ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  8,  comma
1-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia  di
usura e  di  estorsione,  nonche'  di  composizione  delle  crisi  da
sovraindebitamento),  come  introdotto  dall'art.  4-ter,  comma   1,
lettera d), del decreto-legge 28  ottobre  2020,  n.  137  (Ulteriori
misure urgenti  in  materia  di  tutela  della  salute,  sostegno  ai
lavoratori  e  alle  imprese,   giustizia   e   sicurezza,   connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   Covid-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020,  n.  176,  promosso  dal
Tribunale ordinario di Livorno, sezione civile, nel procedimento  tra
M. C. e altro, con ordinanza del 7 aprile 2021, iscritta  al  n.  121
del registro ordinanze 2021 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 26 gennaio  2022  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 aprile  2021,  iscritta  al  n.  121  del
registro ordinanze del  2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Livorno,
sezione  civile,  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  8,
comma 1-bis, della legge 27  gennaio  2012,  n.  3  (Disposizioni  in
materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi
da sovraindebitamento), come introdotto  dall'art.  4-ter,  comma  1,
lettera d), del decreto-legge 28  ottobre  2020,  n.  137  (Ulteriori
misure urgenti  in  materia  di  tutela  della  salute,  sostegno  ai
lavoratori  e  alle  imprese,   giustizia   e   sicurezza,   connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   Covid-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella  parte  in
cui non stabilisce che «il piano  del  consumatore  possa  prevedere,
alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei
debiti per i quali il creditore  abbia  gia'  ottenuto  ordinanza  di
assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di  fine
rapporto o della pensione». 
    2.- Il giudice a quo riferisce che, in data 26  ottobre  2020,  i
signori M. C. e M. G. depositavano presso il Tribunale di Livorno una
proposta congiunta di piano del consumatore per la composizione della
crisi da sovraindebitamento. 
    Il piano prevedeva l'impegno a corrispondere  settantasette  rate
mensili,  ciascuna  di  euro  200,00,  destinate  al  soddisfacimento
integrale dei crediti prededucibili e privilegiati  (rate  sino  alla
numero ventinove) e al pagamento (con le successive rate)  del  18,64
per cento dei crediti chirografari. 
    2.1.- Il rimettente espone che, con provvedimento del 21  gennaio
2021, il giudice designato dichiarava inammissibile la  richiesta  di
omologa del piano del consumatore, osservando che, in data 28 ottobre
2020, la societa' I. N. spa, titolare  di  un  credito  chirografario
pari a euro  43.502,63,  inserito  nel  piano,  aveva  ottenuto,  dal
giudice dell'esecuzione,  un'ordinanza  di  assegnazione  del  quinto
dello stipendio di M. C. 
    Il citato provvedimento di assegnazione, non impugnato  e  dunque
divenuto definitivo,  rendeva  impossibile,  ad  avviso  del  giudice
designato, l'approvazione del piano, atteso che  nella  procedura  di
sovraindebitamento non e' prevista una sospensione  automatica  delle
procedure esecutive, che, viceversa, opera nell'ambito del concordato
preventivo, ai sensi dell'art. 168 del regio decreto 16  marzo  1942,
n. 267 recante «Disciplina del fallimento, del concordato  preventivo
e della liquidazione coatta amministrativa». 
    Il rimettente riferisce, di seguito, che  gli  originari  istanti
proponevano tempestivo reclamo al Collegio  contro  il  provvedimento
che  aveva  dichiarato  inammissibile  la  proposta  di   piano.   In
particolare, invocavano l'applicazione analogica dell'art.  44  della
legge fallimentare, che rende inefficaci  i  pagamenti  eseguiti  dal
debitore dopo  la  dichiarazione  di  fallimento.  Tale  argomento  -
secondo i reclamanti - consentirebbe l'approvazione del piano, la cui
omologa  farebbe  poi  cessare   definitivamente   il   pignoramento,
imponendo il pagamento del  credito  residuo  secondo  le  condizioni
previste dal piano medesimo. 
    2.2.-  Il  Collegio   rimettente   non   aderisce   alla   citata
ricostruzione   e,   viceversa,    condivide    l'impostazione    del
provvedimento reclamato, escludendo che la natura  concorsuale  della
procedura del piano di ristrutturazione possa comportare di  per  se'
l'applicazione analogica delle disposizioni dettate per il fallimento
e, segnatamente, dell'art. 44 della legge fallimentare. 
    In particolare, il giudice a quo osserva che il citato art. 44 e'
diretta conseguenza del generale vincolo di indisponibilita'  di  cui
al precedente art. 42, laddove nella procedura da  sovraindebitamento
in esame non si verificherebbe,  viceversa,  alcuno  "spossessamento"
del debitore. 
    2.3.- Tanto premesso, il rimettente rileva che  l'art.  8,  comma
1-bis, della legge n. 3 del 2012 contempla  la  possibilita'  che  la
proposta di piano del consumatore preveda  anche  la  falcidia  e  la
ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti  di  finanziamento
con cessione del quinto dello  stipendio,  del  trattamento  di  fine
rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno.  E
che tale disposizione, in virtu' del  comma  2  del  richiamato  art.
