ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 237, 262 e
299 del codice civile, dell'art. 72, primo comma, del regio decreto 9
luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e  degli  artt.
33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre  2000,
n.  396  (Regolamento  per  la   revisione   e   la   semplificazione
dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo  2,  comma
12, della legge 15 maggio 1997, n.  127),  promossi  complessivamente
dal Tribunale ordinario  di  Bolzano,  seconda  sezione  civile,  con
ordinanza  del  17  ottobre  2019,  dalla  Corte  costituzionale  con
ordinanza dell'11 febbraio 2021 e dalla Corte  d'appello  di  Potenza
con ordinanza del 12 novembre 2021, iscritte, rispettivamente, al  n.
78 del registro ordinanze 2020  e  ai  nn.  25  e  222  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, prima serie  speciale,  dell'anno  2020,  n.  9,  prima  serie
speciale, dell'anno 2021 e n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. 
    Visti l'atto di costituzione di A.  M.  e  di  V.  D.C.,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita nell'udienza pubblica del 26 aprile 2022 e nella camera  di
consiglio  del  27  aprile  2022  la   Giudice   relatrice   Emanuela
Navarretta; 
    udito l'avvocato Giampaolo Brienza  per  A.  M.  e  V.  D.C.,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 17 ottobre 2019 e iscritta al  n.
78 del registro delle ordinanze del 2020, il Tribunale  ordinario  di
Bolzano,  seconda  sezione  civile,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 262, primo  comma,  del  codice
civile,  nella  parte  in  cui  -  con   riguardo   all'ipotesi   del
riconoscimento contemporaneo del figlio - non consente  ai  genitori,
di comune  accordo,  di  trasmettere  al  figlio,  al  momento  della
nascita, il solo cognome materno. Ad avviso del  giudice  rimettente,
la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 11  e
117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli
artt. 8 e 14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955,  n.  848,  e  agli  artt.  7  e  21  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere in
ordine al ricorso proposto dal pubblico ministero presso il Tribunale
di Bolzano, ai sensi dell'art. 95 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997,  n.  127),  al
fine di ottenere la rettificazione di un atto di nascita,  dal  quale
risultava che i genitori avessero  attribuito  alla  figlia  il  solo
cognome materno. 
    Il rimettente precisa che, in sede di dichiarazione  di  nascita,
resa  con  il  riconoscimento  contemporaneo  della  figlia   dinanzi
all'incaricato  dal  direttore  sanitario,  i  genitori  le   avevano
attribuito il solo cognome della madre. 
    Di seguito - secondo quanto espone l'ordinanza - la dichiarazione
veniva trasmessa all'ufficiale dello stato civile, che formava l'atto
di nascita, riportando il  solo  cognome  materno;  al  contempo,  il
medesimo  ufficiale  presentava   un'istanza   alla   Procura   della
Repubblica presso il Tribunale di Bolzano, affinche' venisse promosso
il giudizio di rettificazione dell'atto  di  nascita,  onde  renderlo
conforme a  quanto  previsto  dall'art.  262,  primo  comma,  secondo
periodo, cod. civ., per effetto della sentenza di questa Corte n. 286
del 2016. 
    Il rimettente precisa che,  nel  corso  del  giudizio,  le  parti
confermavano la volonta' di attribuire alla figlia  il  solo  cognome
della madre, sicche', dinanzi  a  simile  comune  intento,  sollevava
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 262, primo  comma,
cod. civ., nei termini sopra richiamati (punto 1). 
    1.2.- In punto di rilevanza, il giudice  a  quo  osserva  che  la
norma censurata, come risultante  dalla  citata  sentenza  di  questa
Corte n. 286 del 2016, permette l'attribuzione al figlio  del  doppio
cognome, mediante  l'aggiunta  di  quello  materno,  ma  non  -  come
richiesto da ambo i genitori - l'attribuzione del solo cognome  della
madre. 
    Pertanto,  il  rimettente  deduce  che  dall'accoglimento   delle
prospettate questioni di legittimita' costituzionale dipenderebbe  la
possibilita' di conservare l'indicazione del solo cognome della madre
e, conseguentemente, di rigettare il ricorso presentato dal  pubblico
ministero. 
    1.3.-  Di  seguito,  dopo  aver  rilevato   l'impossibilita'   di
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  della  disposizione
censurata, in considerazione del  suo  chiaro  tenore  letterale,  il
Tribunale di Bolzano ritiene «manifestamente fondat[e]» le  questioni
sollevate. 
    Sostiene che la disciplina sull'attribuzione del cognome, che  e'
chiamato ad applicare, non sarebbe, innanzitutto, conforme all'art. 2
Cost., sotto il profilo della  tutela  dell'identita'  personale  del
figlio, in quanto il valore dell'identita' della persona riflesso nel
nome, nella pienezza e complessita' delle sue  espressioni,  e  nella
sua valenza pubblicistica e privatistica, porterebbe  a  «individuare
nei  criteri  di  attribuzione  del  cognome   del   minore   profili
determinanti della sua identita' personale». 
    Ravvisa, inoltre, un contrasto con il  principio  di  eguaglianza
riferito al genere, non  trovando  la  disposizione  censurata  alcun
sostegno nell'art. 3 Cost.,  che  deve  ispirare  i  rapporti  fra  i
genitori. 
    Inoltre, richiama  la  motivazione  della  sentenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo del  7  gennaio  2014,  Cusan  e  Fazzo
contro  Italia,  che  avrebbe  ravvisato  nell'impossibilita'  per  i
genitori di attribuire  al  figlio,  al  momento  della  nascita,  il
cognome della  madre,  anziche'  quello  del  padre,  una  violazione
dell'art. 14 CEDU (divieto di discriminazione), in combinato disposto
con  l'art.  8  CEDU  (diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare). 
    Infine, la norma censurata si porrebbe in contrasto anche con gli
artt. 7 e 21 CDFUE, i quali, ad avviso del rimettente, risulterebbero
corrispondenti agli artt. 8 e 14 CEDU. 
    1.4.- Con atto depositato il 28 luglio 2020,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha  chiesto  di
dichiarare le questioni inammissibili e, in ogni caso, non fondate. 
    2.- Nel corso del medesimo giudizio, questa Corte, con  ordinanza
n. 18, depositata in data 11 febbraio 2021, e iscritta al n.  25  del
registro ordinanze 2021, ha sollevato  innanzi  a  se'  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 262, primo comma, cod. civ., in
riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo
in relazione agli artt. 8 e  14  CEDU,  nella  parte  in  cui  -  con
riguardo all'ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente
da entrambi i genitori - impone, in mancanza di diverso  accordo  dei
genitori, l'acquisizione alla nascita del cognome  paterno,  anziche'
dei cognomi di entrambi i genitori. 
    2.1.- Nell'ordinanza anzidetta, la Corte ha rilevato  che,  anche
qualora «fosse riconosciuta la facolta' ai genitori di scegliere,  di
comune accordo, la trasmissione del solo cognome materno,  la  regola
che impone l'acquisizione del solo cognome  paterno  dovrebbe  essere
ribadita in tutte le  fattispecie  in  cui  tale  accordo  manchi  o,
comunque, non sia  stato  legittimamente  espresso».  D'altro  canto,
neppure il consenso, su cui  fa  leva  la  limitata  possibilita'  di
deroga  alla  disciplina  generale  che  prevede  l'attribuzione  del
cognome del padre, «potrebbe ritenersi  espressione  di  un'effettiva
parita'  tra  le  parti,  posto  che  una  di  esse  non  ha  bisogno
dell'accordo per far prevalere il proprio cognome». 
