente  «a  questi
concetti», la sentenza n.  288  del  2019  di  questa  Corte  avrebbe
rigettato analoghe questioni concernenti lo stesso art. 2,  comma  2,
del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, e il  suo  esito  dovrebbe
essere qui confermato, poiche' le odierne ordinanze di rimessione non
apporterebbero  nuovi  argomenti  idonei   a   condurre   a   diversa
conclusione; 
    che in data 7 luglio 2021 sia la Axa Mps assicurazioni danni  spa
che la Axa Mps assicurazioni vita spa hanno depositato memorie  fuori
termine. 
    Considerato che, con  due  ordinanze  di  analogo  tenore  del  7
novembre 2019 (reg. ord. n. 153 e n. 193 del  2020),  la  Commissione
tributaria regionale (CTR) del Lazio  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e  53  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2, del  decreto-legge  30  novembre
2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti  l'IMU,  l'alienazione
di  immobili  pubblici  e  la  Banca   d'Italia),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5,  il  quale  prevede
che, «[i]n deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n.  212,
per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, per  gli  enti
creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 87, per la Banca d'Italia  e  per  le  societa'  e  gli  enti  che
esercitano attivita' assicurativa, l'aliquota di cui all'articolo  77
del testo unico delle imposte sui redditi,  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e'  applicata
con una addizionale di 8,5 punti percentuali.  L'addizionale  non  e'
dovuta  sulle  variazioni  in  aumento  derivanti   dall'applicazione
dell'articolo 106, comma 3, del suddetto testo unico»; 
    che il thema decidendum e' limitato  alle  censure  proposte  dai
giudici a quibus e  non  puo'  estendersi  alle  ulteriori  questioni
sollevate dalle parti private (ex plurimis, sentenze n. 147, n.  109,
n. 49 e n. 35 del 2021, n. 186 e n. 165 del 2020, n. 78 e  n.  7  del
2019); 
    che, secondo i giudici rimettenti, la norma censurata lederebbe i
principi  di  capacita'  contributiva  e   di   uguaglianza,   avendo
introdotto un aggravio dell'imposta sui redditi delle societa' (IRES)
in  assenza  di  ragioni  giustificatrici  di   una   discriminazione
qualitativa dei redditi; 
    che   resterebbe   infatti   indimostrata    sia    l'eccezionale
redditivita' del settore bancario, finanziario e assicurativo, sia la
sussistenza di extraprofitti; 
    che, dunque, l'addizionale (recte: la sovraimposta)  non  sarebbe
ancorata ad un indice di capacita' contributiva,  ne'  sarebbe  stato
previsto un  meccanismo  impositivo  che  consenta  di  tassare  piu'
severamente solo l'eventuale parte di reddito connessa alla  presunta
posizione privilegiata dell'attivita' esercitata in tali settori; 
    che   la   disciplina   censurata    non    troverebbe    nemmeno
giustificazione nella natura transitoria - in quanto limitata al solo
anno 2013 - ne' nelle asserite esigenze di solidarieta' sociale; 
    che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni  identiche,
concernenti la medesima  disposizione,  sicche'  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione; 
    che in entrambi i giudizi l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha
eccepito  preliminarmente  l'inammissibilita'  delle  questioni   per
difetto di motivazione quanto all'assertivita' dell'argomento secondo
il  quale  «il  carattere  temporale  dell'operazione   non   sarebbe
rilevante  al  fine  di  provarne  la  legittimita'  costituzionale»,
laddove   invece   proprio   la   transitorieta'   consentirebbe   di
circoscrivere l'aggravio  di  imposta  a  una  cerchia  specifica  di
contribuenti; 
    che l'eccezione non e' fondata, perche' i giudici a  quibus,  nel
lamentare  la  mancanza  di  un'adeguata  giustificazione   obiettiva
«coerentemente  tradotta   nella   struttura   dell'imposta»,   hanno
sinteticamente,    ma    esaurientemente    motivato    il    profilo
dell'inidoneita'  della  sola  natura  transitoria  dell'inasprimento
fiscale a rendere legittima la norma censurata; 
    che,  nel  merito,  le  censure  dei  rimettenti  debbono  essere
inquadrate innanzitutto nell'ambito delle cosiddette  discriminazioni
qualitative dei redditi, alla luce del combinato disposto degli artt.
