ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 380,  comma
2, lettera e), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale
ordinario Firenze, nel procedimento penale a carico  di  F.  H.,  con
ordinanza del 5 marzo 2020, iscritta al n. 15 del registro  ordinanze
2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,
prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 26 gennaio  2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 marzo 2020 iscritta al n. 15 del registro
ordinanze 2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Firenze  ha  sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  380,  comma  2,
lettera e), del codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui
prevede l'arresto obbligatorio di  chi  e'  colto  in  flagranza  del
delitto di tentato furto, quando ricorre  la  circostanza  aggravante
prevista dall'art. 625, primo comma, numero 2),  prima  ipotesi,  del
codice penale, salvo che ricorra la  circostanza  attenuante  di  cui
all'art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., per contrasto con gli
artt. 13 e 3 della Costituzione. 
    2.- Il giudice a quo  ha  premesso  che  il  prevenuto  e'  stato
arrestato perche' colto in flagranza del  delitto  di  tentato  furto
aggravato dall'uso di violenza sulle cose, commesso all'interno di un
supermercato ed avente ad oggetto merce  del  valore  complessivo  di
euro 119,60. 
    Gli  ufficiali  di  polizia   giudiziaria   intervenuti   avevano
proceduto all'arresto ed il pubblico  ministero  aveva  richiesto  la
convalida e l'applicazione della  misura  cautelare  del  divieto  di
dimora nella Provincia di Firenze,  deducendo  la  sussistenza  delle
esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma  1,  lettera  c),  cod.
proc. pen. 
    Il giudice per le indagini preliminari ha rilevato la sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza  rispetto  al  contestato  reato  di
tentato furto aggravato dall'uso di violenza sulle cose e ritenuto la
non  configurabilita'  della   circostanza   attenuante   del   danno
patrimoniale di speciale tenuita' ex art. 62, primo comma, numero 4),
cod. pen. 
    Il Tribunale ordinario di Firenze ha tuttavia reputato  che,  per
procedere alla convalida dell'arresto, deve valutarsi la legittimita'
costituzionale dell'art. 380, comma 2, lettera e), cod.  proc.  pen.,
nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio  per  il  reato  di
tentato furto, quando  ricorre  la  circostanza  aggravante  prevista
dall'art. 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi,  cod.  pen.,  e
sempre che non ricorra la circostanza attenuante di cui all'art.  62,
primo comma, numero 4), cod. pen. 
    3.- Ad avviso del Tribunale ordinario  di  Firenze,  l'art.  380,
comma 2, lettera e), cod. proc. pen. sarebbe  in  contrasto  con  gli
artt. 13 e 3 Cost. 
    3.1.- Quanto al primo parametro,  il  delitto  di  tentato  furto
aggravato per la violenza sulle cose, pur in assenza  dell'attenuante
ex art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., non costituirebbe, per
il  rimettente,  un'ipotesi   di   tale   eccezionale   gravita'   da
giustificare la previsione  dell'arresto  obbligatorio,  di  per  se'
sottratto  alla  valutazione  della  gravita'  del  fatto   o   della
pericolosita' del soggetto secondo le concrete circostanze del  caso.
Nella categoria dei delitti di furto, tentati o consumati,  aggravati
dalla violenza sulle cose, potrebbero, invero, rientrare anche  fatti
connotati da una gravita' limitata, come nel caso di specie, incapaci
di generare alcun pericolo per l'incolumita' delle persone e  percio'
estranei al novero di quei casi eccezionali di necessita' ed  urgenza
indicati dalla legge, che, ai sensi  del  terzo  comma  dell'art.  13
Cost., possono giustificare l'adozione  di  provvedimenti  provvisori
restrittivi  della  liberta'  personale  adottati  dall'autorita'  di
pubblica sicurezza. 
    3.2.- La profonda diversita' della  gravita'  delle  ipotizzabili
fattispecie di furto aggravato dalla violenza  sulle  cose  trasmoda,
altresi', secondo il giudice a quo, nella manifesta irragionevolezza,
con violazione quindi anche dell'art. 3 Cost. 
