ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dalla Corte  d'assise
d'appello di Torino,  sezione  seconda,  nel  procedimento  penale  a
carico di A. C. e altro, con ordinanza del 19 dicembre 2022, iscritta
al n. 14 del registro ordinanze  2023  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  7,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2023. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  C.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  18  aprile  2023  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi l'avvocato Flavio Rossi Albertini Tiranni per A. C.  e  gli
avvocati dello Stato Paola Maria Zerman e  Ettore  Figliolia  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 aprile 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  ordinanza  del  19  dicembre  2022,  la  Corte  d'assise
d'appello di Torino, sezione seconda, ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, primo comma, 25, secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come risultante  dalla
modifica introdotta dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005,  n.  251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui, relativamente  al  reato  previsto
dall'art. 285 cod. pen.  (Devastazione,  saccheggio  e  strage),  non
consente al giudice di ritenere  la  circostanza  attenuante  di  cui
all'art. 311 cod. pen. (Circostanza  diminuente:  lieve  entita'  del
fatto), prevalente sulla recidiva di cui all'art. 99,  quarto  comma,
cod. pen. 
    1.1.- Il rimettente riferisce  di  procedere  quale  giudice  del
rinvio, nel procedimento penale nei confronti di A.  C.  e  di  altra
persona coimputata, a seguito della sentenza del 6 luglio-11  ottobre
2022, n. 38184, con cui  la  Corte  di  cassazione,  sezione  seconda
penale, ha annullato la sentenza della Corte  d'assise  d'appello  di
Torino, sezione prima, limitatamente alla qualificazione del  delitto
di cui al  capo  F)  dell'imputazione;  delitto  da  ricondursi  alla
violazione non gia' dell'art. 422 cod.  pen.  (Strage  comune),  come
ritenuto dalla pronuncia impugnata, bensi' dell'art.  285  cod.  pen.
(Strage allo scopo di attentare  alla  sicurezza  dello  Stato),  nei
termini ipotizzati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Torino fin dall'iniziale contestazione del reato. 
    Il Collegio rimettente osserva che, secondo quanto stabilito  con
accertamento coperto da giudicato, i fatti oggetto  di  contestazione
sono accaduti la notte del 2 giugno 2006, in cui A. C.,  in  concorso
con una persona coimputata, al fine di attentare alla sicurezza dello
Stato mediante l'uccisione di un numero  indeterminato  di  esponenti
delle  forze  dell'ordine,  ha  collocato  due  dispositivi  ad  alto
potenziale esplosivo nei pressi di uno degli  ingressi  della  scuola
Allievi Carabinieri di Fossano. 
    In punto di fatto, il giudice a quo  da'  atto  che  gli  ordigni
contenevano 500 grammi di polvere pirica ciascuno ed erano dotati  di
un sistema di attivazione temporizzato che ne  aveva  determinato  la
deflagrazione ad un intervallo di tempo  precedentemente  programmato
di circa mezz'ora l'uno dall'altro, tale da massimizzare gli  effetti
letali dell'esplosione. 
    Tale attentato era  stato  rivendicato  con  comunicati  a  firma
RAT/FAI - Rivolta Anonima e Tremenda/Federazione Anarchica  Informale
e, all'esito dei tre gradi di giudizio, era stato  sempre  attribuito
agli imputati. 
    Nell'ordinanza  si  riferisce,  anche,  che  solo  per  un   caso
fortunato l'attentato non aveva provocato danni alle persone e  aveva
cagionato limitati danni alle cose,  rimanendo  comunque  provata  la
volonta'  dei  responsabili  di  aver  agito  perche'   l'evento   si
ripercuotesse sull'intera compagine statale, motivo per cui la  Corte
di cassazione ha rubricato il fatto ai sensi dell'art. 285 cod. pen.,
modificando la qualificazione che era stata data nei  due  gradi  del
giudizio di merito. 
    Il  rimettente  da'  atto,  altresi',  che  il  reato  e'   stato
contestato come aggravato dall'essere stato commesso  contro  persone
che  rivestivano  la  carica  di  pubblico  ufficiale   e   a   causa
dell'adempimento delle funzioni ad essa connesse. 