    Questa Corte ha, pertanto, ritenuto che, «alla luce del  rapporto
di presupposizione e  di  continenza»  tra  la  questione  introdotta
dall'ordinanza iscritta al n. 78 del reg. ord.  2020  e  i  dubbi  di
legittimita'    costituzionale    esplicitati    nell'ordinanza    di
autorimessione, «la risoluzione della  questione  avente  ad  oggetto
l'art. 262, primo  comma,  cod.  civ.,  nella  parte  in  cui  impone
l'acquisizione  del  solo  cognome   paterno,   si   configura   come
logicamente pregiudiziale e strumentale  per  definire  le  questioni
sollevate dal giudice a quo». 
    2.2.-  Sotto  il  profilo  della  non   manifesta   infondatezza,
l'ordinanza iscritta al n. 25 del reg.  ord.  2021  ha  ravvisato  la
sussistenza di un contrasto «della vigente disciplina, impositiva  di
un solo cognome e ricognitiva di un solo  ramo  genitoriale,  con  la
necessita', costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e  3  Cost.,  di
garantire   l'effettiva   parita'   dei   genitori,    la    pienezza
dell'identita' personale del figlio e di salvaguardare l'unita' della
famiglia». 
    In   particolare,   ha   sottolineato    che    «la    previsione
dell'inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrific[herebbe] il
diritto all'identita'  del  minore,  negandogli  la  possibilita'  di
essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno»
e incarna il retaggio di una concezione patriarcale, che non potrebbe
«ritenersi giustificata  dall'esigenza  di  salvaguardia  dell'unita'
familiare, poiche' "e' proprio l'eguaglianza  che  garantisce  quella
unita' e, viceversa, e' la diseguaglianza a metterla in pericolo"». 
    Infine, alla luce della giurisprudenza  della  Corte  EDU,  e  in
specie della sentenza del  7  gennaio  2014,  Cusan  e  Fazzo  contro
Italia, ha  argomentato  nel  senso  che  la  disposizione  censurata
violerebbe anche l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  agli
artt. 8 e 14 CEDU. 
    2.3.- Di conseguenza, questa Corte ha disposto la sospensione del
giudizio sollevato dal Tribunale di Bolzano con l'ordinanza  iscritta
al n. 78 del reg. ord. 2020. 
    2.4.- Nel corso del giudizio introdotto  dall'ordinanza  iscritta
al n. 25 del reg.  ord.  2021  sono  state  depositate  due  opinioni
scritte, ai sensi dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, ratione temporis  vigenti,
ammesse con decreto presidenziale del 21 marzo 2022. 
    2.4.1.- Con atto depositato il 5  marzo  2021,  la  «Associazione
Luca Coscioni per la liberta' di ricerca  scientifica  A.P.S.»  e  la
«Associazione VOX - Osservatorio italiano sui  diritti»,  in  persona
dei rispettivi legali  rappresentanti,  hanno  formulato  un'opinione
scritta  congiunta,  in   cui   hanno   sottolineato   il   carattere
discriminatorio nei confronti delle donne  della  regola  vigente  in
materia  di  attribuzione  del  cognome  ai  figli,  frutto  di   una
«concezione della famiglia nemica delle persone e dei  loro  diritti»
(e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 494 del 2002). 
    Le   citate   associazioni   hanno,   pertanto,   insistito   per
l'accoglimento  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata da questa Corte, onde evitare «l'inopportuno  trascinamento
nel tempo di discipline maturate» in un diverso contesto, che,  «alla
luce della mutata realta' sociale», trasmoderebbe «in una regolazione
non proporzionata  e  manifestamente  irragionevole  degli  interessi
coinvolti» (e' richiamata la sentenza n. 223 del 2015). 
    2.4.2.- Con atto depositato il 6 marzo  2021,  la  «Rete  per  la
Parita'    -    Associazione     di     Promozione     sociale»     e
l'«InterClubZontaItalia - Coordinamento dei club Zonta italiani»,  in
persona dei rispettivi legali rappresentanti, hanno espresso, a  loro
volta, un'opinione scritta congiunta, in cui hanno  fornito  supporto
alle  ragioni  dell'accoglimento  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale sollevate  da  questa  Corte,  ponendo  l'accento  sul
contrasto fra la norma sulla trasmissione del cognome ai figli e  gli
obblighi internazionali assunti dall'ordinamento italiano in  materia
di eguaglianza tra i genitori. 
    3.- Con ordinanza depositata il 12 novembre 2021 e iscritta al n.
222 del registro ordinanze 2021, la Corte  d'appello  di  Potenza  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  237,  262,  299
cod. civ., dell'art. 72, primo comma,  del  regio  decreto  9  luglio
1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nonche'  degli  artt.
33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non consentono
ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai  figli,  al  momento
della nascita, il solo cognome materno. 
    3.1.- In punto  di  fatto,  il  rimettente  riferisce  di  essere
chiamato a decidere sul reclamo proposto da due  coniugi  avverso  il
decreto del Tribunale ordinario di Lagonegro del 4 novembre 2020, con
il quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso  dai  medesimi
presentato, ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000,  contro
il diniego opposto dall'ufficiale dello stato civile  alla  richiesta
di registrare la nascita del loro figlio, iscrivendolo  con  il  solo
cognome della madre. 
    Il giudice a quo, esponendo i fatti, chiarisce  che  si  trattava
dell'assegnazione del cognome al terzogenito della coppia  la  quale,
prima di unirsi in matrimonio, aveva  gia'  avuto  altre  due  figlie
riconosciute  in  precedenza  dalla  sola  madre  e  che,   pertanto,
portavano il suo cognome. 
    3.1.1.- Il rimettente precisa che, con il ricorso ex art. 95  del
d.P.R.  n.  396  del  2000,  i  genitori  avevano  chiesto,  in   via
principale, di  disapplicare  la  «norma  consuetudinaria»  che  dava
prevalenza  al  cognome  paterno,  in  quanto  contra  legem,  e,  in
subordine, per l'ipotesi in cui «si aderisse alla tesi  della  natura
legislativa della norma»,  di  sollevare  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    Il  citato  ricorso  era  stato  dichiarato  «inammissibile»  dal
Tribunale adito, sul presupposto che «la norma consuetudinaria» sulla
trasmissione del cognome paterno al figlio  potesse  essere  superata
solo da un intervento legislativo. In ogni  caso,  il  giudice  aveva
escluso che potessero sussistere ragioni per sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale, ritenendo che la «invocata tutela  della
integrita' del nucleo familiare ben  pote[sse]  essere  salvaguardata
dall'attribuzione del cognome  di  entrambi  i  genitori  a  tutti  i
figli». 
    3.1.2.- Il giudice  a  quo  prosegue,  dando  conto  del  reclamo
proposto, avverso il citato decreto,  dai  due  genitori,  che  hanno
insistito per la  disapplicazione  della  norma  o,  in  alternativa,
perche' fossero sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.2.- La Corte d'appello rimettente rinviene il fondamento  della
norma sulla trasmissione del cognome ai  figli  nati  nel  matrimonio
negli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonche' negli artt.  72,  primo
comma, del r.d. n. 1238 del 1939, 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000;
di seguito, sulla premessa che essa  non  sia  «suscettibile  di  una
interpretazione costituzionalmente orientata»,  motiva  la  rilevanza
delle questioni, deducendo di non poter decidere sulla richiesta  dei
due coniugi di attribuire al figlio, sulla base del loro accordo,  il
solo cognome della madre, senza fare applicazione della  norma  della
cui legittimita' costituzionale dubita. 
