ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi da sovraindebitamento), come introdotto dall'art. 4-ter, comma 1, lettera d), del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, promosso dal Tribunale ordinario di Livorno, sezione civile, nel procedimento tra M. C. e altro, con ordinanza del 7 aprile 2021, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2021. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udita nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta; deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 7 aprile 2021, iscritta al n. 121 del registro ordinanze del 2021, il Tribunale ordinario di Livorno, sezione civile, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi da sovraindebitamento), come introdotto dall'art. 4-ter, comma 1, lettera d), del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui non stabilisce che «il piano del consumatore possa prevedere, alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti per i quali il creditore abbia gia' ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione». 2.- Il giudice a quo riferisce che, in data 26 ottobre 2020, i signori M. C. e M. G. depositavano presso il Tribunale di Livorno una proposta congiunta di piano del consumatore per la composizione della crisi da sovraindebitamento. Il piano prevedeva l'impegno a corrispondere settantasette rate mensili, ciascuna di euro 200,00, destinate al soddisfacimento integrale dei crediti prededucibili e privilegiati (rate sino alla numero ventinove) e al pagamento (con le successive rate) del 18,64 per cento dei crediti chirografari. 2.1.- Il rimettente espone che, con provvedimento del 21 gennaio 2021, il giudice designato dichiarava inammissibile la richiesta di omologa del piano del consumatore, osservando che, in data 28 ottobre 2020, la societa' I. N. spa, titolare di un credito chirografario pari a euro 43.502,63, inserito nel piano, aveva ottenuto, dal giudice dell'esecuzione, un'ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio di M. C. Il citato provvedimento di assegnazione, non impugnato e dunque divenuto definitivo, rendeva impossibile, ad avviso del giudice designato, l'approvazione del piano, atteso che nella procedura di sovraindebitamento non e' prevista una sospensione automatica delle procedure esecutive, che, viceversa, opera nell'ambito del concordato preventivo, ai sensi dell'art. 168 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa». Il rimettente riferisce, di seguito, che gli originari istanti proponevano tempestivo reclamo al Collegio contro il provvedimento che aveva dichiarato inammissibile la proposta di piano. In particolare, invocavano l'applicazione analogica dell'art. 44 della legge fallimentare, che rende inefficaci i pagamenti eseguiti dal debitore dopo la dichiarazione di fallimento. Tale argomento - secondo i reclamanti - consentirebbe l'approvazione del piano, la cui omologa farebbe poi cessare definitivamente il pignoramento, imponendo il pagamento del credito residuo secondo le condizioni previste dal piano medesimo. 2.2.- Il Collegio rimettente non aderisce alla citata ricostruzione e, viceversa, condivide l'impostazione del provvedimento reclamato, escludendo che la natura concorsuale della procedura del piano di ristrutturazione possa comportare di per se' l'applicazione analogica delle disposizioni dettate per il fallimento e, segnatamente, dell'art. 44 della legge fallimentare. In particolare, il giudice a quo osserva che il citato art. 44 e' diretta conseguenza del generale vincolo di indisponibilita' di cui al precedente art. 42, laddove nella procedura da sovraindebitamento in esame non si verificherebbe, viceversa, alcuno "spossessamento" del debitore. 2.3.- Tanto premesso, il rimettente rileva che l'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 contempla la possibilita' che la proposta di piano del consumatore preveda anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno. E che tale disposizione, in virtu' del comma 2 del richiamato art. 4-ter del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, puo' regolare anche le procedure pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Tuttavia - secondo il rimettente - l'art. 8, comma 1-bis, pur essendo riferibile ratione temporis al giudizio a quo, non sarebbe ad esso applicabile, in quanto non disciplinerebbe l'ipotesi in cui un credito del debitore principale abbia formato oggetto di assegnazione giudiziale all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi. Tale norma, ad avviso del giudice a quo, non potrebbe disciplinare la fattispecie in esame neppure in via analogica. Da un lato, infatti, la disposizione si riferirebbe in modo espresso alla cessione volontaria, cosi' dimostrando che il legislatore, pur a fronte di una disputa interpretativa che riguardava entrambe le ipotesi, la cessione volontaria e l'assegnazione giudiziale, avrebbe inteso provvedere unicamente con riferimento alla prima. Da un altro lato, «nel caso dell'assegnazione occorrerebbe privare di efficacia (non un precedente atto negoziale ma) un provvedimento giudiziale definitivo, conclusivo della procedura esecutiva gia' intrapresa», sicche' un'interpretazione analogica urterebbe contro «il principio normativo di intangibilita' degli atti esecutivi gia' compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». 