ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  26,  comma
1, lettera b), della legge  23  dicembre  1994,  n.  724  (Misure  di
razionalizzazione della finanza pubblica), e dell'art.  1,  comma  1,
della deliberazione del Consiglio  di  presidenza  del  Senato  della
Repubblica 16 ottobre 2018, n. 6 (Rideterminazione della misura degli
assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio  dei  trattamenti
previdenziali pro rata nonche'  dei  trattamenti  di  reversibilita',
relativi agli anni di mandato  svolti  fino  al  31  dicembre  2011),
promosso dal Consiglio di garanzia del Senato  della  Repubblica  nei
procedimenti  vertenti  tra  l'Amministrazione   del   Senato   della
Repubblica e G. P. e altri e tra F. S. e  altri  e  l'Amministrazione
del Senato della Repubblica, con decisione del 12  gennaio  2022,  n.
253, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  11,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2022. 
    Visti  gli   atti   di   costituzione   di   L.   S.   e   altri,
dell'Associazione ex parlamentari della Repubblica, di G. C.,  di  L.
F. e altri, di G. C. e M.R. B., di G. Z. e altri, di A. A.,  di  I.M.
D. e di F.C. B. e altri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  4  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    uditi gli avvocati Federico  Sorrentino  per  L.  S.  e  altri  e
l'Amministrazione  del  Senato  della  Repubblica,  Cataldo  Giuseppe
Salerno per G. C., Fabio Gava per L. F. e altri, Roberto Righi per G.
C. e M.R. B., Maurizio Paniz  per  G.  Z.  e  altri  e  Felice  Carlo
Besostri per F.C. B. e altri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con decisione n. 253 del 12 gennaio 2022, iscritta al  n.  23
del registro ordinanze del 2022, il Consiglio di garanzia del  Senato
della   Repubblica   ha   sollevato   questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 26, comma 1,  lettera  b),  della  legge  23
dicembre 1994, n. 724  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica), e dell'art. 1, comma 1, della deliberazione del  Consiglio
di presidenza del Senato della Repubblica del 16 ottobre 2018,  n.  6
(Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e  delle  quote
di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro  rata  nonche'
dei trattamenti di reversibilita',  relativi  agli  anni  di  mandato
svolti fino al 31 dicembre 2011), denunziandone il contrasto con  gli
artt. 2, 3, 23, 36,  38,  53,  67,  69  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    Il rimettente riferisce di essere investito della  decisione  sul
ricorso n. 288, presentato dall'Amministrazione del Senato in data  8
ottobre 2020, con il quale  e'  stato  chiesto  l'annullamento  e  la
riforma, previa sospensione cautelare, della decisione adottata dalla
Commissione contenziosa il 30 settembre 2020,  n.  660.  Quest'ultima
aveva parzialmente accolto i numerosi  ricorsi  proposti  avverso  la
citata deliberazione n. 6 del 2018, nella parte in cui,  all'art.  1,
prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2019, i trattamenti economici
dei senatori cessati dal mandato, sia diretti, sia di reversibilita',
siano rideterminati applicando il  metodo  contributivo  e  che  tale
sistema -  da  attuarsi  mediante  la  moltiplicazione  del  montante
contributivo  individuale  per  un  coefficiente  di   trasformazione
correlato all'eta' anagrafica del senatore alla data della decorrenza
dell'assegno vitalizio o del trattamento  previdenziale  pro  rata  -
valga sia per gli assegni in corso di erogazione, sia per  quelli  di
futura erogazione maturati sulla base della normativa vigente  al  31
dicembre 2011 e relativi agli anni di  mandato  svolti  fino  a  tale
data. 
    L'organo di autodichia, premesso di aver accolto,  con  decisione
n.  237  del  2020,  l'istanza  cautelare  di  sospensione   avanzata
dall'Amministrazione del Senato, riferisce di  dover  decidere  anche
sul ricorso n. 289, relativo a due distinti  giudizi,  il  primo  dei
quali promosso in adesione ad altro ricorso collettivo e  il  secondo
in via autonoma, nei quali un ex  senatore  ha  impugnato  l'art.  2,
comma 7, della stessa deliberazione - nella parte  in  cui  prescrive
che, nel caso in cui, dopo la maturazione dell'assegno vitalizio,  il
senatore  abbia  versato  ulteriori  contributi  in  relazione   allo
svolgimento di  un  successivo  mandato  parlamentare,  i  contributi
medesimi  concorrono  a  formare  un  nuovo  e  diverso  montante   -
lamentando  che  il  criterio   cosi'   enunciato   produrrebbe   una
distorsione nei meccanismi di calcolo del  trattamento  spettante  al
senatore cessato dal mandato. 
    1.1.- Per quanto concerne  il  primo  ricorso,  il  Consiglio  di
garanzia riferisce, anzitutto, che la decisione  di  primo  grado  ha
annullato la deliberazione impugnata nella parte in cui:  a)  dispone
la totale rimozione dei provvedimenti di  liquidazione  a  suo  tempo
adottati e impone nuovi criteri di liquidazione  totalmente  diversi,
cosi' intervenendo sull'atto genetico del diritto e non sul rapporto,
in contrasto, tra l'altro, con l'art. 4, comma  1,  e  con  la  terza
disposizione  transitoria  del  «Regolamento   delle   pensioni   dei
senatori», approvato con deliberazione del  Consiglio  di  presidenza
del Senato del 31 gennaio 2012, n. 113; b) prevede il  ricalcolo  del
vitalizio  mediante  la  moltiplicazione  del  montante  contributivo
individuale per il coefficiente di trasformazione  relativo  all'eta'
anagrafica  del  senatore  alla  data  di   decorrenza   dell'assegno
vitalizio o del trattamento previdenziale  pro  rata,  anziche'  alla
data di entrata in vigore della stessa deliberazione n. 6  del  2018;
c) comporta una sensibile riduzione degli importi di minore  entita',
mentre non produce alcun effetto su quelli di ammontare  massimo;  d)
stabilisce criteri di temperamento  e  di  correzione  dei  risultati
della  rideterminazione  dei  vitalizi  inidonei   a   eliminare   le
conseguenze piu' gravi prodotte  dal  nuovo  metodo  di  calcolo;  e)
dispone  l'applicazione  dei  medesimi  criteri  ai  trattamenti   di
reversibilita' senza considerare che i relativi  importi  sono  stati
gia' ridotti del quaranta per cento e  che  l'ulteriore  decurtazione
incide sulla qualita' della vita dei percettori. 
    Il Collegio rimettente riferisce di avere accolto quattro istanze
cautelari con le  quali  altrettanti  appellati  avevano  chiesto  la
sospensione dell'efficacia  della  delibera  in  contestazione  e  il
ripristino della corresponsione dell'originaria  misura  dell'assegno
vitalizio. 
    1.2.- Con riguardo al ricorso n. 289, il  Consiglio  di  garanzia
espone che, nel contraddittorio con l'Amministrazione del Senato,  la
Commissione contenziosa ha dato atto che una  parte  delle  richieste
formulate in giudizio era stata esaminata con  la  decisione  del  25
giugno 2020, con la quale erano state annullate le disposizioni della
deliberazione n. 6 del 2018 disciplinanti il ricalcolo dell'ammontare
degli importi mediante la moltiplicazione del  montante  contributivo
individuale per il coefficiente di trasformazione  relativo  all'eta'
anagrafica  del  senatore  alla  data  di   decorrenza   dell'assegno
vitalizio o del trattamento previdenziale  pro  rata,  anziche'  alla
data di entrata in vigore della  deliberazione  medesima.  La  stessa
Commissione di primo grado ha ribadito che spetta all'Amministrazione
l'eventuale individuazione di criteri matematici diversi e piu'  equi
da impiegare nel calcolo dei contributi versati in periodi differenti
tra una prima cessazione del mandato parlamentare e una successiva  e
non immediata elezione in una delle due Camere. 
    Espone, infine, il Consiglio di garanzia  che  il  ricorrente  ha
proposto   appello   avverso   tale   decisione   denunziandone    la
contraddittorieta' sotto diversi profili e che di tale  procedimento,
nel quale si e' costituita l'Amministrazione  del  Senato,  e'  stata
disposta la  trattazione  congiunta  con  quello  introdotto  con  il
ricorso n. 288. 
    1.3.-  Cio'  posto,  il  rimettente  osserva  che  il   vitalizio
spettante ai parlamentari cessati dal mandato ha avuto origine da una
forma di mutualita' - quella delle Casse di previdenza per i deputati
e i senatori istituite nel 1956 - che nel tempo si e' trasformata  in
un istituto di previdenza obbligatoria  di  carattere  pubblicistico.
Nell'evoluzione successiva - prosegue il provvedimento di  rimessione
-   l'istituto   avrebbe   assunto   una   configurazione   ancipite,
riconducibile, in parte, al modello pensionistico e, in parte,  e  in
modo piu' spiccato, al paradigma delle assicurazioni private. 
    Il vitalizio, opina l'organo di autodichia, costituisce,  invero,
almeno nella sua fase iniziale, un «ristoro generico ed astratto  per
il pregiudizio esistenziale connesso allo svolgimento del mandato» e,
quindi,  risponde  all'esigenza  di  indennizzare   la   perdita   di
opportunita',  talora  irripetibili,  conseguente  allo   svolgimento
dell'incarico. 
    Nondimeno, puntualizza ancora il rimettente,  a  tale  natura  si
aggiunge quella previdenziale, cosi' che l'assegno vitalizio  risulta
connotato da  una  duplice  funzione,  idonea  «a  permeare  l'intero
istituto, ancorche' rispetto ai due possibili estremi si  manifestino
maggiormente o la prima o la seconda descritta». 
    Il carattere composito  del  vitalizio,  cosi'  come  configurato
dalla disciplina anteriore alla riforma del 2012  -  operata  con  il
nuovo regolamento delle pensioni dei senatori del 2012 - , in cui  la
funzione  indennitaria  appariva  piu'   evidente,   impedirebbe   di
applicare  alle  prestazioni  erogate  sotto  il  previgente   regime
giuridico i principi elaborati  dalla  giurisprudenza  costituzionale
con  specifico  riferimento  alla   materia   pensionistica   e,   in
particolare, le considerazioni svolte da questa Corte in merito  alla
necessita' che la previsione di  contributi  a  carico  dei  titolari
delle pensioni piu' elevate sia improntata alla ragionevolezza,  alla
proporzionalita' e alla temporaneita' (viene citata  la  sentenza  n.
