ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  578  del
codice di procedura penale promossi dalla Corte  d'appello  di  Lecce
con due ordinanze del 6 novembre e dell'11 dicembre  2020,  iscritte,
rispettivamente, ai numeri 14 e 29, del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 7  e  10,
prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di P.P. N., A. B. e V. C., nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2021 il Giudice relatore
Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Antonio Bolognese per P.P. N., in collegamento
da remoto, ai sensi del punto 1) del  decreto  del  Presidente  della
Corte del 18 maggio 2021, Ladislao Massari per  A.  B.  e  V.  C.,  e
l'avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze del 6 novembre 2020 (r.o. n. 14 del 2021) e
dell'11 dicembre 2020 (r.o. n. 29 del 2021), la  Corte  d'appello  di
Lecce ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
578 del codice di procedura penale, per  contrasto  con  l'art.  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione all'art.  6,  paragrafo
2, della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,  n.  848,
nonche' per contrasto con lo stesso art.  117,  primo  comma,  e  con
l'art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della  direttiva  (UE)
2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul
rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e  del
diritto  di  presenziare  al  processo  nei  procedimenti  penali,  e
all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, «nella parte in cui  stabilisce  che,
quando nei confronti dell'imputato  e'  stata  pronunciata  condanna,
anche  generica,  alle  restituzioni  o  al  risarcimento  dei  danni
cagionati dal reato, a favore  della  parte  civile,  il  giudice  di
appello, nel dichiarare estinto il  reato  per  prescrizione,  decide
sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli effetti civili». 
    Il rimettente sospetta che  la  denunciata  previsione  normativa
violi il diritto alla presunzione di innocenza, garantito dalla norma
convenzionale (come interpretata  nella  giurisprudenza  della  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo)  e   da   quelle   dell'ordinamento
dell'Unione  europea  assunte  a  parametri  interposti,  in   quanto
imporrebbe al giudice dell'impugnazione di formulare, sia pure in via
incidentale ed al solo fine di provvedere sulla domanda risarcitoria,
un nuovo giudizio sulla responsabilita' penale dell'imputato, sebbene
questa sia stata esclusa in ragione della declaratoria di  estinzione
del reato. 
    Le due ordinanze, di  contenuto  sostanzialmente  sovrapponibile,
sono state emesse nell'ambito di due distinti processi penali che  si
stanno celebrando, in grado di appello, dinanzi al giudice a  quo,  a
seguito di impugnazione proposta dagli imputati, condannati in  primo
grado sia alle sanzioni  penali  per  i  reati  loro  rispettivamente
contestati sia, conseguentemente, al risarcimento del danno in favore
delle parti civili costituite. 
    Nell'ordinanza del 6 novembre 2020, relativa al  primo  processo,
il rimettente espone che l'unico imputato,  P.P.  N.,  all'esito  del
primo  grado   di   giudizio,   e'   stato   riconosciuto   colpevole
dell'ascritto reato di calunnia ed e' stato condannato alla  pena  di
due anni di reclusione, nonche'  a  risarcire  alla  persona  offesa,
costituita parte civile, un danno liquidato in euro 10.000. 
    Invece, nell'ordinanza dell'11 dicembre 2020, relativa al secondo
processo, si riferisce che piu' imputati (tra cui A. B. e V. C.) sono
stati  riconosciuti  colpevoli  del  delitto  di   associazione   per
delinquere  finalizzata  alla  commissione   di   reati   contro   il
patrimonio, oltre che di una serie di truffe, e sono stati condannati
alla pena della reclusione diversamente commisurata per  ciascuno  di
essi, nonche', in solido, a risarcire il danno cagionato alle persone
offese  dai  reati-fine,  da  liquidarsi  in   separata   sede,   con
provvisionali di diversa misura. 
    In entrambi i processi, peraltro,  nelle  more  dell'impugnazione
sarebbe maturata la prescrizione dei reati in relazione ai  quali  e'
stata emessa la condanna risarcitoria in favore delle parti civili. 
    Precisamente, nel primo processo, il reato di calunnia,  per  cui
vi  era  stata  condanna  in  primo  grado,  si  sarebbe   prescritto
antecedentemente alla data  del  25  ottobre  2019,  fissata  per  la
celebrazione  della  prima  udienza  del  giudizio  di  appello,  poi
rinviata  al  6  novembre   2020   per   l'adesione   del   difensore
all'astensione dalle  udienze  proclamata  dal  competente  organismo
forense. Nel secondo processo, invece, la causa estintiva per tutti i
reati-fine (in relazione  ai  quali  era  stata  emessa  la  condanna
risarcitoria in primo grado) sarebbe maturata a far data dal mese  di
ottobre 2020, dopo che la prima  udienza  d'appello,  originariamente
fissata al 18 marzo 2020, era stata rinviata al successivo 21 ottobre
2020, ai sensi dell'art. 83, commi 1, 2 e 3,  del  decreto  legge  17
marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio  nazionale  e
di sostegno economico per famiglie,  lavoratori  e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, pur  tenendo  conto
della sospensione della prescrizione nel periodo  9  marzo-11  maggio
2020,  prevista  dal  comma  4  dello  stesso  articolo;  nelle  more
dell'ulteriore  rinvio  dell'udienza  del  21  ottobre  2020   all'11
dicembre 2020 (reso necessario dalla situazione  di  incompatibilita'
alla trattazione di  uno  dei  membri  del  collegio  giudicante)  si
sarebbe parzialmente prescritto anche il reato associativo,  restando
in vita solo l'imputazione relativa ai promotori ed organizzatori del
sodalizio criminoso. 
    1.1.- Si sarebbero, dunque, integrati in entrambi  i  processi  i
presupposti per l'applicabilita' dell'art. 578 cod. proc.  pen.,  che
impone al giudice di appello, nel dichiarare il non doversi procedere
per estinzione del reato a causa della prescrizione sopravvenuta alla
sentenza di condanna di  primo  grado,  di  provvedere  comunque  sul
gravame ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della  sentenza
impugnata che concernono gli interessi civili. 
    La rilevanza della questione sarebbe assicurata dalla circostanza
che, in applicazione della disposizione sospettata di  illegittimita'
costituzionale, una volta dichiarata la prescrizione  dei  reati,  la
Corte di appello non potrebbe procedere alla conferma delle  condanne
risarcitorie sul mero rilievo dell'assenza  di  prova  dell'innocenza
degli imputati, ostando a tale possibilita' il principio, consolidato
nella giurisprudenza della Corte di  cassazione,  secondo  il  quale,
all'esito del giudizio, il proscioglimento nel  merito,  in  caso  di
insufficienza o contraddittorieta' della prova, non prevale  rispetto
alla dichiarazione immediata di una causa di non  punibilita',  salvo
che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del  reato,
il giudice sia chiamato a  valutare,  per  la  presenza  della  parte
civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.  In
ragione di questo  principio,  dunque,  la  conferma  delle  condanne
risarcitorie potrebbe seguire solo ad un compiuto  esame  nel  merito
dei motivi  di  gravame  (tutti  incentrati  sull'assenza  di  penale
responsabilita' in capo agli imputati),  in  mancanza  del  quale  la
sentenza  di  appello  sarebbe  viziata  da  omessa  o  insufficiente
motivazione e soggetta, in ipotesi  di  ricorso  per  cassazione,  ad
annullamento con rinvio. 
    1.2.- Quanto alla  non  manifesta  infondatezza  della  sollevata
questione di legittimita'  costituzionale,  osserva  al  riguardo  il
giudice a quo che il necessario esame  dei  motivi  di  impugnazione,
comportando una rivalutazione del compendio probatorio, non  potrebbe
che tradursi in un nuovo apprezzamento, sia pure «incidenter tantum»,
della colpevolezza dell'imputato. 
    In tal senso, del resto, si porrebbe l'orientamento  del  giudice
della nomofilachia (vengono  citate:  Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 28 maggio-15 settembre 2009, n. 35490; sezione
sesta penale, sentenza 20 marzo-8  aprile  2013,  n.  16155;  sezioni
unite penali, sentenza 18 luglio-27 settembre 2013, n. 40109; sezione
quinta penale, sentenza 7 ottobre  2014-27  gennaio  2015,  n.  3869;
sezione seconda penale, sentenza  18  luglio-17  settembre  2014,  n.
38049), il quale interpreta il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen.
nel senso di ritenere necessaria, in funzione  della  conferma  delle
statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado da  parte
del giudice di appello che pure abbia riscontrato l'esistenza di  una
causa  estintiva  del  reato,  l'incidentale   riaffermazione   della
responsabilita' penale dell'imputato, pena l'annullamento con  rinvio
della sentenza. 
    Tale indirizzo interpretativo, assunto  come  "diritto  vivente",
avrebbe trovato riscontro anche nel  recente  arresto  delle  Sezioni
unite penali (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza  25
ottobre 2018-7 febbraio 2019, n.  6141),  che,  risolvendo  in  senso
positivo  il  contrasto,  circa  l'impugnabilita'  con   il   rimedio
straordinario della revisione, della sentenza di appello  contenente,
unitamente alla dichiarazione di estinzione del  reato,  la  conferma
delle  statuizioni  civili  restitutorie  o  risarcitorie,  l'avrebbe
equiparata, nella  sostanza,  ad  una  vera  e  propria  sentenza  di
"condanna". 
