ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  66,  comma
2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro), promosso  dal  Consiglio  di  Stato,  sezione
quarta, nel procedimento vertente tra il Ministero della giustizia  e
Andrea Abbamonte e altri, con ordinanza del 2 marzo 2021, iscritta al
n. 76  del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 23,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visti l'atto di costituzione di Andrea Abbamonte, nonche'  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  26  aprile  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi  l'avvocato  Monica  Mazziotti  per  Andrea   Abbamonte   e
l'avvocato  dello  Stato  Antonio  Grumetto  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 marzo 2021 (reg. ord. n. 76 del 2021), il
Consiglio di Stato, sezione quarta, ha  sollevato  -  in  riferimento
agli artt. 3 e 24 della  Costituzione  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni concernenti l'imposta di registro). 
    Il comma 1 del citato art. 66  vieta  ai  soggetti  di  cui  alle
lettere b) e c) del precedente art.  10  -  ovvero,  inter  alia,  ai
cancellieri  e  ai  segretari  degli  organi  giurisdizionali  -   di
rilasciare  originali,  copie  ed  estratti  degli  atti  soggetti  a
registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati, se  non
dopo  la  registrazione  stessa,  indicando  i  relativi  estremi   e
l'ammontare dell'imposta; il  successivo  comma  2  contempla  cinque
fattispecie alle quali tale divieto non si applica. 
    Quest'ultima disposizione e' censurata nella  parte  in  cui  non
prevede,  tra   tali   fattispecie,   anche   quella   del   rilascio
dell'originale o della copia della sentenza o di altro  provvedimento
giurisdizionale, i quali debbano essere utilizzati per agire in  sede
di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. 
    2.- Le questioni sono sorte nel corso di  un  giudizio  avente  a
oggetto  l'accertamento  dell'illegittimita'  del  silenzio  rifiuto,
nonche' l'annullamento degli  atti  amministrativi  a  esso  sottesi,
formatosi sull'istanza di rilascio del certificato  di  passaggio  in
giudicato dell'ordinanza,  pronunciata  dal  Tribunale  ordinario  di
Napoli, di condanna del Comune di Ceppaloni al pagamento della  somma
di euro 13.302,68 in favore del ricorrente nel processo a quo. 
    Secondo quanto riferito dal rimettente, infatti, stante  l'omesso
versamento della relativa imposta di registro, il competente  ufficio
del menzionato Tribunale non aveva rilasciato al creditore vittorioso
in giudizio la suddetta  ordinanza  munita  della  certificazione  di
passaggio  in  giudicato,  funzionale  all'esercizio  dell'azione  di
ottemperanza. Cio', in forza di una circolare dello stesso  Tribunale
e di una nota interna del Ministero della giustizia secondo le quali,
in sostanza, ai sensi del denunciato art. 66, comma 2, del d.P.R.  n.
131 del 1986 e' possibile derogare al divieto di  cui  al  precedente
comma 1 - a seguito della sentenza additiva di questa  Corte  n.  522
del 2002 - nel caso del rilascio  del  provvedimento  giurisdizionale
che debba essere  utilizzato  per  procedere  all'esecuzione  forzata
civile,  ma  non  anche  ove  esso  sia  preordinato  ad   agire   in
ottemperanza. 
    Il ricorrente ha quindi instaurato il giudizio a  quo,  deducendo
tra l'altro, a fondamento delle  spiegate  domande,  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986. 
    Investito dell'appello interposto dal Ministero  della  giustizia
avverso la sentenza  di  accoglimento  del  Tribunale  amministrativo
regionale della Campania, il Consiglio di Stato ritiene, diversamente
dal   giudice   di   primo   grado,   che   non    sia    praticabile
un'interpretazione  adeguatrice  della  norma  sospettata,   che   si
scontrerebbe con il dato testuale, traducendosi in un'interpretazione
analogica non consentita in virtu'  della  natura  eccezionale  della
norma stessa. 
