ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   del   combinato
disposto degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016,  n.  76
(Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso  sesso
e disciplina delle convivenze), 31, commi  3  e  4-bis,  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di  cognizione,  ai  sensi  dell'articolo  54
della legge 18 giugno 2009, n. 69), quest'ultimo aggiunto dall'art. 7
del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5,  recante  «Adeguamento
delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia  di
iscrizioni, trascrizioni  e  annotazioni,  nonche'  modificazioni  ed
integrazioni normative per la regolamentazione delle  unioni  civili,
ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della  legge  20
maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente
della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del  2017,
promosso  dal  Tribunale  ordinario   di   Lucca,   in   composizione
collegiale, nel giudizio proposta da A.A. D.S., con ordinanza del  14
gennaio 2022, iscritta  al  n.  31  del  registro  ordinanze  2022  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  14,  prima
serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9 novembre  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 gennaio 2022,  iscritta  al  n.  31  del
registro  ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Lucca,   in
composizione collegiale, nel corso di un giudizio  di  rettificazione
di attribuzione di sesso introdotto, ai sensi della legge  14  aprile
1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di  attribuzione  di
sesso),  da  A.A.  D.S.,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'
costituzionale del «combinato disposto»  degli  artt.  1,  comma  26,
della legge 20 maggio 2016,  n.  76  (Regolamentazione  delle  unioni
civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze),
31, commi 3 e 4-bis, del decreto legislativo 1°  settembre  2011,  n.
150 (Disposizioni complementari al  codice  di  procedura  civile  in
materia di riduzione e semplificazione  dei  procedimenti  civili  di
cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009,  n.
69), quest'ultimo aggiunto dall'art. 7  del  decreto  legislativo  19
gennaio  2017,  n.  5,  recante   «Adeguamento   delle   disposizioni
dell'ordinamento  dello  stato  civile  in  materia  di   iscrizioni,
trascrizioni e annotazioni,  nonche'  modificazioni  ed  integrazioni
normative per la  regolamentazione  delle  unioni  civili,  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c),  della  legge  20  maggio
2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della  legge  15  maggio  1997,  n.  127),
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del  2017,
in  riferimento  agli  artt.  2,  3  e  117,   primo   comma,   della
Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli  artt.  8  e  14  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    2.- Il giudice a quo  premette  che  l'attore  ha  dichiarato  di
manifestare da tempo risalente una disforia di  genere  di  tipo  MtF
(Male  to  Female),  come  emergerebbe  dalla  relazione  psicologica
conclusiva eseguita da un consultorio transgenere, versata  in  atti,
cioe' una  condizione  di  transessualismo  che  lo  ha  identificato
irrevocabilmente nel genere femminile, e che  richiede  l'adeguamento
dell'identita' fisica a quella psichica; di aver contratto  nel  2019
unione civile con R. I., e di avere interesse, cosi' come il partner,
alla conservazione  del  vincolo  familiare  attraverso  l'automatica
conversione in matrimonio per effetto della rettificazione anagrafica
del sesso dello stesso attore. Quest'ultimo ha, pertanto, chiesto: 1)
l'autorizzazione   all'intervento   chirurgico    strumentale    alla
riassegnazione  del  sesso,  da  maschile   in   femminile;   2)   la
rettificazione anagrafica dei dati riguardanti il sesso e il nome; 3)
l'ordine al competente ufficiale  dello  stato  civile  di  procedere
all'iscrizione del matrimonio con R. I. nel relativo registro. 
    Cio' posto, il Collegio rimettente censura: a)  l'art.  1,  comma
26, della legge n. 76 del 2016 per contrasto con gli artt. 2  e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU,
nella parte in cui prevede  che  la  sentenza  di  rettificazione  di
attribuzione di sesso determina lo scioglimento della  unione  civile
tra  persone  dello  stesso  sesso,  senza  alcuna  possibilita'   di
conversione in matrimonio previa dichiarazione congiunta  dell'attore
e dell'altro contraente dell'unione, in caso  di  accoglimento  della
domanda di rettificazione, senza  soluzione  di  continuita'  con  il
precedente vincolo; b) lo  stesso  art.  1,  comma  26,  per  lesione
dell'art. 3 Cost., in considerazione della ingiustificata  disparita'
tra  il  trattamento  riservato   dalla   norma   allo   scioglimento
dell'unione civile in seguito a rettificazione anagrafica di sesso di
uno dei  contraenti  e  quello  previsto  dal  successivo  comma  27,
relativo  alla  rettificazione  anagrafica  di  sesso  di   uno   dei
componenti di coppia unita in matrimonio, che  ammette,  invece,  per
comune manifestazione di volonta' delle parti di  non  sciogliere  il
matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, la  conversione
del vincolo matrimoniale in unione civile; c) l'art. 31, comma 3, del
d.lgs. n. 150 del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella
parte in cui non prevede che l'atto  di  citazione  introduttivo  del
giudizio di rettificazione di sesso, di cui alla  legge  n.  164  del
1982, sia notificato anche all'altro contraente  dell'unione  civile;
d) l'art. 31, comma 4-bis, del decreto legislativo del  1°  settembre
2011, n. 150, aggiunto dall'art. 7 del d.lgs.  n.  5  del  2017,  per
vulnus ai medesimi parametri costituzionali, nella parte in  cui  non
prevede  che  anche  la  persona   che   ha   proposto   domanda   di
rettificazione  di  attribuzione  di  sesso  e   l'altro   contraente
dell'unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni,
con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza,  esprimere
la volonta', in caso di accoglimento della domanda di  rettifica,  di
unirsi  in  matrimonio,  effettuando   le   eventuali   dichiarazioni
riguardanti il regime patrimoniale e  la  conservazione  del  cognome
comune, nonche' nella parte in cui non prevede che il tribunale,  con
la sentenza che accoglie la domanda, ordini all'ufficiale dello stato
civile  del  comune  di  costituzione  dell'unione   civile,   o   di
registrazione se costituita all'estero, di  iscrivere  il  matrimonio
nel relativo registro e di annotare le eventuali  dichiarazioni  rese
dalle parti sulla scelta del cognome e del  regime  patrimoniale;  e)
l'art. 70-octies, comma 5, del  d.P.R.  n.  396  del  2000,  aggiunto
dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5  del  2017,  sempre
per contrasto  con  gli  artt.  2,  3  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in  cui
non prevede che anche nell'ipotesi di cui all'art. 31,  comma  4-bis,
del d.lgs. n. 150  del  2011,  come  emendato  al  punto  precedente,
l'ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell'unione
civile, o di registrazione  se  costituita  all'estero,  ricevuta  la
comunicazione della sentenza di  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso,  proceda  alla  trascrizione  del  matrimonio   nel   relativo
registro, con le eventuali annotazioni  relative  al  cognome  ed  al
regime patrimoniale. 