4-ter del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, puo' regolare  anche
le procedure pendenti alla data di entrata in vigore della  legge  di
conversione del decreto. 
    Tuttavia - secondo il rimettente - l'art.  8,  comma  1-bis,  pur
essendo riferibile ratione temporis al giudizio a quo, non sarebbe ad
esso applicabile, in quanto non disciplinerebbe l'ipotesi in  cui  un
credito del debitore principale abbia formato oggetto di assegnazione
giudiziale all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi. 
    Tale  norma,  ad  avviso  del  giudice  a   quo,   non   potrebbe
disciplinare la fattispecie in esame neppure in via analogica. 
    Da un lato, infatti,  la  disposizione  si  riferirebbe  in  modo
espresso  alla  cessione  volontaria,  cosi'   dimostrando   che   il
legislatore,  pur  a  fronte  di  una  disputa   interpretativa   che
riguardava  entrambe   le   ipotesi,   la   cessione   volontaria   e
l'assegnazione giudiziale, avrebbe inteso provvedere  unicamente  con
riferimento alla prima. 
    Da  un  altro  lato,  «nel  caso  dell'assegnazione  occorrerebbe
privare di  efficacia  (non  un  precedente  atto  negoziale  ma)  un
provvedimento  giudiziale  definitivo,  conclusivo  della   procedura
esecutiva  gia'  intrapresa»,  sicche'  un'interpretazione  analogica
urterebbe contro «il principio normativo di intangibilita' degli atti
esecutivi gia' compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». 
    2.4.- Tale insieme di circostanze induce il rimettente a ritenere
contrario a ragionevolezza, in  violazione  dell'art.  3  Cost.,  che
l'art. 8,  comma  1-bis,  della  legge  n.  3  del  2012  limiti  «la
possibilita' di falcidia e ristrutturazione ai soli "debiti derivanti
da  contratti  di  finanziamento  con  cessione  del   quinto   dello
stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione"  e  non
[riguardi] anche [...] dei debiti per i quali il creditore abbia gia'
ottenuto ordinanza di assegnazione di quota  parte  dello  stipendio,
del trattamento di fine rapporto o della pensione». 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione non fondata. 
    L'Avvocatura ha, innanzitutto, osservato che le fattispecie poste
a raffronto sono tra di loro diverse, posto che  quella  disciplinata
nel comma 1-bis dell'art. 8 della legge n. 3  del  2012  concerne  le
cessioni del quinto su base volontaria, a garanzia  di  contratti  di
finanziamento in vista di una piu' certa  estinzione  dei  debiti  di
restituzione, mentre  quella  oggetto  del  giudizio  a  quo  e'  una
cessione giudiziale, conseguente all'emanazione  di  un'ordinanza  di
assegnazione da parte del giudice dell'esecuzione. 
    Nell'un caso la possibilita' concessa al consumatore di includere
nel piano i debiti garantiti  mediante  la  cessione  del  quinto  si
giustificherebbe in chiave di  maggior  tutela  del  consumatore,  il
quale  potrebbe  essersi  determinato  incautamente  a  contrarre  la
cessione  del  quinto  e,  dunque,  attraverso  il  piano,   potrebbe
parzialmente rimediare a tale scelta. La cessione del quinto per  via
giudiziale,  viceversa,  rientrerebbe   nel   regime   ordinario   di
composizione della crisi del consumatore e non vi sarebbe ragione per
frustrare la tutela gia' pienamente ottenuta dal  creditore,  che  si
svolge sotto il controllo del giudice dell'esecuzione. 
    Tale   diversita'   di   ratio   giustificherebbe,   ad    avviso
dell'Avvocatura,  la   difforme   disciplina   e   sarebbe,   dunque,
sufficiente a escludere la censura  di  irragionevolezza.  Il  regime
differenziato sarebbe da ricondurre al  ragionevole  esercizio  della
discrezionalita'  legislativa,   come   confermerebbe   la   costante
giurisprudenza di questa Corte,  secondo  la  quale  non  si  avrebbe
violazione del principio di eguaglianza, allorche' le fattispecie  di
cui  si  denuncia  il  trattamento  diversificato  siano   tra   loro
disomogenee. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 aprile  2021,  iscritta  al  n.  121  del
registro ordinanze del  2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Livorno,
sezione  civile,  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  8,
comma 1-bis, della legge 27  gennaio  2012,  n.  3  (Disposizioni  in
materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi
da sovraindebitamento), come introdotto  dall'art.  4-ter,  comma  1,
lettera d), del decreto-legge 28  ottobre  2020,  n.  137  (Ulteriori
misure urgenti  in  materia  di  tutela  della  salute,  sostegno  ai
lavoratori  e  alle  imprese,   giustizia   e   sicurezza,   connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   Covid-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella  parte  in
cui non stabilisce che «il piano  del  consumatore  possa  prevedere,
alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei
debiti per i quali il creditore  abbia  gia'  ottenuto  ordinanza  di
assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di  fine
rapporto o della pensione». 
