ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 438,  comma
1-bis, del codice di procedura penale,  come  inserito  dall'art.  1,
comma  1,  lettera  a),  della  legge   12   aprile   2019,   n.   33
(Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti  puniti  con  la
pena dell'ergastolo), promosso dalla Corte d'assise  di  Bologna  nel
procedimento penale a carico di G. N. con ordinanza del  17  novembre
2021, iscritta al n. 223  del  registro  ordinanze  2021,  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 settembre 2022 il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 settembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'assise di Bologna, con ordinanza del  17  novembre
2021, iscritta  al  n.  223  del  registro  ordinanze  2021,  solleva
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma  1-bis,
del codice di  procedura  penale,  inserito  dall'art.  1,  comma  1,
lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33  (Inapplicabilita'  del
giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo), in
riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, «nella parte in
cui non prevede che l'imputato  semiinfermo  di  mente,  riconosciuto
parzialmente incapace di intendere e [recte: o] di volere al  momento
del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso  al
rito abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo». 
    1.1.- La Corte rimettente premette di doversi  pronunciare  sulla
richiesta di rito abbreviato avanzata da G. N., imputato del  delitto
di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 577, primo comma, numero 1),
del codice penale, per aver cagionato la morte del padre. 
    La richiesta di accesso al rito abbreviato, presentata davanti al
Giudice per le indagini preliminari  dopo  che  questi  aveva  emesso
decreto di giudizio immediato nei confronti dell'imputato,  e'  stata
respinta sulla base della preclusione contenuta nell'art. 438,  comma
1-bis, cod. proc. pen., per i delitti puniti con l'ergastolo. 
    L'imputato, riconosciuto in sede di incidente probatorio  affetto
da vizio parziale di mente al momento del  fatto,  ha  riproposto  la
richiesta nella fase preliminare di apertura del dibattimento, previa
rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt.
17 e 22 cod. pen., nonche' dell'art. 438,  comma  1-bis,  cod.  proc.
pen. 
    2.-  L'ordinanza  di   rimessione   ritiene   rilevanti   e   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui  nega
l'accesso al rito abbreviato all'imputato di delitto  punito  con  la
pena  dell'ergastolo  che  sia  risultato  parzialmente  incapace  di
intendere o di volere ai sensi dell'art. 89 cod. pen. 
    Le  questioni  sarebbero  rilevanti  perche'   l'imputato,   come
accertato in sede di incidente probatorio, e' ritenuto persona  dalla
capacita' di intendere e di volere grandemente scemata per infermita'
psichica, sicche',  ove  ammesso  al  rito  abbreviato,  in  caso  di
condanna, la conseguente  diminuente  processuale  si  riverbererebbe
sull'entita' della pena. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, muovendo  dalla  premessa
per cui il vizio  parziale  di  mente  di  cui  alla  previsione  ora
richiamata si traduce in una «circostanza attenuante espressiva [...]
della   ridotta   rimproverabilita'   soggettiva   dell'autore»   (e'
richiamata la sentenza di questa Corte n. 73 del 2020), il rimettente
ritiene  assimilabile  la  condizione  di  «non  piena   colpevolezza
(presunta per legge)» del minorenne imputabile (prevista dall'art. 98
cod. pen.) e del seminfermo di mente. 
    Di essa vi sarebbero  «precisi  riferimenti»  nelle  sentenze  di
questa Corte n. 253 del 2003,  che  ha  escluso  l'applicabilita'  di
automatismi legislativi connessi  alla  condizione  di  pericolosita'
dell'infermo di mente e del minore non imputabile, e n. 73  del  2003
(recte: 2020), in relazione alla corrispondenza tra il minor grado di
rimproverabilita' soggettiva sussistente in entrambe le circostanze e
la conseguente riduzione di pena. 