    Operata la riqualificazione, la Corte di cassazione  ha,  dunque,
annullato la sentenza limitatamente  al  capo  F),  rinviando  a  una
diversa sezione della Corte d'appello per una nuova  valutazione  del
solo trattamento sanzionatorio da irrogare ai due imputati. 
    Alla luce di tali  precisazioni,  il  rimettente,  investito  del
giudizio di rinvio, afferma che non sono piu' in discussione  ne'  la
qualificazione giuridica dei reati contestati,  ne'  il  giudizio  di
responsabilita'  degli  imputati,  anche  in  ordine  alle  ulteriori
fattispecie di reato loro ascritte, ne' la possibilita'  di  ritenere
tutti tali reati  avvinti  dalla  continuazione,  ne'  infine  e'  in
discussione la sussistenza dei presupposti  per  ritenere  l'imputato
recidivo reiterato, ai sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Invece -  afferma  il  rimettente  -  dal  momento  che  nei  due
precedenti gradi di giudizio era stata ritenuta  la  sussistenza  del
delitto di cui all'art. 422 cod. pen., costituisce  inedito  assoluto
l'applicazione della circostanza attenuante  prevista  dall'art.  311
cod. pen., richiesta dalla difesa degli imputati. Su tale punto,  non
si e' formato alcun giudicato, atteso che  la  questione  di  diritto
decisa dalla Corte di cassazione non ha riguardato questo profilo. 
    Il rimettente osserva, infatti, che la circostanza in  parola  e'
destinata a operare in relazione  a  tutti  i  delitti  previsti  dal
Titolo I del Libro II del codice penale e, dunque, anche in relazione
al delitto di cui all'art. 285 cod. pen., ritenuto integrato solo con
la sentenza della Corte di cassazione, e non anche con riferimento al
delitto di strage previsto dall'art. 422 cod. pen.,  contemplato  dal
Titolo VI del medesimo Libro. 
    Sulla configurabilita'  dell'attenuante  in  parola,  il  giudice
rimettente da' conto del fatto che all'esito del  giudizio  di  primo
grado, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna (a  trent'anni
di reclusione)  per  il  delitto  di  cui  all'art.  285  cod.  pen.,
ritenendo il fatto connotato da lieve entita' ex art. 311 cod.  pen.;
attenuante  questa  la  cui  sussistenza  il  rimettente  ritiene  di
condividere. 
    1.2.- In punto di rilevanza delle questioni, il Collegio  afferma
che riguardo alle modalita' con cui si e' realizzato il reato e  alle
conseguenze che da questo sono in concreto derivate, da valutarsi  in
rapporto all'entita' della lesione  arrecata  ai  beni,  la  condotta
posta in essere da A. C. appare soddisfare i criteri  indicati  dalla
disposizione di cui all'art. 311 cod. pen. 
    Stante la volonta' di applicare la diminuente in parola,  per  il
rimettente   e'   decisiva   la   valutazione   della    legittimita'
costituzionale della  previsione  del  divieto  di  prevalenza  della
circostanza attenuante del fatto di lieve entita',  di  cui  all'art.
311 cod. pen., la' dove la sussistenza dei presupposti della recidiva
reiterata e' ormai coperta dal giudicato. 
    Sotto tale profilo, il rimettente evidenzia che il divieto di cui
all'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.,  nella  versione  vigente  a
seguito della entrata in vigore della  legge  n.  251  del  2005,  e'
applicabile alla fattispecie in quanto il delitto e'  stato  commesso
il 2 giugno 2006, dopo quindi l'entrata in  vigore  della  legge  che
tale divieto ha introdotto. 
    Sarebbe, dunque, evidente la rilevanza delle questioni in quanto,
se fosse dichiarata  la  illegittimita'  costituzionale  della  norma
censurata,  opererebbe  l'ordinaria  disciplina   del   concorso   di
circostanze attenuanti e aggravanti, prevista  dai  primi  tre  commi
dell'art. 69 cod. pen. e, in particolare, potrebbe ritenersi  per  A.
C. - al quale, peraltro, sono gia' state riconosciute  le  attenuanti
generiche ex art. 62-bis cod. pen. - la prevalenza delle  circostanze
attenuanti, segnatamente quella di cui all'art. 311  cod.  pen.,  con
conseguenze decisive  in  punto  di  trattamento  sanzionatorio  (non
necessariamente la pena dell'ergastolo, ma quella prevista  dall'art.