    Tenuto  conto  di  tale  "diritto  vivente"   sull'ambito   della
cognizione richiesta al giudice dell'impugnazione penale dalla  norma
codicistica, questa - secondo la Corte rimettente -  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., per  violazione
sia degli obblighi convenzionali assunti con la CEDU sia dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento dell'Unione  europea,  in  quanto  la  sua
concreta applicazione in giudizio lederebbe il diritto  dell'imputato
alla presunzione di innocenza, come riconosciuto e  garantito,  sotto
il primo versante, dall'art. 6, paragrafo 2, CEDU e, sotto il secondo
versante, dall'art. 48  CDFUE,  nonche'  dagli  artt.  3  e  4  della
direttiva 2016/343/UE, emanata, ai sensi dell'art. 82,  paragrafo  2,
lettera  b),  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, proprio
in funzione del rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione  di
innocenza. 
    Evidenzia, in particolare, il  rimettente  che  tanto  l'art.  6,
paragrafo 2, CEDU (nella costante interpretazione datane dalla  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo)  quanto  la  corrispondente   norma
contenuta nell'art. 48 CDFUE, nonche' gli artt. 3 e  4  della  citata
direttiva (questi ultimi nella interpretazione  ripetutamente  datane
dalla  Corte  di  giustizia),  riconoscerebbero   il   diritto   alla
presunzione di innocenza sotto un duplice aspetto. 
    Per  un  verso,  attribuirebbero  una  garanzia  procedurale  nel
contesto di un processo penale, con implicazioni in ordine  all'onere
della prova, all'applicabilita' di presunzioni di fatto e di diritto,
al   privilegio   contro   l'autoincriminazione,   alla   pubblicita'
preprocessuale e alle espressioni  premature  da  parte  della  corte
processuale o di altri funzionari. Per altro verso, una volta che  il
procedimento penale sia terminato con una pronuncia di assoluzione  o
con una interruzione (e dunque senza che  la  responsabilita'  penale
sia stata accertata),  attribuirebbero  all'imputato  il  diritto  di
essere trattato dalle pubbliche autorita' e  dai  pubblici  ufficiali
come  persona  innocente,  impedendo  che,   nel   contesto   di   un
procedimento successivo,  possano  essere  emessi  provvedimenti  che
presuppongano la sua responsabilita' in ordine al reato che  gli  era
stato contestato. 
    1.3.-  Con  specifico  riguardo  al  diritto  convenzionale,   il
rimettente, oltre a ricordare il leading case in  cui  il  cosiddetto
secondo aspetto del diritto alla  presunzione  di  innocenza  sarebbe
stato elaborato (Corte EDU, grande camera, sentenza 12  luglio  2013,
Allen contro Regno Unito), cita una serie di pronunce in cui la Corte
di  Strasburgo  e'  stata  chiamata  a   considerare   l'applicazione
dell'art. 6, paragrafo 2, CEDU in relazione a  decisioni  giudiziarie
prese a seguito della conclusione del procedimento penale,  a  titolo
di interruzione o dopo un'assoluzione, in  procedimenti  riguardanti,
tra l'altro, l'imposizione  di  una  responsabilita'  civile  per  il
pagamento  di  un  risarcimento  alla  vittima.  Questa  fattispecie,
corrispondente a quella disciplinata nel nostro ordinamento dall'art.
578 cod. proc. pen., sarebbe quindi quella tipica in  cui  troverebbe
applicazione  il  cosiddetto  secondo  aspetto   del   diritto   alla
presunzione di innocenza, come declinato nella  giurisprudenza  della
Corte EDU. 
    Il giudice a quo richiama, in particolare, la  recente  decisione
emessa dalla Corte EDU  in  data  20  ottobre  2020  (terza  sezione,
sentenza 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San  Marino),
evidenziando come, nella fattispecie, il giudice  penale  di  appello
sammarinese,   in   applicazione   di   una    norma    perfettamente
sovrapponibile all'art. 578 cod. proc. pen., in  seguito  al  gravame
proposto dall'imputato avverso la sentenza  di  primo  grado  che  lo
aveva ritenuto  colpevole  di  appropriazione  indebita  aggravata  e
continuata, condannandolo al risarcimento del danno in  favore  della
parte civile, aveva dichiarato  l'avvenuta  prescrizione  del  reato,
confermando nel contempo la condanna risarcitoria, sul rilievo che la
condotta dell'imputato integrava i fatti di  appropriazione  indebita
di cui era stato accusato, che questi fatti erano stati commessi  con
dolo e che da essi era derivato un danno alla vittima. 
    Il rimettente rileva come la Corte EDU abbia ritenuto violato dal
giudice  sammarinese  il  secondo  aspetto   della   presunzione   di
innocenza, avendo egli emesso un  provvedimento  che  rifletteva  una
indebita opinione di colpevolezza, e quindi una oggettiva imputazione
di  responsabilita'  penale,  non  ostante  questa  non  fosse  stata
accertata in ragione della declaratoria di prescrizione del reato. 
    1.4.- Tanto evidenziato, il giudice a quo osserva come,  in  base
al riferito consolidato orientamento del giudice della  nomofilachia,
anche nell'applicazione dell'art. 578 cod. proc.  pen.  non  potrebbe
prescindersi  dalla  formulazione  di  un   implicito   giudizio   di
colpevolezza, al fine di confermare la condanna risarcitoria. 
    Questo consolidato orientamento, costituendo  "diritto  vivente",
osterebbe, infatti, alla  possibilita'  che  il  giudice  del  merito
acceda ad una interpretazione convenzionalmente conforme della  norma
censurata. 
    Con riguardo all'ordinamento dell'Unione europea,  il  rimettente
cita decisioni  della  Corte  di  giustizia  in  cui  -  movendo  dal
presupposto che il diritto alla presunzione di innocenza riconosciuto
dall'art. 48 CDFUE,  in  quanto  corrispondente  a  quello  garantito
dall'art. 6, paragrafo 2, CEDU, ha significato e portata  identici  a
quello conferito dalla norma convenzionale (art. 52 CDFUE) -  sarebbe
stato  affermato  il  principio  generale  per  cui,  in  assenza  di
indicazioni   precise   nella   direttiva   2016/343/UE    e    nella
giurisprudenza   relativa   al    citato    art.    48,    ai    fini
dell'interpretazione  del   contenuto   della   direttiva   medesima,
occorrerebbe ispirarsi alla giurisprudenza della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    Questo   criterio   dovrebbe    essere    seguito    segnatamente
nell'interpretazione dell'art. 4, paragrafo  1,  della  direttiva,  a
mente del quale gli Stati membri sono tenuti ad  adottare  le  misure
necessarie per garantire che, fino a quando  la  colpevolezza  di  un
indagato o di un  imputato  non  sia  stata  legalmente  provata,  le
dichiarazioni  pubbliche  rilasciate  da  autorita'  pubbliche  e  le
decisioni giudiziarie  diverse  da  quelle  sulla  colpevolezza,  non
presentino la persona come colpevole. 
    Anche l'ordinamento dell'Unione europea,  dunque,  riconoscerebbe
il secondo aspetto del diritto alla presunzione di innocenza  con  la
medesima portata di quello garantito dall'ordinamento  convenzionale,
talche' l'art. 578 cod. proc. pen. - dando luogo, nel suo necessitato
snodo  applicativo,   reso   ineludibile   dall'indirizzo   esegetico
consolidatosi nel  diritto  vivente  giurisprudenziale,  a  decisioni
giudiziarie, emesse in grado  di  appello,  che,  nel  confermare  le
statuizioni  civili  contenute  nella  sentenza   di   primo   grado,
presentano l'imputato come colpevole, sebbene la sua  responsabilita'
penale sia stata esclusa dal proscioglimento in  rito  -  sarebbe  in
evidente contrasto, anche sotto questo profilo, con l'art. 117, primo
comma, nonche' con l'art. 11 Cost. 
    La  violazione  del  diritto  dell'Unione   europea   -   osserva
ulteriormente il rimettente  -  se,  da  un  lato,  consentirebbe  al
giudice comune di disapplicare le  norme  interne  in  contrasto  con
quelle comunitarie direttamente efficaci, dall'altro lato, vertendosi
in materia di diritti fondamentali  tutelati  anche  dall'ordinamento
interno, legittimerebbe altresi' lo stesso  giudice  a  sollevare  la
questione di costituzionalita' (vengono citate le sentenze di  questa
Corte n. 63 e n. 20 del 2019, e n. 269 del 2017). 
    La    predetta    violazione,    inoltre,    sarebbe    rilevante
indipendentemente  dalla  dimensione  transnazionale  della   materia
penale  oggetto  del  procedimento,  avendo  la  Corte  di  giustizia
chiarito che le direttive emanate ai sensi dell'art. 82, paragrafo 2,
TFUE, si applicano a qualunque  procedimento  penale  (viene  citata:
Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 13 giugno  2019,  in
causa C-646/17), il che comporterebbe, ai sensi dell'art.  51  CDFUE,
anche l'applicabilita' dell'art. 48 della stessa Carta (viene citata:
Corte di giustizia UE, sentenza 26 febbraio 2013, in causa C-617/10). 
    2.- Nei giudizi incidentali si sono costituiti P.P. N.  (imputato
appellante   nel   processo   sospeso   in   seguito    all'emissione
dell'ordinanza del 6 novembre 2000), nonche' A. B. e V. C.  (imputati
appellanti   nel   processo   sospeso   in   seguito    all'emissione
dell'ordinanza dell'11  dicembre  2020)  i  quali,  nel  ribadire  le
allegazioni in fatto contenute nell'ordinanza  di  rimessione,  hanno
altresi' aderito alle deduzioni in diritto, chiedendo  l'accoglimento
della questione. 
