ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 202,  primo
comma, del regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dal
Tribunale  ordinario  di   Udine,   sezione   seconda   civile,   nel
procedimento per dichiarazione dello  stato  di  insolvenza  di  Zoe'
societa' cooperativa a responsabilita' limitata in liquidazione,  con
ordinanza del 25  gennaio  2021,  iscritta  al  n.  39  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 gennaio 2021,  iscritta  al  n.  39  del
registro ordinanze 2021, il Tribunale  ordinario  di  Udine,  sezione
seconda civile, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 202, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,  n.  267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), «nella parte in cui prevede che  il  tribunale  deve
pronunciare sentenza di accertamento dello stato di insolvenza  della
societa' cooperativa sottoposta a liquidazione coatta  amministrativa
anche  in  assenza  dei  requisiti  soggettivi   richiesti   per   la
dichiarazione del fallimento di un imprenditore costituito  in  altra
forma giuridica e, in particolare, di una societa' lucrativa». 
    Ad avviso del rimettente, la  disposizione  censurata  violerebbe
gli artt. 3 e 45 della Costituzione, per la disparita' di trattamento
che determina in pregiudizio della singola societa' cooperativa e per
i negativi riflessi che ne derivano sulla cooperazione in generale. 
    1.1.- Il giudice a quo espone di  dover  provvedere  sull'istanza
avanzata dal commissario liquidatore per l'accertamento  dello  stato
di insolvenza  della  Zoe'  societa'  cooperativa  a  responsabilita'
limitata,  posta  in  liquidazione  coatta  amministrativa  ai  sensi
dell'art. 2545-terdecies del codice civile con delibera della  Giunta
regionale del Friuli-Venezia Giulia in data 3 luglio 2020. 
    L'ordinanza di rimessione precisa trattarsi di una societa'  gia'
operativa nel commercio di fiori e piante, con attivo e ricavi nulli,
o assai modesti, e un  passivo  appena  superiore  ai  tremila  euro,
quindi di una societa' che,  ove  fosse  stata  costituita  in  forma
lucrativa, non sarebbe stata  passibile  di  fallimento,  poiche'  di
dimensioni ed esposizione largamente  inferiori  a  quelle  stabilite
dagli  artt.  1,  secondo  comma,  e  15,  nono  comma,  della  legge
fallimentare. 
    1.2.- Il Tribunale di Udine evidenzia che tali limiti  soggettivi
di  fallibilita'  non  sono  richiamati  dall'art.  202  della  legge
fallimentare a proposito dell'accertamento giudiziario dello stato di
insolvenza   dell'impresa   sottoposta    a    liquidazione    coatta
amministrativa, ne'  dall'art.  195  della  legge  medesima  riguardo
all'accertamento dello stato  di  insolvenza  anteriore  all'apertura
della liquidazione. 
    Rammentato che, ai sensi  degli  artt.  203  e  237  della  legge
fallimentare, l'accertamento giudiziario dello  stato  di  insolvenza
delle  societa'  in  liquidazione  coatta   amministrativa   comporta
l'applicabilita' delle disposizioni sulle revocatorie fallimentari  e
sugli  effetti  penali  nel  fallimento,  il  giudice  a  quo  reputa
ingiustificato  che  questo  «inasprimento  delle  norme  di  diritto
comune» possa prescindere per tali societa' - tra le quali appunto le
cooperative - dall'entita' degli interessi coinvolti nella  crisi  di
impresa. 
    1.3.-  La  disparita'  di  trattamento   sarebbe   acuita   dalla
circostanza che, per effetto  della  legge  27  gennaio  2012,  n.  3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle  crisi  da  sovraindebitamento),  le  imprese  non
fallibili  sono  assoggettabili  a   liquidazione   del   patrimonio,
procedura   nella   quale   non   sono   previste   speciali   azioni
recuperatorie, ne'  configurabili  fattispecie  di  reato,  simili  a
quelle fallimentari. 
    Il  quadro  normativo  non  sarebbe  destinato  a  evolvere   con
l'entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio  2019,  n.  14
(Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in  attuazione  della
legge 19 ottobre 2017, n. 155),  attesa  la  corrispondenza  tra  gli
artt. 297, comma 1, e 298, comma 1, del medesimo decreto  legislativo
e gli artt. 195,  primo  comma,  e  202,  primo  comma,  della  legge
fallimentare. 
