ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  comma
3, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286  (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello  straniero),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Bologna nel procedimento penale a carico di E. K.K., con
ordinanza del 1° dicembre  2020,  iscritta  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  E.  K.K.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Alessandro Gamberini per E.  K.K.  e  l'avvocato
dello Stato Maurizio  Greco  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di Bologna ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), «limitatamente alle fattispecie  di  impiego  di  servizi
internazionali di trasporto  o  di  documenti  falsi  o  illegalmente
ottenuti, nella parte in cui prevede l'aggravamento di pena  rispetto
all'ipotesi   semplice»,   in    riferimento    al    principio    di
uguaglianza-ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e  al
principio di proporzionalita' della sanzione penale di cui agli artt.
3 e 27, terzo comma, Cost. 
    1.1-  Il  Tribunale  rimettente  si  trova  a   giudicare   della
responsabilita' penale di una imputata  di  origini  congolesi,  alla
quale e' contestato il delitto di cui  all'art.  12,  comma  1,  t.u.
immigrazione, aggravato  ai  sensi  del  comma  3,  lettera  d),  del
medesimo  articolo,  in  concorso  con  il  delitto  di  possesso  di
documenti di identificazione falsi di cui all'art. 497-bis del codice
penale, aggravato dalla finalita' di eseguire  il  primo  delitto  ai
sensi dell'art. 61, numero 2), cod. pen., perche', presentatasi il 27
agosto 2019 alla frontiera aerea di Bologna in  arrivo  con  un  volo
proveniente da  Casablanca,  esibiva  un  passaporto  senegalese  poi
risultato falso e accompagnava due bambine  infraquattordicenni,  per
le quali mostrava due passaporti anch'essi risultati falsi. 
    1.2.-  A  fronte  di  piu'   estesi   dubbi   di   illegittimita'
costituzionale sollevati dalla difesa  dell'imputata,  il  rimettente
ritiene rilevanti e non  manifestamente  infondati  solamente  quelli
relativi all'aumento di pena previsto dall'art. 12, comma 3,  lettera
d), t.u. immigrazione, per le ipotesi - entrambe rilevanti  nel  caso
all'esame - in cui il fatto sia stato commesso  utilizzando  «servizi
internazionali  di  trasporto»,  ovvero  «documenti  contraffatti   o
alterati  o  comunque  illegalmente   ottenuti»;   ipotesi   che   in
giurisprudenza sono qualificate come circostanze aggravanti a effetto
speciale rispetto alla fattispecie base di cui  al  primo  comma  del
medesimo articolo (e' richiamata Corte di cassazione, sezioni  unite,
sentenza 21 giugno 2018, n. 40982). 
    Il  rimettente  osserva  anzitutto   che,   per   effetto   delle
circostanze denunciate, la pena detentiva prevista per la fattispecie
base (reclusione da uno a cinque anni) viene quintuplicata nel minimo
e triplicata nel massimo, pervenendosi cosi' a una  cornice  edittale
che va da cinque a quindici anni di reclusione, cui si  aggiunge  una
pena pecuniaria di ingente entita'. 
    Un tale irrigidimento del trattamento sanzionatorio potrebbe,  ad
avviso  del  rimettente,   giustificarsi   unicamente   «per   quelle
fattispecie   di   favoreggiamento    dell'immigrazione    irregolare
caratterizzate da uno scopo di lucro (c.d.  smugglers  of  migrants),
elemento  quest'ultimo  assente  nella  disposizione»  in   esame   e
integrante, invece, un'autonoma fattispecie aggravante  prevista  dal
successivo comma 3-ter, la cui  applicazione  comporta  un  ulteriore
aumento di pena rispetto a quello gia' previsto dal comma 3. 
    L'irragionevolezza   dell'aumento   di   pena   previsto    dalla
disposizione censurata risulterebbe invece «di palmare evidenza sulla
base di una valutazione per cosi' dire interna» allo stesso comma  3.
In effetti, il legislatore avrebbe equiparato sul piano sanzionatorio
«le ipotesi in cui lo straniero venga esposto a pericolo per la  vita
o l'incolumita' fisica (lett. b) o sottoposto a trattamenti inumani e
degradanti (lett. c), o vi sia l'uso di esplodenti o di  armi  (lett.
e), con quelle, la cui portata appare molto piu'  modesta»,  previste
dal frammento normativo censurato, riferito a «condotte  che  vengono
attuate o avvalendosi di un mezzo di per se' lecito (l'impiego di  un
vettore  di  trasporto),  oppure  attraverso  un'ulteriore   condotta
delittuosa  (reato  di  falso),  sia  pure  assoggettata   ad   altre
specifiche sanzioni penali, per le quali non appare giustificabile la
previsione di una sanzione cosi' elevata rispetto  alla  pena  base».
«Con la conseguenza» - prosegue il  rimettente  -  «che  la  condotta
consistente nel far  viaggiare  lo  straniero  nascosto  nella  cella
frigorifera di un camion o  [...]  accompagnarlo  attraverso  impervi
sentieri di montagna, in entrambi i casi con rischio per  la  vita  o
per l'incolumita' del migrante, viene punita nello stesso modo di chi
invece  faccia  viaggiare  lo  straniero  con  un  volo  di  linea  o
limitandosi a procurargli un passaporto o un visto falso». 
    Le altre fattispecie aggravate delineate dall'art. 12,  comma  3,
t.u. immigrazione tutelerebbero in effetti, «oltre ai beni  giuridici
dell'ordine pubblico e della sicurezza dei confini, anche le  persone
trasportate, che spesso versano in uno stato di bisogno»; sicche'  il
disvalore delle condotte  in  questione  sarebbe  «determinato  anche
dall'incidenza delle stesse sui diritti  fondamentali  delle  persone
trasportate o illegalmente introdotte nel  territorio  dello  Stato».
Incidenza offensiva che viceversa sarebbe  del  tutto  assente  nelle
fattispecie oggetto di censura, le quali colpiscono condotte che  non
offendono beni diversi rispetto a quello tutelato dal  comma  1,  ne'
evidenziano rispetto ad essi un maggior disvalore, dal  momento  che,
da  un  lato,  l'uso   di   servizi   internazionali   di   trasporto
costituirebbe uno strumento di per se'  lecito,  rappresentando  anzi
«il  modo  ordinario  per  attuare  uno  spostamento  da  uno   stato
all'altro»; e  che,  dall'altro,  l'uso  di  documenti  contraffatti,
alterati o comunque illegalmente ottenuti costituirebbe «soltanto una
modalita' dell'ingresso illegittimo, che non aggiung[e]  in  concreto
alcun disvalore alla condotta». 
    1.3.- Richiamata la giurisprudenza di questa Corte in materia  di
proporzionalita' della pena, e in particolare la sentenza n. 236  del
2016,  il  rimettente  invoca  la  rimozione  delle  due   menzionate
fattispecie aggravanti, cio' che determinerebbe  la  riconducibilita'
della condotta  contestata  all'imputata  all'ipotesi  non  aggravata
prevista dal comma 1; mentre le falsita' documentali di cui la stessa
e' accusata potrebbero  essere  autonomamente  qualificate  ai  sensi
dell'art. 497-bis cod. pen., una volta venuto meno il reato complesso
costituito  dalla  fattispecie  aggravata  prevista   dal   comma   3
censurato, che  secondo  la  giurisprudenza  assorbe  il  delitto  di
possesso di documenti di identificazione falsi di cui  al  menzionato
art. 497-bis cod. pen. (e' citata Corte di cassazione, sezione  prima
penale, sentenza 7 aprile 2011, n. 21596 [recte: n. 21586]). 
    In via subordinata, il rimettente prospetta peraltro  un  diverso
«tertium  comparationis»  dal  quale  potrebbe  essere  ricavato   un
trattamento  sanzionatorio  sostitutivo  di  quello  previsto   dalla
disposizione  censurata,  rappresentato  in  particolare  dal  quadro
edittale previsto dall'art. 12, comma 3, t.u.  immigrazione  nel  suo
testo originario, che prevedeva la pena della reclusione da quattro a
dodici anni oltre a una multa, «sempre che anche tale ultima pena non
debba ritenersi intrinsecamente sproporzionata». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  e
comunque non fondate. 
    L'interveniente, dopo aver ripercorso la giurisprudenza di questa
Corte in materia di proporzionalita' della pena, osserva che,  mentre
la fattispecie base prevista dall'art. 12, comma 1, t.u. immigrazione
sarebbe  costruita  come  un  reato  di  pericolo  o  a  consumazione
anticipata,  le  condotte  descritte   al   censurato   terzo   comma
implicherebbero l'effettivo ingresso dello straniero nello Stato  (e'
richiamata Corte di cassazione, sezione  prima  penale,  sentenza  25
marzo 2014, n. 40624) e sarebbero, pertanto, connotate da un  maggior
disvalore. 
    La disposizione censurata avrebbe comunque «lasciato ampio spazio
valutativo al Giudice del caso concreto, sia prevedendo  una  forbice
sanzionatoria molto ampia (dieci anni di reclusione), sia permettendo
di determinare la pena mediante il bilanciamento  delle  circostanze,
impedito solo per le ipotesi piu' gravi». 
    Per quanto in particolare attiene  alla  circostanza  consistente
nell'utilizzo di  servizi  internazionali  di  trasporto,  la  difesa
erariale osserva che la ratio della norma sarebbe «quella  di  punire
piu' gravemente la condotta del procurato ingresso in Italia non solo
da parte dei vettori professionali, ma anche  da  parte  di  chiunque
utilizza un vettore di trasporto internazionale di merci o persone  -
i cui mezzi per evidenti esigenze di speditezza nello spostamento  di
piu' persone o di notevoli quantita'  di  merci  non  possono  essere
soggetti a lunghi e penetranti controlli -  per  procurare  ad  altri
l'ingresso non autorizzato». 
