ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  76,  comma
4-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia. (Testo A)», promosso dal Tribunale ordinario  di  Firenze,
prima sezione penale, sull'istanza proposta da S. Z.,  con  ordinanza
del 26 agosto 2021, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  2,  prima
serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 agosto 2021 (reg. ord. n. 213 del 2021),
il  Tribunale  ordinario  di  Firenze,  prima  sezione   penale,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, commi secondo  e  terzo,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante
«Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di spese  di  giustizia.  (Testo  A)»,  nella  parte  in  cui
ricomprende i reati di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.
309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina   degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),  qualora
ricorrano le  ipotesi  aggravate  previste  dall'art.  80,  comma  1,
lettere a) o g), del medesimo t.u. stupefacenti, tra  quelli  la  cui
condanna definitiva determini, in capo al  reo,  una  presunzione  di
superamento dei limiti di reddito per l'ammissione  al  patrocinio  a
spese dello Stato. 
    Il giudice rimettente riferisce  che,  una  volta  definito,  con
sentenza di assoluzione, un processo per il reato previsto  e  punito
dagli artt. 2 e 76, comma 3,  del  decreto  legislativo  6  settembre
2011, n.  159  (Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136), il difensore dell'imputato, ammesso  a  patrocinio  a  spese
dello Stato, presentava istanza per la liquidazione del compenso. 
    A fronte del deposito di tale richiesta, peraltro, il  giudice  a
quo rilevava che dal certificato  penale  dell'imputato  risultava  a
carico dello stesso una sentenza di condanna, irrevocabile dalla data
del 3 settembre 2018, per  due  reati  ex  art.  73,  comma  5,  t.u.
stupefacenti, aggravati ai sensi dell'art. 80, comma 1, lettere a)  e
g), del medesimo testo unico. 
    Poiche' nella concreta  fattispecie  processuale  l'imputato  non
aveva fornito, secondo le indicazioni della sentenza n. 139 del  2010
di  questa  Corte  (che  ha  dichiarato  la  parziale  illegittimita'
costituzionale della norma censurata laddove poneva  una  presunzione
assoluta a carico dei soggetti condannati in  via  definitiva  per  i
reati ostativi di  superamento  dei  limiti  di  reddito),  la  prova
contraria, posta a proprio carico, rispetto alla presunzione relativa
di superamento del reddito posta, a fronte della condanna  definitiva
per tali reati, dall'art. 76, comma 4-bis,  del  d.P.R.  n.  115  del
2002,  sottolinea  il  rimettente   che   dovrebbe   conseguentemente
revocare, con effetti retroattivi, l'ammissione al patrocinio statale
ai sensi dell'art. 112, lettera d), del d.P.R. n. 115 del  2002,  per
insussistenza, sin dal momento dell'ammissione,  del  presupposto  di
reddito per il conseguimento del beneficio ex art. 76, comma 1, dello
stesso decreto. 
    Il Tribunale di Firenze dubita, pertanto, della  conformita'  del
descritto assetto normativo - la chiarezza  del  quale  precluderebbe
un'interpretazione costituzionalmente orientata - agli artt. 3 e  24,
commi secondo e terzo, Cost. 
    In punto di rilevanza, il giudice rimettente osserva che,  se  le
questioni sollevate fossero accolte, verrebbero  meno  i  presupposti
per  la  revoca  del  beneficio,  consentendo  la  liquidazione   del
richiesto compenso al difensore. 
    In punto di non manifesta infondatezza, assume, in  primo  luogo,
il contrasto della norma censurata con l'art. 3 Cost.,  in  quanto  -
come puo' evincersi dalla stessa motivazione della citata sentenza n.
139 del 2010 - e' dubbia la  coerenza  della  disposizione  censurata
laddove include - tra i  soggetti  che  non  possono  accedere  senza
limiti di tempo, per effetto di una presunzione, sebbene relativa, di
conseguimento  di  un  reddito  superiore  ai  relativi  limiti,   al
patrocinio  a  spese  dello  Stato  -  anche  quelli  condannati  con
pronuncia irrevocabile per la fattispecie di reato di cui all'art. 73
t.u.  stupefacenti,   ove   ricorra,   indistintamente,   una   delle
circostanze aggravanti ex art. 80 del medesimo testo unico, in quanto
si tratta di circostanze molto differenti tra loro specie  in  ordine
all'incidenza sul possibile conseguimento di ingenti redditi da parte
del reo. 
    Invero, la ratio della norma censurata,  che  vuole  evitare  che
soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con  le  proprie
attivita' delittuose, possano fruire del  beneficio  dell'accesso  al
patrocinio a spese dello Stato, riservato ai non  abbienti  dall'art.
24, terzo comma, Cost., non sussisterebbe almeno rispetto  ad  alcune
fattispecie aggravate del reato previsto e punito dall'art.  73  t.u.
stupefacenti, comprese quelle  per  le  quali  era  stato  condannato
l'imputato nel processo a quo, ossia quella contemplata dal  comma  5
dell'art. 73, per fatti di «lieve entita'», aggravata  dalle  lettere
a) e g) del comma 1 dell'art. 80 t.u. stupefacenti (cessione di dette
sostanze a soggetti minori di eta' in prossimita' delle scuole). 