    1.1.- L'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3  del  2012  dispone
quanto segue: «[l]a proposta di piano del consumatore puo'  prevedere
anche la falcidia e  la  ristrutturazione  dei  debiti  derivanti  da
contratti di finanziamento con cessione del quinto  dello  stipendio,
del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle  operazioni
di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 1,
secondo  periodo».  La  disposizione,  in  virtu'  del  comma  2  del
richiamato art. 4-ter del d.l. n. 137 del 2020, si applica anche alle
procedure pendenti alla data di entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del decreto. 
    2.- Il rimettente e' stato  chiamato  a  decidere  in  merito  al
reclamo avverso il provvedimento del  giudice  designato,  che  aveva
dichiarato inammissibile una proposta di piano  di  ristrutturazione,
comprensiva di un debito rispetto  al  quale  il  relativo  creditore
aveva gia' ottenuto, all'esito di un procedimento  di  espropriazione
presso terzi, un'ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio
del debitore principale. 
    Il giudice a quo osserva che l'art. 8, comma 1-bis,  della  legge
n. 3 del 2012 prevede la possibile falcidia  e  ristrutturazione  dei
soli debiti per i quali vi  sia  stata  la  cessione  volontaria  del
credito,  avente  per  oggetto  il  quinto  dello  stipendio  (o  del
trattamento di fine rapporto o della pensione). Per converso, ritiene
che la disposizione  non  disciplini  l'ipotesi  in  cui  un  analogo
credito del debitore abbia formato oggetto di assegnazione giudiziale
all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi. 
    In particolare, non ritiene possibile ampliare in via ermeneutica
la portata precettiva della norma. 
    Da un lato, la disposizione  censurata  si  riferirebbe  in  modo
espresso  alla  cessione  volontaria,  cosi'   dimostrando   che   il
legislatore,  pur  a  fronte  di  una  disputa   interpretativa   che
riguardava  entrambe   le   ipotesi,   la   cessione   volontaria   e
l'assegnazione giudiziale, avrebbe inteso provvedere  unicamente  con
riferimento alla prima. 
    Da  un  altro  lato,  «nel  caso  dell'assegnazione  occorrerebbe
privare di  efficacia  (non  un  precedente  atto  negoziale  ma)  un
provvedimento  giudiziale  definitivo,  conclusivo  della   procedura
esecutiva  gia'  intrapresa»,  sicche'  un'interpretazione  analogica
urterebbe contro «il principio normativo di intangibilita' degli atti
esecutivi gia' compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». 
    3.- Tali motivazioni, unitamente  alla  ritenuta  esclusione  dal
raggio di applicazione dell'art. 44 del regio decreto 16 marzo  1942,
n. 267, recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo
e della  liquidazione  coatta  amministrativa»,  della  procedura  di
composizione  della  crisi  da  sovraindebitamento  del  consumatore,
inducono  il  rimettente  a  ritenere  contrario  al   principio   di
ragionevolezza, in violazione pertanto dell'art. 3 Cost.,  l'art.  8,
comma 1-bis, della legge  n.  3  del  2012.  La  citata  disposizione
limiterebbe, infatti, «la possibilita' di falcidia e ristrutturazione
ai soli "debiti derivanti da contratti di finanziamento con  cessione
del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o  della
pensione"» e irragionevolmente non includerebbe anche i debiti per  i
quali «il creditore abbia ottenuto ordinanza di assegnazione di quota
parte dello stipendio, del  trattamento  di  fine  rapporto  o  della
pensione». 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione non fondata. 
    L'Avvocatura  ha,  infatti,  sostenuto  la   disomogeneita'   tra
l'ipotesi della cessione volontaria del quinto dello  stipendio,  del
trattamento di fine rapporto o  della  pensione  e  la  cessione  dei
medesimi crediti disposta da un'ordinanza di assegnazione del credito
emanata dal giudice dell'esecuzione. Ne ha, dunque, inferito  la  non
irragionevolezza del loro diverso trattamento. 
    5.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost. non e' fondata  nei  termini  illustrati
nella motivazione che segue. 
    6.- In via preliminare, questa Corte ritiene opportuno,  ai  fini
dell'interpretazione dell'art. 8, comma 1-bis, della legge n.  3  del
2012,  delineare  il  quadro  normativo  nel  quale  si  colloca   la
disposizione in esame e ricostruire la riflessione che  ha  condotto,
con il d.l. n. 137 del 2020, all'inserimento nell'art. 8  del  citato
comma 1-bis. 
    6.1.- La legge n. 3 del 2012 - oggetto di successive modifiche  -
ha   inteso,   in   generale,   porre   rimedio   alle    crisi    da
sovraindebitamento  «non  soggette  ne'  assoggettabili  a  procedure
concorsuali» diverse da quelle che  la  stessa  disciplina  introduce
(art. 6, comma 1). 
