ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   628,
secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di
Firenze, sezione  prima  penale,  in  composizione  monocratica,  nel
procedimento penale a carico di  M.G.  E.A.,  con  ordinanza  del  12
luglio 2021, iscritta  al  n.  187  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  48,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 novembre 2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 luglio 2021,  iscritta  al  n.  187  del
registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 628, secondo comma, del  codice
penale, limitatamente alle parole «o per procurare a se' o  ad  altri
l'impunita'», e, in via subordinata, «nella parte in cui  si  applica
anche all'ipotesi in cui il soggetto agente (immediatamente  dopo  la
sottrazione), dopo il materiale recupero  dei  beni  da  parte  della
persona  offesa,  adopera  violenza  o  minaccia  al  solo  scopo  di
fuggire». 
    Il giudice a quo considera irragionevole, al  metro  dell'art.  3
della Costituzione,  l'equiparazione  del  trattamento  sanzionatorio
disposta dalla norma censurata  tra  le  due  fattispecie  di  rapina
cosiddetta impropria, cioe' tra l'ipotesi in cui l'autore  del  reato
adoperi violenza o minaccia, immediatamente dopo la sottrazione della
cosa, per assicurarne a se' o ad altri il possesso e  quella  in  cui
tenga la medesima condotta al solo scopo di  procurare  a  se'  o  ad
altri l'impunita'. 
    2.- Il rimettente, chiamato  a  giudicare  su  un'imputazione  di
tentata rapina impropria, espone che gli atti istruttori, pur  avendo
confermato il tentativo  dell'imputato  di  impossessarsi  di  alcune
confezioni  di  generi  alimentari  sottraendole  dai  banchi  di  un
supermercato, hanno dimostrato che costui  ha  adoperato  violenza  e
minaccia, ai danni dell'addetto alla vigilanza dal  quale  era  stato
fermato, al solo scopo di guadagnare la fuga, non per assicurarsi  il
possesso della merce, gia' recuperata  dal  direttore  dell'esercizio
commerciale. 
    Con riferimento a siffatta azione  delittuosa,  il  Tribunale  di
Firenze denuncia come irragionevole  punire  nello  stesso  modo  chi
persegue «uno scopo illecito, e precisamente  il  possesso  del  bene
altrui», e chi viceversa, avendo rinunciato al fine di  profitto,  ha
ormai soltanto «uno scopo di per se' lecito, cioe' la fuga o comunque
l'impunita'». 
    3.-  Il  giudice  a  quo  considera  la  questione  «parzialmente
diversa» da quelle che questa Corte ha dichiarato non fondate con  la
sentenza n. 190 del 2020 e manifestamente infondate  con  l'ordinanza
n. 111 del 2021. 
    La differenza consisterebbe nel  fatto  che,  mentre  allora  era
censurata l'equiparazione sanzionatoria della rapina  impropria  alla
rapina  cosiddetta  propria,  ponendosi  quindi  in  comparazione  il
secondo comma con il primo comma dell'art.  628  cod.  pen.,  ora  si
contesta  invece  l'equiparazione  tra  le  due  ipotesi  di   rapina
impropria, accomunate dal  secondo  comma  dell'art.  628  cod.  pen.
malgrado la diversa finalita' dell'agente. 
    4.- Per evidenziare come possa darsi un trattamento sanzionatorio
differenziato in base alla finalita' perseguita dall'autore del reato
pur nella sostanziale identita' della condotta, il  rimettente  porta
l'esempio della violenza o  minaccia  a  pubblico  ufficiale,  punita
diversamente nei due commi dell'art. 336 cod. pen., a seconda che  il
reo voglia costringere il soggetto passivo a  un  atto  contrario  ai
suoi doveri oppure a un atto dovuto. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  considerata  la  previsione  -
nell'art. 61, primo comma, numero 2),  cod.  pen.  -  dell'aggravante
comune della commissione del reato per assicurare l'impunita'  di  un
altro  reato,  la   sollecitata   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale  determinerebbe  la  scomposizione  della  fattispecie
delittuosa per chi, immediatamente dopo la  sottrazione  della  cosa,
usi violenza o minaccia solo per procurarsi l'impunita', soggetto che
non dovrebbe piu' rispondere del reato complesso di rapina impropria,
caratterizzato dal severo minimo edittale di questo titolo di  reato,
bensi' dei soli reati componenti, pur se  il  secondo  aggravato  dal
nesso teleologico. 
    5.- Il Tribunale indica quale oggetto  principale  della  domanda
ablativa l'intero segmento dell'art. 628, secondo comma, cod. pen. «o
per  procurare  a  se'  o  ad  altri  l'impunita'»;   in   subordine,
«nell'ipotesi in cui il petitum sopra  illustrato  dovesse  ritenersi
troppo  ampio»,  esso  chiede  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale della medesima  norma  nella  sola  parte  in  cui  si
applica alla fattispecie concreta in giudizio. 