    Sottolinea, in particolare, il giudice rimettente che, se e' vero
che l'integrazione di siffatte circostanze incide  indubbiamente  sul
disvalore del fatto, tuttavia non determina una maggiore redditivita'
dell'attivita'   delittuosa,   con   conseguente   incoerenza   della
ricomprensione di tali fattispecie aggravate nell'ambito di quelle  a
fronte della condanna definitiva per quella che,  in  virtu'  di  una
condanna definitiva, fanno scattare la presunzione del possesso di un
reddito superiore ai limiti contemplati  dallo  stesso  art.  76  del
d.P.R. n. 115 del 2002 per l'ammissione al patrocinio a  spese  dello
Stato. 
    Ne' secondo il Tribunale di Firenze tali  dubbi  di  legittimita'
costituzionale   sarebbero   stati   superati   a    seguito    della
"trasformazione", per effetto dell'intervento additivo  della  citata
sentenza n. 139 del 2010, della presunzione da assoluta in  relativa,
poiche' a  fronte  di  quest'ultima  sarebbe  comunque  piu'  gravoso
l'onere probatorio posto a carico del condannato  in  via  definitiva
per i relativi reati, rispetto a chi  sia  incensurato  o  sia  stato
condannato in via definitiva per reati diversi, per essere ammesso al
patrocinio a spese dello Stato. 
    2.- Con atto depositato in data 31 gennaio 2022,  e'  intervenuto
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto dichiararsi
le questioni di legittimita' costituzionale inammissibili e  comunque
non fondate. 
    In particolare a  seguito  della  "trasformazione",  per  effetto
della sentenza di questa Corte n. 139  del  2010,  della  presunzione
posta dalla norma censurata da assoluta in relativa, dovrebbe  essere
escluso qualsivoglia vulnus all'esercizio del diritto di  difesa,  in
quanto il soggetto interessato puo' addurre la prova contraria idonea
a superare la  presunzione  di  superamento  dei  limiti  di  reddito
contemplati dall'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Per altro verso, l'Avvocatura generale deduce che  il  giudice  a
quo   avrebbe   omesso   di    verificare    la    possibilita'    di
un'interpretazione costituzionalmente orientata, suffragata anche  da
un  precedente  di  legittimita',  nel  senso  di  ritenere  che   la
fattispecie autonoma di reato di cui al comma  5  dell'art.  73  t.u.
stupefacenti non rientri, anche se aggravata ai  sensi  dell'art.  80
del medesimo testo unico, tra quelle in linea di  principio  ostative
all'ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato  poiche'  a  detta
fattispecie di  «lieve  entita'»  non  si  associa  il  significativo
provento illecito che giustifica la presunzione (in tal senso,  Corte
di cassazione, sezione quarta  penale,  sentenza  7  marzo-11  aprile
2018, n. 16127). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 agosto 2021 (reg. ord. n. 213 del 2021),
il  Tribunale  ordinario  di  Firenze,  prima  sezione   penale,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, commi secondo  e  terzo,
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  76,  comma
4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella  parte  in  cui  ricomprende
anche i soggetti condannati con sentenza definitiva per  i  reati  di
cui all'art. 73  t.u.  stupefacenti,  qualora  ricorrano  le  ipotesi
aggravate previste dall'art. 80,  comma  1,  lettere  a)  o  g),  del
medesimo testo unico, tra quelli per i quali si presume  che  abbiano
un reddito superiore ai limiti previsti per l'accesso al patrocinio a
spese dello Stato. 
    Il  giudice  rimettente  riferisce  che  dal  certificato  penale
dell'imputato era emerso  che,  gia'  alla  data  dell'ammissione  al
beneficio, egli era stato condannato in via definitiva (con  sentenza
dello stesso Tribunale  di  Firenze  del  18  aprile  2018,  divenuta
irrevocabile il 3 settembre 2018) per due reati ex art. 73, comma  5,
t.u. stupefacenti, aggravati ai sensi dell'art. 80, comma 1,  lettere
a) e g), del medesimo testo  unico.  Non  avendo  l'imputato  fornito
alcuna prova contraria in ordine al possesso di redditi inferiori  ai
limiti contemplati dall'art. 76 del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  per
effetto della presunzione posta dal comma 4-bis della  stessa  norma,
il giudice rimettente dovrebbe  revocare,  con  effetti  retroattivi,
l'ammissione al patrocinio statale ai sensi  dell'art.  112,  lettera
d), del medesimo d.P.R. 
    Sul piano della rilevanza, il giudice rimettente  evidenzia  che,
se  le  indicate  questioni  fossero  accolte,  verrebbero   meno   i
presupposti per la revoca del beneficio e potrebbe cosi' liquidare al
difensore dell'imputato il compenso richiesto. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale  di  Firenze
assume, in primo luogo, un possibile contrasto della norma  censurata
con l'art. 3 Cost., in quanto la stessa non  sarebbe  coerente  nella
parte in cui ricomprende, nel novero dei  soggetti  che  non  possono
accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per  effetto
di una presunzione (relativa) di superamento dei relativi  limiti  di
reddito, anche quelli condannati con pronuncia irrevocabile  per  una
fattispecie di reato di cui all'art. 73 t.u. stupefacenti,  aggravata
ex art. 80  del  medesimo  testo  unico.  Sarebbero,  infatti,  cosi'
irragionevolmente accomunati reati molto diversi tra loro  specie  in
ordine all'incidenza sul possibile conseguimento di  ingenti  redditi
da parte del reo. 
