ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 3,
del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale  ordinario  di
Firenze, sezione prima penale, con ordinanze del 29 aprile 2021 e del
25 giugno 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 167  e  168  del
registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25  maggio  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 aprile 2021 (r.o. n. 167 del  2021),  il
Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, ha sollevato  -
in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 [recte:  art.  117,  primo
comma,] della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e all'art. 14,
paragrafo 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti  civili
e  politici  (PIDCP)  -  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 64, comma 3, del codice di procedura  penale,  censurandolo
«nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi  indicati  debbano
essere  rivolti  alla   persona   cui   sia   contestato   l'illecito
amministrativo di cui all'art. 75 co. 1 DPR 309/1990, o che sia  gia'
raggiunta da elementi  indizianti  di  tale  illecito,  allorche'  la
stessa sia sentita in  relazione  ad  un  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, co. 2, lettera b) c.p.p.». 
    1.1.- Il  rimettente  deve  decidere  in  ordine  alla  convalida
dell'arresto e all'applicazione di misure cautelari nei confronti  di
A. S., imputato del delitto di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza),  per
le condotte di cessione a titolo oneroso di 1,57 grammi di hashish  a
D.M. P. e di detenzione per finalita'  di  spaccio  di  11,13  grammi
della medesima sostanza stupefacente. 
    Riferisce il giudice a quo che l'imputato e' stato  arrestato  in
flagranza di reato, con l'accusa di avere ceduto dell'hashish a  D.M.
P., e  che  quest'ultimo,  nel  rendere  sommarie  informazioni  alla
polizia giudiziaria ai  sensi  dell'art.  351  cod.  proc.  pen.,  ha
confermato di avere acquistato la sostanza stupefacente da A. S. 
    1.2.-  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni  sollevate,   il
rimettente   espone   che,   benche'   gia'   gravemente    indiziato
dell'illecito amministrativo  di  cui  all'art.  75,  comma  1,  t.u.
stupefacenti, D.M. P. e'  stato  sentito  dalla  polizia  giudiziaria
senza ricevere gli avvisi che l'art. 64, comma  3,  cod.  proc.  pen.
prescrive siano rivolti alla persona sottoposta a indagini. 
    Il giudice a quo osserva che la garanzia prevista  dall'art.  64,
comma 3, cod. proc. pen. comporta, in caso di omissione degli  avvisi
di cui alle lettere a) e b), l'inutilizzabilita' delle  dichiarazioni
rese  dalla  persona  interrogata;  nonche',  in  caso  di  omissione
dell'avviso di cui alla lettera c),  l'inutilizzabilita'  erga  alios
delle dichiarazioni rese su fatti che concernono  la  responsabilita'
di altri (art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen.). 
    L'art. 63 cod. proc.  pen.,  sottolinea  il  giudice  rimettente,
prevede poi «in caso di dichiarazioni autoincriminanti rese nel corso
dell'audizione da un soggetto non  imputato  e  non  sottoposto  alle
indagini [...] l'inutilizzabilita' contro il predetto soggetto  delle
dichiarazioni  rilasciate  prima  dell'interruzione  dell'esame»  (e'
citato il comma 1) e «l'inutilizzabilita'  anche  nei  confronti  dei
terzi delle dichiarazioni rese, qualora  la  persona  dovesse  essere
sentita  sin  dall'inizio  in  qualita'  di  imputato  o  di  persona
sottoposta alle indagini» (e' citato il comma 2). 
    Tali garanzie, tuttavia, non sarebbero applicabili  all'audizione
della persona cui sia  stato  contestato  un  illecito  passibile  di
sanzione amministrativa di natura punitiva - quale dovrebbe ritenersi
quello previsto dall'art. 75, comma 1,  t.u.  stupefacenti  -  o  nei
confronti della quale siano emersi indizi di commissione di  un  tale
illecito, allorche' questa «sia sentit[a] in relazione  ad  un  fatto
collegato ai sensi dell'art. 371, co. 2, lettera b) c.p.p.». 
    Nel caso di  specie,  dunque,  a  dispetto  dell'«evidente  [...]
collegamento  probatorio»  tra  l'illecito  amministrativo   di   cui
all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti,  commesso  da  D.M.  P.,  il
quale avrebbe acquistato della sostanza stupefacente  per  farne  uso
personale, e il reato di cui all'art. 73, comma 5, del medesimo testo
normativo, contestato ad A. S.  per  avere  ceduto  a  D.M.  P.  tale
sostanza, le dichiarazioni dell'acquirente, raccolte senza che questi
abbia ricevuto gli avvertimenti di cui all'art.  64,  comma  3,  cod.
proc. pen., sarebbero pienamente utilizzabili nel giudizio  a  carico
di A. S. 
    Solo ove l'art. 64, comma 3, cod.  proc.  pen.  fosse  dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui  non  prevede  che
gli avvisi in questione siano rivolti  anche  alla  persona  cui  sia
stato contestato l'illecito  amministrativo  previsto  dall'art.  75,
comma 1, t.u. stupefacenti, o nei cui confronti siano  emersi  indizi
della commissione di tale illecito,  potrebbe  affermarsi  «ai  sensi
degli  articoli  63  e  64  co.   3-bis   l'inutilizzabilita'   delle
dichiarazioni   rese   nei    confronti    dell'attuale    imputato»;
dichiarazioni che  costituirebbero  uno  dei  principali  elementi  a
carico di A. S. nel giudizio in ordine alla convalida dell'arresto  e
all'applicazione di misure cautelari. 
    Di qui la rilevanza delle questioni. 
    1.3.- Quanto alla loro non manifesta infondatezza, il  rimettente
ritiene anzitutto che le sanzioni previste  dall'art.  75,  comma  1,
t.u. stupefacenti siano  di  natura  punitiva  secondo  i  cosiddetti
criteri Engel. 