    3.- Con distinti atti di intervento (depositati in data  9  e  30
marzo 2021), e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che,  in
relazione  ad  entrambe  le  ordinanze  di  rimessione,  ha   chiesto
dichiararsi le questioni non fondate. 
    L'interveniente deduce che  la  norma  censurata,  ove  applicata
secondo l'indirizzo prevalso  nella  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione, non contrasti affatto con il principio della  presunzione
di innocenza, come  declinato  nell'ordinamento  convenzionale  e  in
quello eurounitario, giacche' il predetto indirizzo giurisprudenziale
richiederebbe   non   gia'    l'accertamento    della    colpevolezza
dell'imputato, ma esclusivamente la valutazione  del  fatto  posto  a
fondamento  del  giudizio  di  responsabilita'  civile,  di  cui   si
chiederebbe la conferma in presenza  di  una  sopravvenuta  causa  di
estinzione del reato. 
    4.- A. B. e V. C. hanno depositato memoria illustrativa, ex  art.
10  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze del 6 novembre 2020 (r.o. n. 14 del 2021) e
dell'11 dicembre 2020 (r.o. n. 29 del 2021)  la  Corte  d'appello  di
Lecce  ha   sollevato   le   medesime   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 578  del  codice  di  procedura  penale  per
contrasto  con  l'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione  all'art.  6,  paragrafo  2,  della  Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonche' per contrasto  con
gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 4
della direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,
del  9  marzo  2016,  sul  rafforzamento  di  alcuni  aspetti   della
presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei
procedimenti  penali,  e  all'art.  48  della   Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  nella
parte in cui stabilisce che, quando nei  confronti  dell'imputato  e'
stata pronunciata condanna, anche generica, alle  restituzioni  o  al
risarcimento dei danni cagionati dal  reato,  a  favore  della  parte
civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto  il  reato  per
prescrizione,  decide  sull'impugnazione  ai   soli   effetti   delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono  gli  interessi
civili. 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale  si  fonda  sul  rilievo
che,  alla  stregua  della   giurisprudenza   formatasi   in   ordine
all'interpretazione della norma codicistica, il giudice  dell'appello
penale, nel momento in cui  e'  chiamato  a  dichiarare  non  doversi
procedere per la sopravvenuta estinzione del reato per  prescrizione,
sarebbe comunque tenuto a svolgere, sia pure in via incidentale e  al
fine  di  provvedere  sul  gravame  ai  soli  effetti  della  domanda
risarcitoria o restitutoria della parte civile, un nuovo accertamento
sulla responsabilita' penale dell'imputato, in mancanza del quale  la
decisione sarebbe viziata da difetto di motivazione  e  destinata  ad
essere annullata (con rinvio) nel successivo grado di legittimita'. 
    In tal modo, la disposizione censurata lederebbe il principio  di
presunzione  di  innocenza   garantito   all'imputato   dalla   norma
convenzionale  e  da  quelle  europee,  tutte  assunte  a   parametri
interposti, in quanto la prima, come interpretata  dalla  Corte  EDU,
escluderebbe la possibilita' che  in  un  procedimento  successivo  a
quello penale conclusosi con un risultato diverso  da  una  condanna,
possano essere emessi provvedimenti che presuppongono un giudizio  di
colpevolezza  della  persona  in  ordine  al  reato   precedentemente
contestatole; parimenti le seconde, alla  luce  della  giurisprudenza
della Corte di giustizia dell'Unione europea, imporrebbero agli Stati
membri di garantire che le decisioni giudiziarie  diverse  da  quelle
sulla colpevolezza non presentino una persona come colpevole  finche'
la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. 
    Anche  l'evocazione  dell'art.  11   Cost.   non   ha   -   nella
prospettazione delle ordinanze  di  rimessione  -  una  sua  distinta
autonomia, come parametro diretto, ma confluisce nella denuncia degli
indicati parametri interposti. 
    2.- Le ordinanze di rimessione sollevano la stessa  questione  di
legittimita' costituzionale, si' da rendere opportuna la riunione dei
giudizi per la loro decisione congiunta. 
    3.- In via preliminare, va osservato che  sussiste  la  rilevanza
delle questioni: per un verso, come evidenziato  nelle  ordinanze  di
rimessione, nei giudizi a quibus risultano  integrati  i  presupposti
per  l'applicazione  della   norma   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale, consistenti nell'emissione  di  una  valida  condanna
risarcitoria in  primo  grado,  nella  sopravvenienza  di  una  causa
estintiva  maturata  nelle  more  dell'impugnazione  della   predetta
condanna e nella "specificita'" della causa  estintiva  sopravvenuta,
costituita  dalla  prescrizione;  per  altro  verso,   le   ordinanze
assumono, plausibilmente, che dagli atti non risulta evidente che  il
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto
non costituisce reato o non e' previsto dalla legge  come  reato  con
conseguente  impossibilita'  di  addivenire  ad  una   pronuncia   di
proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. 
    Pertanto la Corte rimettente e' chiamata a fare applicazione  del
censurato art. 578 cod. proc. pen. in entrambi i giudizi. 
    4.- Ancora in  via  preliminare,  va  affermata  l'ammissibilita'
delle questioni sollevate -  per  il  tramite  dell'art.  117,  primo
comma, oltre che dell'art. 11, Cost. -  in  relazione  agli  indicati
parametri interposti, convenzionale ed europei, quali rispettivamente
l'art. 6, paragrafo 2, CEDU e l'art. 48 CDFUE, unitamente agli  artt.
3 e 4 della direttiva 2016/343/UE, in corso di recepimento  in  forza
della legge  22  aprile  2021,  n.  53  (Delega  al  Governo  per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020). 
    4.1.-  In  relazione  al  primo  parametro  interposto  (art.  6,
paragrafo 2, CEDU), deve muoversi dal rilievo,  in  conformita'  alla
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 145
del 2020 e n.  25  del  2019),  secondo  cui,  allorche'  un  diritto
fondamentale trovi protezione, sia in una norma  costituzionale,  sia
in una norma della CEDU, vi e'  una  concorrenza  di  tutele  che  si
traduce in  un'integrazione  di  garanzie.  In  questa  ipotesi,  dal
momento che in  tema  di  diritti  fondamentali  «il  rispetto  degli
obblighi internazionali [...] puo' e deve [...] costituire  strumento
efficace di ampliamento della tutela stessa»  (sentenza  n.  317  del
2009; nello stesso senso, sentenza  n.  120  del  2018),  il  giudice
rimettente  puo'  allegare  la  norma   convenzionale   a   parametro
interposto, evidenziando la portata che in  essa  assume  il  diritto
fondamentale, di cui e' ipotizzata  la  possibile  lesione  ad  opera
della norma interna  censurata,  e  confrontandosi  con  la  relativa
giurisprudenza sovranazionale. 
    Nella fattispecie in esame, il  giudice  a  quo  ha  puntualmente
assolto questo onere. 
    4.2.- In relazione poi all'evocazione, da  parte  del  giudice  a
quo, di disposizioni del diritto dell'Unione europea, va ribadito che
essa deve considerarsi ammissibile  quando,  come  nella  specie,  il
giudice  comune,  nell'ambito  di  un   incidente   di   legittimita'
costituzionale, richiami, come  norme  interposte,  disposizioni  del
predetto  ordinamento  attinenti  ai  medesimi  diritti  fondamentali
tutelati da parametri interni, ove non ricorrano i presupposti  della
non applicabilita' della normativa interna  contrastante  con  quella
europea. In tale evenienza, questa Corte, eventualmente previo rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, non si esime dal  fornire  una
risposta a tale questione  con  gli  strumenti  che  le  sono  propri
(sentenze n. 11 del 2020, n. 63 e n. 20 del 2019, n. 269 del 2017). 
    In particolare, nella specie, l'ammissibilita'  non  e'  preclusa
dal difetto della dimensione transnazionale delle vicende penali  che
costituiscono oggetto  dei  giudizi  principali.  Le  norme  evocate,
infatti,  sono  contenute  nella  direttiva   n.   2016/343/UE,   sul
rafforzamento di  alcuni  aspetti  della  presunzione  di  innocenza,
emanata in attuazione dell'art. 82,  paragrafo  2,  lettera  b),  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a
Roma il 25 marzo 1957, come modificato dall'art. 2  del  Trattato  di
Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto  2008,
n.  130,  secondo  cui,  laddove   necessario   per   facilitare   il
riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie
e la cooperazione di  polizia  e  giudiziaria  nelle  materie  penali
aventi  dimensione  transnazionale,  il  Parlamento  europeo   e   il
Consiglio  possono  stabilire  norme  minime   attraverso   direttive
deliberate secondo la procedura legislativa ordinaria, in materia  di
«diritti della persona nella procedura penale», tenendo  conto  delle
differenze tra le tradizioni e gli ordinamenti giuridici degli  Stati
membri.   Esse,   dunque,   proprio   perche'    volte    a    creare
un'armonizzazione minima dei procedimenti penali nell'Unione europea,
sotto il profilo dei diritti procedurali di indagati e  imputati,  in
funzione del rafforzamento della reciproca fiducia degli Stati membri
nei rispettivi sistemi  di  giustizia  penale,  trovano  applicazione
indipendentemente dalla dimensione  transnazionale  del  procedimento
(Corte di giustizia, sentenza 13 giugno  2019,  in  causa  C-646/17).