    In particolare, gli artt. 8 e seguenti della legge n. 3 del 2012,
come modificati dall'art. 18, comma 1, lettera f), del  decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del
Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre  2012,
n. 221, delineano uno strumento di composizione della crisi, il piano
del consumatore, che consente a quest'ultimo di avanzare una proposta
di «ristrutturazione dei debiti  e  [di]  soddisfazione  dei  crediti
attraverso qualsiasi  forma,  anche  mediante  cessione  dei  crediti
futuri» (art. 8, comma 1). 
    Il consumatore, assistito dall'organismo  di  composizione  della
crisi, ha facolta' di presentare una proposta che, ai sensi dell'art.
12-bis,  comma  3,  della  legge  n.  3  del  2012,   puo'   condurre
all'omologazione, senza che sia richiesto  l'accordo  dei  creditori,
ancorche'  questi  ultimi  debbano  essere  informati  della   citata
proposta  e  possano  muovere  contestazioni.  Del  resto,  la   loro
soggezione al piano omologato viene controbilanciata  dal  necessario
rigore con il quale il giudice e' chiamato a verificare i presupposti
di ammissibilita' e di  fattibilita'  del  piano,  e  in  ogni  caso,
«[q]uando uno dei  creditori  [...]  contest[i  la  sua]  convenienza
[...], il giudice lo omologa se ritiene che il credito  possa  essere
soddisfatto  dall'esecuzione  del  piano  in  misura  non   inferiore
all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda»  del
medesimo capo della stessa legge (art. 12-bis, comma 4,  della  legge
n. 3 del 2012). 
    Come gia'  sottolineato  da  questa  Corte,  la  finalita'  della
procedura e' quella di «ricollocare utilmente all'interno del sistema
economico e sociale,  senza  il  peso  delle  pregresse  esposizioni»
(sentenza n. 245 del 2019), un soggetto - il consumatore  -  che,  se
sul piano contrattuale si connota per una debolezza  derivante  dalla
sua asimmetria informativa, nel quadro della disciplina in esame, che
presuppone la condizione patologica  del  sovraindebitamento,  mostra
anche i segni di una fragilita' economico-sociale. 
    L'obiettivo di consentire la ristrutturazione del maggior  numero
possibile dei debiti spiega, del resto, la facolta'  contemplata  dal
legislatore di falcidiare  e  di  ristrutturare,  pur  con  i  limiti
imposti dall'art. 7, finanche i debiti relativi a crediti  muniti  di
garanzie reali (privilegi, ipoteche e pegni). 
    Per converso, nel testo originario della legge  n.  3  del  2012,
anche dopo le modifiche introdotte con il d.l. n. 179 del 2012,  come
convertito,  mancava  qualsivoglia  riferimento  ai  debiti,  la  cui
modalita' solutoria o la cui garanzia  fossero  stati  affidati  alla
cessione di un credito; e questo ha alimentato  un  vivace  dibattito
dottrinale e giurisprudenziale. 
    6.2.- Occorre, a tal riguardo,  precisare  che  la  cessione  del
credito identifica il mero effetto giuridico  del  trasferimento  del
diritto di  credito,  che  puo'  dare  attuazione  a  varie  funzioni
concrete. 
    In particolare, quando la cessione svolge una funzione solutoria,
ossia integra una modalita' di esecuzione  diversa  dall'adempimento,
opera la disciplina di cui all'art. 1198,  primo  comma,  del  codice
civile, secondo cui «quando in luogo dell'adempimento  e'  ceduto  un
credito, l'obbligazione si estingue con la riscossione  del  credito,
se non risulta una diversa volonta' delle parti». 
    La cessione pro solvendo del credito, dunque, non  e'  altro  che
una   modalita'   di   esecuzione   della   prestazione   in    luogo
dell'adempimento che, sino alla riscossione, non estingue il  debito,
facendo  persistere  la  responsabilita'  dell'obbligato   principale
(salvo quanto dispone l'art. 1267, secondo comma, cod. civ., al quale
espressamente rimanda l'art. 1198, secondo comma, cod. civ.). 
    Tale perdurante responsabilita' del debitore  principale  rendeva
disarmonica la mancata  inclusione,  fra  i  debiti  suscettibili  di
falcidia e di ristrutturazione, di quelli per  i  quali  fosse  stata
disposta  una  modalita'  solutoria  costituita  dalla  cessione  del
credito; e invero la medesima considerazione riguardava i debiti  per
i quali fosse stata prevista una cessione pro solvendo in funzione di
garanzia. 
    Ove il debito nei  confronti  del  creditore  destinatario  della
citata modalita' di esecuzione o beneficiario di tale garanzia  fosse
stato, infatti, sottratto alla possibile falcidia e ristrutturazione,
il creditore cessionario avrebbe goduto del vantaggio di  soddisfarsi
in via esclusiva sul credito ceduto, potendo continuare  ad  avanzare
pretese,  in  caso  di  mancato  soddisfacimento  integrale  del  suo
diritto, sugli altri  beni  del  debitore  principale.  In  sostanza,
l'esclusione dalla procedura concorsuale  gli  avrebbe  garantito  un
trattamento privilegiato rispetto agli  stessi  creditori  muniti  di
garanzie reali, in contrasto con la par condicio creditorum. 