234 del 2020). 
    A giudizio del Collegio rimettente, attesa l'esigenza di  maggior
rigore nella gestione delle risorse dello Stato, puo',  in  astratto,
valutarsi ragionevole un intervento volto a ridurre anche i  vitalizi
anteriori al 2012, «purche' cio' avvenga nel rispetto dei principi di
rango costituzionale». 
    Se, dunque, per un  verso,  precisa  il  Consiglio  di  garanzia,
appare, nella specie, ragionevole applicare  perpetuamente,  anche  a
ritroso, gli stessi criteri utilizzati per i parlamentari eletti  dal
2012, altrettanto non puo' dirsi per il nuovo coefficiente di calcolo
introdotto dalla normativa censurata, essendo lo  stesso  commisurato
all'aspettativa di vita del percettore alla  data  della  maturazione
del diritto all'erogazione dell'emolumento. 
    Assume, al riguardo, il rimettente che  «pretendere  di  valutare
l'aspettativa di vita gia' a far data dalla pregressa maturazione del
diritto vuol dire da un lato trattare in modo radicalmente differente
i parlamentari in ragione di un dato del tutto  occasionale  qual  e'
l'eta' del soggetto al  momento  della  conclusione  del  mandato,  e
dall'altro tradire il  metodo  della  distribuzione  del  rischio  in
ragione dello scarto tra aspettativa di vita e durata effettiva della
vita del singolo vitaliziato». 
    Il Consiglio di  garanzia,  richiamata  la  legge  della  Regione
Siciliana  28   novembre   2019,   n.   19   (Disposizioni   per   la
rideterminazione  degli  assegni  vitalizi),  che  ha  stabilito   un
criterio di ricalcolo riferito a parametri di eta' non retroattivi, e
individuata in tale  normativa  una  soluzione  plausibile,  ritiene,
dunque, di dover confermare la decisione di primo  grado  laddove  ha
annullato la deliberazione impugnata nella parte in cui essa  prevede
il ricalcolo del vitalizio mediante la moltiplicazione  del  montante
contributivo  individuale  per  il  coefficiente  di   trasformazione
relativo all'eta' anagrafica del senatore  alla  data  di  decorrenza
dell'assegno vitalizio o  del  trattamento  previdenziale  pro  rata,
anziche' alla data di entrata in vigore della stessa deliberazione n.
6 del 2018, o a data successiva per i parlamentari ancora in  carica.
In tal modo, si escludono  applicazioni  retroattive,  nel  rispetto,
argomenta  il  rimettente,   dei   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'. 
    Per  quel  che  concerne  i  trattamenti  di  reversibilita',  il
Collegio rimettente rammenta come spetti  alla  discrezionalita'  del
Consiglio di presidenza del Senato stabilire ragionevoli  criteri  di
ricalcolo o di tagli o  di  temperamenti,  in  cio'  condividendo  la
decisione assunta sul punto dalla Commissione contenziosa. 
    Quanto,  invece,  alle  restituzioni  conseguenti  alla  disposta
sostituzione di un coefficiente anagrafico diverso da quello previsto
dalla deliberazione  n.  6  del  2018,  il  Collegio  assume  che  la
questione dei cosiddetti arretrati potrebbe  essere  risolta  facendo
riferimento ai contenuti della sentenza di questa  Corte  n.  10  del
2015, la quale,  pur  dichiarando  la  illegittimita'  costituzionale
della norma tributaria censurata, ha escluso la retroattivita'  della
sua decisione. 
    Nondimeno, poiche', a suo avviso,  i  criteri  di  calcolo  della
previsione impugnata potrebbero sottrarsi a qualsivoglia censura,  se
la riduzione fosse contenuta entro «apprezzabili limiti di tempo», il
Consiglio  di  garanzia  rinvia  la  decisione   sulle   restituzioni
all'esito dell'incidente di legittimita' costituzionale, che  ritiene
di promuovere in ordine alla «piu'  ampia  questione»  relativa  alla
«compatibilita' costituzionale o meno di un ricalcolo di  prestazioni
patrimoniali in  godimento  in  via  permanente,  una  volta  cessata
l'attivita' cui quelle prestazioni ineriscono». 
    A tal fine,  in  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo,  pur
prendendo atto dell'orientamento di questa Corte, secondo il quale le
norme  contenute  nei  regolamenti  parlamentari  maggiori  sarebbero
sottratte al sindacato di legittimita' costituzionale  (viene  citata
la sentenza n. 120 del 2014), sottolinea  come  la  deliberazione  in
scrutinio sia stata adottata  nell'ambito  della  potesta'  normativa
"minore", devoluta  al  Consiglio  di  presidenza  dall'art.  12  del
regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e s.m.i., la
quale, tuttavia, non puo' ritenersi assoluta e totalmente libera  nei
fini, dovendo piuttosto svolgersi nel  rispetto  della  Costituzione,
delle regole dell'ordinamento giuridico generale, nonche' del diritto
sovranazionale. Per tale ragione, opina il rimettente,  la  legge  n.
724 del 1994, all'art. 26,  comma  1,  lettera  b),  ha  previsto  la
soppressione di qualsiasi regime fiscale particolare per gli  assegni
vitalizi dei parlamentari. Tale normativa si  rivelerebbe,  tuttavia,
incompleta, non avendo previsto per  i  vitalizi  l'applicazione  dei
principi  generali  dell'ordinamento  previdenziale,  come  enunciati
dalla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente la preclusione di
discipline particolari con essi contrastanti. 
    La carenza legislativa, spiega il rimettente, assume rilevanza ai
fini dell'esame di un punto controverso e fondamentale del  giudizio,
«vale a dire la legittimita' costituzionale o no  di  una  disciplina
(quella sugli assegni vitalizi e le pensioni degli ex senatori),  che
abbia imposto i criteri di cui all'originaria delibera del  Consiglio
di presidenza, in modo perpetuo e non gia' transitorio»,  in  spregio
alle indicazioni offerte dalla giurisprudenza  costituzionale  (viene
citata la sentenza di questa Corte n. 234 del 2020). 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il Consiglio di  garanzia
del Senato osserva  che  la  materia  dei  vitalizi  involge  diritti
soggettivi  perfetti,  la  cui  disciplina   puo'   essere   affidata
all'autonomia interna delle Camere,  ma  non  in  totale  assenza  di
«vincoli di livello generale stabiliti dalla legge dello Stato», come
quelli  operanti  sul  piano  fiscale,  in  assenza  dei   quali   si
determinerebbe un vulnus al principio di ragionevolezza e di  parita'
di trattamento. 
    Sulla scorta di tali premesse, il Consiglio di  garanzia  solleva
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26,  comma  1,
lettera b), della legge n. 724 del 1994, in riferimento agli artt. 2,
3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma, Cost., nella  parte  in
cui, nel sopprimere qualsiasi  regime  fiscale  particolare  per  gli
assegni vitalizi - oggi pensioni - degli ex parlamentari, non prevede
altresi' che queste prestazioni vadano disciplinate nel rispetto  dei
principi  generali  in  materia  previdenziale,  precisando  che   lo
scrutinio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale   si   rende
necessario per stabilire se il criterio di calcolo  indicato  con  la
decisione di autodichia vada  applicato  anche  per  la  restituzione
delle somme non corrisposte dal 1° gennaio 2019 sino  alla  pronuncia
dello stesso Consiglio. 
    Il giudice a quo ritiene, altresi', di sottoporre a questa  Corte
la questione, di ordine generale e  necessitante  di  «una  soluzione
definitiva  e  non  equivoca»,  concernente  la  possibilita'  che  i
regolamenti cosiddetti minori, adottati dagli Uffici di presidenza  e
rientranti nel diritto parlamentare  di  tipo  amministrativo,  siano
suscettibili di sindacato di legittimita' costituzionale. 
    Cio'  in  quanto,  osserva  il  rimettente,   la   giurisprudenza
costituzionale che sottrae a tale scrutinio i regolamenti  cosiddetti
maggiori non puo' essere automaticamente estesa  a  quelli  "minori",
che «ben potrebbero meritare la qualifica di  atti  aventi  forza  di
legge ed essere privi di ogni valore organizzativo, cosi'  da  essere
estranei al principio di separazione dei poteri che  giustifica  ogni
insindacabilita'». 
    A sostegno di tale assunto, il Collegio evoca la  disciplina  del
rapporto di lavoro alle dipendenze del Senato  della  Repubblica  per
sottolineare come la stessa, nonostante  involga  diritti  soggettivi
oggetto di riserva di legge (come quello riconosciuto  dall'art.  36,
secondo comma,  Cost.),  scaturisca  da  delibere  del  Consiglio  di
presidenza, con la conseguenza che, a meno di ritenere che si pongano
in contrasto con la Costituzione, tali fonti devono essere  inscritte
tra gli atti aventi forza di legge,  in  linea  con  le  enunciazioni
della giurisprudenza convenzionale (viene citata  la  sentenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo 28 aprile 2009, n. 14,  Savino  e
altri contro Italia). 
    Poiche' anche  gli  atti  normativi  parlamentari  devono  essere
conformi alla Costituzione - opina il rimettente -, o si  assume  che
il sindacato di legittimita' costituzionale  spetti  agli  organi  di
autodichia, oppure  si  ammette  che  le  fonti  in  questione  siano
scrutinabili  da  questa  Corte  all'esito  di  una   interpretazione
dell'art. 134 Cost. coerente con i principi supremi  dell'ordinamento
costituzionale e sovranazionale, specie con riferimento  all'art.  47
della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (viene
citata la sentenza n. 1146 del 1988 di questa Corte). 