    3.- In punto di rilevanza, il giudice a quo, nella  premessa  che
l'attore ha richiesto la rettifica  dell'attribuzione  di  sesso  nei
registri dello stato civile senza essersi  sottoposto  ad  intervento
chirurgico demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma solo ad
una   terapia   ormonale,   e   ha   dedotto   di   aver   acquisito,
indipendentemente  dalle  caratteristiche  anatomiche  degli   organi
sessuali, l'identita' di genere femminile, attraverso un processo  di
natura   psicologica,   che   attesterebbe   la   definitivita'    ed
irreversibilita' di tale orientamento personale,  evidenzia  che,  in
base ai piu' recenti approdi della giurisprudenza costituzionale e di
quella di legittimita', e' da escludere che  l'intervento  chirurgico
costituisca una  precondizione  imprescindibile  della  pronuncia  di
mutamento del sesso (sono citate la sentenza di questa Corte  n.  221
del 2015 e la sentenza  della  Corte  di  cassazione,  prima  sezione
civile, 20 luglio 2015, n.15138). 
    Da tale rilievo desume che «ove le circostanze di fatto  allegate
trovassero riscontro nella documentazione in atti e  nell'istruttoria
in ipotesi espletabile, l'attore vanterebbe dunque, in abstracto,  la
legittima aspettativa all'acquisizione  di  una  nuova  identita'  di
genere indipendentemente dall'intervento  chirurgico  di  adeguamento
dei caratteri sessuali primari». E' in tale contesto  -  prosegue  il
rimettente   -   che   l'attore   ha   richiesto,   in    connessione
logico-giuridica con la rettificazione anagrafica del sesso,  che  si
proceda  alla  iscrizione  nel  registro  degli  atti  di  matrimonio
dell'unione civile dallo stesso contratta con il partner R.  I.,  che
egli suppone debba sopravvivere a seguito  della  rettificazione.  Al
contrario, la normativa vigente - conclude il giudice  a  quo  -  non
autorizza tale conclusione. 
    3.1.- Al riguardo, nell'ordinanza di rimessione si sottolinea  il
carattere "lapidario" della disciplina dettata per  l'unione  civile,
di  cui  e'  stabilito  il  solo  automatico  scioglimento  all'esito
dell'intervenuta rettifica del sesso (art. 1, comma 26,  della  legge
n. 76 del 2016),  senza  alcuna  previsione  -  lacuna  ritenuta  non
colmabile attraverso una lettura costituzionalmente  orientata  della
norma - analoga a quanto  invece  stabilito  per  il  matrimonio,  in
relazione al quale si dispone che, in caso  di  rettifica  anagrafica
del sesso di uno dei suoi componenti, i coniugi possano  manifestare,
nel processo e fino alla precisazione delle conclusioni, la  volonta'
di convertire il matrimonio in unione civile (art. 1, comma 27, della
legge n. 76 del 2016 e art. 31, comma 4-bis, del d.lgs.  n.  150  del
2011, aggiunto dall'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 5 del  2017),  per
una effettiva tutela conservativa  della  formazione  familiare  alla
base del vincolo giuridico preesistente. 
    Anche la tecnica normativa prescelta dal legislatore di dar corpo
ad una disposizione autonoma - quale il richiamato art. 1,  comma  26
-,  anziche'  rinviare,  nei  limiti   della   compatibilita',   alla
disciplina  del  matrimonio,  per  regolamentare  l'incidenza   della
rettificazione anagrafica del sesso  in  materia  di  unione  civile,
deporrebbe per la volonta' di non equiparare l'uno all'altra. 
    Ne'   la   norma   indubbiata   potrebbe   essere    diversamente
interpretata,  con  estensione   della   conversione   del   vincolo,
attraverso il riferimento all'art. 3, comma 1, numero 2), lettera g),
della legge  1°  dicembre  1970,  n.  898  (Disciplina  dei  casi  di
scioglimento del matrimonio),  non  richiamato  nella  disciplina  in
esame. 
    Quest'ultima disposizione, che indica la rettificazione del sesso
come una delle cause  di  scioglimento  o  cessazione  degli  effetti
civili del matrimonio, riconducibile alla volonta'  delle  parti,  in
quanto costituente esito di una domanda in tal senso  proposta  dalle
stesse, non varrebbe, infatti, ad escludere il  cosiddetto  "divorzio
imposto", che opera nel nostro ordinamento, in caso di  scioglimento,
o cessazione degli effetti civili,  del  matrimonio  per  intervenuta
sentenza di rettifica anagrafica del sesso di uno dei  coniugi,  vuoi
per  l'esistenza  di  un  archetipo  matrimoniale   modellato   sulla
eterosessualita' dei suoi componenti (si citano la sentenza di questa
Corte n. 170 del 2014 e la ordinanza "interlocutoria" della Corte  di
cassazione, sezione prima civile, 6  giugno  2013,  n.  14329),  vuoi
perche' con  la  legge  6  marzo  1987,  n.  74  (Nuove  norme  sulla
disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), il  cui  art.  7,
comma 1, ha aggiunto la lettera g) all'art. 3, comma  1,  numero  2),
della legge n. 898  del  1970,  si  e'  inteso  solo  procedere  alla
razionalizzazione del sistema precedente e alla instaurazione  di  un
modello processuale piu' spedito ed efficiente, nella  impossibilita'
della permanente durata  del  matrimonio  tra  persone  dello  stesso
sesso. 
    Ancora, rileva il rimettente che la norma sullo scioglimento  del
matrimonio, in punto  di  conversione  del  vincolo  matrimoniale  in
unione, non puo' nemmeno essere specularmente  recuperata  attraverso
la clausola di rinvio di cui all'art. 1, comma 20, della legge n.  76
del 2016, il quale stabilisce che le disposizioni che si  riferiscono
al matrimonio, e quelle contenenti le parole «coniuge»,  «coniugi»  o
termini equivalenti, ovunque ricorrano, si applicano anche ad  ognuna
delle parti  dell'unione  civile  tra  persone  dello  stesso  sesso.
Osterebbe a  tanto,  infatti,  il  criterio  selettivo  adottato  dal
legislatore  ai  successivi  commi,  dal  22  al  25,  che  estendono
all'unione civile solo  alcune  norme  sul  divorzio,  e  non  quelle
censurate. 
    In coerenza con le ricordate previsioni, rileva il rimettente, il
legislatore   «comanda»   la   notifica   dell'atto   di   citazione,
introduttivo del giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso,
solo al «coniuge» e non all'altra «parte dell'unione civile» (ex art.
31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del  2011),  per  un  incombente  che,
rispondendo  ad  una  mera  litis  denuntiatio,  sarebbe  diretto   a
provocare,  all'interno  del  processo  sullo   status,   l'eventuale
manifestazione del consenso alla conversione del matrimonio in unione
civile (art. 31, comma 4-bis, dello stesso d.lgs. n. 150  del  2011),
cui si correlano, poi, gli  adempimenti  dell'ufficiale  dello  stato
civile sull'iscrizione nel relativo registro (art.  70-octies,  comma
5, del d.P.R. n. 396 del 2000). 
