ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera  d),  del  decreto  legislativo  26  ottobre  2010,  n.   204
(Attuazione della direttiva 2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva
91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione
di armi), nella parte in cui - nel riformulare l'art.  35  del  regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del  testo  unico  delle
leggi  di  pubblica  sicurezza)  -  prevede  al  comma  8   la   pena
dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da  4.000  euro  a
20.000 euro per la contravvenzione che punisce  la  violazione  degli
obblighi posti a carico dell'armaiolo dallo stesso art. 35,  promosso
dal Tribunale ordinario di Savona, sezione penale, con ordinanza  del
15 settembre 2020, iscritta al n. 16 del registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il
Tribunale ordinario di  Savona,  sezione  penale,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,  lettera  d),  del   decreto
legislativo 26 ottobre  2010,  n.  204  (Attuazione  della  direttiva
2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva  91/477/CEE   relativa   al
controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi). 
    La norma e' censurata nella parte in cui - nel riformulare l'art.
35 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione  del  testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza) - prevede al comma 8 la pena
dell'arresto da sei mesi a due anni e dell'ammenda da  4.000  euro  a
20.000 euro per la contravvenzione che punisce  la  violazione  degli
obblighi posti a carico dell'armaiolo dai commi da 1 a 5 dello stesso
art. 35 TULPS, in precedenza sanzionata con la pena  dell'arresto  da
tre mesi a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila. 
    2.-  Il  giudizio   principale   e'   volto   ad   accertare   la
responsabilita'  penale  di  S.  G.,  imputato  del  reato   previsto
dall'art. 35, commi 1 e 8, TULPS per avere,  in  qualita'  di  legale
rappresentante dell'omonima  armeria,  titolare  di  licenza  per  la
vendita e il deposito per fini di commercio di armi comuni da  sparo,
raccolto trentacinque armi lunghe senza annotarle nel registro  delle
operazioni giornaliere. 
    Nel  corso  del  dibattimento,  il  difensore  dell'imputato   ha
eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma   1,
lettera d), del d.lgs. n. 204 del 2010, che modifica l'art. 35 TULPS,
in quanto emanato in violazione dei  limiti  stabiliti  dalla  delega
approvata  con  legge  7  luglio  2009,  n.  88   (Disposizioni   per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008). 
    2.1.- In ordine alla rilevanza  della  questione,  il  rimettente
deduce che dagli esiti  dell'istruttoria  e'  emerso  che  l'imputato
ricade nella definizione normativa di «armaiolo»  prevista  dall'art.
1-bis, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 527 (Attuazione della direttiva 91/477/CEE relativa  al  controllo
dell'acquisizione e della detenzione di armi)  e  che  lo  stesso  ha
effettivamente omesso di annotare nel registro  richiamato  dall'art.
35, comma 1, TULPS, la detenzione  di  trentacinque  armi  da  sparo,
senza che possano al riguardo ravvisarsi ragioni per pronunciare  una
sentenza di proscioglimento. 
    Risalendo  la  condotta  contestata  al  18   aprile   2017,   la
sussunzione del fatto nella fattispecie  contravvenzionale  in  esame
comporterebbe  l'applicazione  della  sanzione  di  cui  al  comma  8
dell'art. 35 TULPS, nella versione introdotta dalla norma  censurata,
entrata in vigore il 1° luglio 2011 ex art. 8, comma 1 del d.lgs.  n.
204 del 2010. 
    Nella prospettazione del rimettente la rilevanza della  questione
discende,  quindi,  dal  fatto  che   l'invocata   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale comporterebbe l'immediata  reviviscenza
dell'art.  35  TULPS,  nella   sua   formulazione   precedente,   con
conseguente applicazione di un trattamento sanzionatorio piu' mite. 
    2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  il
rimettente deduce che l'art. 3, comma 1, lettera d),  del  d.lgs.  n.