    3.3.- L'ordinanza di rimessione segnala ancora che,  per  effetto
del congiunto operare degli artt. 56, 624 e 625, primo comma,  numero
2), cod. pen., la pena  massima  applicabile  per  il  tentato  furto
aggravato dalla violenza sulle cose e' di anni quattro di reclusione,
sicche', in forza dell'art. 280, comma 2, cod.  proc.  pen.,  neppure
puo' essere disposta con riferimento ad esso la custodia cautelare in
carcere, e cio' a conferma dell'assenza di un  correlato  particolare
allarme sociale provocato dal delitto in esame. 
    Ne' rileva, avverte il Tribunale, la deroga  stabilita  dall'art.
391, comma 5, cod. proc. pen., la quale  opera  unicamente  allorche'
l'arresto e' stato eseguito per uno dei  delitti  indicati  nell'art.
381, comma 2, e dunque non anche nelle ipotesi di tentativo  di  tali
delitti. 
    Il rimettente sottolinea, ancora, che non appare rispettoso della
riserva di giurisdizione  prevista  dall'art.  13  Cost.  prescrivere
l'obbligatorieta'    della    «misura    precautelare    provvisoria»
dell'arresto in casi in cui non e' possibile la sua  conversione  ope
iudicis nella  custodia  cautelare  in  carcere,  potendo,  peraltro,
l'arrestato   essere    condotto    provvisoriamente    nella    casa
circondariale, secondo quanto stabilito dall'art. 558, comma 4-bis, e
dall'art. 386, comma 4, cod. proc. pen. 
    3.4.- Un'ulteriore ragione di contrasto della norma censurata con
l'art. 3 Cost. e',  infine,  rappresentata  dal  giudice  a  quo  per
l'eventualita' in cui sia configurabile per il tentato furto la causa
di esclusione della punibilita' di cui all'art.  131-bis  cod.  pen.,
prescrivendosi  l'arresto  obbligatorio  da   parte   della   polizia
giudiziaria pur quando le modalita' della condotta e l'esiguita'  del
danno delineino una offesa  di  particolare  tenuita',  il  che  puo'
verificarsi anche nel caso in cui ricorra la  circostanza  attenuante
di cui all'art. 62, primo comma, numero 4), cod.  pen.,  di  per  se'
escludente l'obbligatorieta' dell'arresto. 
    3.5.- Il Tribunale ordinario di Firenze  ha  quindi  disposto  la
liberazione  dell'arrestato,  essendo  impossibile  l'osservanza  dei
termini  per  la  convalida  in  ragione  della  sollevazione   della
questione di legittimita' costituzionale. 
    4.- Ha depositato atto di intervento in  giudizio  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non
fondate. 
    L'Avvocatura deduce che, in  forza  della  riserva  di  legge  in
materia di limitazione della liberta' personale, ex art. 13 Cost., il
legislatore e' l'unico soggetto  titolato  alle  scelte  relative  ai
margini entro i  quali,  con  provvedimento  motivato  dell'autorita'
giudiziaria, puo' esser ristretta la liberta' personale, nonche' alla
determinazione dei casi eccezionali di necessita' ed urgenza  in  cui
possono essere adottati  provvedimenti  provvisori  limitativi  della
liberta' personale, da parte dell'autorita'  di  pubblica  sicurezza,
restando  tali  scelte  legislative  sindacabili   solo   ove   siano
manifestamente   irragionevoli.   Non    si    ravviserebbe    alcuna
irragionevolezza nella previsione dell'arresto obbligatorio  ex  art.
380, comma 2, lettera e),  cod.  proc.  pen.,  visto  il  particolare
allarme sociale suscitato dalla commissione dei  reati  riconducibili
alle ipotesi criminose ivi contemplate. 