    3.- Si e'  costituita  davanti  a  questa  Corte  l'imputata  nel
giudizio a quo a mezzo del proprio difensore,  il  quale  ha  chiesto
l'accoglimento delle questioni prospettate. 
    3.1.-  La  parte,  ricostruito  il  quadro   normativo,   osserva
anzitutto come le ipotesi aggravate  oggetto  delle  odierne  censure
siano  state   introdotte   ad   opera   della   Commissione   Affari
costituzionali della Camera dei deputati nel testo della legge delega
sulla cui base e' stato adottato il t.u. immigrazione, in assenza  di
alcun dibattito in Commissione o in Assemblea. 
    Osserva inoltre che la fattispecie di cui all'art. 12,  comma  l,
t.u. immigrazione e' stata introdotta in adempimento di  obblighi  di
incriminazione di rango sovranazionale derivanti  da  fonti  ispirate
allo scopo del contrasto  dei  cosiddetti  "smugglers  of  migrants",
«ossia quei soggetti che, agendo per scopo di lucro, si inseriscono a
vario titolo nel network criminale internazionale da  cui  scaturisce
il mercato nero delle migrazioni irregolari». 
    Che il tratto distintivo del fenomeno che il legislatore  avrebbe
inteso colpire consista nella «vendita  di  servizi  di  immigrazione
illegale» sarebbe confermato, ad avviso  della  parte,  dagli  stessi
obblighi di criminalizzazione alla base della disposizione censurata,
e in particolare  dall'art.  27  della  Convenzione  di  applicazione
dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985,  firmata  il  19  giugno
1990, nonche' dal combinato disposto degli artt. 3, lettera a),  e  6
del Protocollo addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni  Unite
contro la criminalita' transnazionale organizzata per  combattere  il
traffico illecito  di  migranti  via  terra,  via  mare  e  via  aria
(cosiddetto  Protocollo  di  Palermo),  che  impongono  obblighi   di
sanzionare condotte  di  favoreggiamento  dell'immigrazione  illegale
compiute a scopo di lucro. 
    La fattispecie di cui all'art. 12,  comma  1,  t.u.  immigrazione
sarebbe stata, tuttavia, «configurata in maniera tale da attrarre nel
proprio ambito di applicazione  un  ventaglio  assai  piu'  ampio  di
condotte»,  non  rientrando  lo  scopo  di  lucro  tra  gli  elementi
costitutivi  dell'illecito  e  avendo,  invece,  rilievo  solo  quale
circostanza   aggravante.   Conseguentemente,    «l'elevato    carico
sanzionatorio di cui e'  dotata  la  fattispecie  in  esame»  sarebbe
ragionevolmente giustificato  soltanto  rispetto  a  quelle  condotte
«coerenti con la sua  funzione  politico-criminale»  e  non,  invece,
«rispetto alle condotte poste in essere  da  chiunque,  agendo  senza
finalita' di ottenere un ingiusto  profitto  (per  i  piu'  disparati
motivi: famigliari, umanitari, di soccorso ecc.), aiuti  o  tenti  di
aiutare uno straniero ad entrare irregolarmente nel territorio». 
    La parte rileva poi che la direttiva  2002/90/CE  del  Consiglio,
del  28  novembre  2002,  volta   a   definire   il   favoreggiamento
dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e la  parallela
decisione quadro, in pari data, 2002/946/GAI del Consiglio,  relativa
al  rafforzamento  del  quadro  penale   per   la   repressione   del
favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali,
dal cui combinato disposto discende l'obbligo di incriminazione delle
condotte  di  favoreggiamento  dell'immigrazione   clandestina,   non
contemplano  lo  scopo  di  lucro  tra   gli   elementi   costitutivi
dell'illecito. Tuttavia, l'obbligo di  prevedere  sanzioni  detentive
sussisterebbe, ai sensi di tali strumenti europei, soltanto  rispetto
alle  condotte  piu'  gravi,  individuate  proprio  «attraverso   gli
elementi caratteristici dello smuggling (ossia  lo  scopo  di  lucro,
accompagnato alternativamente  dalla  presenza  di  un'organizzazione
criminale o dal rischio per la vita dei migranti: cfr. art. 1, par. 3
della decisione quadro)». 
    3.2.- La parte si sofferma quindi su taluni profili di fatto  del
caso all'esame del giudice a quo, riferendo in particolare: 
    - che tanto l'imputata, quanto le due bambine da lei  trasportate
- nate rispettivamente  nel  2006  e  nel  2011  -  provengono  dalla
Repubblica Democratica del Congo; 
    - che la donna era stata arrestata appena giunta all'aeroporto di
Bologna, ma che nei suoi  confronti  non  era  successivamente  stata
applicata alcuna misura cautelare; 
    - che la stessa aveva quindi presentato richiesta  di  protezione
internazionale; 
    - che le minori erano state quindi affidate a una comunita' e qui
avevano manifestato  il  desiderio  di  ricongiungersi  all'imputata,
sulla base di un legame affettivo  che  emergerebbe  dalle  relazioni
degli assistenti sociali, allegate all'atto di costituzione; 
    - che, in effetti, le minori risultano  essere  la  figlia  e  la
nipote dell'imputata. 
    Da tali  circostanze  discenderebbe  dunque  la  conclusione  che
l'obiettivo  dell'imputata,   «benche'   perseguito   con   modalita'
fraudolente, era  volto  in  ultima  analisi  al  bene  delle  minori
coinvolte». 
    Richiamando la sentenza n. 236 del 2016, la parte evidenzia  come
non potrebbe negarsi la rilevanza delle questioni  prospettate  sulla
base dell'argomento secondo cui il giudice sarebbe comunque in  grado
di infliggere una  pena  non  sproporzionata  avvalendosi  dell'ampia
cornice edittale, dal momento che proprio la pena  minima  di  cinque
anni di reclusione sarebbe  irragionevolmente  severa  rispetto  alla
gravita'  del  fatto.  Ne'  sarebbe  possibile   affermare   che   la
sproporzione  possa  venir  meno  in  ragione  di  un   bilanciamento
dell'aggravante censurata con eventuali circostanze  attenuanti,  dal
momento che la funzione delle circostanze medesime sarebbe quella  di
consentire l'adeguamento della sanzione penale al reale disvalore del
fatto  concreto,  e  non  certo  quella  di  ovviare  alla  manifesta
sproporzione di una sanzione prevista dal legislatore (sono citate le
sentenze n. 249 del 2010 e n. 119 del 1970 di questa Corte). 
    3.3.- Secondo la parte, la disposizione censurata  contrasterebbe
anzitutto con  il  principio  di  uguaglianza-ragionevolezza  fondato
sull'art.   3   Cost.   Difetterebbe,   infatti,   ogni   ragionevole
giustificazione  della  risposta  sanzionatoria  piu'   intensa   ivi
prevista rispetto alla fattispecie base, dal momento che avvalersi di
documenti falsi per accedere ai vettori internazionali  di  trasporto
non  approfondirebbe  il   disvalore   insito   nella   condotta   di
favoreggiamento  dell'ingresso  irregolare,   trattandosi   di   «una
modalita' del tutto fisiologica - si potrebbe definire "ordinaria"  -
di realizzazione di  una  condotta  che  offende  il  bene  giuridico
dell'ordinata gestione dei flussi migratori». Tanto che,  proprio  in
conseguenza della presenza della  circostanza  aggravante  in  esame,
l'ambito di applicazione della fattispecie base finirebbe per  essere
ridotto «a ipotesi del tutto marginali, con l'inversione  logica  del
rapporto che normalmente intercorre tra una  figura  di  reato  e  le
relative circostanze». 
    L'irragionevolezza   dell'aumento   di   pena   previsto    dalla
disposizione censurata risulterebbe  particolarmente  evidente  anche
alla luce del confronto con altre aggravanti  previste  dall'art.  12
t.u.  immigrazione,  aventi  natura  chiaramente   plurioffensiva   e
caratterizzate dalla sottoposizione dello straniero a pericoli per la
propria  vita  o  integrita'  fisica,  o  a  trattamenti  inumani   o
degradanti: situazioni assai diverse da quella in esame in termini di
disvalore.  Ne'   il   trattamento   sanzionatorio   previsto   dalla
disposizione  censurata  potrebbe  giustificarsi   in   ragione   del
disvalore connesso all'uso  di  documenti  contraffatti,  alterati  o
illegalmente  ottenuti,   che   resterebbe   comunque   autonomamente
sanzionato, in misura proporzionata, ai sensi dell'art. 497-bis  cod.
pen. 
    3.4.- Inoltre, la disposizione censurata  contrasterebbe  con  il
principio di proporzionalita' della sanzione penale,  desumibile  dal
combinato disposto degli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  Cost.,  da
leggersi anche alla luce dell'art. 49, paragrafo 2, della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), che -  pur  se  non
evocato dal rimettente - rappresenterebbe un parametro  implicito  di
legittimita',  che  dovrebbe  comunque  fungere   da   criterio   per
l'interpretazione  conforme   del   principio   di   proporzionalita'
nazionale. Indipendentemente dal raffronto con uno specifico  tertium
comparationis,  difetterebbe  infatti  in  radice,  nel   trattamento
sanzionatorio previsto dalla disposizione all'esame,  la  proporzione
tra  sanzione  e  offesa,  in  ragione  del   «tasso   di   disvalore
particolarmente  tenue»  che  contraddistinguerebbe  le  condotte  in
questione,  che,  secondo  l'id  quod  plerumque  accidit,  sarebbero
compiute con lo scopo di  «aiutare  lo  straniero  senza  esporlo  ai
pericoli tipici dell'attraversamento  clandestino  delle  frontiere».
D'altra parte, la stessa sentenza n. 236 del  2016  di  questa  Corte
avrebbe ritenuto che «i falsi  commessi  per  finalita'  altruistiche
appartengano al novero delle condotte (ancorche' tipiche)  dotate  di
minore  offensivita',  tanto  dal  ritenerle   incompatibili,   nella
prospettiva  della  proporzionalita'  della  pena,  con  una  cornice
edittale da cinque a quindici anni di reclusione», identica -  quanto
alla pena detentiva - a quella che ora e' all'esame. 