    Lo  stesso  legislatore  avrebbe   del   resto   mostrato   piena
consapevolezza della necessita' di tale equiparazione nel momento  in
cui, con l'art. 11 della legge 19 luglio 2019, n.  69  (Modifiche  al
codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni  in
materia di tutela delle vittime di violenza domestica e  di  genere),
novellando, nel nuovo art. 577, terzo comma, cod. pen., il regime  di
bilanciamento di circostanze per il delitto di omicidio,  ha  escluso
dal divieto di prevalenza sia l'attenuante ex art. 89 cod. pen.,  sia
quella ex art. 98 cod. pen. 
    3.- A fronte di queste premesse, l'ordinanza di rimessione rileva
una «marcata asimmetricita'»  di  conseguenze  sanzionatorie  per  le
ipotesi dell'imputato minorenne e dell'imputato seminfermo  di  mente
in relazione all'accesso al rito abbreviato. 
    Laddove  per  il  primo,  infatti,   non   sussisterebbe   alcuna
preclusione nell'accesso al giudizio  abbreviato  per  effetto  della
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  (contenuta   nella
sentenza n. 168 del 1994) delle disposizioni del  codice  penale  che
non escludevano l'applicazione  della  pena  dell'ergastolo,  per  il
seminfermo    di    mente    l'analoga    condizione    di    ridotta
rimproverabilita', pur incidendo sulla pena concretamente  irrogabile
in esito al bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen., non
si  ripercuoterebbe  sulle  condizioni   di   accesso   al   giudizio
abbreviato, che resterebbe  precluso,  in  forza  della  disposizione
censurata,  ove  si  proceda  «per  i  delitti  puniti  con  la  pena
dell'ergastolo». 
    Tale preclusione, pertanto, «costituisce una forma di trattamento
disomogeneo di situazioni omogenee, che non rispetta il principio  di
ragionevolezza ed il presidio posto dall'art. 3 della Costituzione». 
    Ne' ad esiti diversi dovrebbe condurre la  sentenza  n.  260  del
2020 di questa Corte, che, secondo  il  giudice  a  quo,  ha  escluso
l'illegittimita' costituzionale della disposizione censurata muovendo
dalla discrezionalita'  che  deve  essere  riservata  al  legislatore
nell'escludere il rito speciale per quelle aggravanti  del  reato  di
omicidio che, comportando la comminatoria  dell'ergastolo,  connotano
di  un  disvalore  oggettivo  superiore  le  fattispecie   aggravate.
L'analoga  condizione  di  ridotta  rimproverabilita',  che  accomuna
l'imputato minorenne all'imputato seminfermo di  mente,  si  porrebbe
infatti su un piano  diverso  rispetto  a  quello  delle  circostanze
soggettive,  esprimendo  «un  evidente  rilievo   attenuativo   della
gravita' oggettiva»  e  incidendo  sulla  «immediata  percezione  del
disvalore oggettivo del fatto», cio' che giustificherebbe  il  vaglio
di costituzionalita' dell'art. 438, comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.,
alla luce, oltre che dell'art. 3 Cost., anche degli artt.  27,  terzo
comma, e 32 Cost. 
    La medesima ordinanza di rimessione ritiene invece manifestamente
infondate  le   questioni   di   legittimita'   costituzionale,   pur
prospettate dalla difesa di G. N., aventi ad oggetto gli artt.  17  e
22 cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  escludono  l'applicazione
dell'ergastolo al soggetto che, al momento del fatto, era affetto  da
vizio parziale di mente. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  e,
comunque, non fondate. 
    Innanzi tutto,  si  osserva  come  analoga  questione  sia  stata
dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con  la  sentenza
(recte: ordinanza) n. 214 del 2021. 
    In ogni caso, non vi sarebbe  assimilabilita'  tra  la  posizione
soggettiva del reo minorenne e quella del reo maggiorenne  dichiarato
seminfermo di mente. Nel primo caso, infatti, la diminuzione di  pena
prevista dall'art. 98 cod. pen. non discenderebbe da una  valutazione
discrezionale del giudice, ma opererebbe come circostanza  soggettiva
inerente  alla  persona  del  colpevole  (e'  richiamata   Corte   di
cassazione, sezione terza penale, sentenza 28 luglio 2015, n. 33004).