    Il    rimettente    considera     del     resto     impraticabile
un'interpretazione   adeguatrice,   anche   riguardo   alla   domanda
subordinata, sia per la chiarezza letterale  della  norma  censurata,
sia per l'univocita' della  sua  applicazione  giurisprudenziale,  la
quale esclude che il recupero materiale della  cosa  da  parte  della
persona offesa interrompa l'unitarieta' della condotta  delittuosa  e
quindi ne elida l'immediatezza, richiesta dal secondo comma dell'art.
628 cod. pen. 
    6.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo dichiararsi la questione non fondata. 
    Richiamata  la  gia'  menzionata  sentenza  n.  190   del   2020,
l'interveniente osserva  come  la  finalita'  perseguita  dall'autore
della rapina impropria, sia essa rivolta a  consolidare  il  possesso
del bene sottratto oppure a conseguire  l'impunita'  del  reato,  non
incide sulla relazione di immediatezza tra aggressione al  patrimonio
e aggressione alla persona, la quale giustifica l'unificazione in  un
reato complesso, piu' grave delle sue parti. 
    In  prossimita'  della  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura   ha
depositato memoria, illustrativa di  analoghe  argomentazioni,  sulla
scorta delle quali e' tornata a sollecitare la  declaratoria  di  non
fondatezza della sollevata questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima  penale,  in
composizione monocratica, ha sollevato,  in  riferimento  all'art.  3
Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   628,
secondo comma, cod. pen., limitatamente alle parole «o per  procurare
a se' o ad altri l'impunita'», ovvero, in subordine, «nella parte  in
cui  si  applica  anche  all'ipotesi  in  cui  il   soggetto   agente
(immediatamente dopo la sottrazione), dopo il materiale recupero  dei
beni da parte della persona offesa, adopera violenza  o  minaccia  al
solo scopo di fuggire». 
    Ad avviso del rimettente, sarebbe  irragionevole  l'equiparazione
sanzionatoria disposta dalla norma censurata tra le  due  ipotesi  di
rapina cosiddetta impropria, cioe' tra quella di chi adoperi violenza
o minaccia,  immediatamente  dopo  la  sottrazione  della  cosa,  per
assicurarne a se' o ad altri il possesso e quella di chi invece tenga
la medesima condotta - come nella fattispecie oggetto del giudizio  a
quo - al solo scopo di procurare a se' o ad altri l'impunita'. 
    Infatti - assume il  Tribunale  -,  mentre  nella  prima  ipotesi
l'autore del reato aggredisce la persona per «uno scopo  illecito,  e
precisamente il  possesso  del  bene  altrui»,  nella  seconda  egli,
rinunciando al fine di profitto, asseconda un «anelito di  liberta'»:
illeciti nell'un caso sia il mezzo sia il fine,  nell'altro  illecito
sarebbe soltanto il mezzo, «ma il  fine  perseguito  di  per  se'  e'
lecito». 
    2.- Le questioni - principale e subordinata - non sono fondate. 
    3.- In base alla descrizione che ne da' il primo comma  dell'art.
628 cod. pen.,  la  rapina  cosiddetta  propria  e'  integrata  dalla
condotta di chi, per procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto,
mediante violenza alla persona o minaccia,  s'impossessa  della  cosa
mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. 
    Il secondo comma del medesimo art. 628 cod. pen. assoggetta  alla
stessa pena della rapina propria «chi  adopera  violenza  o  minaccia
immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a se' o  ad  altri
il possesso della cosa sottratta, o per procurare a se'  o  ad  altri
l'impunita'», in tal modo  configurando  le  due  ipotesi  di  rapina
impropria, l'una a dolo di possesso e l'altra a dolo di impunita'. 
    3.1.- Per costante orientamento di questa Corte,  la  definizione
delle fattispecie astratte di reato e la determinazione del  relativo
trattamento sanzionatorio sono riservate  alla  discrezionalita'  del
legislatore, le cui scelte sono sindacabili soltanto  ove  trasmodino
nella  manifesta  irragionevolezza  o  nell'arbitrio  (ex   plurimis,
sentenze n. 95 del 2022, n. 62 del 2021, n. 136 del 2020 e n. 68  del
2012; ordinanze n. 207 del 2019 e n. 247 del 2013). 
    3.2.- Con la sentenza n. 190 del 2020, questa Corte ha dichiarato
non  fondata,  tra  le   altre,   una   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 628, secondo  comma,
cod. pen., in riferimento all'art. 3 Cost. 