65 cod. pen., ossia la reclusione da venti a ventiquattro anni,  come
pena base). 
    Da tale premessa discenderebbe che il reato piu' grave fra quelli
di  cui  l'odierno  imputato  e'  stato  ritenuto  responsabile   (in
continuazione con quelli di associazione con finalita' di terrorismo,
fabbricazione, detenzione e porto  d'armi  ed  esplosivi  a  fini  di
terrorismo, attentato per finalita'  terroristiche  e  istigazione  a
delinquere), non sarebbe piu' punito con l'ergastolo, ma con una pena
di durata compresa tra venti e ventiquattro anni di reclusione  (art.
65 cod. pen.). Ad avviso del  rimettente,  nel  caso  di  specie,  il
giudizio  di  bilanciamento  tra  circostanze   dovrebbe   risolversi
riconoscendo la prevalenza della circostanza attenuante in  questione
(art. 311 cod. pen.) rispetto alla recidiva reiterata, con  l'effetto
di poter irrogare all'imputato  una  pena  complessiva  proporzionata
alla effettiva portata lesiva  delle  condotte  di  cui  si  e'  reso
responsabile. 
    Dalla soluzione delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
dipenderebbe, dunque, la determinazione della pena, alla  luce  della
diversa qualificazione del fatto, come espressamente richiesto  dalla
Corte di cassazione con la pronuncia di annullamento che ha demandato
tale valutazione al giudice di rinvio. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente passa
in rassegna i principi  affermati  da  questa  Corte  nelle  numerose
pronunce  che  hanno   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
parziale dell'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.,  che  puntualmente
riporta (a partire dalla sentenza n. 251 del 2012 fino a quella  piu'
recente, sentenza n. 143 del 2021). 
    Il giudice a quo rileva che tratto comune della  quasi  totalita'
di tali pronunce e'  il  ricorrere  di  circostanze  attenuanti  che,
rendendo  manifesto  l'intento  del  legislatore  di   calibrare   il
trattamento sanzionatorio rispetto alla concreta portata offensiva di
determinate  condotte,  in  ossequio  ai  principi  di   uguaglianza,
offensivita' e proporzionalita' della risposta  sanzionatoria  penale
in ottica rieducativa, ha portato  la  Corte  a  privilegiare  questo
profilo rispetto a quelli della colpevolezza  e  della  pericolosita'
propri della recidiva reiterata. 
    Anche quando la questione di legittimita' costituzionale e' stata
affrontata con riguardo a profili di piu' marcata valenza  soggettiva
(con riferimento agli artt. 89 e 116 cod. pen.), questa Corte ha dato
particolare rilievo alla  funzione  di  necessario  riequilibrio  del
trattamento  sanzionatorio   che   alle   circostanze   deve   essere
riconosciuta. 
    Inoltre, nell'ordinanza di rimessione si  evidenzia  come  questa
Corte, pur  ritenendo  costituzionalmente  legittime  le  deroghe  al
regime  ordinario  del  bilanciamento  tra  circostanze,  in   quanto
rientranti nell'ambito delle scelte  discrezionali  del  legislatore,
avrebbe precisato che tali scelte non possono,  comunque,  trasmodare
nella  manifesta  irragionevolezza,  ne'  determinare  un'alterazione
degli  equilibri  che  la  Carta  costituzionale   ha   fissato   con
riferimento alla determinazione della pena giusta. 
    Date queste premesse di carattere generale, il rimettente afferma
che anche nella fattispecie in esame debbono valere gli stessi canoni
ermeneutici. 
    Ad avviso del rimettente, la circostanza di cui all'art. 311 cod.
pen. opera quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalita'  o
le circostanze dell'azione, ovvero per la  particolare  tenuita'  del
danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. 
    Piu' specificamente, l'art. 311 cod. pen., in maniera esattamente
identica ad altre circostanze attenuanti gia' considerate  da  questa
Corte nelle sentenze  sopra  richiamate,  sarebbe  dunque  norma  che
impone  all'interprete  una  valutazione  su   aspetti   marcatamente
connotati in senso oggettivo, che valorizza massimamente lo scrutinio
di  elementi  riguardanti  la  potenzialita'  lesiva  della  condotta
dell'agente  e   che,   in   ultima   analisi,   impone   un   vaglio
dell'attitudine di questa a incidere piu' o  meno  significativamente
sul bene tutelato dalla norma incriminatrice. 