    4.- Hanno presentato un'opinione scritta  in  qualita'  di  amici
curiae l'Accademia  di  diritto  e  migrazioni  (ADiM),  composta  da
studiosi che svolgono  attivita'  di  ricerca,  anche  applicata,  in
materia  di  immigrazione,  istituita  nell'ambito  del  progetto  di
eccellenza 2018-2022 del Dipartimento di studi linguistico-letterari,
storico-filosofici e  giuridici  dell'Universita'  della  Tuscia;  e,
congiuntamente, l'European Council on  Refugees  and  Exiles  (ECRE),
l'International Commission of Jurists (ICJ) e l'Advice on  Individual
Rights in Europe (AIRE Centre), tre associazioni internazionali senza
fine di lucro impegnate nella promozione dei diritti  umani  e  nella
tutela dei diritti di migranti e rifugiati. Entrambe le opinioni sono
state ammesse con decreto presidenziale del 22 dicembre 2021. 
    4.1.- L'ECRE,  l'ICJ  e  l'AIRE  hanno  svolto  considerazioni  a
sostegno della fondatezza delle  censure  sollevate  dal  rimettente,
fornendo a questa Corte un contributo consistente  anzitutto  in  una
ricostruzione   articolata   del   quadro   normativo    europeo    e
internazionale di riferimento. 
    Secondo gli amici curiae, da  tale  quadro  -  e  in  particolare
dall'art. 6, paragrafo 3, del Protocollo di Palermo - si  ricaverebbe
un vincolo per gli Stati parte ad  adottare  misure  legislative  per
conferire il carattere di circostanza aggravante a due sole  ipotesi,
relative «al fatto di mettere in pericolo, o di rischiare di  mettere
in pericolo, la  vita  e  l'incolumita'  dei  migranti  coinvolti»  e
all'esposizione degli stessi a «trattamenti  disumani  o  degradanti,
incluso lo sfruttamento». Viceversa, nessun  obbligo  si  rinverrebbe
rispetto alle due ipotesi aggravanti oggetto di censura,  «frutto  di
una libera scelta del legislatore nazionale»; scelta che questa Corte
dovrebbe vagliare anche alla luce dell'art. 49, paragrafo  3,  CDFUE,
che «pur non  essendo  stato  espressamente  menzionato  dal  giudice
rimettente, congiuntamente agli artt. 3 e 27  Cost.,  rappresenta  un
parametro implicito di legittimita' evocato dal generale  riferimento
al  principio  di  proporzionalita'  delle  sanzioni  penali»   (sono
richiamate le sentenze di questa Corte n. 251 del 2012,  n.  105  del
2014, n. 106 del 2014 e n. 236 del 2016). 
    A tale principio non si conformerebbe la disposizione  censurata,
poiche' non prevede «alcuna verifica dei criteri di necessita'  e  di
proporzionalita'»,  ma  al  contrario  «vieta,  e  quantomeno  limita
seriamente qualsiasi attivita' di chi tenti di favorire  un  ingresso
irregolare  per  ragioni  di  soccorso,   assistenza   famigliare   o
genuinamente altruistiche a richiedenti protezione internazionale». 
    4.2.- Anche l'ADiM ha  svolto  considerazioni  a  sostegno  della
fondatezza nel merito delle censure sollevate dal rimettente. 
    Anzitutto si osserva come  l'odierna  questione  di  legittimita'
costituzionale sia «nuova, mancando  precedenti  con  identico  thema
decidendum», dal momento che nella sentenza n. 142 del 2017 era stata
valutata la previsione della pena pecuniaria prevista  dall'art.  12,
commi 3 e 3-bis, t.u. immigrazione e che le altre decisioni di questa
Corte  che  concernono  il   medesimo   articolo   hanno   riguardato
disposizioni diverse da quelle odierne (sono richiamate  le  sentenze
n. 331 del 2011, n. 21 del 2009 e le ordinanze n. 75 del 2007, n. 445
del 2004 e n. 78 del 2001). 
    L'amicus  afferma,  inoltre,  che  la   natura   di   circostanza
aggravante della disposizione  censurata  (e'  richiamata  ancora  la
sentenza della Corte di cassazione n. 40982 del 2018) non la  sottrae
al rispetto dei principi di offensivita' e di  proporzionalita',  per
cui  dovrebbe  farsi   riferimento   alla   relativa   giurisprudenza
costituzionale, ed in particolare a quanto affermato  nella  sentenza
n. 236 del 2016. 
    L'ADiM osserva che le aggravanti censurate - di cui, a suo  dire,
non e' rinvenibile alcuna ragione giustificatrice in seno  ai  lavori
parlamentari - risulterebbero affette «da manifesta irragionevolezza,
in quanto selezionano modalita' di condotta  che  risultano,  per  un
verso, radicalmente prive  di  surplus  di  disvalore  rispetto  alla
fattispecie base (l'utilizzo di servizi internazionali di  trasporto)
e, per un altro verso, dotate di un surplus di  disvalore  che  trova
un'adeguata risposta sanzionatoria nell'ambito  dei  reati  di  falso
(utilizzo  di  documenti  contraffatti,   alterati   o   illegalmente
ottenuti)»; e che «[i]n  entrambi  i  casi,  si  tratta  di  condotte
manifestamente  eterogenee  rispetto  alle  altre  ipotesi  aggravate
previste  dal  medesimo  art.  12,  co.  3,  TUI,  e  cio'   malgrado
irragionevolmente assoggettate alle medesime sanzioni edittali». 
    Cio' premesso, l'amicus ritiene che la manifesta irragionevolezza
della  disposizione  censurata  si  evincerebbe  sotto  tre  profili,
fondati  rispettivamente:  a)   su   un'interpretazione   sistematica
dell'art. 12 t.u. immigrazione; b) sulla natura  dei  beni  giuridici
protetti da tale  disposizione;  c)  sul  raffronto  con  il  diritto
dell'Unione europea e il diritto comparato. 
    Sotto il primo profilo, l'ADiM evidenzia che le  due  circostanze
prese in considerazione rappresenterebbero una modalita'  fisiologica
di  realizzazione  del  reato,  come   confermerebbe   la   casistica
giurisprudenziale  (sono   richiamate   in   particolare   Corte   di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 30 maggio 2019, n.  35510,
quanto  all'utilizzo  di  documenti  falsi;  sezione  prima   penale,
sentenza 5 febbraio 2020, n. 15531; sezione prima penale, sentenza 25
novembre 2014, n.  12542,  relativa  a  un  caso  di  favoreggiamento
consistente nel nascondere lo straniero a bordo di mezzi che svolgono
servizi di trasporto internazionale). 
    Quanto al secondo profilo, l'amicus richiama la sentenza  n.  142
del 2017 di questa Corte, nella parte in cui ha riconosciuto  che  le
disposizioni di cui all'art. 12, commi 3 e 3-bis,  t.u.  immigrazione
non solo tutelano i  beni  giuridici  dell'ordine  pubblico  e  della
sicurezza dei confini, ma «abbracciano anche i  diritti  fondamentali
delle persone trasportate o illegalmente  introdotte  nel  territorio
dello Stato italiano». Da  questo  punto  di  vista,  le  circostanze
oggetto di censura evidenzierebbero, anziche' un  maggior  disvalore,
una  minore  intensita'  di  offesa.  Inoltre,  non  sarebbe  neppure
possibile affermare che il vulnus al canone di proporzionalita' possa
essere sanato in concreto dal giudice  attraverso  la  commisurazione
della pena, giacche' detto vulnus  riguarderebbe  proprio  il  minimo
edittale dell'aggravante; ne' sarebbe possibile che  la  sproporzione
venga meno attraverso un bilanciamento tra circostanze  attenuanti  e
aggravanti. 
    Quanto al terzo profilo, l'ADiM ritiene  che  le  medesime  fonti
internazionali ed europee richiamate dalla parte costituita  e  dagli
altri  amici  curiae   corroborino   le   ragioni   della   manifesta
irragionevolezza della scelta  legislativa  di  accomunare  sotto  la
stessa cornice edittale tanto le ipotesi di maggiore  gravita'  prese
in considerazione dal legislatore sovranazionale (come  l'esposizione
della persona trasportata a pericolo per  la  sua  vita),  quanto  le
ipotesi oggetto di censura. 
    L'ADiM  osserva  infine  come,  sotto  il  profilo  del   diritto
comparato, la  scelta  politico-criminale  compiuta  dal  legislatore
italiano  non  trovi  corrispondenza  in  alcuno  degli   ordinamenti
esaminati (Belgio, Francia, Germania e Spagna). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di Bologna ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), «limitatamente alle fattispecie  di  impiego  di  servizi
internazionali di trasporto  o  di  documenti  falsi  o  illegalmente
ottenuti, nella parte in cui prevede l'aggravamento di pena  rispetto
all'ipotesi   semplice»,   in    riferimento    al    principio    di
uguaglianza-ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e  al
principio di proporzionalita' della sanzione penale di cui agli artt.
3 e 27, terzo comma, Cost. 
    1.1.- Il giudice  a  quo  deve  giudicare  della  responsabilita'
penale di una donna, imputata di avere accompagnato in Italia  su  un
aereo di linea, utilizzando passaporti falsi, due bambine di  tredici
e otto anni, che -  secondo  quando  risulta  dalle  relazioni  delle
assistenti sociali che ne  hanno  attualmente  cura,  prodotta  dalla
difesa della donna - risulterebbero essere rispettivamente sua figlia
e sua nipote. 
    In base alla  prospettazione  risultante  dall'imputazione,  tale
condotta integrerebbe il delitto di cui all'art. 12,  comma  1,  t.u.
immigrazione, aggravato ai sensi del successivo comma 3, lettera  d),
in concorso con il delitto di possesso e fabbricazione  di  documenti
falsi di cui all'art. 497-bis del codice penale. 