    Le proposte di soluzione  in  via  interpretativa  del  problema,
unitamente agli auspici di un  possibile  intervento  normativo,  non
ravvisavano, d'altro canto, un ostacolo  alla  possibile  falcidia  e
ristrutturazione dei debiti in esame nell'efficacia traslativa  della
cessione del credito. Tale effetto riguarda,  infatti,  la  modalita'
solutoria  o  l'attuazione   della   garanzia,   sicche'   ben   puo'
l'obbligazione principale veder ridotta - tramite la  falcidia  -  la
sua entita', senza che cio' confligga con  l'effetto  traslativo  del
credito. Risulta semplicemente limitato,  in  maniera  speculare,  il
quantum dovuto dal debitor debitoris al cessionario. 
    6.3.- A fronte del dibattito emerso con riferimento ai debiti  da
eseguire o da garantire con la cessione del credito,  il  legislatore
e' intervenuto, dapprima con il decreto legislativo 12 gennaio  2019,
n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza  in  attuazione
della legge 19 ottobre 2017, n. 155), che ha profondamente mutato  la
disciplina del sovraindebitamento, contemplando espressamente  -  per
quanto qui interessa -  all'art.  67,  comma  3,  che  il  piano  del
consumatore (rinominato «piano di ristrutturazione dei debiti») «puo'
prevedere  anche  la  falcidia  e  la  ristrutturazione  dei   debiti
derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello
stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e  dalle
operazioni di prestito su pegno». 
    Di seguito, in ragione del differimento  dell'entrata  in  vigore
della maggior parte delle disposizioni del  d.lgs.  n.  14  del  2019
(prima al 15 agosto 2020, poi al 1° settembre 2021 e da ultimo al  16
maggio 2022), il legislatore ha ritenuto di approntare  un  ulteriore
intervento in via d'urgenza, finalizzato a riallineare  la  normativa
meno recente alle innovazioni nel  frattempo  introdotte  dal  codice
della crisi. 
    Si e' giunti in tal modo al d.l. n. 137 del 2020, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 176 del 2020, che, proprio in  sede  di
conversione, ha aggiunto con  l'art.  4-ter,  comma  1,  lettera  d),
l'attuale art. 8, comma  1-bis,  alla  legge  n.  3  del  2012.  Tale
disposizione dunque - con un contenuto ricalcato sull'art. 67,  comma
3, del d.lgs. n. 14 del 2019 - stabilisce, come gia'  precisato,  che
«[l]a proposta di piano  del  consumatore  puo'  prevedere  anche  la
falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da  contratti  di
finanziamento  con  cessione  del   quinto   dello   stipendio,   del
trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle  operazioni  di
prestito su pegno, salvo quanto previsto dall'articolo  7,  comma  1,
secondo periodo». 
    Il legislatore ha, in  sostanza,  consentito  la  falcidia  e  la
ristrutturazione dei citati debiti, senza imporre specifici vincoli o
limiti legali,  posto  che  l'inciso  finale  della  disposizione  e'
chiaramente riferito alle operazioni di prestito su pegno. L'art.  7,
comma 1, secondo periodo, della legge n. 3 del 2012, che recepisce il
rinvio, stabilisce, infatti, che  «[e']  possibile  prevedere  che  i
crediti muniti di privilegio, pegno  o  ipoteca  possono  non  essere
soddisfatti integralmente, allorche' ne sia assicurato  il  pagamento
in misura non inferiore  a  quella  realizzabile,  in  ragione  della
collocazione preferenziale sul  ricavato  in  caso  di  liquidazione,
avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti
sui quali insiste  la  causa  di  prelazione,  come  attestato  dagli
organismi di composizione della crisi». 
    7.-   Tanto   premesso,   e'   possibile   chiarire   i   termini
dell'interpretazione della disposizione censurata che  consentono  di
ritenere non fondata, nei sensi di seguito illustrati,  la  questione
di legittimita' costituzionale sollevata in  riferimento  all'art.  3
Cost. 
    E' sufficiente, infatti, lo  strumento  ermeneutico  a  includere
nell'art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3 del 2012 l'ipotesi in  cui
la cessione del credito destinata a estinguere il debito  costituisca
l'effetto di un provvedimento  giudiziale,  ossia  dell'ordinanza  di
assegnazione. 
    7.1.- La prima ragione, che induce il giudice a quo  a  escludere
una  possibile  soluzione  in  via  interpretativa  del   dubbio   di
irragionevolezza, attinge alla  stessa  formulazione  testuale  della
disposizione  che,  secondo  il  rimettente,  richiamerebbe  in   via
esclusiva la cessione volontaria del credito. 
    7.1.1.- Tuttavia, se puo' ritenersi che l'accostamento, nell'art.
