ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
commi  1,  2  e  3,  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), promosso  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto nel procedimento di sorveglianza a carico  di
G. M., con ordinanza del 5 novembre 2020,  iscritta  al  n.  197  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 5 novembre 2020, iscritta al  n.  197  del
r.o. del 2020, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 27  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater,  commi  1,  2  e  3,
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), nella parte in cui «prevedono che non  possa  essere
concesso, per la durata  di  tre  anni,  l'affidamento  in  prova  al
servizio sociale previsto dall'art. 47 ord. penit., al condannato nei
cui confronti e' stata disposta la revoca di una misura  alternativa,
ai sensi dell'art. 47, co. 11, dell'art. 47 ter co. 6 o dell'art.  51
co. 1, della medesima legge». 
    1.1.-  Il  giudice  rimettente   e'   chiamato   a   pronunciarsi
sull'istanza di affidamento in  prova  al  servizio  sociale  in  via
provvisoria presentata nell'ottobre  2020,  ai  sensi  dell'art.  47,
comma 4, ordin. penit., da un detenuto cui nell'agosto 2019 era stata
revocata la medesima misura alternativa. 
    Piu' in particolare, l'istante aveva ottenuto nel 2017  di  poter
scontare in regime di affidamento in prova al  servizio  sociale  una
prima pena di  tre  anni  di  reclusione,  determinata  in  forza  di
provvedimento di cumulo, per vari  delitti  contro  il  patrimonio  e
resistenza a pubblico ufficiale commessi tra il 2010 e  il  2011.  La
misura - rileva il rimettente - aveva avuto regolare svolgimento  per
oltre due anni e mezzo, anche grazie all'attivita' lavorativa  svolta
dal condannato e il supporto del nucleo familiare,  costituito  dalla
compagna e dalla figlia, nata a dicembre 2018. Tuttavia, a diciannove
giorni dal fine pena, il condannato si era allontanato dal territorio
nazionale. La misura alternativa era stata conseguentemente revocata,
e  nell'ottobre  2019  era  stata  ripristinata  la  detenzione   per
l'esecuzione del frammento  della  pena  non  espiato  e  della  pena
determinata da un nuovo provvedimento di  cumulo  per  altri  delitti
contro il patrimonio commessi tra il 2012 e il 2013,  con  fine  pena
fissata al marzo 2022,  tenuto  conto  della  liberazione  anticipata
maturata. 
    Nell'ottobre 2020 il condannato aveva dunque presentato l'istanza
all'esame del rimettente, allegando la  necessita'  di  attendere  ai
propri compiti familiari e la disponibilita' del  proprio  precedente
datore di lavoro a riassumerlo, e sostenendo che l'allontanamento dal
territorio nazionale che aveva determinato la revoca della misura  di
cui aveva in precedenza  beneficiato  era  dovuto  alla  convinzione,
causata da un calcolo erroneo, di avere ormai terminato  l'esecuzione
della pena. 
    Il rimettente  rileva  che  l'istanza  dovrebbe  essere  ritenuta
inammissibile ai sensi del combinato disposto dei  commi  1,  2  e  3
dell'art. 58-quater ordin. penit., non essendo ancora  trascorsi  tre
anni dal precedente provvedimento  di  revoca.  Secondo  la  costante
giurisprudenza di legittimita' di cui si da' atto  nell'ordinanza  di
rimessione e che il giudice a quo afferma  di  condividere,  infatti,
tale termine non sarebbe circoscritto alla vicenda esecutiva nel  cui
ambito e' intervenuta la revoca, ma  spiegherebbe  i  propri  effetti
anche sull'esecuzione degli ulteriori provvedimenti definitivi emessi
nei confronti dell'interessato. 
    Tuttavia, il rimettente - pur dando atto che, con ordinanza n. 87
del  2004,  questa  Corte  aveva  ritenuto  manifestamente  infondate
censure sollevate sulle  stesse  disposizioni  e  in  riferimento  ai
medesimi parametri - dubita della compatibilita' della preclusione in
esame con gli artt. 3 e 27 Cost. 