    Invero, la ratio della norma censurata, alla  stregua  di  quanto
sottolineato dalla sentenza n. 139 del 2010 di questa Corte,  risiede
nell'«evitare  che  soggetti  in  possesso  di   ingenti   ricchezze,
acquisite con le attivita' delittuose [...], possano  paradossalmente
fruire del beneficio dell'accesso al patrocinio a spese dello  Stato,
riservato, per dettato costituzionale (art. 24, terzo comma) ai  "non
abbienti"». Tuttavia, detta  ratio  legis  non  sussisterebbe  almeno
rispetto ad alcune fattispecie aggravate del reato previsto e  punito
dall'art. 73 t.u. stupefacenti, comprese  quelle  per  le  quali  era
stato condannato l'imputato nel processo  a  quo,  ossia  quella  del
comma 5 di tale disposizione, aggravata ex art. 80, comma 1,  lettere
a) e g), t.u. stupefacenti (cessione  di  sostanze  stupefacenti  «di
lieve entita'»  a  soggetti  minori  di  eta'  in  prossimita'  delle
scuole). 
    Inoltre, l'onere di fornire una prova contraria a fronte di detta
presunzione renderebbe comunque piu' gravoso l'accesso  al  beneficio
del patrocinio a spese dello Stato all'imputato  «non  abbiente»  che
sia stato, in precedenza, condannato in via definitiva per  reati  di
cui  all'art.  73  t.u.  stupefacenti  rispetto  a  chi   sia   stato
condannato, in via definitiva, per  reati  diversi,  con  conseguente
violazione dell'art. 24, commi secondo e terzo, Cost. 
    2.-  Sussiste  la  rilevanza   delle   sollevate   questioni   di
legittimita'  costituzionale,  dovendo  il  giudice  rimettente  fare
applicazione della disposizione censurata  al  fine  di  ritenere  la
sussistenza, o no, del diritto dell'imputato al  patrocinio  a  spese
dello Stato in ragione della mancanza della prova contraria  rispetto
alla presunzione di superamento del limite  reddituale  previsto  per
l'accesso al beneficio, che l'art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 115 del
2002 fissa in un reddito annuo ai fini dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche (IRPEF) di euro 11.746,68 (decreto del Ministro della
giustizia  del  23  luglio  2020);  presunzione   nella   fattispecie
operante, in applicazione della disposizione  censurata,  per  essere
stato l'imputato condannato, in precedenza, con  sentenza  definitiva
per il reato previsto dal comma 5 dell'art. 73 t.u. stupefacenti, con
le aggravanti di cui al successivo art. 80, comma 1, lettere a) e g),
per aver ceduto quantita' «di lieve entita'» di sostanza stupefacente
a minori in prossimita' di una scuola. 
    Il giudice rimettente ha, poi, sufficientemente motivato  la  non
manifesta infondatezza delle sollevate questioni. 
    3.-  In  via  ancora  preliminare,  c'e'   da   considerare   che
l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  eccepito  l'inammissibilita'
delle questioni per non avere il giudice a quo considerato,  al  fine
di pervenire a una  diversa  ricostruzione  del  quadro  normativo  e
giurisprudenziale,    l'orientamento    della    giurisprudenza    di
legittimita' secondo  il  quale,  nell'ipotesi  di  fatto  «di  lieve
entita'» punito dall'art.  73,  comma  5,  t.u.  stupefacenti  -  che
costituisce ormai un reato autonomo e non  una  semplice  circostanza
attenuante dei fatti di reato puniti dai commi precedenti - non opera
in radice la presunzione contemplata dalla norma censurata e, quindi,
anche ove ricorrano le aggravanti di cui al successivo  art.  80  (in
tal senso, Cassazione, sentenza n. 16127 del 2018). 
    E' vero che,  in  conformita'  alla  costante  giurisprudenza  di
questa  Corte,  il  mancato  confronto  con  il  complessivo   quadro
normativo  e  giurisprudenziale  di  riferimento   puo'   determinare
un'insufficiente motivazione dell'ordinanza di rimessione  sulla  non
manifesta  infondatezza,  con  conseguente   inammissibilita'   della
questione sollevata (ex multis, sentenze n. 36 del 2022, n.  114  del
2021, n. 265 e n. 102 del 2019 e n. 182 del 2018). 
    Ma nella fattispecie l'eccezione non e' fondata perche' il citato
precedente di legittimita', la cui mancata  considerazione  da  parte
del giudice a  quo  avrebbe  determinato  la  lacunosa  ricostruzione
dell'ordinanza di rimessione, e' uno  solo  -  per  quanto  consta  e
secondo quanto dedotto dall'Avvocatura generale - come tale inidoneo,
di norma, a identificare una situazione di diritto  vivente,  si'  da
fugare,  con  l'interpretazione  conforme,  i  sollevati   dubbi   di
illegittimita' costituzionale. 
    4.-   Tuttavia   l'eccezione   di   inammissibilita'    sollevata
dall'Avvocatura generale e la simmetrica deduzione di non  fondatezza
delle questioni  in  esame  per  essere  possibile  l'interpretazione
adeguatrice della disposizione censurata, riferite entrambe  al  solo
reato di cessione di sostanze stupefacenti «di lieve entita'»,  quale
previsto dal comma 5  dell'art.  73  t.u.  stupefacenti,  quand'anche
aggravato dalle circostanze di cui al successivo art. 80, offrono  lo
spunto per precisare l'oggetto e  il  perimetro  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    E' infatti possibile, in generale, «individuare  l'oggetto  della
questione da scrutinare, in quanto non  coincidente  con  il  portato
letterale del petitum formulato dal ricorrente (ex  multis,  sentenze
n. 36 del 2021, n. 217 e n. 193  del  2020)»  (sentenza  n.  145  del
2021). 