    Rileva infatti il rimettente che questa Corte ha si'  dichiarato,
con la sopra citata sentenza, l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione in parola nella parte in  cui  precludeva,  prima  della
registrazione,  il  rilascio  dell'originale  o  della  copia   della
sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, ma unicamente  nel
caso  in  cui  questi  dovessero  essere  utilizzati  per   procedere
all'esecuzione forzata. 
    Del resto, il giudizio di ottemperanza non costituirebbe un  mero
«duplicato»  dell'esecuzione   forzata,   essendo   solo   il   primo
caratterizzato «dall'esercizio di una giurisdizione estesa al merito»
e  da  «potenzialita'   sostitutive   e   intromissive»   nell'azione
dell'amministrazione inadempiente. 
    Ne', prosegue sul punto il Consiglio di  Stato,  il  giudizio  di
ottemperanza sarebbe sussumibile in una delle  altre  fattispecie  in
cui l'art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131  del  1986  eccezionalmente
deroga al divieto di rilascio dettato dal precedente comma 1. 
    Di qui, in definitiva, la rilevanza  delle  questioni  sollevate,
dal momento che, essendo privo di pregio l'ulteriore motivo  posto  a
fondamento  delle  domande  avanzate  dal  ricorrente,  l'esito   del
giudizio a quo dipende unicamente  dalla  soluzione  dei  prospettati
dubbi di legittimita' costituzionale. 
    2.1.- Quanto alla non manifesta  infondatezza,  il  Consiglio  di
Stato  -  dopo  avere  ricordato  che  requisito  di   ammissibilita'
dell'azione di  ottemperanza  ai  provvedimenti  giurisdizionali  del
giudice ordinario e' rappresentato dal loro passaggio  in  giudicato,
che deve essere dimostrato dalla parte ricorrente attraverso la copia
degli stessi corredata  della  relativa  attestazione  da  parte  del
cancelliere - osserva che, di conseguenza, la norma  denunciata,  non
consentendo   il   rilascio   dei   suddetti   provvedimenti    prima
dell'adempimento    dell'obbligazione    tributaria,    precluderebbe
l'attuazione del diritto accertato giudizialmente. 
    Questa preclusione violerebbe, innanzitutto, gli  artt.  3  e  24
Cost., determinando  un'irragionevole  compressione  del  diritto  di
agire in giudizio, per ragioni non dissimili da quelle poste  a  base
della piu' volte citata sentenza  n.  522  del  2002  (nonche'  della
successiva sentenza n. 198 del 2010). 
    E se e' vero, precisa il giudice  a  quo,  che  a  seguito  della
suddetta sentenza il creditore della  pubblica  amministrazione  puo'
comunque promuovere l'esecuzione forzata malgrado l'omesso versamento
dell'imposta di registro, tuttavia, il procedimento di  esecuzione  e
il giudizio ottemperanza non sarebbero «semplicemente alternativi, ma
complementari», sicche' la  circostanza  che  il  secondo  «sia  piu'
oneroso» finirebbe per arrecare un  vulnus  al  diritto  della  parte
vittoriosa di far valere pienamente  le  proprie  ragioni  attraverso
tutti i mezzi previsti dall'ordinamento. 
    Condizionando la tutela giurisdizionale in sede  di  ottemperanza
al  pagamento  dell'imposta   di   registro,   la   norma   censurata
determinerebbe, inoltre, secondo il rimettente, «una  discriminazione
tra creditori in base alle rispettive disponibilita' economiche», con
la conseguente lesione, anche sotto tale profilo, dell'art. 3 Cost. 
    3.- Si e' costituito  in  giudizio  il  ricorrente  nel  processo
principale,   chiedendo    la    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma 2, del  d.P.R.  n.  131  del  1986
negli stessi termini auspicati dal rimettente. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha chiesto che  le  questioni  siano  dichiarate  non
fondate. 