2.4.- Tale insieme di circostanze induce il rimettente a ritenere contrario a ragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost., che l'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 limiti «la possibilita' di falcidia e ristrutturazione ai soli "debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione" e non [riguardi] anche [...] dei debiti per i quali il creditore abbia gia' ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione». 3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione non fondata. L'Avvocatura ha, innanzitutto, osservato che le fattispecie poste a raffronto sono tra di loro diverse, posto che quella disciplinata nel comma 1-bis dell'art. 8 della legge n. 3 del 2012 concerne le cessioni del quinto su base volontaria, a garanzia di contratti di finanziamento in vista di una piu' certa estinzione dei debiti di restituzione, mentre quella oggetto del giudizio a quo e' una cessione giudiziale, conseguente all'emanazione di un'ordinanza di assegnazione da parte del giudice dell'esecuzione. Nell'un caso la possibilita' concessa al consumatore di includere nel piano i debiti garantiti mediante la cessione del quinto si giustificherebbe in chiave di maggior tutela del consumatore, il quale potrebbe essersi determinato incautamente a contrarre la cessione del quinto e, dunque, attraverso il piano, potrebbe parzialmente rimediare a tale scelta. La cessione del quinto per via giudiziale, viceversa, rientrerebbe nel regime ordinario di composizione della crisi del consumatore e non vi sarebbe ragione per frustrare la tutela gia' pienamente ottenuta dal creditore, che si svolge sotto il controllo del giudice dell'esecuzione. Tale diversita' di ratio giustificherebbe, ad avviso dell'Avvocatura, la difforme disciplina e sarebbe, dunque, sufficiente a escludere la censura di irragionevolezza. Il regime differenziato sarebbe da ricondurre al ragionevole esercizio della discrezionalita' legislativa, come confermerebbe la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale non si avrebbe violazione del principio di eguaglianza, allorche' le fattispecie di cui si denuncia il trattamento diversificato siano tra loro disomogenee. Considerato in diritto 1.- Con ordinanza del 7 aprile 2021, iscritta al n. 121 del registro ordinanze del 2021, il Tribunale ordinario di Livorno, sezione civile, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi da sovraindebitamento), come introdotto dall'art. 4-ter, comma 1, lettera d), del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui non stabilisce che «il piano del consumatore possa prevedere, alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti per i quali il creditore abbia gia' ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione». 1.1.- L'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 dispone quanto segue: «[l]a proposta di piano del consumatore puo' prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 1, secondo periodo». La disposizione, in virtu' del comma 2 del richiamato art. 4-ter del d.l. n. 137 del 2020, si applica anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. 2.- Il rimettente e' stato chiamato a decidere in merito al reclamo avverso il provvedimento del giudice designato, che aveva dichiarato inammissibile una proposta di piano di ristrutturazione, comprensiva di un debito rispetto al quale il relativo creditore aveva gia' ottenuto, all'esito di un procedimento di espropriazione presso terzi, un'ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio del debitore principale. Il giudice a quo osserva che l'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 prevede la possibile falcidia e ristrutturazione dei soli debiti per i quali vi sia stata la cessione volontaria del credito, avente per oggetto il quinto dello stipendio (o del trattamento di fine rapporto o della pensione). Per converso, ritiene che la disposizione non disciplini l'ipotesi in cui un analogo credito del debitore abbia formato oggetto di