    Il giudice a quo  -  si  legge  nell'ordinanza  di  rimessione  -
«dubita [...] della legittimita'  costituzionale  dell'art.  76,  co.
4-bis, DPR 115/2002 nella parte in cui ricomprende - tra  i  soggetti
per i quali si presume un reddito superiore ai limiti  previsti  -  i
soggetti condannati con  sentenza  definitiva  per  i  reati  di  cui
all'art. 73 DPR 309/1990 ove ricorrano le ipotesi  aggravate  di  cui
all'art. 80, lett. a) o lett. g)» del medesimo testo unico. 
    Questa formulazione testuale del  petitum  appare  per  un  verso
eccedente, per un altro limitativa, rispetto alla reale portata delle
questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione. 
    In essa e' ben chiaro che  il  presupposto,  che  fa  operare  la
contestata presunzione relativa di un reddito superiore  alla  soglia
massima di cui al comma 1 dell'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, e'
costituito da una pregressa  condanna,  riportata  dall'imputato  che
chiede il patrocinio a spese dello Stato, per il reato di cessione di
sostanze stupefacenti «di lieve entita'», quale previsto dal comma  5
dell'art. 73 t.u. stupefacenti, come sostituito, da ultimo, dall'art.
1, comma 24-ter, lettera a), del decreto-legge 20 marzo 2014,  n.  36
(Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' di impiego di medicinali),
convertito, con modificazioni, nella legge 16 maggio 2014, n. 79. 
    Si tratta, dunque, di "piccolo spaccio",  che  fin  dall'art.  2,
comma 1, lettera a), del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  146
(Misure urgenti in  tema  di  tutela  dei  diritti  fondamentali  dei
detenuti e di riduzione controllata  della  popolazione  carceraria),
convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014,  n.  10,
e'  previsto  come  reato  autonomo  e  non  piu'  come   circostanza
attenuante dei piu' gravi  reati  contemplati  dai  precedenti  commi
dello stesso art. 73 t.u. stupefacenti. 
    Pertanto, da una parte, ancorche' il  petitum  dell'ordinanza  di
rimessione faccia riferimento ai reati (e  quindi,  letteralmente,  a
tutti i reati) di cui all'art. 73, quale richiamato dal  comma  4-bis
dell'art.  76,  in  realta'  deve  ritenersi  che  le  questioni   di
legittimita' costituzionale siano sollevate con riferimento  al  solo
reato del comma 5 dell'art. 73, l'unico rilevante in giudizio, e  non
gia' anche ai diversi e piu' gravi reati di cui ai  precedenti  commi
della stessa disposizione. 
    D'altra parte, il riferimento che il giudice rimettente fa a  due
specifiche aggravanti  -  quelle  previste  dall'art.  80,  comma  1,
lettere a) e g),  nel  caso  in  cui,  rispettivamente,  la  sostanza
stupefacente e' consegnata a un minore o in prossimita' di  scuole  -
non vale a limitare le questioni  di  legittimita'  costituzionale  a
queste  sole  ipotesi.  La  considerazione   espressa   dal   giudice
rimettente - secondo cui la cessione  di  sostanze  stupefacenti  «di
lieve  entita'»  non  diventa  maggiormente   remunerativa   (e   non
giustifica la presunzione suddetta) per il solo fatto  che  essa  sia
avvenuta in favore di minori nelle prossimita' di una  scuola  -  non
circoscrive il perimetro delle questioni sollevate alle sole  ipotesi
cosi' aggravate,  ma  costituisce  una  puntualizzazione,  in  chiave
narrativa e  argomentativa,  della  fattispecie  concreta,  la  quale
mostra  si'  la  particolare  odiosita'  della  condotta  (e  da  qui
l'aggravamento di pena), ma nulla  consente  di  inferire  quanto  ai
"ricavi",  in  ipotesi  piu'  elevati,   della   condotta   criminosa
circostanziata rispetto a quella base. 
    A fronte delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale
e' demandato, quindi, a questa Corte verificare se il reato base sia,
o no,  gia'  di  per  se',  quand'anche  aggravato  ex  art.  80,  in
contraddizione con la ragione  posta  dal  legislatore  a  fondamento
della  presunzione  di  superamento  della  soglia   reddituale   per
l'accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. 
    Pertanto, le questioni di legittimita'  costituzionale  investono
la fattispecie del reato di cui al comma 5 dell'art. 73 (e  non  gia'
di tutti i reati da tale  disposizione  contemplati),  aggravata  dal
successivo art. 80 tout court, secondo la testuale  previsione  della
disposizione censurata,  e  non  gia'  solo  quella  aggravata  dalle
specifiche circostanze di cui alle lettere a) e g) del comma 1  dello
stesso art. 80. 
    5.- All'esame del merito delle questioni sollevate, e'  opportuno
premettere  una  sintetica  ricostruzione  del  quadro  normativo  di
riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata. 
    L'art. 76, comma 1, del d.P.R. n.  115  del  2002  individua  una
soglia di reddito il cui mancato  superamento  consente  di  ottenere
l'ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato  in  attuazione  del
disposto costituzionale  che  vuole  che  siano  «assicurati  ai  non
abbienti, con appositi istituti,  i  mezzi  per  agire  e  difendersi
davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.). 
    Detta condizione reddituale e', peraltro, l'unica  richiesta  per
accedere  al  beneficio  all'indagato  e  all'imputato  nel  processo
penale, a differenza di quanto avviene per le parti  di  processi  di
altra natura, per i quali e' necessario anche  un  previo  vaglio  in
ordine alla non manifesta infondatezza della difesa. 