    La difesa statale sostiene la legittimita' della norma  censurata
anche in considerazione della  diversita'  dei  presupposti  e  delle
finalita' del provvedimento  di  convalida  dell'arresto  rispetto  a
quello con cui l'autorita' giudiziaria applica una misura coercitiva. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza del 5  marzo
2020, iscritta al n. 15 del registro  ordinanze  2021,  ha  sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  380,  comma  2,
lettera e), del codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui
prevede l'arresto obbligatorio di  chi  e'  colto  in  flagranza  del
delitto di tentato furto, quando ricorre  la  circostanza  aggravante
prevista dall'art. 625, primo comma, numero 2),  prima  ipotesi,  del
codice penale, salvo che ricorra la  circostanza  attenuante  di  cui
all'art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., per contrasto con gli
artt. 13 e 3 della Costituzione. 
    Il giudice a quo  premette  che  deve  procedere  alla  convalida
dell'arresto di persona colta in flagranza  del  delitto  di  tentato
furto aggravato dall'uso di violenza  sulle  cose  (art.  625,  primo
comma, numero 2, prima ipotesi, cod. pen.), commesso  all'interno  di
un supermercato ed avente ad oggetto merce  di  valore  tale  da  non
consentire l'applicazione dell'attenuante di cui all'art.  62,  primo
comma, numero 4), cod. pen. 
    1.1.- Quanto al primo parametro evocato, il  delitto  di  tentato
furto  aggravato  per  la  violenza  sulle  cose,  pur   in   assenza
dell'attenuante ex art. 62, primo comma, numero 4),  cod.  pen.,  non
integrerebbe, per  il  rimettente,  un'ipotesi  di  tale  eccezionale
gravita' da giustificare  la  previsione  dell'arresto  obbligatorio.
Nella categoria dei delitti di furto, tentati o consumati,  aggravati
dalla violenza sulle cose, potrebbero, invero, rientrare anche  fatti
connotati da  una  gravita'  limitata,  incapaci  di  generare  alcun
pericolo per l'incolumita' delle persone e percio' estranei al novero
di quei casi eccezionali di  necessita'  ed  urgenza  indicati  dalla
legge, che, ai sensi del terzo  comma  dell'art.  13  Cost.,  possono
giustificare l'adozione di provvedimenti provvisori restrittivi della
liberta' personale adottati dall'autorita' di pubblica sicurezza. 
    La  profonda  diversita'  della   gravita'   delle   ipotizzabili
fattispecie  di   furto   aggravato   dalla   violenza   sulle   cose
trasmoderebbe, altresi', secondo il giudice a  quo,  nella  manifesta
irragionevolezza, con violazione quindi anche dell'art. 3 Cost. 
    L'ordinanza di rimessione evidenzia inoltre che, per effetto  del
combinato degli artt. 56, 624 e 625, primo  comma,  numero  2),  cod.
pen., la pena massima applicabile  per  il  tentato  furto  aggravato
dalla violenza sulle cose e' di anni quattro di reclusione,  sicche',
in forza dell'art. 280, comma 2, cod. proc. pen., neppure puo' essere
disposta con riferimento ad esso la custodia cautelare in carcere,  e
cio' a conferma dell'assenza  di  un  correlato  particolare  allarme
sociale provocato dal delitto in esame.  Non  apparirebbe  rispettoso
della  riserva  di  giurisdizione   prevista   dall'art.   13   Cost.
prescrivere l'obbligatorieta' della misura  precautelare  provvisoria
dell'arresto in casi in cui non e' possibile la sua  conversione  ope
iudicis nella custodia cautelare in carcere. 
    Un'ulteriore ragione  di  contrasto  della  norma  censurata  con
l'art. 3 Cost. e',  infine,  rappresentata  dal  giudice  a  quo  per
l'eventualita' in cui sia configurabile per il tentato furto la causa
di esclusione della punibilita' di cui all'art.  131-bis  cod.  pen.,
prescrivendosi  l'arresto  obbligatorio  da   parte   della   polizia
giudiziaria pur quando le modalita' della condotta e l'esiguita'  del
danno delineino una offesa di particolare tenuita'. 
    2.- Deve premettersi che l'ordinanza di rimessione riferisce  che
e' stata disposta la liberazione dell'arrestato, essendo  impossibile
l'osservanza dei termini per la  convalida  dell'arresto  in  ragione
della proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    Non  di  meno,  le  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 380, comma 2, lettera  e),  cod.  proc.  pen.,  concernenti
l'arresto obbligatorio, mantengono rilevanza. 
