ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  23,  comma
6, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina  delle
forme  pensionistiche  complementari),  promosso  dalla   Commissione
tributaria provinciale di Latina nel procedimento vertente  tra  M.F.
C. e l'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di  Latina,  con
ordinanza del 21  luglio  2021,  iscritta  al  n.  181  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di costituzione di M.F. C.; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    udito l'avvocato Maria Antonietta Criscuoli per M.F. C.; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 luglio 2021 (reg. ord. n. 181 del 2021),
la Commissione tributaria provinciale di Latina solleva questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,  comma  6,  del  decreto
legislativo  5  dicembre  2005,  n.  252  (Disciplina   delle   forme
pensionistiche complementari), in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione. 
    1.1.- La Commissione rimettente deve decidere il ricorso  avverso
il  silenzio  rifiuto  dell'Agenzia  delle  entrate  sull'istanza  di
rimborso dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche  (IRPEF)
versata negli anni 2015, 2016 e  2017  da  un  «ex  dipendente  INPS,
titolare   di   pensione   integrativa   dal   01.08.2010,    erogata
dall'apposito Fondo». Nel giudizio a quo il contribuente lamenta  che
tale  trattamento  integrativo  sarebbe  stato  cumulato  con  quello
ordinario, «con applicazione dello stesso regime fiscale degli  altri
redditi», anziche'  «essere  tassato  separatamente  sulla  base  dei
criteri» di cui all'art. 11, comma 6, del d.lgs.  n.  252  del  2005,
ossia con una ritenuta a titolo di imposta compresa tra il 9 e il  15
per cento. 
    1.2.- L'ordinanza elenca in premessa i tre  regimi  che  si  sono
succeduti «[i]n  relazione  al  trattamento  fiscale  delle  pensioni
integrative»: a) il decreto  legislativo  21  aprile  1993,  n.  124,
recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma
dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n.
421», applicabile alle prestazioni previdenziali integrative fino  al
31 dicembre 2000; b) il decreto legislativo 18 febbraio 2000,  n.  47
(Riforma della disciplina fiscale della previdenza  complementare,  a
norma  dell'articolo  3  della  legge  13  maggio  1999,   n.   133),
applicabile alle medesime prestazioni nel periodo dal 2001  al  2006;
c) il d.lgs. n. 252 del 2005. 
    L'art.  23,  comma  5,  di   quest'ultimo   decreto   legislativo
consentirebbe, secondo il giudice a  quo,  di  applicare  al  settore
dell'impiego privato il regime fiscale agevolato di cui al richiamato
art. 11,  comma  6,  per  le  prestazioni  previdenziali  integrative
maturate a partire dal 1° gennaio 2007, mentre il successivo comma  6
disporrebbe per i dipendenti pubblici un diverso regime  transitorio,
avendo differito tale regola fino all'entrata in vigore  del  decreto
legislativo ivi previsto e, nel frattempo, lasciato ferma la  vigenza
del precedente regime fiscale. 
    Il rimettente rileva quindi che, non essendo stato adottato  tale
decreto,  le  prestazioni  previdenziali  dei   dipendenti   pubblici
sarebbero rimaste assoggettate al regime anteriore al d.lgs.  n.  252
del 2005 ben oltre la scadenza  del  termine  per  l'esercizio  della
delega, fino all'entrata in vigore della legge 27 dicembre  2017,  n.
205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), il cui art. 1, comma
156, ha esteso il regime fiscale del d.lgs.  n.  252  del  2005  alla
previdenza complementare dei dipendenti pubblici, ma solo con effetto
dal 1° gennaio 2018, avendo espressamente fatto salva  la  disciplina
previgente per le prestazioni anteriori. 
    L'ordinanza richiama, in proposito, la sentenza di  questa  Corte
n. 218 del 2019, che ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, nella parte in cui
prevedeva  che  il  riscatto  della   posizione   individuale   fosse
assoggettato a imposta  ai  sensi  dell'art.  52,  comma  1,  lettera
d-ter), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione  del  testo
unico delle imposte sui redditi), anziche'  ai  sensi  dell'art.  14,
commi 4 e 5, dello stesso d.lgs. n. 252 del 2005. 