    3.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
ritiene che la norma si ponga in contrasto con l'art. 2  Cost.,  «che
tutela il diritto alla formazione dell'identita' personale in maniera
omogenea tra i figli e il diritto alla unitarieta' familiare», e  con
i principi di eguaglianza e di pari dignita' morale  tra  i  coniugi,
riconosciuti dagli artt. 3 e 29, secondo comma,  Cost.,  nonche'  con
l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14  CEDU,
richiamando, a supporto, brevi stralci della sentenza di questa Corte
n. 286 del 2016 e di quella della Corte EDU, 7 gennaio 2014, Cusan  e
Fazzo contro Italia. 
    3.4.- Con atto depositato il 7 febbraio 2022, si sono  costituiti
A. M. e  V.  D.C.,  parti  del  giudizio  principale,  per  sostenere
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.4.1.- Integrando la ricostruzione in  fatto  dell'ordinanza  di
rimessione, espongono di essere  genitori  di  due  figlie  e  di  un
figlio.  Riferiscono  che  le  prime  due  erano  state  riconosciute
inizialmente  dalla  sola  madre,  tant'e'   che,   a   seguito   del
riconoscimento da parte del padre, i genitori  avevano  condiviso  di
non  aggiungere  al  cognome  delle  figlie  quello   paterno,   onde
preservare  la  loro  identita'  personale.  Con   la   nascita   del
terzogenito, successiva al  loro  matrimonio,  lamentano  di  vedersi
imporre dalla norma censurata l'attribuzione al figlio di un  cognome
differente rispetto a quello delle sorelle. 
    3.4.2.-  Le  parti  denunciano,  pertanto,  una  violazione   del
«diritto dei fanciulli alla propria identita', alla pari  dignita'  e
all'unita' familiare» e sottolineano come, nel  caso  di  specie,  la
scelta non sarebbe «motivata da un "capriccio"  ma  dall'esigenza  di
prendere la migliore decisione nell'interesse» del figlio, in  quanto
l'adozione  dello  stesso  cognome   delle   sorelle   contribuirebbe
«all'unitarieta' del nucleo  familiare  assicurando  al  contempo  la
formazione dell'identita' personale del minore  in  maniera  omogenea
rispetto ai fratelli». 
    Le parti sottolineano, inoltre, la necessita' che, nella  materia
dell'attribuzione  del   cognome,   sia   rispettata   la   «funzione
genitoriale», prospettando il contrasto tra la regola  vigente  e  le
seguenti  norme:   l'art.   3   Cost.,   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza; l'art. 29, secondo comma, in combinato  disposto  con
l'art. 30, primo comma,  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'eguaglianza
nell'esercizio di detta funzione;  l'art.  5  della  Convenzione  sui
diritti del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27  maggio  1991,  n.  176,  in
quanto prevede che gli Stati debbano rispettare «la  responsabilita',
il diritto e il dovere dei genitori». 
    Nello stesso quadro, le parti richiamano anche l'art. 118, ultimo
comma, Cost., che darebbe fondamento costituzionale  alla  «autonomia
dei privati in base al principio di sussidiarieta' orizzontale». 
    Sempre ad avviso delle parti, la norma censurata si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.
8 e 14 CEDU, nonche' all'art. 5 del settimo  Protocollo  addizionale,
firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo
in Italia con la legge 9 aprile 1990, n. 98 (Ratifica  ed  esecuzione
del protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  concernente  l'estensione
della lista dei diritti civili e politici, adottato a  Strasburgo  il
22 novembre 1984). Inoltre, l'art. 117, primo  comma,  Cost.  sarebbe
violato in relazione all'art. 16 della Convenzione  sull'eliminazione
di tutte le forme  di  discriminazione  nei  confronti  delle  donne,
firmata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e  resa  esecutiva
in Italia con legge 14 marzo 1985,  n.  132,  il  quale  dispone  che
«[g]li Stati Parti prendono tutte le misure adeguate per eliminare la
discriminazione nei confronti  della  donna  in  tutte  le  questioni
derivanti dal matrimonio, e nei rapporti familiari [...] compresa  la
scelta del cognome [...]». 
    3.5.- Nell'udienza del 26 aprile 2022 sono intervenute  le  parti
private, che hanno insistito  per  le  conclusioni  rassegnate  negli
scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 17 ottobre 2019 e iscritta al  n.
78 del registro ordinanze 2020, il Tribunale  ordinario  di  Bolzano,
seconda  sezione  civile,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 262, primo comma, del codice  civile,  nella
parte  in  cui  -  con  riguardo   all'ipotesi   del   riconoscimento
contemporaneo del figlio (secondo periodo  del  primo  comma)  -  non
consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al
momento della nascita, il solo cognome materno. 
    Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata si  porrebbe
in contrasto con gli artt.  2,  3,  11  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli  artt.  8  e  14  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto  1955,  n.  848,  e
agli artt. 7 e 21 della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    2.- Nel corso del citato giudizio, questa Corte, con ordinanza n.
18 del 2021, iscritta al  n.  25  del  registro  ordinanze  2021,  ha
disposto la trattazione innanzi a se' delle questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 262, primo comma, cod. civ., in  riferimento
agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione
agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui - con riguardo all'ipotesi
del  riconoscimento  effettuato  contemporaneamente  da  entrambi   i
genitori (secondo periodo del primo comma) - impone, in  mancanza  di
diverso accordo dei genitori, l'acquisizione alla nascita del cognome
paterno, anziche' dei cognomi di entrambi i genitori. 
    3.- Con ordinanza depositata il 12 novembre 2021 e iscritta al n.
222 del registro ordinanze 2021, la Corte  d'appello  di  Potenza  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  237,  262,  299
cod. civ., dell'art. 72, primo comma,  del  regio  decreto  9  luglio
1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nonche'  degli  artt.
33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre  2000,
n.  396  (Regolamento  per  la   revisione   e   la   semplificazione
dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo  2,  comma
12, della legge 15 maggio 1997, n.  127),  nella  parte  in  cui  non
consentono ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al
momento della nascita, il solo cognome materno. 
    4.- L'ordinanza di questa Corte, iscritta al n. 25 del reg.  ord.
2021, riguarda la medesima disposizione  (l'art.  262,  primo  comma,
cod. civ.), oggetto delle censure mosse con l'ordinanza  iscritta  al
n. 78 del  reg.  ord.  2020,  e  solleva  questioni  di  legittimita'
costituzionale  che  hanno  carattere  pregiudiziale  rispetto   alla
decisione di quelle sollevate dal Tribunale di Bolzano. 
    Al contempo, le citate  ordinanze,  da  un  lato,  e  l'ordinanza
iscritta al n. 222 del  reg.  ord.  2021  della  Corte  d'appello  di
Potenza, dall'altro lato, si riferiscono a norme che, pur  avendo  un
differente ambito applicativo -  rispettivamente  l'attribuzione  del
cognome al figlio nato  fuori  del  matrimonio  o  nel  matrimonio  -
presentano il medesimo contenuto  sostanziale  e  sollevano  analoghe
questioni di legittimita' costituzionale. 
    Pertanto, in considerazione dello  stretto  collegamento  tra  le
questioni sollevate con le ordinanze iscritte al n. 78 del reg.  ord.
2020 e ai nn. 25 e 222 del reg. ord. 2021, puo'  essere  disposta  la
riunione dei giudizi, perche' siano definiti con  un'unica  pronuncia
(sentenza n. 421 del 1995). 
    5.- In  rito,  occorre  dichiarare  d'ufficio  l'inammissibilita'
delle questioni  sollevate  dalla  Corte  d'appello  di  Potenza  con
l'ordinanza n. 222 del 2021. 