    1.2.- Ad avviso del giudice  a  quo,  il  vizio  di  fondo  della
disciplina in esame concernerebbe la «fissita' degli  effetti»  della
revoca, che comporta una preclusione triennale  alla  concessione  di
ogni  beneficio  o  misura  alternativa,  «a  prescindere   da   ogni
considerazione sulla situazione  concreta  della  persona,  sui  suoi
progressi trattamentali seguiti a quel momento  negativo,  sulle  sue
prospettive  di  reinserimento  e  sulla  durata  della  pena  ancora
espianda, dalla  quale  potrebbe  scomparire  completamente  (ove  il
residuo fosse inferiore ai tre anni) la prospettiva di un trattamento
rieducativo improntato alla costruzione di  un  percorso  esterno  al
carcere». 
    Il rimettente rammenta varie pronunce di questa Corte  che  hanno
progressivamente  circoscritto  l'ambito  di  applicazione  dell'art.
58-quater ordin. penit., a partire dalla sentenza n.  436  del  1999,
con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale  del
suo comma 2 nella parte in cui si riferisce ai condannati  minorenni,
in ragione della necessita' di garantire agli stessi una «valutazione
individualizzata e caso per caso», idonea comunque «a  conseguire  le
preminenti finalita'  di  risocializzazione  che  debbono  presiedere
all'esecuzione penale minorile». 
    La sentenza n. 189 del 2010 - prosegue il giudice a quo - ha  poi
dichiarato inammissibili le censure sollevate sul  divieto  triennale
di  concessione  di  benefici  e  misure  alternative  al  condannato
riconosciuto colpevole di una condotta punibile  ai  sensi  dell'art.
385  del  codice  penale,   sulla   base   pero'   di   una   lettura
costituzionalmente orientata  della  disciplina  all'esame,  tale  da
consentire al giudice di «valutare, caso per  caso,  con  motivazione
approfondita e rigorosa, la personalita' e le condotte  concrete  del
condannato»,  si'  da  evitare  la   vanificazione   della   funzione
rieducativa della  pena  e  la  compromissione  degli  interessi  dei
familiari con lui eventualmente conviventi. 
    Il  rimettente  osserva,  tuttavia,  che   tale   interpretazione
costituzionalmente   orientata   non   e'   stata   adottata    dalla
giurisprudenza  di  legittimita'  con  riferimento   alla   parallela
ipotesi, anch'essa disciplinata dal plesso normativo censurato, della
revoca della misura alternativa disposta per  ragioni  diverse  dalla
commissione di una condotta punibile  ai  sensi  dell'art.  385  cod.
pen., la quale pure da' luogo a una preclusione triennale rispetto  a
ogni altro beneficio e misura  alternativa,  con  la  sola  eccezione
della liberazione anticipata. 
    Il rimettente menziona quindi la sentenza n. 187  del  2019,  con
cui questa  Corte  ha  ritenuto  fondate  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate,  in  riferimento  all'art.  31  Cost.,  sul
medesimo combinato disposto in questa sede censurato, nella parte  in
cui prevede che non possano essere concesse, per  la  durata  di  tre
anni, la detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies
ordin. penit. e la detenzione domiciliare  di  cui  all'art.  47-ter,
comma 1, lettere a) e  b),  ordin.  penit.,  al  condannato  nei  cui
confronti e' stata disposta la revoca di una misura alternativa. 
    Alla luce di tale evoluzione della giurisprudenza costituzionale,
da leggersi anche attraverso i principi enunciati in tema di funzione
rieducativa della pena dalle altre sentenze costituzionali n. 149 del
2018 e n. 253  del  2019,  dovrebbe  ad  avviso  del  giudice  a  quo
apprezzarsi la irragionevolezza, e assieme la idoneita' a determinare
una «irrimediabile compromissione della finalita'  rieducativa  della
pena», della disciplina censurata. 