    Cio', ad avviso del giudice a quo, sarebbe tanto  piu'  vero  la'
dove si consideri la specifica  situazione  di  fatto  che  viene  in
rilievo nel caso concreto,  vale  a  dire  l'applicazione  di  questa
circostanza attenuante al delitto previsto dall'art. 285 cod. pen. 
    Quest'ultimo  reato  e'  attualmente  sanzionato  con   la   piu'
afflittiva delle pene detentive  oggi  contemplate  dall'ordinamento,
l'ergastolo, ma, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo
luogotenenziale 10 agosto 1944, n.  224  (Abolizione  della  pena  di
morte nel Codice penale), che l'ha abolita, era punito con la pena di
morte. 
    La necessita'  di  calibrare  il  trattamento  sanzionatorio,  in
concreto applicabile al responsabile di  tale  delitto  all'effettiva
portata offensiva della sua condotta, risulta di estrema  importanza,
venendo in  rilievo  una  pluralita'  di  esigenze  tutte  ugualmente
fondamentali. 
    Il  rimettente  pone  in   evidenza   l'estrema   severita'   del
trattamento sanzionatorio previsto dalla norma  incriminatrice,  come
gia' sottolineato, improntato  al  criterio  della  massima  gravita'
imposta dalla legge, che, come pena principale - e non  come  ipotesi
aggravata - si riscontra nel codice penale italiano soltanto  in  sei
fattispecie, sanzionate dal codice penale appunto con la  pena  fissa
dell'ergastolo: artt. 242 (Cittadino che  porta  le  armi  contro  lo
Stato  italiano),  276  (Attentato   contro   il   Presidente   della
Repubblica), 284, primo comma (Insurrezione armata  contro  i  poteri
dello Stato), 286 (Guerra civile), e 438 (Epidemia). 
    La circostanza  attenuante  prevista  dall'art.  311  cod.  pen.,
secondo  il  rimettente,  assumerebbe  allora  la  decisiva  funzione
riequilibratrice  di  una  pena  massimamente  elevata   e   risponde
all'esigenza di mitigarne gli effetti se, in relazione  alla  natura,
la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze  dell'azione,  ovvero
per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, sia  necessario
adeguare la risposta sanzionatoria alla concreta capacita'  offensiva
della condotta criminosa. 
    Vi e' poi la natura fissa della pena prevista dall'art. 285  cod.
pen., che esclude ogni possibilita' di adeguamento della pena al caso
concreto; la norma incriminatrice, infatti,  non  prevede  un  limite
minimo e una soglia massima ai quali parametrare la durata della pena
alla luce dei criteri di  cui  all'art.  133  cod.  pen.,  in  quanto
stabilisce l'applicazione dell'ergastolo in via esclusiva. 
    A tal riguardo,  il  rimettente  richiama  la  giurisprudenza  di
legittimita' secondo cui la compatibilita' dell'ergastolo ai principi
costituzionali  sulla  proporzionalita'  della   pena   puo'   essere
affermata,  quanto   all'art.   285   cod.   pen.,   soprattutto   in
considerazione del fatto che, proprio attraverso l'applicazione delle
circostanze attenuanti, «non si sottrae al giudice la possibilita' di
far  luogo  alla  pena  della   reclusione   in   luogo   di   quella
dell'ergastolo»  (Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  15
novembre 1978, n. 1538). 
    Cio' precisato, nell'ordinanza di rimessione si evidenzia che  e'
stata piu' volte avvertita da questa Corte la necessita'  di  evitare
che  profili  relativi  alla  colpevolezza   e   alla   pericolosita'
dell'agente possano elidere completamente quelli piu'  pregnanti  che
riguardano l'idoneita' del fatto oggettivamente inteso ad incidere in
maniera piu' o meno marcata sui beni tutelati  dal  precetto  penale.
Con cio' evidenziandosi il contrasto con i principi costituzionali di
cui all'art. 3, primo comma, 25 secondo  comma  e  27,  terzo  comma,
Cost. 