204 del 2010 - nella parte in  cui  interviene  sull'art.  35  TULPS,
aggravando il  trattamento  sanzionatorio  della  contravvenzione  in
esame (con l'introduzione, al contempo, di modifiche  solo  marginali
al precetto) - appare in contrasto con l'art.  76  Cost.,  avendo  il
legislatore delegato  superato  i  limiti  di  oggetto  o,  comunque,
violato i principi e criteri direttivi, generali e speciali,  dettati
in materia di  sanzioni  rispettivamente  dagli  artt.  2,  comma  1,
lettera c), e 36, comma 1, lettera n), della legge n. 88 del 2009. 
    Al riguardo, il giudice a quo evidenzia che, in base all'indicato
art.  36,  comma  1,  lettera  n),   il   potere   delegato   attiene
all'«introduzione di sanzioni penali, nei limiti di pena di cui  alla
legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n. 110» e
che la previsione della sola introduzione di  nuove  sanzioni  penali
costituirebbe un preciso limite al potere  conferito  al  legislatore
delegato, che non avrebbe la possibilita' di incidere sulle  sanzioni
gia' esistenti, ne' aggravando ne' mitigando il relativo trattamento. 
    Una tale lettura sarebbe confermata dal citato art. 2,  comma  1,
lettera c), che, nel dettare i criteri generali cui deve attenersi il
legislatore  delegato  nell'introdurre  nuove  fattispecie  penali  o
illeciti amministrativi, limita la  delega  «al  di  fuori  dei  casi
previsti dalle norme penali vigenti». 
    Tale interpretazione della  legge  delega  sarebbe  ulteriormente
avvalorata  da  un  ulteriore  criterio  generale   contenuto   nella
diposizione da ultimo richiamata,  laddove  prevede  che  «[e]ntro  i
limiti di pena  indicati  nella  presente  lettera  [ammenda  fino  a
150.000 euro e arresto  fino  a  tre  anni]  sono  previste  sanzioni
identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle  leggi  vigenti
per  violazioni  omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto   alle
infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». 
    In sostanza, ad avviso del rimettente,  la  disposizione  di  cui
all'art. 2, comma 1, lettera c),  della  legge  n.  88  del  2009  si
aprirebbe con una clausola di sussidiarieta' in forza della quale  e'
escluso il potere del legislatore delegato nei casi in cui la materia
e' gia' regolata da una norma penale ed aggiungerebbe il  vincolo  di
prevedere, per le nuove  fattispecie  penali,  sanzioni  identiche  a
quelle esistenti per violazioni omogenee e di pari offensivita'. 
    Il giudice a quo osserva infine che, anche  qualora  si  volesse,
per assurdo, ritenere conferito al legislatore delegato il potere  di
incidere su sanzioni penali esistenti, il vincolo di cui all'art.  2,
comma 1, lettera c), da ultimo indicato, avrebbe comunque imposto nel
caso di specie di confermare il trattamento sanzionatorio originario,
attesa  la  continuita'  e  sostanziale  sovrapponibilita'   tra   le
fattispecie penali previste dall'art. 35 TULPS nell'attuale  versione
e in quella previgente. In proposito, il rimettente sostiene  infatti
che il d.lgs. n. 204 del 2010 si  sarebbe  limitato  a  sostituire  i
riferimenti  alle  diverse  figure   professionali   previste   dalla
disciplina in materia di armi con un richiamo alla  nozione  unitaria
di  armaiolo  e  ad  aggiungere,  rispetto  ai  precedenti  obblighi,
prescrizioni meramente accessorie che non modificano  nella  sostanza
l'area centrale del precetto penale. 