8,  comma  1-bis,  della  cessione  del  credito  al   contratto   di
finanziamento  sia  subito  evocativo  di  una  cessione  volontaria,
d'altro canto, l'espressione cessione  del  credito,  non  altrimenti
qualificata, non puo' certo a priori escludere una cessione  coattiva
del credito. 
    7.1.2.-  Piu'  in  generale,   e'   doveroso   sottolineare,   in
considerazione  della  ratio  stessa  della  disciplina,  il   tenore
esemplificativo e non certo rigidamente tassativo della disposizione. 
    In primo  luogo,  sebbene  l'art.  8,  comma  1-bis,  evochi  una
specifica fonte del debito da ristrutturare - ossia il  contratto  di
finanziamento - sarebbe  del  tutto  irrazionale,  prima  ancora  che
irragionevole,  escludere  dal  piano  di  ristrutturazione   debiti,
rispetto ai quali abbia avuto luogo  la  cessione  del  credito,  sol
perche'  abbiano  fonte   in   contratti   diversi   da   quello   di
finanziamento. 
    In secondo luogo, la disposizione in esame richiama espressamente
la cessione del quinto  dello  stipendio,  del  trattamento  di  fine
rapporto e della pensione, vale a dire la  cessione  di  crediti  che
solitamente offrono possibilita' molto elevate di soddisfacimento, ma
sarebbe addirittura paradossale che la norma non  ricomprendesse  (e,
dunque, non consentisse la falcidia e la ristrutturazione di) debiti,
la cui estinzione fosse  stata  affidata  alla  cessione  di  crediti
futuri dalla solvibilita' assai meno certa. 
    E ancora l'art. 8, comma 1-bis, per  un  verso,  nell'evocare  la
cessione del  credito,  abbraccia  tanto  la  cessione  con  funzione
solutoria quanto quella con funzione di garanzia, ma,  per  un  altro
verso, non puo' che riferirsi alla sola cessione pro solvendo,  posto
che con una cessione pro soluto il debito sarebbe estinto e,  dunque,
non potrebbe operare alcuna falcidia. 
    Infine, come si e' gia' anticipato, la disposizione censurata non
evoca testualmente la mera cessione volontaria, ma  la  cessione  del
credito tout  court,  e  dunque  non  puo'  escludersi  a  priori  un
possibile riferimento implicito anche  alla  ipotesi  della  cessione
coattiva del credito, di fonte giudiziale. 
    7.2.- Cio' premesso,  occorre,  tuttavia,  considerare  anche  la
seconda e piu' puntuale obiezione sollevata dal rimettente  in  senso
contrario a una soluzione ermeneutica del problema. 
    In particolare, il giudice ritiene che la  falcidiabilita'  e  la
possibilita'  di  ristrutturazione  del  credito  implicherebbero  un
«privare di efficacia  (non  un  precedente  atto  negoziale  ma)  un
provvedimento  giudiziale  definitivo,  conclusivo  della   procedura
esecutiva gia' intrapresa», sicche' l'interpretazione, che lo  stesso
giudice  a  quo  qualifica  come  analogica,  urterebbe  contro   «il
principio normativo  di  intangibilita'  degli  atti  esecutivi  gia'
compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c.». 
    Sennonche',  non  e'  condivisibile  la  tesi   che   differenzia
l'effetto  traslativo  prodotto  dall'assegnazione   giudiziale   del
credito rispetto a quello scaturito da un atto di autonomia  privata.
Parimenti non coglie correttamente i termini del rapporto tra effetto
traslativo e possibile ristrutturazione del debito  il  ritenere  che
cio' comporti lo scioglimento o la pura negazione  di  tale  effetto,
fermo restando  che  il  problema  atterrebbe  comunque  in  generale
all'effetto traslativo oramai prodottosi e non certo  alla  fonte  da
cui esso scaturisce. 
    7.2.1.- Deve, allora, in primo  luogo,  rilevarsi  che  l'effetto
traslativo del credito, che deriva dall'assegnazione  giudiziale,  e'
il medesimo  effetto  che  discende  dalla  cessione  volontaria  del
credito in luogo dell'adempimento. 
    L'ordinanza  di  assegnazione,  che  conclude  la  procedura   di
espropriazione presso terzi e che determina la cessione coattiva  del
credito pignorato, non fa altro che avallare per via  giudiziale,  in
mancanza di un previo negozio di cessione, l'iniziativa del creditore
nella individuazione di una  modalita'  di  soddisfazione  in  chiave
solutoria del proprio diritto. Il giudice dell'esecuzione, attraverso
la richiamata ordinanza, non esercita alcun potere decisorio di  tipo
contenzioso, ne' attribuisce al creditore  un  nuovo  titolo,  ma  si
limita - dopo aver verificato la sussistenza dei presupposti previsti
dall'art. 553 del codice di procedura  civile  -  ad  autorizzare  il
creditore ad avvalersi della citata modalita' esecutiva. 