    Ad avviso del rimettente tale pronuncia, fondata sulla disparita'
di trattamento tra dipendenti privati e pubblici a fronte di forme di
previdenza complementare aventi identita' di ratio, sarebbe  tuttavia
limitata al  regime  fiscale  del  riscatto,  e  non  avrebbe  dunque
riguardato quello delle prestazioni pensionistiche  di  cui  all'art.
11, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005. 
    1.3.- Di  quest'ultima  previsione,  in  combinato  disposto  con
quella dell'art. 23, commi 5 e 6, dello stesso  decreto  legislativo,
l'ordinanza   esclude   la   possibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  eppure  prospettata  dal  ricorrente,
trattandosi «di una non consentita disapplicazione di  una  norma  di
chiara portata». 
    Di  conseguenza  si  manifesterebbero  «gli   stessi   dubbi   di
compatibilita'  costituzionale  che  hanno   gia'   portato   a   una
declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 23, c. 6,  sotto  altro
profilo». 
    2.- Quanto alla rilevanza delle questioni sollevate,  l'ordinanza
osserva che, per le ragioni gia' esposte, per un verso,  non  sarebbe
possibile «una esegesi costituzionalmente orientata dell'art. 23,  c.
5 [recte: comma 6], d.lgs. n. 252/2005, dato  il  suo  chiaro  tenore
letterale», per altro verso che «il caso di specie  non  ricad[rebbe]
nell'ambito demolitorio» dell'art. 23, comma 6,  del  citato  decreto
operato dalla sentenza n. 218 del 2019 di questa Corte. 
    Le questioni sarebbero in ogni caso  rilevanti  anche  alla  luce
dello ius superveniens costituito dall'art. 1, comma 156, della legge
n. 205 del 2017, poiche'  l'estensione  ai  dipendenti  pubblici  del
regime fiscale di cui all'art. 11, comma 6, da  quello  disposta,  si
applicherebbe dal 1° gennaio 2018 «solo ai ratei di pensione maturati
successivamente, e non anche a quelli precedenti, non avendo  portata
retroattiva». 
    Poiche' l'oggetto del giudizio riguarderebbe i periodi di imposta
2015,  2016  e  2017,  sarebbe  quindi  «indispensabile   dichiarare»
l'illegittimita' costituzionale della norma censurata. 
    Infine, la rilevanza non sarebbe esclusa dalla regola transitoria
dettata sia dall'art. 23, comma 5, secondo periodo, del d.lgs. n. 252
del 2005, sia dal citato art. 1, comma 156,  terzo  periodo,  secondo
cui, per i soggetti ivi indicati, «relativamente  ai  montanti  delle
prestazioni accumulate»  fino  alla  data  rispettivamente  indicata,
«continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti». 
    Ad avviso del rimettente,  «non  si  p[otrebbe]  far  leva  sulla
circostanza  che  i  montanti  della   pensione   complementare   del
ricorrente sono maturati entro il 31.12.2000, in quanto  il  relativo
fondo  e'  cessato  in  data  1.10.1999»;  infatti,   la   disciplina
previgente fatta salva  dalle  citate  disposizioni  riguarderebbe  i
montanti, «vale a dire i contributi versati», e non il regime fiscale
delle prestazioni previdenziali, oggetto del giudizio a quo. 
    3.- In punto di non manifesta infondatezza,  l'ordinanza  ravvisa
«un contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto situazioni sostanzialmente
identiche, ossia le pensioni complementari, vengono trattate in  modo
diverso  e  deteriore  nel  pubblico  impiego  rispetto   all'impiego
privato». 
    Cio' in quanto l'art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005 non
prevede  l'applicazione  del  precedente  art.  11,  comma  6,   alle
prestazioni pensionistiche  complementari  corrisposte  a  dipendenti
pubblici a partire dal 1° gennaio 2007, come invece  disposto  per  i
dipendenti privati dal primo periodo del comma 5  dello  stesso  art.
23. 