    2.3.- Da ultimo, il rimettente esclude  la  possibilita'  di  una
interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   disposizione
censurata  mediante  il  ricorso  ai  criteri   letterale,   storico,
sistematico e teleologico, prendendo in considerazione, a tale ultimo
riguardo, anche l'art. 16 della direttiva  91/477/CEE  del  Consiglio
del 18 giugno 1991 relativa al controllo  dell'acquisizione  e  della
detenzione di armi, come modificato dalla  direttiva  2008/51/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008,  secondo  cui
«[g]li Stati membri stabiliscono le sanzioni da irrogare in  caso  di
violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione  della
presente direttiva e adottano ogni misura necessaria per  assicurarne
l'esecuzione», fermo restando che «le sanzioni previste devono essere
efficaci, proporzionate  e  dissuasive».  Nemmeno  tale  disposizione
consentirebbe  invero  un'interpretazione  adeguatrice  della   norma
censurata, in ragione dell'ampia discrezionalita' che essa  riconosce
al legislatore interno nella definizione degli strumenti da  adottare
per dare effettivita' alla direttiva comunitaria. 
    3.- Con atto  depositato  il  9  marzo  2021  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata infondata. 
    L'interveniente   rammenta   anzitutto    che,    per    costante
giurisprudenza di questa Corte, al legislatore delegato  deve  essere
riconosciuto un margine  di  discrezionalita'  nell'attuazione  della
delega, sempre che il suo  intervento  ne  rispetti  la  ratio  e  si
inserisca  in  modo  coerente  nel  relativo  quadro  normativo.   In
relazione all'ipotesi di delega  finalizzata  all'attuazione  di  una
direttiva europea, vengono inoltre richiamate le pronunce secondo cui
i principi dettati dalle direttive si aggiungono  a  quelli  indicati
dal legislatore nazionale, assumendo valore di parametro interposto e
potendo cosi' autonomamente giustificare l'intervento del legislatore
delegato. 
    Fatta questa premessa generale,  l'Avvocatura  esclude  tanto  la
violazione dei principi e  criteri  generali  previsti  dall'art.  2,
comma l, lettera c), della legge n. 88  del  2009  quanto  di  quelli
specifici indicati nel successivo art. 36, comma 1, lettera.  n).  La
norma  censurata  rispetterebbe  infatti  entrambe  le  disposizioni,
avendo modificato la struttura e  il  trattamento  sanzionatorio  del
reato previsto dall'art. 35 TULPS senza superare  i  limiti  di  pena
previsti dalla legge delega e senza sovrapporsi ad altra  fattispecie
criminosa. 
    Inoltre,  l'interpretazione  dell'espressione  «introduzione   di
sanzioni  penali»  di  cui  all'art.  36,  comma   1,   lettera   n),
comprenderebbe certamente anche la modifica di  sanzioni  relative  a
reati preesistenti, considerato che, altrimenti, sarebbe stata  usata
un'espressione letterale diversa, dichiaratamente diretta a  limitare
l'intervento del legislatore delegato alla sola introduzione di nuove
figure di illecito. 
    Allo stesso riguardo, l'Avvocatura evidenzia che la  lettura  del
giudice a quo sarebbe, in ogni caso, non coerente con la ratio  della
legge delega per come individuata dalla direttiva comunitaria oggetto
di attuazione. Invero, proprio l'art. 16 della  direttiva  91/477/CEE
invocato dal rimettente, riconoscendo agli Stati membri la piu' ampia
liberta' di scelta nello stabilire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive da irrogare  in  caso  di  violazione  delle  disposizioni
nazionali adottate in attuazione  della  direttiva,  garantirebbe  al
legislatore delegato anche il  potere  di  modificare  i  trattamenti
sanzionatori di ipotesi di reato gia' esistenti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2020 (r.o. n. 16 del 2021), il
Tribunale ordinario di  Savona,  sezione  penale,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,  lettera  d),  del   decreto
legislativo 26 ottobre  2010,  n.  204  (Attuazione  della  direttiva
2008/51/CE,  che  modifica  la  direttiva  91/477/CEE   relativa   al
controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi), nella  parte
in cui - nel riformulare l'art. 35 del regio decreto 18 giugno  1931,
n.  773  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza) - prevede al comma 8 la pena dell'arresto da  sei  mesi  a
due  anni  e  dell'ammenda  da  4.000  euro  a  20.000  euro  per  la
contravvenzione inerente la violazione degli obblighi posti a  carico
dell'armaiolo dai commi da 1 a 5  dello  stesso  art.  35  TULPS,  in
precedenza sanzionata al comma 6 con la pena dell'arresto da tre mesi
a un anno e dell'ammenda non inferiore a lire cinquantamila. 