    Secondo il rimettente, la previsione legislativa della reclusione
da cinque a quindici anni per la seconda e la terza ipotesi  indicate
dalla lettera d) (rispettivamente, utilizzo di servizi internazionali
di trasporto,  e  utilizzo  di  documenti  contraffatti,  alterati  o
comunque  illegalmente  ottenuti)  sarebbe  tuttavia   contraria   al
principio  di  uguaglianza-ragionevolezza  discendente  dall'art.   3
Cost., nonche' al principio di proporzionalita' della pena scaturente
dal combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni,  senza  pero'  fornire   alcuna
motivazione in proposito. 
    L'eccezione deve, pertanto, essere rigettata. 
    Ne'  sussistono  ragioni  di  inammissibilita'  delle   questioni
rilevabili ex officio. Le questioni sono, in  particolare,  rilevanti
rispetto a entrambe le ipotesi contemplate  dall'art.  12,  comma  3,
lettera d), t.u. immigrazione sottoposte all'esame  di  questa  Corte
dal giudice rimettente, dal momento che all'imputata del  giudizio  a
quo risulta in fatto contestato, nel capo di  imputazione,  di  avere
accompagnato  in  Italia  le  due  bambine  sia  mediante   un   volo
proveniente dal Marocco, sia mediante l'uso di documenti falsi. 
    3.- Conviene premettere  all'esame  del  merito  delle  questioni
prospettate un inquadramento relativo  allo  sviluppo  storico  della
disposizione censurata (infra,  punti  da  3.1.  a  3.5.),  alla  sua
interpretazione ad opera della giurisprudenza  penale  (infra,  punto
3.6.) e agli obblighi internazionali di cui  la  disposizione  stessa
costituisce attuazione (infra, punto 3.7.). 
    3.1.- Il delitto comunemente  qualificato  come  "favoreggiamento
dell'immigrazione   clandestina"    fece    la    propria    comparsa
nell'ordinamento italiano in sede di conversione del decreto-legge 30
dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di
ingresso   e   soggiorno   dei   cittadini   extracomunitari   e   di
regolarizzazione  dei  cittadini  extracomunitari  ed  apolidi   gia'
presenti nel territorio  dello  Stato.  Disposizioni  in  materia  di
asilo), ad opera della legge 28 febbraio 1990, n. 39, altrimenti nota
come "legge Martelli". L'art. 3, comma 8, del d.l. n. 416  del  1989,
come convertito, stabiliva: «[s]alvo che il  fatto  costituisca  piu'
grave reato, chiunque compie attivita' dirette a favorire  l'ingresso
degli stranieri  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  delle
disposizioni del presente decreto e' punito con la reclusione fino  a
due anni o con la multa fino a lire  due  milioni.  Se  il  fatto  e'
commesso a fine di lucro, ovvero da tre o piu'  persone  in  concorso
tra loro, la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da
lire dieci milioni a lire cinquanta milioni». 
    In questa formulazione, la fattispecie delittuosa base era dunque
gia' configurata come reato a consumazione anticipata, caratterizzata
dal compimento di attivita' «dirette» a favorire l'ingresso  illegale
di stranieri  nel  territorio  dello  Stato,  ed  era  sanzionata  in
particolare con la reclusione «fino a due  anni»:  con  un  minimo  -
dunque - di quindici giorni risultante dalla regola generale  di  cui
all'art. 23 cod. pen.  Erano  poi  previste  due  ipotesi  aggravate,
integrate dal fine di lucro e dalla commissione da  parte  di  tre  o
piu'  persone,  sanzionate  con  l'autonomo  quadro  edittale   della
reclusione da due a sei  anni  e  da  una  multa  assai  piu'  severa
rispetto a quella prevista per il fatto base. 
    3.2.- Il delitto di  favoreggiamento  dell'immigrazione  conflui'
poi nell'art. 12 t.u. immigrazione, recependo la  formulazione  della
previsione incriminatrice contenuta nell'art. 10 della legge 6  marzo
1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e  norme  sulla  condizione
dello straniero), altrimenti nota come "legge  Turco-Napolitano",  la
quale aveva al contempo abrogato il menzionato art. 3, comma  8,  del
d.l. n. 416 del 1989 e conferito delega al Governo per l'adozione del
t.u. immigrazione. 
    Nella versione originaria  dell'art.  12  t.u.  immigrazione,  la
fattispecie delittuosa base di cui al comma 1 resto'  strutturalmente
inalterata rispetto alla previsione contenuta nella "legge Martelli",
ma le pene furono innalzate. In particolare,  la  reclusione  divenne
«fino a tre anni», mantenendosi peraltro il minimo di quindici giorni
derivante dall'art. 23 cod. pen. 
    Furono invece previste, oltre alle  due  gia'  contemplate  dalla
"legge Martelli", numerose circostanze aggravanti al comma 3, il  cui
testo originario recitava: «[s]e il  fatto  di  cui  al  comma  1  e'
commesso a fine di lucro o da tre o  piu'  persone  in  concorso  tra
loro, ovvero riguarda l'ingresso di cinque o piu' persone, e nei casi
in cui il fatto e' commesso mediante l'utilizzazione  di  servizi  di
trasporto internazionale o di  documenti  contraffatti,  la  pena  e'
della reclusione da quattro a dodici  anni  e  della  multa  di  lire
trenta milioni per ogni straniero di cui e' stato favorito l'ingresso
in violazione del presente testo unico. Se il fatto  e'  commesso  al
fine di reclutamento di persone da  destinare  alla  prostituzione  o
allo sfruttamento della prostituzione, ovvero riguarda l'ingresso  di
minori da impiegare in attivita' illecite al  fine  di  favorirne  lo
sfruttamento, la pena e' della reclusione da cinque a quindici anni e
della multa di lire cinquanta milioni per ogni straniero  di  cui  e'
stato favorito l'ingresso in violazione del presente testo unico». 
    Nel 1998, dunque, compare per la prima volta un'ipotesi aggravata
assai simile a quella oggi  all'esame,  relativa  al  fatto  compiuto
«mediante l'utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di
documenti contraffatti». Per tale ipotesi era  prevista  -  come  per
quelle preesistenti del fatto  commesso  a  fine  di  lucro  e  della
commissione da parte di tre o piu' persone, nonche' per l'altra nuova
ipotesi dell'ingresso di cinque o piu' persone  -  la  reclusione  da
quattro a dodici anni, unitamente a una multa determinata  in  misura
fissa per ogni straniero di cui fosse stato favorito l'ingresso. 
    3.3.- L'art. 12 t.u. immigrazione fu poi incisivamente modificato
dalla legge 30 luglio  2002,  n.  189  (Modifica  alla  normativa  in
materia  di  immigrazione  e  di   asilo),   la   cosiddetta   "legge
Bossi-Fini". 
    Il comma 1 fu arricchito della previsione degli atti  «diretti  a
procurare l'ingresso  illegale  in  un  altro  Stato  membro  diverso
dall'Italia», e la pena pecuniaria divenne anch'essa proporzionale al
numero di stranieri oggetto della condotta delittuosa. 
    Quanto al comma 3, esso fu integralmente  riscritto  nei  termini
seguenti:  «[s]alvo  che  il  fatto  costituisca  piu'  grave  reato,
chiunque, al fine di trarre profitto  anche  indiretto,  compie  atti
diretti a procurare l'ingresso di taluno nel territorio  dello  Stato
in violazione delle disposizioni del presente testo unico,  ovvero  a
procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non
e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente, e'  punito  con
la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa di 15.000  euro
per ogni persona. La stessa  pena  si  applica  quando  il  fatto  e'
commesso da tre o piu' persone in concorso  tra  loro  o  utilizzando
servizi internazionali di trasporto ovvero documenti  contraffatti  o
alterati o comunque illegalmente ottenuti». 
    Furono poi aggiunti altri due commi, che contemplavano  ulteriori
ipotesi aggravanti. 
    In particolare, il nuovo comma 3-bis prevedeva: «[l]e pene di cui
al comma 3 sono aumentate se: a) il fatto riguarda  l'ingresso  o  la
permanenza illegale nel territorio  dello  Stato  di  cinque  o  piu'
persone; b) per procurare l'ingresso  o  la  permanenza  illegale  la
persona e' stata esposta  a  pericolo  per  la  sua  vita  o  la  sua
incolumita'; c) per procurare l'ingresso o la permanenza illegale  la
persona e' stata sottoposta a trattamento inumano o degradante». 
    Il nuovo comma 3-ter, dal canto suo, recitava: «[s]e i  fatti  di
cui al comma  3  sono  compiuti  al  fine  di  reclutare  persone  da
destinare alla prostituzione o comunque  allo  sfruttamento  sessuale
ovvero riguardano l'ingresso di  minori  da  impiegare  in  attivita'
illecite al fine di favorirne lo sfruttamento,  si  applica  la  pena
della reclusione da cinque a quindici anni e la multa di 25.000  euro
per ogni persona». 
    Di  fronte  al  dato  letterale  del  nuovo  comma   3,   che   -
subordinatamente a una clausola espressa di  sussidiarieta'  rispetto
ad altri piu' gravi reati -  reiterava  pressoche'  integralmente  la
descrizione della condotta contenuta nel  comma  1  arricchendola  di
ulteriori requisiti, la giurisprudenza si oriento' a  considerare  le
fattispecie ivi previste come figure  autonome  di  reato  (Corte  di
cassazione, sezione  prima  penale,  sentenza  25  gennaio  2006,  n.
11578). Tra  queste  fattispecie  comparivano,  ancora,  il  fine  di
profitto, la commissione da parte di tre o piu' persone,  nonche'  le
due ipotesi ora all'esame - utilizzazione di  servizi  internazionali
di  trasporto  e  utilizzazione  di  documenti  «contraffatti  ovvero
alterati o comunque illecitamente ottenuti». 