    Nell'atto di intervento vengono  innanzitutto  richiamate  alcune
pronunce di questa Corte in materia di oneri fiscali (tra  le  altre,
sentenze n. 7 del 1999, n. 157 del 1969 e n. 45  del  1963),  da  cui
viene  dedotta  la  «necessita'  di  operare  un  bilanciamento   tra
l'interesse  fiscale   alla   riscossione   dell'imposta   e   quello
all'attuazione della tutela giurisdizionale». 
    Viene   quindi   sostenuta   l'insussistenza   della   denunciata
violazione degli artt. 3  e  24  Cost.,  in  quanto  il  giudizio  di
ottemperanza   non   costituirebbe   l'unico    rimedio    apprestato
dall'ordinamento per conseguire la  tutela  esecutiva  nei  confronti
della    pubblica    amministrazione,    potendo    il     creditore,
alternativamente, procedere all'esecuzione forzata civile, nonostante
l'omessa registrazione del provvedimento giudiziale. 
    La norma  sospettata,  pertanto,  non  renderebbe  impossibile  o
eccessivamente  difficile  l'esercizio  del   diritto   alla   tutela
giurisdizionale. 
    Anche la censura inerente all'asserita disparita' di  trattamento
fra creditori in base alle loro condizioni economiche  sarebbe  priva
di pregio. L'eventuale rilascio, prima  del  pagamento  dell'imposta,
del  provvedimento  giurisdizionale   munito   dell'attestazione   di
passaggio in giudicato, infatti,  in  ogni  caso  non  esimerebbe  il
richiedente dall'obbligo del versamento, sia pure successivamente  al
rilascio stesso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 marzo 2021 (reg. ord. n. 76 del 2021), il
Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta,  dubita  della   legittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma  2,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), nella parte in
cui non prevede che il divieto di rilascio  di  atti  non  registrati
recato  dal  precedente  comma  1  non  si   applichi   al   rilascio
dell'originale o della copia della sentenza o di altro  provvedimento
giurisdizionale, i  quali  debbano  essere  utilizzati  per  proporre
l'azione di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. 
    Secondo il rimettente, la norma  censurata,  non  consentendo  il
rilascio dei provvedimenti giurisdizionali prima del pagamento  della
relativa imposta di registro, precluderebbe la possibilita' di  agire
in sede di ottemperanza per l'attuazione delle pronunce  del  giudice
ordinario,  limitando  irragionevolmente  il  diritto   alla   tutela
giurisdizionale, con lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
    L'art. 3 Cost. risulterebbe  altresi'  violato  in  relazione  al
principio di eguaglianza, poiche' la disciplina posta  dall'art.  66,
comma  2,  del  d.P.R.  n.   131   del   1986   determinerebbe   «una
discriminazione tra creditori in base alle rispettive  disponibilita'
economiche». 
    2.- L'art. 66 del d.P.R. n. 131 del 1986, al comma  1,  vieta  ai
soggetti di cui al precedente art. 10, lettere b) e c) -  cioe',  per
quanto qui  rileva,  ai  cancellieri  e  ai  segretari  degli  organi
giurisdizionali - di rilasciare originali, copie  ed  estratti  degli
atti soggetti a registrazione in termine  fisso  da  loro  formati  o
autenticati,  se  non  dopo  la  registrazione  stessa,  indicando  i
relativi estremi e l'ammontare dell'imposta; al successivo  comma  2,
prevede alcune deroghe a tale divieto, disponendo  che  esso  non  si
applica a «una serie di atti tassativamente enunciati»  (sentenza  n.
198 del 2010), senza tuttavia contemplare il rilascio della  sentenza
o di altro provvedimento giurisdizionale funzionale all'instaurazione
del giudizio di ottemperanza. 
    3.- In ragione della  tassativita'  delle  deroghe  previste  dal
censurato art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 al divieto  di
rilascio stabilito dal precedente comma 1, l'esercizio dell'azione di
ottemperanza  dinanzi  al  giudice  amministrativo   per   conseguire
l'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali del giudice  ordinario
e', di fatto, precluso dall'inadempimento all'obbligo  di  versamento
dell'imposta di registro. 