    3.2.- La riconosciuta rilevanza della questione sulla conversione
dell'unione civile in matrimonio nel giudizio di cui  si  tratta  non
verrebbe ad essere  "affievolita"  per  il  solo  fatto  che  l'altro
contraente non abbia manifestato il consenso ad unirsi in  matrimonio
con l'attore, essendo stato egli a tanto impedito  dalle  preclusioni
imposte dal sistema vigente che, nella pendenza del giudizio  di  cui
all'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, di contro a  quanto  previsto
per la coppia coniugata, gli inibiscono di manifestare la volonta' di
contrarre matrimonio con l'attore. 
    3.3.- Il descritto quadro normativo osterebbe, dunque, ad  avviso
del giudice a quo, una volta accertati i presupposti per la pronuncia
della rettificazione del sesso  dell'attore,  all'accoglimento  della
domanda volta a sentir ordinare all'ufficiale dello stato  civile  di
procedere all'iscrizione del matrimonio tra A.A. D.S. e R. I.:  donde
la ritenuta rilevanza delle questioni di legittimita'  costituzionale
sollevate. 
    4.-  Quanto  alla  non  manifesta   infondatezza,   il   Collegio
rimettente, premesso di dover  vagliare  il  rispetto  da  parte  del
plesso normativo censurato  degli  evocati  parametri  congiuntamente
considerati in ragione della loro  intima  connessione,  muove  dalla
considerazione, con precipuo riguardo al  primo  di  essi,  l'art.  2
Cost., che la giurisprudenza costituzionale e quella di  legittimita'
hanno inquadrato le convivenze more uxorio alla stregua di formazioni
sociali, fonti non solo di doveri di  natura  morale  e  sociale,  ma
anche di rapporti giuridici vincolanti secondo il  paradigma  di  cui
all'art. 2 Cost. (sono citate, a titolo esemplificativo, le  sentenze
di questa Corte n. 213 del 2016, n. 140 del 2009, n. 394 del 2005, n.
404 del 1988, n. 237 del 1986, le ordinanze n. 192 del 2006 e n.  313
del 2000, e, con specifico riferimento alle  unioni  omosessuali,  la
sentenza n.  138  del  2010;  nonche'  le  sentenze  della  Corte  di
cassazione, sezione terza civile, 27 aprile 2017, n.  10377;  sezione
terza civile, 23 febbraio 2016, n. 3505;  sezione  prima  civile,  25
gennaio 2016, n. 1266; sezione prima  civile,  22  gennaio  2014,  n.
1277; sezione seconda civile, 21 marzo 2013, n. 7214;  sezione  sesta
civile-3, 29 maggio 2019,  n.  14746).  Vengono  ancora  riferite  le
affermazioni  della   Corte   di   cassazione   sul   riconoscimento,
all'interno  delle  unioni   omoaffettive,   per   un   processo   di
costituzionalizzazione, di un nucleo comune di diritti  e  doveri  di
assistenza e solidarieta' propri delle relazioni affettive di coppia,
nonche' sulla riconducibilita' di  tali  relazioni  nell'alveo  delle
formazioni sociali dirette allo sviluppo della personalita' umana (si
cita la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima  civile,  9
febbraio 2015, n.  2400).  Viene  pure  richiamato,  nella  rimarcata
necessita' di preservare quel nucleo essenziale e di non  retrocedere
da tali contenuti "minimi", il quadro convenzionale, le cui norme,  e
in particolare gli artt. 8 e 14 CEDU,  sono  destinate  a  valere  da
parametro interposto, ex art. 117, primo comma, Cost. (sono citate le
sentenze di questa Corte n. 348 e n. 349 del  2007,  e  quelle  della
Corte europea dei diritti dell'uomo 11 luglio  2002,  Goodwin  contro
Regno Unito; 24 giugno 2010, Schalk e  Kopf  contro  Austria;  grande
camera, 16 luglio  2014,  Hämäläinen  contro  Finlandia,  sulla  vita
familiare e la non discriminazione). 
    4.1.- Il rimettente denuncia quindi il vulnus,  inaccettabile  ed
irragionevole, in quanto idoneo a metterne a «repentaglio  la  stessa
sopravvivenza   nelle   more   della   transizione   verso   l'unione
matrimoniale», recato alle coppie  omosessuali  dalla  insussistenza,
nella normativa vigente,  di  un  meccanismo,  come  quello  definito
dall'art. 31, comma 4-bis, del  d.lgs.  n.  150  del  2011,  volto  a
convertire, senza soluzione di continuita', l'unione  in  matrimonio,
in caso di  rettificazione  anagrafica  di  sesso  di  uno  dei  suoi
componenti. 
    Nell'intervallo temporale che segue  all'estinzione  del  vincolo
per legge, il giudice a quo paventa eventi a fronte dei quali l'altro
componente  resterebbe  privo  di  tutela,  nella  incapacita'  della
normativa censurata di dare effettiva garanzia ai diritti nascenti da
un rapporto ormai estinto. 
    Da qui la dedotta non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita'   costituzionale   della    normativa    indicata    per
irragionevole disparita' di trattamento, ex art. 3  Cost.,  riservata
all'unione civile ove attraversata dal cambio di  sesso  di  uno  dei
suoi componenti, rispetto a quella matrimoniale, quando attinta dalla
medesima vicenda. 
    4.2.- L'esistenza per le due formazioni sociali di una differente
disciplina quanto al momento costitutivo del  vincolo  non  osterebbe
poi all'adeguamento,  nei  termini  indicati,  della  transizione  da
unione civile a matrimonio, sostenendo, anche ai  sensi  dell'art.  2
Cost., la relativa questione di legittimita' costituzionale. 
    La mancanza,  quanto  all'unione  civile,  del  meccanismo  delle
pubblicazioni di cui all'art. 93 del codice civile che, con carattere
preventivo,   si   frapporrebbe   alla   costituzione   del   vincolo
matrimoniale, legittimando le persone interessate all'opposizione  ex
art. 102 e seguenti cod. civ., o, ancora, l'omesso  richiamo,  tra  i
doveri gravanti sui componenti dell'unione  civile,  dell'obbligo  di
fedelta' (art. 1, comma 11, della legge n. 76 del 2016),  «frutto  di
esasperato apriorismo  ideologico»,  non  varrebbero  ad  individuare
differenze, ragionevolmente destinate a dare  conto  di  una  diversa
disciplina. 
    Rileverebbe, piuttosto ed in senso contrario,  l'attribuzione  ai
componenti dell'unione civile di un fascio di  diritti  e  di  doveri
(art. 1, commi da 11 a 21, della legge n.  76  del  2016)  «in  larga
parte conformati [...] secondo lo schema dell'unione matrimoniale». 