assegnazione giudiziale all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi. In particolare, non ritiene possibile ampliare in via ermeneutica la portata precettiva della norma. Da un lato, la disposizione censurata si riferirebbe in modo espresso alla cessione volontaria, cosi' dimostrando che il legislatore, pur a fronte di una disputa interpretativa che riguardava entrambe le ipotesi, la cessione volontaria e l'assegnazione giudiziale, avrebbe inteso provvedere unicamente con riferimento alla prima. Da un altro lato, «nel caso dell'assegnazione occorrerebbe privare di efficacia (non un precedente atto negoziale ma) un provvedimento giudiziale definitivo, conclusivo della procedura esecutiva gia' intrapresa», sicche' un'interpretazione analogica urterebbe contro «il principio normativo di intangibilita' degli atti esecutivi gia' compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». 3.- Tali motivazioni, unitamente alla ritenuta esclusione dal raggio di applicazione dell'art. 44 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa», della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, inducono il rimettente a ritenere contrario al principio di ragionevolezza, in violazione pertanto dell'art. 3 Cost., l'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012. La citata disposizione limiterebbe, infatti, «la possibilita' di falcidia e ristrutturazione ai soli "debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione"» e irragionevolmente non includerebbe anche i debiti per i quali «il creditore abbia ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione». 4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione non fondata. L'Avvocatura ha, infatti, sostenuto la disomogeneita' tra l'ipotesi della cessione volontaria del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e la cessione dei medesimi crediti disposta da un'ordinanza di assegnazione del credito emanata dal giudice dell'esecuzione. Ne ha, dunque, inferito la non irragionevolezza del loro diverso trattamento. 5.- La questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. non e' fondata nei termini illustrati nella motivazione che segue. 6.- In via preliminare, questa Corte ritiene opportuno, ai fini dell'interpretazione dell'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012, delineare il quadro normativo nel quale si colloca la disposizione in esame e ricostruire la riflessione che ha condotto, con il d.l. n. 137 del 2020, all'inserimento nell'art. 8 del citato comma 1-bis. 6.1.- La legge n. 3 del 2012 - oggetto di successive modifiche - ha inteso, in generale, porre rimedio alle crisi da sovraindebitamento «non soggette ne' assoggettabili a procedure concorsuali» diverse da quelle che la stessa disciplina introduce (art. 6, comma 1). In particolare, gli artt. 8 e seguenti della legge n. 3 del 2012, come modificati dall'art. 18, comma 1, lettera f), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, delineano uno strumento di composizione della crisi, il piano del consumatore, che consente a quest'ultimo di avanzare una proposta di «ristrutturazione dei debiti e [di] soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri» (art. 8, comma 1). Il consumatore, assistito dall'organismo di composizione della crisi, ha facolta' di presentare una proposta che, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 3, della legge n. 3 del 2012, puo' condurre all'omologazione, senza che sia richiesto l'accordo dei creditori, ancorche' questi ultimi debbano essere informati della citata proposta e possano muovere contestazioni. Del resto, la loro soggezione al piano omologato viene controbilanciata dal necessario rigore con il quale il giudice e' chiamato a verificare i presupposti di ammissibilita' e di fattibilita' del piano, e in ogni caso, «[q]uando uno dei creditori [...] contest[i la sua] convenienza [...], il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda» del medesimo capo della stessa legge (art. 12-bis, comma 4, della legge n. 3 del 2012). Come gia' sottolineato da questa Corte, la finalita' della procedura e' quella di «ricollocare utilmente all'interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni» (sentenza n. 245 del 2019), un soggetto - il consumatore - che, se sul piano contrattuale si connota per una debolezza derivante dalla sua asimmetria informativa, nel quadro della disciplina in esame, che presuppone la condizione patologica del sovraindebitamento, mostra anche i segni di una fragilita' economico-sociale. L'obiettivo di consentire la ristrutturazione del maggior numero possibile dei debiti spiega, del resto, la facolta' contemplata dal legislatore di falcidiare e di ristrutturare, pur con i limiti imposti dall'art. 7, finanche i debiti relativi a crediti muniti di garanzie reali (privilegi, ipoteche e pegni). Per converso, nel testo originario della legge n. 3 del 2012, anche dopo le modifiche introdotte con il d.l. n. 179 del 2012, come convertito, mancava qualsivoglia riferimento ai debiti, la cui modalita' solutoria o la cui garanzia fossero stati affidati alla cessione di un credito; e questo ha alimentato un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. 