    Tale  sentenza  e'  evocata  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura generale dello
Stato, onde evidenziare che le odierne questioni sono pregiudicate in
direzione della non fondatezza. 
    Il  rimettente  assume  trattarsi   invece   di   una   questione
«parzialmente diversa», perche' allora era censurata  l'equiparazione
sanzionatoria tra rapina impropria e rapina propria, ora  quella  tra
rapina impropria a dolo di possesso e  rapina  impropria  a  dolo  di
impunita'. 
    3.3.- Pur nella parziale  differenza  di  prospettiva,  la  ratio
decidendi del menzionato precedente vale anche per  le  questioni  in
scrutinio e ne segna l'esito. 
    Deve invero ribadirsi  quanto  osservato  allora,  cioe'  che  il
tratto qualificante del  delitto  di  rapina  e'  l'impiego  di  «una
condotta violenta o minacciosa nel medesimo contesto - di tempo e  di
luogo - di una aggressione patrimoniale», giacche'  «la  combinazione
di  tali  elementi  comporta  non  irragionevolmente  un  trattamento
sanzionatorio diverso rispetto a quello che  sarebbe  applicabile  in
base al cumulo delle figure componenti». 
    Oltre che nella rapina propria, questa connotazione ricorre anche
nella rapina impropria, e, per quanto ora  specificamente  interessa,
in  entrambe  le  ipotesi  di  quest'ultima,  a   prescindere   dalla
circostanza che l'agente si sia determinato a usare la violenza o  la
minaccia al fine di consolidare la relazione materiale  con  la  cosa
sottratta oppure allo scopo di guadagnare la fuga, ovvero per ambedue
le finalita' insieme. 
    3.4.- Come nel confronto con la  rapina  propria,  oggetto  della
ricordata sentenza n. 190 del 2020, anche nella comparazione  tra  le
due  ipotesi  di  rapina   impropria   e'   decisivo   il   requisito
dell'immediatezza, che il  secondo  comma  dell'art.  628  cod.  pen.
postula nella sequenza tra aggressione al  patrimonio  e  aggressione
alla persona. 
    Invero, la contestualita' delle offese a due beni giuridici cosi'
qualificati,  che  fa  apparire  non  irragionevole  la  scelta   del
legislatore di unificarne la  punizione  sotto  specie  di  un  reato
complesso, si verifica nella rapina impropria a  dolo  di  impunita',
non meno che in quella a dolo di possesso. 
    3.5.- L'estremo dell'immediatezza differenzia la struttura  della
rapina  impropria  a  dolo  di  impunita'   da   quella   del   reato
teleologicamente aggravato di cui all'art. 61,  primo  comma,  numero
2), cod. pen. 
    Per  quest'ultimo  -  a  parte  la  dibattuta   questione   della
possibilita'  del  concorso  o  della  necessita'   dell'assorbimento
rispetto  alla  stessa  rapina  impropria  -  non  e'  richiesta  una
specifica relazione di contestualita' in rapporto al reato del  quale
si vuole procurare l'impunita', sicche' la comparazione  istituita  a
proposito  dal  rimettente  denuncia  una  chiara  eterogeneita'  del
tertium. 
    Altresi' incongruo e' il raffronto - proposto  dal  rimettente  -
con la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, che l'art. 336  cod.
pen. configura invero come reato complesso di pericolo (non essendone
elemento costitutivo il compimento dell'atto  d'ufficio),  mentre  la
rapina, anche nelle due forme improprie, e'  un  reato  complesso  di
danno (lesivo cioe' sia del patrimonio che della persona). 
    3.6.- Oltre che sul piano della struttura e dell'offensivita', le
due ipotesi di rapina impropria non differiscono tra loro neppure sul
piano soggettivo dell'intensita' del dolo, poiche'  anche  quello  di
impunita' puo' non essere un dolo d'impeto, e avere invece  carattere
programmatico, come nella rapina propria e nella rapina  impropria  a
dolo di possesso. 
    Infatti,  «e'  perfettamente  concepibile  che  il  ricorso  alla
violenza come  mezzo  per  conseguire  l'impunita'  o  assicurare  il
possesso della cosa sia realmente programmato, a titolo  eventuale  o
perfino come passaggio ineliminabile per il perfezionamento del reato
patrimoniale (si pensi alla sicura necessita' di  superare  controlli
in uscita dal luogo della sottrazione)» (ancora sentenza n.  190  del
2020). 
    3.7.- L'insistenza del rimettente sull'«anelito di liberta'», che
a suo avviso animerebbe la rapina  impropria  a  dolo  di  impunita',
rendendola meno grave di quella  a  dolo  di  possesso,  tradisce  la
sovrapposizione di due concetti profondamente  diversi,  quali  sono,
per l'appunto, la liberta', da un lato, e l'impunita', dall'altro. 