    Il  giudice  a  quo  afferma  apoditticamente  la  non  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate, limitandosi a  una  sintetica
elencazione  delle  disposizioni  costituzionali  che  si   ritengono
violate e compendiando tali affermazioni con una  lacunosa  citazione
di stralci della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale.  Per
costante orientamento di questa Corte «la carenza  di  un'adeguata  e
autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la norma  censurata
integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato  (ex
plurimis, sentenze n. 54 del 2020, n. 33 del 2019 e n. 240 del 2017)»
(sentenza  n.  30  del  2021)  e'  causa  di  inammissibilita'  delle
questioni sollevate. 
    6.- Le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  262,
primo comma, secondo periodo, cod. civ.,  sollevate  con  l'ordinanza
del Tribunale di Bolzano, iscritta al n. 78 del reg. ord. 2020, e con
l'ordinanza di autorimessione, iscritta al n. 25 del reg. ord.  2021,
sono fondate. 
    7.- In via preliminare, occorre richiamare i tratti  della  norma
censurata, la radice legislativa a essa sottesa e gli  interventi  di
questa Corte, interpellata piu' volte in merito alla sua legittimita'
costituzionale. 
    7.1.- L'art. 262, primo comma, secondo periodo,  cod.  civ.,  nel
regolare  l'attribuzione  del  cognome  al  figlio  nato  fuori   del
matrimonio,  prevede  che  «[s]e  il  riconoscimento  e'   effettuato
contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome
del padre». 
    La norma riflette la disciplina sull'attribuzione del cognome  al
figlio nato nel matrimonio, che e' l'istituto nell'ambito  del  quale
si rinviene la matrice legislativa della  regola.  La  sua  fonte  si
ravvisa, infatti, nella formulazione, antecedente  alla  riforma  del
1975 (legge 19 maggio 1975, n. 151, recante «Riforma del  diritto  di
famiglia»), dell'art. 144 cod. civ., il quale (con un testo  identico
a quello dell'art. 131 del codice civile del Regno d'Italia del 1865)
disponeva che: «[i]l marito e' capo della famiglia; la  moglie  segue
la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed e' obbligata  ad
accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la residenza». 
    In tale contesto, il cognome del marito imposto alla  moglie  era
quello della famiglia, il che rendeva superfluo  esplicitare  la  sua
trasmissione ai figli nati nel matrimonio. 
    La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha  novellato  l'art.
144 cod. civ. e ha introdotto l'art. 143-bis  cod.  civ.,  prevedendo
l'aggiunta e non piu' la sostituzione del cognome del marito a quello
della moglie, disposizione univocamente interpretata  nel  senso  che
attribuisca a quest'ultima una facolta' e non un  obbligo.  La  nuova
disciplina, pur evidenziando un persistente  riflesso  della  vecchia
potesta' maritale, ha reso meno nitida  l'immagine  del  cognome  del
marito quale cognome di famiglia. E, tuttavia, nel contempo, la norma
sull'attribuzione  del  cognome  del  padre  ai  figli   e'   rimasta
solidamente radicata su un complesso di  disposizioni  (punto  14.1),
alle quali si ascrive  anche  quella  censurata,  che  non  e'  stata
scalfita neppure dalla riforma  della  filiazione,  introdotta  dalla
legge  10  dicembre  2012,  n.  219  (Disposizioni  in   materia   di
riconoscimento dei figli  naturali)  e  dal  decreto  legislativo  28
dicembre 2013,  n.  154  (Revisione  delle  disposizioni  vigenti  in
materia di  filiazione,  a  norma  dell'articolo  2  della  legge  10
dicembre 2012, n. 219). 
    7.2.- Questa  Corte,  lungo  un  arco  temporale  che  oramai  ha
superato il trentennio, e' stata chiamata piu' volte  a  pronunciarsi
sulla legittimita' costituzionale della norma oggi all'esame. 
    Nel  1988,  con  riferimento  al  cognome  del  figlio  nato  nel
matrimonio, ha  rilevato  che  «sarebbe  possibile,  e  probabilmente
consentaneo all'evoluzione della  coscienza  sociale,  sostituire  la
regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo  dei
membri della famiglia  costituita  dal  matrimonio  con  un  criterio
diverso,  piu'  rispettoso  dell'autonomia  dei  coniugi,  il   quale
concilii i due principi  sanciti  dall'art.  29  della  Costituzione,
anziche' avvalersi dell'autorizzazione a limitare l'uno  in  funzione
dell'altro» (ordinanza n. 176 del 1988). 
    Trascorsi diciotto anni, questa Corte ha ribadito che  «l'attuale
sistema di attribuzione del cognome e'  retaggio  di  una  concezione
patriarcale della famiglia, la quale affonda le  proprie  radici  nel
diritto  di  famiglia  romanistico,  e  di  una  tramontata  potesta'
maritale, non piu' coerente con i principi dell'ordinamento e con  il
valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna» (sentenza n.
61 del 2006, ripresa dalla successiva ordinanza n. 145 del 2007). 
    Infine, dopo ancora due lustri, preso atto che,  a  «distanza  di
molti anni  [dalle  citate]  pronunce,  un  "criterio  diverso,  piu'
rispettoso  dell'autonomia  dei  coniugi",  non  [era]  ancora  stato
introdotto» (sentenza n. 286 del 2016), questa Corte, «in  attesa  di
un indifferibile intervento  legislativo,  destinato  a  disciplinare
organicamente la  materia,  secondo  criteri  finalmente  consoni  al
principio di  parita'»,  ha  accolto  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale, che le erano state sottoposte, negli  stretti  limiti
tracciati  dal  petitum.  Ha,  dunque,  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale della norma, nella  parte  in  cui  non  consente  «ai
coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della
nascita,  anche  il  cognome  materno»,   e   ha   esteso,   in   via
consequenziale, i suoi effetti sia alla disposizione  oggi  censurata
(l'art. 262, primo comma, secondo periodo, cod. civ.), sia  a  quella
sull'attribuzione del cognome all'adottato (maggiore d'eta') da parte
di coniugi (art. 299, terzo comma, cod. civ.). 
    8.- Questa Corte viene ora chiamata  nuovamente  a  giudicare  la
legittimita' costituzionale  della  norma,  trasfusa  nell'art.  262,
primo comma, secondo periodo, cod. civ., sotto un duplice profilo. 
    Con l'ordinanza  iscritta  al  n.  78  del  reg.  ord.  2020,  il
Tribunale di Bolzano denuncia la sua  illegittimita'  costituzionale,
nella parte in cui non consente di attribuire, con  l'accordo  fra  i
genitori,  il  solo  cognome  della  madre.  Si  invoca,  dunque,  un
intervento additivo  avente  un  contenuto  radicalmente  derogatorio
della  regola  generale  sull'automatica  trasmissione  del   cognome
paterno. 
    Con l'ordinanza iscritta al n. 25  del  reg.  ord.  2021,  questa
stessa Corte, quale giudice a quo, prospetta, in  via  pregiudiziale,
un intervento  sostitutivo  della  norma,  nella  parte  in  cui,  in
mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l'attribuzione  alla
nascita del cognome paterno, anziche' dei cognomi di entrambi. 
    I parametri costituzionali, sui quali  si  incentrano  le  comuni
censure delle due ordinanze, sono l'art. 2 Cost., in  relazione  alla
tutela dell'identita' del figlio, e l'art. 3 Cost., invocato a difesa
del principio di eguaglianza nei rapporti fra i genitori. 