L'applicazione delle  norme  della  direttiva  sulla  presunzione  di
innocenza implica, poi, anche quella dell'art. 48 CDFUE, che  enuncia
lo stesso principio, rientrandosi nell'ambito definito dall'art.  51,
paragrafo 1, della Carta medesima (Corte di  giustizia,  sentenza  26
febbraio 2013, in causa C-617/10). 
    5.-  Preliminarmente  all'esame  del   merito   delle   questioni
sollevate  dalla  Corte  d'appello  di  Lecce  giova  premettere  una
sintetica  ricostruzione  del  quadro   normativo   di   riferimento,
limitatamente  all'ambito  di   applicabilita'   della   disposizione
censurata nel sistema dei rapporti tra  giudizio  civile  e  giudizio
penale, nonche' tra azione civile  e  poteri  cognitivi  del  giudice
penale. 
    6.- Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  si  e'  piu'  volte
rilevato (ex plurimis, sentenze n. 176 del 2019, n. 12 del 2016 e  n.
217 del 2009) che, a differenza del sistema delineato nel codice  del
1930 (ove l'assetto delle relazioni tra processo  civile  e  processo
penale era improntato  ai  principi  di  unitarieta'  della  funzione
giurisdizionale e di preminenza della giurisdizione  penale),  quello
risultante dal codice  in  vigore  e',  al  contrario,  informato  ai
diversi principi dell'autonomia e della separazione. 
    Infatti, nell'ipotesi in cui l'azione civile per le  restituzioni
o il risarcimento venga esercitata nella sua sede propria (quella del
giudizio civile) in pendenza di un  processo  penale  per  lo  stesso
fatto, non trova piu' applicazione - nel nuovo codice di  rito  -  la
regola della cosiddetta  pregiudizialita'  penale  (che  imponeva  la
sospensione del giudizio civile sino al passaggio in giudicato  della
sentenza penale: art. 3 cod. proc. pen. del  1930),  ma  il  processo
civile prosegue, di norma, autonomamente  (art.  75,  comma  2,  cod.
proc. pen.), salve le ipotesi eccezionali in cui il danneggiato abbia
proposto la domanda in sede  civile  dopo  essersi  costituito  parte
civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di  primo  grado
(art. 75, comma 3, cod. proc. pen.). 
    Del pari, diversamente dal codice abrogato  (il  quale  prevedeva
che la sentenza penale assumesse efficacia  vincolante  nel  giudizio
civile di danno: art. 23 cod. proc. pen. del 1930), il codice attuale
stabilisce la diversa regola per cui la sentenza penale  irrevocabile
di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo  civile  se
il  danneggiato  ha  esercitato  l'azione  in  sede  civile  a  norma
dell'art. 75, comma 2, cod. proc. pen. (art. 652, comma 1, cod. proc.
pen.). 
    Nell'ipotesi  in  cui  la  domanda  risarcitoria  venga,  invece,
proposta con la costituzione di parte civile nel processo  penale,  i
rapporti tra azione civile e  poteri  cognitivi  del  giudice  penale
continuano ad essere informati, anche nel sistema accolto nel  codice
vigente,  al  principio   dell'"accessorieta'"   dell'azione   civile
rispetto a  quella  penale,  principio  che  trova  fondamento  nelle
«esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati
e alla rapida definizione dei processi»,  e  che  ha  quale  naturale
implicazione  quella  per  cui  l'azione   civile,   ove   esercitata
all'interno del processo penale, «e'  destinata  a  subire  tutte  le
conseguenze e  gli  adattamenti  derivanti  dalla  funzione  e  dalla
struttura»  di  questo  processo  (sentenza  n.  176  del  2019;   in
precedenza, anche sentenza n. 12 del 2016). 
    Il  principio  di  "accessorieta'"  trova   la   sua   principale
espressione nella regola secondo la quale il giudice penale  «decide»
sulla domanda  per  le  restituzioni  e  il  risarcimento  del  danno
proposta con la costituzione di  parte  civile,  «[q]uando  pronuncia
sentenza di condanna» (art. 538, comma 1, cod. proc. pen.). 
    La  condanna   penale,   dunque,   costituisce   il   presupposto
indispensabile del provvedimento del giudice sulla domanda civile: se
emette sentenza di proscioglimento, tanto in rito  (sentenza  di  non
doversi procedere: artt. 529 e 531 cod. proc. pen.) quanto nel merito
(sentenza di assoluzione: art. 530 cod. proc. pen.), il  giudice  non
deve provvedere sulla domanda civile; se invece pronuncia sentenza di
condanna (art. 533 cod. proc. pen.), provvede altresi' sulla  domanda
restitutoria o risarcitoria, accogliendola o rigettandola. 
    Questa regola generale trova applicazione senza alcuna deroga nel
giudizio penale di  primo  grado:  il  giudice  penale  decide  sulla
domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno se -  e  solo
se - pronuncia sentenza di condanna dell'imputato, soggetto  debitore
quanto alle obbligazioni civili risarcitorie o restitutorie. 
    Nei gradi di impugnazione, invece, questa regola talora  deflette
a tutela del diritto di azione della parte civile (art.  24,  secondo
comma, Cost.). La disciplina  delle  impugnazioni  conosce,  infatti,
norme particolari, che attribuiscono al  giudice  del  gravame  o  al
giudice del rinvio in  seguito  a  cassazione,  il  potere-dovere  di
provvedere sulla domanda civile, pur in presenza di una pronuncia  di
proscioglimento  e  quindi   in   assenza   dell'accertamento   della
responsabilita' penale. 
    6.1.- Innanzi tutto l'art. 576 cod. proc.  pen.  prevede  che  la
parte civile  puo'  proporre  impugnazione,  ai  soli  effetti  della
responsabilita'  civile,  contro  la  sentenza   di   proscioglimento
pronunciata nel giudizio o all'esito del rito  abbreviato  (ordinanza
n. 32 del 2007; Corte di cassazione, sezioni unite  penali,  sentenza
29 marzo-12 luglio 2007, n. 27614). In particolare la  giurisprudenza
di legittimita' ha ritenuto che  «nei  confronti  della  sentenza  di
primo grado che  dichiari  l'estinzione  del  reato  per  intervenuta
prescrizione, cosi' come contro  la  sentenza  di  appello  che  tale
decisione abbia confermato, e'  ammessa  l'impugnazione  della  parte
civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione»  (Corte
di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 marzo-3 luglio 2019,
n. 28911). 
    L'esercizio di questa facolta',  ad  opera  della  parte  civile,
«conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere  sulla
domanda al risarcimento  del  danno  ed  alle  restituzioni,  pur  in
mancanza di una precedente statuizione sul punto», atteso  che  esso,
una volta adito ai sensi dell'art. 576  cod.  proc.  pen.,  «ha,  nei
limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il
giudice  di  primo  grado  avrebbe  dovuto  esercitare»   (Corte   di
cassazione, sezioni unite penali,  sentenza  11-19  luglio  2006,  n.
25083). 
    Questa  Corte  ha  dichiarato  non  fondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale della disposizione  in  esame,  sollevata
con riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., nella parte
in  cui  prevede  che  la  parte  civile,  legittimata   a   proporre
l'impugnazione,  ai  soli   effetti   civili,   della   sentenza   di
proscioglimento, debba farlo dinanzi al giudice penale,  anziche'  al
giudice civile (sentenza n. 176 del 2019). 
    L'attribuzione alla parte civile della facolta' di impugnare,  ai
soli effetti  civili,  la  sentenza  di  proscioglimento  davanti  al
giudice penale non e' irragionevole, avuto riguardo, sotto il profilo
formale, alla circostanza che, «essendo stata la  sentenza  di  primo
grado pronunciata da un giudice penale con il rispetto  delle  regole
processualpenalistiche, anche il giudizio d'appello e' devoluto a  un
giudice penale (quello  dell'impugnazione)  secondo  le  norme  dello
stesso  codice  di  rito»;  e,  tenuto  conto,   sotto   il   profilo
sostanziale,  del  rilievo  che  tale  giudice,  «lungi   dall'essere
distolto  da  quella  che  e'  la  finalita'  tipica  e  coessenziale
dell'esercizio della  sua  giurisdizione  penale,  e'  innanzi  tutto
chiamato proprio  a  riesaminare  il  profilo  della  responsabilita'
penale dell'imputato, confermando  o  riformando,  seppur  solo  agli
effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata  in  primo
grado». 
    6.2.- Parimenti la disposizione attualmente oggetto delle censure
di illegittimita' costituzionale (art. 578 cod. proc.  pen.)  mira  a
soddisfare un'analoga esigenza di tutela della parte  civile;  quella
che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed e' nella
fase dell'impugnazione, una risposta di giustizia sia assicurata,  in
quella stessa sede, alle pretese risarcitorie  o  restitutorie  della
parte civile anche quando non  possa  piu'  esserci  un  accertamento
della  responsabilita'  penale  dell'imputato  ove   questa   risulti
riconosciuta in una sentenza di condanna, impugnata  e  destinata  ad
essere riformata o annullata per essere, nelle more, estinto il reato
per prescrizione. 