    Come gia' affermato da questa Corte  nella  sentenza  n.  54  del
1993,  si  deve  ritenere  che  il   provvedimento   di   liberazione
dell'arrestato, imposto al Tribunale dall'art. 391, comma  7,  ultima
parte, cod. proc. pen., il cui termine non poteva  essere  rispettato
in conseguenza  del  promovimento  della  questione  di  legittimita'
costituzionale, non ha comportato l'esaurimento del  procedimento  di
convalida, permanendo, nonostante la liberazione, l'interesse ad  una
pronuncia  sulla  legittimita'  dell'arresto,  il  cui  esito   resta
subordinato   alla   definizione   del    presente    incidente    di
costituzionalita'. 
    Nello stesso senso, la sentenza n. 137 del 2020 ha affermato che,
se il giudice della convalida dell'arresto dubita della  legittimita'
costituzionale delle norme che di tale fase  regolano  presupposti  e
condizioni,  la  mancata  convalida  nel  termine  di  legge   e   la
conseguente necessita' di disporre la liberazione dell'arrestato  non
possono essere di ostacolo al promovimento della  relativa  questione
di legittimita' costituzionale, finendosi altrimenti per  creare  una
"zona franca" per le norme che disciplinano l'arresto in flagranza. 
    3.- Le questioni sono comunque non  fondate,  in  riferimento  ad
entrambi gli evocati parametri. 
    4.- Questa Corte e' stata gia' piu' volte investita  del  compito
di individuare  le  finalita'  cui  devono  informarsi  gli  istituti
dell'arresto in flagranza e del fermo di indiziato di  delitto,  alla
stregua del contenuto precettivo dell'art. 13 Cost. 
    Tale   disposizione,   dopo   aver   sancito   al   primo   comma
l'inviolabilita'  della  liberta'   personale,   al   secondo   comma
stabilisce la regola per le sue limitazioni,  non  ammettendo  «forma
alcuna di detenzione, di ispezione o di perquisizione, ne'  qualsiasi
altra restrizione della liberta'  personale»,  se  non  nel  rispetto
della  riserva  di  giurisdizione,  e  dunque  «per   atto   motivato
dell'autorita' giudiziaria», nonche' della riserva di  legge,  ovvero
«nei soli casi e modi previsti dalla legge». 
    Al terzo comma  dispone,  poi,  che  «[i]n  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,   indicati   tassativamente   dalla   legge,
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'   adottare   provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li  convalida  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni effetto». 
    Il fondamento costituzionale della disciplina del codice di  rito
inerente all'arresto in flagranza ed al fermo di indiziato di delitto
risiede, dunque, nel  terzo  comma  dell'art.  13  Cost.,  il  quale,
adoperando i canoni della eccezionalita',  necessita'  ed  urgenza  e
tassativita', individua  le  situazioni  contingenti  che  consentono
l'adozione di misure provvisorie restrittive dello status  libertatis
da  parte  dell'autorita'  di  polizia,   non   potendosi   attendere
l'intervento dell'autorita' giudiziaria. Escluso che il  terzo  comma
dell'art. 13 Cost. operi come fonte di legittimazione degli organi di
pubblica sicurezza, in via sostitutiva dell'autorita' giudiziaria, le
nozioni di necessita' ed urgenza da esso  dettate  sono  cosi'  state
spiegate in funzione dei fini previsti dal sistema costituzionale. 
    5.- Il codice di procedura penale  del  1988  non  ha  introdotto
significativi  elementi  di  novita'  nel  rapporto  tra  le   misure
provvisorie di polizia restrittive della  liberta'  personale  ed  il
terzo   comma   dell'art.   13   Cost.,   quanto    in    particolare
all'esplicitazione delle finalita' delle prime. 