    La finalita' delle sanzioni sarebbe anzitutto  repressiva  e  non
meramente preventiva, atteso che il ritiro della patente di  guida  e
del certificato di idoneita' tecnica del ciclomotore prescindono  sia
dall'intervenuta assunzione della sostanza stupefacente acquistata  -
e,  dunque,  dalla  sussistenza  di   un   pericolo   immediato   per
l'incolumita' pubblica - sia  dall'accertamento  di  infrazioni  alle
norme sulla circolazione stradale.  Del  resto,  la  natura  punitiva
delle sanzioni di cui all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti sarebbe
stata riconosciuta anche dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  (e'
citata Corte di cassazione,  sezione  seconda  civile,  ordinanza  14
ottobre 2010, n. 21236). 
    Le sanzioni previste dall'art. 75,  comma  1,  t.u.  stupefacenti
sarebbero   inoltre   «plurime,   variegate   e   irrogabili    anche
cumulativamente»,  oltre  che  di  elevata  afflittivita'.  Il   loro
carattere punitivo si coglierebbe peraltro anche  in  relazione  alla
sola sanzione  della  sospensione  della  patente,  alla  luce  della
sentenza n. 68 del 2021 di questa  Corte,  che  ha  qualificato  come
punitiva la sanzione amministrativa della  revoca  della  patente  di
guida, in conformita' a numerose pronunce  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, ivi puntualmente citate. 
    L'illecito di cui all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti sarebbe
poi  sempre  correlato  al  delitto  di  cessione  di   stupefacenti,
severamente punito  sul  piano  penale,  sicche'  i  due  illeciti  -
amministrativo e penale - sarebbero  accumunati  dall'intenzione  del
legislatore di reprimere il traffico di stupefacenti, venendo  dunque
ad assumere anche il primo «una forte connotazione dissuasiva». 
    1.4.- Alla luce della  natura  punitiva  della  sanzione  di  cui
all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti, la  mancata  estensione  del
disposto dell'art. 64, comma 3, cod. proc. pen. alla persona accusata
o sospettata di avere commesso il  relativo  illecito  amministrativo
violerebbe le garanzie costituzionali poc'anzi enumerate. 
    1.4.1.- Vulnerato sarebbe anzitutto il diritto di difesa ex  art.
24 Cost., di  cui  il  diritto  al  silenzio  costituisce  corollario
essenziale (e' citata l'ordinanza n. 117 del 2019 di  questa  Corte).
Tale diritto dovrebbe  essere  riconosciuto  anche  nei  procedimenti
amministrativi preordinati all'irrogazione di sanzioni amministrative
di natura punitiva, coerentemente con  la  progressiva  estensione  a
queste ultime di larga parte  dello  «statuto  costituzionale»  delle
sanzioni penali (e' citata la sentenza n. 68 del 2021). 
    1.4.2.- D'altra parte, il mancato riconoscimento del  diritto  al
silenzio  in  queste  ipotesi  «parrebbe   irragionevole   e   quindi
contrastante con l'art. 3 Cost.». 
    1.4.3.- Si profilerebbe altresi' anche una lesione  dei  principi
del giusto processo, di  cui  all'art.  111  Cost.,  atteso  che  «il
diritto al silenzio e' riconosciuto non  solo  per  salvaguardare  la
liberta' e dignita' del soggetto cui le  domande  siano  rivolte,  ma
anche per assicurare la  genuinita'  delle  dichiarazioni  rese,  che
potrebbe essere messa in  pericolo  dall'esercizio  di  pressioni  da
parte dell'autorita' nei confronti del soggetto esaminato». Negare il
diritto al silenzio «sulla base della mera  distinzione  formale  tra
illecito penale e illecito amministrativo contestato al soggetto  non
imputato  da  esaminare»  non  risponderebbe  «ad  un   criterio   di
ragionevolezza [...] ai fini della genuinita' degli elementi di prova
forniti  dal  soggetto  costretto  a  rendere   dichiarazioni»,   con
conseguente violazione, ancora una volta, dell'art. 3 Cost. 
    La disposizione censurata contrasterebbe  con  l'art.  111  Cost.
anche sotto il profilo della lesione  del  principio  della  «parita'
delle armi» nell'eventuale successivo giudizio di impugnazione  della
sanzione amministrativa punitiva. 
    1.4.4.- Sarebbe inoltre vulnerato l'art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all'art. 6 CEDU, atteso che - come ricordato  da  questa
Corte nell'ordinanza n. 117 del 2019 -  il  diritto  al  silenzio  si
colloca  «al  cuore  della  nozione  di  "equo  processo"  proclamata
dall'art. 6, paragrafo  1,  CEDU»  e  si  applica  anche  a  chi  sia
incolpato di un illecito  passibile  di  sanzioni  amministrative  di
natura punitiva, declinandosi nel diritto «a non essere  obbligato  a
fornire all'autorita'  risposte  dalle  quali  potrebbe  emergere  la
propria responsabilita', sotto minaccia di una sanzione  in  caso  di
inottemperanza». 
    Tali   considerazioni   varrebbero   senz'altro   in    relazione
all'illecito di cui all'art. 75, comma 1, t.u.  stupefacenti,  atteso
che, secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',  l'acquirente  di
sostanza stupefacente per uso personale che  si  rifiuti  di  fornire
alla  polizia  giudiziaria  informazioni  sulle  persone  da  cui  ha
ricevuto la sostanza stessa puo' essere  chiamato  a  rispondere  del
delitto di favoreggiamento personale, rispetto a  cui  l'operativita'
dell'esimente di cui all'art. 384 del codice penale  e'  ammessa  con
«requisiti, limiti e condizioni tanto  stringenti  da  escluderne  di
fatto l'operativita'» (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta
penale, sentenze 11 marzo 2015, n. 12934; 8 marzo 2013, n. 23324;  13
luglio 2007, n. 30535). 