    Il passaggio in giudicato della  sentenza  di  rettificazione  di
attribuzione di sesso, «nel  travolgere  con  un  rigido  automatismo
l'unione civile,  senza  alcuna  possibilita'  per  i  contraenti  di
manifestare la volonta' di proseguire il rapporto, in ipotesi con  le
sembianze  di  altra  forma  riconosciuta  dall'ordinamento,  provoca
dunque una menomazione irreversibile ed irragionevole, non bilanciata
comparativamente dalla salvaguardia di interessi contrapposti di pari
rango»,  dei  diritti  e   doveri   scaturenti   dalla   costituzione
dell'unione. 
    4.3.- Il rimettente richiama altresi' la sentenza di questa Corte
n. 170 del 2014, che, anteriormente  alla  entrata  in  vigore  della
legge sulle unioni civili e all'aggiunta del comma 4-bis all'art.  31
del  d.lgs.  n.  150  del  2011,  aveva  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del  1982  e,  in
via conseguenziale, dell'art. 31, comma 6,  dello  stesso  d.lgs.  n.
150, nella speculare vicenda del cosiddetto divorzio imposto, per  la
mancata previsione che,  su  concorde  richiesta  dei  coniugi,  allo
scioglimento del matrimonio che si accompagna al  pronunciato  cambio
di sesso di uno di essi, consegua, in continuita', il mantenimento di
un rapporto di coppia giuridicamente  regolato  con  altra  forma  di
convivenza registrata  che  tuteli  adeguatamente  i  diritti  e  gli
obblighi della coppia, con le modalita' da statuirsi dal legislatore.
La ricordata pronuncia - rileva il giudice a quo  -  ha  riconosciuto
centralita' all'ingiustificato sacrificio dell'interesse della coppia
a conservare una qualche  forma  di  continuita'  con  la  dimensione
relazionale precedente alla  rettificazione  del  sesso  di  uno  dei
coniugi,  a  fronte  della  esclusiva   salvaguardia   dell'interesse
statuale   alla   intangibilita'    della    matrice    eterosessuale
dell'istituto   matrimoniale.   Il   ragionamento   e'   stato    poi
ulteriormente sviluppato - prosegue l'ordinanza di rimessione - nella
sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile,  21  aprile
2015, n. 8097, che ha ritenuto costituzionalmente non tollerabile  la
caducazione automatica del matrimonio, poiche'  la  interruzione  del
rapporto  che  essa  determina  instaura  una  soluzione  di  massima
indeterminatezza nel rapporto affettivo  gia'  costituito,  dovendosi
pertanto  conservare  in  capo  ai  coniugi,  pur  a  seguito   della
rettificazione  di  attribuzione  di  sesso  di  uno  di   essi,   il
riconoscimento dei diritti e dei  doveri  conseguenti  al  matrimonio
sino all'intervento del legislatore, necessario per  consentire  alla
coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza
registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi. 
    4.4.- Nella erroneita' dell'opzione ermeneutica, fatta propria da
taluni giudici di merito (si  cita  il  provvedimento  del  Tribunale
ordinario di Brescia,  17  ottobre  2019,  n.  11990),  che,  in  via
analogica, ai sensi dell'art.  12,  secondo  comma,  delle  preleggi,
nella presupposta sussistenza di un vuoto normativo, hanno esteso  ai
componenti dell'unione civile il regime gia' previsto per  la  coppia
unita in matrimonio, il rimettente  deduce,  a  fronte  del  silenzio
serbato dal  legislatore,  l'impossibilita'  di  una  interpretazione
correttiva della norma indubbiata. 
    5.- Nel  giudizio  innanzi  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    5.1.- La difesa erariale  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni di legittimita' costituzionale per  difetto  di  rilevanza,
non avendo il rimettente effettuato alcuna indagine sulla sussistenza
delle  condizioni   richieste   perche'   l'attore   potesse   essere
autorizzato ad acquisire una nuova identita' di genere. 
    Il giudice a quo si  sarebbe  limitato  ad  affermare  che  tanto
sarebbe stato possibile "in astratto" la' dove, invece, egli  avrebbe
dovuto fare applicazione della norma elevata a  sospetto  -  relativa
alla conversione dell'unione  civile  in  matrimonio  nel  corso  del
giudizio di rettifica anagrafica del sesso di uno  dei  componenti  -
"in concreto" e, quindi, all'esito della  accertata  nuova  identita'
del richiedente, nella natura di imprescindibile antecedente logico e
giuridico  assolto   dalla   domanda   di   rettificazione   rispetto
all'applicazione  della  norma  indubbiata,  fermo  il  rapporto   di
pregiudizialita'  necessaria  esistente  tra  giudizio  principale  e
giudizio costituzionale (si menziona la sentenza di questa  Corte  n.
91 del 2013). 
    5.2.- L'Avvocatura generale  eccepisce  l'inammissibilita'  delle
questioni per difetto di rilevanza anche sotto un altro profilo. 
    In seguito alla mancata partecipazione al giudizio, sia pure come
interveniente, dell'altro componente dell'unione, ed in difetto della
manifestazione della sua volonta' di convertire  l'unione  civile  in
matrimonio, la disciplina vigente - anche ove si fosse  ritenuto  che
l'art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011 dovesse  interpretarsi
nel  senso  che  non  preveda  la   notifica   all'altro   contraente
dell'unione civile - non avrebbe impedito ne' che la notifica venisse
comunque effettuata, anche ai fini di una mera denuntiatio litis, ne'
che l'altra parte potesse comunque  intervenire  volontariamente  nel
processo, anche solo ad adiuvandum, per esprimere la volonta' che  il
vincolo venisse mantenuto senza soluzione di continuita'. 
    In senso contrario, per le norme generali del codice di rito, non
sarebbe valsa  infatti  l'affermazione  del  rimettente  secondo  cui
l'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011 avrebbe  inibito  ai  contraenti
dell'unione  civile  di  manifestare  la  volonta'   di   unirsi   in
matrimonio: il fatto che un determinato soggetto non sia indicato tra
i  litisconsorti  necessari  non  impedisce  allo  stesso  di  essere
convenuto in giudizio o di intervenire nel processo, e il  giudice  a
quo avrebbe dovuto motivare, in concreto, in  ordine  alla  incidenza
dell'art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 sul procedimento al
suo esame. 
    5.3.- Nel merito le questioni non sarebbero, comunque, fondate. 
    5.3.1.- Quanto alle prime due, osserva la difesa erariale che non
sarebbero  applicabili  in  via  automatica  all'ipotesi  inversa  le
valutazioni espresse da questa Corte con la sentenza n. 170 del  2014
sulla coppia gia' unita in matrimonio ed «attraversata» dalla vicenda
di  rettificazione  di  sesso.  Nella   fattispecie   all'esame   del
rimettente, allo  scioglimento  dell'unione  civile  sarebbe  potuta,
infatti, seguire la distinta celebrazione del matrimonio, mentre  nel
diverso  caso  della  coppia  unita  in  matrimonio,  e  sciolta  per
sopravvenuta nuova identita' sessuale dei  suoi  componenti,  non  vi
era,  all'epoca  della  indicata  sentenza,  alcun  istituto  che  ne
tutelasse le ragioni. 