    Tuttavia, questa Corte, gia' con la sentenza  n.  305  del  1996,
pronunciando sulla questione di legittimita' costituzionale  relativa
all'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), ove si  consente  l'arresto  dell'utente
della strada il quale, in caso di incidente, non presta  l'assistenza
occorrente alle persone che abbiano subito  danno,  ha  chiarito  che
tale «misura precautelare provvisoria facoltativa [...]  puo'  essere
adottata solo sulla ragionevole prognosi di  una  sua  trasformazione
ope iudicis in una misura cautelare piu' stabile». La sentenza n. 305
del 1996 correlava, cosi', teleologicamente la necessita' e l'urgenza
giustificatrici della misura provvisoria di  polizia,  in  forza  del
terzo comma dell'art. 13 Cost., alla  futura  applicabilita'  di  una
misura cautelare personale. 
    Nel  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14,
comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito
dall'art. 13, comma 1, lettera b), della legge 30 luglio 2002, n. 189
(Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo),  con
cui si prevedeva l'arresto obbligatorio dello straniero  colto  nella
flagranza della contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del
medesimo  decreto   legislativo,   per   essersi   trattenuto   senza
giustificato  motivo  nel  territorio  dello  Stato   in   violazione
dell'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro il
termine di cinque giorni, questa Corte (sentenza n. 223 del 2004)  ha
evidenziato che la norma censurata prevedeva  l'arresto  obbligatorio
per un reato contravvenzionale, sanzionato con una pena detentiva (da
sei mesi a un anno) di gran lunga  inferiore  a  quella  per  cui  il
codice di procedura penale ammette la possibilita' di disporre misure
coercitive;  sicche'  -  attesa  l'autonomia  tra  il   giudizio   di
convalida, volto a verificare ex post  la  legittimita'  dell'operato
dell'autorita' di polizia, e la protrazione dello stato di privazione
della liberta' personale, per la quale e' richiesto  un  ulteriore  e
autonomo provvedimento - il giudice, chiamato  a  pronunciarsi  sulla
convalida dell'arresto per il reato di cui al citato art.  14,  comma
5-ter  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  doveva   comunque   disporre
l'immediata liberazione dell'arrestato ex art.  391,  comma  6,  cod.
proc. pen., ove non vi avesse gia' provveduto il pubblico ministero a
norma dell'art. 121 del decreto legislativo 28 luglio  1989,  n.  271
(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie  del  codice  di
procedure penale), posto che per quel reato gli  era  precluso  dalla
legge di disporre  la  custodia  cautelare  in  carcere  e,  piu'  in
generale, qualsiasi misura coercitiva. 
    Per tali ragioni, la sentenza n. 223 del 2004 di questa Corte  ha
definito l'arresto obbligatorio previsto dal censurato art. 14, comma
5-quinquies, «privo di qualsiasi  sbocco  sul  terreno  processuale»,
ovvero «misura fine a se stessa,  che  non  potra'  mai  trasformarsi
nella custodia cautelare in carcere, ne' in  qualsiasi  altra  misura
coercitiva, e non trova alcuna copertura costituzionale». 
    La sentenza  n.  223  del  2004  ha  in  tal  modo  tracciato  le
direttrici del sindacato di legittimita' costituzionale sulle  misure
provvisorie di polizia limitative della liberta' personale, ai  sensi
dell'art. 13, terzo comma, Cost.: 1) esse devono  connotarsi  per  la
«natura servente rispetto alla  tutela  di  esigenze  previste  dalla
Costituzione»; 2) fra queste, sono da  considerare  «in  primo  luogo
quelle  connesse  al  perseguimento  delle  finalita'  del   processo
penale»;  3)  viene  meno  la  giustificazione  costituzionale  della
restrizione della liberta' disposta dall'autorita' di polizia ove non
si rinvenga «alcun rapporto di strumentalita'  tra  il  provvedimento
provvisorio di privazione della liberta' personale e il  procedimento
penale avente ad oggetto il reato per cui e' stato disposto l'arresto
obbligatorio in flagranza»; 4) il che, in  particolare,  si  verifica
quando  l'arresto  «non  potra'  mai  trasformarsi   nella   custodia
cautelare in carcere, ne' in qualsiasi altra misura coercitiva». 
