ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  4,  commi
1, 4, 5 e 7; 4-bis, comma 1; e 4-ter, commi 2 e 3, del  decreto-legge
1°  aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti   per   il   contenimento
dell'epidemia  da  COVID-19,  in   materia   di   vaccinazioni   anti
SARS-CoV-2, di giustizia e di  concorsi  pubblici),  convertito,  con
modificazioni,  nella   legge   28   maggio   2021,   n.   76,   come
rispettivamente introdotti e modificati, gli  artt.  4-bis  e  4-ter,
dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge  26  novembre  2021,  n.  172
(Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19  e  per
lo svolgimento in sicurezza delle attivita'  economiche  e  sociali),
convertito, con modificazioni, nella legge 21  gennaio  2022,  n.  3,
come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 7
gennaio 2022, n.  1  (Misure  urgenti  per  fronteggiare  l'emergenza
COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole  e  negli
istituti della formazione superiore), convertito, con  modificazioni,
nella legge 4 marzo 2022, n. 18, come successivamente modificato  dal
decreto-legge 24 marzo 2022,  n.  24  (Disposizioni  urgenti  per  il
superamento delle misure di contrasto alla  diffusione  dell'epidemia
da  COVID-19,  in  conseguenza  della  cessazione  dello   stato   di
emergenza, e altre disposizioni in  materia  sanitaria),  convertito,
con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n.  52,  promossi  dal
Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di  giudice  del  lavoro,
con sette ordinanze del 22 marzo 2022, 9 maggio 2022, 31 maggio 2022,
22-23 luglio 2022, 22 e 16 agosto 2022, dal  Tribunale  ordinario  di
Catania, in funzione di giudice del  lavoro,  con  ordinanza  del  14
marzo 2022, dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice
del  lavoro,  con  ordinanza  del  28  aprile  2022,  dal   Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza del 16 giugno
2022, iscritte, rispettivamente, ai numeri 47, 71, 77, 101, 102, 107,
108, 70, 76 e 86 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 19, 25, 27, 34, 39 e  40,
prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di costituzione di E. B. e altri, di M. Z., di  G.
B., di O.P.S.A., di E. C. e altri, di M. M. e di C. B. e gli atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonche'  quelli
di D. T. e altri, di A. R., di D. D.P. e altri, di M. A. e altri,  di
V. B. e altri, di L. B., di I. D. e  C.  M.,  di  P.  C.  e  altri  e
dell'Azienda unita' locale socio sanitaria (ULSS) n. 8 Berica; 
    udito nell'udienza pubblica e nella camera di  consiglio  del  30
novembre 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti; 
    uditi gli avvocati Gabriele Fantin e Orsola Costanza per D.  D.P.
e altri, M. A. e altri e V. B. e altri, Nicolo' Fiorentin per L.  B.,
Paola Chiandotto per P. C. e altri, Antonio Ferdinando De Simone  per
A. R., Antonio Verdone per I. D. e C. M., Mauro Sandri per  E.  B.  e
altri, Beatrice Spitoni, Luca Iuliano e Susanna Cavallina per M.  Z.,
e C. B., Luca Viggiano per  G.  B.,  Samanta  Forasassi  per  M.  M.,
Giovanni Onofri e Ugo Mattei per E. C. e altri, Carlo Cester e Chiara
Tomiola per O.P.S.A. e gli avvocati dello Stato Enrico  De  Giovanni,
Beatrice Gaia Fiduccia e Federico  Basilica  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22  marzo  2022,  iscritta  al  n.  47  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2  e  3  della
Costituzione, dell'art. 4-ter, comma 3, del decreto-legge  1°  aprile
2021, n. 44 (Misure urgenti  per  il  contenimento  dell'epidemia  da
COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia  e
di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge  28
maggio 2021, n. 76, nella parte in cui, nel prevedere che  «[p]er  il
periodo di sospensione, non sono dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo  di
prescritta sospensione dal diritto di svolgere l'attivita' lavorativa
per  inadempimento  dell'obbligo   vaccinale   per   la   prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di  cui  alla
lettera  a)  della  citata  disposizione,  l'erogazione  dell'assegno
alimentare previsto dall'art. 500 del decreto legislativo  16  aprile
1994,  n.  297  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di
ogni ordine e grado). 
    1.1.- Il Tribunale di Brescia espone che le parti ricorrenti  nel
giudizio a quo, tutte dipendenti del Ministero dell'istruzione  quali
docenti, destinatari di  provvedimenti  di  sospensione  dal  lavoro,
adottati fra il mese di dicembre 2021 ed il mese di gennaio 2022, per
mancato adempimento dell'obbligo vaccinale,  dichiaratisi,  peraltro,
disponibili a sottoporsi a test mediante tampone ogni 48  ore,  hanno
chiesto in via di urgenza di essere reintegrati nel posto di lavoro e
nella  retribuzione  o,  quantomeno,  di  poter  ottenere   l'assegno
alimentare,  deducendo  l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.
4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito. 
    Il  Tribunale  di  Brescia,  ritenuta  la  specialita'  di   tale
disposizione rispetto alla previsione dell'art. 500 del d.lgs. n. 297
del  1994,  e   dunque   l'impossibilita'   di   pervenire   in   via
interpretativa   al   riconoscimento   in   favore   dei   ricorrenti
dell'assegno alimentare, ed evidenziata la natura assistenziale di un
simile emolumento, ha ravvisato la non manifesta  infondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale del citato art. 4-ter, comma
3, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. 
    La norma censurata, secondo il  rimettente,  risulterebbe  lesiva
della dignita' della persona, in quanto, per un periodo temporalmente
rilevante,  priva  i  docenti  scolastici,  che  non  abbiano  voluto
vaccinarsi, di ogni forma di sostentamento per far fronte ai  bisogni
primari  della  vita.  Inoltre,  in  presenza  di  una  condotta  non
integrante illecito ne' disciplinare ne' penale, e in rapporto ad una
fattispecie introdotta in una fase emergenziale e in un contesto  del
tutto eccezionale, il medesimo art. 4-ter, comma 3, nega  ai  docenti
non vaccinati la corresponsione di una indennita', quale e' l'assegno
alimentare, generalmente riconosciuta dall'ordinamento per  sopperire
alle esigenze del lavoratore sospeso anche laddove  quest'ultimo  sia
coinvolto  in  procedimenti  penali  e  disciplinari  per  fatti   di
oggettiva gravita', cio'  generando  un'irragionevole  disparita'  di
trattamento. 
    1.2.- I lavoratori ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato
memoria di costituzione, condividendo le argomentazioni del giudice a
quo e chiedendo, quindi, l'accoglimento delle questioni. 
    1.3.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o, in subordine, comunque non fondate. 
    Le questioni sarebbero inammissibili  per  inadeguata  o  carente
motivazione sulla non manifesta infondatezza, essendosi il rimettente
limitato a una sostanziale riproduzione delle deduzioni  delle  parti
interessate. L'ordinanza di rimessione  sarebbe  inoltre  carente  di
motivazione circa  l'assenza  di  interpretazioni  costituzionalmente
orientate  delle  norme  censurate.  Infine,  sempre  in   punto   di
inammissibilita', il Presidente del Consiglio  dei  ministri  obietta
che il giudice a quo invoca un intervento  di  questa  Corte  in  una
materia riservata alla discrezionalita' del legislatore,  in  assenza
di una soluzione costituzionalmente obbligata. 
    Le questioni, secondo il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
sarebbero comunque non  fondate.  La  norma  censurata  trae  origine
dall'esigenza, avvertita  dal  legislatore,  di  adottare  in  ambito
scolastico misure gradualmente sempre piu' cogenti e restrittive  per
contenere la pandemia da COVID-19, al fine  di  tutelare  il  diritto
alla salute e quello  all'istruzione.  Solo,  invero,  l'avvio  della
campagna vaccinale ha  consentito  la  piena  ripresa  dell'attivita'
didattica in presenza. L'art. 4-ter, comma 3,  del  d.l.  n.  44  del
2021,  come  convertito,  era  stato  preceduto  dalle   misure   che
regolavano l'impiego delle certificazioni verdi  Covid-19  in  ambito
scolastico e ha provveduto ad  estendere  l'obbligo  vaccinale  (gia'
previsto per alcune categorie  di  lavoratori,  come  ad  esempio  il
personale sanitario) anche ad una serie di ulteriori  categorie  (tra
cui il personale  scolastico).  Stante  la  preminenza  accordata  al
diritto  alla  salute,  la  legge   avrebbe   disposto   l'estensione
dell'obbligo  vaccinale  al  personale  scolastico  optando  per  una
soluzione intermedia, rappresentata dall'isolamento  dalla  comunita'
lavorativa  di  riferimento,  con   sospensione   dalla   prestazione
lavorativa e (conseguentemente) della retribuzione. La difesa statale
contesta  l'equiparabilita'  della  sospensione  dal   servizio   per
pendenza di un procedimento disciplinare, prevista dell'art. 500  del
d.lgs. n. 297 del 1994, e la sospensione di cui all'art. 4-ter, comma
3, del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,  essendo  quest'ultima
giustificata  dalla  carenza  di  un  «requisito  essenziale  per  lo
svolgimento delle attivita' lavorative dei soggetti obbligati»,  qual
e' il vaccino per le categorie previste dalla legge, di  tal  che  la
contestuale sospensione dalla retribuzione e da ogni altro compenso o
emolumento  costituirebbe  una  conseguenza  naturale,   in   termini
sinallagmatici,  della  mancata  erogazione  della  prestazione.   La
situazione in cui versa il lavoratore che, per sua scelta volontaria,
non sia vaccinato, sarebbe  comunque  sempre  reversibile,  giacche',
procedendo alla  vaccinazione,  egli  puo'  in  ogni  momento  essere
reintegrato in servizio, con conseguente ripristino  immediato  della
corresponsione dello stipendio. 
    Proprio   dalla    natura    intrinsecamente    autonoma    della
determinazione di non  vaccinarsi,  e  quindi,  di  non  svolgere  la
prestazione lavorativa, discenderebbe la ragionevolezza della  scelta
normativa di escludere il diritto alla  corresponsione  di  qualsiasi
forma di "retribuzione", anche sub specie di assegno alimentare,  per
coloro che «volontariamente» si  sottraggono  all'obbligo  vaccinale,
prevedendosi, viceversa, che la sospensione della retribuzione (e  di
qualsiasi altro  emolumento)  non  si  applichi  a  coloro  che,  per
«accertato  pericolo  per  la  salute,  in  relazione  a   specifiche
condizioni cliniche documentate», sono esentati da tale  obbligo.  La
scelta del dipendente di non  vaccinarsi  non  e',  ad  avviso  dello
stesso Presidente del Consiglio dei ministri, foriera di  conseguenze
pregiudizievoli  irreparabili,  giacche'  non  viene  avviato   alcun
procedimento disciplinare  e  non  e'  prevista  la  risoluzione  del
rapporto di lavoro,  correlandosi  ad  essa  un  effetto  che  appare
ragionevole  e  proporzionato,  orientato   dalla   ricerca   di   un
contemperamento fra il preminente interesse pubblico al  contenimento
della diffusione del contagio pandemico e  la  tutela  delle  singole
posizioni, ferma la delimitazione temporale dell'obbligo vaccinale. 
    L'effetto della sospensione dal servizio e dalla retribuzione non
si connota, pertanto, come una «sanzione», quanto come una misura  di
sanita'  pubblica  ispirata  alla  tutela  di  fondamentali   diritti
costituzionali, quali la tutela della salute collettiva,  il  diritto
all'istruzione, nonche' il diritto all'insegnamento e alla  sicurezza
sul  luogo  di  lavoro  degli  studenti  e  di  tutto  il   personale
scolastico. D'altro canto, evidenzia il Presidente del Consiglio  dei
ministri, l'interesse pubblico al contenimento della pandemia risulta
senza  dubbio  prevalente  rispetto  all'interesse  individuale  allo
svolgimento della prestazione lavorativa. La norma in esame  sarebbe,
dunque,   pienamente   rispettosa   dei   principi   di    idoneita',
necessarieta'   e   proporzionalita',   visto   che    la    pubblica
amministrazione, che non possa contare sulla  prestazione  lavorativa
del  dipendente  inadempiente  all'obbligo  di   vaccinazione,   deve
comunque provvedere alla sua sostituzione. La difesa statale contesta
altresi' l'equiparabilita' della norma censurata sia a quella dettata
dall'art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957,  n.  3  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
Stato), la quale e' inquadrata, piuttosto,  nel  Capo  dedicato  alle
«infrazioni e sanzioni disciplinari», sia a quella prevista dall'art.
500 del d.lgs. n. 297 del 1994, anch'essa  inquadrata  nella  Sezione
dedicata  alle  «[s]anzioni  disciplinari»,  trattandosi   nei   casi
indicati a comparazione di procedimenti il cui svolgimento  prescinde
dalla volonta' del lavoratore. 
    1.4.- L'Associazione nazionale insegnanti  e  formatori  (ANIEF),
organizzazione  sindacale  del  personale  docente,   ha   depositato
opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative per i  giudizi
davanti  alla  Corte  costituzionale,   vigente   ratione   temporis,
chiedendo di  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
4-ter del d.l. n. 44 del 2021, come convertito,  ovvero,  in  via  di
estensione o previa autoremissione, dell'art. 4-ter.2, introdotto dal
decreto-legge 24 marzo 2022,  n.  24  (Disposizioni  urgenti  per  il
superamento delle misure di contrasto alla  diffusione  dell'epidemia
da  COVID-19,  in  conseguenza  della  cessazione  dello   stato   di
emergenza, e altre disposizioni in  materia  sanitaria),  convertito,
con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, nella parte  in
cui impone di applicare ai docenti non vaccinati il regime  stabilito
per i docenti dichiarati inidonei alle proprie funzioni per motivi di
salute, per contrasto con gli artt. 2, 3,  11  e  117,  primo  comma,
Cost., in relazione agli artt.  20  e  21  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, domandando altresi' di procedere  a
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione  europea  ai
sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e rimarcando che la discriminazione operata dal  legislatore
italiano rileva anche sotto il  piano  dei  diritti  garantiti  dalla
direttiva  2000/78/CE,  del  Consiglio  del  27  novembre  2000,  che
stabilisce un quadro  generale  per  la  parita'  di  trattamento  in
materia di occupazione e di condizioni  di  lavoro,  e  dalla  CDFUE,
nonche' dei principi euro-unitari  di  necessarieta',  adeguatezza  e
proporzionalita'. 
    1.5.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria  illustrativa  in  data  9  novembre   2022,   ribadendo   le
considerazioni  svolte  nell'atto   di   intervento   in   punto   di
inammissibilita' o, in subordine, di non fondatezza delle questioni. 
    2.- Con ordinanza del 14  marzo  2022,  iscritta  al  n.  70  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Catania,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.  2,  3  e  32,
secondo comma, Cost., dell'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del  2021,
come convertito, nella parte in cui,  nel  prevedere  che  «[p]er  il
periodo di sospensione non sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque denominati»,  esclude,  in  relazione
agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse
sanitario, l'erogazione dell'assegno alimentare previsto dalla  legge
ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria  nel  periodo  di
sospensione  dal  diritto  di  svolgere  l'attivita'  lavorativa  per
inadempimento   dell'obbligo    vaccinale    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2. 
    2.1.- Il Tribunale di Catania espone che le parti ricorrenti  nel
giudizio a quo, tutte dipendenti a tempo indeterminato di  un'azienda
ospedaliera  pubblica  con  profilo  professionale  di  collaboratore
sanitario-infermiere, destinatari di provvedimenti di sospensione dal
lavoro, adottati fra il mese di ottobre ed il mese di novembre  2021,
per mancato adempimento dell'obbligo vaccinale, hanno chiesto in  via
di  urgenza  il  riconoscimento  dell'assegno  alimentare,  ai  sensi
dell'art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell'art.  68  del  CCNL  del
comparto Sanita' pubblica, deducendo l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito. 
    2.2.- Il Tribunale di  Catania,  ritenuta  la  specialita'  della
norma in oggetto, che deroga a ogni altra di ordine generale prevista
dalla  legge  ovvero  dalla  contrattazione  collettiva,   e   dunque
l'impossibilita' di pervenire in via interpretativa al riconoscimento
in favore dei ricorrenti dell'assegno alimentare, ed  evidenziata  la
natura  assistenziale  di  tale  emolumento,  ha  ravvisato  la   non
manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale
del citato art. 4, comma 5, in riferimento agli  artt.  2,  3  e  32,
secondo comma, Cost. 
    La norma censurata, secondo il  rimettente,  risulterebbe  lesiva
della dignita' della persona, in quanto, per un periodo temporalmente
rilevante, priva gli  operatori  sanitari,  che  non  abbiano  voluto
vaccinarsi, di ogni forma di sostentamento per far fronte ai  bisogni
primari della vita. Inoltre, a fronte di una condotta non  integrante
illecito  ne'  disciplinare  ne'  penale,  e  in  rapporto   ad   una
fattispecie introdotta in una fase emergenziale e in un contesto  del
tutto eccezionale, il medesimo art. 4, comma 5, nega  agli  operatori
sanitari non vaccinati la corresponsione di una indennita', quale  e'
l'assegno alimentare, generalmente riconosciuta dall'ordinamento  per
sopperire  alle  esigenze  del  lavoratore  sospeso   anche   laddove
quest'ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari  per
fatti  di  oggettiva  gravita',   cio'   generando   un'irragionevole
disparita' di trattamento. 
    Il rimettente  osserva  che,  pur  considerate  le  finalita'  di
«tutelare la salute  pubblica  e  mantenere  adeguate  condizioni  di
sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», in
attuazione del piano di cui all'art. 1, comma  457,  della  legge  30
dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il  triennio  2021-2023),
rappresentate nel comma 1 dell'art. 4 del d.l. n. 44 del  2021,  come
convertito, appaiono sproporzionate e sbilanciate le conseguenze  che
la disciplina in esame determina nella sfera del lavoratore,  per  di
piu' irrigidite dalle modifiche apportate all'originaria formulazione
(che contemplava la possibilita'  di  verificare  l'assegnazione  del
dipendente a mansioni diverse, ipotesi poi ammessa solo nei  casi  di
esonero o differimento  dell'obbligo  vaccinale),  nell'ottica  della
necessaria   considerazione   degli   altri   valori   costituzionali
coinvolti. Tale disciplina, precludendo all'operatore  sanitario  non
vaccinato la possibilita'  di  espletare  la  prestazione  lavorativa
(anziche'  applicare  altre  soluzioni,   quali,   ad   esempio,   la
sottoposizione del lavoratore  ad  un  rigido  sistema  di  controllo
tramite test di rilevazione del virus, o  l'assegnazione  a  mansioni
diverse, ove possibile), finisce, ad avviso del giudice  a  quo,  per
realizzare  una  sorta   di   «forzata   induzione»   all'adempimento
dell'obbligo vaccinale, finendo per contrastare altresi'  con  l'art.
32, secondo comma, Cost.,  che,  anche  per  i  trattamenti  sanitari
obbligatori, impone alla legge di non violare «i limiti  imposti  dal
rispetto della persona umana». 
    La norma censurata, negando ogni sostegno economico all'operatore
sanitario sospeso dal rapporto  di  lavoro  per  mancato  adempimento
dell'obbligo vaccinale, pone il lavoratore, secondo il  Tribunale  di
Catania, di fronte alla prospettiva di non poter assicurare a  se'  e
alla propria famiglia neppure  i  mezzi  di  sostentamento  minimi  e
indispensabili, cosi' come di non poter far fronte ai propri  impegni
economici, con gravi conseguenze del vivere  quotidiano.  L'ordinanza
di rimessione richiama altresi', a titolo comparativo, le  norme  che
comunque riconoscono un assegno  alimentare  al  dipendente  pubblico
destinatario  di  un  provvedimento  di  sospensione  disciplinare  o
cautelare. 