    Attribuire  all'effetto  traslativo  derivante  dall'assegnazione
giudiziale  una   vincolativita'   differente   rispetto   a   quella
riconosciuta   all'effetto   della   cessione   volontaria    sarebbe
equivalente a ritenere che il trasferimento della proprieta'  attuato
con una vendita forzata sia "piu' forte  e  vincolante"  dell'effetto
traslativo generato da un atto di autonomia privata. Ma cosi' non  e'
e traspare in modo evidente dagli artt. 2919 e seguenti cod. civ. 
    In particolare,  l'art.  2925  cod.  civ.  stabilisce  la  regola
generale per cui  «[l]e  norme  concernenti  la  vendita  forzata  si
applicano anche all'assegnazione forzata» e, nello specifico,  l'art.
2919, nel suo unico comma, cod. civ. prevede, tra l'altro, che  «[l]a
vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che  sulla  cosa
spettavano  a  colui  che  ha  subito  l'espropriazione».   Pertanto,
l'assegnazione trasferisce il diritto di credito che spettava a colui
che  subisce  l'espropriazione,  come  se  quest'ultimo   lo   avesse
volontariamente ceduto al proprio creditore. 
    La  sola  differenza  che  emerge  fra  cessione   volontaria   e
assegnazione giudiziale del credito non attiene, dunque,  all'effetto
traslativo, ma semmai al tipo di cessione. 
    Nel caso dell'assegnazione giudiziale l'art. 2928 cod. civ.,  cui
rinvia l'inciso finale dell'art. 2925 cod. civ.,  stabilisce  che  la
cessione del credito disposta dal giudice e' sempre pro  solvendo  e,
dunque, sino alla riscossione del credito,  non  estingue  il  debito
principale,   il   che   giustifica   la   possibile    falcidia    e
ristrutturazione della persistente situazione debitoria. 
    Viceversa, nel caso della cessione volontaria, l'art.  1198  cod.
civ. fa salva, rispetto  alla  regola  generale  della  cessione  pro
solvendo, la possibile deroga convenzionale. 
    In sostanza, la differenza  tra  le  due  tipologie  di  cessioni
attiene solo al meccanismo pro solvendo, quello  che  giustifica  una
possibile falcidia e ristrutturazione del persistente  debito  e  che
sussiste  sempre  nell'assegnazione  giudiziale  e  di  regola  nella
cessione volontaria. Per il resto, l'assegnazione giudiziale  non  fa
che produrre il medesimo effetto traslativo  del  credito  e  non  ha
alcun fondamento giuridico il ritenere che la  diversa  fonte  incida
sulla vincolativita' di tale effetto. 
    7.2.1.1.- Ne' a  una  diversa  conclusione  puo'  in  alcun  modo
addivenirsi, avendo  riguardo  al  profilo  dell'opponibilita'  della
cessione del credito. 
    Il tema e' dibattuto in termini generali e  non  con  riferimento
alla fonte da cui deriva l'effetto traslativo del credito. Del resto,
la stessa tesi intermedia tra quella della non opponibilita' e quella
dell'opponibilita' erga omnes, vale a dire la  tesi  della  Corte  di
cassazione (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 26  ottobre
2002, n. 15141), che plasma l'opponibilita' sulla disciplina  di  cui
all'art. 2918 cod. civ., lega il citato  profilo  alla  durata  della
cessione (opponibile se inferiore ai tre anni) e,  nel  caso  di  una
durata superiore, al rispetto di eventuali oneri pubblicitari, che si
impongono agli  atti  di  autonomia  privata  come  ai  provvedimenti
giudiziali. 
    Peraltro, non puo' neppure tacersi che l'opponibilita'  ai  terzi
dell'effetto non inibisce comunque la falcidiabilita',  ove  solo  si
consideri che sono falcidiabili debiti relativi a crediti  muniti  di
garanzie reali sicuramente opponibili ai terzi. 
    7.2.2.- Se, dunque, diversamente da  quanto  ritiene  il  giudice
rimettente, l'effetto traslativo del credito e la  sua  opponibilita'
sono profili che si pongono nei medesimi termini  sia  che  l'effetto
derivi dalla fonte negoziale sia che discenda da  quella  giudiziale,
parimenti si devono  disattendere  tanto  le  considerazioni  che  il
giudice  a   quo   svolge   con   riferimento   all'incidenza   della
ristrutturazione del  debito  sull'effetto  traslativo  del  credito,
quanto  le  conclusioni  che  ne  trae  sul  piano  del  giudizio  di
costituzionalita'. 
    7.2.2.1.-  E'  allora  opportuno,  innanzitutto,  chiarire   che,
fintantoche' il piano non viene omologato, i pagamenti  eseguiti  dal
debitore ceduto sono certamente efficaci. 
    In questa prospettiva, deve confermarsi - come del resto sostiene
anche  il  rimettente  -  la  non   applicabilita'   alla   procedura
concorsuale relativa al piano di ristrutturazione della disciplina di
cui all'art. 44 della legge fallimentare, che rende inefficaci  tutti
i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento. 
    Nel caso  della  procedura  concorsuale  in  esame  e',  infatti,
l'omologazione  del  piano  che  rende  inefficaci  gli   adempimenti
eseguiti in difformita' rispetto  al  suo  contenuto,  in  virtu'  di
quanto dispone l'art. 13, comma 4, della legge n. 3 del 2012. 