6.2.- Occorre, a tal riguardo, precisare che la cessione del credito identifica il mero effetto giuridico del trasferimento del diritto di credito, che puo' dare attuazione a varie funzioni concrete. In particolare, quando la cessione svolge una funzione solutoria, ossia integra una modalita' di esecuzione diversa dall'adempimento, opera la disciplina di cui all'art. 1198, primo comma, del codice civile, secondo cui «quando in luogo dell'adempimento e' ceduto un credito, l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito, se non risulta una diversa volonta' delle parti». La cessione pro solvendo del credito, dunque, non e' altro che una modalita' di esecuzione della prestazione in luogo dell'adempimento che, sino alla riscossione, non estingue il debito, facendo persistere la responsabilita' dell'obbligato principale (salvo quanto dispone l'art. 1267, secondo comma, cod. civ., al quale espressamente rimanda l'art. 1198, secondo comma, cod. civ.). Tale perdurante responsabilita' del debitore principale rendeva disarmonica la mancata inclusione, fra i debiti suscettibili di falcidia e di ristrutturazione, di quelli per i quali fosse stata disposta una modalita' solutoria costituita dalla cessione del credito; e invero la medesima considerazione riguardava i debiti per i quali fosse stata prevista una cessione pro solvendo in funzione di garanzia. Ove il debito nei confronti del creditore destinatario della citata modalita' di esecuzione o beneficiario di tale garanzia fosse stato, infatti, sottratto alla possibile falcidia e ristrutturazione, il creditore cessionario avrebbe goduto del vantaggio di soddisfarsi in via esclusiva sul credito ceduto, potendo continuare ad avanzare pretese, in caso di mancato soddisfacimento integrale del suo diritto, sugli altri beni del debitore principale. In sostanza, l'esclusione dalla procedura concorsuale gli avrebbe garantito un trattamento privilegiato rispetto agli stessi creditori muniti di garanzie reali, in contrasto con la par condicio creditorum. Le proposte di soluzione in via interpretativa del problema, unitamente agli auspici di un possibile intervento normativo, non ravvisavano, d'altro canto, un ostacolo alla possibile falcidia e ristrutturazione dei debiti in esame nell'efficacia traslativa della cessione del credito. Tale effetto riguarda, infatti, la modalita' solutoria o l'attuazione della garanzia, sicche' ben puo' l'obbligazione principale veder ridotta - tramite la falcidia - la sua entita', senza che cio' confligga con l'effetto traslativo del credito. Risulta semplicemente limitato, in maniera speculare, il quantum dovuto dal debitor debitoris al cessionario. 6.3.- A fronte del dibattito emerso con riferimento ai debiti da eseguire o da garantire con la cessione del credito, il legislatore e' intervenuto, dapprima con il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), che ha profondamente mutato la disciplina del sovraindebitamento, contemplando espressamente - per quanto qui interessa - all'art. 67, comma 3, che il piano del consumatore (rinominato «piano di ristrutturazione dei debiti») «puo' prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno». Di seguito, in ragione del differimento dell'entrata in vigore della maggior parte delle disposizioni del d.lgs. n. 14 del 2019 (prima al 15 agosto 2020, poi al 1° settembre 2021 e da ultimo al 16 maggio 2022), il legislatore ha ritenuto di approntare un ulteriore intervento in via d'urgenza, finalizzato a riallineare la normativa meno recente alle innovazioni nel frattempo introdotte dal codice della crisi. Si e' giunti in tal modo al d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 176 del 2020, che, proprio in sede di conversione, ha aggiunto con l'art. 4-ter, comma 1, lettera d), l'attuale art. 8, comma 1-bis, alla legge n. 3 del 2012. Tale disposizione dunque - con un contenuto ricalcato sull'art. 67, comma 3, del d.lgs. n. 14 del 2019 - stabilisce, come gia' precisato, che «[l]a proposta di piano del consumatore puo' prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 1, secondo periodo». Il legislatore ha, in sostanza, consentito la falcidia e la ristrutturazione dei citati debiti, senza imporre specifici vincoli o limiti legali, posto che l'inciso finale della disposizione e' chiaramente riferito alle operazioni di prestito su pegno. L'art. 7, comma 1, secondo periodo, della legge n. 3 del 2012, che recepisce il rinvio, stabilisce, infatti, che «[e'] possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorche' ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi». 