    Questa diversa regolamentazione - che ridonda in una piu' intensa
protezione - si giustifica, come la giurisprudenza costituzionale  ha
avuto piu' volte occasione di ricordare, perche' il  processo  penale
e' caratterizzato da  innegabili  specificita'  quali,  da  un  lato,
l'essere frutto di un'azione dell'organo pubblico che viene  "subita"
dal soggetto che aspira al beneficio in parola e, dall'altro,  avere,
come posta in gioco, il bene supremo  della  liberta'  personale  (ex
plurimis, sentenza n. 47 del 2020). 
    L'istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello
Stato deve essere corredata, ai sensi dell'art. 79, comma 1,  lettera
c), del d.P.R. n. 115 del 2002, da una dichiarazione  sostitutiva  di
certificazione da parte dell'interessato ai sensi dell'art. 46, comma
1, lettera o), del d.P.R. 28 dicembre 2000, n.  445,  recante  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
documentazione amministrativa. (Testo A)», attestante la  sussistenza
delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con  specifica
determinazione  del  reddito  complessivo  valutabile  a  tali  fini,
fissato secondo le modalita' indicate dall'art. 76 del d.P.R. n.  115
del 2002. La soglia e' stata stabilita,  da  ultimo,  in  un  reddito
annuo ai fini IRPEF di euro 11.746,68. 
    Tale dichiarazione  di  parte  e'  sufficiente  per  ottenere  il
beneficio, salva la richiesta di ulteriore documentazione proveniente
dall'autorita' giudiziaria, nonche' i diversi esiti risultanti  dalle
verifiche disposte dalla stessa a mezzo della Guardia di finanza. 
    In  ogni  caso,  anche  con  successivo  decreto  motivato,  dopo
l'ammissione, il giudice puo' revocare la stessa in una delle ipotesi
contemplate dall'art. 112 del d.P.R. n. 115 del  2002,  ove  accerti,
d'ufficio o su  richiesta  dell'ufficio  finanziario  competente,  la
mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito  per
accedere al beneficio. 
    Se la mancanza delle condizioni per l'ammissione  e'  originaria,
la revoca del decreto di ammissione ha effetti  retroattivi  ex  art.
114 del medesimo testo unico. 
    6.-  Il  delicato  problema   della   considerazione,   ai   fini
dell'integrazione della soglia di reddito per  ottenere  l'ammissione
al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, di proventi illeciti
e' stato affrontato da questa Corte gia' nella sentenza  n.  144  del
1992,  la  quale  -  nel  dichiarare  non  fondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 1  e
3 Cost., degli artt. 3 e  4  della  legge  30  luglio  1990,  n.  217
(Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non  abbienti),
nella parte in cui  non  avrebbero  previsto  che  «nel  valutare  il
diritto ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato si tenga  conto
del tenore di  vita,  delle  effettive  capacita'  economiche,  anche
provenienti da attivita' illecite, dell'imputato» - ha precisato che,
a differenza di quanto ritenuto dal  rimettente,  assumono  rilevanza
anche redditi che  non  sono  stati  assoggettati  ad  imposta,  vuoi
perche' non rientranti nella base imponibile,  vuoi  perche'  esenti,
vuoi perche' di fatto non hanno subito alcuna imposizione. 
    La successiva giurisprudenza di legittimita',  tenendo  conto  di
tali  principi,  ha  ripetutamente  affermato  che,  ai  fini   della
sussistenza del requisito reddituale per l'ammissione al patrocinio a
carico dello Stato, devono essere considerati  tutti  i  redditi  dei
richiedenti, compresi quelli  che  non  sono  stati  assoggettati  ad
imposta (perche' esenti o  non  rientranti  nella  base  imponibile),
nonche' quelli derivanti da attivita' illecite che  non  siano  stati
sottoposti a tassazione (ex  multis,  Corte  di  cassazione,  sezione
quarta penale, 22 novembre-15 dicembre 2016,  n.  53387),  precisando
che siffatti redditi possono essere accertati con tutti  i  mezzi  di
prova, comprese presunzioni, purche' gravi,  precise  e  concordanti,
emergenti, ad esempio, dal tenore di vita del contribuente (Corte  di
cassazione, sezione quarta penale, 4  ottobre-13  dicembre  2005,  n.
45159). 
    7.-  L'affermazione  di   tali   principi,   tuttavia,   non   ha
completamente sopito il dibattito, derivante dall'estrema difficolta'
concreta di accertare il possesso di redditi di provenienza illecita,
anche in ragione di tecniche di occultamento  degli  stessi  via  via
piu' sofisticate. 
    Nel delineato contesto, il  legislatore  e'  intervenuto  con  la
norma censurata  introducendo  una  presunzione  di  superamento  dei
limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello  Stato
a fronte della condanna del ricorrente in via definitiva  per  alcuni
reati, sul duplice presupposto della particolare "redditivita'" degli
stessi e della maggiore possibilita' di occultamento dei profitti  da
parte  dei  componenti,  specie  di   vertice,   delle   associazioni
criminali. 
    In particolare, l'art. 12-ter del decreto-legge 23  maggio  2008,
n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica),  convertito,
con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125, ha  introdotto
il comma 4-bis nell'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002;  disposizione
questa che, nella formulazione originaria, ha stabilito  che  «Per  i
soggetti gia' condannati con sentenza definitiva per i reati  di  cui
agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del  testo  unico
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n.