    La norma censurata sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  76  Cost.
perche' incide sul trattamento  sanzionatorio  della  contravvenzione
indicata, laddove i principi e i criteri direttivi dettati in tema di
sanzioni dagli artt. 2, comma 1, lettera c), e 36, comma  1,  lettera
n), della legge  delega  7  luglio  2009,  n.  88  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2008) avrebbero consentito
la sola introduzione di nuove ipotesi di reato e non la  modifica  di
sanzioni penali relative a incriminazioni gia' esistenti. 
    Il   disposto   aggravamento   del   trattamento    sanzionatorio
violerebbe, in primo luogo, il criterio  specifico  -  stabilito  per
l'attuazione della «direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 21 maggio 2008 che modifica la direttiva 91/477/CEE del
Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione
di armi» - che imponeva al Governo di  «prevedere  l'introduzione  di
sanzioni penali, nei limiti di pena di cui alla legge 2 ottobre 1967,
n. 895, ed alla legge 18 aprile 1975, n.  110»  (art.  36,  comma  1,
lettera n), in quanto  per  sanzioni  "nuove"  dovrebbero  intendersi
esclusivamente quelle relative ad incriminazioni  introdotte  per  la
prima volta dal legislatore delegato. 
    Il  medesimo  aggravamento  contrasterebbe,  altresi',   con   il
criterio generale della delega - valido per l'attuazione di tutte  le
direttive recepite dalla legge comunitaria 2008 - che  ammetteva,  ai
sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c),  l'introduzione  di  sanzioni
«al  di  fuori  dei  casi  previsti  dalle  norme  penali   vigenti»,
espressione   che   precluderebbe   la   modifica   del   trattamento
sanzionatorio di reati preesistenti. 
    Da ultimo, il giudice  a  quo  argomenta  invocando  il  criterio
generale delle sanzioni identiche,  sancito  dall'art.  2,  comma  1,
lettera c), della legge n. 88 del 2009, in base al quale  «[e]ntro  i
limiti di pena  indicati  nella  presente  lettera  [ammenda  fino  a
150.000 euro e arresto  fino  a  tre  anni]  sono  previste  sanzioni
identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle  leggi  vigenti
per  violazioni  omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto   alle
infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». Sul punto,  il
rimettente evidenzia  che,  se  si  volesse,  per  assurdo,  ritenere
conferito  al  legislatore  delegato  il  potere  di  incidere  sulle
sanzioni penali esistenti, il  vincolo  da  ultimo  indicato  avrebbe
comunque imposto nel caso di  specie  di  confermare  il  trattamento
sanzionatorio  originario,  attesa  la  continuita'   e   sostanziale
sovrapponibilita' tra le fattispecie  penali  previste  dall'art.  35
TULPS nell'attuale versione e in quella previgente. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    2.1.- La giurisprudenza di questa Corte e' costante nel  ritenere
che la delega  legislativa  non  esclude  ogni  discrezionalita'  del
legislatore delegato, la quale puo' essere  piu'  o  meno  ampia,  in
relazione al grado di specificita' dei criteri  fissati  nella  legge
delega: pertanto, al  fine  di  valutare  se  lo  stesso  legislatore
delegato abbia ecceduto da tali margini di discrezionalita',  occorre
individuare la  ratio  della  delega,  per  verificare  se  la  norma
delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze  n.  142  del
2020, n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018). 
    Al contempo, il contenuto della delega e dei relativi principi  e
criteri direttivi deve essere identificato accertando il  complessivo
contesto normativo e le finalita' che la ispirano, tenendo conto  che
i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo  la
base  e  il  limite  delle   norme   delegate,   ma   strumenti   per
l'interpretazione della loro portata. Queste vanno, quindi, lette nel
significato compatibile con detti principi, i quali,  a  loro  volta,
vanno interpretati avendo riguardo alla  ratio  della  delega  ed  al
complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono  (sentenze  n.