    Ancora, la sentenza n. 137 del 2020, dichiarando non  fondate  le
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 280, comma 1,  e
391, comma 5, cod. proc. pen., ha, fra l'altro, rimarcato che: 1)  la
facolta',  per  il  giudice  chiamato  a  convalidare  l'arresto,  di
applicare nei confronti del prevenuto misure cautelari in deroga agli
ordinari limiti edittali segnati dagli artt. 274,  comma  1,  lettera
c), e 280 cod. proc. pen., secondo  quanto  previsto  dall'art.  391,
comma 5, cod. proc. pen., e' riconducibile all'esigenza di raccordare
funzionalmente la decisione in ordine alla  misura  precautelare  con
quella riguardante la salvaguardia di esigenze di natura propriamente
cautelare; 2) la determinazione dei casi eccezionali di necessita'  e
urgenza in  cui  possono  essere  adottati  provvedimenti  provvisori
limitativi della liberta' personale, ai  sensi  dell'art.  13,  terzo
comma,   Cost.,   rientra   in   un   ambito   caratterizzato   dalla
discrezionalita' legislativa (come gia' affermato dalla  sentenza  n.
188 del 1996 e dall'ordinanza n. 187 del 2001),  intesa  anche  quale
riflesso specifico della piu' ampia discrezionalita' del  legislatore
nella conformazione degli  istituti  processuali  in  materia  penale
(sentenze n. 31 e n.  20  del  2017,  n.  216  del  2016);  3)  ferma
l'indicata natura  servente  delle  misure  restrittive  di  polizia,
rispetto alla tutela di esigenze previste dalla Costituzione (tra cui
in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle  finalita'  del
processo  penale),  le  norme  in  quell'occasione  censurate  devono
considerarsi  non  irragionevoli,  avendo  con  esse  il  legislatore
ritenuto di escludere, per alcuni delitti tassativamente elencati  ed
apprezzati  come  di  particolare  allarme  sociale,  la  liberazione
dell'arrestato in  presenza  di  specifiche  esigenze  cautelari  che
impongano il mantenimento della restrizione della liberta' personale. 
    6.- E' da  evidenziare  altresi'  che  l'originaria  formulazione
dell'art. 380, comma  2,  lettera  e),  cod.  proc.  pen.,  e'  stata
dichiarata costituzionalmente illegittima  con  sentenza  n.  54  del
1993, per violazione dell'art. 76 Cost., nella parte in cui prevedeva
l'arresto  obbligatorio  in  flagranza  per  il  delitto  di   furto,
consumato o tentato, quando ricorre la circostanza aggravante di  cui
all'art. 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi,  cod.  pen.,  ma
concorre altresi' la circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo
comma, numero 4), dello stesso codice. 
    La sentenza n. 54 del 1993 ha rilevato che la legge  16  febbraio
1987, n. 81 (Delega  legislativa  al  Governo  della  Repubblica  per
l'emanazione del nuovo codice  di  procedura  penale),  al  punto  32
dell'art. 2, aveva fissato i principi direttivi in  tema  di  arresto
obbligatorio nella flagranza di reato, indicando quale primo criterio
la pena prevista in astratto per il reato  commesso  (reclusione  non
inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a  venti  anni),  ed
invece affidando  al  legislatore  delegato  di  attuare  un  secondo
criterio volto a prevedere l'arresto obbligatorio anche in  flagranza
di altri reati - pur se puniti in misura meno severa -, ma  tali  per
cui l'indicata misura apparisse giustificata da «speciali esigenze di
tutela della collettivita'». Sulla base di tale secondo criterio,  il
legislatore delegato ha cosi' previsto casi di  arresto  obbligatorio
"eccezionali"  nella  flagranza  di  vari  reati,  tra  i  quali   ha
ricompreso anche il delitto di furto aggravato dalla  violenza  sulle
cose. 
    La Relazione al progetto preliminare del codice, per precisare il
significato  della  locuzione  speciali  esigenze  di  tutela   della
collettivita', aveva fatto rinvio alle  indicazioni  contenute  nella
sentenza n. 1 del 1980 di  questa  Corte,  la  quale,  sia  pure  nel
contesto della legge 22 maggio 1975, n. 152  (Disposizioni  a  tutela
dell'ordine pubblico), aveva ricondotto  tali  speciali  esigenze  ai
reati che hanno quali caratteristiche l'uso di armi o di altri  mezzi
di violenza contro le persone,  la  riferibilita'  ad  organizzazioni
criminali comuni e politiche, la lesivita' delle condizioni  di  base
della sicurezza collettiva e dell'ordine democratico. 