    Imprescindibile condizione perche' il  giudice  dell'impugnazione
possa decidere, non ostante il proscioglimento  dell'imputato,  sugli
interessi civili e' dunque,  anzitutto,  l'emissione  di  una  valida
condanna nel grado di giudizio immediatamente  precedente,  impugnata
dall'imputato o dal pubblico ministero, alla quale  sia  sopravvenuta
una  causa  estintiva  del   reato.   Pertanto,   fuori   dall'ambito
applicativo della norma  e'  sia  l'ipotesi  in  cui  il  giudice  di
appello,  su  impugnazione  del  pubblico  ministero,   dichiari   la
prescrizione del reato in riforma della sentenza  di  assoluzione  di
primo grado, sia quella in cui il medesimo  giudice  accerti  che  la
prescrizione del reato e' maturata prima  della  pronuncia  di  primo
grado. 
    Altro   imprescindibile   presupposto   della   possibilita'   di
deliberare   sulla   pretesa   civilistica   consiste,   poi,   nella
"specificita'" della causa di proscioglimento sopravvenuta: la norma,
infatti, non opera ne' nelle ipotesi di  proscioglimento  nel  merito
(all'eventuale assoluzione dall'imputazione  penale  pronunciata  dal
giudice dell'impugnazione non segue la decisione  sul  capo  civile),
ne'  nell'ipotesi  di  cause  estintive  del  reato   diverse   dalla
prescrizione o dall'amnistia (ad esempio, per remissione di querela). 
    In questi limiti il  legislatore  ha  voluto  evitare  che  cause
estintive del reato, indipendenti dalla volonta' delle parti, possano
frustrare il diritto al risarcimento e alla  restituzione  in  favore
della persona danneggiata dal reato,  qualora  sia  gia'  intervenuta
sentenza di condanna, oggetto di impugnazione; finalita'  questa  che
si coniuga alla necessita'  di  salvaguardare  evidenti  esigenze  di
economia  processuale  e  di  non   dispersione   dell'attivita'   di
giurisdizione. 
    6.3.- Una piu'  marcata  deviazione  dal  principio  generale  di
accessorieta' dell'azione civile nel processo penale  e'  poi  quella
recata dall'art. 622 cod. proc. pen., secondo cui,  nel  giudizio  di
cassazione, se gli effetti penali della sentenza di merito sono ormai
cristallizzati per essersi formato il giudicato sui relativi capi, la
cognizione sulla pretesa risarcitoria e restitutoria si scinde  dalla
statuizione sulla responsabilita' penale e viene  compiuta,  in  sede
rescindente, dal giudice di legittimita' e, in sede rescissoria,  dal
giudice civile di merito competente per valore in grado  di  appello,
all'esito di rinvio. 
    L'art. 622 cod. proc. pen. prescrive che,  «[f]ermi  gli  effetti
penali della sentenza», la Corte di cassazione, se annulla  solamente
le disposizioni o i capi che riguardano  l'azione  civile  ovvero  se
accoglie  il  ricorso  della  parte  civile  contro  la  sentenza  di
proscioglimento dell'imputato, rinvia,  quando  occorre,  al  giudice
civile  competente  per  valore  in  grado  di  appello,   anche   se
l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. 
    La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  chiarito   che,   nella
fattispecie contemplata dal primo ordine di ipotesi considerato dalla
norma  (che  presuppone  il  ricorso  dell'imputato  o  del  pubblico
ministero), rientrano non solo  i  casi  in  cui  la  responsabilita'
penale sia stata  definitivamente  accertata  con  esito  positivo  e
l'annullamento disposto  dalla  Cassazione  riguardi  le  statuizioni
civili censurate dall'imputato ai  sensi  dell'art.  574  cod.  proc.
pen., ma anche i casi di annullamento delle statuizioni civili,  rese
dal giudice di appello all'esito dell'applicazione  dell'art.  576  e
dell'art. 578 cod. proc. pen.; inoltre il rinvio al giudice civile, a
seguito dell'annullamento delle statuizioni  civili  contenute  nella
sentenza impugnata per cassazione, va  disposto  non  solo  allorche'
assuma carattere meramente "prosecutorio",  ma  anche  quando  assuma
carattere "restitutorio" (Corte di cassazione, sezioni unite  penali,
sentenza 18 luglio-27 settembre 2013, n. 40109). 
    Tale estensivo orientamento,  in  ordine  all'ambito  applicativo
dell'art. 622 cod. proc. pen., e' stato recentemente  ribadito  dalle
stesse Sezioni unite penali, le quali hanno inoltre statuito che  nel
giudizio rescissorio di "rinvio" dinanzi al giudice civile, avente in
realta'  natura  di  autonomo  giudizio  civile  (non  vincolato  dal
principio di diritto eventualmente enunciato dal  giudice  penale  di
legittimita' in sede rescindente),  trovano  applicazione  le  regole
processuali  e  probatorie  proprie  del  processo   civile   e   che
l'accertamento richiesto al giudice del "rinvio" ha  ad  oggetto  gli
elementi costitutivi dell'illecito  civile,  prescindendosi  da  ogni
apprezzamento, sia pure  incidentale,  sulla  responsabilita'  penale
dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28
gennaio-4 giugno 2021, n. 22065). 
    7.- Cio' premesso, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate dalla Corte rimettente non sono fondate. 
    8.- Il giudice rimettente invoca - per il tramite degli  indicati
parametri interposti - il principio della  presunzione  di  innocenza
operante nell'ambito  dell'ordinamento  sia  convenzionale  (art.  6,
paragrafo 2, CEDU), sia europeo (art. 48 CDFUE, unitamente agli artt.
3 e 4 della direttiva 2016/343/UE), il quale vieta  che  la  persona,
accusata di aver commesso un reato e sottoposta  ad  un  procedimento
penale conclusosi con proscioglimento (in rito o  in  merito),  possa
poi essere trattata dalle pubbliche autorita' come se fosse colpevole
del reato precedentemente contestatole. 
    In particolare tale principio viene in  rilievo,  in  entrambi  i
giudizi principali, in relazione alla fattispecie della  prescrizione
quale causa di estinzione del reato  (art.  157,  primo  comma,  cod.
pen.);  istituto  questo  la  cui  valenza   sostanziale   e'   stata
confermata, anche recentemente, da questa Corte (sentenze n. 140  del
2021 e n. 278 del 2020). 
    Il giudice rimettente dubita della conformita' dell'art. 578 cod.
proc.  pen.  al  principio  della  presunzione  di  innocenza,   come
declinato   dalla   giurisprudenza    CEDU    e    come    risultante
dall'ordinamento dell'Unione europea, nella misura in cui assume che,
per «decid[ere] sull'impugnazione ai soli effetti delle  disposizioni
e dei capi della sentenza che concernono gli  effetti  civili»,  egli
debba accertare, seppur incidenter tantum, la responsabilita'  penale
dell'imputato per il reato estinto per prescrizione e in relazione al
quale  e'  chiamato,  invece,   a   pronunciare   una   sentenza   di
proscioglimento dall'accusa. 
    9.- Quanto  al  parametro  convenzionale,  viene  in  rilievo  il
principio secondo cui «ogni persona accusata di un reato  si  presume
innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata  legalmente
accertata» (art. 6, paragrafo 2,  CEDU).  Analogo  riconoscimento  di
questa garanzia  fondamentale  e'  presente  nel  nostro  ordinamento
costituzionale come presunzione di non colpevolezza, che  viene  meno
solo con la condanna definitiva (art. 27, secondo comma, Cost.). 
    Nell'interpretazione  e  applicazione  datane  dalla   Corte   di
Strasburgo (ex plurimis, Corte EDU, grande camera, sentenza 12 luglio
2013, Allen contro Regno Unito), la  norma  convenzionale,  peraltro,
assume  un  piu'  ampio  rilievo  rispetto  al  parametro  nazionale,
presentando una portata non strettamente endoprocessuale. 
    Da  una  parte,  la  presunzione  di  innocenza  costituisce  una
«garanzia procedurale» destinata  ad  operare  «nel  contesto  di  un
processo penale», producendo  effetti  sul  piano  dell'«onere  della
prova», sulla operativita' delle «presunzioni legali di  fatto  e  di
diritto»,     sull'applicabilita'     del     «privilegio      contro
l'autoincriminazione»,   nonche'   in   ordine   «alla    pubblicita'
preprocessuale e alle espressioni premature,  da  parte  della  Corte
processuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di  un
imputato». 
    Dall'altra,  la  presunzione  di  innocenza,  «in  linea  con  la
necessita' di assicurare  che  il  diritto  garantito»  dall'art.  6,
paragrafo 2, CEDU «sia pratico e effettivo», estende i  suoi  effetti
al di fuori del processo penale ed opera nel  tempo  successivo  alla
sua  conclusione  o  interruzione,  non  in  funzione  di  apprestare
garanzie procedurali all'imputato, ma allo scopo  di  «proteggere  le
persone che sono state assolte da un'accusa penale, o  nei  confronti
delle quali e' stato interrotto un procedimento  penale,  dall'essere
trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita' come se fossero  di
fatto colpevoli del reato contestato». 