    1.4.-  Sulla  base  di  queste  considerazioni,   il   rimettente
prospetta l'estensione per consequenzialita'  della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, da un lato, all'art. 195, primo comma,
della legge fallimentare e, dall'altro, agli artt. 297,  comma  1,  e
298, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2019. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili  o,  in
subordine, non fondate. 
    2.1.- Le questioni sarebbero inammissibili perche' il  giudice  a
quo  si  sarebbe  arrestato  a  un'interpretazione  letterale   della
disposizione  censurata,  mancando  di  svolgere  «ogni  ponderazione
possibile del complessivo quadro normativo e giurisprudenziale in cui
essa s'inserisce». 
    In particolare, il rimettente avrebbe trascurato quanto  rilevato
dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  sulla   soglia   minima   di
esposizione debitoria, cioe' che essa e' fissata dal legislatore  non
per l'accertamento dello stato di insolvenza, ma per la dichiarazione
di fallimento, alla quale ultima non si fa luogo solo per ragioni  di
economia processuale,  recessive  di  fronte  all'interesse  pubblico
sotteso alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. 
    2.2.- Le questioni sarebbero comunque non fondate per lo  statuto
differenziato  della  societa'  cooperativa,  quale  deriva   appunto
dall'interesse pubblico connesso allo scopo  mutualistico,  in  linea
con le direttive dell'art. 45 Cost. 
    Ne risulterebbe giustificato «anche un inasprimento dei controlli
e della tutela in favore dei creditori  e  della  generalita'»,  che,
nell'ipotesi di accertata  insolvenza,  «avviene  proprio  prevedendo
l'applicabilita'  del  regime  delle  azioni  revocatorie   e   della
disciplina  penale  fallimentari»,  giacche',  in  tal  modo,  «viene
incentivato l'uso corretto della cooperazione». 
    2.3.-  In  vista  della  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura  ha
depositato  una  memoria  illustrativa,  tornando  a  evidenziare  la
specialita' dello statuto delle societa' cooperative, permeato da  un
interesse generale che, mentre promuove la concessione di benefici  e
agevolazioni di varia natura, anche fiscale, nel  contempo  determina
vincoli  economici  e  operativi,   segnatamente   in   ordine   alla
destinazione degli utili e alla devoluzione del patrimonio. 
    L'interesse pubblico per un impiego corretto e non abusivo  della
forma cooperativa - il medesimo interesse che  fonda  il  sistema  di
vigilanza amministrativa sulle societa' mutualistiche  e  che  spiega
l'assoggettabilita'  delle  stesse  alla  procedura  di  liquidazione
coatta - giustificherebbe la disposizione censurata  al  metro  degli
artt. 3 e 45 Cost., poiche' questa si limiterebbe a  estendere  nella
fase patologica della crisi di impresa la  maggiore  incisivita'  dei
controlli che accompagna l'intera vita del tipo societario. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.  ord.  n.  39  del
2021), il Tribunale ordinario di Udine, sezione  seconda  civile,  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  202,
primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), «nella parte
in  cui  prevede  che  il  tribunale  deve  pronunciare  sentenza  di
accertamento dello stato di  insolvenza  della  societa'  cooperativa
sottoposta a liquidazione coatta amministrativa anche in assenza  dei
requisiti soggettivi richiesti per la dichiarazione del fallimento di
un  imprenditore  costituito  in  altra   forma   giuridica   e,   in
particolare, di una societa' lucrativa». 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di dover provvedere sull'istanza
di accertamento dello stato di insolvenza di una societa' cooperativa
- gia' posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'art.
2545-terdecies   del   codice   civile   -,   le    cui    dimensioni
economico-patrimoniali e la cui sofferenza debitoria non  raggiungono
le soglie di fallibilita' stabilite dagli artt. 1, secondo  comma,  e
15, nono comma, della legge fallimentare. 
    Ad avviso del rimettente, esponendo la cooperativa "sotto-soglia"
a un accertamento giudiziario dello stato  di  insolvenza,  viceversa
precluso per l'impresa lucrativa di analoga entita', la  disposizione
censurata violerebbe gli artt. 3 e 45 della Costituzione, perche'  la
disparita'  di  trattamento  non  avrebbe  giustificazione  alcuna  e
contraddirebbe il favor legis per lo sviluppo della cooperazione. 