    Il  Collegio  rimettente   ritiene   preferibile   la   soluzione
interpretativa  che  ascrive  a  questa   Corte   il   sindacato   di
legittimita' costituzionale sui regolamenti parlamentari "minori",  i
quali, ove si rivelino capaci di incidere  su  diritti  dei  privati,
dovrebbero essere considerati atti aventi  forza  di  legge  estranei
all'area di assoluta sovranita' e indipendenza spettante alle Camere. 
    D'altro canto, osserva il Consiglio  di  garanzia,  questa  Corte
avrebbe gia' riconosciuto la natura sostanziale di atti  normativi  a
fonti formalmente non riconducibili agli atti aventi forza di  legge,
ammettendone la scrutinabilita' ai sensi dell'art. 134  Cost.  (viene
citata la sentenza n. 311 del 1993). 
    Il  rimettente  solleva,  quindi,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,  della   deliberazione   del
Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n.  6  del  2018,
«con  riguardo   alla   corresponsione   delle   restituzioni   (c.d.
"arretrati")  gia'  a  far  data  dalla  delibera  del  Consiglio  di
Presidenza». 
    2.- Nel giudizio innanzi  alla  Corte  si  sono  costituiti,  con
diversi atti, alcuni ex senatori, per lo piu' appellati nel  giudizio
a quo, oltre a un'associazione di categoria, come di seguito si passa
brevemente ad illustrare. 
    2.1.- Si sono costituiti gli  ex  senatori  (o  familiari  di  ex
senatori) L. S. e altri, concludendo, da un lato, per la rilevanza  e
la  fondatezza  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 26, comma 1, lettera b),  della  legge  n.  724  del  1994,
previa affermazione della sussistenza, in materia di vitalizi,  della
riserva di legge ex  art.  69  Cost.,  e,  dall'altro  lato,  per  la
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
avente a oggetto l'art. 1, comma 1, della deliberazione del Consiglio
di presidenza del Senato della  Repubblica  n.  6  del  2018,  previa
affermazione  dell'inidoneita'  dei  regolamenti  parlamentari   (ivi
compresi i cosiddetti  regolamenti  minori)  a  disciplinare  materie
coperte da riserva di legge, con conseguente loro non  sindacabilita'
da parte di questa Corte. In alternativa, qualora questa Corte reputi
sussistente il proprio potere di sindacare detti regolamenti,  si  e'
concluso per la fondatezza  della  questione  concernente  l'art.  1,
comma 1, della deliberazione n. 6  del  2018,  per  violazione  degli
artt. 2, 3, 23, 36,  38,  53,  67,  69  e  117,  primo  comma,  Cost.
(quest'ultimo, in relazione all'art. 6 della Convenzione europea  dei
diritti dell'uomo e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU).
E' stata altresi' avanzata la richiesta, «in ogni caso», di  chiarire
che gli organi di autodichia non  sono  dotati  degli  stessi  poteri
interpretativi, modificativi e manipolativi propri di questa Corte. 
    In punto di rilevanza e  di  ammissibilita'  delle  questioni,  i
deducenti, pur dicendosi  «consapevoli  della  problematicita'  delle
stesse, per come prospettate dal giudice a quo», auspicano che questa
Corte «prenda esplicita  posizione  su  alcune  importanti  questioni
poste dall'atto di rimessione». 
    Premesso che i vitalizi  «non  sono  assimilabili  tout  court  a
pensioni da lavoro dipendente», essi richiamano il disposto dell'art.
69 Cost. (a norma del quale «[i] membri del Parlamento  ricevono  una
indennita' stabilita dalla  legge»),  che  segnerebbe,  anche  per  i
vitalizi, la natura di «indennizzo» per la «temporanea perdita  della
capacita' di produrre reddito da lavoro», garantendo al  parlamentare
una  «situazione  reddituale  che,  sollevandolo  da   preoccupazioni
economiche, gli consenta il libero svolgimento del mandato elettivo».
Il vitalizio, del resto, rappresenterebbe  «la  proiezione  economica
dell'indennita' parlamentare», come da ultimo affermato dalle sezioni
unite della Corte di cassazione (ordinanze 8 luglio 2019, n. 18265  e
n.  18266,  che  hanno   affermato   la   competenza   degli   organi
dell'autodichia a conoscere delle cause relative ai vitalizi degli ex
parlamentari). 
    Proprio per questo, anche i vitalizi, come le indennita', oggetto
dell'art. 69 Cost., dovrebbero sottostare alla riserva  di  legge  di
cui   alla   menzionata   disposizione   costituzionale,   la   quale
introdurrebbe «un obbligo positivo del  legislatore  di  prevedere  e
disciplinare tutti gli istituti di natura economica», ivi compresi  i
vitalizi, «indispensabili per l'effettiva garanzia del libero accesso
al  mandato  parlamentare  e  dell'autonomia  e  indipendenza   degli
eletti». Si tratterebbe, peraltro, di una riserva relativa di  legge,
sicche' la disciplina tanto  delle  indennita'  quanto  dei  vitalizi
«dovrebbe dividersi tra legge e regolamenti  parlamentari,  spettando
all'una la  disciplina  di  fondo  e  agli  altri  la  specificazione
applicativa dei principi posti  dal  legislatore».  Tuttavia,  si  fa
notare che, ad oggi, la disciplina dei vitalizi - tanto alla  Camera,
quanto al Senato - e' stata «contenuta  in  regolamenti  parlamentari
senza alcun criterio legislativo». Le leggi che hanno disciplinato le
indennita' (sia la previgente legge 9 agosto 1948, n.  1102,  recante
«Determinazioni dell'indennita' spettante ai membri del  Parlamento»,
sia  la  successiva  legge  31  ottobre  1965,   n.   1261,   recante
«Determinazione   della   indennita'   spettante   ai   membri    del
Parlamento»), infatti, non hanno dettato regole pure per i vitalizi -
al massimo, limitandosi a dare per presupposto  e  a  riconoscere  il
sistema mutualistico gia' introdotto  e  operante  -,  lasciando  che
questa lacuna fosse riempita dai regolamenti  parlamentari,  peraltro
da quelli cosiddetti "minori".  Tale  «illegittimo  assetto»,  si  fa
notare, non  sarebbe  stato  affatto  avallato  dalla  giurisprudenza
costituzionale, la quale si sarebbe limitata solo  a  prenderne  atto
(e' richiamata la sentenza n. 289 del 1994). 
    Ne deriverebbe - ad avviso dei deducenti - l'«incostituzionalita'
della mancanza di disciplina  nella  legge  impugnata,  ovvero  nella
legge n.  1261/1965»,  laddove  omette  di  regolare  l'istituto  del
vitalizio. 
    Gli  esponenti,  tuttavia,   non   condividono   l'ordinanza   di
rimessione ne' nella parte in cui essa  qualifica  come  atti  aventi
forza di legge i cosiddetti regolamenti parlamentari "minori"  (anche
denominati    come    «regolamenti    di     diritto     parlamentare
amministrativo»),  ne'  nella  parte  in  cui  essa   asserisce   che
l'insindacabilita'  dei   regolamenti   parlamentari,   costantemente
affermata da questa Corte (a esempio, da ultimo, con la  sentenza  n.
120  del  2014),  riguarderebbe   solo   i   regolamenti   cosiddetti
"maggiori", e non anche quelli "minori".  Ad  avviso  dei  deducenti,
inoltre, la riserva di regolamento, come attribuita alle Camere dalla
Costituzione, incontrerebbe «un limite invalicabile nei casi  in  cui
la Costituzione medesima contempli una riserva di  legge»,  e  quindi
anche nel caso di cui all'art. 69 Cost., il cui testo «e' chiaro  nel
rimetterne la disciplina - quanto meno nei suoi tratti  essenziali  -
alla legge formale, escludendo in tal modo che  essi  possano  essere
interamente disciplinati dai  regolamenti  parlamentari,  maggiori  o
minori che  siano».  Di  conseguenza,  la  materia  delle  indennita'
parlamentari e dei vitalizi  non  potrebbe  essere  disciplinata  dai
regolamenti  parlamentari,  siano   essi   "maggiori"   o   "minori",
trattandosi di materia coperta da riserva di legge; per l'effetto - a
giudizio degli esponenti - il Consiglio di  garanzia  rimettente  non
potrebbe far altro che annullare ex tunc la deliberazione  n.  6  del
2018,    «senza    necessita'    di    alcuna     declaratoria     di
incostituzionalita'». 
    In  particolare,  secondo  i  deducenti,   ove   un   regolamento
parlamentare contrasti con  norme  e  principi  costituzionali,  «gli
organi dell'autodichia devono e possono disapplicarlo, oppure  -  ove
impugnato  -  annullarlo»;  non   potrebbero,   invece,   dichiararlo
costituzionalmente illegittimo, ai sensi e agli effetti dell'art. 136
Cost. Ne' tali organi potrebbero modulare gli effetti temporali di un
eventuale annullamento, similmente a quanto fatto da questa Corte con
la sentenza n. 10 del 2015. 
    Peraltro, nella  non  condivisa  ipotesi  in  cui  i  regolamenti
cosiddetti  minori  fossero  considerati  fonte  legittima   per   la
disciplina di una materia  (come  quella  dei  vitalizi)  coperta  da
riserva di legge, gli esponenti sostengono che il relativo  controllo
di legittimita' costituzionale «non potrebbe che competere alla Corte
costituzionale». 
    Venendo, infine,  a  trattare  di  alcuni  profili  afferenti  al
merito, i deducenti evidenziano i «gravi profili  di  illegittimita'»
che,  a  loro  giudizio,  sarebbero  riscontrabili   nella   delibera
censurata dal Consiglio di garanzia. Rilevanza assumerebbero, innanzi
tutto, i principi in materia di tutela dell'affidamento, relativi  ai
rapporti contrattuali (con richiamo, qui, alla  sentenza  n.  92  del
2013 di questa Corte), specialmente alla  luce  della  giurisprudenza
costituzionale in materia di riduzione di  trattamenti  previdenziali
gia' accordati o in fase di maturazione. In tale prospettiva, la  non
modificabilita'    retroattiva    del    trattamento    previdenziale
costituirebbe il principio generale che la censurata deliberazione n.