L'accertamento della capacita' di intendere o di volere dell'imputato
maggiorenne, secondo l'Avvocatura, costituisce  invece  questione  di
fatto, «la cui valutazione compete al giudice di merito e si  sottrae
al sindacato di legittimita' se esaurientemente motivata (Cass.  Sez.
4, n. 2318/2018)». Peraltro, il giudice non sarebbe nemmeno vincolato
alle risultanze indicative di un vizio totale o  parziale  di  mente,
dalle  quali  puo'  quindi  discostarsi  tanto   per   escludere   la
sussistenza del vizio invocato, quanto per modularne la portata. 
    Da tutto cio' discende,  ad  avviso  dell'interveniente,  che  la
previsione ostativa di cui alla disposizione censurata  «e'  ancorata
unicamente al parametro edittale: i reati puniti/punibili con la pena
dell'ergastolo», di talche' «non puo' ravvisarsi alcuna disparita' di
trattamento tra la previsione di cui all'art. 98 c.p. e quella di cui
all'art. 89 c.p.». 
    Neanche  sussisterebbero  gli  ulteriori  profili  di   contrasto
denunciati dal rimettente. 
    Non quello relativo alla violazione dell'art. 27 Cost., dovendosi
escludere che il giudice «possa comminare condanne  senza  preventiva
affermazione di responsabilita' del  soggetto  imputato»;  e  neanche
quello  relativo  al  contrasto  con   l'art.   32   Cost.,   perche'
l'ordinamento appresterebbe i correttivi necessari per «riportare  ad
equita' e ragionevolezza le pene infliggende» e detterebbe,  in  ogni
caso, «una puntuale e stringente disciplina  per  l'esecuzione  delle
condanne nei confronti dei soggetti con patologie psichiatriche». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'assise di Bologna, con ordinanza del  17  novembre
2021, iscritta  al  n.  223  del  registro  ordinanze  2021,  solleva
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma  1-bis,
cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera  a),  della
legge n. 33 del 2019, in riferimento agli artt. 3,  27  e  32  Cost.,
«nella parte in cui non prevede che l'imputato semiinfermo di  mente,
riconosciuto parzialmente incapace  di  intendere  e  [recte:  o]  di
volere  al  momento  del  fatto  con  perizia  svolta  in   incidente
probatorio, sia ammesso al rito abbreviato per i delitti  puniti  con
l'ergastolo». 
    1.1.-  Secondo   il   rimettente,   la   disposizione   censurata
disciplinerebbe in modo irragionevole le  condizioni  di  accesso  al
giudizio abbreviato dell'imputato seminfermo  di  mente  per  delitti
puniti  con  la  pena  dell'ergastolo,  stabilendo  una   preclusione
assoluta, a differenza di quanto avviene per l'imputato minorenne per
i medesimi delitti, il quale, pur a fronte di  un'analoga  condizione
di «ridotta rimproverabilita'», puo'  sempre  accedere  a  tale  rito
alternativo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  e,
comunque, non fondate. 
    2.1.-   Le   eccezioni    di    inammissibilita',    appuntandosi
essenzialmente  sulla  mancata  considerazione,  da  parte  dell'atto
introduttivo del giudizio, dell'ordinanza n. 214 del 2021  di  questa
Corte e, piu' in generale, sulla «non assimilabilita' della posizione
soggettiva  del  reo  minorenne  con  quella  del   reo   maggiorenne
dichiarato semi infermo di mente», devono  essere  disattese  perche'
attengono a profili di merito. 
    3.- E' opportuno, prima di affrontare nel  merito  le  questioni,
esaminare il contenuto  della  disposizione  censurata  e  riassumere
brevemente quanto affermato da questa Corte nelle occasioni in cui ne
ha vagliato la legittimita' costituzionale. 