    Analogamente, il contrasto con gli  obblighi  internazionali,  di
cui all'art. 117, primo comma,  Cost.,  si  focalizza,  sulla  scorta
della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, sulla
protezione dell'identita' personale del figlio, mediata  dall'art.  8
CEDU, e sul divieto di discriminazioni, di cui all'art. 14 CEDU. 
    9.- A fronte delle citate questioni occorre, dunque,  evidenziare
l'intreccio,  nella  disciplina   del   cognome,   fra   il   diritto
all'identita' personale del figlio e l'eguaglianza tra i genitori. 
    Il  cognome,  insieme  con  il  prenome,  rappresenta  il  nucleo
dell'identita' giuridica  e  sociale  della  persona:  le  conferisce
identificabilita', nei rapporti di diritto pubblico, come di  diritto
privato, e incarna la rappresentazione sintetica  della  personalita'
individuale,  che  nel  tempo  si  arricchisce  progressivamente   di
significati. 
    E' costante nella giurisprudenza di questa  Corte  l'affermazione
secondo cui il  nome  e'  «"autonomo  segno  distintivo  della  [...]
identita' personale" (sentenza n.  297  del  1996),  nonche'  "tratto
essenziale della [...] personalita'" (sentenza n. 268 del 2002; nello
stesso senso, sentenza n. 120 del 2001)» (sentenza n. 286 del  2016),
«riconosciuto come un "bene oggetto di autonomo diritto  dall'art.  2
Cost." [e, dunque, come] "diritto fondamentale della  persona  umana"
(sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo,  sentenza  n.
120 del 2001)» (sentenza n. 268 del 2002). 
    La  norma  censurata  riguarda,  in   particolare,   il   momento
attributivo del cognome, che, di regola, e'  legato  all'acquisizione
dello status filiationis. 
    Ne consegue che il cognome, quale fulcro - insieme al  prenome  -
dell'identita'  giuridica  e  sociale,   collega   l'individuo   alla
formazione sociale che lo accoglie tramite lo status filiationis.  Il
cognome deve, pertanto,  radicarsi  nell'identita'  familiare  e,  al
contempo, riflettere la funzione che riveste, anche in una proiezione
futura, rispetto alla persona (sentenza n. 286 del 2016). 
    Sono, dunque, proprio le modalita' con cui il cognome  testimonia
l'identita' familiare del figlio a dover  rispecchiare  e  rispettare
l'eguaglianza e la pari dignita' dei genitori. 
    10.- Nella fattispecie  disegnata  dall'art.  262,  primo  comma,
secondo periodo, cod. civ., l'identita'  familiare  del  figlio,  che
preesiste  all'attribuzione  del  cognome,  puo'  scomporsi  in   tre
elementi: il legame genitoriale con  il  padre,  identificato  da  un
cognome,  rappresentativo  del  suo   ramo   familiare;   il   legame
genitoriale con la madre,  anche  lei  identificata  da  un  cognome,
parimenti rappresentativo del suo ramo familiare;  e  la  scelta  dei
genitori  di  effettuare  contemporaneamente  il  riconoscimento  del
figlio, accogliendolo insieme in un nucleo familiare. 
    10.1.- La selezione, fra i dati preesistenti all'attribuzione del
cognome, della sola linea parentale paterna,  oscura  unilateralmente
il rapporto genitoriale con la madre. 
    A fronte del riconoscimento contemporaneo del  figlio,  il  segno
dell'unione fra i due genitori si  traduce  nell'invisibilita'  della
donna. 
    L'automatismo imposto reca il sigillo di una diseguaglianza fra i
genitori, che si riverbera e si imprime  sull'identita'  del  figlio,
cosi' determinando la contestuale violazione degli artt. 2 e 3 Cost. 
    Questa Corte ha da tempo rilevato (supra punto 7.2) che la  norma
sull'attribuzione del cognome  del  padre  e'  il  «retaggio  di  una
concezione patriarcale della famiglia» (sentenze n. 286 del 2016 e n.
61 del 2006), il riflesso  di  una  disparita'  di  trattamento  che,
concepita in  seno  alla  famiglia  fondata  sul  matrimonio,  si  e'
proiettata anche sull'attribuzione del cognome al figlio  nato  fuori
dal matrimonio, ove contemporaneamente riconosciuto. 
    Si tratta di un automatismo che non trova alcuna  giustificazione
ne' nell'art. 3 Cost., sul quale si fonda il rapporto fra i genitori,
uniti nel perseguire l'interesse del  figlio,  ne'  -  come  ha  gia'
rilevato questa Corte con riferimento all'attribuzione del cognome al
figlio  nato  nel  matrimonio  (sentenza  n.  286  del  2016)  -  nel
coordinamento  tra  principio  di   eguaglianza   e   «finalita'   di
salvaguardia dell'unita'  familiare,  di  cui  all'art.  29,  secondo
comma, Cost.». E', infatti, «"proprio  l'eguaglianza  che  garantisce
quella unita' e,  viceversa,  e'  la  diseguaglianza  a  metterla  in
pericolo", poiche' l'unita'  "si  rafforza  nella  misura  in  cui  i
reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarieta'  e
dalla parita'" (sentenza n. 133  del  1970)»  (sentenza  n.  286  del
2016). 
    La stessa riforma del diritto di famiglia del 1975, che pure  non
e' intervenuta sulla  disciplina  dell'attribuzione  del  cognome  ai
figli, aveva, tuttavia, contribuito a mettere a fuoco  il  senso  del
rapporto fra eguaglianza e unita' familiare. L'unita' della  famiglia
fondata sul matrimonio si basa «sugli stessi diritti e  sui  medesimi
doveri»  dei  coniugi  (art.  143   cod.   civ.),   sulla   reciproca
solidarieta'  e  sulla  condivisione  delle  scelte  (fra  le   tante
disposizioni, si veda la nuova formulazione dell'art. 144 cod. civ.).
Parimenti, l'assunzione  di  responsabilita'  in  capo  ai  genitori,
dentro e fuori il matrimonio, si radica nell'eguaglianza fra di  loro
e nell'accordo sulle decisioni che riguardano  il  figlio.  Lo  hanno
sottolineato sempre la novella del 1975 e la riforma della filiazione
del 2012-2013, anch'essa silente rispetto alla  norma  censurata,  ma
fautrice della rimozione di un altro residuo storico della disparita'
fra  i  genitori,  che  si  rinveniva  nell'originario  quarto  comma
dell'art. 316 cod. civ. (in forza del quale era il solo padre a poter
adottare «i provvedimenti urgenti ed indifferibili» per porre  riparo
a «un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio»). 
    Unita' ed  eguaglianza  non  possono  coesistere  se  l'una  nega
l'altra, se l'unita' opera come  un  limite  che  offre  un  velo  di
apparente legittimazione a sacrifici imposti in  una  direzione  solo
unilaterale. 
    A fronte dell'evoluzione  dell'ordinamento,  il  lascito  di  una
visione discriminatoria,  che  attraverso  il  cognome  si  riverbera
sull'identita' di ciascuno, non e' piu' tollerabile. 
    10.2.- L'«importanza di un'evoluzione nel senso  dell'eguaglianza
dei sessi» viene, del resto, sottolineata anche dalla Corte EDU,  che
invita alla «eliminazione di ogni discriminazione [...] nella  scelta
del cognome», sul  presupposto  che  «la  tradizione  di  manifestare
l'unita' della famiglia attraverso  l'attribuzione  a  tutti  i  suoi
membri  del  cognome  del  marito   non   p[uo']   giustificare   una
discriminazione nei confronti delle donne (si veda,  in  particolare,
Ünal Tekeli, [paragrafi] 64-65)» (Corte EDU, sentenza 7 gennaio 2014,
Cusan e Fazzo contro Italia, paragrafo 66). 