43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai  sensi  dell'articolo
80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' per i reati commessi
avvalendosi delle condizioni previste dal predetto  articolo  416-bis
ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle  associazioni  previste
dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il  reddito
si ritiene superiore ai limiti previsti». 
    Pertanto, l'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del  2002  ha
circoscritto le condizioni generali per l'ammissione al beneficio del
patrocinio a spese dello Stato, prevedendo che il reddito «si ritiene
superiore ai limiti previsti» a  fronte  di  un'intervenuta  condanna
definitiva  dell'interessato,  relativa   a   un   diverso   processo
anteriore, per i reati ivi elencati. 
    Tale  disposizione   e'   stata   dichiarata   costituzionalmente
illegittima «nella parte in cui, stabilendo che per i  soggetti  gia'
condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella  stessa
norma  il  reddito  si  ritiene  superiore  ai  limiti  previsti  per
l'ammissione al patrocino a spese dello Stato, non ammette  la  prova
contraria» (sentenza n. 139 del 2010),  talche'  la  presunzione,  da
assoluta che era, e' divenuta relativa. 
    La ratio della norma, come  evidenziato  da  questa  Corte  nella
citata pronuncia, e' «evitare che soggetti  in  possesso  di  ingenti
ricchezze, acquisite con  le  attivita'  delittuose  [...]  indicate,
possano  paradossalmente  fruire  del   beneficio   dell'accesso   al
patrocinio a spese dello Stato, riservato, per dettato costituzionale
(art. 24, terzo comma), ai "non abbienti". Tale eventualita' e'  resa
piu' concreta dall'estrema difficolta' di accertare in modo oggettivo
il reddito proveniente dalle attivita' delittuose della  criminalita'
organizzata, a causa delle maggiori  possibilita',  per  i  partecipi
delle relative associazioni, di avvalersi di coperture  soggettive  e
di strumenti di  occultamento  delle  somme  di  denaro  e  dei  beni
accumulati». 
    La disposizione  censurata,  comunque  emendata  dalla  pronuncia
suddetta,  ha  operato,  nella  sostanza,  il  bilanciamento  di  due
esigenze contrapposte: per un  verso,  garantire  la  difesa  ai  non
abbienti, in attuazione dell'art. 24, terzo comma, Cost., e,  per  un
altro, evitare che possa  giovarsi  del  beneficio  colui  il  quale,
sebbene formalmente nullatenente, di fatto possieda adeguate  risorse
finanziarie, a volte  anche  ingenti,  derivanti  dal  compimento  di
attivita' criminose. 
    8.- Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 139 del 2010, nel
riconoscere comunque la legittimita'  dello  scopo  perseguito  dalla
disposizione, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  il  comma
4-bis dell'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, per  violazione  degli
artt. 3 e 24, commi  secondo  e  terzo,  Cost.,  perche'  la  portata
assoluta della presunzione era irragionevole in se', in  particolare,
per la sua ampiezza, in quanto: a) non distingueva,  all'interno  dei
soggetti condannati per reati in materia di criminalita' organizzata,
tra i capi e i gregari delle organizzazioni criminali; b)  non  aveva
limiti  di  tempo;  c)  non  consentiva  di  considerare  l'eventuale
percorso  rieducativo  seguito  dal  soggetto  successivamente   alla
condanna, financo nell'ipotesi di  riabilitazione  dello  stesso;  d)
precludeva, per l'effetto, l'accesso al beneficio  del  patrocinio  a
spese dello Stato anche in processi diversi da quello penale. 
    Questa Corte - pur evidenziando  in  parte  motiva  la  possibile
incoerenza,  rispetto  alle  finalita'  perseguite  dal  legislatore,
dell'inserimento nel "catalogo" di alcuni  reati  -  ha  ritenuto,  a
fronte della questione in concreto prospettata dal rimettente, che la
reductio ad legitimitatem del sistema potesse essere assicurata dalla
"trasformazione", con una pronuncia additiva,  della  presunzione  da
assoluta  in  relativa,  cosi'  rendendo   possibile   al   soggetto,
condannato in via definitiva per uno dei reati indicati  dalla  norma
censurata, di fornire la prova contraria rispetto alla presunzione di
superamento dei limiti di reddito, contemplati dallo stesso  art.  76
del d.P.R. n. 115 del 2002, per l'accesso al patrocinio a spese dello
Stato. 
    9.- Nella fattispecie  concreta,  demandata  alla  decisione  del
Tribunale di  Firenze  nel  giudizio  a  quo,  l'imputato  era  stato
condannato in via definitiva per due fatti di reato  di  cessione  di
sostanze stupefacenti «di lieve entita'» - aggravati ai  sensi  delle
lettere a) e g), dell'art. 80, comma 1, t.u. stupefacenti -  ex  art.
73, comma 5, del medesimo testo unico. 
    In vero, in origine i fatti indicati dal  comma  5  dell'art.  73
t.u.  stupefacenti  integravano  una  circostanza  attenuante   delle
condotte contemplate dai commi precedenti, volta a  riequilibrare  la
risposta sanzionatoria in  fattispecie  espressione  di  criminalita'
minore (ex plurimis,  Corte  di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 26 ottobre-17 novembre 2016, n. 48697). 