    La commissione da parte di tre o piu'  persone  passo'  invece  a
integrare l'ipotesi aggravata prevista dal nuovo comma 3-bis, accanto
a quella dell'ingresso o della permanenza illegale di cinque  o  piu'
persone e a quelle, di  nuova  introduzione,  dell'esposizione  della
persona trasportata a pericolo per la vita o l'incolumita', ovvero  a
trattamento inumano o degradante. Per queste ipotesi veniva  disposto
che le pene previste dal comma 3 fossero ulteriormente aumentate. 
    Un autonomo  e  piu'  severo  quadro  edittale  (comprensivo,  in
particolare, della pena della reclusione da cinque a  quindici  anni)
veniva invece previsto per le nuove circostanze aggravanti di cui  al
comma 3-ter, integrate dal fine di destinare le  persone  trasportate
alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale o allo sfruttamento di
minori. 
    3.4.- Ulteriori  modifiche  furono  apportate  all'art.  12  t.u.
immigrazione dall'art. 1-ter del decreto-legge 14 settembre 2004,  n.
241 (Disposizioni urgenti in materia di  immigrazione),  aggiunto  in
sede di conversione dalla legge 12 novembre 2004, n. 271. 
    In particolare, la pena detentiva per la fattispecie  di  cui  al
comma 1 fu elevata, stabilendosi la reclusione da uno a cinque anni. 
    Nel comma 3 si conservo' soltanto  il  fine  di  trarre  profitto
anche indiretto, prevedendosi una cornice edittale  -  per  cio'  che
concerne  la  pena  detentiva  -  da  quattro  a  quindici  anni   di
reclusione. 
    Le  ipotesi  in  questa  sede  all'esame  (utilizzo  di   servizi
internazionali di trasporto e di documenti contraffatti,  alterati  o
comunque illecitamente ottenuti) furono a questo punto trasferite nel
comma 3-bis, accanto a quelle  che  gia'  erano  state  collocate  in
quest'ultimo  comma  dalla  "legge  Bossi-Fini"  (fatto   concernente
l'ingresso o permanenza illegale di cinque o piu'  persone;  pericolo
alla  vita  o  all'incolumita'  fisica  della  persona   trasportata;
sottoposizione della stessa  a  trattamenti  inumani  o  degradanti),
prevedendosi per tutte queste ipotesi l'aumento della pena  stabilita
dai commi 1 e 3. 
    Conseguentemente,  ai  fini  della  determinazione   del   quadro
edittale  applicabile,  decisivo  divenne  il  discrimine  tra  fatto
commesso senza fine di lucro (rilevante  ai  sensi  del  comma  1,  e
punito con la reclusione  da  uno  a  cinque  anni,  su  cui  operare
l'aumento sino a un terzo ex art. 64 cod. pen.) e fatto commesso  con
fine di lucro (rilevante ai sensi  del  comma  3,  e  punito  con  la
reclusione da cinque a quindici  anni,  su  cui  operare  l'ulteriore
aumento sino a un terzo). 
    Infine, per le ipotesi di cui al comma 3-ter, rimaste  inalterate
nella loro definizione rispetto alla "legge Bossi-Fini", fu  previsto
l'aumento da un terzo alla meta' delle pene detentive  stabilite  dal
comma 3. 
    3.5.-  L'art.  12  t.u.  immigrazione  fu,  una   volta   ancora,
riformulato dalla legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia  di   sicurezza   pubblica),   acquisendo   cosi'   l'attuale
fisionomia. 
    In  particolare,  il  comma  1  recita:  «[s]alvo  che  il  fatto
costituisca  piu'  grave  reato,  chiunque,   in   violazione   delle
disposizioni del presente testo unico, promuove,  dirige,  organizza,
finanzia o effettua il trasporto di stranieri  nel  territorio  dello
Stato ovvero compie altri  atti  diretti  a  procurarne  illegalmente
l'ingresso nel territorio dello Stato,  ovvero  di  altro  Stato  del
quale la persona non e'  cittadina  o  non  ha  titolo  di  residenza
permanente, e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la
multa di 15.000 euro per ogni persona». 
    La legge n. 94 del 2009 ha, dunque,  confermato  -  in  relazione
alla fattispecie base di cui al primo comma - la cornice edittale  da
uno a cinque anni di reclusione gia' introdotta dalla  legge  n.  271
del 2004. 
    Il comma 3 e',  ora,  cosi'  formulato:  «[s]alvo  che  il  fatto
costituisca  piu'  grave  reato,  chiunque,   in   violazione   delle
disposizioni del presente testo unico, promuove,  dirige,  organizza,
finanzia o effettua il trasporto di stranieri  nel  territorio  dello
Stato ovvero compie altri  atti  diretti  a  procurarne  illegalmente
l'ingresso nel territorio dello Stato,  ovvero  di  altro  Stato  del
quale la persona non e'  cittadina  o  non  ha  titolo  di  residenza
permanente, e' punito con la reclusione da cinque a quindici  anni  e
con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: 
    a) il fatto riguarda l'ingresso  o  la  permanenza  illegale  nel
territorio dello Stato di cinque o piu' persone; 
    b) la persona trasportata e' stata esposta a pericolo per la  sua
vita o  per  la  sua  incolumita'  per  procurarne  l'ingresso  o  la
permanenza illegale; 
    c) la persona  trasportata  e'  stata  sottoposta  a  trattamento
inumano o  degradante  per  procurarne  l'ingresso  o  la  permanenza
illegale; 
    d) il fatto e' commesso da tre o piu'  persone  in  concorso  tra
loro  o  utilizzando  servizi  internazionali  di  trasporto   ovvero
documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; 
    e) gli autori del fatto hanno la disponibilita' di armi o materie
esplodenti». 
    Nel comma 3  cosi'  riformulato  sono  state  dunque  ricollocate
cinque diverse ipotesi: le quattro gia' regolate dalla legge  n.  271
del 2004 nel comma 3-bis - tra cui quella descritta alla lettera  d),
che comprende le due sottoipotesi oggetto di censura in  questa  sede
(utilizzazione di servizi internazionali di trasporto e utilizzazione
di documenti contraffatti, alterati o comunque illegalmente ottenuti)
-; ed una quinta, descritta alla lettera  e),  di  nuovo  conio.  Per
tutte queste  ipotesi  la  pena  e'  stata  ulteriormente  innalzata,
prevedendosi una nuova cornice edittale da cinque a quindici anni  di
reclusione, oltre alla multa di 15.000 euro per ogni persona. 
    Il comma 3-bis riformulato dispone che, in caso di  concorso  tra
due o piu' delle ipotesi di cui al  comma  precedente,  la  pena  ivi
prevista sia aumentata. 
    Il comma 3-ter, parimenti riformulato, prevede poi che «[l]a pena
detentiva e' aumentata da un terzo alla meta' e si applica  la  multa
di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: 
    a) sono commessi al fine di reclutare persone da  destinare  alla
prostituzione o comunque  allo  sfruttamento  sessuale  o  lavorativo
ovvero riguardano l'ingresso di  minori  da  impiegare  in  attivita'
illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; 
    b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto». 
    Ai sensi del nuovo comma 3-quater, infine, eventuali  circostanze
attenuanti (diverse da quelle previste dagli  artt.  98  e  114  cod.
pen.) non possono essere ritenute prevalenti o  equivalenti  rispetto
alle circostanze aggravanti di cui ai  commi  3-bis  e  3-quater,  le
relative diminuzioni di pena dovendosi  operare  sulla  quantita'  di
pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. 
    3.6.- Risolvendo un contrasto  giurisprudenziale  sul  punto,  le
sezioni unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto natura  di
circostanze aggravanti anche alle  ipotesi  descritte  dal  comma  3,
cosi' come oggi  formulato,  tra  le  quali  dunque  anche  quelle  -
inserite nella lettera d) - oggetto del presente giudizio  (Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 21 giugno 2018, n. 40982). 
    Pertanto,  e'  possibile  il  loro  bilanciamento  con  eventuali
circostanze  attenuanti  ai  sensi  dell'art.  69  cod.  pen.,  e  la
conseguente commisurazione della pena -  in  caso  di  equivalenza  o
prevalenza delle attenuanti - a partire dall'assai piu'  mite  quadro
edittale previsto dal comma 1 (caratterizzato, in particolare,  dalla
reclusione da uno a cinque anni, anziche' da cinque a quindici anni);
e cio' sempre che non ricorrano due o piu' di tali aggravanti  ovvero
il fine di profitto, operando in tal caso il divieto di equivalenza o
prevalenza delle attenuanti stabilito dal comma 3-quater. 
    3.7.- L'art. 12 t.u. immigrazione, e in particolare i suoi  commi
1, 3, 3-bis e 3-ter, investono una materia  interessata  da  obblighi
assunti in sede di  diritto  internazionale  e  imposti  dal  diritto
dell'Unione europea. 
    3.7.1.- Sul fronte del diritto internazionale, viene anzitutto in
considerazione il  Protocollo  addizionale  della  Convenzione  delle
Nazioni Unite contro la criminalita' transnazionale  organizzata  per
combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via
aria (cosiddetto Protocollo di Palermo), il cui art. 6, paragrafo  1,
obbliga gli Stati parte a criminalizzare tra  l'altro,  allorche'  il
fatto sia  commesso  intenzionalmente  e  a  scopo  di  profitto,  il
«traffico  di  migranti»  («smuggling  of  migrants»  nella  versione
ufficiale inglese, «trafic illicite de migrants» in quella francese),
a sua volta definito dall'art. 3, lettera a), del medesimo Protocollo
come  «il  procurare,   al   fine   di   ricavare,   direttamente   o
indirettamente, un vantaggio economico  o  altro  tipo  di  vantaggio
materiale, l'ingresso illegale di una persona in uno Stato  parte  di
cui la persona non e' cittadina o residente permanente». 