    5.3.2.- Non sussisterebbero poi  le  paventate  violazioni  degli
artt.  8  e  14  CEDU  perche'  la  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, e in  particolare  l'art.  9  -  che,  ai  sensi
dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, ha  assunto  lo  stesso
valore giuridico dei trattati - e la  CEDU  (art.  12)  rinviano,  in
materia  familiare,  all'ampio   margine   di   apprezzamento   delle
legislazioni nazionali ed ai principi ivi affermati (e' richiamata la
sentenza della Corte di cassazione, sezione prima  civile,  15  marzo
2012, n. 4184). 
    5.3.3.-  La  non  omogeneita'  delle   situazioni   a   confronto
(matrimonio ed unione civile) in punto di celebrazione (art. 93  cod.
civ.),  di  disciplina  dei  diritti  ereditari,  di  filiazione   ed
adozione, sarebbe poi ostativa  al  riconoscimento  della  violazione
dell'art.  3  Cost.,  nel  rilievo   pubblicistico   da   attribuirsi
all'istituto matrimoniale. 
    5.3.4.- Si aggiunge nell'atto di intervento che  la  disposizione
dell'art. 1, comma 27, della  legge  n.  76  del  2016  -  diretta  a
consentire ai coniugi,  in  caso  di  rettificazione  anagrafica  del
sesso, la conversione del matrimonio  in  unione  civile  -  dovrebbe
intendersi quale esito di una scelta ben precisa del legislatore, non
costituzionalmente imposta ma, in quanto relativa ad  area  connotata
da contenuti etici ed assiologici, perseguibile solo in via normativa
previo bilanciamento tra  i  valori  fondamentali  in  conflitto  (si
citano le sentenze di questa Corte n. 230 del 2020, n. 84  del  2016,
n. 221 del 2015 e n. 161 del 1985). 
    5.4.- Quanto alle  ulteriori  questioni,  la  terza  non  sarebbe
fondata, essendo  possibile  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata della norma censurata. Infatti, l'art. 1, comma  20,  della
legge n. 76 del 2016 stabilisce l'applicabilita'  delle  disposizioni
che si riferiscono  al  matrimonio  e  quelle  contenenti  le  parole
«coniuge»,  «coniugi»,  o  termini  equivalenti,  ovunque  ricorrenti
(nelle leggi, negli atti  aventi  forza  di  legge,  nei  regolamenti
nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi),  anche
ad ognuna  delle  parti  dell'unione  civile.  Sicche',  sarebbe  ben
possibile interpretare la norma secondo la quale «l'atto di citazione
e'  notificato  al  coniuge»  come  riferita  anche  all'altra  parte
dell'unione civile, che ha indubbiamente interesse ad essere messa in
condizione di partecipare al procedimento di cui si tratta. 
    La  quarta  e  la  quinta  questione,  concernenti  l'accordo  di
conversione e la  disciplina  regolamentare  sulla  trascrizione  del
matrimonio, poi sarebbero non fondate, per le  ragioni  indicate  con
riferimento a quelle gia' esaminate, rispetto alle  quali  sarebbero,
comunque, consequenziali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Lucca, in composizione  collegiale,
dubita della legittimita'  costituzionale  del  «combinato  disposto»
degli artt. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, 31,  commi  3  e
4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011 e 70-octies, comma 5, del d.P.R. n.
396 del 2000, per contrasto con gli artt. 2, 3 e  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU. 
    1.1.-  Il  giudice  a  quo  riferisce  di   essere   chiamato   a
pronunciarsi, nell'ambito di un giudizio di rettificazione anagrafica
di  attribuzione  di   sesso,   sulla   domanda   di   autorizzazione
all'intervento chirurgico, strumentale alla riassegnazione del sesso,
e di rettificazione  anagrafica  di  sesso  e  nome,  con  ordine  al
competente  ufficiale  dello  stato  civile   di   trascrizione   del
matrimonio con il partner dell'attore, con il quale questi  aveva  in
precedenza contratto unione civile. 
    1.2.- Cio' premesso, il Tribunale di Lucca solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale: a) dell'art. 1, comma 26, della legge n.
76 del  2016,  in  riferimento  all'art.  2  Cost.,  e,  quali  norme
interposte nei termini di cui all'art. 117, primo comma, Cost.,  agli
artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui  prevede  che  la  sentenza  di
rettificazione di attribuzione di  sesso  determina  lo  scioglimento
dell'unione civile tra  persone  dello  stesso  sesso,  senza  alcuna
possibilita'  di  conversione  in  matrimonio  previa   dichiarazione
congiunta  dell'attore  e   dell'altro   contraente,   in   caso   di
accoglimento della domanda  di  rettificazione,  senza  soluzione  di
continuita' con il preesistente legame; b) ancora dell'art. 1,  comma
26, della legge n. 76 del 2016, in riferimento all'art. 3 Cost.,  per
l'ingiustificata disparita' tra il trattamento riservato dalla  norma
allo scioglimento  dell'unione  civile  omoaffettiva,  in  seguito  a
rettificazione anagrafica di sesso di uno dei  contraenti,  e  quanto
stabilito dal successivo  comma  27  nel  caso  in  cui  la  medesima
fattispecie attraversi il legame di due persone eterosessuali,  unite
in matrimonio,  e,  quindi,  la'  dove  non  estende,  con  la  norma
censurata, all'unione civile, analogo regime; c) dell'art. 31,  comma
3, del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.,
e, in qualita' di norme interposte nei termini di cui  all'art.  117,
primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte  in  cui  non
prevede  che  l'atto  di  citazione  introduttivo  del  giudizio   di
rettificazione   venga   notificato   anche   all'altro    contraente
dell'unione civile; d) dell'art. 31, comma 4-bis, del d.lgs.  n.  150
del 2011, aggiunto dall'art. 7 del d.lgs. n. 5 del  2017,  sempre  in
riferimento agli  artt.  2  e  3  Cost.,  e,  in  qualita'  di  norme
interposte, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., agli artt.  8
e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche la persona che ha
proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l'altro
contraente dell'unione civile possano, fino alla  precisazione  delle
conclusioni,  con  dichiarazione  congiunta,  resa  personalmente  in
udienza, esprimere la volonta', in caso di accoglimento della domanda
di rettifica, di unirsi in matrimonio,  con  eventuali  dichiarazioni
riguardanti il regime patrimoniale e  la  conservazione  del  cognome
comune, nonche' nella parte in cui non prevede che il tribunale,  con
la sentenza che accoglie la domanda, ordini all'ufficiale dello stato
civile  del  comune  di  costituzione  dell'unione   civile,   o   di
registrazione se costituita all'estero, di  iscrivere  il  matrimonio
nel relativo registro e di annotare le eventuali  dichiarazioni  rese
dalle parti sulla scelta del cognome e del  regime  patrimoniale;  e)
dell'art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 306  del  2000,  aggiunto
dell'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, ancora in
riferimento agli  artt.  2  e  3  Cost.,  e,  in  qualita'  di  norme
interposte, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., agli artt.  8
e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche  nell'ipotesi  di
cui all'art. 31, comma 4-bis,  del  d.lgs.  n.  150  del  2011,  come
emendato al punto precedente, il  competente  ufficiale  dello  stato
civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di
attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del  matrimonio  nel
registro degli atti  di  matrimonio,  con  le  eventuali  annotazioni
relative al cognome ed al regime patrimoniale. 