    E, invero, sin dalla  fine  degli  anni  settanta,  gli  obblighi
internazionali,  cui  si   e'   vincolato   l'ordinamento   italiano,
sollecitano l'«eliminazione di  ogni  forma  di  discriminazione  nei
confronti  della  donna»,  «in  tutte  le  questioni  derivanti   dal
matrimonio e nei rapporti familiari [...],  compresa  la  scelta  del
cognome» (sentenza n. 61 del 2006, con riferimento all'art. 16, comma
1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma  di
discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il  18
dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in  Italia  con  legge  14
marzo 1985,  n.  132,  nonche'  alle  raccomandazioni  del  Consiglio
d'Europa n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998, e,  ancor  prima,  alla
risoluzione n. 37 del 1978). 
    11.- Occorre, allora, valutare i termini con cui  l'ordinanza  di
autorimessione ha posto le questioni di  legittimita'  costituzionale
in via pregiudiziale rispetto a quelle  sollevate  dal  Tribunale  di
Bolzano con l'ordinanza iscritta al n. 78 del reg. ord. 2020. 
    11.1.- Quest'ultima ordinanza prospetta -  come  gia'  anticipato
(punto 8) - l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  censurata
nella parte in cui non consente, sulla  base  di  un  accordo  fra  i
genitori, di attribuire  al  figlio  il  solo  cognome  della  madre.
Sennonche' il cardine su cui il Tribunale di  Bolzano  fonda  il  suo
petitum,  vale  a  dire  l'accordo  fra  i   genitori   in   funzione
derogatoria, presuppone il rispetto del principio di eguaglianza. 
    A fronte di una  disciplina  che  garantisce  l'attribuzione  del
cognome del padre, la madre e' posta in una situazione di asimmetria,
antitetica alla parita', che, a priori, inficia le possibilita' di un
accordo,  tanto  piu'  improbabile  in   quanto   abbia   a   oggetto
l'attribuzione del solo cognome materno, ossia il radicale sacrificio
di cio' che spetta di diritto al padre. 
    Senza eguaglianza mancano le condizioni logiche e assiologiche di
un accordo. 
    La regola dell'automatica attribuzione del cognome  paterno,  nel
violare  il  principio  di  eguaglianza,  racchiude   un   vizio   di
legittimita' costituzionale che  inficia  ab  imis  anche  l'elemento
costitutivo  dell'intervento  additivo  invocato  dal  Tribunale   di
Bolzano con l'ordinanza iscritta al n. 78 del reg. ord. 2020. 
    11.2.-  Di  conseguenza,  questa  Corte,  preso  atto  che  delle
numerose proposte di riforma legislativa, presentate a partire  dalla
VIII legislatura, nessuna e'  giunta  a  compimento,  non  puo'  piu'
esimersi  dal  rendere  effettiva   la   «legalita'   costituzionale»
(ordinanza di autorimessione n. 18 del 2021). 
    Il carattere in se' discriminatorio della disposizione censurata,
il suo riverberarsi sull'identita' del figlio e la sua  attitudine  a
rendere asimmetrici, rispetto al cognome, i rapporti fra  i  genitori
devono essere rimossi con una regola  che  sia  il  piu'  semplice  e
automatico riflesso dei principi costituzionali coinvolti. 
    Il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi  dei  genitori,
salvo - come si dira' (infra punto 12) - loro diverso accordo. 
    La  proiezione  sul  cognome  del  figlio  del   duplice   legame
genitoriale e' la rappresentazione dello status  filiationis:  trasla
sull'identita' giuridica e sociale del figlio il rapporto con  i  due
genitori. Al contempo, e' il riconoscimento piu' immediato e  diretto
«del paritario rilievo di entrambe le figure  genitoriali»  (sentenza
n. 286 del 2016). 
    11.3.- L'illegittimita' costituzionale della norma che comportava
la preferenza per il cognome paterno rende ora necessario individuare
un ordine di attribuzione dei cognomi dei  due  genitori  compatibile
con i principi costituzionali e con gli obblighi internazionali.  Non
si  puo',  infatti,  riprodurre  -  con  un  criterio  che  anteponga
meccanicamente il cognome paterno, o quello  materno  -  la  medesima
logica  discriminatoria,  che   e'   a   fondamento   della   odierna
declaratoria di illegittimita' costituzionale. 
    Sul tema si e' espressamente  pronunciata  anche  la  Corte  EDU,
riferendosi a una disposizione dell'ordinamento spagnolo (l'art.  194
del Regolamento per l'applicazione della legge  sullo  stato  civile,
nella formulazione recata dalle modifiche apportate dal decreto reale
11 febbraio 2000, rimasto in  vigore  sino  al  30  aprile  2021,  in
correlazione all'art. 109 del codice civile spagnolo),  che  imponeva
di  anteporre  il  cognome  del  padre,  nel   caso   di   disaccordo
sull'ordine. 
    La  Corte  EDU  ha,  a  riguardo,  rilevato  il   suo   carattere
«excessivement rigide et discriminatoire envers les femmes (Cusan  et
Fazzo [paragrafo] 67)» (sentenza 26 ottobre 2021, Leon Madrid  contro
Spagna, paragrafo 68),  per  poi  aggiungere  che  «si  la  securite'
juridique peut être manifestee par le choix de placer le nom du  pere
en premier, elle peut aussi bien être manifestee par  le  nom  de  la
mere (Burghartz c. Suisse, 22 fevrier 1994, [paragrafo] 28,  serie  A
no 280-B)» (sentenza 26 ottobre  2021,  Leon  Madrid  contro  Spagna,
paragrafo 69). 
    Il mero  paradigma  della  parita'  conduce,  dunque,  all'ordine
concordato dai genitori, soluzione adottata anche negli  altri  paesi
europei che prevedono l'attribuzione del doppio cognome. 
    Quanto  alla  disciplina  necessaria   a   dirimere   l'eventuale
disaccordo, in mancanza di diversi criteri, che potra' il legislatore
eventualmente prevedere, questa  Corte  non  puo'  che  segnalare  lo
strumento che l'ordinamento giuridico gia' appronta per risolvere  il
contrasto  fra  i  genitori  su  scelte  di   particolare   rilevanza
riguardanti  i  figli.  Si  tratta  del  ricorso  all'intervento  del
giudice,  previsto,  in  forme  semplificate,  dall'art.  316,  commi
secondo e terzo, cod. civ., nonche' - con riferimento alle situazioni
di crisi della coppia - dagli artt. 337-ter, terzo comma, 337-quater,
terzo comma, e 337-octies cod. civ. 
    Del resto, le citate disposizioni sono le medesime  che,  secondo
gli orientamenti della giurisprudenza e il pensiero  della  dottrina,
risolvono i contrasti fra i genitori anche in merito all'attribuzione
del prenome. 
    12.- Sulla base di quanto rilevato con riferimento alle questioni
presupposte, possono ora esaminarsi quelle sollevate dal Tribunale di
Bolzano con l'ordinanza iscritta al n. 78 del reg.  ord.  2020,  come
fatte proprie dall'ordinanza di autorimessione. 