    Da  questo,  infatti,  consegue  che  il  cancelliere  non  possa
rilasciare il  provvedimento  giurisdizionale  recante  in  calce  la
certificazione di passaggio  in  giudicato  (art.  124  del  r.d.  18
dicembre 1941, n. 1368, recante «Disposizioni  per  l'attuazione  del
Codice di procedura civile e disposizioni transitorie»); passaggio in
giudicato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 112, comma
2, lettera c), e 114, comma 2, dell'Allegato 1 al decreto legislativo
2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo amministrativo), costituisce requisito di ammissibilita' del
ricorso per l'ottemperanza delle sentenze e degli altri provvedimenti
a esse equiparati pronunciati dal  giudice  ordinario  (ex  plurimis,
Consiglio di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione  siciliana,
sentenza 19 aprile 2021, n. 337; Consiglio di Stato, sezione  quarta,
sentenza 12 dicembre 2016,  n.  5223;  sezione  quinta,  sentenza  11
dicembre 2015, n. 5645; sezione sesta, sentenza 28 dicembre 2011,  n.
6905). 
    4.- La questione sollevata con riferimento  agli  artt.  3  e  24
Cost. e' fondata. 
    4.1.- Occorre  premettere  che  essa  riporta  all'attenzione  il
delicato tema del rapporto tra oneri fiscali e  diritto  alla  tutela
giurisdizionale di cui  questa  Corte  si  e'  occupata  in  numerose
occasioni, soprattutto nel periodo antecedente la riforma  tributaria
degli anni settanta, quando nel nostro ordinamento -  all'interno  di
una legislazione disorganica e gia' da tempo avvertita,  anche  dalla
piu' autorevole dottrina, come fortemente vessatoria - diverse  norme
condizionavano lo svolgimento del processo all'adempimento  di  oneri
fiscali. 
    E' stata la risalente pronuncia sul solve et repete (sentenza  n.
21  del  1961)  a  inaugurare  questo  filone  della   giurisprudenza
costituzionale, eliminando dall'ordinamento una regola che rifletteva
una concezione autoritaria del rapporto tributario, in quanto  ancora
fondata sulla nozione precostituzionale di dovere di soggezione,  per
cui  l'atto  impositivo,  alla  stregua  dell'ordine  dell'autorita',
andava prima eseguito e solo dopo, eventualmente, contestato. 
    La previsione dell'onere del pagamento del tributo, prima  ancora
che fosse accertato in modo definitivo il titolo  in  base  al  quale
esso   poteva    esigersi,    quale    presupposto    imprescindibile
dell'esperimento  dell'azione   giudiziaria   diretta   a   sostenere
l'illegittimita' dell'imposizione, e' stata ritenuta in contrasto con
gli artt. 3, 24 e 113 Cost. 
    Sono seguite poi numerose altre pronunce, sia rivolte a espungere
dall'ordinamento i residui normativi ancora  ispirati  alla  medesima
logica del solve et repete (tra le altre, sentenze n. 100  del  1964,
n. 89 e n. 75 del 1962, n. 79 del 1961), sia riguardanti altre  forme
di oneri fiscali, pur  diversamente  strutturati  da  quel  risalente
istituto. 
    In  alcune  occasioni,  come  quella  relativa  alle  norme   che
impedivano l'utilizzo in giudizio degli atti sui quali non era  stata
assolta l'imposta di registro - relegati cosi' a una sorta di "esilio
giudiziario"  -   questa   Corte   non   reputo'   costituzionalmente
illegittimi tali oneri, precisando che la Costituzione «non vieta  di
imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale  correlazione  con
il  processo;  sia  che  esse  configurino  vere  e   proprie   tasse
giudiziarie, sia che abbiano riguardo all'uso di documenti  necessari
alla pronunzia finale dei giudici» (sentenza n. 45 del 1963). 