    2.- Il rimettente sottolinea l'esigenza di protezione del  nucleo
dei diritti e doveri di assistenza e solidarieta' riconosciuto  dalle
sentenze di questa Corte e della Corte di cassazione e, ancora, della
Corte EDU, all'interno della vita di relazione  familiare,  alle  due
formazioni sociali in discorso, in ossequio agli artt. 2 e 117, primo
comma, Cost.  e  agli  artt.  8  e  14  CEDU,  esigenza  che  sarebbe
obliterata dalla normativa censurata. E denuncia, per  contrasto  con
l'art. 3 Cost., l'irragionevolezza della disparita'  nel  trattamento
tra le stesse formazioni sociali di cui si tratta,  non  giustificata
dai  contenuti,  diversi,  che  presiedono  al  momento  genetico   e
costitutivo  dei  relativi  vincoli  -  anche  per  gli   impedimenti
preventivi, previsti solo per la celebrazione del matrimonio, con  le
connesse opposizioni (artt. 93 e 102 e seguenti cod.  civ.)  -  e  ai
rispettivi rapporti, quanto all'assunzione dell'obbligo di  fedelta',
omesso tra i doveri nascenti dall'unione civile  nell'art.  1,  comma
11, della legge n. 76 del  2016,  e  stabilito  per  le  sole  coppie
coniugate, a fronte della disciplina analitica con la quale la stessa
legge riconosce ai componenti dell'unione civile un fascio di diritti
identici a quelli attribuiti ai coniugi. 
    3.- Il quadro di riferimento in cui si  inseriscono  i  sollevati
dubbi di illegittimita' costituzionale muove  dalle  affermazioni  di
principio contenute nella sentenza di questa Corte n. 170 del 2014. 
    3.1.-  Con  la  richiamata  pronuncia  e'  stata  dichiarata   la
illegittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della  legge  n.  164
del 1982 (e, in via consequenziale, dell'art. 31, comma 6, del d.lgs.
n. 150 del 2011, che ha sostituito l'abrogato art. 4  della  predetta
legge n. 164 del 1982, riproducendone il contenuto), nella  parte  in
cui non prevedevano che la sentenza di rettificazione di attribuzione
di sesso di uno  dei  coniugi,  che  provoca  lo  scioglimento  o  la
cessazione degli effetti  civili  del  matrimonio,  consentisse,  ove
entrambi lo richiedessero, di mantenere in vita un rapporto di coppia
giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata  che
ne tutelasse, adeguatamente, i diritti e gli obblighi, con  modalita'
da statuirsi dal legislatore. 
    Le norme in esame - ha rilevato in  quella  occasione  la  Corte,
partendo  dal  presupposto  incontrovertibile  che  la   nozione   di
matrimonio contenuta nell'art. 29 Cost. sia quella di unione tra  due
persone di sesso diverso, con richiamo alla propria sentenza  n.  138
del 2010 - risolvono il contrasto  tra  l'interesse  statuale  a  non
modificare il modello eterosessuale del  matrimonio  e  quello  della
coppia attraversata da una vicenda di rettificazione del sesso a  non
sacrificare integralmente la dimensione  giuridica  del  preesistente
rapporto in termini di tutela esclusiva del primo. Dette norme  -  ha
proseguito la Corte  -  rimangono  chiuse  «ad  ogni  qualsiasi,  pur
possibile, forma di  (...)  bilanciamento  con  gli  interessi  della
coppia, non piu' eterosessuale, ma  che,  in  ragione  del  pregresso
vissuto nel contesto di un regolare matrimonio,  reclama  di  essere,
comunque,  tutelata  come  "forma  di  comunita'",  connotata   dalla
"stabile convivenza tra due persone", "idonea a consentire e favorire
il libero sviluppo della persona nella vita di  relazione"  (sentenza
n. 138 del 2010)» (sentenza n. 170 del 2014). 
    3.2.- In adempimento del dictum della ricordata pronuncia,  oltre
che in risposta alle sollecitazioni che in tal senso  venivano  dalla
giurisprudenza della Corte EDU (basti  pensare  all'emblematico  caso
risolto con la  sentenza  21  luglio  2015,  Oliari  e  altri  contro
Italia),  il  legislatore  e'  intervenuto  introducendo   l'istituto
dell'unione civile con la legge n. 76 del 2016.  Successivamente,  in
sede di attuazione della delega  contenuta  nell'art.  1,  comma  28,
della  stessa  legge  ai  fini   dell'adeguamento   ad   essa   delle
disposizioni  dell'ordinamento  dello  stato  civile  in  materia  di
iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, ha inserito, con l'art. 7 del
d.lgs. n. 5 del 2017, il comma 4-bis  all'interno  dell'art.  31  del
d.lgs. n. 150 del 2011, che disciplina il rito per i procedimenti  di
rettificazione dell'attribuzione di sesso. La  introduzione  di  tale
disposizione - espressiva, come indicato nella relazione illustrativa
del testo definitivo di legge, appunto della volonta' del legislatore
di dare concreta attuazione alla citata sentenza n. 170  del  2014  -
adegua le norme su detti procedimenti alla previsione  del  comma  27
dell'art. 1 della legge n. 76 del  2016,  secondo  il  quale  «[a]lla
rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato
la volonta' di non sciogliere il matrimonio o  di  non  cessarne  gli
effetti  civili,  consegue  l'automatica  instaurazione   dell'unione
civile tra persone dello stesso sesso». Infine, il d.lgs.  n.  5  del
2017 ha aggiunto al d.P.R. n. 396 del 2000 l'art. 70-bis,  il  quale,
al comma 5, dispone che, nella ipotesi  di  cui  all'art.  31,  comma
4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, l'ufficiale dello stato civile del
comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione  se  avvenuto
all'estero,   ricevuta   la   comunicazione   della    sentenza    di
rettificazione di attribuzione  di  sesso,  procede  alla  iscrizione
dell'unione  civile  nel  relativo   registro,   con   le   eventuali
annotazioni  relative  alla  scelta   del   cognome   e   al   regime
patrimoniale. 