    1.4.5.- Sarebbe infine violato l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 14, paragrafo 3, lettera i),  PIDCP,  secondo  cui
«ogni individuo accusato di un reato  ha  diritto,  in  posizione  di
piena eguaglianza, come minimo alle seguenti garanzie: [...] g) a non
essere costretto  a  deporre  contro  se'  stesso  od  a  confessarsi
colpevole». Tale disposizione dovrebbe essere interpretata  in  senso
estensivo,  in  modo  da  abbracciare  anche  condotte  passibili  di
sanzioni amministrative punitive. 
    1.5.- Il pieno  riconoscimento  del  diritto  al  silenzio  anche
rispetto all'illecito di cui all'art. 75, comma 1, t.u.  stupefacenti
comporterebbe l'estensione del diritto dell'accusato a  ricevere  gli
avvisi di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen. E invero, «ove si
riconoscesse  il  diritto  al   silenzio,   ma   non   si   imponesse
all'autorita' che procede all'audizione di avvisare l'interessato  in
ordine a tale diritto, lo si priverebbe in sostanza di effettivita'»,
considerato che l'interessato non sarebbe  neppure  assistito  da  un
difensore che potrebbe renderlo edotto di tale facolta'. 
    1.6.-   Non   sarebbe   infine    possibile    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata,  volta  ad
estenderne l'ambito applicativo alla  persona  accusata  o  indiziata
dell'illecito di cui all'art. 75, comma 1,  t.u.  stupefacenti,  alla
luce del tenore letterale dell'art.  64  e  della  giurisprudenza  di
legittimita' formatasi sul punto (sono citate  Corte  di  cassazione,
sezione terza penale, sentenza 9 ottobre  2014-20  gennaio  2015,  n.
2441; sezione sesta penale, sentenza 19  settembre  2013,  n.  39981;
sezione sesta penale, sentenza 10 ottobre  2008,  n.  40586;  sezioni
unite penali, sentenza 22 febbraio 2007, n. 21832). 
    Si renderebbe dunque necessario il promovimento dell'incidente di
costituzionalita',  da  disporre   previo   ordine   di   liberazione
dell'interessato, stante l'impossibilita' di rispettare il termine di
legge per la convalida dell'arresto (e' citata la sentenza n. 54  del
1993 di questa Corte). 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- Anzitutto, l'illecito amministrativo di  cui  all'art.  75,
comma   1,   t.u.   stupefacenti   non   avrebbe   natura   punitiva,
caratterizzandosi invece  per  «finalita'  squisitamente  preventive,
connesse all'esigenza di scongiurare il consumo e la diffusione della
droga». Esso sarebbe volto,  piuttosto,  a  «tenere  sotto  controllo
l'assuntore di  sostanze  stupefacenti  che,  in  quanto  tale,  puo'
costituire un pericolo per la collettivita', laddove  ad  esempio  si
ponga alla guida di un veicolo a motore». 
    Il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni  si  svolgerebbe
poi   interamente   innanzi   all'autorita'   amministrativa,   senza
intervento dell'autorita' giudiziaria. 
    D'altra parte, le misure  di  cui  all'art.  75,  comma  1,  t.u.
stupefacenti non sarebbero  accessorie  ad  alcuna  sanzione  penale,
sicche' non sarebbero  assimilabili  alla  revoca  della  patente  di
guida, oggetto della sentenza n. 68 del 2021 di questa Corte. 
    Ne' basterebbe a qualificare  le  sanzioni  come  punitive,  alla
stregua dei criteri  Engel,  la  circostanza  che  esse  limitino  la
liberta' di circolazione del destinatario, avendo la Corte EDU negato
la natura "penale" di misure limitative di tale  liberta',  quali  le
misure di prevenzione personali,  in  ragione  della  loro  finalita'
esclusivamente preventiva e diretta a impedire il compimento di  atti
criminali (sono citate le  sentenze  23  febbraio  2017,  De  Tommaso
contro Italia; 22 febbraio 1994, Raimondo contro  Italia;  27  maggio
1991, Ciancimino contro Italia;  6  novembre  1980,  Guzzardi  contro
Italia; 1° luglio 1961, Lawless contro Irlanda). 
    Allo stesso modo, la Corte EDU avrebbe negato la natura  punitiva
di misure a scopo esclusivamente preventivo, quale l'iscrizione in un
registro degli autori di reati sessuali (sono richiamate le  sentenze
17 dicembre 2009, Bouchacourt [recte: B. B.] contro Francia e  M.  B.
contro Francia; 26 gennaio  1999,  Adamson  contro  Regno  Unito;  21
ottobre 1998, Ibbotson  contro  Regno  Unito)  e  di  misure  atte  a
consentire il corretto  svolgimento  delle  competizioni  elettorali,
quali  la  previsione  dell'ineleggibilita'  in   conseguenza   della
commissione di illeciti in materia elettorale (e' citata la  sentenza
21 ottobre 1997, Pierre-Bloch contro Francia). 
    In conclusione,  alla  luce  del  carattere  non  punitivo  delle
sanzioni previste dall'art.  75,  comma  1,  t.u.  stupefacenti,  non
potrebbe nel caso in esame applicarsi il  principio  enunciato  dalla
Corte di giustizia dell'Unione  europea  nella  sentenza  2  febbraio
2021, in causa C-481/19, D. B. contro Consob, secondo cui il  diritto
al  silenzio  va  riconosciuto  anche  nell'ambito  di   procedimenti
amministrativi  funzionali  all'irrogazione  di  sanzioni  di  natura
punitiva. 