    3.1.- L'art.  438,  comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.,  nel  testo
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera a), della legge  n.  33  del
2019, prevede che «[n]on e' ammesso  il  giudizio  abbreviato  per  i
delitti puniti con la pena dell'ergastolo». 
    Tale  disposizione  e'  intervenuta  a  sancire  una  preclusione
all'accesso al giudizio abbreviato per questa categoria  di  delitti,
dopo che tale facolta' era stata  implicitamente  riconosciuta  dalla
legge 16 dicembre 1999,  n.  479  (Modifiche  alle  disposizioni  sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di  procedura  penale.  Modifiche  al  codice  di
procedura  penale  e  all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni  in
materia di contenzioso civile pendente, di  indennita'  spettanti  al
giudice di pace e di esercizio della  professione  forense),  il  cui
art. 30 aveva inserito nell'art.  442  cod.  proc.  pen.  un  secondo
periodo al comma 2, secondo il quale «[a]lla pena  dell'ergastolo  e'
sostituita quella della reclusione di anni trenta». 
    Di li' a poco, l'art. 7 del decreto-legge 23  novembre  2000,  n.
341 (Interpretazione autentica dell'articolo 442, comma 2, del codice
di procedura penale e disposizioni in materia di giudizio  abbreviato
nei processi per  reati  puniti  con  l'ergastolo),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 10  gennaio  2001,  n.  4,  aveva  inoltre
stabilito che «[n]ell'articolo 442,  comma  2,  ultimo  periodo,  del
codice di procedura penale, l'espressione "pena dell'ergastolo"  deve
intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno»,  e  aveva
conseguentemente aggiunto allo stesso art. 442, comma 2,  cod.  proc.
pen. un terzo periodo, secondo il quale «[a]lla  pena  dell'ergastolo
con isolamento diurno, nei casi di  concorso  di  reati  e  di  reato
continuato, e' sostituita quella dell'ergastolo». 
    3.1.1.- La modifica introdotta dalla disposizione  censurata  nel
presente  giudizio  si  inserisce  nell'ambito  di  una  riforma  dei
presupposti di applicabilita' del giudizio abbreviato, finalizzata  a
escludere la possibilita' di farne  richiesta  per  gli  imputati  di
delitti puniti con la pena dell'ergastolo. 
    Nel  quadro  di  tale  intervento  assumono  rilievo,   ai   fini
dell'odierna  decisione,  ulteriori  disposizioni   contenute   nella
richiamata legge n. 33 del 2019. 
    Deve essere segnalato,  tra  gli  altri,  il  nuovo  comma  6-ter
dell'art. 438 cod. proc.  pen.,  introdotto  dall'art.  1,  comma  1,
lettera c), della legge n. 33 del 2019,  secondo  cui  «[q]ualora  la
richiesta di giudizio abbreviato  proposta  nell'udienza  preliminare
sia stata dichiarata inammissibile  ai  sensi  del  comma  1-bis,  il
giudice, se all'esito del  dibattimento  ritiene  che  per  il  fatto
accertato  sia  ammissibile  il  giudizio  abbreviato,   applica   la
riduzione  della  pena  ai  sensi  dell'articolo   442,   comma   2».
Specularmente, il nuovo comma  1-bis  dell'art.  441-bis  cod.  proc.
pen., introdotto dall'art. 2 della medesima legge  n.  33  del  2019,
stabilisce che «[s]e, a seguito delle contestazioni, si  procede  per
delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice  revoca,  anche
d'ufficio,  l'ordinanza  con  cui  era  stato  disposto  il  giudizio
abbreviato  e  fissa  l'udienza  preliminare  o  la   sua   eventuale
prosecuzione». 
    L'art. 3 della legge n. 33 del 2019,  infine,  ha  provveduto  ad
abrogare il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 cod.
proc. pen. 
    3.2.-  Questa  Corte  si  e'   piu'   volte   pronunciata   sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma  1-bis,  cod.  proc.
pen., dichiarando sinora inammissibili o  non  fondate  le  questioni
sollevate nei suoi confronti. 