7.- Tanto premesso, e' possibile chiarire i termini dell'interpretazione della disposizione censurata che consentono di ritenere non fondata, nei sensi di seguito illustrati, la questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. E' sufficiente, infatti, lo strumento ermeneutico a includere nell'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 l'ipotesi in cui la cessione del credito destinata a estinguere il debito costituisca l'effetto di un provvedimento giudiziale, ossia dell'ordinanza di assegnazione. 7.1.- La prima ragione, che induce il giudice a quo a escludere una possibile soluzione in via interpretativa del dubbio di irragionevolezza, attinge alla stessa formulazione testuale della disposizione che, secondo il rimettente, richiamerebbe in via esclusiva la cessione volontaria del credito. 7.1.1.- Tuttavia, se puo' ritenersi che l'accostamento, nell'art. 8, comma 1-bis, della cessione del credito al contratto di finanziamento sia subito evocativo di una cessione volontaria, d'altro canto, l'espressione cessione del credito, non altrimenti qualificata, non puo' certo a priori escludere una cessione coattiva del credito. 7.1.2.- Piu' in generale, e' doveroso sottolineare, in considerazione della ratio stessa della disciplina, il tenore esemplificativo e non certo rigidamente tassativo della disposizione. In primo luogo, sebbene l'art. 8, comma 1-bis, evochi una specifica fonte del debito da ristrutturare - ossia il contratto di finanziamento - sarebbe del tutto irrazionale, prima ancora che irragionevole, escludere dal piano di ristrutturazione debiti, rispetto ai quali abbia avuto luogo la cessione del credito, sol perche' abbiano fonte in contratti diversi da quello di finanziamento. In secondo luogo, la disposizione in esame richiama espressamente la cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto e della pensione, vale a dire la cessione di crediti che solitamente offrono possibilita' molto elevate di soddisfacimento, ma sarebbe addirittura paradossale che la norma non ricomprendesse (e, dunque, non consentisse la falcidia e la ristrutturazione di) debiti, la cui estinzione fosse stata affidata alla cessione di crediti futuri dalla solvibilita' assai meno certa. E ancora l'art. 8, comma 1-bis, per un verso, nell'evocare la cessione del credito, abbraccia tanto la cessione con funzione solutoria quanto quella con funzione di garanzia, ma, per un altro verso, non puo' che riferirsi alla sola cessione pro solvendo, posto che con una cessione pro soluto il debito sarebbe estinto e, dunque, non potrebbe operare alcuna falcidia. Infine, come si e' gia' anticipato, la disposizione censurata non evoca testualmente la mera cessione volontaria, ma la cessione del credito tout court, e dunque non puo' escludersi a priori un possibile riferimento implicito anche alla ipotesi della cessione coattiva del credito, di fonte giudiziale. 7.2.- Cio' premesso, occorre, tuttavia, considerare anche la seconda e piu' puntuale obiezione sollevata dal rimettente in senso contrario a una soluzione ermeneutica del problema. In particolare, il giudice ritiene che la falcidiabilita' e la possibilita' di ristrutturazione del credito implicherebbero un «privare di efficacia (non un precedente atto negoziale ma) un provvedimento giudiziale definitivo, conclusivo della procedura esecutiva gia' intrapresa», sicche' l'interpretazione, che lo stesso giudice a quo qualifica come analogica, urterebbe contro «il principio normativo di intangibilita' degli atti esecutivi gia' compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». Sennonche', non e' condivisibile la tesi che differenzia l'effetto traslativo prodotto dall'assegnazione giudiziale del credito rispetto a quello scaturito da un atto di autonomia privata. Parimenti non coglie correttamente i termini del rapporto tra effetto traslativo e possibile ristrutturazione del debito il ritenere che cio' comporti lo scioglimento o la pura negazione di tale effetto, fermo restando che il problema atterrebbe comunque in generale all'effetto traslativo oramai prodottosi e non certo alla fonte da cui esso scaturisce. 7.2.1.