    L'indicato art. 6, al paragrafo 3, impone poi  a  ciascuno  Stato
parte di adottare le misure legislative e  di  altra  natura  che  si
rendano  necessarie  a  conferire   il   carattere   di   circostanze
aggravanti, tra l'altro, del reato di traffico di migranti alla messa
in pericolo della vita o dell'incolumita'  dei  migranti  interessati
(lettera a), ovvero alla loro sottoposizione a trattamenti inumani  o
degradanti, incluso lo sfruttamento (lettera b). 
    Gli obblighi di criminalizzazione  stabiliti  dal  Protocollo  in
parola  sono,  dunque,  limitati  a  condotte  commesse  a  scopo  di
profitto, coerentemente con lo stesso  uso  linguistico  dei  termini
"smuggling" (letteralmente, contrabbando) e  "trafic  illicite",  che
evocano immediatamente l'attivita' di gruppi  criminali  organizzati;
mentre l'obbligo di prevedere specifici aggravamenti di pena sussiste
solo per le ipotesi coperte oggi, nel diritto italiano, dall'art. 12,
comma 3, lettere b) e c), t.u. immigrazione, relative rispettivamente
all'esposizione a pericolo per la vita o l'incolumita' del migrante e
alla sua sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti. 
    3.7.2.- Quanto al diritto dell'Unione europea,  gli  obblighi  di
incriminazione  in  materia  -  gia'  anticipati   nel   1990   dalla
Convenzione  di  applicazione  dell'Accordo  di   Schengen   -   sono
essenzialmente  quelli  stabiliti  dal   combinato   disposto   della
decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del  28  novembre  2002,
relativa al rafforzamento del quadro penale per  la  repressione  del
favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali,
e dalla direttiva, adottata in pari data, 2002/90/CE  del  Consiglio,
volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del
soggiorno illegali (che assieme formano il  cosiddetto  "Facilitators
Package"). 
    L'art.  1,  paragrafo  1,  della  decisione  quadro  prevede  che
ciascuno Stato membro  adotti  le  misure  necessarie  affinche'  gli
illeciti  definiti,  in  particolare,  nell'art.  1  della  direttiva
2002/90/CE   siano   passibili   di   «sanzioni   penali   effettive,
proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione». 
    L'art. 1 della direttiva, dal canto  suo,  dispone  che  ciascuno
Stato membro adotta sanzioni appropriate, tra l'altro, «nei confronti
di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia  cittadino
di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio  di  uno
Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa
all'ingresso o al transito degli stranieri». 
    L'art. 1, paragrafo 3, della decisione  quadro  prevede  poi  che
ciascuno Stato membro  adotta  le  misure  necessarie  affinche'  gli
illeciti definiti, tra l'altro, all'art. 1, paragrafo 1, lettera  a),
della direttiva 2002/90/CE, «se perpetrati a scopo  di  lucro,  siano
passibili di pene privative della liberta`, il cui massimo  non  puo'
essere inferiore  a  8  anni,  quando  sono  commessi  in  una  delle
circostanze seguenti: 
    - il reato e`  commesso  da  un'organizzazione  criminale,  quale
definita nell'azione comune 98/733/GAI; 
    - la commissione del  reato  mette  in  pericolo  la  vita  delle
persone che ne sono vittime». 
    4.- Cio' premesso, le questioni devono  essere  ritenute  fondate
con riferimento  a  entrambi  i  profili  di  censura  formulati  dal
rimettente. 
    4.1.- Cuore di tali censure, ampiamente approfondite dalla  parte
e  dagli  amici  curiae,  e'  l'asserita  manifesta  irragionevolezza
dell'aumento   della   pena   detentiva   (nei   termini    di    una
quintuplicazione del minimo, che passa da uno a cinque anni, e di una
triplicazione del massimo, che  passa  da  cinque  a  quindici  anni)
stabilita per le due ipotesi aggravate all'esame, rispetto  a  quella
prevista per la fattispecie base di cui all'art. 12,  comma  1,  t.u.
immigrazione. Tale manifesta irragionevolezza si  tradurrebbe,  nella
prospettazione del rimettente, nella comminatoria legislativa di  una
pena manifestamente sproporzionata sia alla intrinseca gravita' della
tipologia di fatti sanzionati, sia alla pena prevista,  appunto,  per
la fattispecie base di reato di cui al comma 1. 
    In base alla costante giurisprudenza di  questa  Corte  (per  una
piu' estesa ricapitolazione, sentenza n. 112 del 2019), ai sensi  del
combinato disposto degli artt. 3 e 27,  terzo  comma,  Cost.  l'ampia
discrezionalita' di cui dispone il legislatore nella  quantificazione
delle pene incontra il proprio limite  nella  manifesta  sproporzione
della singola  scelta  sanzionatoria,  sia  in  relazione  alle  pene
previste per altre figure di reato (sentenze n. 88 del  2019,  n.  68
del 2012, n. 409 del 1989 e n.  218  del  1974),  sia  rispetto  alla
intrinseca gravita' delle condotte abbracciate da una singola  figura
di reato (sentenze n. 136 e n. 73 del 2020, n. 284 e n. 40 del  2019,
n. 222 del 2018, n. 236 del 2016 e n. 341 del  1994).  Il  limite  in
parola esclude, piu' in particolare,  che  la  severita'  della  pena
comminata   dal   legislatore    possa    risultare    manifestamente
sproporzionata rispetto alla  gravita'  oggettiva  e  soggettiva  del
reato: il che accade, in particolare, ove il  legislatore  fissi  una
misura minima della pena troppo elevata, vincolando cosi' il  giudice
all'inflizione di pene che potrebbero risultare, nel  caso  concreto,
chiaramente eccessive rispetto alla sua gravita' (da ultimo, sentenza
n. 28 del 2022). 
    In applicazione di tali principi, occorre  dunque  verificare  se
l'aumento della pena edittale previsto per le due  ipotesi  aggravate
all'esame, nei termini sopra descritti,  sia  tale  da  vincolare  il
giudice a irrogare pene  manifestamente  sproporzionate  per  eccesso
rispetto alla  gravita'  dei  fatti  riconducibili  a  quelle  figure
normative. 
    4.2.- Al riguardo, occorre anzitutto  sottolineare  che  l'intera
gamma  delle  ipotesi  delittuose   descritte   dall'art.   12   t.u.
immigrazione ha quale comune oggetto di  tutela  l'ordinata  gestione
dei flussi migratori: interesse che questa Corte ha da tempo definito
quale «bene giuridico "strumentale", attraverso la  cui  salvaguardia
il legislatore attua una protezione in forma avanzata  del  complesso
di  beni  pubblici  "finali",  di  sicuro   rilievo   costituzionale,
suscettivi  di  essere  compromessi  da  fenomeni   di   immigrazione
incontrollata» (sentenza n. 250 del 2010 e ivi numerosi precedenti in
senso conforme), quali, in particolare, gli equilibri del mercato del
lavoro, le risorse  (limitate)  del  sistema  di  sicurezza  sociale,
l'ordine e la sicurezza pubblica. 
    Precisamente alla tutela di tali interessi sono  funzionali,  del
resto, gli obblighi  stabiliti  in  materia  dall'Unione  europea,  e
segnatamente quelli discendenti dal "Facilitators  Package"  poc'anzi
menzionato (supra, punto 3.7.2.), che comprendono l'obbligo  per  gli
Stati membri di prevedere «sanzioni penali effettive, proporzionate e
dissuasive» a carico, in particolare, di chi  intenzionalmente  aiuti
un cittadino di uno Stato terzo a entrare o a transitare illegalmente
nel territorio di uno Stato membro. 
    4.3.- Nell'adempimento di tali obblighi di  matrice  europea,  il
legislatore italiano ha ritenuto di apprestare una sanzione penale di
carattere detentivo, in particolare prevedendo  a  partire  dal  2004
(supra, punto 3.4.) una cornice edittale da  uno  a  cinque  anni  di
reclusione per  tale  condotta,  integrante  l'ipotesi  base  di  cui
all'art. 12, comma 1, t.u. immigrazione. 
    La cornice edittale si innalza pero' bruscamente -  da  cinque  a
quindici anni di reclusione - nelle ipotesi aggravate contemplate dal
comma 3 del medesimo articolo, con ulteriori aumenti  di  pena  (piu'
sopra analiticamente descritti: punto 3.5.) nelle ipotesi di  cui  ai
successivi commi 3-bis e 3-ter. Tali aumenti di pena - che in termini
percentuali sono notevolmente superiori a quelli  che  ordinariamente
connotano  le  fattispecie  aggravate  rispetto  alle  corrispondenti
figure base di reato - si ricollegano chiaramente, nella  prospettiva
del legislatore, alla dimensione  plurioffensiva  delle  ipotesi  ivi
contemplate, il cui orizzonte  di  tutela  trascende  di  gran  lunga
quello dell'ordinata gestione dei  flussi  migratori.  Al  punto  che
questa  Corte  ha  avuto  modo  di  affermare,  in   relazione   alle
disposizioni  di  cui  ai  commi  3  e  3-ter   dell'art.   12   t.u.
immigrazione,  che  esse  «sono  volte  anzitutto,   anche   se   non
esclusivamente, a tutelare le persone trasportate, che spesso versano
in stato di bisogno, anche estremo» (sentenza n. 142 del 2017). 
    Cio' appare evidente rispetto alle due ipotesi aggravate previste
dalle lettere b) e c) del comma 3,  integrate  dall'essere  stata  la
persona trasportata esposta rispettivamente  a  un  pericolo  per  la
propria vita o incolumita', e addirittura  a  trattamenti  inumani  o
degradanti: ipotesi, entrambe, che non possono  non  richiamare  alla
mente le drammatiche immagini di viaggi su imbarcazioni di fortuna  e
sovraffollate,  o  in  precari  nascondigli  in   celle   frigorifere
destinate al trasporto  di  merci,  che  spesso  sfociano  in  eventi
fatali.  Le  due  ipotesi  sono,  d'altronde,  oggetto  di   obblighi
sovranazionali di maggiore  punibilita':  il  Protocollo  di  Palermo
richiede per entrambe un aggravamento di pena (supra, punto  3.7.1.),
mentre  il  "Facilitators  Package"  impone  per  la  prima   ipotesi
l'adozione di pene «privative della liberta', il cui massimo non puo'
essere inferiore a otto anni» (supra, punto 3.7.2.). 