    In altre, invece, ritenne costituzionalmente  illegittime  quelle
norme  che,  anziche'  rivolte  ad  «assicurare   al   processo   uno
svolgimento meglio conforme alla sua funzione [e] prevenire  altresi'
eccessi riprovevoli nell'esercizio del diritto di  azione,  eccitando
nel  titolare  un  senso   di   responsabilita'»,   tendevano   «alla
soddisfazione  di  interessi  del  tutto  estranei   alle   finalita'
predette» e conducevano «al  risultato  di  precludere  o  ostacolare
gravemente l'esperimento della tutela giurisdizionale»  (sentenza  n.
80 del 1966). 
    Diverse di queste «remote sentenze»  (sentenza  n.  7  del  1999)
vennero ritenute poco soddisfacenti  dalla  prevalente  dottrina,  in
quanto non apparivano esaustivamente chiariti i criteri  di  giudizio
sul  bilanciamento  operato  dal  legislatore,  anche  perche',   fra
l'altro,  le  limitazioni  al  diritto  alla  tutela  giurisdizionale
venivano giustificate invocando valori tra loro  diseguali:  a  volte
l'adempimento del «dovere di contribuente» (sentenza n. 157 del 1969)
e altre volte l'esigenza di tutelare  «l'interesse  alla  riscossione
dei tributi» (sentenza  n.  91  del  1964  e,  in  termini  analoghi,
sentenza n. 157 del 1969). 
    4.2.- Il problema e' stato poi in gran parte risolto  grazie,  in
primo luogo, all'intervento del legislatore, che,  nell'ambito  della
grande riforma fiscale degli anni settanta, ha previsto  all'art.  7,
numero 7),  della  legge  delega  9  ottobre  1971,  n.  825  (Delega
legislativa al Governo della Repubblica per la  riforma  tributaria),
come principio  direttivo,  quello  di  eliminare  «ogni  impedimento
fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per  la  tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi». 
    L'ordinamento si e' cosi'  indirizzato  verso  un  nuovo  e  piu'
proporzionato bilanciamento tra i valori costituzionali  che  vengono
in rilievo nella previsione di oneri fiscali condizionanti  l'accesso
alla tutela giurisdizionale. 
    Tra questi, del resto, puo' venire senz'altro  in  considerazione
il dovere tributario, in quanto rientrante tra quelli inderogabili di
solidarieta', di cui l'art. 2 Cost. richiede l'adempimento  (sentenza
n. 120 del 2021). 
    Tale qualificazione, infatti, da un lato, esprimendo un principio
giuridico di integrazione attinente a quei valori di solidarieta' che
sono strutturali nel disegno costituzionale,  ha  segnato  un  chiaro
abbandono della risalente nozione di dovere di  soggezione  (sentenza
n. 288 del 2019), dall'altro, ha posto tale dovere, ma solo in quanto
relativo a un'imposizione tributaria che  possa  ritenersi  stabilita
nel  rispetto  del  principio   di   legalita',   in   relazione   di
coessenzialita' con i diritti inviolabili. 
    Questa Corte, del  resto,  ha  affermato  che  non  e'  possibile
subordinare all'adempimento  del  dovere  tributario,  cosi'  inteso,
l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale quando si  tratti
«di contestare la legittimita' dell'imposizione tributaria»,  perche'
cio' viola l'art. 24 Cost. (sentenza  n.  61  del  1970;  in  termini
simili, sentenze n. 522 del 2002 e  n.  111  del  1971);  ma  non  ha
escluso tale possibilita'  quando  cio'  avvenga  al  fuori  da  tale
ipotesi. 
    Tuttavia, se in linea di principio possono quindi  esistere  casi
in cui il dovere tributario puo' si' tradursi  in  oneri  concernenti
l'esercizio dello stesso  diritto  alla  tutela  giurisdizionale,  va
chiarito che, in concreto, cio' puo' avvenire solo nel  rispetto  del
principio  di  proporzionalita'  e  in  particolare   della   stretta
necessita', risultando  costituzionalmente  legittimo,  quindi,  solo
quando l'adempimento di tale dovere non  possa  essere  adeguatamente
tutelato in altro modo. 