6 del 2018 non rispetta. 
    2.2.- Si sono costituiti nel presente giudizio l'Associazione  ex
parlamentari  della  Repubblica,  A.  A.  e   I.M.   D.,   formulando
affermazioni e conclusioni  del  tutto  analoghe  a  quelle  poc'anzi
riportate. 
    2.3.- Nel giudizio innanzi alla Corte si e' inoltre costituito G.
C.,  concludendo  per  l'inammissibilita',  o  comunque  per  la  non
fondatezza, delle due questioni sollevate dal Consiglio  di  garanzia
del Senato. 
    A  giudizio  del   deducente   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 26, comma 1, lettera b), della legge n.  724
del 1994 sarebbe manifestamente irrilevante. Ne' la deliberazione del
Consiglio di presidenza del Senato n.  6  del  2018  potrebbe  essere
intesa come strumento idoneo a disciplinare la materia degli  assegni
vitalizi, nonostante quanto in contrario rilevato  dal  Consiglio  di
Stato nel parere del 26 luglio  2018,  n.  2016,  reso  dall'adunanza
della commissione  speciale.  Quella  dei  vitalizi  e'  infatti  una
materia che  «esula  completamente  e  palesemente  dalla  previsione
testuale degli articoli 64, comma I,  e  72,  commi  I  e  II,  della
Costituzione»,   rimanendo   estranea   all'organizzazione    e    al
funzionamento delle Camere. Essa non  riguarderebbe  la  garanzia  di
indipendenza delle Camere  rispetto  agli  altri  poteri  (ossia,  lo
«statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari»  che,  secondo  la
sentenza  n.  120  del  2014  di  questa  Corte,  segna  l'ambito  di
competenza riservato ai regolamenti  parlamentari).  Di  conseguenza,
non potrebbe giustificarsi la sottrazione della materia degli assegni
vitalizi «a qualsiasi  giurisdizione»  ed  essa  dovrebbe  costituire
oggetto di apposita normazione per legge ordinaria (come e'  avvenuto
per il trattamento economico dei parlamentari, oggetto della legge n.
1261 del 1965). Del resto, se le indennita' dei  parlamentari  devono
essere disciplinate con  legge  (art.  69  Cost.),  cio'  «a  maggior
ragione» dovrebbe valere anche per i vitalizi. 
    Al  piu',  secondo  il  deducente,  la   materia   dei   vitalizi
risulterebbe assoggettata a un regime di «concorrenza» tra  la  legge
ordinaria e il regolamento parlamentare, il quale sarebbe chiamato ad
«attuare le previsioni di legge, nel rispetto dei  principi  e  delle
regole costituzionali». 
    Anche della seconda questione di  legittimita'  costituzionale  -
concernente l'art. 1, comma 1, della deliberazione n. 6  del  2018  -
viene sostenuta l'inammissibilita'.  Premesse  alcune  notazioni  sui
cosiddetti   regolamenti   minori   (o   di   «diritto   parlamentare
amministrativo»), il  deducente  osserva  che  la  giurisprudenza  di
questa Corte, laddove ha escluso la sottoponibilita' dei  regolamenti
parlamentari al proprio sindacato, non avrebbe mai  distinto  le  due
categorie dei «regolamenti  maggiori»  e  dei  «regolamenti  minori».
Nella previsione dell'art. 134 Cost., che circoscrive il sindacato di
questa Corte solo alle leggi e agli atti aventi forza di  legge,  non
rientrerebbero ne' i regolamenti "maggiori" ne' quelli  "minori":  ne
sarebbe conferma quanto statuito da questa  Corte,  a  esempio  nella
sentenza n. 154 del 1985, o ancora nella sentenza n. 120 del 2014  in
cui si e' espressamente escluso che i regolamenti parlamentari -  pur
recando norme che entrano a far  parte  dell'ordinamento  generale  -
possano considerarsi quali atti aventi forza di legge. 
    2.4.-  Nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  si   sono
costituiti anche gli appellati C.F. B. e altri, chiedendo che  questa
Corte, «dichiarata la propria competenza, si pronunci sulle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal Consiglio di garanzia». 
    Gli  esponenti,  dopo  aver  sintetizzato  il   dibattito   sulla
questione  del  controllo  della  legittimita'   costituzionale   dei
regolamenti parlamentari -  rammentando  come  la  stessa  sia  stata
variamente  risolta  dagli  organi  di  autodichia  delle  Camere  -,
corroborano  con  ampia  argomentazione  l'assunto,   sostenuto   dal
rimettente, secondo il quale il tipo di  deliberazione  in  scrutinio
integrerebbe un atto con  forza  di  legge,  come  tale  scrutinabile
mediante incidente di costituzionalita'. 
    2.5.- Si sono costituiti in giudizio anche gli ex senatori L.  F.
e altri, chiedendo rigettarsi «ogni prospettiva di non corresponsione
"delle somme trattenute corrispondenti al periodo ricompreso  tra  il
1° gennaio 2019 e  la  data  di  efficacia  di  questa  sentenza"»  e
dichiararsi  fondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 26, comma 1, lettera b), della legge  n.  724  del  1994  e
dell'art. 1, comma 1, della deliberazione del Consiglio di presidenza
n. 6 del 2018. 
    Gli appellati rilevano, innanzitutto,  che  il  provvedimento  in
scrutinio, comportando una severa riduzione del reddito  di  numerosi
senatori cessati dalla carica, violerebbe il «diritto  umano»  a  una
vita dignitosa e, in alcuni casi, alla stessa sopravvivenza. 
    Nell'atto    di    costituzione,    mediante    ampi     richiami
giurisprudenziali e rimandi a dati normativi ritenuti  significativi,
nonche' alle decisioni rese  in  sede  di  autodichia,  si  argomenta
diffusamente la tesi della  natura  previdenziale  dei  vitalizi  dei
parlamentari,  dalla  quale  si  fa  discendere  l'applicazione  alla
materia in oggetto dei  principi  della  materia  pensionistica,  con
particolare riferimento  ai  limiti  di  aggredibilita'  delle  somme
ricevute a titolo  di  trattamento  di  quiescenza,  all'esigenza  di
tutelare ogni forma di risparmio a scopo pensionistico e  al  divieto
di riforma in peius con effetti retroattivi  sui  redditi  erogati  a
titolo di pensione. 
    Si assume, altresi',  che  il  rimettente  avrebbe  correttamente
rilevato come la deliberazione in scrutinio non  si  sia  limitata  a
incidere sul quantum del vitalizio, avendo, per contro,  radicalmente
cambiato le regole per la determinazione del  reddito  previdenziale,
cosi' incidendo retroattivamente su  ciascuna  posizione  soggettiva,
ancorche' ampiamente consolidata. 
    Si evidenzia, ancora, come la disposizione censurata si ponga  in
contrasto con la giurisprudenza costituzionale secondo  la  quale  le
misure che incidono in modo penalizzante sulle pensioni  di  maggiore
entita'  -   i   contributi   di   solidarieta'   -   devono   essere
necessariamente temporanee e devono avere riguardo al tempo trascorso
tra la definizione dell'assetto originario e la modifica, al grado di
consolidamento della posizione  soggettiva  e  alla  proporzionalita'
dell'intervento che comprime la situazione preesistente. 
    La deliberazione in  scrutinio  recherebbe,  inoltre,  vulnus  ad
altri principi costituzionali, afferenti alla finalita'  di  garanzia
dell'indipendenza  parlamentare  cui  e'   rivolto   il   trattamento
previdenziale in questione, nonche' all'art. 69 Cost.,  nella  misura
in cui pretende di dettare una  disciplina  economica  riguardante  i
parlamentari cessati dal mandato, pur in assenza di una previsione di
legge. 
    A tale riguardo, si deduce che la legge n. 1261  del  1965  sulle
indennita' parlamentari demanda ai regolamenti "minori" la disciplina
di dettaglio e che tale previsione, in quanto  espressamente  dettata
per i membri del Parlamento, non puo' essere  riferita  alla  materia
dei vitalizi, la quale concerne, invece, i parlamentari  cessati  dal
mandato. 
    In aggiunta, la  deliberazione  n.  6  del  2018,  imponendo  una
modifica peggiorativa in via retroattiva del trattamento spettante ai
senatori cessati, recherebbe vulnus ai principi di  ragionevolezza  e
di certezza del diritto. 
    Sarebbero, infine, violati gli artt. 48, 51 e 68 Cost., ponendosi
la deliberazione censurata in contrasto con il  favor  per  l'accesso
dei  cittadini  alle  cariche  elettive.  Tale  previsione,  infatti,
sortirebbe  un  effetto  di  deterrenza  sotto   il   profilo   della
partecipazione attiva alla rappresentanza parlamentare. 
    In merito alla questione degli arretrati che sarebbero dovuti  in
conseguenza dell'annullamento parziale della deliberazione n.  6  del
2018, disposto dal Consiglio di garanzia, si esclude che nel caso  di
specie possa trovare applicazione la tecnica di modulazione temporale
degli   effetti,   derogatoria   dell'efficacia   retroattiva   della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale,  adottata  in  alcune
occasioni da questa Corte (viene citata la sentenza n. 10 del  2015),
al  fine  di  evitare  effetti  «ancor  piu'  incompatibili  con   la
Costituzione». 
    Nella fattispecie in scrutinio  -  si  evidenzia  -  non  sarebbe
ravvisabile alcuno  dei  fattori  che  possano  limitare  l'ordinaria
retroattivita' delle pronunce di annullamento. Al contrario,  se  non
venissero versate le somme indebitamente non erogate dal  1°  gennaio
2019  sino  al  deposito  della  decisione  n.  253  del   2022,   si
determinerebbe un vulnus a  diritti  aventi  natura  previdenziale  e
attinenti alle funzioni parlamentari, con pregiudizio  per  i  valori
costituzionali ad essi sottesi. 
    2.6.- Si sono altresi' costituiti nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale  gli  ex  senatori  G.  C.  e   M.R.   B.,   chiedendo
l'accoglimento delle questioni sollevate. 