    Parimenti, la  fattispecie  aggravata  di  cui  al  comma  3-bis,
lettera  a)  -  caratterizzata  dal  fine  di  reclutare  persone  da
destinare alla prostituzione  ovvero  allo  sfruttamento  sessuale  o
lavorativo, e confinante con la fattispecie di tratta di  persone  di
cui all'art. 601 cod. pen., quest'ultima punita con la reclusione  da
otto a venti anni - appare calibrata sulle esigenze di  tutela  dello
straniero assai piu' che sul controllo dei flussi migratori, che pure
resta sullo sfondo dell'incriminazione come  in  ogni  altra  ipotesi
disciplinata dall'art. 12 t.u. immigrazione. 
    Ma una dimensione plurioffensiva, seppure in  diversa  direzione,
e' caratteristica anche di altre ipotesi aggravate previste dall'art.
12 t.u. immigrazione. Le fattispecie aggravate di  cui  al  comma  3,
lettera a) (fatto riguardante l'ingresso o la permanenza illegale  di
cinque o piu' persone), lettera e) (disponibilita' di armi o  materie
esplodenti da parte degli  autori  del  fatto),  nonche'  lettera  d)
all'inciso iniziale (fatto commesso da tre o piu' persone in concorso
tra loro) appaiono tutte evocare, secondo  le  verosimili  intenzioni
del  legislatore,  scenari  di   coinvolgimento   di   organizzazioni
criminali attive nel traffico  internazionale  di  migranti:  ipotesi
rispetto  alle  quali  la  decisione  quadro  2002/946/GAI  richiede,
ancora, allo Stato membro di adottare pene privative  della  liberta'
non inferiori, nel massimo, a otto anni (supra, punto 3.7.2.). 
    4.4.- Occorre, a questo punto, verificare se  possa  analogamente
trovare  una  ragionevole  giustificazione   la   cornice   edittale,
drasticamente  piu'  severa  rispetto  a  quella  prevista   per   la
fattispecie base, stabilita per  le  due  sottoipotesi  previste  dal
comma 3, lettera d), che sono oggi  sottoposte  all'esame  di  questa
Corte. 
    Al  riguardo,  occorre  preliminarmente   sgomberare   il   campo
dall'erroneo argomento addotto dall'Avvocatura generale  dello  Stato
sulla base di un'isolata pronuncia della Corte di cassazione (sezione
prima penale, sentenza 25 marzo  2014,  n.  40624),  secondo  cui  le
ipotesi aggravate di cui al comma 3 - comprensive anche di quelle  in
esame -  sarebbero  strutturate  quali  reati  di  danno,  implicando
l'effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato. Come
emerge dall'inequivoco tenore letterale del comma  3,  e  come  ormai
riconosciuto dalle stesse sezioni unite  della  Corte  di  cassazione
(sentenza 21 giugno 2018, n. 40982) nonche', da epoca ben  anteriore,
da  questa  stessa  Corte  (sentenza  n.  331  del  2011),  tutte  le
fattispecie previste dall'art. 12 t.u. immigrazione sono  strutturate
quali reati "a consumazione anticipata", che si perfezionano  con  il
solo compimento di «atti diretti a procurare l'ingresso  illegale  di
stranieri»,  senza  che  tale  scopo  debba  necessariamente   essere
conseguito dall'agente. 
    Per altro verso, si e' sottolineato poc'anzi come queste  ipotesi
non fossero previste dall'art. 6, comma  8,  della  "legge  Martelli"
(supra, punto 3.1.), e  abbiano  invece  fatto  la  propria  comparsa
nell'art.  12  t.u.  immigrazione  come  configurato   dalla   "legge
Turco-Napolitano",  in  cui  quella  originaria  disciplina  conflui'
(supra, punto 3.2.), accanto a  varie  altre  circostanze  aggravanti
mantenutesi nelle successive versioni dello stesso art.  12.  Nessuna
illustrazione della ratio delle due ipotesi  all'esame  si  rinviene,
pero', nei lavori preparatori di quella legge. 
    4.4.1.-   L'individuazione   di    una    (qualsivoglia)    ratio
dell'aggravamento di pena  rispetto  alla  fattispecie  base  e',  in
verita',     particolarmente     ardua      rispetto      all'ipotesi
dell'utilizzazione di servizi internazionali di trasporto. 
    Non pare, infatti, ragionevolmente ravvisabile alcun  surplus  di
disvalore del fatto  commesso  mediante  l'utilizzazione  di  servizi
internazionali di  trasporto  rispetto  alla  generalita'  dei  fatti
riconducibili alla fattispecie base descritta nel comma 1:  una  tale
modalita' di commissione non offende alcun bene  giuridico  ulteriore
rispetto a quello tutelato  dal  comma  1  (l'ordinata  gestione  dei
flussi  migratori),  ne'  rappresenta  una  modalita'   di   condotta
particolarmente insidiosa o tale da creare  speciali  difficolta'  di
accertamento alla polizia di frontiera. 
    Argomenta in proposito l'Avvocatura generale dello  Stato  che  i
vettori  internazionali  di  trasporto,  per  «evidenti  esigenze  di
speditezza»,  non  potrebbero  essere  assoggettati   a   «lunghi   e
penetranti  controlli».  Ma  a  cio'  e'  agevole  replicare  che   i
passeggeri che utilizzano servizi internazionali di trasporto  (linee
aeree, traghetti, autobus, treni), nella normalita' dei casi,  devono
necessariamente  sottoporsi  a  tutti  gli  ordinari   controlli   di
frontiera  finalizzati   primariamente   a   evitare   ingressi   non
autorizzati  nel  territorio  dello  Stato;  controlli  che,  invece,
vengono elusi qualora  lo  straniero  utilizzi  altri  strumenti  per
superare clandestinamente i confini. 
    4.4.2.-  Quanto  all'utilizzazione  di  documenti   contraffatti,
alterati  o  comunque   illegalmente   ottenuti,   il   discorso   e'
parzialmente diverso. 
    Non v'e' dubbio, infatti, che il possesso e  l'uso  di  documenti
totalmente o parzialmente falsi, o anche solo illecitamente  ottenuti
(presumibilmente, a mezzo di un'attivita'  integrante  altri  reati),
conferisca  alla  condotta  una  connotazione   offensiva   ulteriore
rispetto a quella propria della fattispecie base. La "fede pubblica",
individuata dal codice penale come bene giuridico dell'intera  classe
dei reati di falso, evoca in effetti esigenze di tutela di  interessi
di grande rilievo per l'ordinamento e la societa' nel suo  complesso,
a  cominciare  dall'ordine  e  dalla  sicurezza  pubblica,  i   quali
richiedono la veritiera identificazione di tutte le persone  presenti
nel territorio nazionale. 
    Cio' che sfugge a ogni plausibile giustificazione  e',  tuttavia,
l'entita' dello scarto tra la pena prevista per la fattispecie base e
quella ora all'esame,  peraltro  progressivamente  accresciutosi  dal
1998 a oggi per effetto del succedersi vorticoso di novelle di cui si
e' dettagliatamente dato conto  poc'anzi  (supra,  punti  da  3.2.  a
3.5.). 
    In effetti, la generalita' dei delitti  di  falsita'  in  atti  e
personali previsti dai Capi III e IV del Titolo VII del Libro II  del
codice penale e' punita con pene che, nel minimo, non oltrepassano la
soglia di un anno di reclusione; e lo stesso  art.  6,  comma  6-bis,
t.u. immigrazione, che incrimina la contraffazione o  alterazione  di
permessi di soggiorno o di altri documenti  correlati  alla  presenza
legittima dello  straniero  nel  territorio  nazionale,  prevede  una
cornice edittale da uno a tre anni di reclusione. Il solo delitto  di
possesso e fabbricazione di documenti falsi validi per l'espatrio  di
cui all'art. 497-bis cod. pen. - introdotto con il  decreto-legge  27
luglio 2005, n 144 (Misure urgenti per il  contrasto  del  terrorismo
internazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio
2005, n. 155, all'indomani degli attentati  di  Londra  del  7  e  21
luglio  2005   con   lo   scopo   di   ostacolare   gli   spostamenti
transfrontalieri di persone coinvolte in  attivita'  terroristiche  -
prevede un minimo di  due  anni  e  un  massimo  di  cinque  anni  di
reclusione, limitatamente pero' al possesso di documenti «falsi»: con
esclusione, dunque, di quelli autentici, ma «illecitamente ottenuti»,
pure abbracciati dall'ipotesi aggravata ora all'esame. 
    Per quanto la fattispecie aggravata in esame configuri  un  reato
complesso, la previsione di una pena minima di cinque anni, e di  una
massima di quindici anni di reclusione per  un  fatto  ordinariamente
punibile con la reclusione da uno a  cinque  anni,  solo  in  ragione
dell'utilizzazione  di  documenti  contraffatti,  alterati  o   anche
soltanto illecitamente ottenuti presenta, dunque, tratti di  assoluta
anomalia "intrasistematica" rispetto alle scelte sanzionatorie  tanto
del codice penale, quanto della legislazione di settore.  Una  simile
anomalia non puo'  che  tradursi  in  una  valutazione  di  manifesta
sproporzione del trattamento  sanzionatorio  previsto  per  l'ipotesi
aggravata all'esame. 