    Quest'ultima  ha,  infatti,  posto  questioni   di   legittimita'
costituzionale della norma, che  impone  l'attribuzione  del  cognome
paterno, in luogo di quelli di  ambo  i  genitori,  «in  mancanza  di
diverso accordo», cosi' riferendosi  alla  possibilita'  di  derogare
all'attribuzione del cognome  di  entrambi  i  genitori.  E,  invero,
quanto prospettato dal Tribunale di Bolzano - ossia  il  sospetto  di
illegittimita' costituzionale della norma  nella  parte  in  cui  non
consente, sulla base di un accordo, di  attribuire  il  solo  cognome
della madre - si ripropone in termini esattamente speculari anche per
la posizione del padre. 
    Chiaramente, nel  rispetto  dell'imprescindibile  legame  fra  il
cognome del figlio e lo  status  filiationis,  il  «diverso  accordo»
resta circoscritto al cognome di uno dei due genitori  e  incarna  la
loro stessa volonta' di essere rappresentati entrambi,  nel  rapporto
con il figlio, dal cognome di uno di loro soltanto. 
    Su tali premesse, deve ritenersi  costituzionalmente  illegittima
la  mancata  previsione  della  citata  regola  derogatoria,  poiche'
impedisce  ai  genitori  di  avvalersi,  in  un   contesto   divenuto
paritario, di uno strumento attuativo del principio  di  eguaglianza,
qual e' l'accordo, per compendiare  in  un  unico  cognome  il  segno
identificativo della loro unione, capace  di  permanere  anche  nella
generazione successiva e di farsi interprete di interessi del figlio. 
    L'accordo  puo'  guardare  in  proiezione  futura  alla  funzione
identitaria che svolge il cognome per il figlio e puo'  tenere  conto
di preesistenti profili correlati allo status filiationis,  quale  il
legame con fratelli o sorelle, che portano il cognome di uno solo dei
due genitori. Potrebbe trattarsi  del  cognome  del  padre,  come  di
quello della madre, che potrebbe aver riconosciuto i precedenti figli
prima del padre. Ne' puo' trascurarsi l'eventualita' che i genitori -
nell'interesse del figlio - condividano la scelta di  trasmettere  il
cognome del solo genitore che abbia gia'  altri  figli,  dando  cosi'
prioritario risalto al rapporto tra fratelli e sorelle. 
    Da ultimo, anche la Corte EDU,  nella  citata  sentenza  Cusan  e
Fazzo contro Italia, ha ravvisato nella «lacuna del sistema giuridico
italiano», che non consente  l'iscrizione  del  figlio  con  il  solo
cognome della  madre  «in  caso  di  consenso  tra  i  coniugi»,  una
violazione degli artt. 8 e 14 CEDU. 
    13.- In conclusione, sono fondate le  questioni  di  legittimita'
costituzionale, sollevate  dall'ordinanza  di  autorimessione  n.  25
iscritta al reg. ord. 2021 e dall'ordinanza n. 78  iscritta  al  reg.
ord. 2020 del Tribunale di Bolzano. 
    Ne consegue che, per poter attribuire al figlio il cognome di uno
dei genitori, e' necessario il loro accordo, non surrogabile  in  via
giudiziale, in quanto  implica  la  scelta  di  identificare  con  il
cognome di uno dei genitori il  duplice  legame  con  il  figlio.  In
mancanza di tale accordo, devono attribuirsi i cognomi di entrambi  i
genitori, nell'ordine dagli stessi deciso. 
    Ove difetti l'accordo sull'ordine di attribuzione dei cognomi dei
genitori, che e' parte della regola suppletiva, si  rende  necessario
dirimere il contrasto e lo strumento che le norme vigenti consentono,
attualmente, di approntare e' quello dell'intervento giudiziale. 
    Si deve, pertanto, dichiarare costituzionalmente illegittimo,  in
riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo
in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, l'art. 262,  primo  comma,  cod.
civ., nella parte  in  cui  prevede,  con  riguardo  all'ipotesi  del
riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i  genitori,
che il figlio assume il cognome del padre, anziche' prevedere che  il
figlio assume  i  cognomi  dei  genitori,  nell'ordine  dai  medesimi
concordato, fatto salvo l'accordo, al momento del riconoscimento, per
attribuire il cognome di uno di loro soltanto. 
    Sono assorbite le ulteriori censure sollevate  dal  Tribunale  di
Bolzano. 
    14.- L'illegittimita' costituzionale dell'art. 262, primo  comma,
secondo periodo, cod. civ. determina, in via consequenziale, ai sensi
dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),  quella
di ulteriori norme. 
    14.1.-  Innanzitutto,  comporta  l'illegittimita'  costituzionale
della norma che disciplina l'attribuzione del cognome al figlio  nato
nel matrimonio. 
    Questa  -  come  gia'  anticipato  (punto  7.1)  -  si   inferiva
implicitamente  dall'art.   144   cod.   civ.,   nella   formulazione
antecedente alla riforma del diritto di famiglia del 1975,  e  veniva
presupposta da un  complesso  di  disposizioni,  alcune  delle  quali
modificate o abrogate, altre tutt'ora vigenti e costituenti l'attuale
ossatura della norma di sistema. 
    Alle disposizioni  modificate  si  ascrive  l'art.  237,  secondo
comma, cod. civ., il quale, nel testo antecedente alla riforma  della
filiazione (art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 154 del 2013),  prevedeva
che il  possesso  di  stato  potesse  rinvenire,  tra  i  suoi  fatti
costitutivi, l'aver «sempre portato il cognome del padre». E'  stato,
invece, del tutto abrogato l'art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 396  del
2000 - ad opera dell'art. 1, comma  1,  lettera  e),  punto  1),  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  30  gennaio  2015,  n.  26
(Regolamento recante attuazione dell'articolo 5, comma 1, della legge
10 dicembre 2012, n. 219, in materia di filiazione) - il quale, nella
disciplina sull'ordinamento dello stato civile, disponeva  che  «[i]l
figlio legittimato ha il cognome del padre». 
    Venendo ora alle  disposizioni  ancora  vigenti,  deve  evocarsi,
innanzitutto, l'art. 299, terzo comma, cod.  civ.,  sull'adozione  da
parte dei coniugi del maggiore d'eta', il quale disponeva  e  dispone
attualmente, anche dopo la sua sostituzione  ad  opera  dell'art.  61
della legge 4  maggio  1983,  n.  184  (Diritto  del  minore  ad  una
famiglia), che «l'adottato assume il cognome del marito». 
    Parimenti, sottende la medesima norma anche l'art. 27,  comma  1,
della legge n. 184 del 1983, relativo all'adozione di cui  al  Titolo
II della citata legge, il quale stabilisce che  l'adottato  assume  e
trasmette il cognome degli adottanti. Tale  cognome,  in  conformita'
allo stato di figlio nato nel matrimonio dei coniugi adottanti, viene
univocamente riferito a quello del marito, tant'e'  che  il  comma  2
della medesima  disposizione  prevede  che,  solo  se  l'adozione  e'
disposta nei confronti della moglie separata, «l'adottato  assume  il
cognome della famiglia di lei». 
    Ancora, nella disciplina  sull'ordinamento  dello  stato  civile,
risultava e risulta tuttora presupposta  l'attribuzione  del  cognome
del padre dalla norma che vieta di assegnare  al  bambino  lo  stesso
nome  del  padre  o  del  fratello  o  della  sorella  viventi  (tale
disciplina si rinviene attualmente nell'art. 34 del d.P.R. n. 396 del
2000, mentre in origine era contenuta nell'art. 72 del r.d.  n.  1238
del 1939, poi abrogato dall'art. 109, comma 2, del citato  d.P.R.  n.
396 del 2000). 
    Infine, deve ascriversi alle disposizioni  che  presuppongono  la
norma di sistema lo stesso art. 262, primo  comma,  secondo  periodo,
cod. civ. 