    In merito alla scrutinabilita', davanti a  questa  Corte,  di  un
regolamento parlamentare "minore", quale sarebbe la deliberazione  n.
6 del 2018 in esame, si evidenzia, in  adesione  alle  argomentazioni
svolte  dal  rimettente,  che,   alla   luce   della   giurisprudenza
costituzionale secondo la quale i regolamenti delle Camere  non  sono
suscettibili di sindacato di costituzionalita', ove, come nel caso di
specie, il regolamento parlamentare costituisca l'unica fonte di  una
disciplina che incide sui diritti dei destinatari, si  determinerebbe
una  disparita'  di  trattamento  rispetto  all'ipotesi  in  cui   la
regolamentazione sia disposta con legge. 
    L'ammissibilita' del sindacato di legittimita' costituzionale sul
regolamento in scrutinio troverebbe conferma nella circostanza che la
deliberazione n. 6 del 2018 risulterebbe "embricata"  con  l'art.  26
della legge n. 724 del 1994, cosi'  che,  ove  si  ritenga  che  tale
disposizione legislativa contenga la  «norma  in  bianco  implicita»,
secondo la quale il  Consiglio  di  presidenza  potrebbe  ridurre  la
misura del vitalizio in godimento ad libitum, allora la stessa  norma
di legge dovrebbe formare oggetto di incidente di  costituzionalita',
derivando la prova della sua  illegittimita'  costituzionale  proprio
dagli  esiti  dell'esercizio  del  potere  regolamentare   nel   caso
concreto. 
    Di  conseguenza,  soggiungono  gli  esponenti,  per  il   tramite
dell'art.  26  della  legge  n.  724  del  1994,  lo   scrutinio   di
legittimita' costituzionale  si  rivolgerebbe  proprio  al  contenuto
materiale della deliberazione del Consiglio di presidenza impugnata. 
    Il  sindacato  di  legittimita'  costituzionale   sul   complesso
normativo costituito dalla legge e dal regolamento -  proseguono  gli
esponenti - e' stato ritenuto praticabile dalla stessa giurisprudenza
costituzionale, la quale avrebbe piu'  volte  chiarito  che,  ove  la
regolamentazione  censurata  di  illegittimita'  costituzionale   sia
rappresentata, nella sostanza, dal combinato disposto  di  una  norma
primaria e di una norma sub-primaria e la prima risulti  in  concreto
applicabile  attraverso  le  specificazioni  formulate  nella   fonte
secondaria, e' possibile  il  sindacato  di  costituzionalita'  sulla
norma primaria tenendo conto che l'altra costituisce un completamento
del relativo contenuto prescrittivo (viene citata la sentenza n.  200
del 2018). 
    In punto di rilevanza, si assume che l'incidente di  legittimita'
costituzionale dell'art. 26 della legge n. 724 del  1994  consentira'
al   rimettente   di   operare   «quel    "bilanciamento"    secundum
constitutionem dallo stesso ritenuto  necessario  per  riconoscere  o
meno la sussistenza del diritto sugli  arretrati  del  vitalizio  con
decorrenza dal 1° gennaio 2019». 
    In merito alla questione sollevata in relazione all'art. 1, comma
1, della deliberazione n. 6 del  2018,  si  assume,  invece,  che  la
caducazione che  deriverebbe  dalla  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale determinerebbe  la  riespansione  del  trattamento  di
vitalizio previdenziale dei comparenti, nei  termini  indicati  nella
sentenza parziale resa dal Consiglio di garanzia, con decorrenza  dal
1° gennaio 2019, con conseguente liquidazione di tutti gli  arretrati
medio tempore maturati. 
    Nel  merito,  a  sostegno  delle  argomentazioni   del   Collegio
rimettente, gli appellati assumono che le questioni  sollevate  siano
fondate sia per ragioni connesse alla scelta della  fonte  attraverso
la quale  e'  stata  disposta  la  rideterminazione  dei  trattamenti
economici dei senatori cessati, sia per ragioni di ordine sostanziale
legate al contenuto della riforma in scrutinio. 
    Di seguito, gli appellati sottolineano che, in conseguenza  della
rideterminazione operata dal regolamento censurato, in molti casi  il
trattamento avrebbe  subito  una  riduzione  «quasi  dimidium»  e  di
carattere definitivo, la cui misura dimostrerebbe  l'irragionevolezza
della  nuova  disciplina   e   del   suo   carattere   essenzialmente
espropriativo nei confronti di un bene gia' acquisito  al  patrimonio
degli interessati. 
    Ancora, ad avviso degli  appellati,  il  complesso  normativo  in
scrutinio si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalita'
e di ragionevolezza elaborati dalla giurisprudenza costituzionale  in
materia  previdenziale,  con   particolare   riferimento   allo   ius
superveniens riduttivo delle cosiddette "pensioni d'oro" estranee  al
sistema contributivo, introdotto dall'art. 1, commi 261  e  seguenti,
della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2019  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2019-2021), con richiamo alla sentenza n. 234 del 2020. 
    Si sottolinea che i limiti  all'ingerenza  pubblica  sui  crediti
previdenziali, stabiliti da questa Corte per le pensioni di ammontare
superiore a 100.000,00 euro annui, e riguardanti riduzioni del  dieci
per cento di durata temporanea, varrebbero a maggior ragione nel caso
di specie, in cui si e' al cospetto di una  decurtazione  maggiore  e
definitiva operata su un trattamento di ammontare inferiore. 
    Si aggiunge che occorrerebbe,  comunque,  considerare  la  «causa
particolare» del vitalizio, che rappresenta una proiezione  economica
dell'indennita' parlamentare per la parentesi di vita successiva allo
svolgimento  del  mandato.   Tale   assimilazione   attesterebbe   la
contrarieta' della disciplina censurata all'art. 69 Cost.,  il  quale
offre una garanzia costituzionale che copre sia l'an che  il  quantum
del vitalizio. 
    2.7.-  Nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  si  sono,
infine, costituiti G. Z. e altri, tutti ex senatori, per sostenere la
fondatezza delle censure svolte dal rimettente. 
    Ad avviso degli appellati,  la  deliberazione  del  Consiglio  di
presidenza  del   Senato   n.   6   del   2018   avrebbe   modificato
retroattivamente la disciplina  sostanziale  dell'assegno  vitalizio,
intervenendo sul momento genetico del  diritto  e  stravolgendone  in
modo definitivo  il  contenuto,  la  finalita'  e  l'entita',  senza,
quindi,  rispettare  i  parametri  della   eccezionalita'   e   della
temporaneita' della misura ablativa. 
    Attraverso una minuziosa ricostruzione della  evoluzione  storica
della disciplina dei vitalizi, gli appellati  pongono  in  luce  come
tale emolumento abbia mutato nel tempo la propria natura,  acquisendo
gia' con la sentenza di questa Corte n. 289 del 1994 la  connotazione
previdenziale definitivamente confermata dalla riforma del 2012 e, da
ultimo, dalla stessa deliberazione in scrutinio. 
    Si rileva, quindi, che la legge n. 724 del 1994, pur  sopprimendo
il  regime  fiscale   speciale   precedentemente   previsto   per   i
parlamentari, assoggettandoli alla disciplina del testo  unico  delle
imposte sui redditi, non ha, tuttavia, previsto che  la  materia  dei
vitalizi  dovesse  essere  regolamentata  in  ossequio  ai   principi
generali in materia previdenziale e, in particolare, ai  principi  di
irretroattivita',  salvezza  dei  diritti   acquisiti,   uguaglianza,
ragionevolezza e proporzionalita'. 
    In aggiunta, si corroborano le motivazioni spese dal rimettente a
supporto del secondo dei  profili  di  illegittimita'  costituzionale
prospettati,  evidenziandosi  che  i  vitalizi,  costituendo  -  come
chiarito  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  -  una  proiezione
economica dell'indennita' spettante ai  parlamentari,  rientrerebbero
nella riserva di legge di cui all'art. 69 Cost.  Di  conseguenza,  in
materia di vitalizi, non sarebbe giustificato un «intervento autonomo
e autoreferenziale dei regolamenti parlamentari», essendo  necessaria
una disciplina legislativa «a garanzia e tutela dei  parlamentari  in
qualita' di individui dell'ordinamento generale», ossia  di  soggetti
terzi da preservare dal potere amministrativo del Parlamento. 
    La riserva di legge, o comunque la preferenza per  la  disciplina
legislativa   comporterebbe   ricadute   sul   piano   della   tutela
giurisdizionale, posto che solo nelle materie  regolate  dalla  legge
l'organo  di  autodichia  e'  legittimato  alla  rimessione,  in  via
incidentale,  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale   al
sindacato di questa Corte. 
    Ancora, gli appellati deducono  che,  ove  si  ritenesse  che  il
Consiglio di presidenza del Senato potesse  validamente  adottare  la
deliberazione in  scrutinio,  dovrebbe  allora  sostenersi  che  tale
regolamento   sia   suscettibile   di   sindacato   di   legittimita'
costituzionale, militando a favore di tale  ricostruzione  l'esigenza
di  uniformita'  dell'interpretazione   della   Costituzione   e   di
effettivita' della tutela giurisdizionale (vengono citate le sentenze
n. 213 del 2017 e  n.  120  del  2014).  Cio',  sul  presupposto  che
l'indipendenza  delle  Camere   non   possa   compromettere   diritti
fondamentali, ne' pregiudicare l'attuazione di principi  inderogabili
(viene citata l'ordinanza n. 91 del 2016). 
    Ove,  accogliendo  tale  impostazione,  si   ritenesse   che   il
regolamento "minore" sia suscettibile di  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale,  dovrebbe  assumersene  la  manifesta  illegittimita'
costituzionale,  per   avere   violato   i   principi   generali   di
irretroattivita',  di   temporaneita',   di   ragionevolezza   e   di
proporzionalita',  essendo  intervenuto  «in   maniera   unilaterale,
arbitraria e permanente» su diritti soggettivi perfetti aventi natura
prevalentemente previdenziale, con la conseguenza che  all'esito  del
suo annullamento sorgerebbe il diritto alla percezione di  tutti  gli
arretrati. 