    Nella sentenza n. 260 del 2020, e' stato innanzi tutto  affermato
che la preclusione dell'accesso al giudizio abbreviato per i  delitti
puniti con  l'ergastolo,  costituendo  «null'altro  che  il  riflesso
processuale della previsione edittale della pena  dell'ergastolo  per
quelle ipotesi criminose», avrebbe richiesto ai rimettenti,  in  quel
giudizio, di rivolgere le loro censure nei confronti della previsione
della pena detentiva perpetua nei procedimenti a quibus - tra i quali
figurava,  come  nel  caso  oggi  in  esame,   l'omicidio   a   danno
dell'ascendente - «giacche' e' proprio da tale previsione che  deriva
l'asserita diseguaglianza di  trattamento  sanzionatorio  rispetto  a
fatti che si assumono piu' gravi». 
    Il presupposto generale  da  cui  muove  il  legislatore,  si  e'
affermato in quell'occasione, e' che  il  giudizio  abbreviato  resti
precluso  quando  l'imputato  e'  chiamato  a   rispondere   di   una
fattispecie di reato punita con la pena  perpetua,  perche'  cio'  si
traduce in un «giudizio di speciale disvalore della  figura  astratta
del reato». 
    Questa  Corte  ha  conseguentemente  precisato,  nella   medesima
sentenza n. 260 del 2020, che non puo' ritenersi in contrasto con  il
principio  di  parita'  di  trattamento  la  circostanza  per  cui  a
beneficiare dello sconto di pena conseguente all'accesso al  giudizio
abbreviato sia l'imputato di omicidio nei cui confronti, in esito  al
giudizio ordinario, l'aggravante ostativa contestata venga esclusa  -
il novellato art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. prevedendo,  come
visto,  che  la  Corte  di  assise  applichi  la  riduzione  di  pena
conseguente al giudizio abbreviato, ingiustamente  negato  -,  mentre
allo stesso esito non puo' giungere l'imputato di  omicidio  nei  cui
confronti venga bensi' riconosciuta la  sussistenza  in  fatto  della
circostanza  aggravante  che  determina   l'astratta   applicabilita'
dell'ergastolo,  ma  tale   circostanza   venga   "elisa"   ai   fini
sanzionatori da una o piu' circostanze attenuanti presenti  nel  caso
di specie. 
    Cio' in quanto l'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. mutua  la
«regola generale» di cui all'art. 4 cod. proc. pen., secondo cui,  ai
fini della determinazione della pena massima, si  tiene  conto  delle
sole  circostanze  aggravanti  a  effetto  speciale,  «ma  non  delle
circostanze attenuanti che possano  egualmente  concorrere  nel  caso
concreto». Regola, questa, che, secondo la dianzi citata sentenza  n.
260 del 2020, e' provvista di una «solida ragionevolezza», perche' il
legislatore  fa  dipendere  la  possibilita'  di   ricorrere   a   un
determinato istituto - nel caso di specie, il giudizio  abbreviato  -
dalla contestazione di una circostanza  aggravante  che,  comportando
l'applicazione di una pena di specie diversa  dalla  reclusione  come
l'ergastolo, «esprime un  giudizio  di  disvalore  della  fattispecie
astratta   marcatamente   superiore   a   quello   che   connota   la
corrispondente  fattispecie  non  aggravata»;  e  cio',  aggiunge  la
medesima sentenza,  «indipendentemente  dalla  sussistenza  nel  caso
concreto  di  circostanze  attenuanti,  che   ben   potranno   essere
considerate dal giudice quando, in esito al giudizio,  irroghera'  la
pena nel caso di condanna». 