    Sarebbe violato «anche l'art. 53 Cost., perche' a fronte  di  una
capacita' contributiva omogenea che viene manifestata  attraverso  la
percezione di  pensioni  complementari,  si  prevede  un  trattamento
fiscale  difforme  e   deteriore   nell'impiego   pubblico   rispetto
all'impiego privato». 
    Sono poi richiamati ampi passaggi della gia' citata  sentenza  n.
218  del  2019,  nei   quali   questa   Corte   avrebbe   evidenziato
l'insussistenza di elementi idonei a giustificare ragionevolmente una
disomogeneita' del trattamento fiscale agevolativo. 
    In subordine, il rimettente  ritiene  che  la  equiparazione  tra
dipendenti pubblici e privati avrebbe dovuto operare «quanto  meno  a
far data dalla scadenza del  termine  per  l'esercizio  della  delega
richiamata dall'art. 23, c. 6». 
    4.- Si e' costituito in giudizio M.F. C., ricorrente nel giudizio
a quo, che, dopo aver ribadito gli argomenti contenuti nell'ordinanza
di rimessione, conclude chiedendo che le questioni vengano accolte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  181  del
2021),  la  Commissione  tributaria  provinciale  di  Latina  solleva
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma  6,  del
d.lgs. n. 252 del 2005, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella
parte  in  cui,  per  le  prestazioni  pensionistiche   complementari
corrisposte  a  dipendenti  pubblici,  non   prevede   l'applicazione
dell'art. 11, comma 6, del medesimo decreto a partire dal 1°  gennaio
2007, come invece disposto per i dipendenti privati dal primo periodo
del comma 5 dello stesso  art.  23,  ai  sensi  del  quale  «[p]er  i
soggetti che risultino iscritti a forme pensionistiche  complementari
alla data di entrata in vigore del presente  decreto  legislativo  le
disposizioni  concernenti  [...]  il  regime  di   tassazione   delle
prestazioni si rendono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2007». 
    Oggetto del giudizio a  quo  e'  l'accertamento  del  diritto  al
rimborso dell'IRPEF che un pensionato, gia' dipendente  dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale  (INPS),  ha  versato  negli  anni
2015, 2016  e  2017  in  relazione  alle  prestazioni  pensionistiche
integrative percepite dal Fondo di previdenza per i dipendenti INPS. 
    In particolare, il  contribuente  che  ha  adito  la  Commissione
tributaria si duole della tassazione subita  -  che  ha  cumulato  la
pensione integrativa  a  quella  ordinaria,  con  applicazione  dello
stesso regime fiscale degli altri  redditi  -  e  ambisce  a  vedersi
riconosciuto lo specifico regime fiscale agevolativo  introdotto  per
le prestazioni pensionistiche complementari dal  d.lgs.  n.  252  del
2005.  Quest'ultimo,  all'art.  11,  comma  6,  prevede  infatti  che
«[s]ulla parte imponibile delle prestazioni  pensionistiche  comunque
erogate e' operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del
15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti  percentuali  per
ogni anno eccedente il quindicesimo anno di  partecipazione  a  forme
pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di  6
punti percentuali». 
    Ad  avviso  della  Commissione  rimettente,  l'applicazione   del
descritto  regime  ai  dipendenti  delle  pubbliche   amministrazioni
sarebbe tuttavia preclusa proprio dalla  norma  censurata,  ai  sensi
della quale a costoro «si applica esclusivamente ed integralmente» la
normativa previgente al d.lgs. n. 252 del 2005 «[f]ino all'emanazione
del decreto legislativo di attuazione» dell'art. 1, comma 2,  lettera
p),  della  legge  23  agosto  2004,  n.  243   (Norme   in   materia
pensionistica e deleghe  al  Governo  nel  settore  della  previdenza
pubblica,  per  il   sostegno   alla   previdenza   complementare   e
all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed
assistenza obbligatoria),  ossia  della  specifica  disposizione  che
avrebbe dovuto, tra l'altro, applicare il principio di delega volto a
sostenere  e  a  favorire  lo  sviluppo   di   forme   pensionistiche
complementari nel settore del pubblico impiego. 