    Il legislatore ha voluto in  tal  modo  recuperare  il  senso  di
quella pronuncia la' dove, tra l'altro, si preoccupava di evitare  il
prodursi di un deficit temporale di tutela avuto riguardo ai  diritti
ed obblighi della coppia introducendo, con il citato comma 4-bis,  un
meccanismo che, destinato ad operare nei  giudizi  di  rettificazione
anagrafica del sesso, consente che «[f]ino  alla  precisazione  delle
conclusioni la persona che ha proposto domanda di  rettificazione  di
attribuzione di  sesso  ed  il  coniuge  possono,  con  dichiarazione
congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la  volonta',  in
caso di accoglimento della domanda, di  costituire  l'unione  civile,
effettuando le eventuali  dichiarazioni  riguardanti  la  scelta  del
cognome ed il regime patrimoniale». 
    4.-  Dalle  cennate  premesse,  normative  e   giurisprudenziali,
traggono origine i dubbi di illegittimita'  costituzionale  sollevati
dal Tribunale di Lucca nei confronti del plesso normativo  sottoposto
all'esame di  questa  Corte  sostanzialmente  per  il  fatto  di  non
attribuire alla coppia  omoaffettiva  che,  unita  civilmente,  abbia
conosciuto  la  rettifica  anagrafica  del  sesso  di  uno  dei  suoi
componenti,   il   diritto,   nell'acquisita   eterosessualita',   di
transitare verso il  matrimonio,  senza  interruzione  del  pregresso
vincolo,  cosi'  conservando  diritti  ed  obblighi   in   precedenza
maturati. 
    4.1.- Suggerisce il carattere unitario  della  trattazione  delle
questioni, pure a fronte del  ventaglio  di  quelle  interessate  dal
sollevato dubbio, la circostanza che le  norme  oggetto  di  denuncia
vengano trattate dal rimettente come una sorta di statuto  unico,  al
quale  riservare  una  unitaria  lettura  volta  a   valorizzare   la
disciplina da riservare all'unione civile tra  persone  dello  stesso
sesso di cui alla legge n. 76 del 2016 quando - cessata o sciolta  la
stessa per l'intervenuta eterosessualita' della coppia in  seguito  a
rettifica anagrafica di sesso di uno dei suoi componenti -, le parti,
di  comune  accordo,  intendano  conservare,   senza   soluzione   di
continuita' rispetto al preesistente vincolo, quei diritti  e  doveri
di cura ed assistenza reciproci che connotavano il precedente  legame
attraverso il  matrimonio.  In  detto  contesto,  il  giudice  a  quo
paventa, nella interruzione che il vincolo conoscerebbe nel passaggio
tra sentenza di rettificazione anagrafica e  successiva  celebrazione
del  matrimonio  davanti  all'ufficiale  dello   stato   civile,   il
verificarsi di eventi destinati a  compromettere,  irreversibilmente,
la costituzione del nuovo legame, con perdita dei maturati diritti. 
    5.-  Cio'  posto,  devono  essere  preliminarmente  esaminate  le
eccezioni   di    inammissibilita'    delle    questioni    sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato per  difetto  di  rilevanza,  in
ragione di un plurimo e articolato profilo. 
    5.1.- Anzitutto, secondo la difesa dello Stato, il rimettente non
avrebbe effettuato alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni
richieste perche' l'attore potesse essere  autorizzato  ad  acquisire
una nuova identita' di genere, limitandosi ad affermare che  un  tale
accertamento sarebbe stato possibile "in astratto", la' dove, invece,
egli avrebbe dovuto fare applicazione della norma elevata a  sospetto
"in concreto" e, quindi, all'esito della  accertata  nuova  identita'
del  richiedente.  La  domanda   di   rettificazione   era,   infatti
imprescindibile   antecedente    logico    e    giuridico    rispetto
all'applicazione  della  norma  indubbiata,  fermo  il  rapporto   di
pregiudizialita'  necessaria  esistente  tra  giudizio  principale  e
giudizio costituzionale. 
    5.2.- La eccezione e' fondata nei termini che seguono. 
    Alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale in tema
di accertamento del requisito della rilevanza, segnato dal  nesso  di
pregiudizialita' che correla il giudizio incidentale innanzi a questa
Corte  a  quello  principale  di  merito,  detto  requisito   implica
necessariamente  che   la   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale abbia nel procedimento a quo  un'incidenza  attuale  e
non meramente eventuale. Il postulato  della  pregiudizialita'  della
questione richiede infatti che questa  si  concreti  solo  quando  il
dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma  dalla  cui
applicazione, ai fini della definizione del giudizio  dinanzi  a  lui
pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere. 
    Il controllo di questa Corte sulla rilevanza della questione  e',
peraltro, limitato alla non  implausibilita'  delle  motivazioni  sui
«presupposti  in  base  ai  quali  il  giudizio  a  quo  possa  dirsi
concretamente ed effettivamente instaurato, con un  proprio  oggetto,
vale a dire un  petitum,  separato  e  distinto  dalla  questione  di
legittimita' costituzionale, sul  quale  il  giudice  remittente  sia
chiamato a decidere» (ex plurimis, sentenza n. 110  del  2015;  nello
stesso senso, sentenza n. 35 del 2017). 
    In particolare, il giudice rimettente e' chiamato a valutare, sia
pure in via  delibativa  e  prognostica,  allo  stato  degli  atti  e
dell'iter decisionale, la questione  di  legittimita'  costituzionale
con riguardo ai requisiti di attualita' e  rilevanza  che  sono,  del
pari, oggetto del controllo  in  sede  di  giudizio  di  legittimita'
costituzionale, pur destinato a  fermarsi  alla  non  implausibilita'
delle motivazioni addotte dal rimettente (ex plurimis, sentenze n. 35
del 2017, n. 91 del 2013, n. 270 e n. 34 del 2010). 
    5.2.1.- In applicazione degli  indicati  principi,  le  questioni
sollevate dal Tribunale di Lucca mancano di rilevanza per difetto  di
attualita' e concretezza. 
    Come riferito dallo stesso rimettente,  nel  giudizio  principale
l'attore,  premesso  di  manifestare  una  disforia  di  genere,  che
necessitava di «adeguamento dell'identita' fisica a quella psichica»,
aveva chiesto anzitutto «l'autorizzazione  all'intervento  chirurgico
strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in  femminile»,
e, quindi, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso
e il nome, e l'ordine all'ufficiale dello stato civile  di  procedere
alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva
in passato contratto unione civile. 
    La  disciplina   di   detto   intervento   chirurgico,   prevista
originariamente dagli abrogati artt. 2 e 3 della  legge  n.  164  del
1982, e' attualmente posta dall'art. 31, comma 4, del d.lgs.  n.  150
del 2011, il  quale  dispone  che  «[q]uando  risulta  necessario  un
adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento
medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata  in
giudicato. Il procedimento e' regolato dai commi 1, 2 e 3». 