    In applicazione di questo principio, nella  successiva  ordinanza
n. 214  del  2021,  e'  stato  poi  specificamente  chiarito  che  la
manifesta  irragionevolezza  o   arbitrarieta'   della   disposizione
censurata non  sussiste  neanche  nel  caso  in  cui  la  circostanza
aggravante ostativa al giudizio abbreviato sia ritenuta equivalente o
soccombente, in esito al giudizio di bilanciamento,  rispetto  a  una
circostanza attenuante come il vizio parziale di mente. 
    4.- Alla luce di queste  premesse,  le  questioni  devono  essere
dichiarate non fondate. 
    4.1.- Occorre anzitutto rilevare che, a dispetto della pluralita'
dei  parametri  evocati,  il  rimettente  incentra  le  sue   censure
essenzialmente sulla violazione dell'art. 3 Cost. e sulla  disparita'
di trattamento che contrassegnerebbe la posizione del  seminfermo  di
mente ai sensi dell'art. 89 cod. pen. (quale l'imputato nel  giudizio
a  quo),  rispetto  all'imputato  minorenne.  Laddove,  infatti,  per
entrambe queste categorie di imputati, gli artt. 89 e  98  cod.  pen.
stabiliscono un'analoga diminuzione di pena, da ricondursi -  secondo
l'ordinanza di  rimessione  -  alla  comune  condizione  di  «ridotta
rimproverabilita'» derivante dal minor grado di  discernimento  circa
il disvalore della propria  condotta  e  dalla  minore  capacita'  di
controllo dei propri impulsi, diverse sarebbero  le  conseguenze  dal
punto di vista sanzionatorio. 
    Infatti, benche' il  rilievo  del  ridotto  disvalore  soggettivo
possa condurre a escludere in entrambi  i  casi  l'irrogazione  della
pena perpetua anche nell'ipotesi di  omicidio  aggravato  (art.  577,
terzo comma, cod. pen.), l'impossibilita'  di  accedere  al  giudizio
abbreviato opererebbe unicamente in danno dell'imputato seminfermo di
mente, e non anche del minorenne imputabile, a carico  del  quale  la
pena  perpetua  non  puo'  piu'  essere  irrogata  a  seguito   della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua, tra  gli
altri, degli artt. 17 e 22 cod. pen. contenuta nella sentenza n.  168
del 1994. 
    4.2.-  La  rilevata  disparita'  di  trattamento,  tuttavia,  non
sussiste,  perche'  l'elemento  che  vale  ad  impedire  all'imputato
seminfermo di mente di delitti puniti con la pena  dell'ergastolo,  e
non anche all'imputato minorenne per gli stessi delitti, l'accesso al
rito abbreviato non e' da rinvenirsi nelle  diverse  conseguenze  che
discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella  diversa  regola
di sistema - scaturente immediatamente dalla richiamata  sentenza  n.
168 del 1994 - che impedisce di infliggere la pena perpetua  al  solo
imputato minorenne,  alla  luce  della  necessita',  in  quella  sede
chiaramente affermata, di una «incisiva diversificazione, rispetto al
sistema  punitivo   generale,   del   trattamento   penalistico   dei
minorenni». 
    Per effetto della dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
degli artt. 17 e 22 cod. pen.  «nella  parte  in  cui  non  escludono
l'applicazione  della  pena  dell'ergastolo  al  minore  imputabile»,
contenuta nella sentenza  da  ultimo  richiamata,  si  e',  pertanto,
venuta  a  determinare  una  sostituzione  generalizzata  della  pena
perpetua  con  quella  temporanea  per  la  sola  categoria  dei  rei
minorenni. E proprio il  venir  meno  dell'astratta  possibilita'  di
applicare  la  pena  dell'ergastolo  agli   imputati   minorenni   e'
l'elemento che consente a questi ultimi di accedere  sempre  al  rito
abbreviato, posto che, per essi, la preclusione  stabilita  dall'art.
438, comma 1-bis, cod. proc. pen. non puo' operare in  ragione  della
generale impossibilita'  di  configurare,  a  loro  carico,  «delitti
puniti con la pena dell'ergastolo». 