    2.- Il giudice a quo ritiene dunque che la norma censurata  violi
sia l'art. 3 Cost., «in quanto situazioni sostanzialmente  identiche,
ossia le pensioni complementari, vengono trattate in modo  diverso  e
deteriore nel pubblico impiego  rispetto  all'impiego  privato»,  sia
l'art. 53 Cost., «perche' a  fronte  di  una  capacita'  contributiva
omogenea che viene manifestata attraverso la percezione  di  pensioni
complementari, si prevede un trattamento fiscale difforme e deteriore
nell'impiego pubblico rispetto all'impiego privato». 
    3.- Le  questioni  sono  inammissibili  a  causa  dell'incompleta
ricostruzione del quadro normativo, che si riverbera sia sul  profilo
della rilevanza, sia su quello della non manifesta infondatezza. 
    3.1.- Dall'ordinanza di rimessione emerge che: a) il contribuente
ricorrente nel giudizio a quo e' stato dipendente  dell'INPS;  b)  in
tale qualita', e' «titolare di pensione integrativa  dal  01.08.2010,
erogata dall'apposito Fondo»; c)  tale  fondo  «e'  cessato  in  data
1.10.1999». 
    Questi elementi descrittivi della fattispecie sono sufficienti  a
rivelare che il suddetto contribuente e' stato iscritto al  Fondo  di
previdenza integrativa istituito dall'INPS per  i  propri  dipendenti
molti decenni or sono e soppresso - insieme a quelli  degli  enti  di
cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni  sul  riordinamento
degli  enti  pubblici  e  del  rapporto  di  lavoro   del   personale
dipendente) - a decorrere dal 1° ottobre 1999. 
    Cio' in forza di quanto stabilito dall'art. 64,  comma  2,  della
legge 17 maggio 1999, n. 144  (Misure  in  materia  di  investimenti,
delega al Governo per il riordino degli incentivi  all'occupazione  e
della normativa che disciplina l'INAIL, nonche' disposizioni  per  il
riordino degli enti previdenziali), che, al successivo  comma  3,  ha
comunque previsto in favore  degli  iscritti  il  riconoscimento  del
«diritto  all'importo  del  trattamento   pensionistico   integrativo
calcolato sulla base delle normative regolamentari in vigore presso i
predetti fondi che restano a tal fine confermate  anche  ai  fini  di
quiescenza e delle anzianita' contributive maturate alla data del  1°
ottobre 1999». 
    3.2.- Il fondo di previdenza al quale il ricorrente nel  giudizio
a quo ha aderito e' quindi preesistente  all'entrata  in  vigore  del
d.lgs. n. 124 del 1993 che,  a  decorrere  dal  28  aprile  1993,  ha
introdotto una  disciplina  organica  del  sistema  della  previdenza
complementare, in attuazione dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421 (Delega al Governo per la  razionalizzazione  e  la  revisione
delle discipline in materia  di  sanita',  di  pubblico  impiego,  di
previdenza e di finanza territoriale). 
    La vicenda all'esame del rimettente appare,  pertanto,  rientrare
nella portata applicativa dell'art. 23, comma 7, del  d.lgs.  n.  252
del 2005, che stabilisce  uno  speciale  regime  fiscale  transitorio
«[p]er i lavoratori assunti antecedentemente al 29 aprile 1993 e  che
entro  tale  data   risultino   iscritti   a   forme   pensionistiche
complementari istituite alla data di entrata in vigore dalla legge 23
ottobre 1992, n. 421», prevedendo, in particolare,  alla  lettera  b)
che «ai montanti delle prestazioni  entro  il  31  dicembre  2006  si
applica il regime tributario vigente alla predetta data». 
    Il riferimento ai «montanti delle prestazioni» vale a  instaurare
uno  stretto  collegamento  tra  il  periodo  temporale  in  cui   la
prestazione pensionistica andava formandosi - mediante l'accumulo dei
contributi versati dal lavoratore e dal datore di  lavoro,  ai  quali
potevano aggiungersi i rendimenti della gestione del  fondo  -  e  il
relativo regime tributario. 