- Deve, allora, in primo luogo, rilevarsi che l'effetto traslativo del credito, che deriva dall'assegnazione giudiziale, e' il medesimo effetto che discende dalla cessione volontaria del credito in luogo dell'adempimento. L'ordinanza di assegnazione, che conclude la procedura di espropriazione presso terzi e che determina la cessione coattiva del credito pignorato, non fa altro che avallare per via giudiziale, in mancanza di un previo negozio di cessione, l'iniziativa del creditore nella individuazione di una modalita' di soddisfazione in chiave solutoria del proprio diritto. Il giudice dell'esecuzione, attraverso la richiamata ordinanza, non esercita alcun potere decisorio di tipo contenzioso, ne' attribuisce al creditore un nuovo titolo, ma si limita - dopo aver verificato la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 553 del codice di procedura civile - ad autorizzare il creditore ad avvalersi della citata modalita' esecutiva. Attribuire all'effetto traslativo derivante dall'assegnazione giudiziale una vincolativita' differente rispetto a quella riconosciuta all'effetto della cessione volontaria sarebbe equivalente a ritenere che il trasferimento della proprieta' attuato con una vendita forzata sia "piu' forte e vincolante" dell'effetto traslativo generato da un atto di autonomia privata. Ma cosi' non e' e traspare in modo evidente dagli artt. 2919 e seguenti cod. civ. In particolare, l'art. 2925 cod. civ. stabilisce la regola generale per cui «[l]e norme concernenti la vendita forzata si applicano anche all'assegnazione forzata» e, nello specifico, l'art. 2919, nel suo unico comma, cod. civ. prevede, tra l'altro, che «[l]a vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione». Pertanto, l'assegnazione trasferisce il diritto di credito che spettava a colui che subisce l'espropriazione, come se quest'ultimo lo avesse volontariamente ceduto al proprio creditore. La sola differenza che emerge fra cessione volontaria e assegnazione giudiziale del credito non attiene, dunque, all'effetto traslativo, ma semmai al tipo di cessione. Nel caso dell'assegnazione giudiziale l'art. 2928 cod. civ., cui rinvia l'inciso finale dell'art. 2925 cod. civ., stabilisce che la cessione del credito disposta dal giudice e' sempre pro solvendo e, dunque, sino alla riscossione del credito, non estingue il debito principale, il che giustifica la possibile falcidia e ristrutturazione della persistente situazione debitoria. Viceversa, nel caso della cessione volontaria, l'art. 1198 cod. civ. fa salva, rispetto alla regola generale della cessione pro solvendo, la possibile deroga convenzionale. In sostanza, la differenza tra le due tipologie di cessioni attiene solo al meccanismo pro solvendo, quello che giustifica una possibile falcidia e ristrutturazione del persistente debito e che sussiste sempre nell'assegnazione giudiziale e di regola nella cessione volontaria. Per il resto, l'assegnazione giudiziale non fa che produrre il medesimo effetto traslativo del credito e non ha alcun fondamento giuridico il ritenere che la diversa fonte incida sulla vincolativita' di tale effetto. 7.2.1.1.- Ne' a una diversa conclusione puo' in alcun modo addivenirsi, avendo riguardo al profilo dell'opponibilita' della cessione del credito. Il tema e' dibattuto in termini generali e non con riferimento alla fonte da cui deriva l'effetto traslativo del credito. Del resto, la stessa tesi intermedia tra quella della non opponibilita' e quella dell'opponibilita' erga omnes, vale a dire la tesi della Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 26 ottobre 2002, n. 15141), che plasma l'opponibilita' sulla disciplina di cui all'art. 2918 cod. civ., lega il citato profilo alla durata della cessione (opponibile se inferiore ai tre anni) e, nel caso di una durata superiore, al rispetto di eventuali oneri pubblicitari, che si impongono agli atti di autonomia privata come ai provvedimenti giudiziali. Peraltro, non puo' neppure tacersi che l'opponibilita' ai terzi dell'effetto non inibisce comunque la falcidiabilita', ove solo si consideri che sono falcidiabili debiti relativi a crediti muniti di garanzie reali sicuramente opponibili ai terzi. 7.2.2.- Se, dunque, diversamente da quanto ritiene il giudice rimettente, l'effetto traslativo del credito e la sua opponibilita' sono profili che si pongono nei medesimi termini sia che l'effetto derivi dalla fonte negoziale sia che discenda da quella giudiziale, parimenti si devono disattendere tanto le considerazioni che il giudice a quo svolge con riferimento all'incidenza della ristrutturazione del debito sull'effetto traslativo del credito, quanto le conclusioni che ne trae sul piano del giudizio di costituzionalita'. 7.2.2.1.