    Resterebbe   dunque   immune   da   censure   di   illegittimita'
costituzionale l'orientamento della giurisprudenza  di  legittimita',
secondo  cui  l'acquirente   di   modiche   quantita'   di   sostanza
stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi  indizianti
di uso non personale, deve essere sentito nel  corso  delle  indagini
preliminari come persona informata dei fatti, essendo irrilevante,  a
tal fine, che egli possa essere soggetto  a  sanzione  amministrativa
per  l'uso   personale,   con   conseguente   utilizzabilita'   delle
dichiarazioni rese in tale veste (sentenze n. 2441 del 2015, n. 39981
del  2013,  n.  21832  del  2007).  A  scongiurare  il   rischio   di
autoincriminazione sarebbe, d'altra parte, sufficiente l'operativita'
della causa di non punibilita' di cui all'art. 384 cod. pen. 
    3.- Con ordinanza del 25 giugno 2021 (r.o. n. 168 del  2021),  il
Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale,  ha  nuovamente
censurato l'art. 64, comma 3, cod. proc. pen. - nella  parte  in  cui
non prevede che gli avvisi ivi indicati debbano essere  rivolti  alla
persona accusata o  indiziata  dell'illecito  amministrativo  di  cui
all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti, che sia sentita in relazione
ad un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma  2,  lettera  b),
cod. proc. pen. - denunziandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 111
e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6  CEDU
e all'art. 14, paragrafo 3, lettera g), PIDCP. 
    3.1.- Il  rimettente  deve  decidere  in  ordine  alla  convalida
dell'arresto e all'applicazione di misure cautelari nei confronti  di
M.L. D., imputato del delitto di  cui  all'art.  73,  comma  5,  t.u.
stupefacenti per avere ceduto a titolo oneroso 0,44 grammi di crack a
F. R. e per avere detenuto per finalita' di spaccio complessivi  4,80
grammi della medesima sostanza. 
    Anche in questo caso, l'imputato e' stato arrestato in flagranza,
con l'accusa di  avere  ceduto  lo  stupefacente  all'acquirente,  il
quale, sentito dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 351  cod.
proc. pen., ha confermato di avere acquistato la sostanza da M.L. D.,
dichiarando altresi' di avere effettuato precedenti acquisti di crack
dalla medesima persona. 
    Il  giudice  a  quo   specifica   che   il   rinvenimento   nella
disponibilita' di M.L. D. di 4,80 grammi di crack da solo  giustifica
la  convalida  dell'arresto  (disposta  con  contestuale  liberazione
dell'imputato), laddove invece  l'applicazione  di  misure  cautelari
richiede la valutazione del compendio probatorio a carico di M.L.  D.
e,  dunque,  una  decisione  in  ordine  alla  utilizzabilita'  delle
dichiarazioni rese da F. R. 
    Quanto alla rilevanza e alla  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni,  il  rimettente  svolge  argomentazioni  sovrapponibili  a
quelle contenute nell'ordinanza iscritta al r.o.  n.  167  del  2021,
soggiungendo che, nel caso di specie, viene in rilievo la cessione di
una sostanza compresa nelle Tabelle I e  III  previste  dall'art.  14
t.u. stupefacenti, sicche' le sanzioni previste dall'art.  75,  comma
1,  si  applicano  per  un  periodo  piu'  lungo  rispetto  a  quello
considerato nell'ordinanza iscritta al r.o. n. 167 del 2021  (da  due
mesi a un anno invece che da uno a tre mesi); e  che,  alla  data  di
pronuncia  dell'ordinanza  di  rimessione,  e'  stata  depositata  la
sentenza n. 84 del  2021  di  questa  Corte,  che  ha  «espressamente
riconosciuto il  diritto  al  silenzio  al  soggetto  interessato  da
procedimenti amministrativi comunque funzionali a scoprire illeciti e
a  individuarne   i   responsabili   e   suscettibili   di   condurre
all'applicazione  [...]  di  sanzioni  amministrative  di   carattere
punitivo». 
    4.- Anche in questo giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' o
non   fondatezza   delle   questioni,   sulla   base   delle   stesse
argomentazioni svolte nell'atto di intervento depositato nel giudizio
iscritto al r.o. n. 167 del 2021,  e  aggiungendo  che  la  soluzione
adottata dalla citata sentenza n. 84 del 2021 non sarebbe estensibile
al caso di specie, stante la natura non punitiva  delle  sanzioni  di
cui all'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le  due  ordinanze  indicate  in  epigrafe  il  Tribunale
ordinario di  Firenze,  sezione  prima  penale,  ha  sollevato  -  in
riferimento agli artt. 3, 24, 111  e  117  [recte:  art.  117,  primo
comma] della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della
Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo  (CEDU)  e  all'art.  14,
paragrafo 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti  civili
e  politici  (PIDCP)  -  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 64, comma 3, del codice di procedura  penale,  censurandolo
«nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi  indicati  debbano
essere  rivolti  alla   persona   cui   sia   contestato   l'illecito
amministrativo di cui all'art. 75 co. 1 DPR 309/1990, o che sia  gia'
raggiunta da elementi  indizianti  di  tale  illecito,  allorche'  la
stessa sia sentita in  relazione  ad  un  reato  collegato  ai  sensi
dell'art. 371, co. 2, lettera b) c.p.p.». 
    1.1.- In entrambi i giudizi a quibus, il giudice rimettente  deve
procedere alla convalida dell'arresto in flagranza degli indagati e/o
alla decisione sulla richiesta  di  misure  cautelari  formulata  dal
pubblico ministero a carico dei medesimi, ai sensi degli  artt.  449,
comma 1, e 391, commi 4 e 5, cod.  proc.  pen.,  per  il  delitto  di
cessione di sostanze stupefacenti di lieve entita'  di  cui  all'art.