    Secondo la Corte EDU, terza sezione, sentenza  20  ottobre  2020,
Pasquini contro Repubblica di  San  Marino,  «senza  una  tutela  che
garantisca  il  rispetto  dell'assoluzione  o  della   decisione   di
interruzione  in  qualsiasi  altro  procedimento,  le  garanzie   del
processo equo di cui all'art. 6 [paragrafo] 2, rischiano di diventare
teoriche o illusorie», sicche', in seguito ad un procedimento  penale
conclusosi con un'assoluzione o con una interruzione, la persona  che
ne e' stata oggetto e' innocente agli occhi della legge e deve essere
trattata in modo coerente con tale innocenza in  tutti  i  successivi
procedimenti che la riguardano, a meno che si tratti di  procedimenti
giudiziari che diano luogo ad una nuova imputazione penale, ai  sensi
della Convenzione. 
    Questo  secondo  aspetto  della  tutela  della   presunzione   di
innocenza entra, dunque, in gioco quando il  procedimento  penale  si
conclude con un risultato diverso da una condanna. 
    Al riguardo, e' stato precisato che l'art. 6, paragrafo 2,  CEDU,
nella sua portata "ultraprocessuale",  tutela  anche  la  reputazione
della persona, sovrapponendosi, per questo profilo,  alla  protezione
offerta dall'art. 8 (Corte EDU, sentenza Pasquini  contro  Repubblica
di San Marino). 
    9.1.-  L'operativita'  di  tale  principio,  sotto   quest'ultimo
aspetto, presuppone, in primo luogo, che nei confronti della  persona
gia' accusata di un reato (ma la cui colpevolezza sia  stata  esclusa
in  seguito  ad  assoluzione  o  non  sia  stata  accertata  a  causa
dell'interruzione   del   procedimento   penale)   penda   un   altro
procedimento all'esito del quale una pubblica autorita'  e'  chiamata
ad  assumere  un  nuovo  provvedimento  nei  confronti  della  stessa
persona; in secondo  luogo,  che  questo  distinto  procedimento  sia
legato  a  quello  penale,  conclusosi  con   l'assoluzione   o   con
l'interruzione, da un «lien» (un nesso), in  ragione  del  quale,  in
vista dell'assunzione  del  provvedimento  successivo,  debba  essere
esaminato l'esito del procedimento penale, oppure  le  prove  che  in
esso  sono  state  assunte  o,  ancora,  debba  essere  valutata   la
partecipazione della persona  agli  atti,  ai  comportamenti  e  agli
eventi che hanno portato all'accusa penale, oppure,  infine,  debbano
«essere  commentate  le   indicazioni   esistenti   sulla   possibile
colpevolezza del richiedente» (Corte EDU, sentenza Allen contro Regno
Unito). 
    Ulteriore  presupposto  e'  che   «il   successivo   procedimento
giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione  penale  nel  senso
autonomo della Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini). 
    Infatti,  allorche',  pur  a  seguito  di   proscioglimento   per
prescrizione  del  reato,  il  giudice  sia  chiamato  a  valutare  i
presupposti per l'emissione di  un  provvedimento  accessorio  avente
natura punitiva, secondo  i  canoni  interpretativi  della  Corte  di
Strasburgo (come, ad esempio, nell'ipotesi della confisca: Corte EDU,
sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl e altri contro  Italia),  per
un  verso  le  garanzie  processuali  che  circondano   la   predetta
valutazione  non  precludono  l'accertamento  della   responsabilita'
dell'imputato in ordine al reato estinto, mentre,  per  altro  verso,
tale accertamento - nel suo profilo "sostanziale" di «accertamento di
responsabilita'» contenuto  nella  motivazione  della  sentenza,  che
prescinde dalla formale enunciazione della condanna  nel  dispositivo
(sentenza n. 49 del 2015) - e' anzi  imposto  dal  diverso  parametro
convenzionale di cui all'art. 7 CEDU, che, ai fini  dell'applicazione
di una sanzione penale, esige la previa dichiarazione della  relativa
responsabilita' (Corte EDU, grande camera, sentenza 28  giugno  2018,
G.I.EM. srl e altri contro Italia). 
    9.2.-  Al  di  fuori  di  quest'ultima   ipotesi,   gli   effetti
dell'applicazione del secondo aspetto della presunzione di  innocenza
si traducono in una limitazione ai poteri  cognitivi  e  dichiarativi
dell'autorita' investita del nuovo  procedimento  non  avente  natura
penale. Questa autorita', infatti, non  puo'  emettere  provvedimenti
che presuppongano un giudizio di colpevolezza o che siano fondati  su
un nuovo apprezzamento della responsabilita' penale della persona  in
ordine al  reato  precedentemente  contestatole  (ancora  Corte  EDU,
sentenze Allen contro Regno Unito e Pasquini contro Repubblica di San
Marino). 
    L'elaborazione di questo secondo  aspetto  della  presunzione  di
innocenza ex art. 6, paragrafo  2,  CEDU,  e'  stata  compiuta  dalla
giurisprudenza di Strasburgo, in ampia misura, su fattispecie in cui,
concluso il procedimento penale  con  un  proscioglimento  in  merito
(assoluzione) o in rito (interruzione), era residuata  la  necessita'
di provvedere sulla domanda civile di risarcimento del danno proposta
nei confronti dell'imputato (ex plurimis, Corte EDU,  terza  sezione,
sentenza  11  febbraio  2003,  Ringvold  contro  Norvegia,  e  quinta
sezione, sentenza 12 aprile 2012, Lagardere contro Francia). 
    Con riguardo a queste fattispecie, la Corte europea  ha  altresi'
sottolineato che  l'applicazione  del  diritto  alla  presunzione  di
innocenza in favore dell'imputato non  deve  ridondare  a  danno  del
diritto del danneggiato ad ottenere il risarcimento  del  pregiudizio
cagionatogli  dal  reato.  Tuttavia,  ammonisce  la  Corte,  «se   la
decisione  nazionale   sul   risarcimento   dovesse   contenere   una
dichiarazione  che  imputa  la  responsabilita'  penale  alla   parte
convenuta, cio' solleverebbe una questione  che  rientra  nell'ambito
dell'articolo 6 [paragrafo] 2 della Convenzione» (Corte EDU, Pasquini
contro Repubblica di San Marino). 
    In quest'ultima pronuncia la  ritenuta  violazione  dell'art.  6,
paragrafo 2, CEDU e' stata affermata in una fattispecie  in  cui  nel
giudizio di appello nei confronti di un imputato condannato in  primo
grado per appropriazione indebita,  con  risarcimento  del  danno  in
favore della parte civile,  il  giudice,  dopo  aver  dichiarato  non
doversi  procedere  per  prescrizione  del  reato,   nel   provvedere
sull'impugnazione  ai  soli  effetti  civili,  non  aveva   contenuto
l'accertamento nei limiti  cognitivi  e  dichiarativi  imposti  dalla
necessita' di rispettare il diritto dell'imputato alla presunzione di
innocenza, spingendosi a dichiarare, tra l'altro, sia  pure  al  solo
fine di confermare la condanna risarcitoria, che le condotte ascritte
all'imputato, da ritenersi provate, integravano gli estremi del reato
contestatogli. 
    10.- Quanto ai parametri del diritto  dell'Unione  europea,  deve
considerarsi  che  il  principio  di  presunzione  di  innocenza   e'
parimenti presente anche nell'ordinamento dell'Unione stessa. 
    Esso e' enunciato, anzitutto, dall'art. 48, comma 1, CDFUE,  che,
con norma corrispondente all'art. 6, paragrafo  2,  CEDU,  stabilisce
che «[o]gni imputato e' considerato innocente fino a  quando  la  sua
colpevolezza non sia stata legalmente provata». Inoltre, tale  tutela
e' riconosciuta dalla direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo  e
del Consiglio, del 9 marzo 2016, che - come gia' ricordato  -  e'  in
corso di recepimento in forza della legge n. 53 del 2021. 
    L'art. 3 della  direttiva  prevede,  infatti,  che  «[g]li  Stati
membri assicurano che agli indagati e imputati  sia  riconosciuta  la
presunzione di innocenza fino a quando non ne  sia  stata  legalmente
provata la colpevolezza». 
    Il successivo art. 4, paragrafo 1, primo periodo, stabilisce  che
«[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per garantire  che,
fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata
legalmente  provata,  le  dichiarazioni   pubbliche   rilasciate   da
autorita' pubbliche e le  decisioni  giudiziarie  diverse  da  quelle
sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole». 
    Quanto al significato e alla portata che ha il principio in esame
nell'ordinamento europeo, essi sono sostanzialmente sovrapponibili  a
quelli   che   il   medesimo   principio   assume    nell'ordinamento
convenzionale, non potendo l'ordinamento dell'Unione riconoscere  una
protezione che sia meno estesa (art. 52, comma 3, CDFUE). 
    La Corte  di  giustizia  ha  precisato,  al  riguardo,  che,  per
chiarire «come debba stabilirsi se una persona sia presentata o  meno
come   colpevole   in   una   decisione    giudiziaria,    ai    fini
dell'interpretazione dell'articolo 4, paragrafo  1,  della  direttiva
2016/343», occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo relativa all'art. 6, paragrafo 2,  CEDU  (Corte
di giustizia, sentenza 5 settembre 2019, in causa C-377/18). 
    11.- Tanto premesso sulla portata e sul significato  del  diritto
alla presunzione di innocenza  nell'ordinamento  convenzionale  e  in
quello europeo, occorre ora verificare  se  il  giudice  dell'appello
penale,  che,  in  applicazione  della  disposizione  censurata,   e'
chiamato a decidere sull'impugnazione ai  soli  effetti  civili  dopo
aver  dichiarato  l'estinzione  del   reato,   debba   effettivamente
procedere ad  una  rivalutazione  complessiva  della  responsabilita'
penale dell'imputato, nonostante l'intervenuta estinzione  del  reato
per prescrizione e il proscioglimento dall'accusa penale. 