    3.- Con memorie successivamente depositate, hanno  svolto  difese
gli ex senatori G. C. e M.R. B., nonche' F.C. B. e altri,  ribadendo,
nella sostanza, le precedenti proprie deduzioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Consiglio  di  garanzia  del  Senato  della  Repubblica,
chiamato  a  decidere,  in  grado  di  appello,  alcune  controversie
relative  all'applicazione  della  nuova  disciplina   dei   vitalizi
riconosciuti   agli   ex   parlamentari,   come   introdotta    dalla
deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica
n. 6 del 2018, ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 26, comma 1, lettera b), della legge  n.  724  del  1994  e
dell'art. 1, comma 1, della medesima deliberazione del  Consiglio  di
presidenza, per contrasto di entrambe le disposizioni con  gli  artt.
2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma, Cost. 
    L'art. 26, comma 1, lettera b), della legge n. 724  del  1994  e'
censurato «nella parte in  cui  -  nel  sopprimere  qualsiasi  regime
fiscale particolare per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli  ex
parlamentari - non prevede  altresi'  che  queste  prestazioni  vanno
disciplinate  nel  rispetto  dei   principi   generali   in   materia
previdenziale, in rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69
e 117, primo comma, della Costituzione,  tra  cui  -  per  quanto  di
interesse - i limiti posti  al  legislatore  nell'individuazione  dei
parametri per determinare i vitalizi e  con  essi  i  limiti  per  un
eventuale adeguamento retroattivo». 
    La  seconda  questione  investe  l'art.   1,   comma   1,   della
deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato n. 6  del  2018,
«laddove qualificata come "regolamento minore" avente forza di legge,
nella  parte  in  cui  viola  i  principi   di   proporzionalita'   e
ragionevolezza nella  determinazione  retroattiva  dei  vitalizi,  in
rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53,  67,  69  e  117,  primo
comma, della Costituzione, sempre ai fini di un eventuale adeguamento
retroattivo per il periodo di tempo sopra indicato». 
    2.- In via preliminare, e' appena il caso di ricordare che,  come
gia'  chiarito   da   questa   Corte,   l'autorita'   rimettente   ha
legittimazione    a    sollevare    l'incidente    di    legittimita'
costituzionale, come giudice a quo, ai sensi dell'art. 1 della  legge
costituzionale  13  febbraio  1948,  n.  1  (Norme  sui  giudizi   di
legittimita' costituzionale e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della
Corte costituzionale) e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale). Il Consiglio di  garanzia  del  Senato  costituisce,
infatti, un «organo di autodichia, chiamato a svolgere, in  posizione
super partes,  funzioni  giurisdizionali»  volte  alla  decisione  di
controversie  -  nella  specie,   quelle   che   sono   insorte   tra
l'amministrazione del Senato della Repubblica e gli ex  senatori,  in
tema di ricalcolo dei vitalizi - per l'obiettiva  applicazione  della
legge (sentenze n. 213 del 2017;  nello  stesso  senso,  seppure  con
riferimento a soggetti diversi, sentenze n. 376 del 2001 e n. 226 del
1976). 
    3.- La riforma adottata con la deliberazione  n.  6  del  2018  -
cosi' come l'omologa normativa introdotta dall'Ufficio di  presidenza
della Camera dei deputati con deliberazione del 12 luglio 2018, n. 14
-  ha  significativamente   innovato   la   disciplina   dell'assegno
vitalizio,  delle  quote  di  assegno   vitalizio   dei   trattamenti
previdenziali pro rata, nonche' dei  trattamenti  di  reversibilita',
relativi agli anni di  mandato  svolti  fino  al  31  dicembre  2011,
uniformandola   al   regime   previdenziale,   basato   sul    metodo
contributivo, vigente nell'ordinamento generale. 
    3.1.- La novella costituisce l'ultimo approdo di  una  evoluzione
normativa che, fatta eccezione per la disciplina  fiscale,  di  rango
legislativo, ha sempre trovato il suo assetto  in  regolamenti  degli
organi di vertice amministrativo delle Camere. Essa rinviene  la  sua
genesi nella istituzione, con delibere degli Uffici di presidenza  di
Camera e Senato del 9 aprile del  1954,  di  due  distinte  casse  di
previdenza per i deputati e i senatori, aventi lo scopo di provvedere
alla  corresponsione  di  una  «pensione  vitalizia»  a  favore   dei
parlamentari cessati dal  mandato,  delle  loro  vedove  e  dei  loro
orfani. Le casse furono poi disciolte nel 1959 e successivamente, con
decorrenza 1° gennaio 1960, unificate nella Cassa di previdenza per i
parlamentari  della  Repubblica.  La   configurazione   dell'istituto
esibiva, in quell'epoca, tratti tipicamente mutualistici (sentenza n.
289 del 1994), come reso evidente  dalla  previsione  dell'iscrizione
d'ufficio del parlamentare alla cassa e dalla parziale  alimentazione
di questa mediante contribuzione obbligatoria (artt. 2, primo  comma,
e 3 dello «Statuto della cassa di previdenza  per  i  senatori  della
repubblica»). 
    Negli anni successivi, essendo stata rilevata l'insufficienza, ai
fini dell'attuazione della  finalita'  mutualistica,  dei  contributi
cosi' raccolti, nel bilancio delle amministrazioni della Camera e del
Senato fu introdotto un apposito capitolo dal quale trarre le risorse
finanziarie  necessarie  all'erogazione  della  prestazione.  Con  le
deliberazioni rispettivamente del 30 ottobre 1968 e del 18-23 ottobre
1968,  l'Ufficio  di  presidenza  della  Camera  e  il  Consiglio  di
presidenza del Senato adottarono  i  rispettivi  regolamenti  per  la
previdenza dei deputati e dei senatori, con i quali fu istituita  una
voce  in  entrata  destinata  a  recepire  le  ritenute  obbligatorie
prelevate  dall'indennita'  spettante   agli   stessi,   secondo   un
meccanismo  non  dissimile  da  quello  previsto  per  i   lavoratori
nell'ordinamento generale. 
    Con particolare riferimento al Senato, l'art. 1, primo comma, del
«Regolamento per la previdenza e assistenza agli onorevoli senatori e
loro familiari» stabiliva che tutti i senatori  fossero  assoggettati
al versamento di  contributi  mensili,  nella  misura  stabilita  dal
Consiglio    di    presidenza,    mediante    trattenuta    d'ufficio
sull'indennita'. Inoltre, l'art. IV delle disposizioni transitorie  e
finali del medesimo regolamento prevedeva che «[g]li assegni vitalizi
diretti e di  riversibilita'  agli  onorevoli  senatori  cessati  dal
mandato,  nonche'  ai  loro  familiari  e   aventi   causa,   saranno
corrisposti  a  carico  del  bilancio  interno   del   Senato   della
Repubblica, nel  cui  preventivo  figurera'  ogni  anno  un  apposito
capitolo  di  spesa  denominato  "Previdenza  e  assistenza  per  gli
onorevoli senatori", previo inserimento in  entrata  di  una  partita
contenente l'ammontare delle contribuzioni degli onorevoli senatori». 
    L'ampiezza temporale dell'erogazione,  a  fronte  di  periodi  di
contribuzione  spesso  di  breve  durata,  rese,  tuttavia,  precario
l'equilibrio tra le entrate e le uscite, cosi' che fu  necessario  un
progressivo  ampliamento  del  capitolo  di   bilancio   deputato   a
finanziare l'erogazione dell'assegno. 
    Alla stregua del nuovo sistema, il vitalizio spettava ai senatori
cessati dall'incarico elettivo - ma analoghe regole furono  stabilite
anche dalla Camera, per gli  ex  deputati  -  che  avessero  compiuto
sessanta anni di eta'  e  che  avessero  versato  contributi  per  un
periodo di almeno cinque anni di mandato parlamentare (art. 2,  primo
comma). Nondimeno, per ogni anno di mandato o di contribuzione  oltre
il quinto l'eta'  richiesta  per  il  conseguimento  del  diritto  al
vitalizio era diminuita  di  un  anno,  fino  al  limite  massimo  di
cinquanta anni (art. 2, secondo comma). 
    In caso di esercizio del mandato  per  un  periodo  inferiore  al
quinquennio,  l'art.  6  del  regolamento  in  esame   prevedeva   la
possibilita'  di  versare  contributi   in   via   volontaria,   onde
raggiungere  tale  ultimo  limite  temporale  e  ottenere   l'assegno
vitalizio minimo. 
    Il sistema cosi' delineato presentava una connotazione lato sensu
assicurativa (sentenza  n.  289  del  1994),  come  confermato  dalla
deliberazione del Consiglio di presidenza del 30 giugno 1993,  n.  44
(Aumento del contributo a carico dei Senatori  ai  fini  dell'assegno
vitalizio), con la  quale  l'organo  di  vertice  amministrativo  del
Senato incluse i contributi per gli assegni  vitalizi  a  carico  dei
senatori, «stante la  loro  natura  non  assimilabile  a  quella  dei
trattamenti pensionistici»,  nella  base  imponibile  dell'indennita'
parlamentare  «in  analogia  ai  premi   assicurativi   destinati   a
costituire le rendite vitalizie». 
    Il descritto assetto normativo  e'  rimasto  in  vigore,  per  il
Senato, fino al 1997, allorquando, con la deliberazione del Consiglio
di presidenza del 30 luglio, recante il nuovo  «Regolamento  per  gli
assegni vitalizi degli  onorevoli  senatori  e  loro  familiari»,  le
disposizioni regolamentari fino ad allora vigenti sono state  oggetto
di rilevanti modifiche, che hanno investito, anzitutto, le  modalita'
di determinazione dell'assegno. 
    L'art. 19, primo comma, di tale regolamento  disponeva,  infatti,
che la misura dell'assegno vitalizio  diretto  fosse  deliberata  dal
Consiglio di presidenza e calcolata  in  percentuale  dell'indennita'
parlamentare lorda, da un  minimo  del  venticinque  per  cento  (per
cinque anni di contributi) ad un massimo dell'ottanta per cento  (per
trenta anni di  contributi),  secondo  la  «Tabella  A»  allegata  al
regolamento stesso. 