    2.3.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non
fondate. Si evidenzia che l'obbligo di somministrazione  del  vaccino
anti COVID-19 e' diretto a preservare lo stato di salute non solo del
lavoratore obbligato all'adempimento, ma anche  di  tutti  gli  altri
membri della collettivita' e, in particolare, dei  soggetti  fragili.
Nel  caso  degli  operatori  sanitari,  in   particolare,   l'obbligo
vaccinale e' funzionale  a  garantire  la  protezione  dell'operatore
stesso, del restante personale sanitario, e dei pazienti dal  rischio
di  contagio,  nonche'  ad  assicurare  l'operativita'  dei   servizi
sanitari  e,  quindi,  l'offerta  di  assistenza  e  la   continuita'
nell'erogazione delle cure ai cittadini. 
    Richiamando l'elaborazione della giurisprudenza amministrativa in
argomento,  la  difesa  statale  sottolinea   che,   nell'imposizione
dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha iniziato da  quei  soggetti
che sono maggiormente esposti al contagio, cioe' quelli che  sono  in
costante contatto con l'utenza pubblica  ed  in  generale  con  terze
persone,  anche  infette.  Quanto,  poi,  alle  misure  per   rendere
effettivo l'obbligo, il  legislatore  ha  optato  per  una  soluzione
intermedia rappresentata dall'isolamento dalla  comunita'  lavorativa
di  riferimento,  con  sospensione  dalla  prestazione  lavorativa  e
conseguentemente dalla retribuzione, vista la mancata prestazione del
servizio per difetto di  «requisito  essenziale  per  lo  svolgimento
delle attivita' lavorative». 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  sottolinea,  inoltre,
l'efficacia   e   la   rilevanza   dei   vaccini   somministrati   ai
professionisti sanitari ai fini della tutela della  salute  pubblica.
Invero, l'obbligo di somministrazione del vaccino  anti  COVID-19  e'
diretto a preservare lo stato di salute non soltanto del  lavoratore,
ma anche  di  tutti  gli  altri  membri  della  collettivita'  e,  in
particolare,  di  coloro  che,  a  causa  di  particolari  condizioni
patologiche, correrebbero seri  rischi  nel  caso  in  cui  venissero
contagiati. Nel caso dei  professionisti  sanitari,  in  particolare,
l'obbligo vaccinale e' funzionale a proteggere i pazienti dal rischio
di contagio in ambiente assistenziale, e  serve  quindi  a  difendere
anche l'operativita' dei servizi sanitari, garantendo,  al  contempo,
la qualita' delle prestazioni erogate. 
    Si osserva, ulteriormente, che  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna
analogia  tra  la  sospensione  prevista  nel  caso  di  procedimento
disciplinare o penale a carico del dipendente, e quella derivante dal
mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale, atteso  che,  nel  primo
caso,  la  sospensione  interviene  prima   dell'accertamento   sulla
ricorrenza dell'illecito, mentre  nel  secondo  caso  la  sospensione
interviene  dopo   aver   appurato   la   mancanza,   ingiustificata,
dell'adempimento prescritto. Peraltro, il procedimento disciplinare e
quello penale, una  volta  avviati,  procedono  in  modo  autonomo  e
indifferente  rispetto  alla  volonta'  del  dipendente  di   poterne
bloccare lo svolgimento; al contrario,  nel  caso  della  sospensione
disposta per la violazione dell'obbligo vaccinale, al  dipendente  e'
data  la  possibilita'  di  riprendere   l'esercizio   dell'attivita'
lavorativa a seguito della sottoposizione alla vaccinazione. 
    Viene rimarcato pure che sarebbe  contradditorio  riconoscere  il
diritto all'assegno alimentare, che trova la sua fonte nel dovere  di
solidarieta', ad un soggetto che si sottrae all'obbligo vaccinale  ed
in tal modo viola lo stesso dovere di solidarieta'. 
    2.4.- La Associazione Enrico Toti ha depositato opinione  scritta
ex art. 4-ter delle  Norme  integrative,  vigente  ratione  temporis,
chiedendo di dichiarare l'illegittimita' costituzionale «dell'obbligo
vaccinale di cui all'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021», e  comunque  di
accogliere le questioni di legittimita' costituzionale. 
    2.5.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria  illustrativa  in  data  9  novembre   2022,   ribadendo   le
considerazioni  svolte  nell'atto  di  intervento  in  punto  di  non
fondatezza delle questioni. 
    3.- Con ordinanza depositata il 9 maggio 2022, iscritta al n.  71
del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  4  Cost.,
dell'art. 4, comma 7, del d.l.  n.  44  del  2021,  come  convertito,
richiamato dall'art. 4-ter, comma 2, dello  stesso  d.l.  n.  44  del
2021,  nella  parte  in  cui  limita  ai  soggetti  per  i  quali  la
vaccinazione puo' essere omessa o differita, l'adibizione a  mansioni
anche diverse, senza decurtazione  della  retribuzione,  in  modo  da
evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 
    Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e  3  Cost.,
dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,
nella  parte  in  cui,  nel  prevedere  che  «[p]er  il  periodo   di
sospensione, non sono dovuti la retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di  prescritta
sospensione  dal  diritto  di  svolgere  l'attivita'  lavorativa  per
inadempimento   dell'obbligo    vaccinale    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di  cui  alla
lettera c)  del  comma  1  della  citata  disposizione,  l'erogazione
dell'assegno alimentare previsto dall'art. 82 del  d.P.R.  n.  3  del
1957 e dell'art. 68 del CCNL del comparto Sanita' pubblica. 
    3.1.- Il Tribunale  di  Brescia  espone  che  la  ricorrente  nel
giudizio a quo e' una dipendente di azienda ospedaliera  pubblica  in
qualita' di ausiliaria specializzata, destinataria  di  provvedimento
di sospensione dal lavoro, adottato nel mese  di  gennaio  2022,  per
mancato adempimento dell'obbligo vaccinale, la quale  ha  chiesto  in
via di urgenza di essere reintegrata nel  posto  di  lavoro  e  nella
retribuzione o, quantomeno, di poter ottenere l'assegno alimentare. 
    Dato conto del differimento al 31 dicembre 2022 della sospensione
dal lavoro per effetto dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale,  in
forza del sopravvenuto art. 8, comma 1, del d.l. n. 24 del 2022, come
convertito,  il  rimettente  ha  quindi  evidenziato  che  il  tenore
letterale dell'art. 4, comma 7, e dell'art. 4-ter, comma 3, del  d.l.
n. 44 del 2021, come convertito, non  consente  di  riconoscere  alla
lavoratrice il diritto ad essere reintegrata o di percepire l'assegno
alimentare,  ne'  in  via   di   interpretazione   costituzionalmente
orientata, ne' per disapplicazione delle norme per contrasto  con  la
CDFUE, giacche' la materia degli obblighi vaccinali  non  costituisce
oggetto di disciplina dell'Unione europea. 
    Il  Tribunale  di  Brescia  ha  altresi'  posto  in  risalto   la
specialita' dell'art. 4-ter, comma 3, rispetto all'art. 82 del d.P.R.
n. 3 del 1957 ed all'art. 68 del CCNL del comparto Sanita' pubblica. 
    3.2.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  delle  censure
attinenti all'art. 4, comma 7, il giudice a quo afferma  che,  stante
l'identita' del rischio di diffusione del virus,  e'  incomprensibile
il motivo per cui l'obbligo di cosiddetto repêchage debba  sussistere
soltanto a favore dei soggetti esentati dall'obbligo vaccinale o  per
i quali la vaccinazione e' stata differita, e non anche a  favore  di
coloro  che  scelgano  volontariamente  di  non  vaccinarsi.   Questa
discriminazione,   nonostante   la   temporaneita'    della    misura
interdittiva,  sarebbe  lesiva  del  principio   di   eguaglianza   e
comprimerebbe il diritto al lavoro di coloro che  abbiano  deciso  di
non vaccinarsi, essendo praticabili soluzioni alternative, quali,  ad
esempio, il  controllo  tramite  test  di  rilevazione  del  virus  o
l'assegnazione a mansioni diverse  (ipotesi,  quest'ultima,  che  era
prevista per  il  personale  sanitario  nell'originaria  formulazione
della norma). Pur spettando al legislatore di stabilire  gli  effetti
dell'accertamento  della  violazione  di  un  obbligo,  la   modifica
peggiorativa, che non consente l'adibizione a mansioni anche  diverse
del lavoratore sanitario che  non  intende  vaccinarsi,  non  sarebbe
giustificata  in  rapporto  agli  scopi  primari  della   disciplina,
costituiti dalla tutela sia della salute pubblica in  una  situazione
emergenziale epidemiologica, sia della sicurezza  negli  ambienti  di
lavoro. 
    Quanto all'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n.  44  del  2021,  come
convertito,  l'ordinanza   di   rimessione   sottolinea   la   natura
assistenziale  dell'assegno   alimentare,   il   quale   e'   percio'
generalmente riconosciuto dall'ordinamento in caso di sospensione dal
rapporto di lavoro per motivi  disciplinari  o  cautelari.  La  norma
censurata risulterebbe allora lesiva della dignita' della persona, in
quanto priva i  lavoratori  del  comparto  sanita'  che  non  abbiano
ritenuto di vaccinarsi della possibilita' di  esercitare  la  propria
attivita' lavorativa, nonche' della corresponsione di una indennita',
quale e' l'assegno alimentare, attribuita per sopperire alle esigenze
basilari della vita. Inoltre, a fronte di una condotta non integrante
illecito ne' disciplinare ne' penale, e in rapporto a una fattispecie
introdotta in una fase  emergenziale  e  in  un  contesto  del  tutto
eccezionale, il medesimo art. 4-ter, comma 3, negherebbe al personale
del  comparto  sanitario  non  vaccinato  la  corresponsione  di  una
indennita', quale e' l'assegno alimentare, generalmente  riconosciuta
dall'ordinamento per sopperire alle esigenze del  lavoratore  sospeso
anche laddove quest'ultimo sia coinvolto  in  procedimenti  penali  e
disciplinari  per  fatti  di  oggettiva  gravita',   cio'   generando
un'irragionevole disparita' di trattamento. 
    3.3.- La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha  depositato
memoria di costituzione  ed  ha  chiesto  di  dichiarare  fondate  le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.4.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o, in subordine, non fondate. 
    Entrambe le questioni sarebbero inammissibili  per  inadeguata  o
carente motivazione sulla non manifesta  infondatezza.  Si  evidenzia
che  l'obbligo  di  somministrazione  del  vaccino   anti   COVID-19,
introdotto per il personale  medico  e  sanitario,  risponde  ad  una
chiara finalita' di tutela non solo di questo personale sui luoghi di
lavoro, ma anche degli stessi pazienti e degli utenti della  sanita',
pubblica e privata, specie nei confronti delle categorie piu' fragili
e dei soggetti piu'  vulnerabili.  L'eccepito  difetto  motivazionale
dell'ordinanza di rimessione deriverebbe dalla mancata considerazione
della  peculiare  posizione  dei  sanitari  e  del  personale   delle
strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della  legge  23  ottobre  del  1992,  n.  421),  che
costituisce la specifica ratio dell'obbligo vaccinale  loro  imposto,
la quale a sua  volta  giustifica  il  punto  di  equilibrio  che  il
legislatore ha individuato  nel  bilanciamento  tra  la  liberta'  di
autodeterminazione del singolo e le esigenze di interesse pubblico  e
tra queste, in primis,  quelle  concernenti  la  tenuta  dei  presidi
ospedalieri e la garanzia, per chi necessita di cura  ed  assistenza,
di poterle ricevere in condizioni di massima  sicurezza  e  di  minor
rischio di contagio possibile. 
    Ad  avviso  della  difesa  statale,  un  ulteriore   profilo   di
inammissibilita' delle questioni  discenderebbe  dalla  constatazione
che il rimettente invoca un intervento di questa Corte in una materia
riservata alla discrezionalita' del legislatore, in  assenza  di  una
soluzione  costituzionalmente  obbligata.  Il  Tribunale  di  Brescia
chiederebbe a questa Corte di prevedere, a fronte  dell'inadempimento
all'obbligo vaccinale, la possibilita' di non sospendere il personale
sanitario e quello agli effetti equiparato,  provvedendo,  piuttosto,
ad adibirlo a mansioni diverse;  si  chiederebbe,  ancora,  a  questa
Corte  di  prevedere  altrimenti,  a  fronte  della  sospensione  dal
servizio per inottemperanza all'obbligo vaccinale, la  corresponsione
di  un  emolumento  (assegno  alimentare)  non  previsto  da   alcuna
disposizione in materia. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le  prospettate
questioni   di   legittimita'   costituzionale   sarebbero   comunque
destituite di fondamento, atteso che l'obbligo  posto  nei  confronti
degli  esercenti  le  professioni  sanitarie  e  degli  operatori  di
interesse sanitario appare giustificato dalla  constatazione  che  la
vaccinazione di tali categorie di lavoratori, unitamente  alle  altre
misure di protezione collettiva  e  individuale  per  la  prevenzione
della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e
negli  studi  professionali,  ha  valenza   multipla:   consente   di
salvaguardare   l'operatore    rispetto    al    rischio    infettivo
professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal  contagio  in
ambiente assistenziale e serve a difendere l'operativita' dei servizi
sanitari. Cio' in quanto gli operatori sanitari, da un lato, sono tra
le categorie ad alto rischio di contrarre l'infezione da  SARS-CoV-2,
dall'altro,  possono  a  loro  volta  trasmettere  l'infezione   piu'
facilmente a pazienti ad alto rischio di sviluppare  forme  gravi  di
malattia. 
    Lo  scrutinio  circa   la   legittimita'   costituzionale   delle
disposizioni denunciate dovrebbe, dunque,  svolgersi  alla  luce  del
principio fondamentale in  materia  di  tutela  della  salute,  quale
«fondamentale    diritto    dell'individuo    e    interesse    della
collettivita'»,  declinato  nella  prospettiva   della   solidarieta'
sociale e alla luce dei principi di  precauzione  e  proporzionalita'
nel rapporto tra rischi e benefici. Il rimettente, secondo la  difesa
dello Stato, non  avrebbe  avuto  cura  di  indagare  sul  necessario
bilanciamento tra valori costituzionali, in  quanto  la  disposizione
censurata  ha  introdotto  un  obbligo  vaccinale  settoriale  e  non
generalizzato, di durata temporanea, che non determina l'applicazione
di sanzioni espulsive, avente il  solo  effetto  di  sospensione  del
rapporto  di  lavoro  (o  del  tirocinio)  nei  limiti  della  durata
dell'inadempimento dell'obbligo, del tutto coerente, percio', con  la
tutela della salute dei pazienti e con l'affidamento che  gli  stessi
ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di  massima
sicurezza. 
    Il  quadro  complessivo  dei  vantaggi  offerti  dalla  copertura
vaccinale e dei rischi marginali confermerebbe, a dire del Presidente
del Consiglio dei ministri, la ragionevolezza della  composizione  di
interessi attuata dal  legislatore  mediante  l'obbligo  vaccinale  e
mediante  la  disciplina  delle   conseguenze   derivanti   dal   suo
inadempimento. Circa la mancata estensione dell'obbligo di  repêchage
in favore di coloro che scelgono di non vaccinarsi, obbligo viceversa
contemplato  dal  legislatore   per   i   soggetti   esentati   dalla
vaccinazione o per i  quali  la  vaccinazione  sia  stata  differita,
varrebbe la considerazione che il diritto all'integrita' dello  stato
di salute dei pazienti, i quali devono fruire della erogazione  delle
prestazioni sanitarie, non puo' essere messo sullo stesso  piano  del
diritto  al  mantenimento  della  propria  situazione  lavorativa   e
professionale  di  chi  volontariamente  si   sottragga   all'obbligo
vaccinale, giustificandosi solo  nel  primo  caso,  e  motivatamente,
l'introduzione  di  un  trattamento  differenziato   da   parte   del
legislatore. 
    Aggiunge la difesa  statale  che  la  modifica  piu'  restrittiva
dell'originario art. 4 del  d.l.  n.  44  del  2021,  introdotta  dal
decreto-legge 26  novembre  2021,  n.  172  (Misure  urgenti  per  il
contenimento dell'epidemia  da  COVID-19  e  per  lo  svolgimento  in
sicurezza delle attivita'  economiche  e  sociali),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nel  senso  di  non
prevedere piu' la possibilita'  di  attribuire  diverse  mansioni  al
dipendente   che   non   avesse   voluto   vaccinarsi,   ha   trovato
giustificazione nei dati prodotti dall'Istituto superiore di  sanita'
(ISS) nel novembre 2021 circa il contagio da SARS-CoV-2 e l'incidenza
dello  stesso  in  danno  di  soggetti  non   vaccinati,   dati   che
costituiscono presupposti idonei  della  mutata  scelta  legislativa,
ispirati da esigenze di tutela della salute pubblica e  di  sicurezza
negli  ambienti  di  lavoro  ove  le  prestazioni  sanitarie  vengono
erogate. 
    Nel merito della seconda questione, il Presidente  del  Consiglio
dei ministri sottolinea la non equiparabilita' fra la sospensione dal
servizio per pendenza di un procedimento disciplinare e quella di cui
all'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del  2021,  come  convertito,
per mancanza di un requisito di  capacita'  lavorativa,  qual  e'  il
vaccino per le categorie previste dalla legge. La  sospensione  dalla
retribuzione disposta dalla norma censurata costituirebbe, invero, la
conseguenza  naturale,  in  termini  sinallagmatici,  della   mancata
erogazione  della  prestazione,   in   pendenza   della   sospensione
dell'attivita' lavorativa (e della percezione  della  retribuzione  e
degli emolumenti  che  dalla  stessa  discendono)  derivante  da  una
«scelta volontaria» del dipendente (quella di non vaccinarsi) e dallo
stesso in ogni momento modificabile. La  sospensione  del  dipendente
non vaccinato non rivelerebbe, quindi,  alcuna  natura  afflittiva  o
sanzionatoria, ne' pregiudicherebbe in  alcun  modo  il  rapporto  di
lavoro. Si contesta, inoltre, l'analogia tra la sospensione  prevista
nel  caso  di  procedimento  disciplinare  o  penale  a  carico   del
dipendente, e quella derivante dal mancato assolvimento  dell'obbligo
vaccinale. Invero, il procedimento disciplinare (e quello penale, ove
la condotta configuri un illecito di tale natura), una volta avviato,
procede in  modo  autonomo  e  indifferente  rispetto  alla  volonta'
dell'incolpato di poterne bloccare lo svolgimento, e  per  questo  e'
stabilita l'erogazione di alcune provvidenze (corresponsione di parte
degli  assegni  a  carattere  fisso  e  continuativo  e  dell'assegno
alimentare). Di contro,  nel  caso  della  sospensione  disposta  per
inottemperanza all'obbligo vaccinale e' prevista  una  reversibilita'
immediata della situazione originaria, nel senso che al dipendente e'
data  la  possibilita'  di  riprendere   l'esercizio   dell'attivita'
lavorativa sol che questi si sottoponga alla vaccinazione. 
    3.5.- La Associazione Enrico Toti ha depositato opinione  scritta
ex art. 4-ter delle  Norme  integrative,  vigente  ratione  temporis,
chiedendo di dichiarare l'illegittimita' costituzionale «dell'obbligo
vaccinale di cui all'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021», e  comunque  di
accogliere le questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.6.- La parte ha  depositato  memoria  illustrativa  in  data  8
novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte  nella  memoria  di
costituzione. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 9 novembre  2022,  ribadendo  le  considerazioni
svolte nell'atto di intervento in punto di inammissibilita' o di  non
fondatezza delle questioni. 