    La fissita' dell'effetto preclusivo  triennale  conseguente  alla
revoca  della  misura  alternativa  non  consentirebbe  di  «graduare
ragionevolmente le conseguenze» del comportamento posto a base  della
revoca, in  relazione  alla  sua  concreta  gravita'  ai  fini  della
prognosi relativa alla futura condotta del condannato; e  impedirebbe
di  tenere  conto  dell'osservazione   intramuraria   medio   tempore
effettuata. La lunga durata di tale preclusione, in cui il condannato
e' presunto socialmente pericoloso, potrebbe  d'altra  parte  inibire
una concessione di benefici penitenziari per  l'intera  durata  della
pena residua, con conseguente «fortissima compressione della funzione
rieducativa della pena, confinata alla sola possibile concessione  di
liberazione anticipata»; il che frustrerebbe il percorso  rieducativo
del condannato, privandolo di ogni  concreta  utilita'.  Inoltre,  la
preclusione triennale riguarderebbe «benefici tanto diversi quanto il
permesso premio, il  lavoro  all'esterno  e  le  misure  alternative,
compromettendo [...] la possibilita' di una  necessaria  progressione
trattamentale in grado di accompagnare piu' adeguatamente un percorso
verso l'esterno»; cio' che si appaleserebbe in contrasto con entrambi
i parametri costituzionali invocati, vieppiu' quando - come nel  caso
di specie - siano presenti figli  in  tenera  eta',  che  abbiano  un
interesse, costituzionalmente fondato sull'art. 31 Cost., a mantenere
un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori. 
    Non sarebbe senza significato, d'altra parte, che il  legislatore
abbia previsto, con la legge 23 giugno 2017,  n.  103  (Modifiche  al
codice penale,  al  codice  di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario), una delega - ancorche' poi non compiutamente  attuata
- all'eliminazione di automatismi e di preclusioni che impedissero  o
ritardassero l'individuazione del trattamento  rieducativo,  «con  il
dichiarato  obiettivo  di  un  complessivo   riordino   della   legge
penitenziaria volto a riguadagnarle una piu' piena  coerenza  con  la
finalita' rieducativa della pena». 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    L'interveniente   contesta   anzitutto   la   pertinenza    della
giurisprudenza costituzionale invocata dal giudice a quo,  osservando
in particolare come la sentenza n. 187 del 2019 fosse  specificamente
calibrata su una particolare categoria di  condannati,  rappresentata
dai genitori di bambini in tenera  eta';  e  rileva  quindi  come  il
rimettente abbia omesso «di considerare che la preclusione  triennale
consegue  ad  una  revoca  delle  misure  alternative  che   non   e'
automatica, bensi' basata su di una valutazione in  concreto  e  caso
per caso delle situazioni in cui  il  comportamento  del  condannato,
contrario alla leggi o alle prescrizioni, risulti  incompatibile  con
la prosecuzione dell'affidamento in prova (art. 47, comma  11,  della
legge n 354 del 1975) o della detenzione  domiciliare  (art.  47-ter,
comma 6, della legge n. 354 del 1975), ovvero delle situazioni in cui
il soggetto non si palesi idoneo al trattamento in semiliberta' (art.
51, comma 1, della legge n. 354 del 1975)». 
    3.- Il condannato istante non si e' costituito in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe  il  Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e
27  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio  1975,  n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'),  nella  parte  in  cui
«prevedono che non possa essere concesso, per la durata di tre  anni,
l'affidamento in prova al servizio sociale previsto dall'art. 47 ord.
penit., al condannato nei cui confronti e' stata disposta  la  revoca
di una misura alternativa, ai sensi dell'art. 47, co.  11,  dell'art.
47 ter co. 6 o dell'art. 51 co. 1, della medesima legge». 
    2.- L'art. 58-quater ordin.  penit.  dispone,  al  comma  1,  che
«[l]'assegnazione  al  lavoro   all'esterno,   i   permessi   premio,
l'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  nei  casi  previsti
dall'art. 47, la detenzione domiciliare e la semiliberta' non possono
essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di
una condotta punibile a norma dell'art. 385 del codice penale». 