    Il giudice a quo sottolinea inoltre che il  divieto  inderogabile
di prevalenza della circostanza attenuante dell'art. 311 cod. pen. in
relazione al delitto di cui all'art. 285 cod. pen.,  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 27 Cost., in quanto  si  avrebbe  l'applicazione
della piu' grave fra le sanzioni  detentive  a  prescindere  da  ogni
considerazione sulla gravita' dell'offesa in concreto arrecata. 
    L'art.  27,  terzo  comma,  Cost.  richiede,   invece,   che   il
trattamento sanzionatorio penale debba tendere alla rieducazione  del
condannato, dovendo risultare proporzionato alla condotta in concreto
serbata dal reo e cio' e' ancora piu' evidente con riferimento  a  un
reato punito con l'ergastolo. Deve  percio'  essere  riconosciuta  al
giudice la  facolta'  di  parametrare  la  pena  al  fatto  concreto,
mitigando,  tramite  l'applicazione  delle  circostanze   attenuanti,
l'entita' della pena inflitta all'autore del reato nei casi di minore
disvalore delle sue condotte, per non frustrare  il  principio  della
necessaria proporzione della pena rispetto all'offensivita' del fatto
e per assicurare l'irrogazione di una pena adeguata  e  proporzionata
alla differente gravita' del fatto-reato. 
    Secondo   il   giudice   a   quo,   la   disposizione   censurata
contrasterebbe anche con il principio di  offensivita'  del  precetto
penale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.,  che  vuole  che  il
trattamento penale sia differenziato a fronte di fatti diversi, senza
che la considerazione della pericolosita' dell'agente, la cui massima
espressione  si  trova  proprio  nel  regime  della  recidiva,  possa
legittimamente avere rilievo esclusivo. 
    Infine, sussisterebbe il contrasto  anche  con  l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo  della  violazione  del  principio  di  uguaglianza,
stante che per effetto dell'applicazione della disposizione censurata
si  avrebbe  un'unica  pena  per  situazioni  differenti  sul   piano
dell'offensivita'. 
    Dal divieto di prevalenza della  circostanza  attenuante  di  cui
all'art. 311 cod. pen., discenderebbe che  fatti  di  minore  entita'
possano essere sanzionati con  la  pena  dell'ergastolo  alla  stessa
stregua di fatti piu'  gravi,  in  tal  modo  equiparando  sul  piano
sanzionatorio condotte riconducibili alla  violazione  dell'art.  285
cod. pen.  che,  pur  aggredendo  i  medesimi  beni  giuridici,  sono
completamente  diverse  se  si  ha  riguardo  agli  indici   previsti
dall'art. 311 cod. pen. 
    In conclusione, secondo il rimettente,  l'irragionevolezza  delle
conseguenze di tale disparita' di trattamento  apparirebbe  manifesta
anche solo considerando che fatti  caratterizzati  da  una  rilevante
differenza oggettiva, uno dei quali rispondente ai canoni della lieve
entita' normativamente  definita,  sarebbero  puniti  con  la  stessa
sanzione in ragione di una esclusiva  considerazione  dei  precedenti
penali del loro autore e del conseguente  giudizio  di  pericolosita'
che da questi puo' trarsi. 
    2.- Con atto del 3 marzo 2023, e'  intervenuto  nel  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare le
questioni inammissibili e, comunque, non fondate. 
    2.1.- In primo luogo, l'Avvocatura richiama la giurisprudenza  di
questa Corte per sostenere che difetterebbe la  necessaria  rilevanza
delle questioni, e cio' in quanto il rimettente non sarebbe  chiamato
ad assumere alcuna decisione che comporti  l'applicazione,  sia  pure
indiretta, della norma impugnata. 
    In ogni caso, difetterebbe  la  motivazione  sulla  rilevanza  e,
comunque, sarebbe  meramente  apodittica,  tale  da  non  soddisfare,
nemmeno in termini di plausibilita', l'onere motivazionale. 
    Piu' in particolare, la  difesa  dello  Stato  eccepisce  quattro
profili  di  inammissibilita',  assumendo  che:   a)   l'affermazione
relativa all'applicabilita' dell'attenuante di cui all'art. 311  cod.
pen.  sarebbe  apertamente  contraddittoria  e,  per   altro   verso,
tautologica; b) parimenti tautologica sarebbe,  dal  punto  di  vista
argomentativo, la ritenuta  prevalenza  di  detta  circostanza  sulla
recidiva ex art. 99, quarto comma; c) del tutto  omessa,  «nel  senso
letterale di graficamente omessa», sarebbe la motivazione concernente
la   prevalenza   dell'attenuante   in   questione   anche   rispetto
all'aggravante di cui all'art. 61, numero 10), cod. pen.; d)  infine,
l'attenuante prevista dall'art. 311 cod. pen. sarebbe strutturalmente
inapplicabile al reato di cui all'art. 285 cod. pen. 