    4.- Con ordinanza del 28 aprile  2022,  iscritta  al  n.  76  del
registro  ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Padova,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e  35
Cost., dell'art. 4-bis, comma 1, nonche' dell'art. 4, commi 1, 4 e 5,
del d.l. n. 44 del 2021, come  convertito,  modificati  dapprima  dal
d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi dal d.l. n. 24 del 2022,
come convertito, nella  parte  in  cui  prevedono  per  i  lavoratori
impiegati   in   strutture   residenziali,   socio-assistenziali    e
socio-sanitarie  l'obbligo  vaccinale,  anziche'  l'obbligo,  per  la
rilevazione di SARS-CoV-2, di sottoporsi  indifferentemente  al  test
molecolare o al test antigenico, da eseguire in  laboratorio;  oppure
al test antigenico rapido di ultima generazione, anche presso  centri
privati, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 nel  secondo.  Con  la
stessa ordinanza, il Tribunale di Padova ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, sempre in riferimento agli artt.  3,  4,
32 e 35 Cost., dell'art. 4, comma 7, del d.l. n. 44  del  2021,  come
convertito, nella parte in cui non prevede che anche per i lavoratori
che decidono di non vaccinarsi, al pari dei soggetti per i  quali  la
vaccinazione puo' essere omessa o differita, sussista  l'obbligo  del
datore di lavoro  di  adibizione  a  mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 
    4.1.- Il  Tribunale  di  Padova  espone  che  il  ricorrente  nel
giudizio   a   quo   e'    un    dipendente,    con    mansioni    di
portiere-centralinista, di una struttura sociosanitaria che  accoglie
persone con disabilita', destinatario di provvedimento di sospensione
dal lavoro, adottato per mancato adempimento dell'obbligo  vaccinale,
il quale ha chiesto in via di urgenza di essere reintegrato nel posto
di lavoro, anche con mansioni differenti, con condanna del datore  di
lavoro al pagamento delle retribuzioni arretrate. 
    Il  rimettente,  ritenuto  in  premessa  che  il  richiamo  fatto
dall'art. 4-bis del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,  al  solo
comma 1 dell'art. 4, in tema di estensione dell'obbligo vaccinale  ai
lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e
socio-sanitarie, debba intendersi esteso anche ai commi 4, 5 e 7  del
medesimo art. 4,  osserva  che  in  relazione  a  tali  categorie  la
vaccinazione e' imposta non a tutela  della  salute  propria,  ma  di
quella  degli  ospiti  che  ricevono  cura  ed  assistenza  in   tali
strutture.  Tuttavia,  secondo  il  Tribunale  di  Padova,  l'obbligo
vaccinale imposto ai lavoratori non sarebbe idoneo a  raggiungere  lo
scopo di preservare la salute degli ospiti, essendo notorio il  fatto
che la persona che si e' sottoposta al ciclo vaccinale puo'  comunque
contrarre il virus e quindi contagiare gli  altri.  A  tal  fine,  il
Tribunale di Padova riporta anche alcuni dati forniti  dal  Ministero
della salute in ordine al rapporto  tra  l'andamento  della  campagna
vaccinale ed il numero  di  contagi.  Il  giudice  a  quo  prospetta,
pertanto,   il   dubbio   sulla    ragionevolezza    dell'imposizione
dell'obbligo vaccinale,  misura  ritenuta  non  idonea  «al  fine  di
tutelare la  salute  pubblica  e  mantenere  adeguate  condizioni  di
sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di  cura  e  assistenza».
Piuttosto, ad avviso del Tribunale, una ragionevole certezza  che  il
lavoratore non  sia  infetto  sarebbe  garantita,  sia  pure  per  un
limitato  periodo  di  tempo,  dalla  sottoposizione  periodica   del
lavoratore al «tampone»  (indifferentemente,  test  molecolare,  test
antigenico da eseguire in  laboratorio,  test  antigenico  rapido  di
ultima generazione). 
    L'ordinanza  di  rimessione  sostiene,  quindi,  che   la   norma
censurata imponga al lavoratore un obbligo di vaccinazione inutile  e
gravemente pregiudizievole  del  suo  diritto  all'autodeterminazione
terapeutica ex art. 32 Cost., nonche' del suo diritto  al  lavoro  ex
artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la  sospensione  dal  lavoro  e  dalla
retribuzione in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale. 
    Per il Tribunale di Padova, l'obbligo vaccinale si porrebbe anche
in contrasto con il diritto  dell'Unione  europea,  applicabile  agli
effetti dell'art. 53 della legge 24  dicembre  2012,  n.  234  (Norme
generali  sulla  partecipazione   dell'Italia   alla   formazione   e
all'attuazione  della  normativa  e   delle   politiche   dell'Unione
europea), ai fini della parita' di trattamento dei cittadini italiani
rispetto alla condizione e al trattamento garantiti  nell'ordinamento
italiano ai cittadini dell'Unione europea, nonche' agli  effetti  del
regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
14 giugno  2021,  su  un  quadro  per  il  rilascio,  la  verifica  e
l'accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test
e di guarigione in relazione al COVID-19 (certificato COVID  digitale
dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle  persone  durante
la pandemia di COVID-19. 
    In particolare, la disciplina italiana che sospende dal lavoro  e
dalla retribuzione il lavoratore che non intenda  vaccinarsi,  sembra
al Tribunale di Padova lesiva anche del principio di proporzionalita'
sancito dall'art. 52, paragrafo 3, CDFUE, rivelandosi non  necessaria
e comunque inidonea allo scopo di evitare il contagio,  ed  imponendo
al lavoratore un sacrificio completamente  insostenibile,  privandolo
integralmente dell'unico mezzo che consente a lui e alla sua famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. In proposito, il Tribunale di Padova
richiama una propria ordinanza del 7 dicembre 2021 con cui sono state
sottoposte questioni in via pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea. L'ordinanza di rimessione argomenta altresi' che
l'imposizione al lavoratore dell'obbligo vaccinale,  non  essendo  in
grado di preservare  la  salute  degli  altri,  non  sembra  conforme
all'art. 32 Cost., valutato in relazione al  contemperamento  fra  il
diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di  liberta'
di cura) e l'interesse della collettivita'. 
    4.2.- Il Tribunale di Padova illustra, poi,  le  ragioni  di  non
manifesta infondatezza delle censure attinenti all'art. 4,  comma  7,
del d.l. n. 44 del 2021, come  convertito,  sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento. Tale norma prevede che il datore di lavoro
sia tenuto a adibire a mansioni  anche  diverse,  senza  decurtazione
della retribuzione, in modo da evitare il rischio di  diffusione  del
contagio  da  SARS-CoV-2,  esclusivamente   i   lavoratori   esentati
dall'obbligo vaccinale  o  per  i  quali  la  vaccinazione  e'  stata
differita. Viceversa, l'art. 4-ter.2,  per  il  personale  docente  e
educativo  della  scuola,  prevede   che   l'atto   di   accertamento
dell'inadempimento  dell'obbligo  vaccinale   impone   al   dirigente
scolastico di utilizzare il  docente  inadempiente  in  attivita'  di
supporto  alla  istituzione   scolastica.   Poiche'   la   disciplina
dell'obbligo vaccinale sia dei sanitari che del personale docente  ed
educativo della scuola  e'  posta  al  fine  di  tutelare  la  salute
pubblica dal pericolo di diffusione del virus, indipendentemente  dal
fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta, o meno,  ad  una  scelta
volontaria del lavoratore,  non  si  comprenderebbe,  ad  avviso  del
rimettente, per quale motivo l'obbligo di repêchage debba  sussistere
solo a favore dei secondi e sia invece negato in  modo  assoluto  nel
settore sanitario, anche indipendentemente dalla considerazione delle
esigenze aziendali. 
    4.3.- Il lavoratore ricorrente nel giudizio a quo  ha  depositato
memoria di costituzione  ed  ha  chiesto  di  dichiarare  fondate  le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal  Tribunale  di
Padova. 
    La difesa della  parte  ricorrente  espone  che  «e'  dato  ormai
incontrovertibile che anche i soggetti vaccinati possano contrarre  e
trasmettere  contagio;   di   conseguenza,   dal   punto   di   vista
epidemiologico, vaccinati  e  non  vaccinati,  vanno  necessariamente
trattati,  quanto  meno,  come  soggetti  tra  loro   sostanzialmente
equivalenti»; che  l'art.  4-bis  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
modificato  dal  d.l.  n.  172  del   2021,   come   convertito,   e'
incompatibile  con  l'art.  52  CDFUE;  che  il  vaccino  e'   misura
inefficiente ed inefficace a perseguire il fine normativo. 
    4.4.- Anche la struttura sociosanitaria  convenuta  nel  giudizio
principale  ha  depositato  memoria  di  costituzione  nel   presente
giudizio  per  sostenere  l'inammissibilita',  o  comunque   la   non
fondatezza, delle questioni legittimita' costituzionale sollevate dal
Tribunale di Padova. 
    4.5.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o, in subordine, non fondate. 
    Le questioni sollevate sarebbero inammissibili per  inadeguata  o
carente motivazione sulla non manifesta infondatezza. 
    Con particolare riferimento alla prima questione, la difesa dello
Stato sostiene che il rimettente, con  un  sindacato  giurisdizionale
intrinseco   che   gli   e'   precluso,   revocherebbe   in    dubbio
l'attendibilita', congruenza  ed  esaustivita'  di  dati  scientifici
raccolti,  filtrati  e  interpretati  nel   tempo   dalle   autorita'
scientifico-sanitarie sulla efficacia dei  vaccini,  che  ritiene  di
superare invocando il «fatto notorio» della contagiosita'  anche  dei
soggetti  vaccinati  ed  il  dato  di  «comune  esperienza»  di   una
ragionevole  certezza  della  non  infezione  del  soggetto  che  sia
risultato negativo a tampone. Il Tribunale di Padova  perviene  cosi'
ad affermare l'inidoneita' della misura dell'obbligo vaccinale per il
personale  che  presti   servizio   nelle   strutture   residenziali,
socio-assistenziali e socio-sanitarie ad evitare il  diffondersi  del
contagio tra i soggetti fragili ospitati, e denuncia l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni laddove non prevedono in  sua  vece
l'obbligo  del  lavoratore  di  sottoporsi  al  test   molecolare   o
antigenico.  L'Avvocatura  generale   osserva   che   il   rimettente
intenderebbe rinnovare  in  una  sede  giudiziale  il  confronto  tra
diverse tesi scientifiche, mosso da  un  «inspiegabile  e  immotivato
sospetto di inattendibilita' delle fonti ufficiali», in  materia  che
non puo' essere esaminata e governata al di fuori  del  contesto  suo
proprio e da soggetti privi di specifica competenza. 
    Ad  avviso  della  difesa  statale,  un  ulteriore   profilo   di
inammissibilita'  delle  sollevate  questioni   discenderebbe   dalla
constatazione che il rimettente invoca un intervento in  una  materia
riservata alla discrezionalita' del legislatore, in  assenza  di  una
soluzione costituzionalmente obbligata. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   deduce   che   le
prospettate  questioni  di  legittimita'   costituzionale   sarebbero
comunque non fondate nel  merito,  atteso  che  l'obbligo  posto  nei
confronti degli esercenti le professioni sanitarie e degli  operatori
di interesse sanitario appare giustificato dalla constatazione che la
vaccinazione di tali categorie di lavoratori, unitamente  alle  altre
misure di protezione collettiva  e  individuale  per  la  prevenzione
della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e
negli  studi  professionali,  ha  valenza   multipla:   consente   di
salvaguardare   l'operatore    rispetto    al    rischio    infettivo
professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal  contagio  in
ambiente assistenziale e serve a difendere l'operativita' dei servizi
sanitari. 
    La difesa dello Stato evidenzia come, allo  stato  attuale  delle
evidenze scientifiche  disponibili,  la  vaccinazione  anti  COVID-19
rappresenti  uno  strumento  fondamentale   irrinunciabile   per   il
contrasto alla pandemia sia per la popolazione in  generale  sia  per
categorie specifiche come quella degli operatori sanitari e di quelli
a tal fine equiparati. Invero, - come rilevato dall'ISS -,  anche  se
l'efficacia vaccinale non e' pari al 100 per cento  (come  del  resto
per tutti  gli  altri  vaccini),  l'elevata  circolazione  del  virus
SARS-CoV-2 rende comunque rilevante  la  quota  di  casi  prevenibile
mediante la somministrazione dei vaccini. 
    In  questo  contesto,  l'immunizzazione  attiva  degli  operatori
sanitari rappresenta uno degli interventi piu' sicuri ed efficaci per
il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito sanitario  e  in
ambito comunitario. In particolare, la vaccinazione comporta benefici
di fondamentale importanza per la salute pubblica, poiche', riducendo
la circolazione virale, protegge e  tutela  i  pazienti,  soprattutto
quelli fragili e  ad  alto  rischio  di  sviluppare  forme  gravi  di
malattia.    Ulteriori    benefici     dell'immunizzazione     attiva
dell'operatore   sanitario   sarebbero   legati    alla    protezione
dell'operatore stesso e del  restante  personale  sanitario,  nonche'
all'impatto   sulla   riduzione   dell'assenteismo   lavorativo   per
malattia/isolamento/quarantena   che   determinerebbe   di   riflesso
l'interruzione dell'attivita' dell'operatore con un danno al  sistema
sanitario nazionale in termini di garanzia dell'offerta di assistenza
e continuita' di erogazione delle cure ai cittadini. 
    Circa la mancata operativita' dell'obbligo di repêchage in favore
di coloro che scelgono di non vaccinarsi, le argomentazioni difensive
svolte dal Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  coincidono  con
quelle gia' esposte a proposito del  giudizio  di  cui  all'ordinanza
iscritta al n. 71 reg. ord. 2022. 
    4.6.- Hanno depositato distinti atti di intervento ad adiuvandum,
chiedendo  di  accogliere  le  sollevate  questioni  di  legittimita'
costituzionale, ed altrimenti di valutare le rispettive memorie  come
opinioni scritte in qualita' di amici curiae, D. T. ed altri, A.  R.,
D. D. P. ed altri, L. B., M. A. ed altri, V. B. ed altri,  I.  D.  ed
altro,  P.  C.  ed  altri,  deducendo,  a  vario  titolo,  di  essere
lavoratori che hanno subito la sospensione per  mancato  assolvimento
dell'obbligo   vaccinale,    o    comunque    soggetti    interessati
all'adempimento di tale obbligo. 
    4.7.- Ha depositato atto di intervento altresi' la Azienda ULSS 8
Berica, chiedendo invece di dichiarare inammissibili e  comunque  non
fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dal
Tribunale di Padova. 
    4.8.- Hanno depositato opinioni scritte ex art. 4-ter delle Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
la Associazione  CoScienze  Critiche,  la  Associazione  EUNOMIS,  la
Associazione ANIEF, la Associazione di  studi  e  informazioni  sulla
salute  (ASSIS  APS)  e  la  Associazione   Coordinamento   nazionale
danneggiati da vaccino (CONDAV ODV) (le ultime due  senza  rispettare
il termine di venti  giorni  dalla  pubblicazione  dell'ordinanza  di
rimessione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana), tutte
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Padova. 
    4.9.- La parte, convenuta nel giudizio a quo, e l'Azienda ULSS  8
Berica hanno depositato memorie illustrative in data 9 novembre 2022. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 9 novembre  2022,  ribadendo  le  considerazioni
svolte nell'atto di intervento in punto di inammissibilita' o di  non
fondatezza delle questioni. 
    5.- Con ordinanza del 31 maggio  2022,  iscritta  al  n.  77  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  4  Cost.,
dell'art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e come
modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b),  del  d.l.  n.  172  del
2021, come convertito, nella parte in cui limita ai  soggetti  per  i
quali la vaccinazione puo' essere omessa o differita  l'adibizione  a
mansioni anche diverse, senza  decurtazione  della  retribuzione,  in
modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 e
non prevede che la medesima ipotesi si applichi anche  nei  confronti
del personale sanitario rimasto privo di vaccinazione per una  libera
scelta individuale. 
    5.1.- Il Tribunale di Brescia, pronunciando in  sede  di  reclamo
avverso il provvedimento che aveva negato la misura cautelare, espone
che le ricorrenti nel giudizio  a  quo  sono  dipendenti  di  azienda
ospedaliera  pubblica  in  qualita'  di  infermiere   ed   operatrici
sociosanitarie, destinatarie  di  provvedimento  di  sospensione  dal
lavoro,  le  quali  hanno  chiesto  in  via  di  urgenza  di   essere
reintegrate nel posto di lavoro, anche in  mansioni  diverse,  previo
test molecolare o antigenico, e nella retribuzione. 
    Il  Collegio  rimettente  evidenzia  che  il   tenore   letterale
dell'art. 4, comma 7, nella formulazione  vigente,  non  consente  di
riconoscere alle lavoratrici il diritto ad essere  reintegrate  e  di
percepire  le   retribuzioni,   ne'   in   via   di   interpretazione
costituzionalmente  orientata,  ne'  mediante  disapplicazione  delle
norme per contrasto con la CDFUE, giacche' la materia degli  obblighi
vaccinali non costituisce oggetto di disciplina dell'Unione. 
    In punto di non manifesta infondatezza  delle  censure  attinenti
all'art. 4, comma 7, il Tribunale afferma che, stante l'identita' del
rischio di diffusione del virus, e' incomprensibile il motivo per cui
l'obbligo  di  repêchage  debba  sussistere  soltanto  a  favore  dei
soggetti  esentati  dall'obbligo  vaccinale  o   per   i   quali   la
vaccinazione e' stata differita, e non anche a favore di  coloro  che
scelgano volontariamente di non vaccinarsi.  Questa  discriminazione,
nonostante la temporaneita' della misura interdittiva, sarebbe lesiva
del principio di eguaglianza e comprimerebbe il diritto al lavoro  di
coloro che abbiano deciso  di  non  vaccinarsi,  essendo  praticabili
soluzioni alternative, quali, ad esempio, il controllo  tramite  test
di  rilevazione  del  virus  o  l'assegnazione  a  mansioni   diverse
(ipotesi, quest'ultima, che era prevista per il  personale  sanitario
nell'originaria  formulazione  della   norma).   Pur   spettando   al
legislatore  di  stabilire  gli   effetti   dell'accertamento   della
violazione di un obbligo, la modifica peggiorativa, che non  consente
l'adibizione a mansioni anche diverse del  lavoratore  sanitario  che
non intende vaccinarsi, non sarebbe  giustificata  in  rapporto  agli
scopi primari della disciplina, costituiti dalla tutela della  salute
pubblica in una situazione emergenziale epidemiologica, nonche' della
sicurezza negli ambienti di lavoro. 
    5.2.-  Le  lavoratrici  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo   hanno
depositato memoria di costituzione, chiedendo di  dichiarare  fondate
le questioni di legittimita' costituzionale sollevate  dal  Tribunale
di Brescia. 
    5.3.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    5.4.- Hanno depositato opinioni scritte ex art. 4-ter delle Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti  e
la Associazione  ANIEF,  chiedendo  di  accogliere  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    5.5.- Le parti, ricorrenti nel giudizio a quo,  hanno  depositato
memoria illustrativa in data 9 novembre 2022. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 9 novembre  2022,  ribadendo  le  considerazioni
svolte nell'atto di intervento in punto di inammissibilita' o di  non
fondatezza delle questioni. 