170 del 2019, n. 10 del 2018 e n. 210 del 2015). 
    In punto di sanzioni, questa Corte ha altresi'  chiarito  che  il
legislatore delegante deve adottare criteri direttivi configurati  in
modo assai preciso, sia definendo la specie e l'entita' massima delle
pene, sia dettando il criterio, in se' restrittivo, del ricorso  alla
sanzione penale solo per la tutela di determinati interessi rilevanti
(sentenze n. 49 del 1999 e n. 53  del  1997,  ordinanza  n.  134  del
2003). Per la materia penale e' infatti  piu'  elevato  il  grado  di
determinatezza richiesto per le regole fissate  nella  legge  delega,
questo perche' il controllo sul rispetto dell'art. 76 Cost. da  parte
del Governo e'  anche  strumento  di  garanzia  del  principio  della
riserva di legge (art. 25, secondo comma, Cost.), che attribuisce  al
Parlamento  funzione  centrale  nella  individuazione  dei  fatti  da
sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili (sentenze n.  127
del 2017 e n. 5 del 2014). 
    2.2.- Cio' premesso, occorre evidenziare che i criteri  direttivi
contenuti nella legge delega n. 88 del 2009  per  l'attuazione  della
direttiva 2008/51/CE sono previsti sia nell'art. 2, sia nell'art. 36. 
    Nell'art.  2  sono  enunciati  i  criteri  che  hanno   carattere
generale, in quanto riferiti all'insieme dei decreti legislativi  che
dovevano  essere  adottati  dal  Governo  per  dare  attuazione  alle
numerose direttive comunitarie elencate negli allegati alla  medesima
legge. 
    I criteri specifici per il recepimento della  suddetta  direttiva
risultano  elencati   all'art.   36.   Tale   disposizione   sancisce
espressamente che nell'attuazione della direttiva  il  Governo  debba
seguire  detti  criteri  congiuntamente  a  quelli  generali  di  cui
all'art. 2. Nel caso di specie, quindi, poiche' i  criteri  specifici
non costituiscono deroga a quelli generali, entrambi sono  egualmente
posti a  base  della  delega  legislativa  e  -  dovendosi  integrare
reciprocamente - vanno coordinati per essere interpretati in  termini
unitari (sentenza n. 49 del 1999). 
    2.3.- Esaminando per primo il criterio specifico di cui  all'art.
36, comma 1, lettera n), in materia di sanzioni deve  escludersi  che
la norma censurata lo violi. 
    Esso  stabilisce  che  il  legislatore  delegato  e'   tenuto   a
«prevedere l'introduzione di sanzioni penali, nei limiti di  pena  di
cui alla legge 2 ottobre 1967, n. 895 ed alla legge 18  aprile  1975,
n. 110,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni  della  legislazione
nazionale di attuazione della direttiva 2008/51/CE». 
    Invero, se per un verso vengono correttamente osservati gli  ampi
limiti edittali previsti dalle leggi teste' richiamate,  al  contempo
non puo' essere condivisa l'interpretazione del giudice a quo secondo
cui  la  previsione,  in  detta  disposizione,  della   delega   alla
«introduzione di sanzioni penali»  escluderebbe  la  possibilita'  di
incidere su  quelle  gia'  esistenti,  ammettendo  la  previsione  di
trattamenti sanzionatori esclusivamente se attinenti a nuove  ipotesi
di reato. 
    Tale interpretazione non risulta suffragata dalla  lettera  della
disposizione: per «introduzione di sanzioni» deve infatti  intendersi
la  loro  previsione  in  relazione  sia  a  fattispecie  previgenti,
eventualmente modificate anche nel precetto, sia a ipotesi  di  reato
inserite ex novo nell'ordinamento dal legislatore delegato. 