    Quanto al profilo sub a), nell'atto di  intervento  si  evidenzia
che il giudice rimettente si sarebbe limitato a  considerare  che  la
condotta  degli  imputati  appare  soddisfare  i   criteri   indicati
dall'art. 311 cod. pen. Si tratterebbe, ad avviso dell'Avvocatura, di
una affermazione che poggia su un'evidente tautologia,  risolvendosi,
in  definitiva,  nella  mera  parafrasi  degli  elementi  costitutivi
dell'attenuante. 
    Del resto, come riferisce lo stesso rimettente, soltanto  per  un
caso fortunato l'attentato non aveva provocato danni alle  persone  e
aveva cagionato limitati danni alle cose. 
    In relazione al profilo di inammissibilita'  sub  b),  la  difesa
statale  evidenzia  che  vi  sarebbe  una  motivazione  apparente   e
tautologica anche in relazione alla prevalenza dell'attenuante di cui
all'art. 311 cod. pen. rispetto alla recidiva reiterata. 
    L'ordinanza di rimessione non specificherebbe perche', ove non vi
fosse il divieto di prevalenza  della  circostanza  attenuante  sulla
recidiva di cui all'art. 69, quarto comma,  cod.  pen.,  l'attenuante
della lieve entita' di cui all'art. 311  cod.  pen.  possa  ritenersi
prevalente sull'aggravante costituita dalla recidiva reiterata di cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Quanto  all'ulteriore  profilo  di   inammissibilita'   sub   c),
l'Avvocatura dello Stato sottolinea che difetterebbe,  nell'ordinanza
di rimessione, l'indicazione in merito alle  ragioni  della  ritenuta
prevalenza dell'attenuante (anche)  rispetto  all'aggravante  di  cui
all'art. 61, numero 10), cod. pen. 
    Infine, quanto  al  profilo  sub  d),  si  sostiene,  in  radice,
l'inapplicabilita' dell'attenuante di cui all'art. 311 cod.  pen.  al
reato di cui all'art. 285 cod. pen. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, l'applicazione  dell'attenuante
di  cui  all'art.  311  cod.   pen.   porterebbe   alla   sostanziale
eliminazione del reato di cui all'art. 285 cod. pen. per trasformarlo
in altra e diversa fattispecie di  reato  di  evento  o  di  pericolo
concreto. 
    Tale esito potrebbe configurarsi  solo  la'  dove  oggetto  della
pronuncia di illegittimita' costituzionale fosse  stata  direttamente
la fattispecie di reato in questione, ma  non  gia'  ove  si  intenda
pervenire al medesimo  effetto  mediante  la  via  surrettizia  della
declaratoria di illegittimita' costituzionale della diversa norma  di
cui all'art. 69, quarto comma, cod. pen. 
    Vi   sarebbe,   invece,    una    incompatibilita'    strutturale
dell'attenuante rispetto al reato di cui all'art. 285 cod. pen. 
    Tale fattispecie di reato prevede una anticipazione della  tutela
del bene protetto, sicche'  integra  il  reato  gia'  il  solo  fatto
diretto a  compiere  la  strage.  Ipotizzare  una  strage  di  "lieve
entita'" in relazione ad una condotta  in  se'  poco  lesiva  e'  una
contraddizione logica prima ancora che giuridica: se un atto  non  e'
idoneo a compiere una strage,  non  puo'  ricorrere  l'ipotesi  della
"strage lieve", ma semplicemente  non  si  configura  il  delitto  di
strage. 
    2.2.- Quanto al merito delle sollevate questioni di  legittimita'
costituzionale, l'Avvocatura  sostiene  che  le  pronunce  di  questa
Corte, indicate dal giudice rimettente per suffragare  la  necessita'
di  addivenire  al  superamento   del   divieto   del   giudizio   di
bilanciamento delle circostanze attenuanti, anche per il  delitto  di
strage di cui all'art.  285  cod.  pen.,  in  realta'  non  sarebbero
pertinenti perche' attengono a diverse fattispecie, non  di  pericolo
presunto, ne' di previsione della pena fissa dell'ergastolo. 