    Rispetto all'alveo  di  eccezionalita',  connotato  dal  criterio
delle "speciali" esigenze di tutela della collettivita',  in  cui  il
legislatore delegante voleva cosi' confinare la  misura  precautelare
dell'arresto obbligatorio, la sentenza n. 54 del 1993 ha ritenuto che
il delitto di furto aggravato dalla violenza  sulle  cose  non  fosse
coerente, non potendosi avallare la considerazione  unitaria  che  di
tale delitto si faceva nella Relazione al  progetto  preliminare  del
codice insieme a quelli  di  rapina  e  di  estorsione,  al  fine  di
giustificare l'arresto obbligatorio in  ragione  della  loro  estrema
diffusione e della considerazione che ne  ha  la  coscienza  sociale,
anche perche' possa ammettersi rispetto ad essi altresi' la parallela
facolta' di arresto da parte dei privati. 
    La citata sentenza ha,  quindi,  reputato  estranea  al  criterio
delle "speciali" esigenze di tutela della collettivita'  dettato  dal
legislatore delegante la fattispecie del furto (consumato o  tentato)
aggravato dalla violenza sulle cose in relazione al caso in cui  esso
sia tale da comportare un  danno  di  speciale  tenuita',  ricorrendo
l'attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero 4),  cod.  pen.,
nei delitti  contro  il  patrimonio,  o  che  comunque  offendono  il
patrimonio, nonche' quando sia di speciale tenuita' l'evento  dannoso
o pericoloso nei delitti determinati da motivi di lucro. 
    7.- Nel quadro degli indicati principi,  le  questioni  sollevate
non sono fondate. 
    7.1.- Il rimettente ha valorizzato  la  circostanza  che  per  il
reato di cui all'art. 380, comma 2, lettera e), cod. proc. pen.,  non
e' consentita, in considerazione  del  massimo  edittale,  l'adozione
della misura della custodia cautelare in carcere, desumendo  da  tale
rilievo una violazione dei principi di cui all'art. 13 Cost., poiche'
la misura precautelare provvisoria dell'arresto e' obbligatoria in un
caso in cui non e' possibile la sua  conversione  ope  iudicis  nella
custodia cautelare in carcere. 
    Il  Tribunale  ordinario  di   Firenze   omette,   tuttavia,   di
considerare che, poiche' il reato di tentato furto aggravato dall'uso
di violenza sulle cose (artt. 56 e 625, primo comma, numero  2,  cod.
pen.) e' punito con la pena  della  reclusione  pari  nel  massimo  a
quattro anni, ad esso sono applicabili  tutte  le  misure  coercitive
(art. 280, comma 1, cod. proc. pen.), compresa quella  degli  arresti
domiciliari (art. 274, comma 1, lettera  c,  cod.  proc.  pen.),  con
esclusione, quindi, della sola custodia cautelare in carcere. 
    Tale esclusione, tuttavia, non fa venire meno  le  condizioni  in
base alle quali, nella giurisprudenza di questa Corte, la restrizione
della  liberta'  personale  disposta   dall'autorita'   di   pubblica
sicurezza  e'  costituzionalmente  compatibile,  essendo  la   misura
precautelare suscettibile di trasformazione in una  misura  cautelare
coercitiva,  ancorche'  non  di  tipo  carcerario;   all'arresto   in
flagranza, peraltro, consegue, di  norma,  il  giudizio  direttissimo
(artt. 449, comma 1, e 558, comma 1, cod. proc.  pen.)  e  quindi  e'
possibile   pervenire   con   immediatezza   all'accertamento   della
responsabilita' penale dell'imputato. 