    6.- Con ordinanza del 16 giugno  2022,  iscritta  al  n.  86  del
registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell'art. 4, comma 5, del d.l. n.
44 del 2021, come convertito, e come sostituito dall'art. l, comma l,
lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, nella parte in
cui, nel prevedere che «[p]er il  periodo  di  sospensione  non  sono
dovuti la retribuzione ne'  altro  compenso  o  emolumento,  comunque
denominati», nel periodo di prescritta  sospensione  dal  diritto  di
svolgere  l'attivita'  lavorativa  per   inadempimento   dell'obbligo
vaccinale  per  la  prevenzione  dell'infezione  da  SARS-CoV-2,   in
relazione agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di
interesse sanitario,  esclude  l'erogazione  dell'assegno  alimentare
previsto  dalla  legge  ovvero  dalla  contrattazione  collettiva  di
categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare. 
    6.1.- Il TAR Lombardia espone che la ricorrente  nel  giudizio  a
quo, operatrice sociosanitaria, dipendente a tempo  indeterminato  di
un'azienda sanitaria, ha domandato l'annullamento  dei  provvedimenti
di sospensione dal lavoro e di accertamento del  mancato  adempimento
dell'obbligo vaccinale, perche' adottati in violazione di legge.  Con
atto  per  motivi  aggiunti,  la  ricorrente  ha  poi   invocato   la
concessione  di  idonee  misure  cautelari  per  evitare   il   grave
pregiudizio e il danno  irreparabile  alla  soddisfazione  delle  sue
essenziali esigenze di vita, derivante dalla sospensione dal servizio
con integrale privazione del trattamento retributivo, anche in  forma
di riconoscimento di un assegno di natura assistenziale. 
    Il TAR ha ravvisato la non manifesta infondatezza delle questioni
di legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  4,  comma  5,  in
riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. La  norma  censurata,  secondo  il
rimettente, priverebbe per un  periodo  temporalmente  rilevante  gli
operatori sanitari, che non abbiano voluto vaccinarsi, di ogni  forma
di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita. 
    Il giudice a quo ha in via pregiudiziale ritenuto sussistente  la
propria giurisdizione, superando la contraria eccezione proposta  dai
resistenti, in quanto, pur rientrando il  rapporto  di  lavoro  della
ricorrente nell'ambito dell'impiego pubblico privatizzato, il petitum
sostanziale della controversia contesta l'effetto  legale  automatico
conseguente  all'esercizio  del  potere  vincolato  di   accertamento
dell'inadempimento   dell'obbligo   vaccinale,   ovvero   l'immediata
sospensione dal servizio senza la  previsione  di  una  retribuzione,
ancorche' ridotta, e  senza  l'attribuzione  di  adeguate  misure  di
sostegno. Pertanto, ad avviso del TAR  Lombardia,  pur  a  fronte  di
un'attivita'  amministrativa  priva   di   margini   di   valutazione
discrezionale, quale quella delineata dalla disciplina in  oggetto  a
tutela  dell'interesse  pubblico,   si   configura   una   situazione
soggettiva di interesse legittimo del privato, tale  da  radicare  la
giurisdizione del giudice amministrativo. 
    Il giudice rimettente ha quindi affermato che  la  privazione  di
ogni  forma  di  sostentamento  economico  durante  il   periodo   di
sospensione  dal  servizio  avrebbe  determinato  un   ingiustificato
peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti, sia
per  via  della  proroga  ex  lege  dell'obbligo  di   sottoporsi   a
vaccinazione, sia per via dell'abrogazione dell'obbligo  condizionato
del datore di lavoro di adibire il dipendente che non abbia adempiuto
all'obbligo vaccinale a mansioni diverse, anche inferiori e  comunque
prive  di  rischi  di  contagio,  con   attribuzione   del   relativo
trattamento economico. 
    Il TAR ha considerato la specialita'  della  norma  in  esame,  e
dunque  l'impossibilita'  di  pervenire  in  via  interpretativa   al
riconoscimento in favore della ricorrente dell'assegno alimentare,  e
ha espresso al riguardo dubbi di compatibilita' con il  principio  di
ragionevolezza,  per  la  gravita'  delle  conseguenze  subite  dalla
dipendente che, non potendo  documentare  un  serio  rischio  per  la
propria salute, tale da escludere, definitivamente o temporaneamente,
la sussistenza dell'obbligo vaccinale, abbia  esercitato  il  diritto
all'autodeterminazione  nella   scelta   dei   trattamenti   sanitari
obbligatori. 
    La disposizione censurata, secondo il rimettente,  contrasterebbe
anche  con  il  principio  di  proporzionalita',  sotto  il   profilo
dell'adeguatezza   della   preclusione   automatica   e   totale   di
qualsivoglia sostegno economico al dipendente  sospeso  dal  servizio
rispetto al fine di interesse pubblico ad essa sotteso, che e' quello
di evitare il diffondersi del contagio da SARS-CoV-2  negli  ambienti
sanitari  e  di  garantire  la   massima   sicurezza   dei   pazienti
nell'accesso  alle  cure.  Una  volta  eliminata   dalla   disciplina
legislativa la possibilita' per il datore di lavoro di ricollocare il
dipendente inadempiente all'obbligo  vaccinale  a  mansioni  diverse,
anche inferiori ma comunque retribuite, il  regime  vigente  comporta
per il lavoratore una scelta obbligata tra l'adempimento dell'obbligo
vaccinale e la sospensione dal servizio senza attribuzione  di  alcun
trattamento economico. 
    Il TAR osserva che la  temporaneita'  della  misura  interdittiva
adottata  dal  legislatore  non  appare  idonea  a  giustificare   il
sacrificio totale degli interessi antagonisti e che  la  soppressione
di  ogni  forma  di  sostegno  economico  per  un  periodo  di  tempo
consistente e potenzialmente  indeterminato  rischia  di  determinare
effetti pregiudizievoli ed irreversibili per la  soddisfazione  delle
essenziali esigenze di vita del dipendente che  non  abbia  adempiuto
all'obbligo vaccinale. L'obiettivo di tutela prefigurato dalla  norma
censurata avrebbe  potuto  essere  realizzato,  con  pari  efficacia,
secondo il  rimettente,  anche  con  il  piu'  mite  strumento  della
temporanea ricollocazione  del  lavoratore  a  mansioni  diverse,  da
svolgere  in  condizioni   di   sicurezza   e   compatibilmente   con
l'organizzazione del servizio (gia' contemplato dall'art. 4, comma 8,
del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella versione vigente sino
al 26 novembre 2021), o, nell'ipotesi in  cui  tale  soluzione  fosse
incompatibile  con  l'organizzazione  del   servizio,   mediante   la
previsione di un adeguato sostegno economico, con finalita'  analoghe
ai vigenti istituti di sussidio, quali l'assegno sociale o il reddito
di cittadinanza. 
    La privazione automatica ed assoluta di ogni  forma  di  sostegno
economico  per  l'intera  durata  del  periodo  di  sospensione   dal
servizio, senza possibilita' di prevedere adeguate misure di sostegno
economico, sembra al TAR  Lombardia  irragionevole  e  sproporzionata
anche  in  riferimento  al  principio  di   tutela   della   dignita'
dell'individuo, soprattutto  nel  caso  del  dipendente  sospeso  dal
servizio che  versi  in  condizioni  di  indigenza  e  che,  come  la
ricorrente, sia impossibilitato a procurarsi  altrimenti  il  reddito
necessario per attendere alle ordinarie esigenze  di  vita,  per  via
della conservazione dello  status  di  dipendente  pubblico  e  della
conservazione del posto di lavoro, previste quali  effetti  dell'atto
di accertamento, ancorche' favorevoli per il lavoratore. 
    6.2.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    6.3.- Ha depositato opinione scritta ex art.  4-ter  delle  Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal TAR Lombardia. 
    6.4.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria  illustrativa  in  data  9  novembre   2022,   ribadendo   le
considerazioni  svolte  nell'atto   di   intervento   in   punto   di
inammissibilita' o di non fondatezza delle questioni. 
    7.- Con ordinanza del 22 luglio 2022,  iscritta  al  n.  101  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e  3  Cost.,
dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,
nella  parte  in  cui,  nel  prevedere  che  «[p]er  il  periodo   di
sospensione, non sono dovuti la retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di  prescritta
sospensione  dal  diritto  di  svolgere  l'attivita'  lavorativa  per
inadempimento   dell'obbligo    vaccinale    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di  cui  alla
lettera c)  del  comma  1  della  citata  disposizione,  l'erogazione
dell'assegno alimentare previsto dall'art. 82 del  d.P.R.  n.  3  del
1957. 
    7.1.- Il Tribunale  di  Brescia  espone  che  la  ricorrente  nel
giudizio a quo e' una dipendente di azienda sociosanitaria,  invalida
al 60 per cento, dapprima posta in modalita' di lavoro agile, che non
ha completato il ciclo vaccinale per le complicanze  subite  dopo  la
somministrazione  della  prima  dose  e   percio'   destinataria   di
provvedimento di  sospensione  dal  lavoro  per  mancato  adempimento
dell'obbligo vaccinale. La medesima ricorrente ha percio' chiesto  in
via di urgenza di essere reintegrata nel  posto  di  lavoro  e  nella
retribuzione o, quanto meno, di poter ottenere l'assegno alimentare. 
    Il Tribunale di Brescia ha ripercorso  le  stesse  argomentazioni
contenute nell'ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022, censurando
l'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021. 
    7.2.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    7.3.- Ha depositato opinione scritta ex art.  4-ter  delle  Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    7.4.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria  illustrativa  in  data  9  novembre   2022,   ribadendo   le
considerazioni  svolte  nell'atto   di   intervento   in   punto   di
inammissibilita' o di non fondatezza delle questioni. 
    8.- Con ordinanza del 23 luglio 2022,  iscritta  al  n.  102  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e  3  Cost.,
dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,
nella  parte  in  cui,  nel  prevedere  che  «[p]er  il  periodo   di
sospensione, non sono dovuti la retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di  prescritta
sospensione  dal  diritto  di  svolgere  l'attivita'  lavorativa  per
inadempimento   dell'obbligo    vaccinale    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di  cui  alla
lettera c)  del  comma  1  della  citata  disposizione,  l'erogazione
dell'assegno alimentare previsto dall'art. 82 del  d.P.R.  n.  3  del
1957. 
    8.1.- Il Tribunale  di  Brescia  espone  che  le  ricorrenti  nel
giudizio  a  quo   sono   dipendenti   di   azienda   sociosanitaria,
destinatarie di provvedimento di sospensione dal lavoro  per  mancato
adempimento dell'obbligo vaccinale, le quali hanno chiesto  di  poter
ottenere l'assegno alimentare per tutto il periodo della sospensione. 
    Il Tribunale di Brescia ha ripercorso  le  stesse  argomentazioni
contenute nell'ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022, censurando
l'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito. 
    8.2.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    8.3.- Ha depositato opinione scritta ex art.  4-ter  delle  Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    8.4.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria  illustrativa  in  data  9  novembre   2022,   ribadendo   le
considerazioni  svolte  nell'atto   di   intervento   in   punto   di
inammissibilita' o di non fondatezza delle questioni. 
    9.- Con ordinanza del 22 agosto 2022,  iscritta  al  n.  107  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  4  Cost.,
dell'art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella
parte in cui limita ai soggetti per  i  quali  la  vaccinazione  puo'
essere omessa o differita, l'adibizione  a  mansioni  anche  diverse,
senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il  rischio
di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 
    Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e  3  Cost.,
dell'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella
parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non
sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque
denominati», esclude,  nel  periodo  di  prescritta  sospensione  dal
diritto  di  svolgere  l'attivita'   lavorativa   per   inadempimento
dell'obbligo  vaccinale  per   la   prevenzione   dell'infezione   da
SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui al comma 1 della  citata
disposizione, l'erogazione dell'assegno alimentare previsto dall'art.
42 del CCNL sanita' privata. 
    9.1.- Il Tribunale  di  Brescia  espone  che  la  ricorrente  nel
giudizio a quo e' dipendente  di  una  struttura  sanitaria  privata,
destinataria di provvedimento di sospensione dal lavoro  per  mancato
adempimento  dell'obbligo  vaccinale,  la   quale   ha   chiesto   la
riammissione in servizio  anche  con  diverse  mansioni  e  di  poter
ottenere l'assegno alimentare per tutto il periodo della sospensione,
come previsto dall'art. 42 del CNNL,  secondo  cui  «[a]l  dipendente
sospeso cautelativamente e'  concesso  un  assegno  alimentare  nella
misura non superiore alla meta' dello stipendio,  oltre  gli  assegni
per carichi di famiglia». 
    Il Tribunale di Brescia ha ripercorso  le  stesse  argomentazioni
contenute nell'ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022. 
    9.2.- La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha  depositato
memoria di costituzione, chiedendo di dichiarare fondate le questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal  Tribunale  di  Brescia,
ovvero di indicare una diversa interpretazione dell'art. 4, comma  5,
del d.l. n. 44 del  2021,  nel  senso  di  ritenere  comunque  dovuta
l'erogazione dell'assegno alimentare. 
    9.3.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    9.4.- Ha depositato opinione scritta ex art.  4-ter  delle  Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    9.5.- La parte ha  depositato  memoria  illustrativa  in  data  9
novembre 2022, con allegata documentazione. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 9 novembre  2022,  ribadendo  le  considerazioni
svolte nell'atto di intervento in punto di inammissibilita' o di  non
fondatezza delle questioni. 
    10.- Con ordinanza del 16 agosto 2022, iscritta  al  n.  108  del
registro ordinanze  2022,  il  Tribunale  ordinario  di  Brescia,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  4  Cost.,
dell'art. 4, comma 7, del d.l.  n.  44  del  2021,  come  convertito,
richiamato dall'art. 4-ter, comma 2, del citato decreto, nella  parte
in cui limita ai soggetti per i quali  la  vaccinazione  puo'  essere
omessa o differita, l'adibizione  a  mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 
    Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e  3  Cost.,
dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021,  come  convertito,
nella  parte  in  cui,  nel  prevedere  che  «[p]er  il  periodo   di
sospensione, non sono dovuti la retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di  prescritta
sospensione  dal  diritto  di  svolgere  l'attivita'  lavorativa  per
inadempimento   dell'obbligo    vaccinale    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2, in relazione al  personale  di  cui  al
comma  1,  lettera  c),  della  citata   disposizione,   l'erogazione
dell'assegno alimentare previsto dall'art. 82 del  d.P.R.  n.  3  del
1957. 
    10.1.- Il Tribunale di  Brescia  espone  che  la  ricorrente  nel
giudizio a quo e' una dipendente comunale  che  svolge  attivita'  di
operatore socioassistenziale in strutture di cui all'art.  8-ter  del
d.lgs. n. 502 del 1992, destinataria di provvedimento di  sospensione
dal lavoro per mancato adempimento dell'obbligo vaccinale,  la  quale
ha chiesto la riammissione in servizio anche con diverse  mansioni  e
di poter ottenere l'assegno alimentare per  tutto  il  periodo  della
sospensione, come previsto dall'art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957. 
    Il Tribunale di Brescia ha ripercorso  le  stesse  argomentazioni
contenute nell'ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022. 
    10.2.- La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha depositato
memoria di costituzione, chiedendo di dichiarare fondate le questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    10.3.-  Ha  depositato  atto  di  intervento  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili  o,  in  subordine,  non  fondate,  per   le   medesime
argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra. 
    10.4.- Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter  delle  Norme
integrative, vigente ratione temporis, la Associazione  Enrico  Toti,
chiedendo di accogliere le questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate dal Tribunale di Brescia. 
    10.5.- La parte ha depositato  memoria  illustrativa  in  data  8
novembre 2022. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 9 novembre  2022,  ribadendo  le  considerazioni
svolte nell'atto di intervento in punto di inammissibilita' o di  non
fondatezza delle questioni. 
    11.- Nella pubblica udienza  del  30  novembre  2022  sono  stati
dichiarati  inammissibili  gli  interventi  spiegati   nel   giudizio
iscritto al n. 76 reg. ord. 2022. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del
lavoro (nei giudizi iscritti ai numeri 47, 71, 77, 101,  102,  107  e
108 reg. ord. 2022), il Tribunale ordinario di Catania,  in  funzione
di giudice del lavoro (nel giudizio  iscritto  al  n.  70  reg.  ord.
2022), il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di  giudice  del
lavoro (nel giudizio iscritto  al  n.  76  reg.  ord.  2022),  ed  il
Tribunale amministrativo regionale per  la  Lombardia  (nel  giudizio
iscritto al n. 86 reg. ord. 2022) hanno sollevato, con riferimento ai
parametri di volta  in  volta  evocati  e  comunque  complessivamente
riconducibili agli artt. 2, 3, 4, 32,  secondo  comma,  e  35  Cost.,
identiche o analoghe questioni di legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 4, comma 7, nonche' dell'art. 4-ter,  comma  2,  del
d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte  in  cui,  per  gli
esercenti le professioni  sanitarie  e  gli  operatori  di  interesse
sanitario  e  per  il  personale  che  svolge  la  propria  attivita'
lavorativa nelle strutture sanitarie e  sociosanitarie,  limitano  ai
soggetti per i quali la vaccinazione puo' essere omessa  o  differita
l'adibizione a  mansioni  anche  diverse,  senza  decurtazione  della
retribuzione, in  modo  da  evitare  il  rischio  di  diffusione  del
contagio da SARS-CoV-2, e non prevedono che la  medesima  ipotesi  si
applichi  anche  nei  confronti  del  personale  rimasto   privo   di
vaccinazione per una libera scelta individuale; 
    b) dell'art. 4, comma 5, nonche' dell'art. 4-ter,  comma  3,  del
d.l. n. 44 del  2021,  come  convertito,  nella  parte  in  cui,  nel
prevedere che «[p]er il periodo di sospensione  non  sono  dovuti  la
retribuzione ne' altro compenso o emolumento,  comunque  denominati»,
escludono, in relazione agli esercenti  le  professioni  sanitarie  e
agli operatori di interesse sanitario, nonche' al  personale  di  cui
alla lettera a) (personale scolastico) ed alla lettera c)  (personale
occupato nelle strutture di cui all'art. 8-ter del d.lgs. n. 502  del
1992)  del  comma  1  dell'art.  4-ter,   l'erogazione   dell'assegno
alimentare  previsto  dalla   legge   ovvero   dalla   contrattazione
collettiva  di  categoria  in  caso  di   sospensione   cautelare   o
disciplinare nel periodo  di  sospensione  dal  diritto  di  svolgere
l'attivita' lavorativa per inadempimento dell'obbligo  vaccinale  per
la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. 
    L'ordinanza di rimessione proveniente  dal  Tribunale  di  Padova
(iscritta al n. 76 reg. ord.  2022)  riguarda  poi  anche  gli  artt.
4-bis, comma 1, e 4, commi 1, 4 e 5 del d.l. n.  44  del  2021,  come
convertito, modificati dapprima  dal  d.l.  n.  172  del  2021,  come
convertito, e poi dal d.l. n. 24 del  2022,  come  convertito,  nella
parte in cui  prevedono  per  i  lavoratori  impiegati  in  strutture
residenziali,   socio-assistenziali   e   socio-sanitarie   l'obbligo
vaccinale, anziche' l'obbligo di sottoporsi indifferentemente al test
molecolare, al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure  al
test antigenico rapido di ultima generazione, per la  rilevazione  di
SARS-CoV-2. 
    2.- Per l'ampia  coincidenza  delle  questioni  sollevate  e  dei
parametri evocati, i dieci giudizi possono essere  riuniti  e  decisi
con unica sentenza. 