    La lettura del rimettente non e' comunque coerente con  la  ratio
della legge delega, rappresentata - secondo l'espressa intenzione del
legislatore - dall'attuazione della direttiva 2008/51/CE, intesa come
recepimento delle prescrizioni ivi contenute in uno con la  finalita'
di conseguire il grado piu' elevato possibile  di  ottemperanza  alle
medesime. 
    2.4.- L'analisi dei  lavori  parlamentari,  del  resto,  conferma
questa conclusione. 
    Nel parere favorevole espresso il 30 settembre 2010  allo  schema
di decreto legislativo in esame, la I Commissione  permanente  presso
la Camera dei deputati (Affari costituzionali, della  Presidenza  del
Consiglio e interni) -  con  riguardo  al  trattamento  sanzionatorio
concernente i reati  ivi  disciplinati,  inclusa  la  contravvenzione
prevista a carico dell'armaiolo dall'art. 35 TULPS - ha  riconosciuto
espressamente in capo al legislatore delegato il potere di  aggravare
le sanzioni relative a fattispecie  incriminatrici  preesistenti.  In
particolare,  nell'atto  richiamato,  si  legge  che  il  legislatore
delegato ha inteso perseguire «la finalita' pienamente  condivisibile
di conseguire il grado piu' elevato possibile  di  ottemperanza  alle
disposizioni  di  legge  in  materia   di   armi,   prevede[ndo]   un
significativo  inasprimento  delle   sanzioni   penali,   soprattutto
pecuniarie, previste dall'ordinamento per alcuni reati  connessi  con
le armi». 
    2.5.- Peraltro il criterio specifico in esame va letto alla  luce
dell'art. 16 della direttiva 91/477/CEE, come sostituito dall'art. 1,
numero  11),  della  direttiva  2008/51/CE,   che   riconosce   ampia
discrezionalita'  al  legislatore  interno  nella  definizione  degli
strumenti da adottare per dare effettivita' al provvedimento europeo,
compreso quindi quello di intervenire  sui  trattamenti  sanzionatori
previgenti. Agli Stati membri viene, infatti, conferita  liberta'  di
scelta nello stabilire le sanzioni da irrogare in caso di  violazione
delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della  direttiva,
purche' siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». 
    2.6.- Alla stregua di quanto evidenziato,  deve  concludersi  che
non era precluso al legislatore delegato, nell'ambito dei criteri  di
cui all'art. 36, comma 1, lettera n), della legge  n.  88  del  2009,
rivedere   anche   l'impianto   sanzionatorio    delle    fattispecie
incriminatrici rientranti nell'oggetto della delega. In  particolare,
nel dare attuazione alla direttiva 2008/51/CE,  con  la  disposizione
censurata il legislatore delegato ha  proceduto  alla  riformulazione
dell'art. 35 TULPS, ampliando  l'area  penalmente  rilevante  con  la
contestuale estensione dei soggetti attivi del reato (ricondotti alla
nozione unitaria di armaiolo) e la previsione di obblighi  aggiuntivi
a carico  dei  medesimi,  ed  ha  aggravato  -  proprio  al  fine  di
assicurare l'osservanza di tali obblighi - il precedente  trattamento
sanzionatorio mediante l'individuazione di una sanzione ritenuta piu'
efficace, proporzionata e dissuasiva, nel rispetto in ogni  caso  dei
limiti di pena di cui alla citata lettera n). 
    2.7.- Non risultano nemmeno violati i criteri generali  contenuti
nell'art. 2, comma 1, lettera  c),  che  riguardano  l'attuazione  di
tutte  le  numerose  direttive  cui  il  Governo  e'  tenuto  a  dare
attuazione. 