    1.2.- Posto che l'accertamento dello stato di insolvenza previsto
dall'art. 202  della  legge  fallimentare  comporta  l'applicabilita'
delle disposizioni sulle revocatorie  fallimentari  e  sugli  effetti
penali nel fallimento, il Tribunale  di  Udine  reputa  illogico  che
questo «inasprimento delle norme di diritto comune» possa operare per
societa' cooperative non fallibili in concreto, tanto piu' alla  luce
della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e
di   estorsione,   nonche'   di   composizione   delle    crisi    da
sovraindebitamento), che  assoggetta  le  imprese  insuscettibili  di
fallimento  alla   liquidazione   del   patrimonio,   procedura   non
caratterizzata  da  azioni  recuperatorie  e  fattispecie  di   reato
paragonabili a quelle fallimentari. 
    Sull'assunto che gli evocati parametri siano  lesi  per  analoghe
ragioni  anche  dall'art.  195  della  legge  fallimentare   riguardo
all'accertamento dello stato  di  insolvenza  anteriore  all'apertura
della liquidazione  coatta  amministrativa  nonche',  in  prospettiva
della loro futura entrata in vigore, dagli artt. 297, comma 1, e 298,
comma 1, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della
crisi d'impresa  e  dell'insolvenza  in  attuazione  della  legge  19
ottobre 2017, n. 155), il rimettente ipotizza che la declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 202, primo comma, della legge
fallimentare possa essere estesa,  per  consequenzialita',  a  queste
ulteriori disposizioni. 
    2.- Intervenuto in giudizio,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, prima ancora di contestare la fondatezza  delle  questioni,
ne ha eccepito l'inammissibilita'. 
    Secondo la difesa statale, il rimettente  si  sarebbe  fermato  a
un'interpretazione letterale della disposizione censurata  e  avrebbe
mancato di svolgere  «ogni  ponderazione  possibile  del  complessivo
quadro normativo e giurisprudenziale in cui essa s'inserisce». 
    In particolare, il Tribunale di Udine non avrebbe considerato  le
indicazioni della giurisprudenza di legittimita' sulla soglia  minima
di indebitamento, fissata  dal  legislatore  non  per  l'accertamento
dello stato di insolvenza, ma per la dichiarazione di  fallimento,  e
ispirata a finalita' di  economia  processuale  recessive  di  fronte
all'interesse pubblico sotteso alla procedura di liquidazione  coatta
amministrativa. 
    3.- Lo scrutinio di questa eccezione di inammissibilita' richiede
una   pur   sintetica   illustrazione   del   quadro   normativo    e
giurisprudenziale,  che  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  assume
trascurato dal giudice a quo. 
    3.1.-  Ai  sensi  dell'art.  195,  primo   comma,   della   legge
fallimentare,  «[s]e  un'impresa  soggetta  a   liquidazione   coatta
amministrativa con esclusione del fallimento si  trova  in  stato  di
insolvenza,  il  tribunale  del  luogo  dove  l'impresa  ha  la  sede
principale,  su  richiesta  di   uno   o   piu'   creditori,   ovvero
dell'autorita' che ha la vigilanza sull'impresa o di  questa  stessa,
dichiara tale stato con sentenza». 
    Ai sensi dell'art. 202, primo comma, della legge  fallimentare  -
disposizione oggi censurata -, «[s]e l'impresa al  tempo  in  cui  e'
stata ordinata la liquidazione, si trovava in  stato  d'insolvenza  e
questa non e' stata preventivamente dichiarata a norma dell'art. 195,
il tribunale del luogo dove  l'impresa  ha  la  sede  principale,  su
ricorso  del  commissario  liquidatore  o  su  istanza  del  pubblico
ministero, accerta tale stato con sentenza in  camera  di  consiglio,
anche se la liquidazione  e'  stata  disposta  per  insufficienza  di
attivo». 
    Le due disposizioni contemplano quindi l'accertamento giudiziario
dello stato di insolvenza - rispettivamente - anteriore e  successivo
all'apertura della liquidazione coatta amministrativa, con  identita'
di  effetti,  individuati  dagli  artt.  203  e   237   della   legge
fallimentare. 
    Infatti, l'art. 203 stabilisce che,  «[a]ccertato  giudizialmente
lo  stato  d'insolvenza  a  norma  degli  articoli  195  o  202»,  e'
applicabile la disciplina fallimentare degli atti pregiudizievoli  ai
creditori; l'art. 237 dispone che «[l]'accertamento giudiziale  dello
stato di insolvenza a norma degli articoli 195 e  202  e'  equiparato
alla dichiarazione di fallimento»  ai  fini  dell'applicazione  della
disciplina dei reati fallimentari. 
    3.2.- Rispetto a quello che si  svolge  in  sede  amministrativa,
l'accertamento giudiziario dello stato di insolvenza ha autonomia  di
procedimento e di  effetti,  come  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
sottolineare a proposito della decorrenza  della  prescrizione  delle
azioni revocatorie. 
    L'accertamento  del  tribunale  «non  costituisce,  infatti,  una
inutile duplicazione della valutazione dell'autorita' governativa  di
vigilanza effettuata in sede di emissione del  decreto  di  messa  in
liquidazione coatta amministrativa, in quanto  non  e'  irragionevole
che tale valutazione compiuta dall'autorita'  governativa  abbia  una
valenza minore, per  funzione  ed  effetti,  rispetto  al  successivo
accertamento giudiziario dello stato di insolvenza» (ordinanza n. 362
del 2007). 
    Invero, «l'accertamento giurisdizionale dello stato di insolvenza
non e' assimilabile  alla  valutazione  delle  condizioni  economiche
dell'impresa effettuata  dall'autorita'  governativa  di  vigilanza»,
posto che «il decreto di liquidazione coatta amministrativa e' emesso
all'esito di un procedimento amministrativo il  quale,  a  differenza
dell'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, non offre  le
garanzie del rispetto del contraddittorio e del  diritto  di  difesa,
ne' produce gli effetti del giudicato» (ancora ordinanza n.  362  del
2007). 
    3.3.- Il complesso normativo degli artt. 195 e  202  della  legge
fallimentare si riferisce anche alle societa' cooperative, in  quanto
soggette  a  liquidazione  coatta   amministrativa   per   causa   di
insolvenza. 
    Infatti, nell'ambito della disciplina delle  cooperative,  l'art.
2545-terdecies, primo comma, cod. civ. dispone  che,  «[i]n  caso  di
insolvenza della societa', l'autorita' governativa alla quale  spetta
il  controllo  sulla  societa'   dispone   la   liquidazione   coatta
amministrativa»,  aggiungendo  che  «[l]e  cooperative  che  svolgono
attivita' commerciale sono soggette anche  al  fallimento»  (vale  al
riguardo il criterio di priorita' tra  le  procedure,  stabilito  nel
secondo comma dello stesso art. 2545-terdecies cod. civ., in aderenza
alla regola generale di concorso  posta  dall'art.  196  della  legge
fallimentare). 
    3.4.- Per l'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare,  pur
se esercita un'attivita' commerciale, l'imprenditore non e' fallibile
ove dimostri il possesso congiunto dei tre requisiti indicativi della
modesta  entita'  dell'impresa,  concernenti  l'attivo   patrimoniale
(lettera a), i ricavi lordi (lettera  b)  e  l'esposizione  debitoria
(lettera c). 
    L'art. 15, nono  comma,  della  legge  fallimentare  dispone  che
«[n]on si fa luogo alla dichiarazione di  fallimento  se  l'ammontare
dei   debiti   scaduti   e   non   pagati   risultanti   dagli   atti
dell'istruttoria prefallimentare e' complessivamente inferiore a euro
trentamila», in tal modo  aggiungendo  alla  soglia  di  fallibilita'
riguardante l'esposizione debitoria,  di  cui  alla  lettera  c)  del
secondo comma dell'art. 1 (ammontare di debiti  «anche  non  scaduti»
non superiore ad euro cinquecentomila), una  soglia  di  fallibilita'
piu' specifica, attinente alla sofferenza debitoria («debiti  scaduti
e non pagati»). 
    I  criteri  di  identificazione  dell'imprenditore  fallibile  si
riferiscono quindi all'entita' dell'impresa,  all'organizzazione  dei
mezzi in essa impiegati e alle  ripercussioni  che  il  suo  dissesto
produce nell'economia generale,  come  indica  la  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenze n. 198 del 2009 e n. 570 del 1989). 
    3.5.- La Corte di cassazione ha affermato che l'esclusione  della
dichiarazione di fallimento prevista dall'art. 15, nono comma,  della
legge  fallimentare  «introduce  un'eccezione   alla   regola   della
fallibilita' delle imprese, come tale insuscettibile di  applicazioni
analogiche a  ipotesi  (dichiarazione  d'insolvenza  di  impresa  non
fallibile) diverse da quella regolata  (dichiarazione  di  fallimento
dell'impresa insolvente)» (sezione prima civile, sentenza  22  aprile
2013, n. 9681). 
    La  medesima  pronuncia  nomofilattica  ha  osservato  che   tale
eccezionale  previsione  di  non  fallibilita'  -   la   quale   «non
contraddice lo stato d'insolvenza dell'impresa e non  lo  esclude»  -
«risponde  ad  esigenze   di   economia   processuale   che   rendono
ingiustificati i tempi e i[n] costi di una procedura fallimentare nel
caso di esposizioni debitorie minori», esigenze di risparmio «che non
possono essere automaticamente estese all'istituto della liquidazione
coatta amministrativa, connotato da ragioni di pubblica utilita'». 
    4.-  L'eccezione  di  inammissibilita'  sollevata  dalla   difesa
statale imputa al Tribunale di Udine di  non  avere  considerato  gli
argomenti sviluppati dalla sentenza della Corte di cassazione n. 9681
del 2013 e di avere pertanto isolato la  censurata  disposizione  dal
quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento. 
    4.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    L'ordinanza di rimessione prende in esame la citata pronuncia  di
legittimita' ed esattamente la considera «un precedente orientato nel
senso della interpretazione letterale». 
    In tale pronuncia il rimettente  trova  conferma  della  premessa
interpretativa del suo dubbio di legittimita' costituzionale, che sia
cioe' impossibile applicare all'accertamento giudiziario dello  stato
di insolvenza della societa' cooperativa un  limite  quantitativo  di
sofferenza debitoria testualmente previsto per  la  dichiarazione  di
fallimento. 
    Orbene, per costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  ai  fini
dell'ammissibilita'  della  questione  incidentale  di   legittimita'
costituzionale  e'  sufficiente  che   il   giudice   a   quo   abbia
consapevolmente  escluso  la  praticabilita'  di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, sulla base del tenore  letterale  della
disposizione censurata (da ultimo, sentenze n. 34 e n. 19  del  2022,
n. 204, n. 172, n. 61 e n. 45 del 2021, n. 218 e n. 158 del 2020). 
    5.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    6.- Come questa Corte ha evidenziato fin dalla  sentenza  n.  408
del 1989, la rilevanza costituzionale della cooperazione trova la sua
ragion  d'essere  «nella  piu'  stretta  inerenza  che  la  "funzione
sociale" presenta  nell'organizzazione  cooperativistica  rispetto  a
quella  che  la  detta  funzione  riveste  nelle   altre   forme   di
organizzazione produttiva». 
    Nonostante  la  multiforme  articolazione  che  ha  assunto   nel
concreto dell'esperienza economica, il modello cooperativistico tiene
per se' una vocazione affatto peculiare, quale strumento elettivo  di
integrazione  sociale,  specificita'  riconosciuta  anche  a  livello
europeo, tramite il Regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio,  del
22 luglio 2003, relativo  allo  statuto  della  Societa'  cooperativa
europea (SCE). 
    Come nel corso fisiologico della sua esistenza, cosi' nella  fase
patologica  della  crisi,  la   societa'   cooperativa,   quand'anche
esercente un'attivita' commerciale, non e' perfettamente assimilabile
a una societa' lucrativa, ma conserva rispetto  ad  essa  profili  di
specificita', che non possono essere superati in forza di un generico
richiamo alla parita' di trattamento tra operatori economici. 