    In realta' - per le ragioni che si vengono ora ad esporre - si ha
che, nella situazione processuale di cui alla disposizione censurata,
che vede il reato essere estinto per prescrizione e quindi l'imputato
prosciolto  dall'accusa,  il  giudice  non  e'  affatto  chiamato   a
formulare, sia pure "incidenter tantum", un giudizio di  colpevolezza
penale quale presupposto della decisione, di conferma o  di  riforma,
sui capi  della  sentenza  impugnata  che  concernono  gli  interessi
civili. 
    12.- Anzitutto, un tale giudizio  non  e'  richiesto  dal  tenore
testuale della disposizione censurata (art. 578 cod. proc. pen.) che,
a differenza di quella immediatamente successiva (art.  578-bis  cod.
proc.   pen.),   non   prevede   il   «previo   accertamento    della
responsabilita' dell'imputato». 
    Il confronto tra l'art. 578 e l'art. 578-bis cod. proc.  pen.  e'
rilevante proprio al  fine  di  chiarire  l'ambito  della  cognizione
richiesta dalla norma sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    L'art.  578-bis  concerne  l'ipotesi  in   cui   la   "coda"   di
accertamento  richiesto  al  giudice  dell'impugnazione  penale,   in
seguito alla sopravvenuta causa estintiva del reato (per prescrizione
o amnistia), che travolge la condanna emessa  nel  grado  precedente,
concerne non gia' gli interessi civili, ma la  sussistenza,  o  meno,
dei presupposti di un provvedimento avente natura punitiva secondo  i
canoni interpretativi della giurisprudenza di Strasburgo. 
    Diversamente dall'art. 578, infatti, l'art.  578-bis  presuppone,
ai fini della sua applicazione, non gia' che nel grado precedente sia
stata pronunciata condanna  risarcitoria  o  restitutoria  in  favore
della parte civile, bensi' che sia stata  ordinata  la  "confisca  in
casi particolari" di cui al primo comma dell'art. 240-bis del  codice
penale o di altre  disposizioni  di  legge  o  la  confisca  prevista
dall'art. 322-ter del codice penale. 
    In questo caso,  pur  rilevata  la  causa  estintiva  del  reato,
essendo il giudice chiamato a valutare i presupposti della  conferma,
o meno, di una sanzione di carattere punitivo ai  sensi  dell'art.  7
CEDU, la dichiarazione di responsabilita' dell'imputato in ordine  al
reato ascrittogli non  solo  e'  consentita,  ma  e'  anzi  doverosa,
poiche' non si  puo'  irrogare  una  pena  senza  il  giudizio  sulla
sussistenza di una responsabilita' personale, sebbene sia sufficiente
che  tale  giudizio  risulti   nella   «sostanza   dell'accertamento»
contenuto nella motivazione della sentenza,  non  essendo  necessario
che assuma, in dispositivo, la «forma della  pronuncia»  di  condanna
(sentenza n. 49 del 2015; Corte EDU, sentenza  G.I.EM.  srl  e  altri
contro Italia). 
    Il dettato dell'art. 578-bis cod.  proc.  pen.  risponde  a  tale
esigenza,  imponendo  al  giudice  del  gravame  penale,  chiamato  a
decidere sulla confisca dopo aver rilevato  la  causa  estintiva  del
reato, il «previo accertamento della responsabilita' dell'imputato». 
    L'art.  578  cod.  proc.  pen.,  invece,  non  contiene   analoga
clausola, sicche' l'ambito della  cognizione  da  esso  richiesta  al
giudice penale ai fini del  provvedimento  sull'azione  civile,  deve
essere ricostruito dall'interprete, il quale, nel condurre  l'esegesi
convenzionalmente  orientata   della   norma,   ha   come   parametro
convenzionale di riferimento proprio l'art. 6 CEDU, nella  stabile  e
consolidata   interpretazione   datane   dalla   giurisprudenza    di
Strasburgo, nonche' l'art. 48 CDFUE. 
    13.- Inoltre tale esegesi - a ben vedere  -  non  trova  ostacolo
nella  giurisprudenza  di  legittimita'  che  il  giudice  rimettente
richiama  a  fondamento   delle   sue   censure   di   illegittimita'
costituzionale  con  riferimento  sia  ai  rapporti  tra  l'immediata
declaratoria delle cause  di  non  punibilita'  e  l'assoluzione  per
insufficienza o contraddittorieta' della  prova  (artt.  129  e  530,
comma  2,  cod.  proc.  pen.),  sia  all'individuazione  del  giudice
competente per il giudizio di rinvio in seguito  a  cassazione  delle
statuizioni civili (art. 622 cod. proc. pen.), sia all'impugnabilita'
con revisione (art. 630, comma 1, lettera c, cod. proc.  pen.)  della
sentenza  del  giudice  di  appello  di   conferma   della   condanna
risarcitoria  in  seguito   a   proscioglimento   dell'imputato   per
prescrizione del reato. 
    Da una parte  il  principio  di  diritto  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 28 maggio-15 settembre 2009, n. 35490)
- secondo cui, in deroga alla regola generale, il proscioglimento nel
merito, in caso di contraddittorieta' o  insufficienza  della  prova,
prevale rispetto alla dichiarazione immediata di  una  causa  di  non
punibilita', quando, in sede di  appello,  sopravvenuta  l'estinzione
del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza  della
parte civile, il  compendio  probatorio  ai  fini  delle  statuizioni
civili - presuppone, per un verso, il carattere "pieno" o "integrale"
della cognizione del giudice dell'impugnazione penale (il  quale  non
puo'  limitarsi  a  confermare   o   riformare   immotivatamente   le
statuizioni  civili  emesse  in  primo  grado,  ma   deve   esaminare
compiutamente i motivi di gravame sottopostigli,  avuto  riguardo  al
compendio probatorio e dandone poi conto in motivazione);  per  altro
verso, non presuppone (ne' implica) che  il  giudice,  nel  conoscere
della domanda civile,  debba  altresi'  formulare,  esplicitamente  o
meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e debba effettuare
un accertamento, principale o incidentale, sulla sua  responsabilita'
penale, ben potendo contenere l'apprezzamento  richiestogli  entro  i
confini della responsabilita' civile (in seguito, ex plurimis,  Corte
di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013,
n. 16155; sezione quarta penale, sentenze  21-28  novembre  2018,  n.
53354 e 16 novembre-12 dicembre 2018, n. 55519). 
    Piu' in generale la giurisprudenza (Corte di cassazione,  sezioni
unite penali,  sentenza  18  luglio-27  settembre  2013,  n.  40109),
pronunciandosi  sul  vizio  di  motivazione  che  puo'  inficiare  la
decisione emessa dal giudice di appello ai sensi dell'art.  578  cod.
proc. pen., ha affermato che, in conseguenza del rilievo del predetto
vizio (e della susseguente cassazione della sentenza) il rinvio debba
essere fatto sempre al giudice civile e non  al  giudice  penale,  in
applicazione dell'art. 622 cod. proc. pen., proprio in  ragione,  non
gia'  del  mancato  accertamento  incidentale  della  responsabilita'
penale dell'imputato, ma dell'omesso esame dei motivi di gravame, ove
la condanna  risarcitoria  confermata  dal  giudice  di  appello  sia
fondata  sul  mero  presupposto  della  "non  evidente   estraneita'"
dell'imputato ai fatti di reato contestatigli. 
    La giurisprudenza successiva ha dato continuita' a tale principio
(Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza  14  gennaio-  9
ottobre 2014, n. 42039; sezione sesta penale, sentenze  21  gennaio-6
febbraio 2014, n. 5888 e 23 settembre-6 novembre 2015, n. 44685):  la
cognizione del giudice dell'impugnazione penale,  ex  art.  578  cod.
proc. pen., e' funzionale alla  conferma  delle  statuizioni  civili,
attraverso  il  completo  esame  dei  motivi  di  impugnazione  volto
all'accertamento dei requisiti costitutivi dell'illecito civile posto
a fondamento  della  obbligazione  risarcitoria  o  restitutoria.  Il
giudice  penale  dell'impugnazione  e'  chiamato   ad   accertare   i
presupposti dell'illecito civile e nient'affatto  la  responsabilita'
penale dell'imputato, ormai prosciolto per essere  il  reato  estinto
per prescrizione. 
    Ne' cio' e'  revocato  in  dubbio  dall'affermata  ammissibilita'
della istanza di  revisione  avverso  la  pronuncia  di  condanna  al
risarcimento del  danno  ex  art.  578  cod.  proc.  pen.  (Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 ottobre 2018-7 febbraio
2019, n. 6141). L'ammissibilita' di questa impugnazione straordinaria
e'  conseguenza  dell'ibridazione  delle   regole   processuali   che
rimangono quelle del rito penale anche quando  nel  giudizio  residua
soltanto  una  domanda  civilistica  in  ordine  alla  quale  si   e'
pronunciato il giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 578  cod.
proc.  pen.  (in  generale,   sentenza   n.   176   del   2019).   Ma
dall'applicazione delle regole di rito  non  puo'  inferirsi  che  il
giudice della revisione ex art. 630 cod. proc. pen., non diversamente
dal giudice d'appello o di cassazione ex art. 578  cod.  proc.  pen.,
debba pronunciarsi sulla  responsabilita'  penale  di  chi  e'  stato
definitivamente  prosciolto.  La   responsabilita',   oggetto   della
cognizione del giudice, e' pur sempre quella da atto illecito ex art.