73, comma 5, del decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre
1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 
    Tra gli elementi di prova a carico  degli  arrestati  vi  sono  i
verbali di sommarie informazioni rese da due persone  sorprese  dalla
polizia  nell'atto  di  acquistare  sostanze  stupefacenti  dai   due
indagati 
    Il giudice rimettente dubita  della  possibilita'  di  utilizzare
quale prova, ai fini della convalida dell'arresto e  della  decisione
sulla misura cautelare (nel giudizio iscritto al n. 167 del reg. ord.
2021), ovvero  della  sola  decisione  sulla  misura  cautelare  (nel
giudizio iscritto al n.  168  del  reg.  ord.  2021),  i  verbali  di
sommarie informazioni in questione, dal momento che ai dichiaranti  -
pur  esposti  al   rischio   di   vedersi   applicate   le   sanzioni
amministrative di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti - non sono  stati
formulati gli avvertimenti previsti dall'art. 64, comma 3, cod. proc.
pen. nei confronti delle persone sottoposte alle indagini. 
    1.2.-  Il  rimettente  muove  dal  presupposto  che  le  sanzioni
previste dall'art. 75 t.u. stupefacenti a  carico,  segnatamente,  di
chi acquisti  sostanze  stupefacenti  per  farne  uso  esclusivamente
personale,  pur  se  formalmente  qualificate  come   amministrative,
abbiano natura sostanzialmente punitiva secondo i criteri Engel. 
    In base  allora  ai  principi  gia'  enunciati  da  questa  Corte
nell'ordinanza n. 117 del 2019 e poi ribaditi nella  sentenza  n.  84
del  2021,  la  persona  nei  cui  confronti  sussistano  indizi   di
commissione di un illecito che comporta la possibile applicazione  di
tali sanzioni  punitive  sarebbe  titolare,  alla  pari  di  chi  sia
sottoposto  a  indagini  che  possano  sfociare  nell'irrogazione  di
sanzioni penali in senso stretto, del "diritto al  silenzio"  fondato
sull'art. 24 Cost. e  dalle  norme  europee  e  internazionali  sopra
indicate. 
    La tutela di tale diritto comporterebbe l'obbligo, a carico delle
autorita'  di  polizia  e  giudiziarie  che  intendano  acquisire  le
dichiarazioni  di  una  persona  esposta  a  sanzioni  di   carattere
punitivo, di avvertire la persona medesima della propria facolta'  di
non rendere alcuna dichiarazione, senza incorrere per  cio'  solo  in
alcuna  responsabilita'  penale.  Piu'  in  particolare,   le   norme
costituzionali e sovranazionali sulle quali si fonda  il  diritto  al
silenzio imporrebbero, secondo il rimettente, di avvertirlo, ai sensi
dell'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., che: «a) le sue dichiarazioni
potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto
disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facolta' di non rispondere  ad
alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguira' il suo corso; c)
se rendera' dichiarazioni su fatti che concernono la  responsabilita'
di altri, assumera', in ordine a tali fatti, l'ufficio di  testimone,
salve le incompatibilita' previste dall'articolo 197 e le garanzie di
cui all'articolo 197-bis». 
    Ad avviso del rimettente, l'omissione di  tali  avvertimenti  non
potrebbe  che  comportare  l'inutilizzabilita'  delle   dichiarazioni
medesime anche nel procedimento concernente la responsabilita'  della
persona accusata del delitto di cessione  di  sostanze  stupefacenti,
giusta il  disposto  del  successivo  comma  3-bis,  secondo  periodo
dell'art.  64  cod.  proc.   pen.,   secondo   cui   «[i]n   mancanza
dell'avvertimento di cui al comma 3,  lettera  c),  le  dichiarazioni
eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che  concernono
la responsabilita' di altri non sono utilizzabili nei loro  confronti
e la persona interrogata non  potra'  assumere,  in  ordine  a  detti
fatti, l'ufficio di testimone». 
    2.- Le due ordinanze sollevano  questioni  identiche,  sicche'  i
relativi giudizi debbono essere riuniti ai fini della decisione. 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle  questioni,  svolgendo  tuttavia  unicamente
argomenti che attengono al merito  delle  questioni  stesse;  sicche'
l'eccezione costituisce mera formula di rito e deve essere  disattesa
(sentenza n. 115 del 2022). 
    3.1.- Le questioni - sollevate in entrambe  i  casi  dal  giudice
nell'ambito del procedimento, disciplinato dagli artt. 449, comma  1,
e art. 391, comma 5, cod. proc. pen., di decisione sulla richiesta di
misura cautelare proposta  dal  pubblico  ministero  successiva  alla
convalida dell'arresto - devono,  d'altronde,  ritenersi  ammissibili
per le medesime ragioni gia' indicate da questa Corte nella  sentenza
n. 137 del 2020. 
    Non osta alla proponibilita' della questione, in particolare,  la
circostanza che il giudice,  nell'atto  di  sospendere  il  giudizio,
abbia disposto la liberazione dell'arrestato.  E'  vero  infatti  che
l'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. presuppone  normalmente  che  il
giudice provveda sulla richiesta di misura cautelare nei confronti di
persona  sottoposta  a  limitazione  della  liberta'  personale,   in
conseguenza dell'arresto. Tuttavia, nei due casi in esame il  giudice
ha correttamente sospeso la  propria  decisione  sulla  richiesta  di
misura cautelare,  in  attesa  della  decisione  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale che egli ritiene pregiudiziali rispetto a
tale decisione,  non  esaurendo  in  tal  modo  la  propria  potestas
decidendi attribuitagli dall'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. Cosi'
facendo,  peraltro,  egli  ha  dovuto  necessariamente  disporre   la
liberazione dell'arrestato: e cio' non perche' abbia  gia'  rigettato
la richiesta del pubblico ministero, come nell'ipotesi  regolata  dal
successivo comma 6 del medesimo articolo, ma  -  semplicemente  -  in
conseguenza della propria mancata decisione su  tale  richiesta  sino
alla   definizione   del   giudizio   incidentale   di   legittimita'
costituzionale, e dalla connessa assenza di un titolo custodiale  nei
confronti dell'indagato. 