    7.2.2.2.- Venendo poi a considerare il rapporto fra  la  cessione
del credito  e  la  ristrutturazione  del  debito,  che  puo'  essere
prevista dal  piano  omologato,  si  sono  invero  delineate  diverse
interpretazioni dell'art. 8, comma 1-bis. 
    La tesi che riferisce la  ristrutturazione  dei  debiti  previsti
nell'art. 8, comma 1-bis, alla sola facolta' di falcidia preserva,  a
ben vedere, la modalita' di esecuzione costituita dalla cessione  del
credito, sicche' il problema di un presunto scioglimento della  fonte
dell'effetto traslativo, sollevato dal giudice rimettente, neppure si
pone:  la  falcidia,  infatti,  determina  unicamente  una  speculare
riduzione del quantum dovuto dal debitor debitoris. 
    Quanto alla tesi secondo cui il piano  di  ristrutturazione  puo'
anche cambiare la modalita' di  soddisfacimento  del  diritto  legata
alla cessione del credito, essa, invero, seppure non ravvisa in  tale
modalita' una limitazione al tipo di ristrutturazione,  la  considera
comunque un profilo  di  cui  il  giudice  deve  tenere  conto  nella
valutazione delle caratteristiche del debito  da  ristrutturare.  Tra
gli  aspetti  che  connotano  il  debito,  e  che  il  giudice  deve,
chiaramente, ponderare nel valutare la fattibilita', l'ammissibilita'
e la convenienza del piano, vi e' la stessa modalita' con cui ne  era
stata disposta l'esecuzione o la  garanzia,  ossia  la  cessione  del
credito. Tale modalita' puo'  essere  cambiata  dal  piano,  con  una
modificazione  che  la  sostituisce  con  una  nuova   modalita'   di
soddisfacimento, ma tenendo conto di quella precedente, cosi' come il
piano prende in esame gli altri caratteri del debito, a partire dalla
sua  entita',  senza  che  questo  significhi  sciogliere  la   fonte
dell'originario debito che viene falcidiato. Del  resto,  gli  stessi
crediti muniti di  garanzie  reali  possono  essere  soddisfatti  con
modalita' diverse da quelle derivanti da tali garanzie, pur se in tal
caso con i limiti legali disposti dall'art. 7 della legge  n.  3  del
2012; ne' cio' equivale a negare l'effetto  prodotto  dalle  garanzie
medesime. 
    7.2.2.3.- Da ultimo - ed e' il rilievo  decisivo  -  il  problema
ermeneutico citato si pone in termini generali  rispetto  all'effetto
traslativo del credito e, poiche' prescinde dalla fonte da  cui  tale
effetto  scaturisce,  non  e'  idoneo  a  sorreggere  il  dubbio   di
legittimita' costituzionale sollevato dal giudice a quo. 
    8.- In conclusione, e' la stessa ratio dell'art. 8, comma  1-bis,
della legge n. 3 del  2012  ad  attrarre,  in  via  ermeneutica,  nel
contenuto della norma qualunque debito, per  il  quale  la  modalita'
solutoria o la garanzia di  adempimento  siano  state  affidate  alla
cessione pro solvendo del credito, ivi inclusa l'ipotesi nella  quale
la cessione del credito sia derivata da un provvedimento  giudiziale,
anziche' da un atto di autonomia privata. 
    La norma, cosi' ricostruita, da' piena  attuazione  allo  spirito
della   legge,   finalizzata   alla   protezione   di   un   soggetto
contrattualmente  e  socialmente  debole,  qual  e'  il   consumatore
sovraindebitato, nonche' al rispetto della par condicio creditorum. 
    Al contempo, essa  e'  conforme  al  canone  dell'interpretazione
sistematica, la' dove si coordina con  le  disposizioni  codicistiche
sopra menzionate (supra  punto  7.2.1.),  che  fanno  discendere  dal
provvedimento giudiziale di  assegnazione  del  credito  il  medesimo
effetto traslativo che puo' scaturire da una cessione volontaria. 
    Il  complesso  di  ragioni  teleologiche  e  sistematiche,  sopra
evocate, porta, dunque, alla luce il significato  normativo  conforme
al parametro assiologico dell'art. 3 Cost. 
    Si deve, allora, concludere che la questione non e' fondata,  nei
sensi  di  cui  in  motivazione,  avendo  questa  Corte  piu'   volte
sottolineato  che  l'incertezza  interpretativa  e   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale  si  dileguano  «una  volta  che  si  sia
adottato,  quale  canone  ermeneutico  preminente,  il  principio  di
supremazia costituzionale che impone all'interprete  di  optare,  fra
piu' soluzioni astrattamente  possibili,  per  quella  che  rende  la
disposizione conforme a Costituzione»  (sentenza  n.  206  del  2015,
nonche' negli stessi termini, sentenze n. 198 del 2003,  n.  316  del
2001 e n. 113 del 2000).