    La declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
relativa all'attribuzione del cognome al figlio nato  nel  matrimonio
discende,  dunque,   pianamente,   in   via   consequenziale,   dalla
illegittimita' costituzionale dell'art.  262,  primo  comma,  secondo
periodo, cod. civ., in ragione della loro  sostanziale  identita'  di
contenuto, tant'e' che la disposizione censurata e' fra quelle da cui
si evince la norma di sistema. 
    Ne deriva che la norma sull'attribuzione  del  cognome  ai  figli
nati nel matrimonio e' costituzionalmente illegittima, nella parte in
cui prevede l'attribuzione del cognome del padre al figlio,  anziche'
prevedere che il figlio assume i cognomi  dei  genitori,  nell'ordine
dai medesimi concordato, fatto salvo  l'accordo,  alla  nascita,  per
attribuire il cognome di uno di loro soltanto. 
    14.2.- Per le medesime ragioni esposte con riferimento alla norma
sull'attribuzione del cognome  al  figlio  nato  nel  matrimonio,  va
dichiarata l'illegittimita' costituzionale,  in  via  consequenziale,
dell'art. 299, terzo comma, cod. civ., il  quale,  nell'ambito  della
disciplina sull'adozione del maggiore d'eta' da  parte  dei  coniugi,
dispone che «l'adottato assume il cognome del marito». 
    L'art. 299, terzo comma, cod. civ. e', dunque, costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui  prevede  che  l'adottato  assume  il
cognome del  marito,  anziche'  prevedere  che  l'adottato  assume  i
cognomi degli adottanti, nell'ordine dagli stessi  concordato,  fatto
salvo  l'accordo,  raggiunto  nel  procedimento  di   adozione,   per
attribuire all'adottato il cognome di uno di loro soltanto. 
    14.3.- Sempre per le stesse ragioni illustrate relativamente alla
norma sull'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio, va
dichiarata l'illegittimita' costituzionale,  in  via  consequenziale,
dell'art. 27 della legge n. 184 del 1983, secondo  cui,  per  effetto
dell'adozione, l'adottato  «assume  e  trasmette  il  cognome»  degli
adottanti, univocamente interpretato - come  si  e'  gia'  anticipato
(punto 14.1.) - con riferimento al cognome del marito. 
    Anche l'art. 27  della  legge  n.  184  del  1983  e',  pertanto,
costituzionalmente  illegittimo,  nella  parte  in  cui  prevede  che
l'adottato assume il cognome degli adottanti, anziche' prevedere  che
l'adottato assume i cognomi degli adottanti, nell'ordine dagli stessi
concordato, fatto salvo  l'accordo,  raggiunto  nel  procedimento  di
adozione, per attribuire all'adottato  il  cognome  di  uno  di  loro
soltanto. 
    15.-  A   corollario   delle   declaratorie   di   illegittimita'
costituzionale, questa Corte  non  puo'  esimersi  dal  formulare  un
duplice invito al legislatore. 
    15.1.-  In  primo  luogo,  si  rende  necessario  un   intervento
finalizzato a impedire che l'attribuzione del cognome di  entrambi  i
genitori comporti, nel succedersi delle  generazioni,  un  meccanismo
moltiplicatore che sarebbe  lesivo  della  funzione  identitaria  del
cognome. 
    Simile intervento si dimostra impellente, ove si consideri che, a
partire  dal  2006,  varie  fonti  normative  hanno  contribuito   al
diffondersi di doppi cognomi. 
    Dapprima  la  prassi  amministrativa   (Ministero   dell'interno,
Dipartimento per gli affari interni e territoriali, circolare  n.  21
del 30 maggio 2006, recante «Problematiche inerenti  all'attribuzione
del cognome materno», circolare n. 15 del 12 novembre  2008,  recante
«Chiarimenti in merito alle istanze di cambiamento  del  nome  e  del
cognome di cui agli art. 84 e seguenti del  D.P.R.  n.  396/2000»,  e
circolare n. 14 del 21 maggio 2012, recante  «D.P.R.  n.  54  del  13
marzo  2012.  Modifiche  al  D.P.R.  n.  396/2000   in   materia   di
procedimento  di  cambiamento  del  cognome»)  e,  di   seguito,   la
puntiforme modifica dell'art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, a  opera
dell'art. 2 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  13  marzo
2012, n. 54  (Regolamento  recante  modifica  delle  disposizioni  in
materia di stato civile relativamente alla disciplina del nome e  del
cognome prevista dal  titolo  X  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396) hanno allentato i requisiti sulla
base dei quali e' ammesso il cambio del cognome anche con  l'aggiunta
di un secondo cognome (che di regola e' quello della madre). 
    A seguire, la sentenza  n.  286  del  2016  di  questa  Corte  ha
consentito, sulla base di un accordo fra i  genitori,  l'attribuzione
del cognome della madre in aggiunta a quello del padre e, da  ultimo,
il presente intervento rende l'attribuzione del cognome di entrambi i
genitori regola di carattere generale. 
    A fronte di tale disciplina, occorre preservare la  funzione  del
cognome, identitaria e di  identificazione,  a  livello  giuridico  e
sociale, nei rapporti di diritto pubblico e di diritto  privato,  che
non e' compatibile con un meccanismo moltiplicatore dei  cognomi  nel
succedersi delle generazioni. 
    La necessita', dunque, di garantire la funzione del cognome, e di
riflesso l'interesse preminente del figlio, indica l'opportunita'  di
una scelta, da parte del genitore - titolare del doppio  cognome  che
reca la memoria di due rami familiari - di quello dei due  che  vuole
sia rappresentativo del rapporto genitoriale, sempre che  i  genitori
non optino per l'attribuzione del  doppio  cognome  di  uno  di  loro
soltanto. 
    15.2.-  In  secondo  luogo,  spetta   al   legislatore   valutare
l'interesse del figlio a non vedersi attribuito - con  il  sacrificio
di un profilo che attiene anch'esso alla sua identita' familiare - un
cognome diverso  rispetto  a  quello  di  fratelli  e  sorelle.  Cio'
potrebbe   ben   conseguirsi   riservando    le    scelte    relative
all'attribuzione  del   cognome   al   momento   del   riconoscimento
contemporaneo del primo figlio della coppia (o al momento  della  sua
nascita nel matrimonio o  della  sua  adozione),  onde  renderle  poi
vincolanti    rispetto    ai    successivi     figli     riconosciuti
contemporaneamente dagli stessi genitori (o  nati  nel  matrimonio  o
adottati dalla medesima coppia). 
    16.- Infine, e' doveroso precisare che tutte le norme  dichiarate
costituzionalmente illegittime riguardano il momento attributivo  del
cognome  al  figlio,  sicche'  la  presente  sentenza,   dal   giorno
successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale,  trovera'
applicazione alle ipotesi in cui l'attribuzione del cognome  non  sia
ancora avvenuta, comprese quelle in cui sia pendente un  procedimento
giurisdizionale finalizzato a tale scopo. 
    Il cognome, infatti, una volta assunto, incarna in se' il  nucleo
della nuova identita'  giuridica  e  sociale,  il  che  comporta  che
possibili vicende che incidano sullo status filiationis o istanze  di
modifica dello stesso cognome siano regolate da  discipline  distinte
rispetto a quelle relative al momento attributivo. 
    Eventuali richieste di  modifica  del  cognome,  salvo  specifici
interventi del legislatore, non  potranno,  dunque,  che  seguire  la
procedura regolata dall'art. 89 del d.P.R.  n.  396  del  2000,  come
sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 54 del 2012.