    Il comma 2 del  medesimo  articolo  estende  tale  disciplina  al
«condannato nei cui confronti e' stata  disposta  la  revoca  di  una
misura  alternativa  ai  sensi  dell'art.  47,   comma   11   [quanto
all'affidamento in prova], dell'art. 47-ter,  comma  6  [quanto  alla
detenzione domiciliare], o dell'art. 51,  primo  comma  [quanto  alla
semiliberta']». 
    Il successivo comma 3 stabilisce che «[i]l divieto di concessione
dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento in  cui  e'
ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o e' stato emesso il
provvedimento di revoca indicato nel comma 2». 
    Dal combinato disposto dei commi 1, 2 e 3 si evince dunque - come
correttamente evidenziato dal giudice a quo - che il  condannato  cui
siano  stati  revocati  l'affidamento   in   prova,   la   detenzione
domiciliare o la semiliberta' ai sensi delle disposizioni  richiamate
nel comma 2 non puo' ottenere alcuno  dei  benefici  o  delle  misure
alternative indicati nel comma 1 (assegnazione al lavoro all'esterno,
permessi premio, affidamento in prova al servizio sociale nei casi di
cui all'art. 47 ordin. penit., detenzione domiciliare e semiliberta')
prima  che  siano  trascorsi  tre  anni  dalla  revoca  della  misura
alternativa precedentemente ottenuta. 
    Tale preclusione -  che  impedisce  al  giudice  di  valutare  la
meritevolezza del condannato rispetto  al  beneficio,  o  alla  nuova
misura alternativa  cui  aspiri  -  e'  ritenuta  dal  rimettente  in
contrasto tanto con il principio di  ragionevolezza,  quanto  con  la
funzione rieducativa della pena. 
    3.-  In  sostanza,  il  giudice  a  quo  invita  questa  Corte  a
riconsiderare le ragioni in base alle quali, con  l'ordinanza  n.  87
del 2004,  erano  state  ritenute  manifestamente  infondate  censure
aventi ad oggetto la stessa preclusione, in riferimento  ai  medesimi
parametri costituzionali. Una  tale  riconsiderazione  si  renderebbe
necessaria,  ad   avviso   del   rimettente,   anche   in   relazione
all'evoluzione  medio  tempore   intervenuta   nella   giurisprudenza
costituzionale, che avrebbe ormai posto  in  luce  l'insostenibilita'
della preclusione triennale stabilita dalla disciplina censurata. 
    Questa Corte, tuttavia,  non  e'  persuasa  dagli  argomenti  del
rimettente e ritiene non fondate le questioni. 
    3.1.- La menzionata ordinanza n. 87 del 2004 aveva  rilevato  che
«la preclusione triennale in  esame  consegue  ad  una  revoca  delle
misure alternative che non e' "automatica", bensi' basata su  di  una
valutazione in concreto e caso per caso delle situazioni  in  cui  il
comportamento  del  condannato,   contrario   alla   legge   o   alle
prescrizioni, risulti incompatibile con la prosecuzione» della misura
alternativa originariamente concessa; e per tale  essenziale  ragione
aveva escluso che la preclusione medesima contrastasse con gli  artt.
3 e 27 Cost. 