    3.-  In  via  preliminare,  deve  essere  confermata  l'ordinanza
dibattimentale, allegata a questa sentenza, con la quale  sono  stati
dichiarati inammissibili gli interventi spiegati da D.  T.  ed  altri
cinque, A. R., D. D.P. ed altri otto, L. B., M. A. ed altri ventotto,
V. B. ed altri quarantanove, I. D. e C. M., P. C. ed altri cinque,  e
dalla  Azienda  ULSS  n.  8  Berica  nel  giudizio  di   legittimita'
costituzionale iscritto al n. 76 reg. ord. 2022. 
    Non puo', peraltro, accogliersi la richiesta,  formulata  in  via
subordinata da alcuni intervenienti,  di  valutare  i  loro  atti  di
intervento come opinioni scritte ai sensi dell'art. 4-ter delle Norme
integrative, vigente ratione temporis: da un lato,  infatti,  possono
rivestire, in forza di tale disposizione, la qualita' di amici curiae
unicamente le formazioni sociali senza scopo di lucro  e  i  soggetti
istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi  attinenti
alla  questione  di  costituzionalita';  dall'altro,  due   istituti,
(l'intervento  e  l'opinio  dell'amicus  curiae)   significativamente
diversi quanto a presupposti e  modalita'  processuali,  non  possono
concorrere nello stesso atto, ne' in via alternativa ne' subordinata. 
    Del resto, questa Corte ha gia' piu' volte  sottolineato  che  la
ratio dell'intervento nel  giudizio  costituzionale  e'  radicalmente
diversa, anche sotto  il  profilo  della  legittimazione,  da  quella
sottesa alle opinioni degli amici curiae, come diversi sono i termini
per  l'ingresso  in  giudizio  e  le  relative  facolta'  processuali
(sentenze n. 259, n. 221 e n. 121 del 2022). 
    4.- Non sono fondate  le  eccezioni  di  inammissibilita'  svolte
negli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Le ordinanze di rimessione recano una  adeguata  motivazione,  in
punto di non manifesta infondatezza, delle questioni di  legittimita'
costituzionale sollevate, indicando le  ragioni  per  le  quali  sono
evocati i parametri di volta in volta menzionati. 
    I rimettenti hanno, inoltre, ritenuto preclusa  l'interpretazione
costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, in ragione
della  loro  univoca  formulazione  letterale,  e  cio'  consente  di
superare il vaglio  di  ammissibilita'  delle  questioni  incidentali
sollevate, attenendo  invece  al  merito,  e  cioe'  alla  successiva
verifica di fondatezza delle questioni stesse, la correttezza o  meno
dell'esegesi presupposta (ex multis, sentenze n. 219  e  n.  174  del
2022, n. 204 e n. 172 del 2021, n. 150 del 2020 e n. 189 del 2019). 
    Infine,   non   possono   essere   accolte   le   eccezioni    di
inammissibilita'   formulate   per   l'assenza   di   una   soluzione
costituzionalmente obbligata  con  riguardo  alla  previsione  di  un
obbligo  vaccinale  per  alcune  categorie  di  lavoratori  ed   alle
conseguenze che le norme censurate riconnettono all'inadempimento  di
tale obbligo, quanto, in particolare, alla mancata erogazione  di  un
assegno alimentare in favore del lavoratore sospeso ed  alla  mancata
adibizione dello stesso a mansioni anche diverse, senza  decurtazione
della retribuzione: invero, i rimettenti hanno chiesto di colmare  le
lacune conseguenziali  all'eventuale  accoglimento  delle  questioni,
riconoscendo  tali  diritti  ai  lavoratori   sospesi   per   mancato
assolvimento dell'obbligo di vaccinazione, mentre l'aspetto  inerente
alla correttezza di siffatte integrazioni afferisce al  merito  delle
questioni (ex multis, sentenza n. 233 del 2018). 
    5.- Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal TAR
Lombardia con l'ordinanza iscritta al n. 86  del  registro  ordinanze
2022 sono inammissibili. 
    Il  Tribunale  rimettente,  invero,  disattendendo  la  contraria
eccezione  proposta  dai  resistenti,  ha  ritenuto  sussistente   la
giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto,  pur  rientrando
il  rapporto  di  lavoro  dedotto  nel  giudizio  a  quo  nell'ambito
dell'impiego pubblico  privatizzato,  il  petitum  sostanziale  della
controversia  contesta  l'effetto   legale   automatico   conseguente
all'esercizio del potere vincolato di accertamento dell'inadempimento
dell'obbligo vaccinale, ovvero l'immediata sospensione  dal  servizio
senza la previsione di una retribuzione, ancorche' ridotta,  e  senza
l'attribuzione di adeguate misure di sostegno.  Pertanto,  ad  avviso
del TAR, pur a fronte di un'attivita' amministrativa priva di margini
di valutazione discrezionale, quale quella delineata dalla disciplina
in oggetto a tutela dell'interesse pubblico,  si  configurerebbe  una
situazione soggettiva di interesse legittimo  del  privato,  tale  da
radicare la giurisdizione del giudice amministrativo. 
    5.1.- Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
difetto   di   giurisdizione   del   giudice    a    quo    determina
l'inammissibilita' delle questioni, per difetto di rilevanza,  quando
sia palese e rilevabile ictu oculi (ex plurimis, sentenze n.  79  del
2022, n. 65 e n. 57 del 2021, n. 267 e n. 99 del  2020,  n.  189  del
2018, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999). 
    Qualora sussista l'evidenza del vizio, o nel giudizio a quo siano
state sollevate specifiche eccezioni a riguardo,  come  nel  caso  di
specie, e' richiesta al giudice rimettente una motivazione  esplicita
(sentenze n. 65 del 2021 e n. 267  del  2020),  rispetto  alla  quale
spetta a questa Corte una verifica esterna e strumentale al riscontro
della rilevanza delle questioni (sentenze n. 24 del 2020, n.  52  del
2018 e n. 269 del 2016). 
    Orbene, la motivazione, alla stregua della quale il rimettente ha
ritenuto di disattendere l'eccezione di difetto di giurisdizione  del
giudice   amministrativo,   non   supera   il   vaglio   della    non
implausibilita' al quale si attiene questa Corte  in  relazione  alla
verifica   della   rilevanza   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale sollevate in via incidentale. 
    Invero, nel giudizio principale e' stato  chiesto  l'annullamento
degli atti  di  accertamento  del  mancato  adempimento  dell'obbligo
vaccinale e di sospensione dal lavoro adottati, nei confronti di  una
operatrice sociosanitaria, da  un'azienda  sanitaria  pubblica.  Come
riconosciuto  dallo  stesso  TAR  rimettente,  i   provvedimenti   in
questione sono stati emessi nell'ambito di  un  rapporto  di  impiego
pubblico contrattualizzato, in relazione al  quale  la  giurisdizione
spetta, in via generale, al giudice  ordinario.  In  particolare,  la
giurisdizione appartiene al giudice ordinario qualora la domanda  del
dipendente pubblico, individuata sulla base del  petitum  sostanziale
in funzione della  causa  petendi,  miri  alla  tutela  di  posizioni
giuridiche soggettive afferenti al rapporto di lavoro,  asseritamente
violate da atti illegittimi, tra  cui  un  atto  di  sospensione  dal
servizio. 
    Del resto, le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con
ordinanza 29 settembre 2022, n. 28429, hanno affermato,  in  un  caso
analogo a quello  in  questa  sede  in  esame,  che  appartiene  alla
giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto
l'annullamento  dell'atto   di   sospensione   dall'esercizio   della
professione sanitaria per mancata ottemperanza all'obbligo  vaccinale
introdotto dall'art. 4 del d.l. n.  44  del  2021,  come  convertito,
venendo primariamente in rilievo il diritto soggettivo  a  continuare
ad esercitare la professione sanitaria. 
    In  conformita'  a  tale  orientamento,  l'evidente  carenza   di
giurisdizione  del  giudice  rimettente  comporta  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate dal TAR Lombardia. 
    6.- In via  di  preliminare  definizione  del  thema  decidendum,
occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte,  secondo
cui l'oggetto del giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via
incidentale e' limitato alle norme  e  ai  parametri  indicati  nelle
ordinanze  di  rimessione,  con  esclusione  della  possibilita'   di
ampliare lo stesso al  fine  di  ricomprendervi  questioni  formulate
dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 198 del 2022, n. 230,  n.  203,
n. 147 e n. 49 del 2021, n. 186 del 2020 e n. 7 del 2019). 
    Non  puo'  quindi  essere   esaminata   la   distinta   questione
prospettata dalla parte costituita nel giudizio  iscritto  al  n.  76
reg. ord. 2022, volta a denunciare il contrasto dell'art.  4-bis  del
d.l. n. 44 del 2021, come modificato dal d.l. n. 172 del  2021,  come
convertito, con l'art. 52 (recte: 53) CDFUE. Ne', tanto meno, possono
essere prese in  considerazione  le  richieste  avanzate  dall'ANIEF,
amicus curiae nel giudizio iscritto al  n.  47  reg.  ord.  2022,  di
verificare la legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter.2 del  d.l.
n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dal d.l. n. 24 del  2022,
in riferimento agli artt.  2,  3,  11  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 20 e 21 CDFUE. 
    7.- Prima di procedere  all'esame  delle  questioni  nel  merito,
appare opportuno effettuare una sia pur sintetica  ricostruzione  del
quadro normativo, caratterizzato da una rapida  evoluzione,  connessa
all'andamento della crisi pandemica da COVID-19  e  alle  progressive
acquisizioni scientifiche validate dagli organismi tecnici preposti. 
    7.1.- Le disposizioni  sottoposte  al  giudizio  di  legittimita'
costituzionale sono contenute nell'ambito delle misure in materia  di
tutela   della   salute   adottate   per   fronteggiare   l'emergenza
epidemiologica  da   COVID-19,   valutata   come   «pandemia»   dalla
dichiarazione  dell'Organizzazione  mondiale  della   sanita'   (OMS)
dell'11 marzo 2020, in considerazione dei livelli di  diffusivita'  e
gravita' raggiunti a livello globale. Il d.l. n. 44  del  2021,  come
convertito, in particolare, era volto, tra l'altro, a disciplinare in
maniera omogenea sul territorio nazionale  le  attivita'  dirette  al
contenimento dell'epidemia e alla riduzione dei rischi per la  salute
pubblica, con riferimento soprattutto alle  categorie  piu'  fragili,
anche alla luce  dei  dati  e  delle  conoscenze  medico-scientifiche
acquisite. 
    7.2.- La relazione al d.l. n 44 del 2021  affermava,  cosi',  che
«[i]n considerazione dei dati sulla  diffusione  del  SARS-CoV-2  sul
territorio nazionale, in termini di numero di casi e  dell'indice  di
trasmissibilita' dell'infezione, nonche' in  relazione  al  tasso  di
occupazione delle strutture ospedaliere  e  dei  reparti  di  terapia
intensiva, e' ormai evidente come la vaccinazione costituisca un'arma
imprescindibile  nella  lotta  alla  pandemia,  configurandosi   come
un'irrinunciabile   opportunita'   di   protezione   individuale    e
collettiva». In prosieguo la relazione aggiungeva:  «[l]'introduzione
di un siffatto obbligo per  le  categorie  professionali  considerate
nasce  dalla  constatazione  che  la  vaccinazione  degli   operatori
sanitari, unitamente alle altre misure  di  protezione  collettiva  e
individuale  per  la  prevenzione  della  trasmissione  degli  agenti
infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi  professionali,  ha
valenza multipla: consente di salvaguardare l'operatore  rispetto  al
rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti
dal  contagio  in  ambiente  assistenziale  e   serve   a   difendere
l'operativita' dei servizi sanitari,  garantendo  la  qualita'  delle
prestazioni erogate, e contribuisce a  perseguire  gli  obiettivi  di
sanita' pubblica». 
    Con l'art. 4 del d.l.  n.  44  del  2021,  come  convertito,  «in
considerazione  della  situazione  di  emergenza  epidemiologica   da
SARS-CoV-2» e' stato introdotto l'obbligo vaccinale per gli esercenti
le professioni sanitarie e gli operatori di interesse  sanitario  «al
fine di tutelare la salute pubblica e mantenere  adeguate  condizioni
di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». 
    Il  comma  1  stabilisce  che  «[l]a   vaccinazione   costituisce
requisito essenziale per  l'esercizio  della  professione  e  per  lo
svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati». 
    Il comma 2 prevede che  la  vaccinazione  puo'  essere  omessa  e
differita in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a
specifiche condizioni cliniche documentate attestate  dal  medico  di
medicina generale. 
    Nell'iniziale formulazione dell'art. 4 era previsto, al comma  6,
che «[l]'adozione dell'atto di  accertamento  da  parte  dell'azienda
sanitaria locale [dell'inadempimento all'obbligo vaccinale] determina
la sospensione dal diritto di svolgere  prestazioni  o  mansioni  che
implicano contatti interpersonali o comportano,  in  qualsiasi  altra
forma, il rischio di  diffusione  del  contagio  da  SARS-CoV-2».  Il
successivo comma 8 stabiliva che il datore di lavoro  provvedesse  ad
adibire «il lavoratore, ove possibile, a mansioni,  anche  inferiori,
diverse  da  quelle  indicate  al  comma  6,   con   il   trattamento
corrispondente alle mansioni esercitate»,  sicche'  solo  quando  non
fosse possibile l'assegnazione a mansioni  diverse,  non  comportanti
rischi di diffusione del contagio, non era  dovuta  la  retribuzione,
ne' «altro compenso o emolumento, comunque denominato». 
    L'originario comma 10 dell'art. 4, con riguardo ai soggetti per i
quali la vaccinazione dovesse  essere  omessa  o  differita,  onerava
invece il datore di lavoro  di  assegnare  comunque  i  lavoratori  a
mansioni anche diverse, in modo da evitare il rischio  di  diffusione
del contagio da SARS-CoV-2, «senza decurtazione della retribuzione». 
    Il d.l. n. 172 del 2021, come convertito, ha prorogato la  durata
dell'obbligo vaccinale, estendendola di sei mesi a decorrere  dal  15
dicembre 2021; ha ampliato la platea dei destinatari dell'obbligo  di
vaccinazione;  ha  mutato  competenze  e   procedimento   in   ordine
all'accertamento del mancato adempimento dell'obbligo  vaccinale;  ha
disposto che l'atto di accertamento dell'inadempimento,  adottato  da
parte  dell'Ordine  professionale  territorialmente  competente,  «ha
natura dichiarativa  e  non  disciplinare»;  ha  ricondotto  ad  esso
l'effetto   della   «immediata   sospensione   dall'esercizio   delle
professioni  sanitarie»;  ha  stabilito  che  «[p]er  il  periodo  di
sospensione non sono dovuti la  retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati»  (art.  4,  comma  5);  ha  limitato
l'obbligo datoriale di adibire a mansioni anche diverse con  riguardo
ai soli lavoratori ai quali, a causa di  accertato  pericolo  per  la
salute, la vaccinazione debba essere  omessa  o  differita  (art.  5,
comma 7). 
    L'obbligo vaccinale e' stato poi esteso: 
    - ai lavoratori comunque  impiegati  in  strutture  residenziali,
socio-assistenziali e socio-sanitarie (art. 4-bis del d.l. n. 44  del
2021, introdotto dal d.l. n. 122 del 2021, poi sostituito dalla legge
n. 133 del 2021, di  conversione  del  d.l.  n.  111  del  2021,  poi
modificato dal d.l. n. 172 del 2021 e dal  d.l.  n.  24  del  2022  e
rispettive leggi di conversione); per questo  personale  il  comma  4
dell'art. 4-bis, mediante rinvio  al  comma  3  dell'art.  4-ter,  ha
comportato  sempre  che  l'atto  di  accertamento  dell'inadempimento
dell'obbligo vaccinale determina l'immediata sospensione dal  diritto
di svolgere l'attivita' lavorativa, senza conseguenze disciplinari  e
con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro; e che, per  il
periodo di sospensione, non sono dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso  o  emolumento,  comunque  denominati;  non  e'  contemplato
l'onere datoriale di adibire ad altre mansioni il lavoratore che  non
abbia voluto vaccinarsi; 
    - al personale delle strutture sanitarie e sociosanitarie di  cui
all'art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 (art. 4-ter del d.l. n.  44
del 2021, introdotto dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito);  per
questo personale il comma 3 dell'art. 4-ter prevede sempre che l'atto
di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata  sospensione
dal diritto di svolgere  l'attivita'  lavorativa,  senza  conseguenze
disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro;
e che per il periodo di sospensione, non sono dovuti la  retribuzione
ne'  altro  compenso  o  emolumento,  comunque  denominati;  non   e'
contemplato  l'onere  datoriale  di  adibire  ad  altre  mansioni  il
lavoratore che non abbia voluto vaccinarsi; 
    - al personale scolastico del sistema  nazionale  di  istruzione,
delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per  l'infanzia  di
cui all'art.  2  del  decreto  legislativo  13  aprile  2017,  n.  65
(Istituzione del sistema integrato  di  educazione  e  di  istruzione
dalla nascita sino a sei anni, a norma dell'articolo 1, commi  180  e
181, lettera e), della legge 13 luglio  2015,  n.  107),  dei  centri
provinciali per l'istruzione degli adulti, dei sistemi  regionali  di
istruzione e formazione professionali e  dei  sistemi  regionali  che
realizzano i percorsi di istruzione e  formazione  tecnica  superiore
(art. 4-ter, comma 1, lettera a,  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
convertito, introdotto dall'art. 1 del d.l. n.  172  del  2021,  come
convertito); per tale personale, il comma 3 del medesimo  art.  4-ter
prevedeva che l'atto di accertamento dell'inadempimento  determinasse
l'immediata  sospensione  dal   diritto   di   svolgere   l'attivita'
lavorativa,  senza  conseguenze  disciplinari  e  con  diritto   alla
conservazione del rapporto  di  lavoro  e  che,  per  il  periodo  di
sospensione, non fossero dovuti la retribuzione ne' altro compenso  o
emolumento, comunque denominati. Il comma 4 del medesimo  art.  4-ter
prevedeva, poi, che i dirigenti scolastici  e  i  responsabili  delle
dette  istituzioni  provvedessero  alla  sostituzione  del  personale
docente, educativo ed amministrativo, tecnico e  ausiliario  sospeso,
mediante l'attribuzione di contratti a tempo determinato, destinati a
risolversi di diritto  nel  momento  in  cui  i  soggetti  sostituiti
potessero riprendere l'attivita'  lavorativa,  avendo  nel  frattempo
adempiuto all'obbligo vaccinale. L'art. 8, comma 4, del  d.l.  n.  24
del 2022, come convertito, ha introdotto, in una fase di  regressione
della pandemia (vedi relazione al disegno di legge di conversione  di
tale decreto-legge), l'art. 4-ter.1, che  non  ha  piu'  previsto  il
divieto di svolgimento dell'attivita' lavorativa, e  l'art.  4-ter.2,
che ha invece dettato  una  specifica  disciplina  per  il  personale
docente ed educativo della scuola, imponendo al dirigente scolastico,
in caso di inosservanza  dell'obbligo  vaccinale,  di  utilizzare  il
docente  in  attivita'  di   supporto   all'istituzione   scolastica;
attivita', questa, giova aggiungere, delineata  dalla  contrattazione
collettiva di settore; 
    -  al  personale  del  comparto  difesa,  sicurezza  e   soccorso
pubblico, della polizia locale, degli organismi di cui alla  legge  3
agosto  2007,  n.  124,  recante  «Sistema  di  informazione  per  la
sicurezza della Repubblica e nuova  disciplina  del  segreto»,  (art.