    A tal riguardo,  l'Avvocatura  rileva  che  le  dichiarazioni  di
parziale illegittimita' costituzionale dell'art.  69,  quarto  comma,
cod. pen., sono relative a fattispecie di reato punite con  una  pena
edittale non fissa, con possibilita' per il giudice  di  graduare  la
severita' della  sanzione  in  relazione  alla  gravita'  del  fatto;
ipotesi del tutto esclusa, invece, per il delitto di cui all'art. 285
cod. pen., in cui il legislatore, prevedendo la pena  edittale  fissa
dell'ergastolo, ha dato un segnale chiaro e inequivocabile  circa  la
gravita' della condotta. 
    Le  citate  pronunce  non   hanno   censurato   il   divieto   di
bilanciamento previsto dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., in  se'
e per se' considerato, ma hanno sempre valutato  la  legittimita'  di
tale meccanismo in relazione a singole  fattispecie  di  reato,  come
avvenuto nelle sentenze n. 117 del 2021 e n. 88 del 2019. 
    Anche nel caso del reato di cui all'art. 285 cod.  pen.,  sarebbe
evidente come la significativa e rilevante gravita' della fattispecie
di reato contestata (dal punto di vista della carica di  offensivita'
che  essa  manifesta  e  del  valore  del  bene  giuridico  tutelato,
confermato dalla previsione edittale della pena dell'ergastolo) venga
a saldarsi - in maniera meritevole di particolare rilievo  -  con  la
specifica e pervicace pericolosita' criminale che connota il soggetto
agente (evidentemente attestata  dal  riconoscimento  dell'aggravante
della recidiva reiterata di  cui  all'art.  99,  quarto  comma,  cod.
pen.), in tal modo rendendo ragionevole la scelta del legislatore  di
apprestare una tutela rafforzata del bene  giuridico  protetto  dalla
norma e di escludere  -  mediante  la  limitazione  del  giudizio  di
bilanciamento - la piena esplicazione dell'efficacia attenuante della
circostanza di cui all'art. 311 cod. pen. 
    Ad avviso della difesa statale,  l'attuale  configurazione  della
norma e' coerente con i principi di proporzionalita' della pena e  di
rieducazione  del  condannato.   L'estrema   severita'   della   pena
comminata,  la  pena  fissa  dell'ergastolo,  e'   conseguente   alla
particolare gravita' del fatto, anche quando, come nella specie,  per
circostanze "fortunate",  non  si  sono  determinate  le  conseguenze
drammatiche in realta' perseguite dal responsabile. 
    Inoltre, sarebbe ragionevole la  deroga  al  bilanciamento  delle
circostanze nell'ipotesi di recidiva reiterata, per il reato  di  cui
all'art. 285 cod. pen. che prevede la pena fissa  dell'ergastolo,  in
quanto  il  trattamento  sanzionatorio  e'  improntato  alla  massima
gravita' imposta dalla legge, che, come pena principale (e  non  come
ipotesi aggravata) si riscontra nel codice penale italiano solo nelle
fattispecie di cui agli artt. 242 e 276 cod. pen.;  di  cui  all'art.
284  cod.  pen.,  primo  comma   (per   chi   promuove   e/o   dirige
l'insurrezione armata); nella fattispecie di cui  all'art.  286  cod.
pen., e infine nella fattispecie di cui all'art. 438 cod. pen. 
    In definitiva, l'Avvocatura osserva  che  proprio  la  previsione
della pena fissa dell'ergastolo, senza  possibilita'  di  graduazione
della pena a seconda della gravita' del fatto o dell'evento  previsto
dalla fattispecie, dimostra la volonta' del legislatore di  escludere
un giudizio di valutazione da parte del  giudice  circa  l'intensita'
della gravita' e quindi della colpevolezza del reo. 