    Va altresi' precisato che il diritto alla tutela  giurisdizionale
non puo', invece, in  alcun  modo  essere  sacrificato,  come  invece
sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato nel solco  di
alcune piu' risalenti sentenze di questa Corte, in nome  di  esigenze
di  tutela  dell'«interesse  fiscale».   Questo,   infatti,   sebbene
costituisca un interesse particolarmente tutelato dall'art. 53, primo
comma, Cost. (ex plurimis, sentenza  n.  201  del  2020),  attiene  a
momenti della dinamica impositiva nei quali  e'  ancora  in  fase  di
definizione cio' a cui corrisponde il dovere tributario. 
    Rispetto a  tale  interesse  -  che  puo'  giustificare  svariate
esigenze,  come  quella  di  evitare  «eventuali   frodi   facilmente
ipotizzabili» (sentenza n. 173 del 1975), o quella di  garantire  una
«pronta realizzazione del  credito  fiscale»  (sentenza  n.  358  del
1994),  oppure  di  «prevenire  fenomeni  di  evasione  o   elusione»
(sentenza n. 262 del 2020)  -  non  si  manifesta,  pertanto,  quella
coessenzialita' alla realizzazione dei diritti inviolabili che invece
giustifica il dovere tributario. 
    Del resto, nella vigente legislazione la  cosiddetta  riscossione
frazionata in pendenza di giudizio non e' mai impeditiva della tutela
giurisdizionale. 
    Questi criteri di bilanciamento si  sono  dunque  riflessi  nella
scelta del legislatore delegante in occasione  della  citata  riforma
tributaria, poiche' ha ritenuto di informare l'ordinamento intorno al
principio per cui gli impedimenti al diritto di  agire  in  giudizio,
oltre a non essere consentiti con riguardo all'interesse fiscale, non
sono strettamente necessari neanche al fine  di  tutelare  il  dovere
tributario, traducendosi in forme  di  controllo  fiscale  eccessive,
essendo  del  resto  possibili  altre  modalita'  comunque  idonee  a
tutelarne l'adempimento. 
    4.3.- In attuazione di tale principio, come precisato  da  questa
Corte nella sentenza n. 522 del 2002, «l'articolo 63  del  d.P.R.  26
ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell'imposta di  registro),  il  cui
contenuto e'  poi  sostanzialmente  confluito  nell'articolo  65  del
d.P.R. n. 131 del 1986, ha soppresso il divieto di  utilizzazione  in
giudizio di atti non registrati [...] ed al  suo  posto  ha  previsto
l'obbligo del cancelliere di inviarli all'ufficio  del  registro.  Il
legislatore della riforma ha pertanto ritenuto che la  situazione  di
inadempimento dell'obbligazione  relativa  all'imposta  di  registro,
emergente in occasione del processo di  cognizione,  non  puo'  avere
l'effetto di precluderne lo svolgimento e la conclusione». 
    L'adempimento del dovere tributario, dunque,  e'  stato  ritenuto
«sufficientemente garantito dall'obbligo imposto  al  cancelliere  di
informare  l'ufficio   finanziario   dell'esistenza   dell'atto   non
registrato, ponendolo cosi' in grado di procedere  alla  riscossione»
(ancora, sentenza n. 522 del 2002). 
    Alla luce di «questo tipo di bilanciamento» e  in  considerazione
«del principio secondo cui la garanzia della  tutela  giurisdizionale
posta dall'articolo 24, primo  comma,  della  Costituzione  comprende
anche la fase dell'esecuzione forzata», l'impossibilita' di  ottenere
il provvedimento giurisdizionale munito della  formula  esecutiva,  e
quindi di procedere all'esecuzione forzata, e' stata  ritenuta  dalla
medesima sentenza in contrasto con lo stesso art. 24 Cost. 