    3.2.-  L'odierno  rimettente  osserva  in  proposito  che,  ferma
restando la natura non automatica del  provvedimento  di  revoca,  la
preclusione triennale rispetto ad una  nuova  concessione  di  misure
alternative, o anche solo dei benefici  del  permesso  premio  e  del
lavoro all'esterno del carcere, risulterebbe  eccessivamente  rigida,
non   consentendo   al   giudice   di   sorveglianza   di    graduare
ragionevolmente  le  conseguenze  della  revoca  in  relazione   alla
concreta gravita' dei  fatti  che  l'hanno  determinata,  nonche'  ai
progressi nel percorso  rieducativo  nel  frattempo  intervenuti.  La
lunga durata della preclusione potrebbe, d'altra  parte,  inibire  la
concessione di benefici o  misure  alternative  per  l'intera  durata
della pena residua ovvero, come nel caso oggetto del giudizio a  quo,
della diversa pena determinata da un nuovo ordine di  esecuzione.  In
ogni caso, la preclusione riguarderebbe indiscriminatamente qualsiasi
beneficio, compresi per l'appunto  i  permessi  premio  e  il  lavoro
all'esterno  del  carcere;  cio'  che  finirebbe  per   togliere   al
condannato  qualsiasi  incentivo  (diverso  dalla  prospettiva  della
liberazione anticipata) a progredire  nel  percorso  rieducativo  per
l'intero  arco  del  triennio,  pregiudicando  al  tempo  stesso  gli
interessi dei  terzi,  e  in  particolare  dei  minori,  che  abbiano
rapporti con il condannato. 
    3.3.- Anche all'esito  di  una  complessiva  rimeditazione  delle
conclusioni cui era pervenuta con l'ordinanza n.  87  del  2004  alla
luce della propria successiva giurisprudenza, tuttavia, questa  Corte
ritiene che la preclusione  censurata,  pur  indubbiamente  severa  e
opinabile dal punto di vista delle scelte di politica  penitenziaria,
costituisca espressione della discrezionalita' legislativa,  «non  in
contrasto  con  il   principio   costituzionale   di   finalizzazione
rieducativa della pena (art. 27, primo e terzo comma, Cost.),  e  non
irragionevole al punto da integrare una lesione ex art. 3 Cost.»  (in
questi stessi termini, si veda la sentenza n. 50 del  2020,  relativa
ad altra preclusione prevista dall'ordinamento penitenziario). 
    3.3.1.- Anzitutto, la preclusione  triennale  ora  all'esame  non
stabilisce un automatismo ostativo fondato sul titolo di reato,  come
invece altre preclusioni giudicate costituzionalmente illegittime per
contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.,  tra  le  quali
segnatamente quelle oggetto delle sentenze n. 149 del 2018 e  n.  253
del 2019. 
    3.3.2.- Ne' essa dipende da un giudizio di maggiore pericolosita'
espresso dal giudice della cognizione  attraverso  il  riconoscimento
dell'aggravante della recidiva,  come  invece  accadeva  rispetto  al
divieto di concessione della  detenzione  domiciliare  al  condannato
ultrasettantenne  recidivo  stabilito  dall'art.  47-ter,  comma  01,
ordin. penit.: divieto ritenuto da  questa  Corte  costituzionalmente
illegittimo con la sentenza n. 56 del 2021, tra  l'altro  perche'  la
valutazione compiuta dal giudice della cognizione  sulla  sussistenza
della recidiva non ha alcuna relazione con la  distinta  valutazione,
di competenza del giudice  di  sorveglianza,  avente  ad  oggetto  la
concreta meritevolezza del condannato a essere ammesso ai benefici  o
alle misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario. 
    3.3.3.-  Il  divieto  triennale,  previsto   dalle   disposizioni
censurate,  di  concessione  di   benefici   e   misure   alternative
conseguente alla revoca di altra misura  alternativa  precedentemente
concessa  -  evidentemente  pensato  dal  legislatore  in  chiave  di
deterrenza contro eventuali violazioni  delle  prescrizioni  inerenti
alla misura - si fonda, piuttosto, sul puntuale  riscontro  da  parte
dello stesso  tribunale  di  sorveglianza  di  specifiche  violazioni
commesse dal condannato durante il godimento della misura medesima. 