    E cio' sulla base del medesimo ordine di  considerazioni  che  ha
condotto questa Corte, nella sentenza n. 236 del 2016, a  considerare
manifestamente  sproporzionato  l'identico  quadro   edittale   della
reclusione da cinque a quindici anni previsto dall'art. 567,  secondo
comma, cod. pen. per il delitto  di  alterazione  di  stato  compiuto
mediante «false certificazioni, false attestazioni o altre falsita'»:
modalita' di condotta, queste ultime, pure certamente offensive della
fede pubblica, in un settore cosi' delicato dell'ordinamento come  lo
stato civile; ma non tali da poter  ragionevolmente  giustificare  il
drastico  aumento  di  pena  rispetto  alla  ordinaria   ipotesi   di
alterazione di stato, prevista dal primo  comma  dell'art.  567  cod.
pen. 
    4.5.-  Le  conclusioni  sin   qui   raggiunte   sono,   peraltro,
corroborate da un'ulteriore considerazione. 
    Dalla "legge Martelli" in poi, la norma incriminatrice su cui  si
e' incardinato il contrasto all'immigrazione clandestina  (l'art.  6,
comma 8, del d.l. n. 416 del 1989, come convertito, e poi  l'art.  12
t.u. immigrazione)  ha  progressivamente  differenziato,  con  sempre
maggiore nettezza (supra, punti  da  3.1.  a  3.5.),  il  trattamento
sanzionatorio di due distinte classi di condotte: da un lato, l'aiuto
all'ingresso illegale nel territorio dello Stato compiuto  in  favore
di singoli stranieri, per finalita' in  senso  lato  altruistiche;  e
dall'altro, l'attivita' posta in essere a scopo di  lucro  da  gruppi
criminali organizzati nei confronti di un numero piu' o meno ampio di
migranti destinati a essere trasportati illegalmente  nel  territorio
dello Stato. 
    Il ben maggiore rigore  sanzionatorio  previsto  per  la  seconda
classe  di  condotte  riflette  l'evidente  distinzione,  sul   piano
criminologico, tra due fenomeni  radicalmente  diversi,  come  questa
Corte ha avuto modo di rimarcare gia' nella sentenza n. 331 del 2011.
Nel  dichiarare  costituzionalmente  illegittima  la  presunzione  di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere per tutte le  ipotesi
abbracciate dall'art. 12  t.u.  immigrazione,  la  Corte  ha  infatti
osservato che «le fattispecie criminose cui la presunzione  in  esame
e' riferita possono assumere  le  piu'  disparate  connotazioni:  dal
fatto  ascrivibile  ad  un  sodalizio   internazionale,   rigidamente
strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle
condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a
pericolo  di  vita;  all'illecito  commesso  una  tantum  da  singoli
individui o gruppi di individui,  che  agiscono  per  le  piu'  varie
motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto  ai  loro
particolari legami con i  migranti  agevolati,  essendo  il  fine  di
profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante». 
    Come sopra rammentato (punto  3.7.),  d'altronde,  i  due  "tipi"
criminologici  sono   tenuti   ben   distinti   anche   dalle   fonti
sovranazionali vincolanti per  il  nostro  Paese.  Il  Protocollo  di
Palermo ha unicamente di mira il fenomeno del traffico internazionale
di migranti, gestito per lo piu' da grandi  organizzazioni  criminali
che  ricavano  ingenti  profitti  da  tale   attivita';   mentre   il
"Facilitators  Package"  dell'Unione  europea  mira  si'  a   colpire
entrambi i fenomeni (rispetto all'obiettivo del controllo dei  flussi
migratori  all'interno,  in  particolare,  dell'area  Schengen),   ma
calibra i propri obblighi di incriminazione e di punizione in maniera
distinta per le due tipologie di condotte,  riservando  l'obbligo  di
adottare severe sanzioni privative della liberta' soltanto  a  quelle
riconducibili al traffico internazionale di migranti. 
    Del tutto diversa appare, del resto, la posizione dello straniero
nella   struttura   di   queste   due   macroipotesi.   Rispetto   al
favoreggiamento "individuale",  o  "altruistico",  abbracciato  nella
legge italiana dall'art. 12, comma 1, t.u. immigrazione, lo straniero
il cui ingresso illecito  viene  facilitato  compare  quale  soggetto
nella  sostanza  "beneficiario"  della  condotta  illecita,  i   suoi
interessi restando comunque estranei al fuoco della tutela apprestata
dalla disposizione, tutta incentrata sul bene giuridico dell'ordinata
gestione dei flussi migratori. Rispetto  invece  a  svariate  ipotesi
aggravate previste dai commi 3, 3-bis e 3-ter, lo  straniero  assurge
indubitabilmente a titolare degli altri beni giuridici  di  volta  in
volta tutelati, costituendo anzitutto  la  "vittima"  della  condotta
criminosa: esposta ora a pericolo per la propria vita o  incolumita',
ora a trattamenti inumani e degradanti,  ora  al  rischio  di  essere
avviata alla prostituzione o sfruttata  in  attivita'  lavorative,  e
comunque - nel caso ordinario in cui la  condotta  sia  compiuta  con
finalita' di profitto - costretta a sborsare ingenti somme di  denaro
in cambio dell'aiuto a varcare le frontiere. 
    Ebbene, la parificazione ai fini sanzionatori delle due  condotte
ora all'esame di questa Corte - utilizzo di servizi internazionali di
trasporto, e di  documenti  contraffatti,  alterati  o  illecitamente
ottenuti - a  numerose  altre  condotte  coerenti  con  la  tipologia
criminosa del traffico internazionale  di  migranti  costituisce  una
scelta legislativa manifestamente irragionevole. 
    Infatti, ne' l'una ne'  l'altra  delle  condotte  ora  all'esame,
allorche'  compiute  senza  scopo  di  lucro,   sono   plausibilmente
indicative del coinvolgimento dell'agente in un'attivita' di traffico
internazionale di  migranti,  risultando  per  contro  ordinariamente
compatibili con situazioni  in  cui  lo  straniero  venga  aiutato  a
entrare illegalmente in Italia per finalita' assai lontane da  quelle
del traffico internazionale: cio' su cui gia' aveva  posto  l'accento
la  sentenza  n.   311   del   2011.   Situazioni,   queste   ultime,
emblematicamente esemplificate dal caso oggetto  del  procedimento  a
quo,  che  vede  come  protagonista  una  donna  imputata  di   avere
illegittimamente accompagnato  in  Italia  la  figlia  e  la  nipote,
entrambe minorenni. 
    Ne' persuade l'argomento, speso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato nella discussione in udienza, secondo cui  chi  si  procura  un
documento falso, o illecitamente consegue  la  disponibilita'  di  un
documento  autentico,   necessariamente   entra   in   contatto   con
organizzazioni criminali in grado di fornirgli un tale "servizio". In
effetti, anche ammesso che quanto descritto dalla difesa statale  sia
cio' che accade nella normalita' dei casi, l'argomento non suggerisce
affatto che l'autore dell'illecito sia per  cio'  stesso  stabilmente
coinvolto nell'organizzazione criminale - come sarebbe  necessario  a
giustificare il drastico innalzamento di pena previsto rispetto  alla
fattispecie base -, ma semplicemente che egli si sia  occasionalmente
rivolto all'organizzazione al solo scopo  di  essere  aiutato  a  far
entrare  in  Italia  uno  straniero  in  violazione  della  normativa
vigente, esattamente come  potrebbe  fare  lo  stesso  straniero  che
intenda raggiungere un tale scopo (il quale  resterebbe  punibile  ai
sensi  della  sola  contravvenzione  di  cui  all'art.  10-bis   t.u.
immigrazione, in  concorso  con  i  delitti  di  falso  eventualmente
realizzati). 
    4.6.- Ne', ancora, queste conclusioni potrebbero essere  revocate
in dubbio sulla base  dell'argomento  per  cui  la  cornice  edittale
prevista dal comma 3 potrebbe essere comunque "neutralizzata" in caso
di equivalenza o prevalenza di eventuali attenuanti, e in particolare
delle circostanze attenuanti generiche di cui  all'art.  62-bis  cod.
pen. 
    Al  riguardo,  non  puo'  non  rilevarsi  che  l'applicazione  di
circostanze attenuanti e' soltanto  eventuale,  e  non  e'  in  grado
pertanto di sanare il vulnus costituzionale insito nella comminatoria
di  una  pena  manifestamente  eccessiva  nel  minimo  (analogamente,
sentenza n. 236 del 2016). 
    Cio' vale anche rispetto alle circostanze  attenuanti  generiche,
la cui funzione "naturale" e' quella di adeguare la misura della pena
alla sussistenza di speciali indicatori (oggettivi o  soggettivi)  di
un minor disvalore del fatto concreto all'esame del giudice  rispetto
alla gravita' ordinaria dei fatti riconducibili alla fattispecie base
di reato; e non gia' quella di  correggere  l'eventuale  sproporzione
dei minimi edittali stabiliti dal legislatore rispetto a un fatto  il
cui disvalore sia conforme a quello che  ordinariamente  caratterizza
la fattispecie criminosa. 
    5.- Il vulnus cosi' accertato puo'  essere  rimosso  mediante  la
semplice  ablazione  dall'art.  12,  comma  3,   lettera   d),   t.u.
immigrazione del frammento  di  disposizione  che  e'  oggetto  delle
censure del rimettente. 
    Per effetto di tale ablazione, i fatti di aiuto  all'immigrazione
clandestina commessi utilizzando servizi internazionali di trasporto,
ovvero documenti contraffatti  o  alterati  o  comunque  illegalmente
ottenuti, ricadranno naturalmente entro la  previsione  normativa  di
cui al comma 1, soggiacendo alla cornice sanzionatoria ivi  prevista,
salvo che non siano applicabili altre aggravanti  previste  dall'art.
12. E cio' fermo restando, ovviamente, il possibile concorso con  gli
eventuali reati di falsita' documentale che  dovessero  eventualmente
ravvisarsi nei singoli casi. 
    Conseguentemente,   la   disposizione   all'esame   deve   essere
dichiarata costituzionalmente illegittima limitatamente  alle  parole
«o utilizzando servizi internazionali di trasporto  ovvero  documenti
contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti».