ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 13, secondo
comma, lettera b, del regio decreto-legge  14  aprile  1939,  n.  636
(Modificazioni delle disposizioni  sulle  assicurazioni  obbligatorie
per l'invalidita' e  la  vecchiaia,  per  la  tubercolosi  e  per  la
disoccupazione involontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la
maternita' con l'assicurazione obbligatoria per la  nuzialita'  e  la
natalita'), convertito, con modificazioni, in legge 6 luglio 1939, n.
1272, come sostituito dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952,  n.  218
(Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per  la
invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti),  nel  testo  riformulato
dall'art. 22 della legge n. 903 del 1965, promosso  dalla  Corte  dei
conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Lazio,  nel   procedimento
vertente tra  A.  D.V.,  nella  qualita'  di  genitore  esercente  la
responsabilita' sul figlio minore R. P., e il Ministero della  difesa
e altri, con ordinanza del 22 giugno 2020,  iscritta  al  n.  62  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di  A.  D.V.,  nella  qualita'  di
genitore esercente la responsabilita' sul  figlio  minore  R.  P.,  e
dell'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS),  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    uditi gli avvocati Grazia  Maria  Mantelli  per  A.  D.V.,  nella
qualita' di genitore esercente la responsabilita' sul  figlio  minore
R. P., Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato dello  Stato  Gianni
De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza  iscritta  al  n.  62  del  2021  del  relativo
registro, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale  regionale  per
il Lazio,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 22, secondo comma, della  legge  21  luglio  1965,  n.  903
(Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di  pensione
della previdenza sociale)  -  recte:  dell'art.  13,  secondo  comma,
lettera  b),  del  regio  decreto-legge  14  aprile  1939,   n.   636
(Modificazioni delle disposizioni  sulle  assicurazioni  obbligatorie
per l'invalidita' e  la  vecchiaia,  per  la  tubercolosi  e  per  la
disoccupazione involontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la
maternita' con l'assicurazione obbligatoria per la  nuzialita'  e  la
natalita'), convertito, con modificazioni, in legge 6 luglio 1939, n.
1272, come sostituito dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952,  n.  218
(Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per  la
invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti),  nel  testo  riformulato
dall'art. 22 della legge n. 903 del 1965. 
    Il giudice  rimettente  deduce  che  la  richiamata  disposizione
sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 30, commi primo e terzo, della
Costituzione, «nella parte in cui al figlio minorenne che sia nato da
due  persone  non  unite  tra  loro  da  vincolo  coniugale   prevede
l'attribuzione di una quota  della  pensione  privilegiata  indiretta
identica a quella del figlio che riguardo a  tale  pensione  concorra
insieme all'altro suo genitore  superstite,  anziche'  della  maggior
quota del 70% spettante (ai sensi dell'art. 1, comma 41, della  legge
n° 335/1995) al minore che abbia perduto entrambi i suoi genitori». 
    In via «scaturente» dall'eventuale accoglimento della  questione,
inoltre, il medesimo rimettente ha sollevato  un'ulteriore  questione
di legittimita' costituzionale, questa volta  avente  ad  oggetto  il
combinato disposto dei commi secondo e quarto del  medesimo  art.  22
della legge n. 903 del  1965  (recte:  dei  commi  secondo  e  quarto
dell'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come sostituiti dall'art.  2
della legge n. 218 del 1952, nel testo riformulato dall'art. 22 della
legge n. 903 del 1965), «nella parte in  cui  non  prevedono  che  le
quote di pensione del 70% e  del  60%  rispettivamente  spettanti  al
predetto figlio minorenne ed  al  coniuge  superstite  (che  non  sia
genitore di quel  minore)  vadano  ricondotte  entro  il  complessivo
limite del 100% riducendo proporzionalmente ambedue tali quote». 
    In punto di fatto,  il  giudice  rimettente  riferisce  di  dover
decidere un ricorso presentato da A.D.V., nella qualita' di  genitore
esercente la  responsabilita'  sul  figlio  minore  R.P.,  nato  «una
ventina di giorni  dopo»  la  morte  del  padre,  P.P.  Quest'ultimo,
deceduto in data 10  giugno  2008,  e'  stato  riconosciuto,  in  via
giudiziale - dopo la sua morte -, quale  padre  del  minore  R.P.:  a
seguito del riconoscimento, al minore e' stata attribuita la pensione
indiretta in qualita' di superstite di P.P. 
    Tuttavia, la pensione indiretta e'  stata  riconosciuta  anche  a
C.D.M., nella veste di coniuge separato di P.P., «la quale in  virtu'
della  separazione  stessa  vantava  il  diritto  ad  un  assegno  di
mantenimento mensile». 
    Il trattamento pensionistico di cui si tratta e' stato attribuito
ai due superstiti secondo le quote percentuali stabilite dall'art. 22
della legge n. 903 del 1965, calcolate rispetto  al  trattamento  che
sarebbe  spettato  all'assicurato.  A  regime,  pertanto,  e'   stata
riconosciuta una quota pari al 60 per cento, in  favore  del  coniuge
separato, e una quota pari al 20 per  cento,  in  favore  del  figlio
minore.  Dette   quote,   per   il   primo   triennio,   sono   state
proporzionalmente innalzate (rispettivamente, al 75 per cento e al 25
per   cento)   in   virtu'   del   trattamento   speciale   spettante
all'assicurato, a mente di quanto previsto dall'art. 93  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  29   dicembre   1973,   n.   1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato). 
    Il ricorso presentato da A.D.V. -  osserva  il  rimettente  -  e'
volto a contestare «la legittimita' sostanziale» di tale riparto,  in
quanto  la  quota  cosi'  riconosciuta  al  figlio  minore  non   gli
garantirebbe «quel sufficiente sostentamento economico a cui  risulta
preordinata la pensione ai superstiti». Nel giudizio a quo, pertanto,
la ricorrente ha domandato la rideterminazione in melius della  quota
di  pensione  da  attribuire  al   minore   R.P.,   con   correlativo
abbattimento di quella spettante alla resistente C.D.M. 
    Riferisce il rimettente che nel giudizio a quo si sono costituiti
sia l'Istituto nazionale per la previdenza  sociale  (INPS),  che  ha
rivendicato di aver correttamente applicato le norme vigenti, sia  il
Ministero  della  Difesa  (anch'esso,  ad  opponendum  rispetto  alla
domanda avanzata dalla ricorrente), sia infine  la  controinteressata
C.D.M. 
    Sulla premessa, incontroversa, che il minore R.P. non  e'  figlio
della «convenuta» C.D.M., e che, purtuttavia, la  pensione  indiretta
e' stata loro attribuita «nella medesima rispettiva  misura  prevista
per il caso in cui quel rapporto di filiazione fosse sussistito»,  il
rimettente reputa che la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 13, secondo comma, lettera b), del r.d.l. n. 636 del  1939,
che stabilisce la quota del 20 per cento in favore del figlio  minore
superstite, non sia  manifestamente  infondata  in  riferimento  agli
artt. 3 e 30, commi primo e terzo, Cost. 
    Viene richiamato, a sostegno, il precedente di cui alla  sentenza
di  questa  Corte  n.  86   del   2009,   con   cui   fu   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85, primo comma, numero 2),
del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,  n.  1124
(Testo unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali),  «nella
parte in cui, nel  disporre  che,  nel  caso  di  infortunio  mortale
dell'assicurato,  agli  orfani  di  entrambi  i  genitori  spetta  il
quaranta per cento della  rendita,  esclude  che  essa  spetti  nella
stessa misura anche all'orfano di  un  solo  genitore  naturale».  La
motivazione di quella pronuncia, avendo riguardo alla situazione  del
figlio minore, nato fuori  dal  matrimonio,  il  cui  genitore  abbia
patito un infortunio mortale, rinvenne il contrasto della  menzionata
disposizione con gli artt. 3 e 30 Cost., osservando  che  il  mancato
riconoscimento, a favore del genitore superstite, di «alcun beneficio
economico, neppure indiretto, [...] in quanto non coniugato»  con  la
vittima di un infortunio mortale, pone il minore, che sia  figlio  di
quella medesima vittima e del predetto genitore superstite,  «in  una
condizione analoga a quella di chi ha perso entrambi i genitori». 
    Il principio cosi' affermato da  questa  Corte,  a  giudizio  del
rimettente, dovrebbe «logicamente permane[re] fermo anche in un  caso
come quello di specie», nel quale,  comunque,  seppur  esistente,  il
coniuge superstite del de cuius non e' il  genitore  del  minore.  Al
contrario, la lettera b) del secondo comma dell'art. 13 del r.d.l. n.
636 del 1939 (nella formulazione da ultimo introdotta con  l'art.  22
della legge n. 903 del  1965)  non  attribuisce  alcun  rilievo  alla
circostanza che il minore sia, o meno, figlio del coniuge  superstite
al quale viene riconosciuta la quota del 60 per cento  e  fissa,  nei
suoi confronti, comunque e in ogni caso, la quota  del  solo  20  per
cento. In tal modo, secondo il rimettente,  verrebbero  trattate  «in
maniera identica situazioni sostanziali che, invece, con la  sentenza
n° 86/2009 il giudice delle leggi ha reputato nitidamente diverse». 
    La questione  che  viene  sollevata,  pertanto,  dovrebbe  essere
giudicata fondata sulla base di  «quei  medesimi  parametri»  cui  ha
avuto riguardo la sentenza n. 86 del 2009. 
    A  completamento  della  propria  ricostruzione,  il   rimettente
richiama l'art. 1, comma 41, secondo periodo, della  legge  8  agosto
1995, n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio  e
complementare), che dispone quanto segue: «In  caso  di  presenza  di
soli figli di  minore  eta',  studenti,  ovvero  inabili,  l'aliquota
percentuale della pensione e' elevata al 70 per  cento  limitatamente
alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza dalla data  di  entrata
in vigore della presente legge». 
    La rilevanza della questione cosi' prospettata, peraltro, sarebbe
«palese».  «[L]'indefettibile  presupposto  logico»,  atto  a   poter
condurre il giudicante  ad  una  pronuncia  di  accoglimento,  seppur
parziale, della domanda avanzata dalla  ricorrente,  sarebbe  proprio
costituito dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale  della
norma che circoscrive al 20 per cento la quota di pensione  indiretta
anche nell'ipotesi in  cui  il  minore  non  e'  figlio  del  coniuge
superstite concorrente nel diritto alla pensione stessa. 
    Una volta accolta la questione cosi' prospettata,  il  rimettente
osserva,  altresi',  che  si  aprirebbe  «un  ulteriore  profilo   di
doglianza», concernente il riparto  della  pensione  tra  il  coniuge
superstite ed il minore. La fissazione della quota al 70  per  cento,
in favore di quest'ultimo (derivante dalla invocata sentenza additiva
di questa Corte, e rinveniente il proprio fondamento nella previsione
dell'art. 1, comma 41, secondo periodo, della legge n. 335 del 1995),
aggiungendosi alla quota del 60 per  cento  che  continua  ad  essere
stabilita, in favore del coniuge, dalla lettera a) del secondo  comma
dell'art. 13 del r.d.l. n. 636 del  1939,  comporterebbe  infatti  il
travalicamento della quota del 100  per  cento:  esito,  questo,  non
permesso dall'art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939, come
da ultimo sostituito dall'art. 22 della legge  n.  903  del  1965,  a
norma del quale «[l]a pensione ai superstiti non puo', in ogni  caso,
essere complessivamente [...] superiore  all'intero  ammontare  della
pensione calcolata a norma dell'art. 12». 
    Nel ricordare che la misura del 100 per cento, secondo la  legge,
non e' superabile neppure nel caso in cui con il  coniuge  superstite
concorrano piu' di due figli, e nemmeno nel caso in cui  la  pensione
di reversibilita' spetti esclusivamente ai figli in numero  superiore
a tre, il rimettente ritiene che «l'opzione piu' equa e  ragionevole»
sia quella che conduca ad una «decurtazione proporzionale» delle  due
quote del 70 per cento e del 60 per  cento,  «fino  a  ricondurne  la
somma alla misura del 100%». Il che, quindi,  equivarrebbe  al  53,85
per cento circa in favore del figlio minore e ad uno speculare  46,15
per cento in favore del coniuge superstite. Tuttavia, simile  calcolo
proporzionale non sarebbe consentito dalla normativa vigente, nemmeno
se corretta con la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
prima  propugnata:  ne  deriverebbe  che  il  riparto   proporzionale
dovrebbe essere introdotto con un'apposita ed ulteriore  declaratoria
di illegittimita' costituzionale, tale da non penalizzare  ne'  l'uno
ne' l'altro dei due interessati. 
    In quanto precede,  peraltro,  risiederebbe  anche  la  rilevanza
della  ulteriore  questione  di  legittimita'  costituzionale   cosi'
prospettata. 
    2.- Si  e'  costituito  in  giudizio  l'INPS,  deducendo  la  non
fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    Quanto alla prima  delle  due  questioni,  costituirebbe  aspetto
dirimente, ai  fini  del  rigetto,  la  distinzione  sostanziale  tra
l'istituto  della   rendita   corrisposta   dall'Istituto   nazionale
infortuni sul lavoro (INAIL), che ha  formato  oggetto  dell'invocato
precedente di questa Corte, di cui alla sentenza n. 86  del  2009,  e
l'istituto della pensione di reversibilita' in favore dei superstiti,
distinzione che risulterebbe affermata anche dalla giurisprudenza  di
legittimita'. Mentre la rendita  INAIL  costituisce  «un  trattamento
economico che soddisfa la medesima perdita al cui ristoro e' volta la
disciplina del danno civilistico» - tanto che gli importi corrisposti
a titolo di rendita, a favore del  danneggiato,  vanno  detratti  dal
risarcimento complessivo dovuto  dal  terzo  danneggiante,  ai  sensi
dell'art. 1905 del  codice  civile,  utilizzando  lo  «strumento  del
defalco» -, la pensione di reversibilita' «trae il suo fondamento nel
vincolo  solidaristico  e  non  nella  necessita'  di  rimuovere   le
conseguenze dannose  prodotte  dal  fatto  illecito  del  terzo».  Di
conseguenza, le  conclusioni  cui  e'  giunta  questa  Corte  con  la
sentenza n. 86 del 2009 non potrebbero essere  trasposte  al  diverso
istituto che oggi viene in considerazione. 
    Peraltro, l'estensione di  quelle  motivazioni  al  caso  odierno
determinerebbe, secondo la difesa  dell'INPS,  la  configurazione  di
«una sorta di vincolo di destinazione a favore dei figli», risultando
invece «pacifico» che il genitore «resta libero di  destinare  o  non
destinare la rendita al mantenimento dei  figli».  La  valorizzazione
del dato patrimoniale, pertanto, non potrebbe comportare «un giudizio
di  diseguaglianza  di  trattamento  tra  soggetti  che   non   siano
destinatari  di  tale  rendita  e  percio'  stesso   tra   loro   non
comparabili». Diversamente ragionando, la  discriminazione  affermata
dalla sentenza n.  86  del  2009  «potrebbe  estendersi  a  qualsiasi
creditore,  essendo  fin  troppo  ovvio  che  la  maggiore  o  minore
consistenza patrimoniale del debitore non e' mai indifferente per  il
creditore (art. 2740, comma 1, c.c.)». 
    La discriminazione tra «figli legittimi» e «figli  naturali»  non
potrebbe invero fondarsi sulla diversa consistenza  patrimoniale  dei
genitori, ma -  a  giudizio  dell'INPS  -  andrebbe  apprezzata  «con
esclusivo riferimento alla condizione dei figli stessi» (viene citata
la sentenza n. 360 del 1985 di questa Corte). 
    In  definitiva,  secondo   l'INPS,   non   si   porrebbe   alcuna
discriminazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori  del
matrimonio, posto che  ad  entrambi  e'  attribuita  dalla  legge  la
medesima quota di pensione (il 20 per cento), laddove il quantum  «e'
rapportato non alla situazione  economica  dei  beneficiari  ma  alla
misura  della  pensione  gia'  liquidata  o  che   sarebbe   spettata
all'assicurato». 
    Un'eventuale declaratoria di illegittimita'  costituzionale,  nei
sensi indicati dal rimettente, recherebbe anzi con se' il rischio  di
una «discriminazione tra figli naturali e figli legittimi a danno  di
questi ultimi, i quali, infatti, finirebbero per ricevere  una  quota
del trattamento pari al settanta per cento solo se orfani di entrambi
i genitori diversamente dai primi  ai  quali  spetterebbe  la  stessa
percentuale anche quando sopravviva uno dei genitori che ha proceduto
al loro riconoscimento». 
    Inoltre, l'INPS osserva che nella medesima situazione  sottoposta
al giudice rimettente potrebbe venirsi a  trovare  «anche  un  figlio
legittimo,  nato  da   precedente   matrimonio   del   dante   causa,
nell'ipotesi in cui risulti contitolare del trattamento ai superstiti
unitamente al nuovo coniuge  del  defunto  genitore».  Le  violazioni
censurate, che il rimettente riferisce al canone  dell'eguaglianza  e
all'art. 30 Cost.,  quindi,  non  sussisterebbero:  «come  spetta  al
figlio legittimo la quota del venti per cento in concomitanza con  il
genitore superstite, parimenti spetta il venti per  cento  al  figlio
naturale, che, in ogni modo, ha un genitore che l'ha riconosciuto  ed
e' tenuto al rispetto dei doveri familiari  a  termini  dell'art.  30
suddetto». 
    Non  fondata  sarebbe,  peraltro,  anche  la  seconda   questione
sollevata dal rimettente.  La  ripartizione  del  trattamento  -  non
modificabile neppure secondo il prudente apprezzamento del giudice  -
risponderebbe, infatti, «a logiche di discrezionalita'  di  esclusiva
pertinenza del  Legislatore»  il  quale,  con  le  norme  attualmente
vigenti,  avrebbe  comunque  assicurato   «un   nucleo   di   diritto
intangibile ed essenziale,  riconosciuto  iure  proprio,  a  soggetti
legati  in  modo  qualificato  al  dante  causa».  Le   quote   cosi'
individuate  rappresenterebbero   «il   contenuto   di   un   diritto
indisponibile financo dallo stesso titolare del trattamento diretto».
In definitiva, non vi  sarebbe  «alcun  margine  di  discrezionalita'
giudiziaria  nella   modulazione   delle   dette   quote»,   la   cui
individuazione costituirebbe il  frutto  di  «un'insindacabile  [...]
discrezionalita' politica e legislativa». 
    3.- Nel giudizio dinnanzi a questa Corte si e'  costituita  anche
A.D.V.,  nella  qualita'  di  unica  esercente   la   responsabilita'
genitoriale sul minore R. P., concludendo  per  l'accoglimento  delle
questioni di legittimita' costituzionale. 
    La parte privata ricorda che con la legge di riforma n.  335  del
1995  la  disciplina  del  trattamento  pensionistico  a  favore  dei
superstiti del pensionato o dell'assicurato  -  gia'  in  vigore  nel
regime obbligatorio gestito dall'INPS - e' stata estesa  a  tutte  le
forme di previdenza esclusive e sostitutive  di  tale  assicurazione,
«abrogando di fatto, in molte parti,  la  normativa,  precedentemente
prevista per i soli pubblici  dipendenti  di  cui  agli  artt.  81  e
seguenti del testo unico DPR n. 1092/73». 
    Nel caso di specie - riferisce la parte privata -  P.  P.,  padre
del minore R. P., militare in servizio con il  grado  di  maresciallo
capo dell'Esercito italiano, e' deceduto  in  data  10  giugno  2008,
quando ancora risultava coniugato con  C.D.M.,  dalla  quale  si  era
separato nell'anno 1998 senza  aver  avuto  figli.  Quest'ultima,  in
quanto titolare di un assegno di mantenimento mensile,  e'  risultata
titolare del diritto alla  pensione  di  reversibilita',  insieme  al
minore R. P. 
    Essendo stata riconosciuta la causa di servizio del  decesso  del
maresciallo capo P.P., ai  due  beneficiari  e'  stato  liquidato  il
trattamento speciale di cui all'art. 93 del d.P.R. n. 1092 del  1973,
cosi' innalzandosi le quote della pensione di reversibilita',  per  i
primi tre anni, rispettivamente al 75 per cento  (in  favore  dell'ex
coniuge) e al 25 per cento (in favore del figlio minore); cio', fermo
restando che, a regime, dette quote saranno, rispettivamente, pari al
60 per cento e al 20 per cento. 
    In diritto, la parte privata osserva che la normativa in  materia
di pensione indiretta (o  di  reversibilita'),  promulgata  nell'anno
1965, e' antecedente alla legge 1° dicembre 1970, n. 898  (Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio), che ha fatto venir meno  il
principio dell'indissolubilita'  del  matrimonio.  Quella  normativa,
pertanto, ha avuto (ed ha ancora) come unico  presupposto  «l'ipotesi
che il figlio o i figli del de cuius  [...]  fossero  necessariamente
anche il figlio od i figli della  coniuge  superstite».  Da  qui,  la
previsione che il coniuge superstite (gia' titolare di una quota pari
al 60 per cento) benefici di  una  «integrazione  in  proprio  favore
nella misura del 20% (in caso di un solo figlio) o del 40% in caso di
due o piu' figli», integrazione volta  a  «soddisfare  l'esigenza  di
dare una maggiore disponibilita' alla moglie/madre per  sopperire  ai
bisogni del figlio/figli». Tanto e' vero che, qualora  siano  solo  i
figli ad aver diritto alla pensione, l'aliquota  in  loro  favore  e'
piu' alta, prevedendosi la quota del 70 per cento in presenza  di  un
solo figlio, ovvero - precisa la parte privata - dell'80 per cento se
i figli sono due, o addirittura del 100 per cento sei  i  figli  sono
tre o piu' (viene richiamato l'art. 1, comma 41, della legge  n.  335
del 1995): cio', «proprio in virtu'  del  fatto  che  [i  figli]  non
possono contare sul  contributo  indiretto  che  riceverebbero  dalla
pensione indiretta o di reversibilita' riconosciuta alla loro  madre,
solo in quanto coniuge». 
    La legge n. 898 del 1970 ha disciplinato la  fattispecie  in  cui
concorrano, come titolari della pensione indiretta, sia l'ex  coniuge
titolare dell'assegno di mantenimento, sia il nuovo  coniuge  del  de
cuius. In tale situazione (art. 9, comma 3), la legge ha  rimesso  al
giudice il potere di determinare il riparto della  pensione,  tenendo
conto della durata dei rispettivi rapporti di coniugio. La successiva
giurisprudenza «consolidatasi in materia», prendendo spunto da questa
previsione, ha quindi riconosciuto al giudice del  merito  «anche  la
possibilita' di applicare dei correttivi di tipo equitativo», come la
durata della convivenza  prematrimoniale,  le  condizioni  economiche
delle parti, la conservazione dei reciproci tenori di vita, eccetera.
Cio', al fine  di  assicurare,  conformemente  alla  normativa,  «una
ripartizione tra gli aventi diritto, conforme  ai  principi  etici  e
solidaristici». 
    Nessuna novita' normativa - precisa la parte privata - e'  invece
intervenuta per regolamentare la situazione dei figli, «nel  caso  in
cui questi ultimi non fossero i figli»  del  coniuge  avente  diritto
alla quota, nemmeno dopo che - con le  ulteriori  novita'  introdotte
dal  legislatore  -  e'  stata  ormai  eliminata  qualsiasi   residua
discriminazione tra figli nati nel e fuori del matrimonio. 
    In tal modo, la norma censurata dal rimettente  non  garantirebbe
l'attuazione del principio di uguaglianza, «nel momento in  cui,  non
attribuendo alcun rilievo alla circostanza che il minore sia  o  meno
figlio del coniuge superstite, non  tiene  conto  del  fatto  che  il
secondo non gode di quella parte di  aliquota  che  seppur  spettante
alla moglie, se la stessa [gli] fosse anche madre, necessariamente la
metterebbe a sua disposizione». 
    Anche la parte privata richiama la sentenza di questa Corte n. 86
del 2009, il cui principio di fondo andrebbe «traslato alla normativa
in  questione».  Cio',  al  fine  di  superare  il   dato   normativo
attualmente vigente, che comprime unicamente il  diritto  del  figlio
«il quale, in  assenza  del  coniuge  si  vedrebbe  riconosciuta  una
aliquota pari al 70% (o 80% o 100% se  due  o  tre  e  piu'  figli)»,
laddove invece «in presenza di quest'ultimo si vedrebbe  notevolmente
ridotta la propria aliquota al 20% (o al 40%  da  dividersi  con  gli
altri figli), senza che venga operata alcuna differenza tra l'ipotesi
che il coniuge superstite sia anche il genitore del figlio superstite
e quella che non lo sia». In sostanza, limitare la quota  del  figlio
al solo 20 per cento equivarrebbe a  privarlo  «di  quella  parte  di
aliquota che la madre necessariamente metterebbe a sua disposizione»,
con cio' tradendo la ratio dell'istituto previdenziale de quo,  volto
alla liberazione dal bisogno e alla  garanzia  di  minime  condizioni
economiche che consentano l'effettivo godimento dei diritti civili  e
politici (specialmente nell'ipotesi in cui l'altro genitore «non  sia
produttore di reddito»). 
    Ne deriverebbe  la  lamentata  disparita'  di  trattamento  e  il
contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 30 Cost., anche  sotto
il profilo della «diseguaglianza di fatto»  e  della  violazione  del
principio di ragionevolezza che costituisce «un  naturale  corollario
del principio di uguaglianza». Di conseguenza al  figlio  superstite,
il  quale  non  sia   figlio   del   coniuge   superstite,   andrebbe
«riconosciuta quella quota di pensione aggiuntiva  che,  nell'ipotesi
in cui fosse  nato  in  una  famiglia  giuridicamente  riconosciuta»,
risulterebbe «conglobata nella pensione complessivamente destinata al
coniuge nella sua qualita' di superstite  amministratore  del  menage
familiare». La violazione dell'art. 30 Cost., dunque, sussisterebbe -
a  giudizio  della  parte  privata  -  «sia  sotto  il  profilo   del
diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli
anche se nati fuori dal matrimonio, sia sotto il profilo dell'obbligo
per  il  legislatore  di  assicurare  a  questi  ultimi  ogni  tutela
giuridica e sociale». 
    Riguardo   poi,   all'ulteriore   questione    di    legittimita'
costituzionale sollevata dal giudice  rimettente,  la  parte  privata
osserva che l'auspicato riconoscimento della quota del 70  per  cento
in favore del figlio superstite,  comportando  il  superamento  della
quota dell'intero - in quanto affiancata alla quota per l'ex coniuge,
pari pur sempre al 60 per cento -, imporrebbe l'ulteriore  correzione
consistente  nel  «calcolo  proporzionale»,  cosi'   come   suggerito
dall'ordinanza di rimessione. Tale correzione, fa peraltro notare  la
parte, risulterebbe «sancita nella legge sul  divorzio  con  riguardo
appunto alla presenza di un ex coniuge e di un coniuge superstite». 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per l'inammissibilita' o la non  fondatezza  delle
questioni sollevate. 
    La difesa erariale - nel confermare, in  quanto  «incontroversi»,
tutti i fatti  di  causa  riportati  dal  giudice  a  quo  -  solleva
anzitutto dubbi sull'ammissibilita' delle questioni  di  legittimita'
costituzionale. Per un verso, l'intervento domandato a  questa  Corte
sarebbe «senz'altro creativo ed eccedente rispetto  ai  poteri  della
Corte, implicando scelte affidate alle valutazioni del  legislatore»;
per altro verso, il  potere  discrezionale  del  legislatore  sarebbe
suscettibile di sindacato della Corte «solo laddove il suo  esercizio
travalichi il canone della ragionevolezza che  deve  presiedere  alle
scelte normative», situazione non ravvisabile nella specie. 
    Nel  merito,  sulla  premessa  che  la  pensione  ai   superstiti
costituisce un «istituto posto a tutela del nucleo familiare in  caso
di morte del lavoratore o del pensionato, al fine  di  compensare  in
favore dei superstiti  la  privazione  definitiva  di  una  fonte  di
reddito indispensabile per il soddisfacimento dei propri bisogni», la
difesa  erariale  ricorda   che,   secondo   la   giurisprudenza   di
legittimita', si tratta  «di  diritto  spettante  "iure  proprio"  ai
superstiti», in ragione dei loro rapporti  con  il  defunto  e  della
situazione in cui  essi  si  trovano  al  momento  della  sua  morte.
Tuttavia, l'esigenza di assicurare piena tutela al figlio minore  del
de cuius non potrebbe «andare a  comprimere  (se  non  attraverso  un
intervento creativo) la quota ex lege predeterminata  in  favore  del
coniuge (o dell'ex coniuge)». L'ordinamento, nell'attuale  quadro  di
piena parificazione tra figli nati nel e  fuori  del  matrimonio  (ai
sensi di quanto prevede il decreto legislativo 28 dicembre  2013,  n.
154, recante «Revisione delle  disposizioni  vigenti  in  materia  di
filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012,  n.
219»), avrebbe gia' stabilito un contemperamento tra  i  diritti  del
figlio minore e quelli in capo all'ex coniuge. 
    Qualora, tuttavia, si ritenessero estensibili al caso in esame  i
principi gia' espressi da questa Corte con l'invocata sentenza n.  86
del 2009, cio' - secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri  -
renderebbe «ancora piu' evidente la  indispensabilita'  [...]  di  un
intervento del legislatore e non certo una pronuncia della Corte». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio,  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22,
secondo comma, della legge 21 luglio 1965, n.  903  (Avviamento  alla
riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della  previdenza
sociale) - recte: dell'art. 13, secondo comma, lettera b), del  regio
decreto-legge  14  aprile   1939,   n.   636   (Modificazioni   delle
disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita' e  la
vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e
sostituzione dell'assicurazione per la maternita' con l'assicurazione
obbligatoria per la  nuzialita'  e  la  natalita'),  convertito,  con
modificazioni, in legge 6  luglio  1939,  n.  1272,  come  sostituito
dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n.  218  (Riordinamento  delle
pensioni  dell'assicurazione  obbligatoria  per  la  invalidita',  la
vecchiaia ed i superstiti), nel testo riformulato dall'art. 22  della
legge n. 903 del 1965 - per contrasto con gli artt.  3  e  30,  commi
primo e terzo, della Costituzione, «nella  parte  in  cui  al  figlio
minorenne che sia nato da due persone non unite tra loro  da  vincolo
coniugale  prevede  l'attribuzione  di  una  quota   della   pensione
privilegiata indiretta identica a quella del figlio  che  riguardo  a
tale pensione concorra insieme  all'altro  suo  genitore  superstite,
anziche' della maggior quota del 70% spettante (ai sensi dell'art.  1
comma 41 della  legge  n°  335/1995)  al  minore  che  abbia  perduto
entrambi i suoi genitori». 
    Il secondo  comma  dell'art.  13  del  r.d.l.  n.  636  del  1939
stabilisce le aliquote percentuali della  pensione  che,  nel  regime
dell'assicurazione generale  obbligatoria,  spettano  in  favore  dei
superstiti in caso di morte del pensionato  o  dell'assicurato.  Tali
aliquote, calcolate rispetto  alla  pensione  gia'  liquidata  o  che
sarebbe spettata all'assicurato, sono fissate nella misura del 60 per
cento in favore del coniuge (lettera a) e del 20 per cento in  favore
di ciascun figlio se ha diritto a pensione anche il  coniuge,  oppure
del 40 per cento  se  hanno  diritto  a  pensione  soltanto  i  figli
(lettera b). 
    Nella  fattispecie  sottoposta  al   giudizio   del   rimettente,
l'Istituto nazionale per la previdenza sociale  (INPS)  ha  applicato
dette aliquote ai fini della liquidazione  della  pensione  indiretta
spettante, rispettivamente,  all'ex  coniuge  superstite  (legalmente
separato e  avente  diritto  al  mantenimento)  e  al  figlio  minore
superstite di un maresciallo capo dell'Esercito italiano, deceduto in
servizio nell'anno 2008. Il figlio minore, tuttavia,  e'  nato  fuori
dal matrimonio, da una relazione intercorsa tra  il  de  cuius  e  la
ricorrente del giudizio a quo. Quest'ultima  -  non  destinataria  di
alcuna quota di pensione indiretta, in quanto non legata  da  vincolo
matrimoniale  con  l'assicurato  -  ha  domandato   al   giudice   la
rideterminazione in melius  della  quota  spettante  al  minore,  con
correlativo  abbattimento  di  quella  riconosciuta  all'ex   coniuge
superstite: cio', sulla scorta della sostanziale ingiustizia  che  si
anniderebbe nel riconoscimento della sola quota del 20 per  cento  al
minore, il quale non puo' beneficiare, neppure indirettamente,  della
quota del 60 per cento riconosciuta all'ex  coniuge  che,  in  questa
fattispecie, non e' sua madre. 
    Il giudice rimettente, nel concordare con la prospettazione della
ricorrente,  ha  dunque  fatto  propri  i   dubbi   di   legittimita'
costituzionale sulla normativa appena richiamata, sollecitando questa
Corte  ad  adottare  una  pronuncia  di  accoglimento  additiva   che
riconosca al minore superstite, figlio del dante  causa  ma  non  del
coniuge superstite di quest'ultimo, beneficiario della quota  del  60
per cento, la stessa che la  legge  riconosce  al  figlio  orfano  di
entrambi i genitori (ossia, attualmente, la quota del 70  per  cento,
prevista dall'art. 1, comma 41, secondo periodo, della legge 8 agosto
1995, n. 335, recante «Riforma del sistema pensionistico obbligatorio
e complementare»). Cio', sulla scorta dello  specifico  precedente  -
caratterizzato,  secondo  il  rimettente,  da  una   «comunanza»   di
«situazione sostanziale sottesa», rispetto all'odierna fattispecie  -
costituito dalla sentenza n. 86 del 2009  di  questa  Corte,  con  la
quale fu dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  85,
primo comma, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30
giugno  1965,  n.  1124   (Testo   unico   delle   disposizioni   per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  sul  lavoro  e  le
malattie professionali), nella parte in cui, nel  disporre  che,  nel
caso di infortunio mortale dell'assicurato, agli orfani di entrambi i
genitori spettasse il quaranta per cento della rendita, escludeva che
essa competesse nella stessa  misura  anche  all'orfano  di  un  solo
genitore naturale. 
    1.1.- Il rimettente, inoltre, assume che l'auspicato accoglimento
della  questione,  nei  termini  appena  descritti,   aprirebbe   «un
ulteriore  profilo  di  doglianza»  riguardante,  questa  volta,   lo
specifico tema del riparto delle quote della pensione  indiretta  tra
l'ex coniuge, che non e' genitore del figlio superstite, e il  minore
stesso. 
    Qualora fosse riconosciuta, a favore di  quest'ultimo,  la  quota
attualmente stabilita dalla legge per il figlio orfano di entrambi  i
genitori - ossia, per  l'appunto,  quella  del  70  per  cento  -  il
contemporaneo riconoscimento della quota del 60 per cento al  coniuge
superstite, quale  derivante  dalla  lettera  b)  del  secondo  comma
dell'art. 13 del r.d.l. n.  636  del  1939  (nella  formulazione,  da
ultimo, introdotta dall'art. 22 della legge n. 903 del 1965), farebbe
travalicare la quota del 100 per cento. Siffatto esito, tuttavia, non
e' consentito dalla previsione di cui al quarto  comma  dello  stesso
art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, a norma del quale «[l]a  pensione
ai superstiti non puo', in ogni caso, essere  complessivamente  [...]
superiore all'intero ammontare della pensione [...]». 
    In via  «scaturente»  dall'accoglimento  della  prima  questione,
pertanto,  la  Corte  dei  conti  rimettente   solleva   un'ulteriore
questione di legittimita' costituzionale, avente ad  oggetto,  questa
volta, il combinato disposto del secondo e del quarto comma dell'art.
22 della legge n. 903 del 1965 (recte: del secondo e del quarto comma
dell'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, nella formulazione da ultimo
introdotta a seguito dell'art. 22  della  legge  n.  903  del  1965),
«nella parte in cui non prevedono che le quote di pensione del 70%  e
del 60% rispettivamente spettanti al predetto figlio minorenne ed  al
coniuge superstite (che non  sia  genitore  di  quel  minore)  vadano
ricondotte  entro  il   complessivo   limite   del   100%   riducendo
proporzionalmente ambedue tali quote». 
    Nel dettaglio, a giudizio del rimettente, l'opzione «piu' equa  e
ragionevole», che questa Corte  e'  sollecitata  a  far  propria  con
un'ulteriore  sentenza  di  accoglimento  additiva,  sarebbe   quella
secondo la quale «quella quota del 70% e l'ulteriore  quota  del  60%
spettante al coniuge superstite  debbano  soffrire  una  decurtazione
proporzionale, fino a ricondurne la somma alla misura  del  100%:  il
che equivarrebbe al 53,85% circa  per  il  figlio  minore  e  ad  uno
speculare  46,15%  circa  per  il  coniuge  superstite,  appunto  con
arrotondamento al secondo decimale». 
    2.- Rispetto a entrambe  le  questioni  sollevate  dalla  sezione
giurisdizionale della Corte dei conti, il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri,  intervenuto  in  giudizio  per  mezzo  dell'Avvocatura
generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilita', sostenendo  che
l'intervento sollecitato «appare  senz'altro  creativo  ed  eccedente
rispetto ai poteri  della  Corte,  implicando  scelte  affidate  alle
valutazioni del legislatore». 
    2.1.- La  disamina  dell'eccezione  richiede  alcune  preliminari
considerazioni. 
    Vale anzitutto precisare che, dal punto  di  vista  dell'eccepita
inammissibilita', le due questioni sollevate dalla  Corte  dei  conti
devono essere trattate congiuntamente. 
    Per un verso, infatti, si apprezza un nesso  di  pregiudizialita'
che  lega  la  seconda  con  la  prima:  qualora  fosse   esatta   la
prospettazione  dell'Avvocatura  dello   Stato,   nel   senso   della
esclusione della possibilita' per  questa  Corte  di  sostituirsi  al
legislatore nell'opera di riequilibrio delle  quote,  la  conseguente
declaratoria di inammissibilita' travolgerebbe non  solo  la  seconda
questione  (volta  proprio  a  determinare  le   quote),   ma   anche
inevitabilmente  la  prima,  in  quanto   non   sarebbe   praticabile
l'addizione nel senso auspicato dal rimettente. 
    Non potrebbe infatti statuirsi che il  figlio  superstite,  nella
fattispecie de qua, abbia diritto  al  medesimo  trattamento  che  la
legge riserva al  figlio  orfano  di  entrambi  i  genitori,  qualora
dovesse negarsi che la quota del 70 per cento, insieme a  quella  del
60 per cento spettante al  coniuge,  possa  da  questa  Corte  essere
riproporzionata nei sensi auspicati dal rimettente, in modo cioe'  da
non  superare  l'intero  ammontare  della  pensione,  come   previsto
dall'art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del  1939.  Del  resto,
l'invalicabilita' di questo tetto non e'  posta  in  discussione  dal
rimettente e non rientra, pertanto, nell'odierno thema decidendum. 
    2.2.-  Per   altro   verso,   la   disamina   dell'eccezione   di
inammissibilita' comporta, per sua stessa natura, l'anticipazione  di
taluni aspetti afferenti, piu' propriamente, al  merito  della  prima
delle due questioni sollevate. E infatti,  in  tanto  puo'  porsi  un
problema di riequilibrio delle quote da  riconoscersi  ai  superstiti
aventi diritto, in quanto si riconosca preliminarmente che  l'attuale
sistema di riparto - quale delineato dal censurato art.  13,  secondo
comma, del r.d.l. n. 636  del  1939,  nella  formulazione  da  ultimo
introdotta attraverso l'art. 22 della legge n. 903 del 1965 - non  e'
idoneo a fornire risposte costituzionalmente adeguate  alle  esigenze
emergenti dalla fattispecie sottoposta al giudizio del rimettente. 
    Quella fattispecie, invero, reclama un riallineamento del sistema
delle quote che sia conforme agli artt. 3 e 30 Cost., in termini  non
dissimili da quelli gia'  precisati  da  questa  Corte  nell'invocata
sentenza n.  86  del  2009  -  avente  ad  oggetto  l'istituto  della
cosiddetta rendita infortunistica corrisposta dall'Istituto nazionale
assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL), di cui  all'art.  85  del
d.P.R. n. 1124 del 1965 -, il cui contenuto di  principio,  sia  pure
adattato alla fattispecie che viene in considerazione nel giudizio  a
quo, merita in questa sede di essere pienamente confermato. 
    2.3.- Sul presupposto che, riguardo ad una famiglia di fatto,  il
convivente more uxorio non debba essere  ricompreso  tra  i  soggetti
beneficiari  del  trattamento  pensionistico  di  reversibilita'  (in
quanto, come affermato da questa Corte, tale  esclusione  «trova  una
sua  non  irragionevole  giustificazione  nella  circostanza  che  il
suddetto trattamento si  collega  geneticamente  ad  un  preesistente
rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca»), la sentenza n.
86 del 2009 ebbe a considerare la situazione peculiare che si  veniva
a determinare in capo al figlio della coppia,  unico  beneficiario  -
quale figlio superstite del lavoratore deceduto -  della  rendita  di
reversibilita' prevista dall'art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965. 
    Tale situazione faceva emergere «una  discriminazione  fra  figli
naturali e figli legittimi che si pone in contrasto con gli artt. 3 e
30  Cost.».  E  infatti,  qualora  il  figlio  superstite  sia   nato
all'interno di un matrimonio, egli, oltre alla quota del 20 per cento
(prevista in suo favore dall'art. 85, primo  comma,  numero  2),  del
d.P.R. n. 1124 del 1965), puo' sempre contare, indirettamente,  anche
sulla quota del 50 per cento che (a norma dello stesso art. 85, primo
comma, numero 1), spetta al  coniuge  superstite,  genitore  di  quel
figlio. Invece, al figlio superstite nato  fuori  dal  matrimonio  la
legge attribuiva solo la quota del  20  per  cento,  senza  che  egli
potesse beneficiare, neanche in modo  indiretto,  di  quel  «plus  di
assistenza» proveniente dall'altro genitore (al quale, in quanto  non
coniugato,  non  spetta  alcuna  quota).  Fu,  pertanto,   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85, primo comma, numero 2),
del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui,  nel  disporre  che,
nel caso  di  infortunio  mortale  dell'assicurato,  agli  orfani  di
entrambi i genitori spettava il quaranta  per  cento  della  rendita,
escludeva che essa spettasse nella stessa misura anche all'orfano  di
un solo genitore naturale. 
    In sostanza, questa  Corte  equiparo'  la  posizione  del  figlio
superstite nato fuori del  matrimonio,  il  quale  non  puo'  godere,
neppure in via indiretta, di altra quota, per il  fatto  che  l'altro
suo genitore  ancora  in  vita  non  e'  titolare  del  diritto  alla
reversibilita',  alla  posizione  del  figlio  superstite  orfano  di
entrambi i genitori, il quale -  parimenti  -  non  puo'  contare  su
nessun'altra  quota  di   reversibilita'.   Il   riequilibrio   della
discriminazione (tra figli nati  nel  e  fuori  del  matrimonio)  fu,
quindi, recuperato mediante l'estensione della disciplina prevista in
favore del figlio  orfano  di  entrambi  i  genitori,  ossia  con  il
riconoscimento della quota del quaranta per cento. 
    2.4.- Una situazione sostanzialmente  analoga  ricorre  nel  caso
oggi all'esame della Corte. 
    Nella disciplina  delle  quote  della  pensione  indiretta  o  di
reversibilita', di cui all'art. 13 del r.d.l. n.  636  del  1939,  e'
invero apprezzabile, negli stessi termini di cui alla sentenza n.  86
del 2009, una discriminazione tra figli nati fuori dal  matrimonio  e
figli nati nel matrimonio. 
    Per un verso, se il figlio superstite  e'  nato  nel  matrimonio,
egli, oltre alla propria quota del  20  per  cento  (quale  stabilita
dall'art. 13, secondo comma, lettera b), del r.d.l. n. 636 del 1939),
puo' sempre contare, indirettamente, anche su un plus  di  assistenza
derivante dalla quota del 60  per  cento  che  per  legge  (art.  13,
secondo comma, lettera a) spetta al coniuge superstite suo genitore. 
    Per altro verso, se il figlio superstite e' invece nato fuori dal
matrimonio, egli puo' contare solo sulla quota del 20 per cento a lui
direttamente attribuita. E' evidente che, nei  casi  come  quello  in
esame, e a differenza del caso sotteso alla pronunzia di questa Corte
del 2009, vi  e'  bensi'  un  altro  avente  diritto  alla  quota  di
reversibilita' - l'ex coniuge superstite -, ma costui non e' genitore
di quel figlio: la mancanza del rapporto di  filiazione  fa,  quindi,
presumere  che   quest'ultimo   non   potra'   beneficiare,   neppure
indirettamente, di tale quota. 
    La condizione del figlio nato fuori dal  matrimonio,  dunque,  ai
fini che qui interessano, e' comparabile a quella del  figlio  orfano
di entrambi i genitori. Come nel caso deciso nel 2009, dunque,  anche
nella presente fattispecie c'e' una diseguaglianza sostanziale che e'
necessario riequilibrare. 
    2.5.- Non sono condivisibili,  del  resto,  gli  argomenti  spesi
dall'INPS nel presente giudizio, volti a sollecitare questa  Corte  a
un revirement rispetto al precedente del 2009. 
    Anzitutto, non assume  alcun  peso,  ai  fini  che  rilevano  nel
presente giudizio, la distinzione tra l'istituto della rendita  INAIL
(oggetto di quel  precedente),  che  ha  natura  indennitaria,  e  la
reversibilita' della pensione ai superstiti, che sorge dal vincolo di
solidarieta' e ha natura previdenziale. E' pur vero - come  osservato
dall'INPS -  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',  la
rendita  prevista  dal  d.P.R.  n.  1124  del  1965  costituisce  una
prestazione economica a carattere indennitario,  avente  funzione  di
copertura del pregiudizio patrimoniale subito  (da  ultimo,  si  veda
Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 18 ottobre 2019,
n. 26647): caratteristiche  che,  invece,  non  si  rinvengono  nella
pensione indiretta, la quale, secondo  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, mutua  la  natura  di  retribuzione  differita  dalle  proprie
connotazioni previdenziali (ex plurimis, sentenza n. 174  del  2016).
Tuttavia, il principio che ha ispirato la sentenza n.  86  del  2009,
ossia l'uguaglianza tra figli nati nel e  fuori  del  matrimonio,  va
rispettato anche nella fattispecie in esame. 
    Non e'  condivisibile  nemmeno  l'ulteriore  argomento  difensivo
utilizzato dall'INPS, facente leva su  una  presunta  discriminazione
che, in caso di estensione della quota del 70  per  cento  nei  sensi
auspicati dal rimettente,  si  determinerebbe  tra  figlio  nato  nel
matrimonio (che beneficerebbe di tale  quota  in  caso  di  morte  di
entrambi  i  genitori)  e  figlio  nato  fuori  del  matrimonio  (che
conseguirebbe la medesima quota pur  quando  sopravviva  l'altro  suo
genitore, che contribuisce al suo  sostentamento).  Questa  obiezione
non tiene conto del fatto che il principio affermato  dalla  sentenza
n. 86 del 2009 va inteso entro la cornice  in  cui  opera  l'istituto
della pensione di reversibilita' (o della pensione indiretta), che e'
quella - come costantemente affermato  da  questa  Corte  -  volta  a
preservare il vincolo di solidarieta' che lega il dante causa ai suoi
familiari, proiettandone la forza cogente anche nel tempo  successivo
alla morte (sentenza n. 174 del 2016; in precedenza,  anche  sentenze
n. 419, n. 180 e n. 70 del 1999). Tale obiettivo deve, evidentemente,
essere riferito in egual misura sia al figlio  nato  nel  matrimonio,
sia a quello nato fuori del matrimonio. Sotto questa prospettiva, non
rilevano le condizioni soggettive del figlio, ossia il fatto che egli
possa contare, o meno, sull'altro genitore ancora in vita (cosi' come
su qualsiasi altra provvidenza, anche indiretta, che possa derivargli
da terzi). 
    Ne', infine,  puo'  sostenersi  che  il  principio  sotteso  alla
sentenza di questa Corte n. 86 del 2009 configurerebbe una  sorta  di
"vincolo di  destinazione",  a  favore  dei  figli,  della  quota  di
spettanza del genitore superstite.  La  ratio  di  quella  decisione,
estensibile anche alla  fattispecie  oggetto  dell'odierno  giudizio,
risiede nella situazione di fatto oggettivamente piu' favorevole  per
il figlio che abbia un genitore titolare di quota rispetto  a  quella
del figlio che non lo abbia. Cio', sulla base della  presunzione  che
il  dovere  di  mantenimento  dei  figli  sarebbe,  nel  primo  caso,
agevolato dalla reversibilita' della pensione spettante  al  genitore
defunto. Nessun "vincolo di destinazione", giuridicamente  rilevante,
puo' farsi cioe' discendere dalla sentenza n. 86 del 2009, ma solo la
necessita' di riequilibrare una  diseguaglianza  "di  fatto"  che  si
traduce nel vulnus ai principi di solidarieta'  sottesi  all'istituto
della reversibilita'. 
    3.- La sussistenza, in astratto, di validi argomenti  a  sostegno
della fondatezza, nel merito, della prima questione  sollevata  dalla
Corte dei conti rimettente rende attuale il problema veicolato  dalla
seconda questione, concernente il necessario riequilibrio delle quote
spettanti agli aventi diritto al fine di non valicare il  limite  del
100 per cento, previsto dall'art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636
del 1939: questione che si pone nei casi, come  quello  che  ha  dato
origine al giudizio a  quo,  in  cui  una  quota  della  pensione  di
reversibilita' spetti al figlio nato fuori dal matrimonio ed altra al
coniuge superstite, non genitore del primo. 
    Il rimettente, come visto, propone  di  risolvere  tale  problema
mediante una sentenza additiva di questa Corte  che,  nel  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  del  combinato  disposto  dei  commi
secondo e quarto dell'art. 13, introduca un meccanismo  di  ricalcolo
"proporzionale" delle quote previste dalla legge, cosi' da ricondurne
la somma entro il limite suddetto. In tal modo, pur a  fronte  di  un
limitato sacrificio per entrambi  gli  aventi  diritto  (i  quali  si
vedrebbero decurtate le quote di  rispettiva  spettanza),  verrebbero
soddisfatte, a suo dire, esigenze di  equita'  e  di  ragionevolezza,
mantenendosi fermo il tetto fissato dal legislatore. 
    E' a questo riguardo che assume portata dirimente l'eccezione  di
inammissibilita' formulata dalla difesa erariale,  eccezione  che  e'
fondata e va accolta. 
    Pur a fronte dell'inadeguatezza del sistema attualmente vigente -
che, come visto, confina all'oblio le ragioni di bisogno  del  figlio
superstite che concorre nella reversibilita' con altro avente diritto
non legato a lui  da  rapporto  di  filiazione  -  non  puo',  pero',
chiedersi a questa Corte  una  diretta  e  autonoma  rideterminazione
delle quote. Si tratterebbe, infatti, di un  intervento  all'evidenza
manipolativo, tale da invadere l'ambito di discrezionalita' riservata
al legislatore. 
    Nella fattispecie in  esame  non  e'  anzitutto  ravvisabile  una
conclusione costituzionalmente obbligata (ex  plurimis,  sentenze  n.
152 del 2020, n. 248  del  2014  e  n.  23  del  2013),  palesandosi,
piuttosto, una pluralita' di criteri risolutivi che, in astratto,  si
possono tutti prospettare come praticabili. La scelta  tra  di  essi,
ovvero - in ipotesi - la scelta di un criterio  ancora  diverso,  non
puo' che spettare al legislatore, il quale, del resto, non ha mancato
di cimentarsi, in passato, con le piu' varie soluzioni, afferenti  al
medesimo istituto della reversibilita' ovvero ad istituti analoghi  o
finanche diversi: e si tratta di soluzioni che sono  state  messe  in
campo anche per far fronte ad istanze sovrapponibili, in misura  piu'
o  meno  ampia,  a  quella  che  ha  mosso  l'odierna  questione   di
legittimita' costituzionale. 
    Tali soluzioni, proprio per la loro varieta', non possono  essere
assunte come grandezza o misura di riferimento  da  parte  di  questa
Corte, neppure ai fini di una sentenza additiva  volta  a  introdurre
una soluzione costituzionalmente adeguata,  ispirata  -  ai  fini  di
assicurare una tutela effettiva a diritti fondamentali -  alla  ratio
sottesa ai suddetti interventi (ex plurimis, sentenze n. 62 e  n.  28
del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del
2019). 
    4.- Pertanto, entrambe le questioni  sollevate  dalla  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, devono essere dichiarate
inammissibili, in ragione del  doveroso  rispetto  della  prioritaria
valutazione del legislatore circa  l'individuazione  dei  mezzi  piu'
idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario  (da
ultimo, sentenza n. 151 del 2021). 
    Tuttavia,  questa  Corte  non  puo'  esimersi  dal  segnalare  la
necessita' di  un  tempestivo  intervento  del  legislatore,  atto  a
colmare la lacuna che - per le ragioni dianzi  poste  in  evidenza  -
compromette  i  valori  costituzionali  sottesi  all'istituto   della
reversibilita', impedendo la piena soddisfazione del diritto a  veder
salvaguardata la forza cogente del vincolo di solidarieta' familiare.