- E' allora opportuno, innanzitutto, chiarire che, fintantoche' il piano non viene omologato, i pagamenti eseguiti dal debitore ceduto sono certamente efficaci. In questa prospettiva, deve confermarsi - come del resto sostiene anche il rimettente - la non applicabilita' alla procedura concorsuale relativa al piano di ristrutturazione della disciplina di cui all'art. 44 della legge fallimentare, che rende inefficaci tutti i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento. Nel caso della procedura concorsuale in esame e', infatti, l'omologazione del piano che rende inefficaci gli adempimenti eseguiti in difformita' rispetto al suo contenuto, in virtu' di quanto dispone l'art. 13, comma 4, della legge n. 3 del 2012. 7.2.2.2.- Venendo poi a considerare il rapporto fra la cessione del credito e la ristrutturazione del debito, che puo' essere prevista dal piano omologato, si sono invero delineate diverse interpretazioni dell'art. 8, comma 1-bis. La tesi che riferisce la ristrutturazione dei debiti previsti nell'art. 8, comma 1-bis, alla sola facolta' di falcidia preserva, a ben vedere, la modalita' di esecuzione costituita dalla cessione del credito, sicche' il problema di un presunto scioglimento della fonte dell'effetto traslativo, sollevato dal giudice rimettente, neppure si pone: la falcidia, infatti, determina unicamente una speculare riduzione del quantum dovuto dal debitor debitoris. Quanto alla tesi secondo cui il piano di ristrutturazione puo' anche cambiare la modalita' di soddisfacimento del diritto legata alla cessione del credito, essa, invero, seppure non ravvisa in tale modalita' una limitazione al tipo di ristrutturazione, la considera comunque un profilo di cui il giudice deve tenere conto nella valutazione delle caratteristiche del debito da ristrutturare. Tra gli aspetti che connotano il debito, e che il giudice deve, chiaramente, ponderare nel valutare la fattibilita', l'ammissibilita' e la convenienza del piano, vi e' la stessa modalita' con cui ne era stata disposta l'esecuzione o la garanzia, ossia la cessione del credito. Tale modalita' puo' essere cambiata dal piano, con una modificazione che la sostituisce con una nuova modalita' di soddisfacimento, ma tenendo conto di quella precedente, cosi' come il piano prende in esame gli altri caratteri del debito, a partire dalla sua entita', senza che questo significhi sciogliere la fonte dell'originario debito che viene falcidiato. Del resto, gli stessi crediti muniti di garanzie reali possono essere soddisfatti con modalita' diverse da quelle derivanti da tali garanzie, pur se in tal caso con i limiti legali disposti dall'art. 7 della legge n. 3 del 2012; ne' cio' equivale a negare l'effetto prodotto dalle garanzie medesime. 7.2.2.3.- Da ultimo - ed e' il rilievo decisivo - il problema ermeneutico citato si pone in termini generali rispetto all'effetto traslativo del credito e, poiche' prescinde dalla fonte da cui tale effetto scaturisce, non e' idoneo a sorreggere il dubbio di legittimita' costituzionale sollevato dal giudice a quo. 8.- In conclusione, e' la stessa ratio dell'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 ad attrarre, in via ermeneutica, nel contenuto della norma qualunque debito, per il quale la modalita' solutoria o la garanzia di adempimento siano state affidate alla cessione pro solvendo del credito, ivi inclusa l'ipotesi nella quale la cessione del credito sia derivata da un provvedimento giudiziale, anziche' da un atto di autonomia privata. La norma, cosi' ricostruita, da' piena attuazione allo spirito della legge, finalizzata alla protezione di un soggetto contrattualmente e socialmente debole, qual e' il consumatore sovraindebitato, nonche' al rispetto della par condicio creditorum. Al contempo, essa e' conforme al canone dell'interpretazione sistematica, la' dove si coordina con le disposizioni codicistiche sopra menzionate (supra punto 7.2.1.), che fanno discendere dal provvedimento giudiziale di assegnazione del credito il medesimo effetto traslativo che puo' scaturire da una cessione volontaria. Il complesso di ragioni teleologiche e sistematiche, sopra evocate, porta, dunque, alla luce il significato normativo conforme al parametro assiologico dell'art. 3 Cost. Si deve, allora, concludere che la questione non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione, avendo questa Corte piu' volte sottolineato che l'incertezza interpretativa e il dubbio di legittimita' costituzionale si dileguano «una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all'interprete di optare, fra piu' soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione» (sentenza n. 206 del 2015, nonche' negli stessi termini, sentenze n. 198 del 2003, n. 316 del 2001 e n. 113 del 2000).