    Secondo  la  citata  pronuncia,  del   resto,   una   volta   che
«l'inadempimento dell'obbligazione tributaria» non  ha  precluso,  in
forza del comma 1 del citato art. 66, lo svolgimento del processo  di
cognizione  fino  all'emanazione   della   sentenza   (o   di   altro
provvedimento esecutivo) e ha determinato «solo la  comunicazione  da
parte  del  cancelliere  all'ufficio  del  registro  degli  atti  non
registrati», risulta irragionevole impedire poi «che alla sentenza (o
al provvedimento esecutivo) sia data attuazione mediante  l'esercizio
della tutela giurisdizionale in via esecutiva». 
    Cio' ha portato, dunque,  alla  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 66, comma 2, del d.P.R.  n.  131  del  1986,
nella parte in cui non prevedeva che la disposizione di cui al  comma
1 non si applicasse al rilascio dell'originale o  della  copia  della
sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che  debba  essere
utilizzato per procedere all'esecuzione forzata. 
    Nel solco di detta decisione, questa Corte, con  la  sentenza  n.
198 del 2010, ha poi dichiarato l'illegittimita' costituzionale della
medesima norma nella parte in cui non prevedeva che  la  disposizione
di cui al comma 1  del  menzionato  art.  66  non  si  applicasse  al
rilascio  di  copia  dell'atto  conclusivo  (sentenza  o  verbale  di
conciliazione)  della  causa  di  opposizione  allo   stato   passivo
fallimentare, ai fini della variazione di quest'ultimo. 
    5.- Alla luce della premessa svolta, la fattispecie in esame puo'
ora essere adeguatamente considerata, in base a un duplice ordine  di
ragioni. 
    In  primo  luogo,  il  divieto  di  rilascio  del   provvedimento
giurisdizionale recante in calce la certificazione  di  passaggio  in
giudicato, impedendo di fatto l'accesso al giudizio di  ottemperanza,
limita il diritto alla tutela giurisdizionale. 
    In secondo luogo, tale limitazione,  come  si  precisera'  (punto
5.2.), non e' strettamente necessaria e proporzionata  rispetto  alle
esigenze di tutela dell'adempimento del dovere tributario, che  pure,
come  in  precedenza  chiarito,  vengono  in   considerazione   nella
fattispecie  in  esame,  perche'  l'obbligazione  tributaria  non  e'
contestata dal contribuente. 
    5.1.- Quanto al primo aspetto, va innanzitutto  rilevato  che  il
giudizio di ottemperanza -  in  termini  non  dissimili,  per  questo
aspetto, dal procedimento di  esecuzione  forzata  considerato  nella
sentenza n. 522 del 2002 - e' funzionale all'attuazione coattiva  dei
provvedimenti giudiziali adottati in sede di cognizione, e  quindi  a
rendere effettivo il diritto alla tutela  giurisdizionale  presidiato
dall'art. 24, primo comma, Cost. 
    In particolare, secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte,  la   fase   dell'esecuzione   dell'obbligo   della   pubblica
amministrazione di  conformarsi  alle  pronunce  giurisdizionali  «e'
costituzionalmente necessaria» e una decisione di giustizia  che  non
possa essere portata ad effettiva esecuzione non rimarrebbe altro che
una vuota e «inutile enunciazione» (sentenza n. 419 del  1995;  nello
stesso senso, sentenze n. 406 del 1998 e n. 435 del 1995). 
    In base,  quindi,  al  principio  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale, «deve ritenersi connotato  intrinseco  della  stessa
funzione  giurisdizionale  [...]  il   potere   di   imporre,   anche
coattivamente in caso di necessita', il  rispetto  della  statuizione
contenuta nel giudicato» (sentenza n.  435  del  1995;  nello  stesso
senso,  sentenza  n.  419   del   1995,   quest'ultima   recentemente
richiamata, sul punto, dalla sentenza n. 128 del 2021). 
    L'azione di ottemperanza e', infatti, volta a  «dare  concretezza
al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall'art. 24  Cost.»
(Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 15 gennaio 2013,  n.