    A seguito delle modifiche introdotte dall'art. 2 del d.l. n.  146
del 2013, come convertito, e dal successivo  art.  1,  comma  24-ter,
lettera a), del d.l. n. 36 del  2014,  come  convertito,  l'art.  73,
comma 5, t.u. stupefacenti prevede, oggi, che: «Salvo  che  il  fatto
costituisca  piu'  grave  reato,  chiunque  commette  uno  dei  fatti
previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la  modalita'  o  le
circostanze dell'azione ovvero per  la  qualita'  e  quantita'  delle
sostanze, e' di lieve entita', e' punito con le pene della reclusione
da sei mesi a quattro anni  e  della  multa  da  euro  1.032  a  euro
10.329». 
    A seguito della novella e' ormai consolidato l'assunto secondo il
quale la fattispecie prevista dall'art. 73, comma 5,  in  materia  di
sostanze stupefacenti, si e' trasformata da circostanza attenuante in
figura autonoma di reato (Corte di cassazione, sezioni unite  penali,
sentenza 27 settembre-9 novembre 2018, n. 51063). 
    Nella fattispecie oggetto  del  giudizio  a  quo  rileva  proprio
questa piu' recente formulazione della norma  incriminatrice,  atteso
che i fatti di reato, per i quali l'imputato e' stato, in precedenza,
condannato  con  sentenza  definitiva,  sono  stati   rispettivamente
commessi,  come  si  evince  dai  capi   di   imputazione   riportati
nell'ordinanza di rimessione, nelle date del 27 ottobre  2015  e  nel
periodo dal settembre 2014 all'ottobre 2015. 
    10.- Cio' premesso, va  innanzi  tutto  rilevato,  con  specifico
riguardo alle questioni ora all'esame di  questa  Corte,  che  si  e'
affermato nella giurisprudenza di legittimita' - come gia'  ricordato
sopra - che il reato di cessione (o condotta equiparata) di  sostanze
stupefacenti «di lieve entita'», di cui al comma 5  del  citato  art.
73, anche in presenza di un'aggravante ex art. 80 del medesimo d.P.R.
n. 309 del 1990, non rientra tra quelli per i quali, ove  oggetto  di
condanna definitiva, opera la presunzione contemplata  dall'art.  76,
comma 4-bis, del d.P.R. n. 115  del  2002  (Cassazione,  sentenza  n.
16127 del 2018). 
    Tuttavia il dato testuale di quest'ultima  disposizione,  oggetto
delle censure di illegittimita' costituzionale, il quale  continua  a
far  riferimento  all'art.  73  tout  court,   senza   escludere   la
fattispecie del suo comma  5,  non  consente  di  accedere  a  questa
interpretazione adeguatrice, tanto piu' in mancanza nella fattispecie
di  una  situazione  di  vero  e   proprio   diritto   vivente,   non
identificabile, di norma, in un'unica pronuncia (come  gia'  rilevato
al punto 3). 
    11.- Nel merito,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Firenze  sono  fondate  in  riferimento  a
entrambi i parametri di cui agli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo,
Cost. 
    12.- Sotto un primo profilo, occorre rilevare che la disposizione
censurata, nel prevedere una presunzione di superamento dei limiti di
reddito per ottenere  il  patrocinio  a  spese  dello  Stato  ove  il
soggetto richiedente sia stato,  in  precedenza,  condannato  in  via
definitiva  per  i  fatti  di  reato   puniti   dall'art.   73   t.u.
stupefacenti, in presenza di una delle circostanze aggravanti di  cui
all'art. 80 del medesimo testo unico,  si  pone  in  primo  luogo  in
contrasto, per incoerenza rispetto allo scopo perseguito, con  l'art.
3 Cost., nella  parte  in  cui  ricomprende  nel  proprio  ambito  di
applicazione anche i fatti «di lieve entita'»,  di  cui  al  comma  5
dello stesso art. 73. 
    Giova nuovamente ricordare, al riguardo, che la  finalita'  della
disposizione censurata e' quella di evitare che soggetti in  possesso
di ingenti ricchezze, acquisite  con  attivita'  delittuose,  possano
paradossalmente fruire del beneficio  dell'accesso  al  patrocinio  a
spese dello Stato, riservato, per dettato  costituzionale  (art.  24,
terzo comma), ai non abbienti (sentenza n. 139 del 2010). 
    Invece i fatti di "piccolo spaccio" (quelli «di  lieve  entita'»)
si caratterizzano per un'offensivita' contenuta per essere modesto il
quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione (ex multis,
Corte di cassazione, sezione  quarta  penale,  sentenza  15  novembre
2018-24 gennaio 2019, n. 3616). Di qui, non e' ragionevole  presumere
che la "redditivita'" dell'attivita' delittuosa  sia  stata  tale  da
determinare il superamento da parte del reo  dei  limiti  di  reddito
contemplati dall'art. 76 del d.P.R. n.  115  del  2002  per  ottenere
l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello  Stato,  senza
che a diversa conclusione si possa pervenire  in  considerazione  del
fatto che la presunzione opera solo  per  le  condanne  aggravate  ai
sensi dell'art. 80 t.u. stupefacenti. 
    Infatti, le circostanze aggravanti elencate dal comma 1  di  tale
disposizione - se si connotano, come quelle in rilievo nel giudizio a
quo, per la  spiccata  riprovevolezza  della  condotta  del  soggetto
agente - non sono ex se suscettibili di incidere sul profitto  tratto
dall'attivita' delittuosa. 