    Occorre rammentare, a questo proposito, che - per  effetto  della
nuova  formulazione  dell'art.  51-ter,  comma   1,   ordin.   penit.
introdotta dall'art. 5, comma 1, lettera b), del decreto  legislativo
2  ottobre  2018,   n.   123,   recante   «Riforma   dell'ordinamento
penitenziario, in attuazione della  delega  di  cui  all'articolo  1,
commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della
legge 23 giugno 2017, n. 103» - il tribunale di sorveglianza ha  oggi
la  possibilita'  di  reagire  alla  commissione   di   comportamenti
suscettibili  di  determinare  la  revoca  della  misura  alternativa
attraverso una pluralita' di risposte: la prosecuzione  della  misura
nonostante la condotta inosservante da parte del condannato;  la  sua
sostituzione con altra misura; e  infine  la  sua  revoca,  riservata
evidentemente ai casi piu' gravi, che dimostrino la necessita' di una
regressione del  percorso  rieducativo  e  di  un  almeno  temporaneo
ripristino del regime di detenzione, in particolare  in  funzione  di
contenimento di un concreto rischio di recidiva evidenziatosi in capo
al condannato. Nell'esercitare tale  discrezionalita',  il  tribunale
non potra' non tenere conto anche delle  conseguenze  particolarmente
gravose associate alla revoca, e in particolare della  preclusione  -
nell'arco di un intero triennio - relativa alla concessione  di  ogni
altra misura alternativa o  beneficio  penitenziario,  diversi  dalla
liberazione anticipata. 
    La preclusione qui all'esame discende dunque da  una  valutazione
caso per caso da parte del giudice di sorveglianza, effettuata  sulla
base non gia' di presunzioni legate al titolo di reato o allo  status
di recidivo del condannato, ma  del  percorso  da  lui  concretamente
compiuto  durante  l'esecuzione  della  pena,  e  in  particolare  di
specifiche condotte in violazione delle  prescrizioni  inerenti  alla
misura alternativa, che ne  hanno  determinato  un  giudizio  di  non
meritevolezza rispetto alla possibilita', gia' concessagli una  prima
volta, di eseguire la propria pena in regime extramurario. 
    3.4.- Ne' le ulteriori pronunce di questa  Corte  richiamate  dal
giudice rimettente dimostrano il carattere irragionevole e  contrario
alla funzione rieducativa  della  pena  della  preclusione  triennale
all'esame. 
    3.4.1.-  La  sentenza  n.  436  del  1999  ha  bensi'  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale della preclusione di cui al  comma  2
dell'art. 58-quater ordin. penit., ma nella  sola  parte  in  cui  si
riferisce ai condannati minorenni, rispetto ai quali la necessita' di
una valutazione individualizzata e  caso  per  caso  in  relazione  a
ciascuna  tappa  del  percorso  rieducativo  si  pone  con   speciale
pregnanza, risultando incompatibile anche con la fissita' del termine
triennale nel quale e' vietata  la  concessione  di  qualsiasi  altro
beneficio  o  misura  alternativa.   Tali   considerazioni   appaiono
ritagliate  sullo  specifico   contesto   dell'esecuzione   minorile,
disegnata per rispondere alle  esigenze  di  personalita'  ancora  in
formazione, e non si prestano a essere traslate tout court al diverso
contesto dell'esecuzione della pena nei confronti  di  un  condannato
adulto,  il  quale  abbia  deliberatamente  violato  le  prescrizioni
inerenti  a  una   misura   alternativa   gia'   concessagli,   nella
consapevolezza delle gravose conseguenze che l'ordinamento riconnette
a tale violazione. 
    3.4.2.- Quanto alla sentenza n. 189 del 2010, essa si e' limitata
a  giudicare  inammissibili  le  questioni  allora  prospettate,   in
considerazione  dell'omesso  tentativo  di  superare   i   dubbi   di
illegittimita' costituzionale  sollevati  dal  rimettente  attraverso
un'interpretazione - invero di  problematica  compatibilita'  con  il
dato testuale delle disposizioni censurate, ma gia' diffusa presso la
giurisprudenza di legittimita' - in materia di preclusioni  derivanti
dalla commissione di fatti punibili ai sensi dell'art. 385 cod. pen.,
la quale mirava ad attenuare in via ermeneutica  la  rigidita'  della
preclusione triennale stabilita dal combinato disposto ora censurato.