    Come osservato da questa Corte nella citata sentenza n.  137  del
2020, «[a] ragionare diversamente,  il  giudice  della  convalida  si
troverebbe   sistematicamente   nell'impossibilita'   di    sollevare
questione di legittimita' costituzionale sulle norme che disciplinano
i presupposti delle misure cautelari, con  conseguente  creazione  di
una vera e propria "zona franca" dal giudizio  di  costituzionalita'.
Se, infatti, il giudice della  convalida  -  al  fine  di  promuovere
l'incidente di costituzionalita' - applicasse la misura richiesta dal
pubblico ministero, egli non solo limiterebbe la  liberta'  personale
dell'arrestato  sulla  base  di  presupposti  normativi   della   cui
legittimita'  costituzionale  dubita,  ma  farebbe  con  cio'  stesso
applicazione  della  disposizione  censurata,  esaurendo  il  proprio
potere decisionale e privando cosi' di rilevanza la stessa  questione
di legittimita' costituzionale». 
    3.2.-  Le  questioni  debbono  altresi'   ritenersi   ammissibili
nonostante  il  giudice  non  abbia  espressamente  individuato  come
bersaglio dei propri dubbi il comma 3-bis, secondo periodo, dell'art.
64  cod.  proc.  pen.,  e   cioe'   la   disposizione   che   prevede
l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese contra alios laddove non
siano stati formulati gli avvertimenti di cui al precedente comma  3,
oggetto delle censure del rimettente. 
    Dal tenore complessivo dell'ordinanza  di  rimessione,  alla  cui
luce deve essere interpretato il  relativo  dispositivo  (da  ultimo,
sentenza n. 73 del 2022), si evince infatti che il giudice ha  inteso
in effetti censurare il  combinato  disposto  dei  commi  3  e  3-bis
dell'art. 64 cod. proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevedono
l'obbligo di formulare  gli  avvertimenti  di  cui  al  comma  3  nei
confronti della persona indiziata dell'illecito amministrativo di cui
all'art. 75 t.u. stupefacenti, e conseguentemente l'inutilizzabilita'
- discendente dal comma 3-bis - delle dichiarazioni rese  in  assenza
di tali avvertimenti: inutilizzabilita'  dalla  quale  discenderebbe,
appunto, l'impossibilita' di fondare anche su tali  dichiarazioni  la
misura cautelare richiesta nel procedimento a quo. 
    In tale contesto, la menzione nel dispositivo  dell'ordinanza  di
rimessione del solo comma 3 si spiega  considerando  che  il  giudice
rimettente auspica da parte di questa Corte un intervento soltanto su
tale  previsione,  mentre  l'inutilizzabilita'  delle   dichiarazioni
acquisite dalla persona  indiziata  dell'illecito  amministrativo  in
parola, in assenza degli  avvertimenti,  deriverebbe  automaticamente
dal comma 3-bis nella  sua  vigente  formulazione,  che  un'eventuale
pronuncia di accoglimento non dovrebbe in alcun modo modificare. 
    4.- Nel merito, le questioni non sono pero' fondate. 
    4.1.-   Le   due   ordinanze   di   rimessione   si    imperniano
sull'affermazione secondo cui le sanzioni di cui all'art.  75,  comma
1,  t.u.  stupefacenti,   pur   se   formalmente   qualificate   come
"amministrative", avrebbero in  realta'  natura  punitiva  secondo  i
criteri Engel, e come tali attrarrebbero su  di  se'  l'intera  gamma
delle   garanzie,   sostanziali   e   processuali,   previste   dalla
Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti  per
la materia penale, tra cui segnatamente il "diritto al silenzio". 
    Ad avviso del rimettente, in  effetti,  tali  sanzioni  avrebbero
natura  repressiva  e  non  meramente  preventiva,  dal  momento  che
l'autorita' competente ad irrogarle  -  il  prefetto  -  non  sarebbe
chiamata  ad  alcun  accertamento   sulla   effettiva   pericolosita'
dell'interessato, ne' sulla  eventuale  trasgressione,  da  parte  di
costui, delle norme  relative  alla  circolazione  stradale.  D'altra
parte, si tratterebbe di  sanzioni  dall'elevata  carica  afflittiva,
come gia' riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 68 del  2021
in relazione alla revoca della patente di guida, le quali peraltro si
lascerebbero  spiegare  soltanto   quali   strumenti   funzionali   a
dissuadere  i  consociati  dall'acquistare  sostanze  stupefacenti  e
dall'incrementare, in tal modo, il traffico illecito  delle  sostanze
medesime. 
    4.2.- Questa Corte, tuttavia, non e' persuasa da tali argomenti. 
    4.2.1.- Come gia' sottolineato nella sentenza n.  109  del  2016,
l'art. 75 t.u.  stupefacenti  «rappresenta  il  momento  saliente  di
emersione della strategia - cui si ispira la  normativa  italiana  in
materia di sostanze stupefacenti e psicotrope a partire  dalla  legge
22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza) - volta a differenziare, sul piano del trattamento
sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del
produttore e del trafficante. L'idea di fondo del legislatore e'  che
l'intervento repressivo debba rivolgersi precipuamente nei  confronti
dei  secondi,  dovendosi  scorgere,  di  norma,  nella   figura   del
tossicodipendente   o   del   tossicofilo   una   manifestazione   di
disadattamento sociale, cui far fronte, se del caso,  con  interventi
di tipo terapeutico e riabilitativo». 