    Il proprium della presunzione relativa in esame,  che  dal  fatto
noto  consente  di  dedurre  quello  presupposto  secondo  l'id  quod
plerumque accidit, risulta dalla matrice comune del catalogo di reati
introdotti nell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002  dal
richiamato art. 12-ter del d.l. n. 92 del 2008, come  convertito.  Si
tratta di reati relativi alla  criminalita'  organizzata,  ossia  dei
reati di cui agli artt. 416-bis (Associazioni di tipo  mafioso  anche
straniere) del codice penale, 291-quater (Associazione per delinquere
finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati  esteri)  del  testo
unico di cui al d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni legislative in materia doganale), 74,  comma
1  (Associazione  finalizzata  al  traffico  illecito   di   sostanze
stupefacenti o psicotrope),  t.u.  stupefacenti,  nonche'  dei  reati
commessi avvalendosi delle  condizioni  previste  dal  predetto  art.
416-bis cod. pen. ovvero  al  fine  di  agevolare  l'attivita'  delle
associazioni previste dallo stesso articolo. 
    In questo contesto omogeneo di reati di criminalita'  organizzata
il "piccolo spaccio" - quello del  comma  5  dell'art.  73  citato  -
appare spurio e, quand'anche aggravato  ai  sensi  dell'art.  80,  e'
privo dell'idoneita' ex se a far  presumere  un  livello  di  reddito
superiore alla (peraltro non  esigua)  soglia  minima  dell'art.  76,
comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 (id est un reddito IRPEF di circa
mille euro al mese), in ragione dei proventi derivanti dall'attivita'
criminosa. E' anzi vero il contrario: si tratta spesso di manovalanza
utilizzata dalla criminalita' organizzata e proveniente  dalle  fasce
marginali dei «non abbienti», ossia di quelli che sono sprovvisti dei
«mezzi per agire e difendersi davanti ad  ogni  giurisdizione»  (art.
24, terzo comma, Cost.). 
    Non e' privo di rilievo, poi, che tra le  circostanze  aggravanti
di cui all'art. 80 t.u. stupefacenti, vi sia anche quella  del  comma
2, che ricorre  quando  il  fatto  riguarda  «quantita'  ingenti»  di
sostanze stupefacenti. Cio' e' ontologicamente incompatibile  con  il
fatto  «di  lieve  entita'»   che   consente   l'integrazione   della
fattispecie autonoma di reato "minore" di cui al comma 5 dell'art. 73
del medesimo testo unico. 
    Pertanto, in una scelta nella quale pure, trattandosi di  materia
processuale, il legislatore  gode  di  ampia  discrezionalita'  nella
conformazione degli istituti, e'  stata  raggiunta  la  soglia  della
manifesta irragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 203, n. 143 e n.
13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del  2021  e  n.  80  del  2020).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il  principio  di
ragionevolezza  e'  leso  «quando  si  accerti  l'esistenza  di   una
irrazionalita' intra legem, intesa come contraddittorieta' intrinseca
tra  la  complessiva  finalita'  perseguita  dal  legislatore  e   la
disposizione espressa dalla norma censurata» (sentenze n. 195 e n.  6
del 2019; nello stesso senso, piu' di recente  sentenza  n.  125  del
2022). Ed e' cio' che puo' riscontrarsi nella norma censurata laddove
presume che coloro i quali sono stati condannati  in  via  definitiva
per fatti di spaccio «di lieve  entita'»,  quand'anche  aggravati  ai
sensi dell'art. 80 t.u. stupefacenti, superino i  limiti  di  reddito
per  accedere  al  patrocinio  a  spese  dello   Stato:   dunque   la
disposizione viola in parte qua  l'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo
dell'intrinseca irrazionalita'. 
    13.- Per motivazioni analoghe, poi, la questione di  legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze e' fondata anche in
riferimento all'art. 24, commi secondo e terzo, Cost. 
    E' costante nella giurisprudenza di questa  Corte  l'affermazione
del principio secondo  il  quale  il  diritto  dei  non  abbienti  al
patrocinio  a  spese  dello  Stato  e'  inviolabile  nel  suo  nucleo
intangibile,   quale   strumento    fondamentale    per    assicurare
l'effettivita' del diritto di azione e  di  difesa  in  giudizio  (di
recente, sentenze n. 10 del 2022, n. 157 del 2021 e n. 80 del 2020). 
    La presunzione posta dal comma 4-bis dell'art. 76 del  d.P.R.  n.
115 del 2002 viola tale fondamentale diritto  rendendo  piu'  gravoso
l'onere probatorio posto a carico del richiedente per essere  ammesso
(o per conservare) il beneficio, anche per  i  soggetti  come  quelli
condannati per  il  reato  di  cui  al  comma  5  dell'art.  73  t.u.
stupefacenti, sebbene aggravato ai sensi dell'art.  80  del  medesimo
testo unico. 
    Quest'onere  ulteriore  e  maggiore,  differenziato  rispetto  al
regime ordinario, costituisce un ostacolo ingiustificato  all'accesso
al beneficio del patrocinio a spese dello Stato,  per  chi  e'  stato
condannato per il reato di  cessione  di  sostanze  stupefacenti  «di
lieve  entita'»  (o  condotta  equiparata),   quand'anche   aggravato
dall'art. 80 citato, e ridonda, pertanto, in violazione dell'art. 24,
commi secondo e terzo, Cost. 
    14.- In  conclusione,  deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002,
nella parte in cui ricomprende anche la condanna per il reato di  cui
al  comma  5  dell'art.  73  t.u.  stupefacenti,   rimanendo   invece
impregiudicata la previsione della presunzione  relativa  alle  altre
fattispecie di reato, previste da tale ultima disposizione, aggravate
ai sensi del successivo art. 80.