4-ter, comma 1, lettera b, del d.l. n. 44 del 2021, come  convertito,
introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del  2021,  come  convertito).
Per questo personale, il comma 3 dell'art. 4-ter prevedeva sempre che
l'atto di accertamento  dell'inadempimento  determinasse  l'immediata
sospensione dal diritto di  svolgere  l'attivita'  lavorativa,  senza
conseguenze  disciplinari  e  con  diritto  alla  conservazione   del
rapporto di lavoro; e che per il periodo di sospensione, non  fossero
dovuti la retribuzione ne'  altro  compenso  o  emolumento,  comunque
denominati; non era contemplato l'onere datoriale di adibire ad altre
mansioni il lavoratore che non avesse voluto vaccinarsi.  Anche  tale
personale  e'  stato  poi  assoggettato  alla  disciplina   dell'art.
4-ter.1; 
    - al personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attivita'
lavorativa  alle  dipendenze  del  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria e all'interno degli istituti penitenziari per adulti  e
minori (art. 4-ter, comma 1, lettera c, del d.l. n. 44 del 2021, come
convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n.  172  del  2021,  come
convertito, e poi art. 4-ter.1); 
    - al personale  delle  universita',  delle  istituzioni  di  alta
formazione artistica, musicale e  coreutica  degli  istituti  tecnici
superiori, nonche'  dei  Corpi  forestali  delle  regioni  a  statuto
speciale (art. 2, comma 1, lettera a, del d.l. n. 1  del  2022,  come
convertito); in considerazione  della  tecnica  normativa  utilizzata
(inserimento  nell'art.  4-ter  del  d.l.  n.  44  del   2021,   come
convertito, del comma 1-bis), anche a questo personale si applicavano
le gia' ricordate disposizioni di cui al comma 3  del  medesimo  art.
4-ter, per essere poi assoggettato alla disciplina dell'art. 4-ter.1; 
    - agli studenti dei corsi di laurea impegnati  nello  svolgimento
di   tirocini   pratico-valutativi   finalizzati   al   conseguimento
dell'abilitazione all'esercizio di professioni sanitarie (comma 1-bis
dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, introdotto dalla legge n. 3  del
2022, di conversione del d.l. n. 172 del 2021); per questa categoria,
la previsione dell'obbligo mediante inserimento nell'ambito dell'art.
4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, comporta l'applicabilita'
alla stessa delle disposizioni per cui  la  vaccinazione  costituisce
requisito   essenziale    per    l'esercizio    della    professione,
l'accertamento  del  mancato  assolvimento   dell'obbligo   determina
l'immediata sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie  e
per il periodo di sospensione non sono  dovuti  la  retribuzione  ne'
altro compenso o emolumento, comunque denominato; 
    - agli ultracinquantenni (art. 4-quater del d.l. n. 44 del  2021,
introdotto dal d.l. n. 1 del  2022,  convertito,  con  modificazioni,
nella legge n. 18 del 2022); l'art. 4-sexies del d.l. n. 44 del 2021,
inserito dal medesimo d.l. n. 1 del 2022, ha previsto  l'applicazione
di una sanzione amministrativa pecuniaria di euro cento  in  caso  di
inosservanza degli obblighi  vaccinali  imposti  dall'art.  4-quater,
nonche' dagli artt. 4, 4-bis e 4-ter, sulla base di vari  riferimenti
temporali, questa sanzione e' stata poi estesa, in forza del d.l.  n.
24 del 2022, ai casi di inosservanza dell'obbligo di cui  agli  artt.
4-ter.1 e 4-ter.2. 
    7.3.- Quanto alla durata dell'obbligo vaccinale, questa e'  stata
originariamente stabilita sino alla  completa  attuazione  del  piano
vaccinale di cui all'art. 1, comma 457, della legge n. 178  del  2020
(nell'ambito del quale erano stati individuati gli operatori sanitari
e  sociosanitari  sia  pubblici  che   privati   tra   le   categorie
prioritarie,  in  considerazione  del   rischio   piu'   elevato   di
esposizione all'infezione da COVID-19 e di trasmissione della  stessa
a  pazienti  suscettibili  e  vulnerabili  in  contesti  sanitari   e
sociali), e comunque non oltre il 31  dicembre  2021;  e'  stata  poi
prorogata al 15 giugno 2022 per effetto dell'art.  1,  comma  1,  del
d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e ancora al 31 dicembre  2022;
questo termine e' stato infine anticipato al 1° novembre 2022, con il
decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in  materia  di
divieto di concessione dei benefici penitenziari  nei  confronti  dei
detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in
materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022,
n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di  prevenzione
e contrasto dei  raduni  illegali),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, in considerazione,  per  quanto
si legge nel preambolo dello stesso, «dell'andamento della situazione
epidemiologica che registra una diminuzione dell'incidenza  dei  casi
di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della  trasmissibilita'
sebbene al di sopra della soglia epidemica [e  della]  necessita'  di
riavviare un progressivo ritorno alla  normalita'  nell'attuale  fase
post pandemica, nella quale l'obiettivo da perseguire e' il controllo
efficace dell'endemia». 
    8.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale,  indicate  nel
precedente punto 1 attengono, dunque, alla disciplina degli  obblighi
vaccinali, e alle conseguenti ricadute sul rapporto di lavoro in caso
di  inosservanza  dell'obbligo,  per  gli  esercenti  le  professioni
sanitarie e gli operatori di interesse sanitario,  per  i  lavoratori
impiegati   in   strutture   residenziali,    socioassistenziali    e
sociosanitarie nonche' nelle strutture  di  cui  all'art.  8-ter  del
d.lgs. n. 502 del 1992 e per il personale scolastico. 
    9.- Per il loro carattere logicamente preliminare, perche' aventi
ad oggetto l'introduzione dell'obbligo vaccinale  come  tale  per  le
riferite categorie di lavoratori del settore  della  sanita',  devono
essere scrutinate dapprima le questioni sollevate  dal  Tribunale  di
Padova nei confronti dell'art. 4-bis, comma 1, e all'art. 4, commi 1,
4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, modificati  dapprima
dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi dal d.l. n.  24  del
2022, come convertito, censurati in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e
35 Cost. 
    10.- Tali questioni non sono fondate in riferimento ad alcuno dei
parametri evocati. 
    10.1.- Occorre, innanzitutto, precisare che tra questi  parametri
non possono essere considerati quelli desumibili dal  regolamento  UE
n. 953/2021 e dal principio di proporzionalita', di cui all'art.  52,
paragrafo 3, CDFUE. Difetta,  invero,  ogni  riferimento,  tanto  nel
dispositivo  dell'ordinanza   di   rimessione,   quanto   nella   sua
motivazione, all'art. 117, primo comma, Cost., eventualmente invocato
insieme all'art. 11 Cost., che costituiscono il tramite attraverso il
quale  e'  possibile  dedurre,  in  un   giudizio   di   legittimita'
costituzionale, la violazione, da parte di una disposizione di  legge
nazionale, della normativa europea (ordinanza n. 215 del 2022). 
    Deve, pertanto, ritenersi che  gli  indicati  richiami  contenuti
nell'ordinanza di rimessione altro valore non abbiano che  quello  di
concorrere a delineare la portata e il significato delle disposizioni
costituzionali evocate. 
    10.2.- Giova preliminarmente ricordare che, in base alla costante
giurisprudenza  costituzionale,  l'imposizione  di   un   trattamento
sanitario, e di un obbligo vaccinale, in particolare, puo'  ritenersi
compatibile con l'art. 32 Cost., al ricorrere di tre presupposti: «a)
"se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o  a  preservare
lo stato di salute di chi vi e' assoggettato, ma anche  a  preservare
lo stato di salute degli altri, giacche' e'  proprio  tale  ulteriore
scopo, attinente alla salute come interesse  della  collettivita',  a
giustificare la compressione di quella  autodeterminazione  dell'uomo
che inerisce al diritto di ciascuno alla  salute  in  quanto  diritto
fondamentale" (cfr. sentenza n. 307 del  1990);  b)  se  vi  sia  "la
previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di
colui che vi e' assoggettato, salvo che per quelle sole  conseguenze,
che, per la loro temporaneita' e scarsa entita', appaiano normali  di
ogni intervento sanitario e,  pertanto,  tollerabili"  (ivi);  c)  se
nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del  soggetto  sottoposto
al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta  per
contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque
la corresponsione di una "equa indennita'" in favore del  danneggiato
(cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992)» (sentenza n. 258
del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 5 del 2018). 
    10.2.1.- Il Tribunale di Padova dubita che ricorra  il  primo  di
tali presupposti, cioe' che, nella specie, il trattamento imposto con
l'obbligo vaccinale sia stato diretto a migliorare o a preservare  lo
stato di salute di chi vi e' stato assoggettato e quello degli  altri
consociati. 
    A differenza del Consiglio di  giustizia  amministrativa  per  la
Regione Siciliana (ordinanza  iscritta  al  n.  38  reg.  ord.  2022,
anch'essa discussa nella udienza pubblica del  30  novembre,  su  cui
questa Corte si e' pronunciata con la sentenza n. 14  del  2023),  il
Tribunale   di   Padova   non   prospetta   dubbi   di   legittimita'
costituzionale quanto alla incidenza negativa sullo stato  di  salute
di colui che e' assoggettato al trattamento sanitario obbligatorio. 
    L'ordinanza di  rimessione,  infatti,  sul  rilievo  che  per  il
personale  soggetto  all'obbligo  vaccinale  (nel  caso  di   specie,
lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e
socio-sanitarie) il trattamento sanitario  e'  stato  imposto  non  a
tutela della salute dei lavoratori, ma di  quella  degli  ospiti  che
ricevono  cura  ed  assistenza  in  tali   strutture,   ritiene   che
quell'obbligo non sarebbe idoneo a raggiungere lo scopo di preservare
la salute degli ospiti, essendo notorio il fatto che la  persona  che
si e' sottoposta al ciclo vaccinale puo' comunque contrarre il  virus
e quindi contagiare gli altri. Gli stessi dati offerti  dall'ISS  nei
rapporti relativi all'andamento  delle  infezioni  e  alla  efficacia
vaccinale pubblicati il 21 gennaio e il 6 aprile  2022  denoterebbero
una progressiva diminuzione dell'efficacia  dei  vaccini.  In  questo
contesto, sostiene il Tribunale, la garanzia che un lavoratore che si
sia sottoposto a vaccinazione non si infetti  successivamente  e  non
possa quindi contagiare nessuno sarebbe pari a  zero;  al  contrario,
sia pure per un tempo limitato, l'effettuazione  di  un  tampone  con
risultato negativo offrirebbe  una  garanzia  della  inesistenza  del
virus e della impossibilita' di  contagiare  certamente  superiore  a
zero. 
    La compressione del diritto alla salute, sub  specie  di  diritto
all'autodeterminazione   terapeutica,   non    troverebbe,    quindi,
giustificazione   nell'esigenza   di   tutelare   l'interesse   della
collettivita', e segnatamente l'interesse alla  salute  degli  ospiti
delle strutture considerate, con conseguente violazione dell'art.  32
Cost. e irragionevolezza della misura. 
    Il rimettente sottopone, quindi, a questa Corte il  dubbio  sulla
legittimita' costituzionale della norma che ha  introdotto  l'obbligo
vaccinale per il personale sanitario, cosi' privilegiando  la  tutela
della salute come interesse  della  collettivita',  a  scapito  della
tutela della salute del singolo individuo. 
    10.3.- Secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
contemperamento del diritto alla salute del singolo (comprensivo  del
profilo negativo di non essere assoggettato  a  trattamenti  sanitari
non richiesti o non accettati) con  l'interesse  della  collettivita'
costituisce il contenuto proprio dell'art. 32 Cost.  (sentenze  n.  5
del 2018, n. 258 del 1994 e  n.  307  del  1990)  e  rappresenta  una
specifica concretizzazione dei doveri di solidarieta' di cui all'art.
2 Cost., nella quale si manifesta «la base della  convivenza  sociale
normativamente prefigurata  dal  Costituente»  (sentenza  n.  75  del
1992). 
    E la sentenza n. 218 del 1994 ha avuto modo di affermare  che  la
tutela della salute implica anche il «dovere  dell'individuo  di  non
ledere ne' porre a rischio con il  proprio  comportamento  la  salute
altrui, in osservanza del principio generale che vede il  diritto  di
ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale
protezione  del  coesistente  diritto  degli  altri.  Le  simmetriche
posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi
essenziali della comunita', che possono richiedere la  sottoposizione
della persona a trattamenti sanitari  obbligatori,  posti  in  essere
anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la  soggezione
di essa ad oneri particolari». 
    10.3.1.- Le misure approntate dal legislatore  non  possono,  nel
caso di specie, non essere valutate tenendo  conto  della  situazione
determinata  da  «un'emergenza  sanitaria  dai   tratti   del   tutto
peculiari» (sentenza n. 37 del 2021). 
    Peculiarita',  si   deve   sottolineare,   risultante   anche   e
soprattutto dalle  indicazioni  formulate  dai  competenti  organismi
internazionali. 
    Invero, l'OMS, con la  dichiarazione  del  30  gennaio  2020,  ha
valutato l'epidemia da COVID-19 come un'emergenza di sanita' pubblica
di rilevanza internazionale. 
    Successivamente, in considerazione dei livelli di diffusivita'  e
gravita' raggiunti a livello globale, con  la  dichiarazione  dell'11
marzo  2020,  l'OMS  ha  valutato  la   situazione   sanitaria   come
«pandemia». 
    L'OMS, la Commissione europea ed altri  organismi  internazionali
si sono impegnati  da  subito  per  il  coordinamento  della  ricerca
scientifica e la successiva somministrazione del vaccino. 
    Gia' il 20 aprile 2020 l'Assemblea generale delle  Nazioni  Unite
ha adottato una risoluzione volta a consentire che gli Stati agissero
in  modo  unito  e  coordinato  contro  la  pandemia,  auspicando  un
rafforzamento  della  cooperazione  internazionale   finalizzata   in
particolare alla ricerca di trattamenti farmacologici specifici. 
    Il 19 maggio 2020 l'Assemblea  dell'OMS  ha  invitato  gli  Stati
membri a promuovere attivita' di ricerca volte alla  scoperta  di  un
vaccino da rendere disponibile alle popolazioni di tutti gli Stati. 
    La Commissione europea, quindi, ha elaborato una strategia comune
per l'impiego dei vaccini attraverso le Comunicazioni del  17  giugno
2020 (Strategia dell'Unione europea per i vaccini contro la Covid-19)
e del 15 ottobre 2020 (Preparazione per le strategie di  vaccinazione
e la diffusione di vaccini contro la COVID-19). 
    Il  Consiglio  d'Europa  ha  poi  approvato  la  risoluzione   n.
2361/2021 del 27 gennaio 2021, relativa  alla  distribuzione  e  alla
somministrazione  dei  vaccini,  sottolineando  la  necessita'  della
massima collaborazione fra gli  Stati  per  assicurare  una  campagna
vaccinale efficiente. 
    In Italia, il Consiglio dei ministri, con  deliberazione  del  31
gennaio 2020, ha dichiarato, unicamente ai sensi e  per  gli  effetti
dell'art. 7, comma 1, lettera  c),  e  dell'art.  24,  comma  1,  del
decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.  1  (Codice  della  protezione
civile), lo stato di emergenza sanitaria  sul  territorio  nazionale,
per sei mesi, proprio in relazione al rischio connesso all'insorgenza
di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. 
    Lo  stato  di  emergenza  e'  stato  poi  prorogato  con  diversi
provvedimenti fino al 31 marzo 2022, e solo con il  d.l.  n.  24  del
2022, come convertito, ne e' stata disposta la cessazione. 
    Proprio per effetto dell'intervento pubblico e del sostegno  dato
alla  ricerca  scientifica,  sono  stati  approntati   -   in   tempi
particolarmente rapidi - vari vaccini finalizzati  a  contrastare  la
diffusione del virus. Una volta che questi sono divenuti disponibili,
si e' quindi proceduto alla predisposizione di  uno  specifico  piano
strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione  delle  infezioni
da SARS-CoV-2 (decreti del Ministro della salute 2 gennaio e 12 marzo
2021, adottati ai sensi dell'art. 1, comma 457, della  legge  n.  178
del 2020) e, solo nell'aprile del 2021, e' stato introdotto l'obbligo
vaccinale qui in discussione. 
    E'  importante  sottolineare   sin   d'ora   che   l'obbligo   di
vaccinazione e' stato gradualmente introdotto  dal  legislatore  solo
dopo alcuni mesi dall'avvio della campagna vaccinale di cui al citato
piano, tenendo conto, evidentemente, della non completa adesione allo
stesso nell'ambito delle categorie  interessate.  Il  legislatore  ha
quindi reputato necessaria l'imposizione  dell'obbligo  «al  fine  di
tutelare la  salute  pubblica  e  mantenere  adeguate  condizioni  di
sicurezza nell'erogazione delle prestazioni  di  cura  e  assistenza»
(art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito). 
    Alla luce di tale premessa, questa Corte e' chiamata  a  valutare
se l'imposizione  dell'obbligo  vaccinale  fosse  compatibile  con  i
principi costituzionali. 
    10.3.2.- In questa prospettiva - nel complesso  presa  in  esame,
unitamente alla presente pronuncia, anche  e  piu'  ampiamente  dalla
richiamata sentenza n. 14 del  2023  -,  l'evoluzione  della  ricerca
scientifica   e   le   determinazioni   assunte   dalle    autorita',
sovranazionali  e  nazionali  preposte  alla  tutela  della   salute,
assumono un rilievo assai significativo. E' costante, infatti,  nella
giurisprudenza costituzionale l'affermazione  per  cui  il  sindacato
sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore  di  incidere
sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto  il  profilo  della
liberta'  di  autodeterminazione,  va  effettuato  alla  luce   della
concreta situazione sanitaria  ed  epidemiologica  in  atto.  Invero,
nelle ipotesi di conflitto tra i  diritti  contemplati  dall'art.  32
Cost., la discrezionalita' del legislatore  «deve  essere  esercitata
alla luce delle  diverse  condizioni  sanitarie  ed  epidemiologiche,
accertate dalle autorita' preposte» (sentenze n. 5 del 2018 e n.  268
del 2017). Significative sono altresi' le  «acquisizioni,  sempre  in
evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il  legislatore
nell'esercizio delle sue scelte in materia (cosi', la  giurisprudenza
costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n.  282  del
2002)» (sentenza n. 5 del 2018). 
    Un intervento in tali ambiti, dunque, «non  potrebbe  nascere  da
valutazioni  di   pura   discrezionalita'   politica   dello   stesso
legislatore, bensi' dovrebbe prevedere  l'elaborazione  di  indirizzi
fondati sulla verifica dello stato delle  conoscenze  scientifiche  e
delle  evidenze  sperimentali  acquisite,   tramite   istituzioni   e
organismi - di norma nazionali o sovranazionali -  a  cio'  deputati»
(sentenze n. 162 del  2014  e  n.  8  del  2011),  anche  in  ragione
dell'«"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli  organi
tecnico-scientifici" (cfr. sentenza n.  185  del  1998);  o  comunque
dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica»  (sentenza
n. 282 del 2002). 
    Di tali presupposti risulta, del resto, essere  stata  pienamente
consapevole l'autorita' competente in materia. Si legge, infatti, nel
Piano strategico nazionale dei vaccini approvato con il  citato  d.m.
12 marzo 2021, che «[L]e raccomandazioni [sui  gruppi  target  a  cui
offrire la vaccinazione] saranno  soggette  a  modifiche  e  verranno
aggiornate  in  base   all'evoluzione   delle   conoscenze   e   alle
informazioni su efficacia vaccinale e/o  immunogenicita'  in  diversi
gruppi  di  eta'  e  fattori  di  rischio,  sulla   sicurezza   della
vaccinazione  in  diversi  gruppi  di  eta'  e  gruppi   a   rischio,
sull'effetto del vaccino sull'acquisizione  dell'infezione,  e  sulla
trasmissione o sulla protezione da forme gravi di malattia [...]». 
    10.3.3.- Il fatto che il legislatore  abbia  operato  le  proprie
scelte  sulla   base   di   valutazioni   e   di   dati   di   natura
medico-scientifica, tuttavia, non vale a sottrarre quelle  scelte  al
sindacato di questa Corte, ma comporta che lo stesso dovra' avere  ad
oggetto   l'accertamento   della   non   irragionevolezza   e   della
proporzionalita' della disciplina rispetto al dato scientifico  posto
a disposizione. 
    Gia' la sentenza n. 114 del 1998, infatti, ha chiarito che quando
la scelta legislativa si fonda su riferimenti  scientifici,  «perche'
si  possa   pervenire   ad   una   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale occorre che i dati sui quali  la  legge  riposa  siano
incontrovertibilmente  erronei  o  raggiungano  un  tale  livello  di
indeterminatezza da non consentire in alcun modo una  interpretazione
ed una applicazione razionali da parte del giudice». 
    10.3.4.- Si deve allora verificare se la scelta  del  legislatore
di introdurre l'obbligo vaccinale per gli operatori  sanitari,  anche
alla luce della situazione pandemica esistente, sia coerente rispetto
alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza  n.  5  del
2018), quali risultanti dalle rilevazioni  e  dagli  studi  elaborati
dagli  organismi  (nazionali  e   sovranazionali)   istituzionalmente
preposti al settore,  e  in  particolare  dall'Agenzia  italiana  del
farmaco (AIFA), dall'ISS e  dall'Agenzia  europea  per  i  medicinali
(EMA). 
    Si sono gia' ricordati, sia pure sinteticamente (punto  10.3.1.),
l'importanza attribuita alla  ricerca  scientifica  finalizzata  alla
predisposizione di vaccini efficaci  contro  il  virus  SARS-CoV-2  e
l'impegno degli organismi sovranazionali  nel  rendere  possibile  la
vaccinazione della popolazione nella misura piu' ampia. E'  opportuno
rilevare anche che la ridotta disponibilita' iniziale di dosi ha reso
necessario procedere all'attuazione del piano  vaccinale  prevedendo,
appunto, la vaccinazione del personale sanitario in  via  prioritaria
(alla possibile, assai limitata disponibilita' delle dosi di  vaccino
all'inizio dell'attuazione del programma vaccinale fa riferimento  il
gia' citato Piano strategico vaccinale). L'introduzione  dell'obbligo
vaccinale per il personale sanitario deve quindi essere collocata  in
una fase nella quale il legislatore ha dovuto, dapprima, tenere conto
della   effettiva   disponibilita'   di   trattamenti   vaccinali   e
successivamente,  estendere  l'obbligo  in  questione   a   ulteriori
categorie, secondo valutazioni fondate sul  necessario  bilanciamento
tra costi e benefici. 
    La disciplina introdotta dall'art. 4 del d.l.  n.  44  del  2021,
come convertito, ha  poi  subito  nel  tempo  diverse  modifiche,  in
relazione  sia  alle  categorie  alle  quali  doveva  essere   esteso
l'obbligo vaccinale, sia alle  conseguenze  legate  all'inadempimento
dello stesso, sia, infine, all'individuazione della sua durata, sulla
base del piu'  generale  presupposto  -  gia'  ricordato  -  che  gli
interventi normativi finalizzati alla  riduzione  della  circolazione
del virus dovessero essere  calibrati  rispetto  all'andamento  della
situazione sanitaria e delle acquisizioni scientifiche. 
    In particolare, la disposizione  censurata,  nella  sua  versione
originaria, prevedeva una precisa  scadenza  dell'obbligo  vaccinale,
fissata al 31 dicembre 2021. 
    L'ambito soggettivo era limitato dal comma 1 dell'art. 4 del d.l.
n. 44 del  2021  agli  «esercenti  le  professioni  sanitarie  e  gli
operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attivita' nelle
strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali,  pubbliche
e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali».
In sede di conversione, l'obbligo e' stato riferito  agli  «esercenti
le professioni sanitarie e gli operatori di  interesse  sanitario  di
cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che
svolgono la loro attivita' nelle strutture sanitarie,  sociosanitarie
e socio-assistenziali, pubbliche e  private,  nelle  farmacie,  nelle
parafarmacie e negli studi professionali». Nel tempo,  e  sulla  base
dell'andamento dell'evoluzione  della  pandemia,  nonche'  di  scelte
conseguenti alle determinazioni circa la frequenza  delle  scuole  in
presenza, alle categorie indicate al precedente punto 7.2. 
    La durata dell'obbligo e' stata piu' volte modificata, sempre  in
base all'andamento  dei  contagi  e  all'evoluzione  della  pandemia,
subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre  2022,  per  poi  essere
infine anticipata, come detto, al 1° novembre 2022. 
    11.- Tanto  premesso,  si  puo'  ora  procedere  all'esame  delle
censure formulate dal Tribunale di Padova. 
    11.1.- Contrariamente all'assunto  del  giudice  rimettente,  gli
stessi dati esposti nei rapporti dell'ISS  menzionati  nell'ordinanza
di rimessione, lungi  dall'evidenziare  la  inutilita'  dei  vaccini,
dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale  della  campagna  di
vaccinazione,  l'efficacia  del  vaccino  -  intesa  quale  riduzione
percentuale del  rischio  rispetto  ai  non  vaccinati  -  sia  stata
altamente  significativa   tanto   nel   prevenire   l'infezione   da
SARS-CoV-2, quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come  tale
efficacia sia  aumentata  in  rapporto  al  completamento  del  ciclo
vaccinale. 
    «[I]n presenza di un  virus  respiratorio  altamente  contagioso,
diffuso in modo ubiquo nel mondo, e  che  puo'  venire  contratto  da
chiunque (sentenza n. 127 del 2022)», la decisione del legislatore di
introdurre l'obbligo vaccinale in  esame  (nei  limiti  soggettivi  e
temporali  di  cui  si  e'  detto)  non   puo',   dunque,   reputarsi
irragionevole,  in  quanto  e'  sorretta  dalle   indicazioni   delle
competenti Autorita'  nazionali  e  sovranazionali  alla  luce  della
gravita' della situazione che  tale  vaccinazione  era  destinata  ad
affrontare. 
    La scelta si e' rivelata, altresi', ragionevolmente correlata  al
fine perseguito di ridurre la circolazione del  virus  attraverso  la
somministrazione dei vaccini. 
    La  stessa  circostanza,  evidenziata  dal  rimettente,  che   il
Ministero  della  salute  abbia  dichiarato   «tassativamente   falsa
l'affermazione secondo cui se ho fatto il vaccino contro SARS-CoV-2 e
anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e
non posso trasmettere l'infezione agli altri», non vale ad  inficiare
la scelta operata dal legislatore  di  prescrivere,  per  le  diverse
categorie degli operatori sanitari, l'obbligo vaccinale,  ma  solo  a
rendere  consapevoli   i   soggetti   vaccinati   della   inevitabile
impossibilita' di restare del tutto immuni dalla malattia  e,  ancora
prima, dal  contagio.  Invero,  l'affermazione  che  un  vaccino  sia
efficace solo se esso produca una  immunizzazione  pari  al  100  per
cento delle somministrazioni, da un lato, non puo' ritenersi sorretta
da un'adeguata dimostrazione  scientifica;  dall'altro,  non  esclude
affatto che, in una  situazione  caratterizzata  da  una  rapidissima
circolazione del virus, i vaccini fossero idonei  a  determinare  una
significativa riduzione di quella circolazione,  con  ricadute  tanto
piu' apprezzabili in ambienti  o  in  luoghi  destinati  ad  ospitare
persone fragili o, comunque, bisognose di assistenza. 
    Come osservato dall'ISS, «anche se l'efficacia vaccinale  non  e'
pari al 100 per cento (come del resto per tutti gli  altri  vaccini),
l'elevata circolazione del virus SARS CoV-2 rende comunque  rilevante
la  quota  di  casi  prevenibile  mediante  la  somministrazione  dei
vaccini» (sul punto, e piu' in generale sui dati medico-scientifici a
disposizione del legislatore, si veda anche la  sentenza  n.  14  del
2023, punti 10 e seguenti). 
    In base  a  tali  considerazioni,  l'imposizione  di  un  obbligo
vaccinale selettivo, come condizione di idoneita' per  l'espletamento
di attivita' che espongono gli operatori ad un potenziale rischio  di
contagio,  e  dunque  a  tutela  della  salute  dei  terzi  e   della
collettivita', si connota quale misura sufficientemente validata  sul
piano scientifico. 
    11.2.- Puo' quindi affermarsi che le disposizioni  qui  censurate
hanno operato un contemperamento del diritto alla  liberta'  di  cura
del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e  con
l'interesse della collettivita'. L'estensione dell'obbligo  vaccinale
ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali
e sociosanitarie (le quali vengono in rilievo  nel  giudizio  a  quo,
potendosi comunque  riferire  la  medesima  valutazione  a  tutte  le
strutture sanitarie, pubbliche e  private)  ha  costituito,  in  tale
prospettiva, attuazione dell'art. 32 Cost., inteso quest'ultimo  come
comprensivo del dovere dell'individuo  di  non  ledere  ne'  porre  a
rischio con il proprio comportamento la salute altrui, prevenendo  il
rischio di diffusione del  contagio  da  SARS-CoV-2  in  danno  delle
categorie piu' fragili. 
    E  si  e'  trattato  di  decisione  idonea  allo  scopo  che   il
legislatore si era prefisso, in quanto l'obbligo  vaccinale  per  gli
operatori sanitari ha consentito di perseguire, oltre che  la  tutela
della salute di una delle categorie piu'  esposte  al  contagio,  «il
duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e  di
evitare l'interruzione di servizi essenziali  per  la  collettivita'»
(sentenza n. 268 del 2017). 
    In particolare, era necessario assumere iniziative che, nel  loro
complesso, consentissero di proteggere la salute dei singoli e, ad un
tempo, di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio  di  non
poter svolgere la propria insostituibile funzione per la mancanza  di
operatori sanitari. In proposito, e' agevole rilevare che il contagio
subito dal personale sanitario ha ricadute non solo sulla salute  dei
singoli,  potendo  dallo  stesso  derivare  la   compromissione   del
funzionamento del servizio sanitario nazionale in un periodo in  cui,
come visto, era indispensabile poter su di esso fare affidamento  per
assicurare cure adeguate ad una imprevedibile quantita' di malati. 
    Del resto, questa Corte - esaminando una legge regionale  che  ha
previsto la facolta' della Giunta regionale di individuare i  reparti
dove consentire l'accesso ai soli operatori che si  fossero  attenuti
alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente
per i soggetti a rischio per  esposizione  professionale  -  ha  gia'
avuto modo di valorizzare, con riferimento  alla  vaccinazione  degli
operatori sanitari, lo «scopo di prevenire e proteggere la salute  di
chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella  dei  pazienti,  che
spesso si trovano in condizione di fragilita' e sono esposti a  gravi
pericoli  di  contagio,  quella  dei  loro  familiari,  degli   altri
operatori e, solo di riflesso, della  collettivita'.  Tale  finalita'
[...] e' del resto oggetto di  attenzione  da  parte  delle  societa'
medico-scientifiche, che  segnalano  l'urgenza  di  mettere  in  atto
prassi adeguate  a  prevenire  le  epidemie  in  ambito  ospedaliero,
sollecitando anzitutto un  appropriato  comportamento  del  personale
sanitario,  per  garantire  ai  pazienti  la  sicurezza  nelle  cure»
(sentenza n. 137 del 2019). 
    11.3.- Non puo' certamente ritenersi che  la  previsione,  per  i
lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e
socio-sanitarie,  dell'obbligo  di  sottoporsi  a  test   diagnostici
dell'infezione da SARS-CoV-2 con una elevata frequenza,  anziche'  al
vaccino,  costituisca  un'alternativa  idonea   ad   evidenziare   la
irragionevolezza o la non proporzionalita' della soluzione  prescelta
dal legislatore. 
    Invero, la soluzione alternativa proposta dal rimettente e' stata
utilizzata in ambiti piu' generali, per l'accesso ai luoghi  pubblici
da  parte  di  persone  non  appartenenti  a  categorie  soggette   a
vaccinazione  obbligatoria.  Tuttavia,  non  puo'  non  considerarsi,
innanzitutto, che, nel caso degli operatori sanitari, tale  soluzione
sarebbe stata del tutto inidonea  a  prevenire  la  malattia  (specie
grave)  degli  stessi  operatori,  con  il  conseguente  rischio   di
compromettere il  funzionamento  del  servizio  sanitario  nazionale.
Inoltre, l'effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza
particolarmente ravvicinata (e cioe' ogni due o tre  giorni)  avrebbe
avuto  costi  insostenibili   e   avrebbe   comportato   uno   sforzo
difficilmente tollerabile per il sistema  sanitario,  gia'  impegnato
nella  gestione  della  pandemia  (in  tal  senso   vedi   anche   le
considerazioni contenute nella sentenza n. 14 del 2023). 
    La circostanza - evidenziata  dal  rimettente  -  che  i  tamponi
possono essere effettuati anche presso le farmacie  e  che  il  costo
degli stessi e' a carico del lavoratore interessato, non tiene  conto
del fatto che la gestione dei tamponi grava interamente sul  servizio
sanitario nazionale (si veda, in proposito, la sentenza  n.  171  del
2022, con la quale e' stata ritenuta non irragionevole la scelta  del
legislatore nazionale di escludere le parafarmacie dalla possibilita'
di  effettuare  tamponi  per  l'accertamento  del  virus  SARS-CoV-2,
proprio sul rilievo dell'inserimento del sistema  delle  farmacie,  e
solo di queste, nell'ambito del servizio sanitario nazionale). 
    Non  appare  percio'  irragionevole  la  scelta  legislativa   di
estendere l'obbligo vaccinale ai lavoratori  impiegati  in  strutture
residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, e, in genere, ai
lavoratori del  settore  della  sanita',  per  aver  indebitamente  e
sproporzionatamente   sacrificato   la   libera    autodeterminazione
individuale in vista della tutela  degli  altri  beni  costituzionali
coinvolti  ed  evitato  di  propendere  per  l'opzione   alternativa,
propugnata dal Tribunale di Padova, di prescrivere la  sottoposizione
dei lavoratori  di  tale  comparto  a  periodici  test  molecolari  o
antigenici per la rilevazione di SARS-CoV-2. 
    11.4.-  La  decisione  del  legislatore  risulta   altresi'   non
sproporzionata. 
    La  conseguenza   del   mancato   adempimento   dell'obbligo   e'
rappresentata  dalla  sospensione  dall'esercizio  delle  professioni
sanitarie, che e' destinata a venire  meno  in  caso  di  adempimento
dell'obbligo e, comunque, per la  cessazione  dello  stato  di  crisi
epidemiologica. Il correlato sacrificio  del  diritto  dell'operatore
sanitario non ha la natura e gli effetti di  una  sanzione  (come  di
seguito si chiarira' ai punti  12.1.  e  14.4.),  non  eccede  quanto
necessario per il raggiungimento degli scopi  pubblici  di  riduzione
della circolazione del virus, e' stato costantemente modulato in base
all'andamento della situazione sanitaria e si rivela altresi'  idoneo
e necessario a questo stesso fine. 
    11.5.- Sulla base  delle  considerazioni  sin  qui  svolte,  deve
essere dichiarata non fondata, in  riferimento  agli  artt.  3  e  32
Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4-bis,
comma 1, e 4, commi 1,  4  e  5,  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
convertito e successivamente modificato. 
    12.- La questione e' altresi' non fondata  con  riferimento  agli
artt. 4 e 35 Cost. 
    12.1.-  All'inosservanza   dell'obbligo   vaccinale,   la   legge
impositiva   dello    stesso    attribuisce    rilevanza    meramente
sinallagmatica, cioe' solo sul piano degli  obblighi  e  dei  diritti
nascenti dal  contratto  di  lavoro,  quale  evento  determinante  la
sopravvenuta  e  temporanea  impossibilita'  per  il  dipendente   di
svolgere attivita' lavorative che comportassero, in  qualsiasi  altra
forma e in considerazione delle necessita' dell'ambiente di cura,  il
rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 
    Essendo  la  vaccinazione  elevata  dalla   legge   a   requisito
essenziale per l'esercizio della professione  e  per  lo  svolgimento
delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati,  il  datore
di  lavoro,  messo  a   conoscenza   della   accertata   inosservanza
dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, e'  stato  tenuto  ad
adottare  i  provvedimenti  di  sospensione  dal  servizio  e   dalla
retribuzione fino  all'assolvimento  dell'obbligo  vaccinale,  ovvero
fino al completamento del piano vaccinale nazionale o  comunque  fino
al termine stabilito dalla stessa legge. 
    In tal  senso,  la  sospensione  del  lavoratore  non  vaccinato,
prevista dalla disposizione censurata, e' in sintonia  con  l'obbligo
di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art.  2087  del  codice
civile e dall'art. 18 del decreto legislativo 9 aprile  2008,  n.  81
(Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto  2007,  n.  123,  in
materia di tutela della  salute  e  della  sicurezza  nei  luoghi  di
lavoro), con valenza integrativa  del  contenuto  sinallagmatico  del
contratto individuale di lavoro. Avendo riguardo alla  posizione  dei
lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 ha, a sua volta, ampliato
il novero  degli  obblighi  di  cura  della  salute  e  di  sicurezza
prescritti dall'art. 20 del d.lgs. n.  81  del  2008,  nonche'  degli
obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279
per i lavoratori addetti a particolari attivita'. 
    12.2.- Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei  principi
enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost., avuto riguardo al dipendente  che
abbia scelto di non adempiere all'obbligo  vaccinale,  nell'esercizio
della  liberta'  di  autodeterminazione  individuale  attinente  alle
decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32  Cost.,
non  implica  necessariamente  il  diritto  di  svolgere  l'attivita'
lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela
della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di
sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. 
    Non e' dunque in discussione il diritto del lavoratore, esercente
una professione sanitaria  o  operatore  di  interesse  sanitario,  o
impiegato   in   strutture   residenziali,    socioassistenziali    e
sociosanitarie, che non abbia inteso assolvere all'obbligo vaccinale,
di  rendere  la  propria  prestazione  lavorativa.  E'  piuttosto  da
verificare  se  il  legislatore,  disponendo   la   sospensione   del
lavoratore dal servizio fino all'assolvimento  di  detto  obbligo,  o
fino al completamento del piano vaccinale nazionale, o ancora fino al
termine stabilito dalla stessa normativa, pur nell'ampio  margine  di
apprezzamento di cui dispone al fine di dettare i tempi ed i modi del
bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4, 32 e 35  Cost.,  abbia
trascurato  il  rispetto   dei   principi   di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza (sentenze n. 125 del 2022, n. 59 del 2021 e n. 194 del
2018). 
    Il che, per le ragioni esposte (supra, punti 11.1.  e  seguenti),
deve escludersi. 