    7.2.- Quanto al denunciato contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  per
l'ipotizzata manifesta irragionevolezza della disposizione censurata,
appare evidente l'intenzione del rimettente di  sindacare  la  scelta
normativa che prevede l'arresto obbligatorio in  ipotesi  di  tentato
furto aggravato per la violenza sulle cose, non correlato ad un danno
di speciale  tenuita',  ingerendosi  nella  valutazione  operata  dal
legislatore, in ragione delle avvertite speciali esigenze  di  tutela
della collettivita', con l'elenco dei delitti  passibili  di  arresto
obbligatorio dettato dal comma  2  dell'art.  380  cod.  proc.  pen.,
chiedendo  a  questa  Corte  di  affermare  che  si  tratterebbe   di
fattispecie  criminosa  non  idonea  a  generare  un   pericolo   per
l'incolumita' delle persone. 
    La prospettazione del giudice a quo si colloca ben  al  di  fuori
dei criteri guida del sindacato di legittimita' costituzionale  sulle
ipotesi legislative di restrizioni della liberta' personale  disposte
dall'autorita'  di  polizia,   secondo   le   indicazioni   contenute
essenzialmente nelle sentenze n. 223 del 2004  e  n.  305  del  1996;
indicazioni che,  come  si  e'  visto,  sono  correlate  alla  natura
servente  delle  misure  precautelari  rispetto  a  quelle  cautelari
personali. 
    D'altra parte, come evidenziato dalla sentenza n. 137  del  2020,
la determinazione dei casi eccezionali di necessita' e urgenza in cui
possono essere adottati  provvedimenti  provvisori  limitativi  della
liberta' personale, ai sensi dell'art. 13, terzo  comma,  Cost.  -  e
segnatamente di quelli in cui l'arresto puo' essere effettuato  anche
in deroga ai limiti edittali previsti in via generale dall'art.  380,
comma 1, cod. proc. pen. - rientra in un ambito caratterizzato  dalla
discrezionalita' legislativa (in tal senso, vedi  anche  sentenza  n.
188 del 1996 e ordinanza n. 187 del 2001), sindacabile -  tanto  piu'
quando vengano in considerazione scelte legislative limitative  della
liberta' personale - in  caso  di  manifesta  irragionevolezza  o  di
arbitrarieta'. 
    Ipotesi, questa, che non ricorre nel caso di specie, tenuto conto
che  all'arresto  obbligatorio  potra'  procedersi  solo  quando  non
ricorra la  circostanza  attenuante  comune  del  danno  di  speciale
tenuita': l'art. 380, comma 2, lettera e), cod. proc. pen.,  infatti,
gia'  di  per  se'  non  opera  allorche'  sia   possibile   desumere
ragionevolmente, dalle modalita' del fatto e in base  ad  un  preciso
giudizio  ipotetico,  che,  se  il  reato  fosse  stato   portato   a
compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato
di rilevanza  minima.  Eccede,  peraltro,  dall'ambito  del  presente
giudizio  ogni  considerazione  in  ordine  alle  determinazioni  dei
giudici   comuni   quanto   alle   condizioni    di    applicabilita'
dell'attenuante di cui al citato art. 62,  primo  comma,  numero  4),
cod. pen. 
    7.3.- Le conclusioni raggiunte non sono revocate  in  dubbio  con
riguardo  alla  prospettata   irragionevolezza   della   disposizione
censurata, che, nella argomentazione  del  rimettente,  discenderebbe
dalla  possibile  operativita'  della  causa  di   esclusione   della
punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen. per  chi  sia  imputato
del delitto di tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose, ove
non ricorra l'attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero  4),
cod. pen. 
    L'applicazione dell'esimente della tenuita'  del  fatto,  invero,
postula  una  valutazione  complessiva  e  congiunta  di   tutte   le
peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga  conto,  ai  sensi
dell'art.  133,  primo  comma,  cod.  pen.,  delle  modalita'   della
condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita'
del danno o del pericolo; valutazione, questa, riservata  al  giudice
della cognizione all'esito  del  relativo  giudizio  ed  estranea  ai
profili che vengono in rilievo in sede di convalida dell'arresto e di
successiva,  eventuale   applicazione   di   una   misura   cautelare
coercitiva. 
    8.- Per le considerazioni  che  precedono,  le  questioni  devono
essere dichiarate non fondate.