    In questo quadro, l'inciso «al di fuori dei casi  previsti  dalle
norme penali vigenti», con cui si apre la lettera in  questione,  non
puo' intendersi - come ritiene il rimettente - nel  senso  che  dette
norme fossero tutte intangibili con preclusione  per  il  legislatore
delegato  di  incidere  sulla  legislazione  esistente,  laddove   la
medesima disposizione anzi consentiva, «ove necessario per assicurare
l'osservanza delle disposizioni contenute nei  decreti  legislativi»,
la previsione di sanzioni  penali  oltre  che  amministrative,  entro
definiti limiti qualitativi e quantitativi. Cio' sarebbe incongruo  -
come gia' statuito da  questa  Corte  con  riguardo  ad  un  criterio
direttivo analogo a quello in esame - «poiche'  la  delega  conferita
per l'attuazione di numerose direttive  comunitarie  nei  campi  piu'
diversi comportava necessariamente il potere-dovere  del  Governo  di
dettare discipline sostanziali  suscettibili  di  integrarsi  con  la
normativa preesistente nella materia, innovandola anche profondamente
ove cio' fosse richiesto dalle esigenze  di  attuazione  delle  norme
comunitarie, e quindi anche  adattando  le  previsioni  sanzionatorie
alla nuova disciplina sostanziale» (sentenza n. 456 del 1998). 
    La clausola in questione deve  quindi  interpretarsi,  «in  senso
piu' restrittivo, come intesa a precludere al Governo la possibilita'
di incidere [...] sulla disciplina penale  piu'  generale,  di  fonte
codicistica o comunque afferente ad ambiti e ad  interessi  che,  per
quanto  implicati  anche  nella  nuova  normativa,  in  essa  non  si
esauriscano» (sentenza n. 456 del 1998). 
    Cio' e' confermato dall'ultimo inciso della medesima  lettera  c)
secondo cui, «entro i limiti di pena indicati nella presente lettera»
(ammenda fino a 150.000 euro  e  arresto  fino  a  tre  anni),  «sono
previste sanzioni identiche a  quelle  eventualmente  gia'  comminate
dalle leggi vigenti per violazioni  che  siano  omogenee  e  di  pari
offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni  dei  decreti
legislativi» disciplinate dalla legislazione delegata. Il riferimento
e',  invero,  a  sanzioni  «previste  dalla  legislazione  previgente
riguardo ad oggetti diversi da quelli cui la delega  si  riferisce  e
destinate a rimanere immutate  appunto  perche'  estranee  all'ambito
della delega» (sentenza n. 456 del 1998). 
    Inoltre, posto che il criterio generale delle sanzioni  identiche
non si applica ai  rapporti  tra  norme  incriminatrici  preesistenti
rientranti nell'oggetto  della  delega  e  norme  modificative  delle
medesime, ma solo ai rapporti tra incriminazioni attinenti ad oggetti
diversi, si rivela del  tutto  erroneo  un  ulteriore  argomento  del
giudice rimettente: quello secondo cui  -  anche  ad  ammettere,  per
assurdo, che al legislatore delegato fosse  conferito  il  potere  di
modificare  norme  incriminatrici  -  il  criterio  indicato  avrebbe
imposto di confermare per la nuova fattispecie  di  cui  all'art.  35
TULPS l'originario trattamento sanzionatorio. Ed  infatti,  assumendo
rilievo nel caso di specie un'ipotesi di successione di leggi  penali
"modificativa", il criterio delle  sanzioni  identiche  e'  in  tutta
evidenza non pertinente. 
    2.8.- In conclusione qquesta Corte ritiene  che  il  Governo  non
abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalita' impliciti
in qualsiasi legge  di  delegazione,  essendosi  mantenuto  entro  il
perimetro sancito dal legittimo esercizio delle valutazioni  che  gli
competono nella fase di attuazione della delega, «nel rispetto  della
ratio di quest'ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie
della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). Dal che discende la
non  fondatezza  della  questione  di  legittimita'   costituzionale,
sollevata dal Tribunale di Savona, sezione penale, dell'art. 3, comma
1, lettera d), del d.lgs.  n.  204  del  2010,  nella  parte  in  cui
modifica l'art. 35, comma 8, TULPS.