L'odierno rimettente esclude invece,  con  argomentazione  del  tutto
plausibile, che una tale interpretazione sia praticabile in relazione
alla,  parallela  ma  distinta,  preclusione  oggetto  delle  proprie
censure. 
    3.4.3.- Infine, la recente  sentenza  n.  187  del  2019  ha  si'
ritenuto costituzionalmente illegittima la preclusione in parola,  ma
in riferimento al solo  art.  31  Cost.  e  con  riguardo  alla  sola
detenzione domiciliare (ordinaria o speciale) funzionale alla cura di
figli minori di dieci anni, che non possano essere affidati alle cure
dell'altro genitore. L'interesse primario che questa Corte ha  inteso
in quell'occasione tutelare e' stato, dunque, non tanto  quello  alla
rieducazione del condannato,  quanto  quello  del  bambino  a  essere
accudito da almeno uno dei  genitori:  interesse,  quest'ultimo,  non
automaticamente  prevalente  su  ogni  altro,  ma  che  certo  impone
bilanciamenti caso per caso, refrattari  a  qualsiasi  preclusione  e
automatismo (sul punto si veda anche, mutatis mutandis,  la  sentenza
n. 102 del  2020,  ai  punti  5.3.  e  seguenti  del  Considerato  in
diritto),  anche  solo  con  riguardo  alla  durata  del  divieto  di
concessione di nuove misure o benefici. 
    Un simile bilanciamento non e', per contro, in discussione  nelle
questioni qui all'esame, nelle quali non si pone  il  problema  della
tutela dell'interesse del bambino a  essere  accudito  da  almeno  un
genitore, e in cui la presenza di affetti familiari per il detenuto -
come pure accade nel caso oggetto del giudizio a quo,  caratterizzato
dalla presenza di  una  figlia  in  tenerissima  eta'  -  costituisce
un'eventualita' frequente e certo foriera di ulteriori  sofferenze  a
carico sia del condannato che  dei  suoi  cari,  ma  della  quale  la
disciplina delle misure alternative e dei benefici penitenziari  gia'
si fa ordinariamente carico, nel disegnare  il  percorso  rieducativo
che il condannato deve  compiere  per  reinserirsi  gradualmente  nel
tessuto   sociale:   un   percorso   che   passa   anche    per    la
responsabilizzazione del condannato  in  ordine  alla  necessita'  di
rispettare le prescrizioni  inerenti  alle  misure  alternative  gia'
concessegli. 
    3.5.- Da tutto cio' consegue la non  fondatezza  delle  questioni
prospettate, nel medesimo solco delle valutazioni gia' sinteticamente
espresse con l'ordinanza n. 87 del 2004. 
    Resta, peraltro, affidata alla discrezionalita'  del  legislatore
la valutazione  se  e  in  che  misura  il  rigore  della  disciplina
censurata possa essere attenuato, anche in relazione al  rischio  che
la preclusione triennale da essa stabilita conduca, nella pratica,  a
rendere  improbabile  non  solo  un  secondo  accesso   alle   misure
alternative, ma anche il godimento dei  piu'  limitati  benefici  del
permesso premio e del  lavoro  all'esterno  del  carcere  durante  la
successiva esecuzione della pena.  In  effetti,  tenuto  conto  degli
stringenti limiti di pena inflitta o residua  che  condizionano  oggi
l'accesso alle singole misure (quattro anni, nelle ipotesi  ordinarie
di detenzione domiciliare e  di  affidamento  in  prova  al  servizio
sociale), oltre che dei tempi tecnici  necessari  per  l'esame  delle
istanze del condannato da  parte  del  giudice  di  sorveglianza,  la
preclusione triennale  successiva  alla  revoca,  pur  potenzialmente
temperata dagli effetti della  liberazione  anticipata,  finisce  per
coprire, in un elevato numero di casi, la  totalita'  o  quasi  della
pena residua.