    4.2.2.-  L'intento  terapeutico  e   riabilitativo,   alternativo
rispetto alla logica della punizione, perseguito dal legislatore  nei
confronti del consumatore di sostanze stupefacenti si  manifesta  con
particolare evidenza nella disciplina di cui al comma 2 dell'art. 75,
che prevede  l'invito  all'interessato  a  seguire,  «ricorrendone  i
presupposti»,  un  «programma  terapeutico  e   socio-riabilitativo»,
ovvero «altro programma educativo  e  informativo  personalizzato  in
relazione alle [sue] specifiche esigenze», predisposto  dal  servizio
pubblico  per  le  tossicodipendenze  o  da  una  struttura   privata
autorizzata. 
    Meno  evidente  appare,  invero,  la   natura   giuridica   delle
«sanzioni» previste dal comma 1, da irrogarsi entro il  minimo  e  il
massimo previsto a seconda che la condotta  abbia  a  oggetto  droghe
cosiddette "pesanti" o "leggere",  e  sottoposte  a  un  procedimento
applicativo che ricalca  in  larga  misura  quello  previsto  per  la
generalita' delle sanzioni amministrative  dalla  legge  24  novembre
1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale):  la  sospensione  della
patente di guida, del certificato di abilitazione  professionale  per
la guida di motoveicoli e del certificato di idoneita' alla guida  di
ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a  tre  anni
(lettera a); la sospensione  della  licenza  di  porto  d'armi  o  il
divieto di conseguirla (lettera b); la sospensione del  passaporto  o
di altro documento equipollente, ovvero  il  divieto  di  conseguirli
(lettera c); la sospensione del permesso di soggiorno per  motivi  di
turismo o  il  divieto  di  conseguirlo,  per  cio'  che  concerne  i
cittadini extracomunitari (lettera d). 
    4.2.3.- Al riguardo, occorre subito  sottolineare  che  l'elevata
carica  di  afflittivita'  di  queste  misure  rispetto  ai   diritti
fondamentali sui quali esse incidono non esclude, di per se'  stessa,
la loro finalita' preventiva, ne' depone univocamente  nel  senso  di
una loro natura "punitiva". 
    In effetti, anche la misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale di cui all'art. 6 del decreto legislativo 6 settembre  2011,
n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure  di  prevenzione,
nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a
norma degli articoli 1 e 2  della  legge  13  agosto  2010,  n.  136)
comporta, o puo' comportare, prescrizioni o conseguenze accessorie di
contenuto identico o analogo a quelle previste dall'art. 75, comma 1,
t.u. stupefacenti, quali  segnatamente:  il  divieto  di  detenere  o
portare armi (art.  8,  comma  4,  cod.  antimafia);  il  divieto  di
conseguire la patente di  guida  (art.  120,  comma  1,  del  decreto
legislativo 30 aprile 1992,  n.  285,  recante  «Nuovo  codice  della
strada») o la sua revoca  (art.  120,  comma  2,  cod.  strada,  come
modificato  dalla  sentenza  n.  99  del  2020  di   questa   Corte);
l'espulsione dal territorio nazionale relativamente al  cittadino  di
Stato non appartenente all'Unione europea (art. 13, comma 2,  lettera
c, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  recante  «Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero»). Quanto poi alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno  nel
comune di residenza o di dimora abituale, prevista dall'art. 6, comma
3, cod. antimafia, essa produce evidentemente una  limitazione  della
liberta' di spostarsi nello  spazio  ben  piu'  intensa  rispetto  al
divieto di recarsi in taluni Paesi esteri, conseguente al ritiro  del
passaporto  previsto  dall'art.  75,  comma  1,  lettera   c),   t.u.
stupefacenti. 
    Ebbene, questa Corte - condividendo la valutazione gia'  espressa
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Grande camera, sentenza 23
febbraio 2017, De Tommaso contro Italia, paragrafo 143) -  ha  negato
natura punitiva alla misura della sorveglianza speciale, dalla  quale
pure  discendono  tutte  queste  pesanti  limitazioni   dei   diritti
fondamentali  della  persona,  riconoscendone  invece  una  finalita'
spiccatamente preventiva (sentenza n. 24 del 2019, punto  9.7.1.  del
Considerato in diritto: «[i]mperniate come sono  su  un  giudizio  di
persistente pericolosita' del  soggetto,  le  misure  di  prevenzione
personale hanno una chiara finalita'  preventiva  anziche'  punitiva,
mirando a limitare la liberta' di movimento del loro destinatario per
impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli
piu' difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo  stesso
all'autorita' di pubblica sicurezza di esercitare  un  piu'  efficace
controllo  sulle  possibili  iniziative   criminose   del   soggetto.
L'indubbia dimensione afflittiva  delle  misure  stesse  non  e',  in
quest'ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui  scopo
essenziale e'  il  controllo,  per  il  futuro,  della  pericolosita'
sociale del soggetto interessato: non gia' la punizione per cio'  che
questi ha compiuto nel passato»). 
    4.2.4.- Identica conclusione si  impone,  a  giudizio  di  questa
Corte,  per  le  misure  previste  dall'art.  75,   comma   1,   t.u.
stupefacenti. 
    Una finalita'  spiccatamente  preventiva  puo',  in  particolare,
essere agevolmente ascritta alla "sanzione" - prevista dalla  lettera
a) - della sospensione della patente di guida, ovvero del divieto  di
conseguirla  per  un  periodo  fino  a  tre  anni.  Tale  misura   e'
evidentemente funzionale a prevenire i rischi connessi alla guida  di
autoveicoli  da  parte  di  soggetti  in  stato  di   intossicazione:
condotta, peraltro, che integra essa stessa l'illecito amministrativo
di cui all'art. 187 cod. strada. 