3 e 53 Cost., in forza del quale «"ogni diversificazione  del  regime
tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve
essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali
la   differenziazione   degenera   in   arbitraria   discriminazione"
(sostanzialmente nello  stesso  senso,  sentenze  n.  104  del  1985,
relativa agli emolumenti arretrati per lavoro dipendente, e n. 42 del
1980, in tema di imposta locale sui redditi)» (sentenza  n.  288  del
2019); 
    che le indicate questioni sono manifestamente infondate; 
    che, infatti, questa Corte, con la citata  sentenza  n.  288  del
2019, successiva alle ordinanze di rimessione qui in esame,  ha  gia'
dichiarato  non  fondate  le  medesime  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del  2013,  come
convertito, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53  Cost.  quanto
ai principi di uguaglianza e di capacita' contributiva; 
    che, in particolare, questa Corte ha chiarito, per un verso,  che
il presupposto dell'«addizionale» non attiene ne' alla sussistenza di
extraprofitti, ne'  alla «elevata liquidita' "a breve"» dei  soggetti
operanti  nei  settori  creditizi,  finanziari  e  assicurativi;  per
l'altro verso, che «non  appare  in  se'  censurabile  [...]  che  il
legislatore   abbia   assunto   come   presupposto   dell'imposizione
l'appartenenza dei soggetti passivi della nuova  imposta  al  mercato
finanziario   (cui   questi   sono   evidentemente    riconducibili),
ravvisandovi uno specifico indice di capacita' contributiva», dati  i
«connotati di tipo oligopolistico, con la conseguenza che le  imprese
in esso operanti dispongono di un significativo  potere  di  mercato,
derivante anche da un certo grado (variabile in relazione ai  servizi
e ai settori) di anelasticita' della  domanda»;  del  resto,  «in  un
contesto complesso come  quello  contemporaneo,  dove  si  sviluppano
nuove e multiformi creazioni di  valore,  il  concetto  di  capacita'
contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo  a  indici
tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare  anche
altre e piu' evolute forme di capacita', che ben possono denotare una
forza o una potenzialita' economica» (sentenza n. 288 del 2019); 
    che, inoltre, la medesima sentenza n. 288 del  2019  ha  ritenuto
non   travalicato   il   limite   dell'arbitrarieta'   della   misura
dell'imposizione, in quanto la disposizione denunciata va considerata
nel contesto di una piu' ampia riforma  legislativa,  che  ha  recato
«significativi  effetti  compensativi  in  riferimento  ai   soggetti
passivi della nuova imposta»; 
    che, quindi, se, da un lato, non si puo' certo  ritenere  che  lo
stesso   mercato   finanziario,   nonostante   le   sopra   descritte
caratteristiche strutturali, non sia  stato,  a  sua  volta,  colpito
dalla crisi, dall'altro, non si puo' tuttavia non considerare che  il
legislatore, con plurimi interventi agevolativi,  «ha  dimostrato  di
venire incontro a  una  puntuale  esigenza  degli  specifici  settori
finanziario, creditizio e assicurativo, in  conseguenza  della  crisi
economica» (sentenza n. 288 del 2019); 
    che anche la doglianza fondata sull'inidoneita' della mera natura
transitoria a giustificare misure fiscali e' gia' stata  esaminata  e
superata, riconoscendo pero' a tale elemento unicamente la valenza di
argomento aggiuntivo nel  contesto  di  una  valutazione  sistematica
della nuova imposta, in quanto «[d]i per se' [...]  la  temporaneita'
dell'imposizione non costituisce un argomento sufficiente  a  fornire
giustificazione  a  un'imposta,  che  potrebbe   comunque   risultare
disarticolata dai  principi  costituzionali»  (sentenza  n.  288  del
2019); 
    che,  infine,  quanto  alla  dedotta  assenza   di   ragioni   di
solidarieta' sociale  alla  base  della  misura  fiscale  introdotta,
questa Corte ha gia' concluso per  la  non  fondatezza  del  rilievo,
evidenziando che il suddetto intervento legislativo,  in  connessione
con quello sulla seconda rata dell'IMU, ha, in ogni caso,  comportato
«uno spostamento della fiscalita' dall'imposizione immobiliare  sulle
persone  fisiche  a  quella   reddituale   su   determinate   persone
giuridiche, avvantaggiando comunque anche le famiglie  meno  abbienti
colpite dalla difficile fase congiunturale, con  un  innegabile,  per
quanto parziale, effetto  redistributivo  e  solidaristico»  (ancora,
sentenza n. 288 del 2019); 
    che le odierne questioni, dunque, non apportano  nuovi  argomenti
rispetto a quelli gia'  vagliati  in  tale  pronuncia  e  devono,  di
conseguenza, essere dichiarate manifestamente infondate  (ex  multis,
ordinanze n. 111 del 2021; n. 204 e n. 93 del 2020). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.