    Ovviamente, la naturale aspirazione dell'individuo  alla  massima
liberta' e' incomprimibile se egli  non  si  rende  autore  di  fatti
illeciti, offensivi per gli altri  consociati,  dei  quali  la  legge
penale lo chiami a rispondere: sottraendosi alla responsabilita',  la
liberta' si trasforma in impunita'. 
    Come  osservato  dalle  sezioni  unite  penali  della  Corte   di
cassazione,  nella  pronuncia  che  ha  dichiarato  configurabile  il
tentativo di rapina impropria, la violenza e la minaccia non  vengono
considerate dall'art. 628, secondo  comma,  cod.  pen.  come  entita'
giuridiche avulse, bensi' con riferimento  alla  pregressa  attivita'
criminosa, per  la  quale  il  reo  intende  assicurarsi  l'impunita'
(sentenza 12 settembre 2012, n. 34952). 
    E ancora, per costante giurisprudenza di  legittimita',  commette
rapina impropria chi adopera violenza o minaccia, immediatamente dopo
la sottrazione della cosa, per evitare tutte le conseguenze penali  e
processuali del reato commesso, quali il riconoscimento, la  denuncia
o l'arresto  (ex  plurimis,  Corte  di  cassazione,  sezione  seconda
penale, sentenza 1° febbraio 2012, n. 4271; sezione  settima  penale,
ordinanza 3 luglio 2018, n. 29752). 
    3.8.- Occorre considerare infatti che, per la  rapina  impropria,
anche solo tentata, l'art. 380, comma 2, lettera f),  del  codice  di
procedura penale prevede l'arresto obbligatorio in flagranza  e  che,
di conseguenza, trattandosi di un delitto perseguibile d'ufficio,  vi
e' anche la facolta'  di  arresto  da  parte  dei  privati,  a  norma
dell'art. 383, comma 1, dello stesso codice. 
    Proprio in base a questo rilievo, la Corte di cassazione ha avuto
occasione  di  statuire,  in  una  fattispecie   analoga   a   quella
dell'odierno incidente di legittimita' costituzionale,  che  chi  usa
violenza o minaccia in danno del personale  di  un  supermercato  per
procurarsi l'impunita' immediatamente dopo la  sottrazione  di  merce
non puo' invocare la legittima difesa  se  trattenuto  dal  personale
stesso nel tempo strettamente necessario alla consegna agli organi di
polizia giudiziaria (sezione  seconda  penale,  sentenza  3  dicembre
2014, n. 50662). 
    Ove  pure  si   aderisse   alla   prospettiva   del   rimettente,
"sciogliendo"  il  reato  complesso  e   isolandone   la   componente
patrimoniale,  l'autore  sarebbe   comunque   soggetto   ad   arresto
facoltativo in flagranza per il delitto di furto, a  norma  dell'art.
381, comma 2, lettera g), cod. proc. pen., sicche', anche  da  questo
punto di vista, la violenza o minaccia che  egli  si  determinasse  a
usare per guadagnare la fuga sarebbero un mezzo  per  sottrarsi  allo
svolgimento dei doverosi accertamenti e all'esercizio  dei  legittimi
poteri della polizia giudiziaria. 
    3.9.- Le considerazioni svolte finora  possono  essere  riferite,
oltre che alla questione sollevata dal Tribunale di  Firenze  in  via
principale, avente ad oggetto il  pertinente  inciso  dell'art.  628,
secondo comma,  cod.  pen.  («o  per  procurare  a  se'  o  ad  altri
l'impunita'»), anche alla questione in subordine, che  il  giudice  a
quo  restringe  all'ipotesi  specifica  in  cui  l'agente,  «dopo  il
materiale recupero dei beni da parte della  persona  offesa,  adopera
violenza o minaccia al solo scopo di fuggire». 
    Se si eccettua il caso di scuola  in  cui  la  cosa  inizialmente
sottratta sia recuperata dal titolare perche' abbandonata dall'agente
di sua libera iniziativa, non determinata da fattori esterni, ipotesi
nella  quale   puo'   eventualmente   configurarsi   una   desistenza
volontaria, agli effetti dell'art. 56, terzo comma, cod. pen.,  anche
la questione subordinata rimanda pur sempre a una contestuale duplice
aggressione - al patrimonio e alla persona altrui -, in  ordine  alla
quale, per cio' che si  e'  detto,  non  e'  irragionevole  l'opzione
legislativa dell'unificazione in reato complesso. 
    4.- In base a tutto quanto esposto, le questioni vanno dichiarate
non fondate.