    4.3.-  Se  un   simile   assunto   del   rimettente   e'   quindi
condivisibile,  e  merita  di  essere  evidenziato  alla  luce  delle
incertezze applicative emerse a seguito della  riforma  del  giudizio
abbreviato intervenuta nel 2019, erroneo  e'  invece  il  presupposto
interpretativo da cui questi muove per ritenere che al medesimo esito
si debba giungere anche per l'imputato seminfermo di mente. 
    Mentre,   infatti,    per    l'imputato    minorenne    l'accesso
incondizionato al  giudizio  abbreviato  deriva  pur  sempre  da  una
condizione riferita alla pena astrattamente comminata, che  non  puo'
essere quella perpetua, lo stesso  non  e'  a  dirsi  per  l'imputato
seminfermo  di  mente,  per  il  quale  la  condizione  di   «ridotta
rimproverabilita'» puo' incidere unicamente  sul  peso  da  ascrivere
alla relativa attenuante nel giudizio di  bilanciamento  ex  art.  69
cod. pen., cosi' da eventualmente riverberarsi sulla pena da irrogare
in concreto. 
    Il piano sul quale opera, nella ricostruzione  dell'ordinanza  di
rimessione, la condizione che accomuna  le  attenuanti  di  cui  agli
artt. 89 e 98 cod. pen.  non  ha  quindi  rilievo  nell'estendere  le
condizioni per  accedere  al  giudizio  abbreviato,  perche'  -  come
affermato nella sentenza n. 260 del 2020 e ribadito nell'ordinanza n.
214 del 2021 - queste ultime non sono influenzate  dalla  circostanza
che il giudice procedente ritenga concretamente inapplicabile la pena
dell'ergastolo per effetto dell'elisione  dell'aggravante  contestata
in seguito al giudizio di bilanciamento. 
    L'analogia di ratio tra le  due  condizioni  soggettive  previste
dagli artt. 89 e 98 cod. pen., su cui  il  rimettente  fonda  le  sue
censure,  si  mostra  quindi  inidonea  a  giustificare  l'intervento
richiesto a questa Corte, perche' la diversita' di trattamento quanto
all'accesso al rito abbreviato riposa su un  presupposto  diverso  da
quello   che   viene   addotto   a    sostegno    dell'illegittimita'
costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. e  che  lo
stesso  rimettente  non  contesta,  vale  a  dire  la   generalizzata
impossibilita'  di  applicare  la  pena  dell'ergastolo   al   minore
imputabile ma non al seminfermo di mente. 
    4.4.- Come anticipato, hanno valore puramente ancillare  rispetto
alla censura principale, e sono pertanto anch'esse da dichiararsi non
fondate, le censure riguardanti la violazione degli  artt.  27  e  32
Cost. 
    Cio' non  impedisce,  tuttavia,  di  rilevare  che  le  finalita'
rieducative della pena da applicare  all'imputato  affetto  da  vizio
parziale di mente e la funzionalizzazione di essa ai profili di  cura
e tutela della salute si  apprezzano  precipuamente  non  nell'ottica
dell'accesso  piu'  o  meno  ampio  di   quest'ultimo   al   giudizio
abbreviato, ma alla luce delle modalita' di  esecuzione  della  pena,
posto che proprio l'applicazione di una  misura  di  sicurezza,  «non
avendo alcun  connotato  "punitivo"  [...]  dovrebbe  auspicabilmente
essere  conformata  in  modo  da  assicurare,  assieme,  un  efficace
contenimento della pericolosita' sociale del  condannato  e  adeguati
trattamenti delle patologie o disturbi di cui e' affetto (secondo  il
medesimo principio espresso  dalla  sentenza  n.  253  del  2003,  in
relazione al soggetto totalmente infermo di mente),  nonche'  fattivo
sostegno rispetto alla finalita' del  suo  "riadattamento  alla  vita
sociale"» (sentenza n. 73 del 2020). 
    5.- Le questioni sono pertanto non fondate.