2043 del codice civile. 
    14.-  Escluso  ogni  ostacolo  sia  nel   dato   testuale   della
disposizione censurata, sia  nel  diritto  vivente  risultante  dalla
giurisprudenza di legittimita',  puo'  accedersi  all'interpretazione
conforme agli indicati parametri interposti. 
    Il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere  sulla  domanda
risarcitoria, non e' chiamato a verificare se  si  sia  integrata  la
fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice,  in
cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta  contestato;  egli
deve invece accertare se sia  integrata  la  fattispecie  civilistica
dell'illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). 
    Con  riguardo  al  "fatto"  -   come   storicamente   considerato
nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione e' chiamato  a
valutarne gli  effetti  giuridici,  chiedendosi,  non  gia'  se  esso
presenti gli elementi costitutivi  della  condotta  criminosa  tipica
(commissiva  od  omissiva)  contestata   all'imputato   come   reato,
contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto  se
quella condotta sia stata idonea  a  provocare  un  "danno  ingiusto"
secondo  l'art.  2043  cod.  civ.,  e  cioe'  se,  nei  suoi  effetti
sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una
situazione  giuridica  soggettiva  civilmente  sanzionabile  con   il
risarcimento del danno. 
    Nel contesto di questa cognizione rilevano  sia  l'evento  lesivo
della  situazione  soggettiva  di  cui   e'   titolare   la   persona
danneggiata,  sia  le  conseguenze  risarcibili  della  lesione,  che
possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale. 
    La mancanza di un accertamento incidentale della  responsabilita'
penale in ordine al reato estinto per prescrizione  non  preclude  la
possibilita' per il danneggiato di ottenere l'accertamento giudiziale
del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la
cui tutela deve essere  assicurata,  nella  valutazione  sistemica  e
bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di  quella,
per l'imputato, derivante dalla presunzione di innocenza. 
    Il danno non patrimoniale ha il  contenuto  chiarito,  da  tempo,
dalla giurisprudenza (a partire da Corte di cassazione, sezioni unite
civili, sentenze 24 giugno-11 novembre 2008, n. 26972, n.  26793,  n.
26794 e n. 26795)  e  quindi  sussiste  sia  nei  casi  espressamente
previsti dalla legge al di fuori delle  fattispecie  di  reato  (art.
2059 cod. civ.),  sia  nei  casi  di  lesione  "non  bagatellare"  di
interessi della persona elevati a valori costituzionali, sia  infine,
in tutte le ipotesi di derivazione del  pregiudizio  da  un  illecito
civile coincidente con una fattispecie penale (art. 185  cod.  pen.).
In   quest'ultima   ipotesi   l'illecito   civile,   pur   fondandosi
sull'elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde  a
diverse  finalita'  e  richiama  un   distinto   regime   probatorio.
L'esigenza di rispetto della presunzione di  innocenza  dell'imputato
non preclude al giudice penale dell'impugnazione di  effettuare  tale
accertamento onde liquidare anche il danno non  patrimoniale  di  cui
all'art. 185 cod. pen. 
    14.1.- La natura civilistica  dell'accertamento  richiesto  dalla
disposizione   censurata   al   giudice   penale   dell'impugnazione,
differenziato    dall'(ormai     precluso)     accertamento     della
responsabilita'   penale   quanto   alle   pretese   risarcitorie   e
restitutorie  della  parte  civile,  emerge  riguardo  sia  al  nesso
causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito. 
    Il giudice, in particolare, non accerta la causalita' penalistica
che lega la condotta (azione od omissione) all'evento  in  base  alla
regola dell'«alto grado di probabilita' logica» (Corte di cassazione,
sezioni unite  penali,  sentenza  10  luglio-11  settembre  2002,  n.
30328). Per l'illecito civile vale, invece,  il  criterio  del  "piu'
probabile che non" o della "probabilita' prevalente" che consente  di
ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente  provata)
una  determinata  ipotesi  fattuale  se  essa,  avuto   riguardo   ai
complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali,  appare
piu' probabile di ogni altra ipotesi e  in  particolare  dell'ipotesi
contraria (in tal senso e' la giurisprudenza a partire  da  Corte  di
cassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008,  n.  576,
n. 581, n. 582 e n. 584). 
    14.2.- L'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non  e'
revocata in dubbio dalla circostanza che esso si  svolga  dinanzi  al
giudice penale e sia condotto  applicando  le  regole  processuali  e
probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc. pen.). 
    L'applicazione dello  statuto  della  prova  penale  e'  pieno  e
concerne  sia  i  mezzi  di  prova   (sara'   cosi'   ammissibile   e
utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona  offesa  che
nel processo civile  sarebbe  interdetta  dall'art.  246  cod.  proc.
civ.),  sia  le  modalita'  di  assunzione  della  prova  (le   prove
costituende saranno cosi' assunte per cross examination ex  art.  499
cod. proc. pen. e non per interrogatorio  diretto  del  giudice),  le
quali   ricalcheranno    pedissequamente    quelle    da    osservare
nell'accertamento della responsabilita' penale: ove  ne  ricorrano  i
presupposti,  dunque,  il  giudice  dell'appello   penale,   rilevata
l'estinzione  del  reato,  potra'  -  o  talora  dovra'   (Corte   di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 gennaio- 4 giugno 2021,
n.   22065)   -   procedere   alla    rinnovazione    dell'istruzione
dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli  effetti
civili (art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.). 
    15.-  L'approdo  dell'interpretazione  logico-sistematica   della
norma processuale censurata assicura, quanto  al  cosiddetto  secondo
aspetto  della  presunzione  di  innocenza,   la   conformita'   alla
richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale, mentre
da  un  lato  ha  ammonito  che,  «se  la  decisione  nazionale   sul
risarcimento  dovesse  contenere  una  dichiarazione  che  imputa  la
responsabilita' penale alla parte convenuta,  cio'  solleverebbe  una
questione che rientra nell'ambito dell'articolo 6 [paragrafo] 2 della
Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini contro Repubblica  di  San
Marino), dall'altro lato ha anche avvertito  che  l'applicazione  del
diritto alla presunzione di innocenza  in  favore  dell'imputato  non
deve ridondare a danno del diritto della vittima al risarcimento  del
danno (in particolare, Corte EDU, sentenza Ringvold contro Norvegia). 
    Una volta dichiarata la sopravvenuta causa estintiva  del  reato,
in applicazione dell'art.  578  cod.  proc.  pen.,  l'imputato  avra'
diritto a che la sua responsabilita' penale non sia piu'  rimessa  in
discussione, ma la parte civile avra' diritto al  pieno  accertamento
dell'obbligazione risarcitoria. 
    Con la  disposizione  censurata  il  legislatore  ha  operato  un
bilanciamento tra le esigenze sottese all'operativita' del  principio
generale di  accessorieta'  dell'azione  civile  rispetto  all'azione
penale (che esclude la decisione  sul  capo  civile  nell'ipotesi  di
proscioglimento)  e  le  esigenze  di   tutela   dell'interesse   del
danneggiato, costituito parte civile. 
    Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello o
di legittimita', in seguito ad una valida condanna emessa  nei  gradi
precedenti, la regola dell'accessorieta' (che comporta il  sacrificio
dell'interesse della parte civile) subisce dei temperamenti,  poiche'
essa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione  nel
merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili
alla volonta' delle parti (ad esempio remissione di querela), ma  non
trova  applicazione  allorche'  la  dichiarazione  di   non   doversi
procedere dipenda dalla sopravvenienza di  una  causa  estintiva  del
reato riconducibile a prescrizione  o  ad  amnistia,  nel  qual  caso
prevale l'interesse della  parte  civile  a  conservare  le  utilita'
ottenute nel corso del processo, che  continua  dinanzi  allo  stesso
giudice  penale,  sebbene  sia  mutato  l'ambito   della   cognizione
richiestagli, che va circoscritta alla responsabilita' civile. 
    16.- In conclusione, il giudice dell'impugnazione penale (giudice
di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla
responsabilita' penale dell'imputato in seguito alla declaratoria  di
estinzione  del  reato   per   sopravvenuta   prescrizione   (o   per
sopravvenuta amnistia),  deve  provvedere  -  in  applicazione  della
disposizione censurata - sull'impugnazione ai  soli  effetti  civili,
confermando, riformando o annullando  la  condanna  gia'  emessa  nel
grado  precedente,  sulla  base  di  un  accertamento   che   impinge
unicamente sugli elementi  costitutivi  dell'illecito  civile,  senza
poter riconoscere,  neppure  incidenter  tantum,  la  responsabilita'
dell'imputato per il reato estinto. 
    L'art. 578 cod. proc. pen. non  viola  il  diritto  dell'imputato
alla  presunzione  di  innocenza  come   declinato   nell'ordinamento
convenzionale  dalla  giurisprudenza   della   Corte   EDU   e   come
riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione europea. 
    Pertanto, le sollevate questioni di  legittimita'  costituzionale
vanno dichiarate non fondate in riferimento  agli  evocati  parametri
interposti.