    6.1.-  La  giurisprudenza  di   legittimita'   ha   ripetutamente
affermato che la mutualita' cooperativistica  puo'  avere  gradazioni
diverse,  che   vanno   dalla   mutualita'   "pura",   caratterizzata
dall'assenza di qualsiasi scopo  di  lucro,  propria  delle  societa'
cooperative a mutualita' prevalente di cui all'art. 2512  cod.  civ.,
alla  mutualita'  "spuria",  orientata  a  una  maggiore  dinamicita'
operativa anche nei confronti di  terzi  non  soci,  riferibile  alle
societa' cooperative "diverse"; e questo perche' il fine mutualistico
e'  conciliabile  con  il  lucro  "oggettivo",  vale   a   dire   con
l'economicita' della gestione, quale tendenziale proporzionalita' tra
costi e ricavi,  mentre  e'  incompatibile  con  obiettivi  di  lucro
"soggettivo" (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 24 marzo 2014, n. 6835, e  ordinanza  10  ottobre  2019,  n.
25478). 
    Pertanto, anche la societa' cooperativa  a  mutualita'  "spuria",
esercente  un'attivita'  commerciale  e  quindi  soggetta   anche   a
fallimento a norma dell'art. 2545-terdecies cod. civ., non  cessa  di
rappresentare  un'entita'  differente   dalla   societa'   lucrativa,
finalizzata al profitto soggettivo. 
    Cio' si manifesta inequivocabilmente nella circostanza  che  essa
resta soggetta a liquidazione coatta amministrativa, e  non  soltanto
per causa di insolvenza, ai sensi del  medesimo  art.  2545-terdecies
cod. civ., ma anche in  conseguenza  di  uno  scioglimento  per  atto
dell'autorita' di vigilanza, come prevede  l'art.  2545-septiesdecies
cod. civ. nell'ipotesi in cui la cooperativa non  persegua  lo  scopo
mutualistico o non depositi per due anni consecutivi il  bilancio  di
esercizio ovvero non compia atti di gestione. 
    6.2.- L'assoggettabilita' della cooperativa  esercente  attivita'
commerciale alla procedura di liquidazione coatta  amministrativa  e'
indice sicuro della  persistente  rilevanza  pubblicistica  del  tipo
societario. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la liquidazione coatta
amministrativa si connota appunto  per  gli  interessi  pubblici  che
tutela  e  che  la  differenziano  sotto   molteplici   aspetti   dal
fallimento. E' infatti una procedura  relativa  a  imprese  che,  pur
operando nell'ambito del diritto  privato,  attengono  a  particolari
settori economici, in relazione ai quali lo Stato assume  il  compito
della difesa del pubblico affidamento, o  che  sono  in  rapporto  di
complementarita'   teleologico-organizzativa    con    la    pubblica
amministrazione (da ultimo, sentenze n. 22  del  2021  e  n.  12  del
2020). 
    6.3.-  D'altronde,  solo  in  un  contesto  pubblicistico   trova
spiegazione il sistema di  vigilanza  amministrativa  che  l'art.  1,
comma 1, del decreto legislativo 2 agosto  2002,  n.  220  (Norme  in
materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, ai  sensi
dell'articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, recante:
«Revisione  della  legislazione  in  materia  cooperativistica,   con
particolare  riferimento  alla  posizione  del  socio   lavoratore»),
appronta con riferimento a «tutte le forme di societa' cooperative». 
    Infatti, che l'insolvenza della societa' cooperativa possa essere
accertata in sede di vigilanza  amministrativa,  agli  effetti  della
sottoposizione a liquidazione coatta, come si  evince  dall'art.  12,
comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 220  del  2002,  conferma  che  la
crisi funzionale dell'ente mutualistico, anche se  "spurio",  involge
interessi estranei all'insolvenza di un comune soggetto di impresa. 
    6.4.- L'evocazione del parametro di cui all'art. 3 Cost.  risulta
quindi  impropria,  in  quanto  gli  estremi  in  comparazione   sono
eterogenei. 
    Le soglie fissate dagli artt. 1, secondo comma, e 15, nono comma,
della legge fallimentare concernono la dichiarazione  di  fallimento,
mentre l'art. 202 della medesima legge riguarda la  dichiarazione  di
insolvenza, e, come da questa Corte osservato nella sentenza  n.  301
del 2005, l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza di  una
societa'  in  liquidazione  coatta  amministrativa  non  puo'  essere
comparato con la dichiarazione di fallimento. 
    Le  due  dichiarazioni  giurisdizionali   sono   equiparate   dal
legislatore solo per alcuni specifici effetti, cioe' - come  visto  -
ai fini dell'esercizio delle azioni revocatorie fallimentari e  della
configurabilita' di determinate fattispecie penali. 