    3.2.- Una radicale modifica del sistema sin qui descritto  si  e'
avuta, per entrambe le Camere, con l'adozione, nel  2012,  dei  nuovi
regolamenti delle pensioni dei deputati e dei senatori, adottati  con
deliberazioni  degli   organi   di   presidenza   assunte   d'intesa,
rispettivamente, il 30 gennaio 2012 per la Camera dei deputati  e  il
31 gennaio 2012 per il Senato. 
    Tale riforma ha  comportato  una  profonda  trasformazione  della
disciplina del trattamento di quiescenza dei parlamentari. 
    Per quanto concerne piu'  specificamente  il  Senato,  l'art.  1,
comma 1, del nuovo  «Regolamento  delle  pensioni  dei  senatori»  ha
stabilito che la disciplina interessa i senatori in carica alla  data
del 1° gennaio 2012 ovvero eletti successivamente, nonche' quelli che
abbiano esercitato il mandato  parlamentare  precedentemente  a  tale
data e successivamente rieletti. Il comma 2 dello stesso articolo  ha
precisato, inoltre, che «[i]  senatori  sono  assoggettati  d'ufficio
alla contribuzione previdenziale, che si effettua mediante trattenute
sull'indennita'  parlamentare,  ovvero  sulle  competenze  accessorie
qualora abbiano optato, in luogo dell'indennita', per il  trattamento
economico  in  godimento  presso  la  pubblica   amministrazione   di
appartenenza, ai sensi dell'articolo 68 del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165». 
    L'art.  2  del  citato  regolamento  ha  definito   i   requisiti
soggettivi  per  il  conseguimento  del  trattamento  di  quiescenza,
prescrivendo che i senatori conseguono il diritto  alla  pensione  al
compimento del sessantacinquesimo anno di  eta'  e  a  condizione  di
avere svolto un periodo effettivo di mandato per almeno  cinque  anni
nel Parlamento, precisando che per ogni anno di mandato  parlamentare
oltre il quinto l'eta' richiesta per  il  conseguimento  del  diritto
alla pensione e' diminuita di un anno,  con  il  limite  all'eta'  di
sessanta anni. 
    La novita' piu' significativa della novella del 2012 si  rinviene
nell'art. 3 del regolamento, ove viene esplicitamente  dichiarato  il
passaggio del trattamento previdenziale per i senatori al sistema  di
liquidazione basato sul metodo contributivo. La medesima disposizione
prescrive che l'emolumento sia calcolato  moltiplicando  il  montante
individuale dei contributi  per  il  coefficiente  di  trasformazione
riportato  nell'«Allegato  A»,  relativo  all'eta'  del  senatore  al
momento del conseguimento del diritto  alla  pensione.  L'accesso  al
trattamento e', quindi, condizionato alla sussistenza di  un  duplice
requisito, anagrafico e contributivo. Quanto al primo, la provvidenza
spetta al senatore che abbia compiuto il sessantacinquesimo  anno  di
eta' e che abbia svolto mandati per almeno  cinque  anni.  Quanto  al
requisito contributivo, in analogia a quanto previsto per il pubblico
dipendente, la contribuzione  prevista  e'  pari  al  trentatre'  per
cento, ripartita tra il senatore e la Camera di appartenenza,  mentre
la  base  imponibile  contributiva  e'  calcolata  sulla   indennita'
parlamentare  lorda,  con  esclusione  di  qualsiasi  indennita'   di
funzione e accessoria. 
    La riforma del 2012 allinea  il  metodo  di  quantificazione  del
trattamento di quiescenza per i parlamentari a quello, conformato sul
modello contributivo, affermatosi nell'ordinamento generale all'esito
di una riforma organica avviata con la legge 8 agosto  1995,  n.  335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio  e  complementare)  e
completata con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214. 
    Inoltre, analogamente a quanto stabilito per la  generalita'  dei
lavoratori, anche ai senatori in carica alla data del 1° gennaio 2012
e' applicato  un  sistema  pro  rata,  il  cui  calcolo  e'  definito
dall'art. 4 del  regolamento,  a  mente  del  quale  per  i  suddetti
parlamentari che abbiano esercitato il mandato precedentemente a tale
data  e  che   siano   successivamente   rieletti,   il   trattamento
previdenziale  e'  determinato  dalla  somma  dell'assegno  vitalizio
definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011,  secondo  il
regolamento in vigore al momento  di  inizio  del  mandato,  e  dalla
pensione calcolata con il sistema contributivo con  riferimento  agli
ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato.  La  pensione  pro
rata non puo'  essere  comunque  superiore  all'importo  massimo  del
vitalizio previsto dal regolamento previgente (art. 4, comma  3,  del
Regolamento delle pensioni dei senatori). 
    Come gia' precisato, l'art. 1 della deliberazione n. 6  del  2018
ha poi disposto che le quote di  assegno  vitalizio  dei  trattamenti
previdenziali pro rata, diretti e di reversibilita',  maturati  sulla
base della normativa vigente alla data del  31  dicembre  2011,  sono
rideterminate moltiplicando il montante contributivo individuale  per
un coefficiente di trasformazione relativo  all'eta'  anagrafica  del
senatore alla data della decorrenza del trattamento pro rata. 
    3.3.- In tale cornice normativa, dominata dalle fonti di  diritto
parlamentare,  il  legislatore  si  e'  astenuto  dal   dettare   una
disciplina generale dei vitalizi, limitandosi  a  regolarne  il  solo
trattamento fiscale. 
    In particolare, l'art. 2, comma 6-bis, del decreto-legge 2  marzo
1989, n. 69 (Disposizioni urgenti in materia di imposta  sul  reddito
delle persone fisiche e  versamento  di  acconto  delle  imposte  sui
redditi, determinazione forfettaria del  reddito  e  dell'IVA,  nuovi
termini  per  la  presentazione  delle  dichiarazioni  da  parte   di
determinate categorie di  contribuenti,  sanatoria  di  irregolarita'
formali e  di  minori  infrazioni,  ampliamento  degli  imponibili  e
contenimento delle elusioni, nonche' in materia di aliquote IVA e  di
tasse sulle concessioni governative), convertito, con  modificazioni,
nella legge 27  aprile  1989,  n.  154,  aveva  istituito  un  regime
tributario  di  favore  per  i  vitalizi   degli   ex   parlamentari,
estendendovi il trattamento fiscale privilegiato gia' previsto per le
rendite vitalizie di cui all'(allora vigente) art. 47,  primo  comma,
lettera h), del decreto del Presidente della Repubblica  22  dicembre
1986,  n.  917  (Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi). Detto regime di favore, prima ancora della sua declaratoria
di illegittimita' costituzionale con la sentenza n. 289 del  1994  di
questa Corte, fu abrogato dall'art. 14 della legge 24 dicembre  1993,
n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica). 
    Di seguito, l'art. 26, comma 1, lettera b), della  legge  n.  724
del 1994, qui in scrutinio, ha disposto la soppressione di tutti  gli
esistenti  regimi  fiscali  particolari  concernenti   «gli   assegni
vitalizi spettanti ai membri del Parlamento nazionale, del Parlamento
europeo, della Corte costituzionale e dei consigli regionali  per  la
quota  parte  che  non  derivi  da  fonti  riferibili  a   trattenute
effettuate al percettore gia' assoggettate a ritenute fiscali». 
    Successivamente, con l'art. 5-bis  del  decreto-legge  28  giugno
1995, n. 250 (Differimento di taluni termini ed altre disposizioni in
materia tributaria), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  8
agosto 1995, n. 349, sono state precisate le «modalita'  applicative»
della disposizione del 1994, disponendosi che «la quota parte di  cui
alla  lettera  b)  e'  determinata,  per  i  membri  del   Parlamento
nazionale, in  misura  corrispondente  al  rapporto  tra  l'ammontare
complessivo delle  trattenute  effettuate,  assoggettate  a  ritenute
fiscali, e la spesa complessiva per assegni vitalizi;  tale  rapporto
si considera in ogni caso non superiore ai due quinti». 
    3.4.- Nella trama normativa sin qui ricomposta  si  inserisce  la
deliberazione n. 6 del 2018, del pari oggetto delle odierne questioni
di legittimita' costituzionale, con la quale,  come  evidenziato,  il
Consiglio di presidenza del Senato ha approvato  la  rideterminazione
su base contributiva degli assegni vitalizi e delle quote di  assegno
vitalizio  dei  trattamenti  previdenziali  pro  rata,  nonche'   dei
trattamenti di reversibilita', relativi agli anni di  mandato  svolti
fino al 31 dicembre 2011. 
    Tale deliberazione fa seguito alla discussione di un  disegno  di
legge di iniziativa parlamentare  del  2015,  presentato  nella  XVII
Legislatura (Camera dei deputati - proposta di legge n. 3225, recante
«Disposizioni  in  materia  di  abolizione  dei  vitalizi   e   nuova
disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento  e
dei consiglieri regionali»), approvato in prima lettura alla Camera e
poi arrestatosi al Senato in  concomitanza  con  la  fine  di  quella
legislatura. 
    I regolamenti del 2018, cosi' come la proposta di legge del  2015
che li ha preceduti, mirano ad abolire gli assegni vitalizi  maturati
anteriormente alla  riforma  del  2012,  riconfigurandone  il  regime
giuridico  alla  stregua  del  modello   previdenziale   contributivo
adottato nell'ordinamento generale. 
    A tal fine l'art.  1,  commi  1  e  2,  della  deliberazione  del
Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 dispone che, a decorrere dal 1°
gennaio 2019, gli  importi  degli  assegni  vitalizi,  diretti  e  di
reversibilita', e delle quote di assegno  vitalizio  dei  trattamenti
previdenziali pro rata, diretti e di reversibilita',  maturati  sulla
base della normativa vigente alla data del  31  dicembre  2011,  sono
rideterminati moltiplicando il montante contributivo individuale  per
il coefficiente di trasformazione relativo  all'eta'  anagrafica  del
senatore alla data della  decorrenza  dell'assegno  vitalizio  o  del
trattamento previdenziale pro rata. 