2). 
    Non coglie invece nel segno  la  tesi  dell'Avvocatura  generale,
secondo cui la norma  censurata  non  limiterebbe  eccessivamente  il
diritto  alla  tutela  giurisdizionale,  in  quanto  il  giudizio  di
ottemperanza non sarebbe l'unico rimedio per attuare le decisioni nei
confronti  della   pubblica   amministrazione,   potendo   la   parte
vittoriosa, malgrado l'omesso versamento  dell'imposta  di  registro,
proprio  a  seguito  della  ricordata  sentenza  n.  522  del   2002,
alternativamente procedere all'esecuzione forzata civile. 
    Il rapporto tra i due rimedi non si pone, infatti, in termini  di
mera alternativita', perche', come rilevato dal  giudice  a  quo,  il
giudizio di ottemperanza  e'  diretto,  piuttosto,  a  completare  la
tutela  conseguibile  nell'ambito  del  procedimento  di   esecuzione
forzata,  essendo   connotato   da   «potenzialita'   sostitutive   e
intromissive nell'azione amministrativa, non comparabili con i poteri
del giudice dell'esecuzione nel processo civile» (sentenza n. 406 del
1998). 
    Esso consente,  infatti,  «l'accesso  a  tecniche  di  esecuzione
incisive, quali la possibilita' d'irrogazione di  penalita'  di  mora
[...] e la nomina di un commissario ad acta  che,  nella  persistente
inerzia dell'amministrazione  dello  Stato,  proceda  al  reperimento
materiale delle risorse necessarie al pagamento» (sentenza n. 237 del
2021). 
    E'  quindi  palese  come,  concorrendo  a   colmare   l'eventuale
insufficienza della tutela offerta  dal  procedimento  di  esecuzione
forzata,  l'azione  di  ottemperanza  ben  possa   rappresentare   un
importante  ed  efficace  ausilio  per  l'attuazione  delle  pronunce
giudiziali da parte della pubblica amministrazione. 
    5.2.- Quanto al  secondo  aspetto,  occorre  considerare  che  la
normativa  sull'imposta  di  registro,  al  fine  di  garantire   una
tempestiva collaborazione con gli uffici finanziari nell'accertamento
dei rapporti imponibili e  nella  percezione  delle  imposte  dovute,
prevede obblighi collaterali, la cui inosservanza  e'  sanzionata  in
via amministrativa, a carico di cancellieri e segretari degli  organi
giurisdizionali. 
    Questi, infatti, sono tenuti, sia a richiedere  la  registrazione
delle sentenze, dei decreti e degli altri atti  alla  cui  formazione
hanno partecipato nell'esercizio delle loro funzioni (art. 10,  comma
1, lettera c, del d.P.R. n. 131 del 1986); sia a iscrivere  gli  atti
soggetti a registrazione in un apposito repertorio  e  a  presentarlo
poi, ogni quadrimestre, all'ufficio finanziario (artt. 67, comma 1, e
68, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986). 
    All'amministrazione  finanziaria,  pertanto,  e'  assicurata   la
conoscenza dell'atto soggetto a registrazione  e,  per  tal  via,  la
possibilita'  di  procedere  alla  liquidazione  e  alla  riscossione
dell'imposta. 
    L'adempimento del dovere tributario, nella fattispecie censurata,
risulta quindi, in questi termini, gia' adeguatamente tutelato, senza
che  sia  necessario  disporre  anche   un   ostacolo   alla   tutela
giurisdizionale,  che  risulta  obiettivamente  eccessivo  e   quindi
sproporzionato. 
    6.-  In  forza  delle  considerazioni  che  precedono,  deve,  in
conclusione,  essere   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 66, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui
non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applichi  al
rilascio  della  copia  della  sentenza  o  di  altro   provvedimento
giurisdizionale, i  quali  debbano  essere  utilizzati  per  proporre
l'azione di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. 
    7.-  Resta  assorbita   l'ulteriore   censura   prospettata   dal
rimettente.