    Tale  collegamento,  peraltro,  risulta  anche  avvalorato  dalla
scelta del legislatore - compiuta con l'art. 1,  comma  749,  lettera
c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 2007)»  -  di  sostituire  con  la  richiamata  locuzione
«montanti» quella originaria, che faceva,  invece,  riferimento  alle
«prestazioni  pensionistiche  maturate».  Quest'ultima   espressione,
infatti, era idonea a sottolineare il momento finale  del  meccanismo
di formazione della prestazione  pensionistica,  coincidente  con  il
verificarsi  di  tutte  le  condizioni  previste  dal  fondo  per  il
riconoscimento della stessa. 
    In questo senso, la norma  transitoria  dell'art.  23,  comma  7,
lettera b), del d.lgs. n. 252 del 2005, prescelta dal legislatore per
la categoria dei cosiddetti  "vecchi  iscritti"  ai  "vecchi  fondi",
comporta una segmentazione della prestazione pensionistica in base ai
regimi  tributari  succedutisi  nel  periodo  della  sua  progressiva
formazione e che, in ogni caso, prescindevano del tutto (e non poteva
essere altrimenti) da quella  distinzione  tra  soggetti  pubblici  e
privati che sarebbe poi emersa a seguito del d.lgs. n. 252 del 2005. 
    3.3.- La disposizione del richiamato comma 7 non e'  stata  pero'
considerata  dall'ordinanza  di  rimessione,  nemmeno  al   fine   di
escludere la necessita' di applicarla al giudizio a quo. 
    Infatti, il rimettente, individuando il criterio di  collegamento
tra la fattispecie al suo esame e la norma censurata  nella  qualita'
di  dipendente  pubblico  del  contribuente,  ha  incentrato  la  sua
attenzione  sulla  previsione  di  carattere  generale  di   cui   al
richiamato  art.  23,  comma  6,  che,   per   i   dipendenti   delle
amministrazioni pubbliche, prevede  l'ultrattivita'  della  normativa
previgente   (non   soltanto   di   quella   fiscale),    precludendo
l'applicazione del regime agevolato di tassazione  delle  prestazioni
introdotto dall'art. 11, comma 6, dello stesso d.lgs. n. 252 del 2005
per i lavoratori privati. Di conseguenza ha poi  evocato  a  sostegno
della propria argomentazione la sentenza n. 218 del  2019  di  questa
Corte, inerente appunto  a  fattispecie  ricomprese  nell'ambito  del
suddetto art. 23, comma 6. 
    Ma, in tal modo, l'ordinanza omette di confrontarsi con il regime
transitorio previsto dall'art. 23, comma 7, lettera b), del d.lgs. n.
252 del 2005 per la categoria dei  cosiddetti  "vecchi  iscritti"  ai
"vecchi fondi", in cui rientra la fattispecie del giudizio a quo. 
    3.4.- Va peraltro  incidentalmente  notato  che,  successivamente
alla ordinanza di rimessione, la  questione  dell'applicabilita'  del
regime fiscale di cui all'art. 11, comma 6, del  d.lgs.  n.  252  del
2005  ai  "vecchi  iscritti"  ai  "vecchi  fondi"  e'  stata  risolta
negativamente dalla Corte di cassazione, nelle prime occasioni in cui
e' giunta al suo esame, proprio  sulla  base  dell'inerenza  di  tali
fattispecie alla norma transitoria di  cui  al  richiamato  art.  23,
comma 7 (sezione quinta tributaria,  ordinanza  19  luglio  2022,  n.
22665;  nello  stesso  senso,  sezione  sesta  civile,  ordinanza   2
settembre 2022, n. 25955; successivamente, in  continuita'  con  tali
pronunce, sezione quinta tributaria, sentenza 30  novembre  2022,  n.
35254). 
    4.-  In  definitiva,  l'incompleta  ricostruzione  della  cornice
normativa di riferimento compromette irrimediabilmente l'iter  logico
argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia
sulla rilevanza, sia sulla  non  manifesta  infondatezza,  cio'  che,
secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibili
le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 61 e n. 15 del 2021,
n. 264 del 2020 e n. 150 del 2019; ordinanze n.  147  e  n.  108  del
2020).