    4.- Cosi' ricostruita la cornice normativa in cui si collocano le
disposizioni censurate, e' possibile procedere allo  scrutinio  delle
odierne questioni. 
    5.- Esse sono inammissibili. 
    5.1.- Per quanto concerne la prima, avente ad oggetto l'art.  26,
comma 1, lettera b), della legge n.  724  del  1994,  va,  anzitutto,
rilevato che non risultano adeguatamente esplicitate le ragioni della
rilevanza della censurata disposizione ai fini della decisione  della
controversia all'esame del rimettente. 
    5.1.1.- Secondo il costante  orientamento  di  questa  Corte,  la
motivazione sulla rilevanza e' da intendersi correttamente  formulata
quando illustra in modo non implausibile le ragioni che  giustificano
l'applicazione   della   norma    censurata    e    determinano    la
pregiudizialita'  della  questione  rispetto  alla  definizione   del
processo principale (ex plurimis, sentenze n. 109 e n. 52 del 2022). 
    Nella specie,  il  giudice  a  quo  si  limita  alla  tautologica
affermazione secondo la quale l'omessa previsione, nella disposizione
in scrutinio, della  soggezione  della  disciplina  dei  vitalizi  ai
principi   generali   dell'ordinamento   previdenziale    assumerebbe
rilevanza ai fini dell'esame di un punto controverso  e  fondamentale
del giudizio, «vale a dire la legittimita' costituzionale o no di una
disciplina (quella sugli assegni vitalizi  e  le  pensioni  degli  ex
senatori), che abbia imposto i criteri di cui all'originaria delibera
del  Consiglio  di  Presidenza,  in  modo   perpetuo   e   non   gia'
transitorio». 
    Non vengono, tuttavia,  chiarite  le  ragioni  per  le  quali  la
omissione riscontrata nella legge n. 724 del  1994  costituirebbe  un
ostacolo alla decisione della controversia all'esame del  rimettente,
le cui doglianze investono  una  disposizione,  appunto,  l'art.  26,
comma 1, lettera b), della  predetta  legge,  che  concerne  il  solo
trattamento fiscale dell'istituto in scrutinio. 
    La individuazione di tale disciplina quale sedes  materiae  nella
quale innestare l'auspicata pronuncia additiva avrebbe  richiesto  un
supporto argomentativo idoneo ad esplicitare le ragioni per le  quali
l'addizione  invocata  sarebbe  da  collocarsi  proprio  in  siffatto
settoriale contesto normativo. 
    5.1.2.- Un ulteriore profilo di inammissibilita' della  questione
per contraddittorieta' logico-argomentativa emerge dalla  circostanza
che il Consiglio di garanzia, nel capo a)  del  dispositivo  del  suo
provvedimento, annulla l'art. 1, comma 2, nella parte in cui  prevede
che  il  ricalcolo  dei  vitalizi  avvenga  in  applicazione  di   un
coefficiente di trasformazione basato su un dato retrospettivo, cioe'
sull'eta' del  senatore  alla  data  di  decorrenza  del  trattamento
previdenziale, anziche' al momento dell'entrata in  vigore  dell'atto
regolamentare in questione.  Per  giungere  a  tale  conclusione,  il
rimettente fa leva sul parametro desunto dai principi fondamentali in
materia previdenziale, come elaborati dalla giurisprudenza di  questa
Corte, e in particolare sul principio  di  non  retroattivita'  delle
disposizioni che incidono in peius sui rapporti di durata.  Tuttavia,
lo stesso rimettente, al capo d) del dispositivo,  evoca  l'art.  26,
comma 1, lettera b), della legge n. 724 del 1994 per  denunziarne  il
carattere omissivo, sul rilievo che il  legislatore  fiscale  avrebbe
dovuto prevedere  espressamente  l'assoggettamento  dei  vitalizi  ai
principi generali in materia di previdenza, e chiede  alla  Corte  di
colmare  l'indicata  lacuna  attraverso  un  intervento  additivo.  E
proprio in cio' si rivela la contraddittorieta'  in  cui  incorre  il
giudice a quo, posto che, dopo aver ritenuto detti principi immanenti
nel sistema e vincolanti, al punto di utilizzarli quali parametro per
l'annullamento di una parte della  delibera,  ne  rileva  il  mancato
richiamo in una disposizione legislativa che, come gia' sottolineato,
ha ad oggetto non gia' la disciplina generale dell'istituto di cui si
tratta, ma solo la regolazione di un aspetto del tutto particolare. 
    5.2.- Parimenti inammissibile e' la seconda  questione  sollevata
dal Consiglio di garanzia in riferimento all'art. 1, comma  1,  della
deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato n. 6 del 2018. 
    5.2.1.- La determinazione  in  scrutinio,  quale  atto  normativo
adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione del  Senato,  si
inscrive nel novero dei regolamenti parlamentari cosiddetti  "minori"
o "derivati", che rinvengono il proprio fondamento e la propria fonte
di legittimazione  in  quelli  cosiddetti  "maggiori"  o  "generali",
approvati  da  ciascuna  Camera  a  maggioranza  assoluta  dei   suoi
componenti ai sensi dell'art. 64, primo comma, Cost. 
    Come questi  ultimi,  anche  i  regolamenti  parlamentari  minori
costituiscono una manifestazione  della  potesta'  normativa  che  la
Costituzione riconosce alle Camere a presidio della loro indipendenza
«e, percio', per il libero ed efficiente  svolgimento  delle  proprie
funzioni» (sentenza n. 262 del 2017). Essi contribuiscono, come tali,
a delineare lo «statuto di  garanzia  delle  Assemblee  parlamentari»
(sentenza n. 379 del 1996), quale definito e delimitato  dagli  artt.
64 e 72 Cost., ossia dalle norme che segnano l'ambito  di  competenza
riservato   avente   ad   oggetto   l'organizzazione    interna    e,
rispettivamente, la disciplina del procedimento  legislativo  per  la
parte non direttamente regolata dalla Costituzione (sentenza  n.  120
del 2014). 
    5.2.2.- Questa Corte ha inscritto i regolamenti maggiori  tra  le
fonti dell'ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme
sottoposte  agli  ordinari  canoni  interpretativi,  alla  luce   dei
principi e delle disposizioni costituzionali, che  ne  delimitano  la
sfera di competenza (sentenza n. 120 del 2014),  precisando  comunque
che detti regolamenti non sono annoverabili tra gli atti aventi forza
di legge ai sensi dell'art. 134, primo alinea, Cost. 
    Tale precisazione va, a maggior ragione, ribadita con riguardo ai
regolamenti minori, che, come dianzi sottolineato, trovano in  quelli
maggiori la propria fonte di legittimazione. 
    5.2.3.- Nella medesima decisione questa Corte ha  anche  rilevato
che  nel  sistema  delle  fonti  delineato  dalla   Costituzione   il
regolamento parlamentare e' espressamente previsto dall'art. 64  come
atto normativo dotato di una sfera di competenza riservata e distinta
rispetto a quella della  legge  ordinaria,  «nella  quale,  pertanto,
neppure questa e' abilitata ad intervenire». 
    La  riserva   di   regolamento   assume,   nondimeno,   carattere
indefettibile soltanto in materia di  procedimento  legislativo.  Con
riferimento ad altri settori del diritto parlamentare resta demandata
alla discrezionalita' del  Parlamento  la  scelta  della  fonte  piu'
congeniale alla materia da trattare. 
    La disciplina  del  vitalizio  e'  stata  posta,  fin  dalla  sua
istituzione, mediante regolamenti minori. E questa Corte ha  rilevato
la particolare natura di tale istituto, che ha trovato la sua origine
nella mutualita' e si e' gradualmente trasformato  in  una  forma  di
previdenza intesa in senso  lato,  «conservando  peraltro  un  regime
speciale che trova il suo assetto non nella legge, ma in  regolamenti
interni delle Camere» (sentenza n. 289 del 1994). 
    5.2.4.- Tuttavia, l'adozione di norme volte  a  disciplinare  gli
emolumenti dovuti al termine dell'incarico elettivo,  investendo  una
componente essenziale del  trattamento  economico  del  parlamentare,
contribuisce ad assicurare a tutti  i  cittadini  uguale  diritto  di
accesso alla  relativa  funzione,  scongiurando  il  rischio  che  lo
svolgimento del munus parlamentare, che  talora  si  dispiega  in  un
significativo arco temporale della vita lavorativa dell'eletto, possa
rimanere sprovvisto di adeguata protezione  previdenziale.  Pertanto,
la opzione  per  la  fonte  legislativa  -  del  resto  espressamente
operata,  con  riguardo  alla  indennita',  dall'art.  69   Cost.   -
garantirebbe in piu' la scrutinabilita' dell'atto normativo davanti a
questa  Corte  e  assicurerebbe  un'auspicabile   omogeneita'   della
disciplina concernente lo status di parlamentare. 
    5.2.5.- Alla luce  di  quanto  sin  qui  esposto,  poiche',  come
precisato da questa  Corte,  il  problema  dell'assoggettabilita'  al
giudizio di legittimita' costituzionale dei regolamenti  parlamentari
attiene all'ammissibilita' della questione sollevata (sentenza n. 154
del 1985), le censure rivolte dal rimettente alla  deliberazione  del
Consiglio di presidenza del  Senato  n.  6  del  2018  devono  essere
dichiarate inammissibili, in quanto investono un atto  normativo  che
non e' compreso tra le fonti soggette al giudizio operato  da  questa
Corte ai sensi dell'art.  134  Cost.,  e  che,  come  gia'  chiarito,
costituisce,  al  pari   dei   regolamenti   parlamentari   maggiori,
espressione dell'autonomia  normativa  accordata  dalla  Costituzione
alle Camere. 
    Spetta, pertanto, agli organi dell'autodichia il giudizio  -  che
si svolge «secondo moduli procedimentali  di  natura  sostanzialmente
giurisdizionale, idonei  a  garantire  il  diritto  di  difesa  e  un
effettivo  contraddittorio»  (sentenza  n.  262  del  2017)  -  sulla
legittimita' della deliberazione censurata.