    13.- Devono ora affrontarsi le  questioni  relative  all'art.  4,
comma 7, nonche' all'art. 4-ter, comma 2, del d.l. n.  44  del  2021,
come convertito,  sollevate,  in  riferimento  complessivamente  agli
artt. 3, 4, 32 e 35 Cost. nei giudizi di cui ai numeri  71,  76,  77,
107 e 108 reg. ord. 2022, nella parte in cui, per  gli  esercenti  le
professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e per il
personale che svolge la propria attivita' lavorativa nelle  strutture
sanitarie e sociosanitarie, limitano  ai  soggetti  per  i  quali  la
vaccinazione puo' essere omessa o differita l'adibizione  a  mansioni
anche diverse, senza decurtazione  della  retribuzione,  in  modo  da
evitare il rischio di diffusione del contagio da  SARS-CoV-2,  e  non
prevedono che la medesima disciplina si applichi anche nei  confronti
del personale rimasto privo di vaccinazione  per  una  libera  scelta
individuale. 
    13.1.- I  rimettenti  osservano  che  le  disposizioni  censurate
discriminano  ingiustificatamente,  ai  fini  della   ricollocazione,
coloro che  scelgano  di  non  vaccinarsi,  a  differenza  di  quanto
stabilito per i soggetti per i  quali  la  vaccinazione  puo'  essere
omessa o differita, oppure per  il  personale  docente  ed  educativo
della scuola, con  riferimento  al  quale  e'  imposto  al  dirigente
scolastico  di  utilizzare  il  lavoratore  inadempiente  all'obbligo
vaccinale in attivita' di supporto alla istituzione scolastica. 
    13.2.- Anche tali questioni devono essere dichiarate non fondate. 
    13.3.-  Si  sono  delineati  nel  precedente  punto  7  i  tratti
caratterizzanti del d.l. n. 44 del 2021, come  convertito,  in  forza
del quale  il  legislatore  ha  imposto  temporaneamente  un  obbligo
selettivo di vaccinazione  a  lavoratori  che  prestano  servizio  in
alcuni settori connotati da una percentuale di rischio di contagio da
SARS-CoV-2,  in  considerazione   della   situazione   di   emergenza
epidemiologica da SARS-CoV-2  e  allo  scopo  altresi'  di  mantenere
adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di
cura e  assistenza.  Connotandosi  la  vaccinazione  come  «requisito
essenziale per l'esercizio della professione  e  per  lo  svolgimento
delle prestazioni lavorative  dei  soggetti  obbligati»,  la  mancata
sottoposizione ad essa ha dato luogo a una  sopravvenuta  provvisoria
impossibilita' per il dipendente  di  svolgere  attivita'  lavorative
comportanti il rischio di  diffusione  del  contagio.  Il  datore  di
lavoro, venuto a conoscenza della inosservanza dell'obbligo vaccinale
da  parte  del  lavoratore,  e'  stato  vincolato  ad   adottare   il
provvedimento di sospensione dal servizio. 
    13.4.- A fronte dell'iniziale soluzione prescelta nella  versione
originaria dell'art. 4, comma 8,  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
convertito,  che  onerava  il  datore  di  lavoro  ad  adibire,  «ove
possibile, a mansioni, anche inferiori», purche'  diverse  da  quelle
che implicassero contatti interpersonali o comportassero  il  rischio
di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, a  seguito  della  modifica
introdotta dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, sulla base  dei
dati prodotti dall'ISS nel novembre 2021, il legislatore ha scelto di
non esigere piu' dal  datore  di  lavoro,  nei  rapporti  riguardanti
lavoratori  esercenti  le  professioni  sanitarie  o   operatori   di
interesse  sanitario,  o   impiegati   in   strutture   residenziali,
socio-assistenziali  e  socio-sanitarie  (a  differenza   di   quanto
stabilito per il personale docente ed educativo  della  scuola),  uno
sforzo  di  cooperazione  volto  alla  utilizzazione  del   personale
inadempiente  in  altre  mansioni,  mediante  adozione   di   diverse
modalita' di esecuzione delle rispettive prestazioni lavorative. 
    La disciplina censurata poggia, quindi, sull'evidente presupposto
che per i menzionati comparti lavorativi, con riferimento ai quali la
legge  ha  avvertito  la  speciale  esigenza  di  mantenere  adeguate
condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di  cura  e
assistenza, ovvero di  servizi  svolti  a  contatto  con  persone  in
situazione di fragilita', non poteva obbligarsi il datore  di  lavoro
ad adibire i soggetti che non avessero inteso vaccinarsi  a  mansioni
comunque idonee ad evitare il rischio di diffusione del  contagio  da
SARS-CoV-2, come e' invece richiesto dall'art. 4, comma 7,  del  d.l.
n. 44 del 2021, come convertito, per i soggetti che  avessero  dovuto
omettere o differire la  vaccinazione  in  ragione  di  un  accertato
pericolo per la salute. 
    La disposizione censurata si fonda sul rilievo che un piu'  ampio
dovere datoriale di cosiddetto repêchage, quale quello auspicato  dai
rimettenti,  non  fosse  compatibile  con  le  specificita'  di  tali
organizzazioni aziendali, se non al rischio di mettere in pericolo la
salute del lavoratore stesso, degli altri  lavoratori  e  dei  terzi,
portatori di interessi costituzionali prevalenti  sull'interesse  del
dipendente di  adempiere  per  poter  ricevere  la  retribuzione.  Le
disposizioni  censurate  hanno  escluso,  cioe',  l'opportunita'   di
addossare  al   datore   un   obbligo   generalizzato   di   adottare
accomodamenti  organizzativi,  non  ravvisando,  in   rapporto   alle
categorie professionali in esame, le condizioni della fungibilita'  e
della sia pur parziale idoneita' lavorativa  residua  del  dipendente
non   vaccinato,   condizioni   sempre   necessarie,   in   caso   di
impossibilita' sopravvenuta della prestazione,  per  giustificare  la
permanenza di un  apprezzabile  interesse  datoriale  a  una  diversa
prestazione lavorativa. 
    13.5.- E' vero,  del  resto,  che  la  situazione  di  temporanea
impossibilita' della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare
il dipendente che non abbia adempiuto  all'obbligo  vaccinale  deriva
pur sempre da una scelta individuale di  quest'ultimo  e  non  da  un
fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della
eventuale  scelta  del  lavoratore  di  non   attenersi   all'obbligo
vaccinale, si e' limitato a prevedere la sospensione del rapporto  di
lavoro,  disciplinando   la   fattispecie   alla   stregua   di   una
impossibilita' temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiche'  la
prestazione  offerta  dal  lavoratore  che  non  si   e'   sottoposto
all'obbligo vaccinale non e' conforme al  contratto,  come  integrato
dalla legge, e' certamente giustificato il rifiuto  della  stessa  da
parte del datore di lavoro e lo stato  di  quiescenza  in  cui  entra
l'intero rapporto e' semplicemente  un  mezzo  per  la  conservazione
dell'equilibrio giuridico-economico del contratto. 
    Parimenti,  poiche'   il   datore   di   lavoro   puo'   eccepire
l'inosservanza dell'obbligo di sicurezza da parte  del  lavoratore  e
pertanto rifiutarsi di ricevere la  sua  prestazione  fino  a  quando
questi non provveda a vaccinarsi, neppure egli e' stato costretto dal
legislatore ad adeguare la propria organizzazione  per  assegnare  al
dipendente mansioni che non comportassero il rischio di  contagio  da
SARS-CoV-2; cio' tanto piu' comprensibilmente nel contesto di  quegli
specifici comparti  normativamente  selezionati  per  la  particolare
incidenza del fine di tutela della salute pubblica e del mantenimento
di adeguate condizioni di sicurezza  nell'erogazione  dei  rispettivi
servizi, svolti a contatto con soggetti in situazione di fragilita'. 
    Per effetto del d.l. n. 172 del 2021,  come  convertito,  che  ha
fatto  venir  meno  il  dovere  datoriale  di  repêchage  a  mansioni
disponibili non comportanti un rischio di  contagio  (se  non  per  i
soggetti esentati dalla vaccinazione per motivi di salute), il datore
di lavoro che  rifiuta  la  prestazione  del  lavoratore  non  versa,
pertanto,  in  mora  credendi,  essendo,  piuttosto,   tale   rifiuto
implicato dalla carenza  di  un  requisito  essenziale  di  carattere
sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa. 
    13.6.- Il bilanciamento dei principi sottesi agli artt. 4,  32  e
35 Cost., realizzato dal legislatore nella individuazione dei tempi e
dei modi della vaccinazione, risulta percio' esercitato  negli  artt.
4, comma 7, e  4-ter,  comma  3,  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
convertito, in modo non irragionevole. 
    La scelta operata di non prevedere per i lavoratori, esercenti le
professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati
in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, che
avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di
adibizione a mansioni anche diverse, a differenza  di  quanto  invece
stabilito  per  coloro  che  dovessero  omettere   o   differire   la
vaccinazione a causa di accertato pericolo per la  salute  o  per  il
personale docente ed educativo della scuola, non risulta contraria ai
principi di eguaglianza e di ragionevolezza.  Tale  scelta,  giacche'
correlata alle condizioni di idoneita' richieste  per  l'espletamento
di peculiari  attivita'  lavorative,  appare,  piuttosto,  suffragata
dalla    necessita'    dell'adozione    di    misure     provvisorie,
indispensabilmente  collegate  alla   evoluzione   delle   conoscenze
scientifiche,  culminando  in  un  bilanciamento   tra   il   diritto
fondamentale   al   lavoro   del   dipendente,   la    liberta'    di
autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle
cure sanitarie e la tutela della  salute  pubblica,  cui  si  correla
l'esigenza  di  mantenimento  di  adeguate  condizioni  di  sicurezza
nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. 
    Il diverso trattamento normativo cui sono soggetti  i  lavoratori
esercenti  le  professioni  sanitarie  o   operatori   di   interesse
sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali
e socio-sanitarie, e' giustificato dal maggior  rischio  di  contagio
sia per se stessi che  per  le  persone  particolarmente  fragili  in
relazione al loro  stato  di  salute  o  all'eta'  avanzata;  e  cio'
costituisce  ragione  sufficiente  per   regolare   diversamente   le
conseguenze della mancata sottoposizione a  vaccinazione  rispetto  a
lavoratori, quali quelli  occupati  negli  istituti  scolastici,  che
rendono le loro prestazioni in situazioni non  omogenee,  cosi'  come
rispetto a lavoratori  che  siano  esentati  dalla  vaccinazione  per
motivi di salute. 
    Alla scelta del legislatore non e' stata verosimilmente  estranea
neppure la considerazione che l'obbligo  di  ripescaggio  costituisce
per il  datore  di  lavoro  un  significativo  fattore  di  rigidita'
organizzativa, dal  quale,  non  irragionevolmente,  si  sono  volute
sollevare  le  strutture  sanitarie  e  assistenziali,  quelle   piu'
esposte, cioe', all'impatto della pandemia. 
    13.7.- Non puo', del resto, non considerarsi che la adibizione  a
mansioni diverse, prescritta invece dall'art. 4, comma 7, del d.l. n.
44 del 2021, come convertito, in favore  dei  soggetti  che  avessero
dovuto omettere o differire la vaccinazione  per  motivi  di  salute,
costituisce misura eccezionale di natura solidaristica, imposta dalla
legge al  datore  di  lavoro  anche  ove  non  fossero  concretamente
disponibili nell'organizzazione aziendale posti idonei ad evitare  il
rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, facendo cosi' salvo
il diritto del  lavoratore  alla  retribuzione  pur  ove  questi  non
rendesse effettivamente la sua prestazione. 
    Anche tali questioni,  pertanto,  devono  essere  dichiarate  non
fondate. 
    14.- Devono infine esaminarsi le questioni relative  all'art.  4,
comma 5, nonche' all'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n.  44  del  2021,
come convertito,  sollevate,  in  riferimento  complessivamente  agli
artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., nei giudizi di cui  ai  numeri
47, 70, 71, 101, 102, 107 e 108 reg. ord. 2022, nella  parte  in  cui
tali norme, nel prevedere che «[p]er il periodo di  sospensione,  non
sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque
denominati», escludono, in relazione al personale di cui al  comma  1
della citata disposizione, nonche' al personale di cui  alle  lettere
a) e c)  del  comma  1  dell'art.  4-ter,  l'erogazione  dell'assegno
alimentare  previsto  dalla   legge   ovvero   dalla   contrattazione
collettiva in caso di sospensione dal diritto di svolgere l'attivita'
lavorativa per il mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale per  la
prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. 
    Per i rimettenti tale scelta  legislativa  sarebbe  contraria  al
canone di ragionevolezza e discriminatoria. 
    14.1.- Le considerazioni sinora svolte inducono  a  ritenere  non
fondate anche tali questioni. 
    14.2.- Si e' gia' evidenziato che, nel meccanismo degli artt.  4,
4-bis e 4-ter del d.l.  n.  44  del  2021,  come  convertito,  e  sue
successive modifiche, la mancata  sottoposizione  a  vaccinazione  ha
determinato  la  sopravvenuta  e  temporanea  impossibilita'  per  il
dipendente di svolgere le proprie  mansioni,  e  la  sospensione  del
medesimo  lavoratore  ha  rappresentato  per  il  datore  di   lavoro
l'adempimento di un  obbligo  nominato  di  sicurezza,  inserito  nel
sinallagma contrattuale. 
    L'effetto  stabilito  dalle  norme  censurate,  secondo  cui   al
lavoratore che decida di non sottoporsi alla  vaccinazione  non  sono
dovuti, nel  periodo  di  sospensione,  «la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque  denominati»,  giustifica,  pertanto,
anche  la  non  erogazione  al  lavoratore  sospeso  di  un   assegno
alimentare (in misura non superiore alla meta' dello stipendio, come,
ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello  Stato  dall'art.
82 del d.P.R. n. 3 del 1957, e in  altri  casi  dalla  contrattazione
collettiva), considerando che il lavoratore decide di non  vaccinarsi
per una libera scelta, in ogni momento rivedibile. 
    14.3.- In  sostanza,  poiche'  nel  periodo  di  sospensione  del
dipendente non  vaccinato,  pur  essendo  formalmente  in  essere  il
rapporto, e' carente medio  tempore  la  sussistenza  del  sinallagma
funzionale  del  contratto,  la  negazione   altresi'   del   diritto
all'erogazione di un assegno  alimentare  in  favore  del  lavoratore
inadempiente all'obbligo  vaccinale,  che  i  rimettenti  riconducono
all'applicazione  delle  norme   censurate,   si   giustifica   quale
conseguenza del principio generale di  corrispettivita',  essendo  il
diritto alla retribuzione, come ad ogni altro compenso o  emolumento,
comunque collegato alla prestazione lavorativa,  eccetto  i  casi  in
cui,  mancando  la  prestazione  lavorativa  in  conseguenza  di   un
illegittimo rifiuto del datore di lavoro, l'obbligazione  retributiva
sia comunque da quest'ultimo dovuta. 
    14.4.- L'interpretazione delle disposizioni  in  esame  prescelta
dai rimettenti valorizza la portata onnicomprensiva  del  riferimento
testuale a ogni emolumento, inteso come ogni entrata o beneficio  che
trovi causa  nel  rapporto  di  lavoro,  tale  percio'  da  escludere
altresi'  il  diritto  all'assegno  alimentare  del  lavoratore   non
vaccinato.   Questa   interpretazione   non   puo'   comunque   dirsi
costituzionalmente illegittima con riguardo  al  diverso  trattamento
riservato alle situazioni del lavoratore del quale sia stata disposta
la  sospensione  dal  servizio  a  seguito  della  sottoposizione   a
procedimento penale o disciplinare, in base all'art. 82 del d.P.R. n.
3 del 1957 o al sopravvenuto contratto collettivo di  comparto,  come
stabilito dall'art. 59 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421)  e
poi dall'art. 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche). 
    La disciplina dell'assegno alimentare invocata nelle ordinanze di
rimessione, quale fattispecie cui raffrontare le norme censurate  per
verificarne la ragionevolezza, configura la sospensione  come  misura
provvisoria, priva di carattere sanzionatorio  e  piuttosto  disposta
cautelarmente nell'interesse pubblico (ordinanze n. 541 e n. 258  del
1988), destinata ad essere travolta  dall'esaurimento  dei  paralleli
procedimenti, il che rende improponibile la comparazione. Invero,  la
scelta del legislatore di  equiparare  quei  determinati  periodi  di
inattivita'  lavorativa  alla   prestazione   effettiva   trova   li'
giustificazione nella esigenza sociale  di  sostegno  temporaneo  del
lavoratore per il tempo  occorrente  alla  definizione  dei  relativi
giudizi e alla verifica della sua effettiva  responsabilita',  ancora
non accertata. 
    Se,  quindi,  in  tali  casi,  il   riconoscimento   dell'assegno
alimentare si giustifica alla luce della necessita' di assicurare  al
lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilita' della
prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di
lavoro ad avvalersene e da atti o  comportamenti  che  richiedono  di
essere accertati  in  vista  della  prosecuzione  del  rapporto,  ben
diverso e' il caso in  cui,  per  il  fatto  di  non  aver  adempiuto
all'obbligo vaccinale, e'  il  lavoratore  che  decide  di  sottrarsi
unilateralmente alle condizioni  di  sicurezza  che  rendono  la  sua
prestazione  lavorativa,  nei   termini   anzidetti,   legittimamente
esercitabile. 
    14.5.- I rimettenti fanno leva,  altrimenti,  sull'argomento  che
l'assegno alimentare, concesso ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n.  3
del 1957 o previsto dalla contrattazione collettiva, secondo  diffusa
interpretazione giurisprudenziale,  non  ha  natura  retributiva,  ma
assistenziale,   in   quanto   non   rappresenta   il   corrispettivo
dell'attivita'    lavorativa    svolta,    ma    trova     fondamento
nell'assicurazione delle  esigenze  di  vita  di  colui  che  risulta
comunque medio tempore dipendente.  Avendo  l'assegno  alimentare  lo
scopo di fornire una fonte di reddito al dipendente pubblico  e  alla
sua famiglia, di carattere temporaneo, in quanto limitato al  periodo
di efficacia della sospensione dal servizio, si reputa dai giudici  a
quibus  che  la  relativa   corresponsione   spetti   ope   legis   e
indipendentemente dalla sua specifica previsione nel provvedimento di
sospensione. In tale  prospettiva,  l'assegno  alimentare  in  favore
dell'impiegato  sospeso  costituirebbe  un  diritto   soggettivo   di
automatica applicazione, nonostante la  temporanea  interruzione  del
termine sinallagmatico dello svolgimento della prestazione  da  parte
del lavoratore. 
    Anche muovendo da tale premessa interpretativa, tuttavia,  rimane
smentita   la   conclusione    che    configuri    quale    soluzione
costituzionalmente obbligata l'accollo  al  datore  di  lavoro  della
erogazione solidaristica, in favore  del  lavoratore  che  non  abbia
inteso vaccinarsi e che sia  percio'  solo  temporaneamente  inidoneo
allo  svolgimento  della  propria  attivita'   lavorativa,   di   una
provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti di  lavoro,
atta  a  garantire  la  soddisfazione  delle  esigenze  di  vita  del
dipendente e della sua famiglia. 
    Posto cioe' che l'erogazione dell'assegno alimentare  rappresenta
per il datore di lavoro un costo netto, senza corrispettivo,  non  e'
irragionevole che il  legislatore  ne  faccia  a  lui  carico  quando
l'evento impeditivo  della  prestazione  lavorativa  abbia  carattere
oggettivo, e non anche quando l'evento  stesso  rifletta  invece  una
scelta - pur legittima - del prestatore d'opera. 
    Anche tali questioni,  pertanto,  devono  essere  dichiarate  non
fondate.