    Vero e' che la recente sentenza n. 68 del 2021 di  questa  Corte,
in una con la copiosa giurisprudenza della Corte EDU ivi puntualmente
richiamata (punto 6 del  Considerato  in  diritto),  ha  riconosciuto
«connotazioni sostanzialmente punitive  (sia  pur  non  disgiunte  da
finalita' di tutela degli interessi coinvolti dalla circolazione  dei
veicoli  a  motore,  secondo   uno   schema   tipico   delle   misure
sanzionatorie  consistenti  nell'interdizione  di   una   determinata
attivita')» alla revoca della patente disposta dal giudice penale con
la sentenza di condanna o di patteggiamento della pena per i reati di
omicidio stradale o lesioni personali stradali gravi o gravissime, di
cui agli artt. 589-bis e 590-bis del codice penale. Ma  tanto  quella
specifica misura, cosi' come quelle analoghe oggetto  delle  sentenze
europee ivi citate, costituiscono sanzioni irrogate direttamente  dal
giudice  penale   nella   stessa   sentenza   di   condanna,   ovvero
dall'autorita'  amministrativa  a  seguito  della   condanna   penale
dell'interessato per un fatto costituente reato; mentre  nell'ipotesi
regolata  dall'art.  75  t.u.  stupefacenti  la  misura  e'  disposta
dall'autorita' amministrativa in conseguenza dell'accertamento di  un
fatto che l'ordinamento ha scelto di non qualificare  come  reato,  e
che quindi non da' luogo ad alcuna conseguenza  di  natura  penale  a
carico dell'interessato. Tale fatto d'altra parte, denota - nella non
irragionevole   valutazione   del   legislatore   -   la    possibile
pericolosita' del suo autore per  la  generalita'  degli  utenti  del
traffico, in considerazione del rischio che egli si ponga alla  guida
di un  autoveicolo  in  una  condizione  di  alterazione  psicofisica
conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti. 
    Analogamente, la sospensione della licenza di porto d'armi  e  il
divieto di conseguirla appaiono misure strumentali a evitare  l'abuso
intenzionale, o anche solo l'uso non accorto, di armi da parte di  un
soggetto  con  minori  capacita'   di   autocontrollo   per   effetto
dell'assunzione di sostanze stupefacenti; mentre  la  misura  di  cui
alla lettera d) sottende evidentemente il venir  meno  dei  requisiti
morali minimi ai quali e' subordinato il rilascio, o  la  persistente
validita', del permesso  di  soggiorno  per  motivi  di  turismo  nei
confronti  dello  straniero  extracomunitario,  in  conseguenza   del
paventato pericolo di turbamento  dell'ordine  pubblico  connesso  al
consumo di sostanze stupefacenti da parte di costui. 
    4.2.5.- Per altro verso, la natura preventiva delle "sanzioni" in
questione, certamente corrispondente alle intenzioni del legislatore,
segna  anche  il  limite  dei  poteri  dell'autorita'  amministrativa
nell'esercizio della  propria  discrezionalita'  rispetto  alla  loro
irrogazione nel caso concreto. 
    L'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti  stabilisce  attualmente  -
con scelta la cui legittimita' costituzionale non e' in  questa  sede
in discussione - che il prefetto debba disporre, a carico di chi  sia
sorpreso a compiere una delle condotte ivi elencate, una o  piu'  tra
le quattro tipologie di sanzioni indicate, salvo che  non  sussistano
gli estremi per definire il procedimento - limitatamente  alla  prima
violazione - con un semplice «invito a non fare piu' uso» di sostanze
stupefacenti  o  psicotrope  e  contestuale  avvertimento  circa   le
conseguenze  di  una  successiva  violazione,  laddove   «ricorr[a]no
elementi tali da far presumere che la persona  si  asterra',  per  il
futuro, dal commettere» fatti  analoghi  (art.  75,  comma  14,  t.u.
stupefacenti). 
    Nell'esercitare,  dunque,  la  propria   discrezionalita'   nella
decisione relativa tanto all'an (nei limiti consentiti dal menzionato
comma 14), quanto  alla  tipologia  delle  sanzioni  da  irrogare  in
concreto e alla loro durata, il prefetto non  potra'  non  orientarsi
alla logica preventiva  che  sorregge  la  scelta  legislativa.  Ogni
determinazione relativa alla sanzione, e alla  sua  concreta  durata,
dovra' pertanto giustificarsi al  metro  dei  criteri  di  idoneita',
necessita' e proporzionalita' rispetto alle  legittime  finalita'  di
ciascuna sanzione, alla luce delle caratteristiche del caso concreto,
e segnatamente della  peculiare  situazione  del  destinatario  delle
misure. Questi potrebbe collocarsi  in  qualsiasi  punto,  estremo  o
intermedio,  dell'ideale  scala  che   conduce   dalla   figura   del
consumatore occasionale di una droga "leggera" sino a  quella  di  un
tossicodipendente  il  cui   comportamento   sia   ormai   gravemente
condizionato dall'uso continuo di sostanze stupefacenti,  e  nei  cui
confronti certamente sussisteranno, ad esempio, ragioni  cogenti  per
sospendere la patente di guida e la licenza di porto d'armi. 
    In tali valutazioni dovra' invece restare a priori  esclusa  ogni
impropria logica punitiva, la quale  chiamerebbe  necessariamente  in
causa lo statuto costituzionale della responsabilita' penale, incluso
lo  stesso  "diritto  al  silenzio"  nell'ambito   del   procedimento
applicativo delle sanzioni qui all'esame. 
    4.2.6.- In questi termini - e  fatta  salva  la  possibilita'  di
puntuali  verifiche  relative  alla  legittimita'  costituzionale  di
singoli aspetti della disciplina di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti
- deve dunque escludersi che le sanzioni ivi disciplinate siano,  nel
loro complesso, connotate da natura e finalita' punitiva. 
    4.3.- La conclusione appena raggiunta determina il venir meno del
presupposto essenziale su  cui  si  fondano  i  dubbi  sollevati  dal
rimettente, il quale lamenta la violazione del  diritto  al  silenzio
della persona esposta alle sanzioni in parola sulla base - appunto  -
della loro allegata natura punitiva.