    Si tratta di effetti che si dispiegano nell'ambito dei  controlli
ex post e che trovano giustificazione in esigenze  pubblicistiche  di
maggiore  tutela,  ora  del  ceto  creditorio  rispetto   agli   atti
pregiudizievoli, ora dell'ordine pubblico economico rispetto a  fatti
di reato. 
    6.5.- E' da considerare che anche  le  cooperative  a  mutualita'
"spuria" godono di  agevolazioni  normative,  non  esclusi  rilevanti
benefici fiscali, questi ultimi  in  deroga  all'art.  223-duodecies,
sesto comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice civile  e
disposizioni transitorie, che  ne  fa  riserva  alle  cooperative  «a
mutualita' prevalente», definite dall'art. 2512 cod. civ. 
    In tal senso provvede, ad esempio, l'art.  1,  comma  464,  della
legge  30  dicembre  2004,  n.  311,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2005)», riguardo al principale vantaggio tributario della
societa' cooperativa, cioe' la detassazione degli utili  destinati  a
riserva indivisibile: seppure in misura ridotta, questo beneficio  e'
concesso anche alle societa' cooperative a mutualita' non prevalente,
in quanto esse stesse, accantonando risorse sottratte per statuto  al
godimento  dei  soci,  si  configurano  come  enti  di  creazione  di
ricchezza intergenerazionale, devoluta tramite i  fondi  mutualistici
per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. 
    Anche da questo punto di vista, risultano giustificate  verifiche
piu' incisive nella fase della crisi di impresa,  onde  garantire  un
utilizzo  non  distorto  delle  misure  di  favore,  a   salvaguardia
dell'interesse  dei  fondi   mutualistici,   ai   quali   i   residui
patrimoniali  sono  destinati  per  statuto,  appunto   in   funzione
dell'accesso ai regimi agevolativi. 
    6.6.- La denuncia sollevata dal Tribunale di Udine per violazione
dell'art. 3 Cost. tradisce  quindi  una  visione  "atomistica"  della
realta' giuridica della societa' cooperativa, all'interno della quale
e' spezzato il nesso tra benefici e controlli. 
    Anche il richiamo ai meccanismi di  composizione  e  liquidazione
previsti dalla legge n. 3 del 2012 si  rivela  improprio,  in  quanto
postula che l'insolvenza di un'impresa di economia sociale - qual  e'
la  societa'  cooperativa  -  possa  essere   equiparata,   su   basi
strettamente  economico-patrimoniali,  all'insolvenza  di   un   mero
debitore civile. 
    7.- Del pari,  quando  denuncia  un'elusione  dell'impegno  della
Repubblica in favore della cooperazione, il rimettente  evoca  l'art.
45 Cost. per una parte soltanto («[l]a legge ne promuove e  favorisce
l'incremento con i mezzi piu' idonei»),  senza  considerare  l'intero
mandato costituzionale («e ne assicura, con gli opportuni  controlli,
il carattere e le finalita'»). 
    Questa Corte ha in piu'  occasioni  riconosciuto  al  legislatore
ampia discrezionalita'  nella  scelta  dei  «mezzi  piu'  idonei»  di
incremento della cooperazione (sentenza n. 334 del 1995; ordinanze n.
19 del 1988 e n. 371 del 1987). 
    A conferma che il favor per la cooperazione debba  essere  inteso
in senso complessivo, non particellare, e che comunque  esso  non  si
traduca in una sommatoria di prerogative, si e' anzi ritenuto che  il
legislatore possa, in questo settore, perseguire obiettivi  sistemici
anche attraverso l'imposizione di oneri (sentenza n. 149 del 2021). 
    Allora, la tutela rafforzata del ceto  creditorio  e  dell'ordine
pubblico economico connessa all'accertamento giudiziario dello  stato
di insolvenza della societa' cooperativa puo' agevolmente  ricondursi
agli «opportuni controlli» raccomandati dall'art. 45 Cost.,  in  base
ad un  non  irragionevole  bilanciamento  legislativo  tra  mezzi  di
promozione e istanze  di  vigilanza,  con  conseguente  insussistenza
della denunciata violazione. 
    8.-  In  conclusione,  entrambe  le   questioni   devono   essere
dichiarate non fondate.