    Il giudice a quo ha del tutto obliterato  l'esame  della  domanda
dell'attore, superandolo con l'affermazione secondo  la  quale  «[i]n
base al diritto vivente [...]  l'intervento  chirurgico  modificativo
dei caratteri sessuali  primari  non  integra  un  "prerequisito  per
accedere al procedimento di  rettificazione",  bensi'  un  "possibile
mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico»
(vengono citate in proposito la sentenza di questa Corte n.  221  del
2015 e quella della Corte di cassazione,  sezione  prima  civile,  20
luglio 2015, n. 15138). 
    Cosi' operando, egli non si e' pero' fatto carico della esigenza,
a fronte della specifica domanda  dell'interessato,  di  svolgere  un
approfondimento in ordine alla effettiva necessita'  di  un  siffatto
trattamento, limitandosi alla considerazione che l'attore  non  aveva
effettuato alcun  intervento  demolitivo-ricostruttivo  degli  organi
sessuali (cio' che costituiva  proprio  l'oggetto  della  domanda  di
autorizzazione), ma solo una terapia ormonale, e che lo stesso  aveva
chiesto la rettifica dell'attribuzione di sesso  nei  registri  dello
stato civile  assumendo  di  aver  acquisito  l'identita'  di  genere
femminile  attraverso   un   processo   psicologico   attestante   la
irreversibilita' di tale orientamento personale. 
    Il Collegio rimettente ha, quindi, proceduto  alla  illustrazione
dei  propri  dubbi  di  illegittimita'  costituzionale   del   plesso
normativo evocato ed ha sollevato innanzi a questa Corte le  relative
questioni in via  del  tutto  ipotetica  e,  allo  stato,  eventuale,
prescindendo dal caso sottoposto al suo esame. 
    5.2.2.- Peraltro, lo stesso non ha svolto alcuna  indagine  sulla
sussistenza  delle  condizioni  necessarie  affinche'  l'attore   del
giudizio di rettificazione anagrafica potesse essere  autorizzato  ad
acquisire una nuova identita' di genere. 
    Se i requisiti dell'attualita' e della rilevanza di una questione
di legittimita' costituzionale  devono  essere  valutati  allo  stato
degli atti  e  dell'iter  decisionale,  essi  non  possono  ritenersi
integrati sulla base di un'eventuale e teorica  applicabilita'  della
norma indubbiata. Tanto si realizza nel caso  in  esame,  in  cui  il
giudice a quo ha sollevato le questioni a  tutela  della  continuita'
del preesistente vincolo, senza motivare sul diritto  dell'attore  ad
ottenere la rettificazione del sesso: passaggio, questo,  essenziale,
nel suo carattere preliminare, in quanto volto a spiegare le  ragioni
per le quali il rimettente ritenga di essere necessariamente tenuto a
fare concreta applicazione delle norme che censura. 
    Il  Tribunale  di  Lucca  sul  preliminare  accertamento  si   e'
limitato, infatti, ad affermare un'astratta e teorica  esistenza  del
diritto alla rettificazione di sesso, peraltro qualificato in termini
di  «legittima  aspettativa»,  arrestando  in  tal  modo  la  propria
verifica ad un apprezzamento condizionato ad un eventuale  «riscontro
nella  documentazione  in  atti   e   nell'istruttoria   in   ipotesi
espletabile» (punto 4.1.2. dell'ordinanza di rimessione). 
    Al riguardo, e' appena il caso di richiamare la giurisprudenza di
questa Corte, che, in  tema  di  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso,  ha   avuto   modo   di   affermare   che   «l'interpretazione
costituzionalmente adeguata della legge n. 164 del 1982  consente  di
escludere    il    requisito    dell'intervento     chirurgico     di
normoconformazione. E tuttavia cio'  non  esclude  affatto,  ma  anzi
avvalora, la necessita' di un accertamento rigoroso  non  solo  della
serieta'  e  univocita'  dell'intento,  ma   anche   dell'intervenuta
oggettiva transizione dell'identita' di genere, emersa  nel  percorso
seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e  rafforza
l'intento cosi' manifestato». E ancora, che «va escluso che  il  solo
elemento  volontaristico  possa  rivestire  prioritario  o  esclusivo
rilievo ai fini dell'accertamento della transizione». Il  ragionevole
punto di equilibrio tra le molteplici istanze di  garanzia  e'  stato
individuato  affidando   al   giudice,   «nella   valutazione   delle
insopprimibili peculiarita'  di  ciascun  individuo,  il  compito  di
accertare la natura e l'entita' delle intervenute  modificazioni  dei
caratteri  sessuali,  che  concorrono   a   determinare   l'identita'
personale e di genere» (sentenza n.  180  del  2017;  si  veda  anche
sentenza n. 221 del 2015). 
    5.3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha sollevato un'ulteriore
eccezione  di  inammissibilita'  per  difetto  di   rilevanza   delle
questioni, collegata alla mancata manifestazione della  volonta'  del
partner dell'attore nel giudizio principale  di  convertire  l'unione
civile in matrimonio. Osserva la difesa  statale  che  la  disciplina
vigente non avrebbe impedito  che  la  notifica  della  pendenza  del
giudizio venisse comunque  effettuata  all'altro  contraente,  o  che
questi  intervenisse  volontariamente  nel  processo   al   fine   di
manifestare la volonta' del mantenimento del vincolo in diversa forma
e senza soluzione di continuita'. 
    5.4.- Anche questa eccezione e' meritevole di accoglimento. 
    Premesso che la partecipazione al giudizio,  tra  altri  soggetti
pendente, quantomeno in risposta ad una mera  litis  denuntiatio,  e'
liberamente esercitabile,  al  di  fuori  della  rigidita'  di  forme
proprie del litisconsorzio necessario,  sempre  che  si  realizzi  il
condiviso interesse  del  convenuto-interveniente  alla  domanda,  ai
sensi dell'art. 100 del codice di  procedura  civile,  nella  specie,
perche' le questioni sollevate potessero dirsi concrete  ed  attuali,
sarebbe stata necessaria la dichiarazione  congiunta  dei  contraenti
dell'unione civile  di  convertire  la  stessa  in  matrimonio.  Cio'
proprio in adesione allo schema, invocato dal  rimettente  e  mutuato
dal meccanismo speculare previsto dal  comma  27  dell'art.  1  della
legge n. 76 del 2016 e dal comma 4-bis dell'art. 31 del d.lgs. n. 150
del 2011, in base al quale soltanto alla manifestazione  di  volonta'
delle parti, gia' unite in un precedente vincolo  attraversato  dalla
rettifica di sesso di uno dei  suoi  componenti,  consegue  l'effetto
della permanenza del legame, nelle diverse forme. In difetto, invece,
la fattispecie resta diversamente definita dalla mera caducazione del
primo  legame  (sentenza  n.  170  del  2014;  vedi  anche  Corte  di
cassazione, sentenza n. 8097 del 2015). 
    6.- Alla stregua delle argomentazioni sopra esposte, le questioni
devono essere dichiarate inammissibili.