    3.- Con atto del 23 febbraio 2023, si e' costituito  in  giudizio
A. C., chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate. 
    In  particolare,  la  difesa  della  parte,  dopo  aver  indicato
numerose pronunce di questa Corte, rileva che il loro  tratto  comune
e' costituito dal rilievo di  circostanze  attenuanti  che  esprimono
l'esigenza di calibrare il trattamento  sanzionatorio  rispetto  alla
concreta portata offensiva di determinate condotte,  in  ossequio  ai
principi di uguaglianza, di offensivita' e di proporzionalita'  della
risposta sanzionatoria penale in ottica rieducativa. 
    Cio' e' stato affermato anche rispetto alle  fattispecie  di  cui
agli artt. 89 e 116 cod. pen. che concernono profili di piu'  marcata
valenza soggettiva. 
    Inoltre, secondo la difesa della parte,  le  ragioni  sottese  al
riconosciuto giudizio di prevalenza dell'attenuante  in  esame  sulla
recidiva in relazione alla fattispecie di cui all'art. 630 cod.  pen.
(sentenza n. 143  del  2021),  risulterebbero  in  modo  ancora  piu'
imperioso rispetto all'art. 285 cod. pen. che prevede la  pena  fissa
dell'ergastolo. 
    Nell'atto di costituzione, si osserva inoltre che il  divieto  di
prevalenza della diminuente di cui all'art. 311 cod.  pen.,  rispetto
alla recidiva qualificata ai sensi del quarto comma dell'art. 99 cod.
pen., in relazione al delitto di cui  all'art.  285  cod.  pen.,  non
consente al giudice, nella determinazione della pena,  il  necessario
adattamento alla varieta' delle situazioni concrete riconducibili  al
modello legale, con cio' frustrando irragionevolmente gli effetti che
l'attenuante mira  a  realizzare  e  compromettendone  la  necessaria
funzione di riequilibrio sanzionatorio. 
    Si determinerebbe, pertanto, la violazione  dell'art.  27,  comma
terzo, Cost., nel suo valore fondante, in combinazione con  l'art.  3
Cost.,  del  principio  di  proporzionalita'  della  pena  al   fatto
concretamente  commesso.  Una  pena  palesemente  sproporzionata   e,
dunque,  inevitabilmente  avvertita  come  ingiusta  dal  condannato,
vanifica la sua finalita' rieducativa. 
    Evidente  sarebbe,  altresi',  la  violazione  del  principio  di
uguaglianza, in quanto l'applicazione di tale  norma  condurrebbe  ad
irrogare la medesima pena  dell'ergastolo  a  violazioni  di  rilievo
penale molto diverso. 
    4.-  L'associazione  Antigone  ha  depositato   un'opinione,   in
qualita' di amicus curiae, per sostenere le ragioni della  fondatezza
delle questioni di  legittimita'  costituzionale,  sottolineando,  in
particolare, che nel quadro di  eccezionale  severita'  sanzionatoria
che, oltretutto, non differenzierebbe il delitto commesso  da  quello
tentato, il riconoscimento della diminuente  diventerebbe  essenziale
in termini analoghi a quanto rilevato nella sentenza n. 143 del 2021. 
    L'opinione e' stata ammessa, ai sensi dell'art. 4, comma 3, delle
Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale,  con
decreto presidenziale del 15 marzo 2023. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  ordinanza  del  19  dicembre  2022,  la  Corte  d'assise
d'appello di Torino, sezione seconda, ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, primo comma, 25, secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, cod. pen., come modificato dall'art. 3 della legge n. 251  del
2005, nella parte in cui, relativamente al reato  previsto  dall'art.
285 cod. pen. (Devastazione, saccheggio e strage),  non  consente  al
giudice di ritenere la circostanza attenuante  di  cui  all'art.  311
cod.  pen.  (Circostanza  diminuente:  lieve  entita'   del   fatto),
prevalente sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Le  questioni  sono  sollevate  nel  giudizio   di   rinvio   nel
procedimento penale nei  confronti  di  A.  C.  e  di  altra  persona
coimputata, conseguente alla sentenza della Corte di cassazione del 6
luglio-11 ottobre 2022, n. 38184, che ha  parzialmente  annullato  la
precedente  pronuncia  della  Corte  d'assise  d'appello  di  Torino,
sezione prima, limitatamente alla qualificazione del delitto  di  cui
al capo F) dell'imputazione; delitto da  ricondursi  alla  violazione
non gia' dell'art. 422 cod. pen. (strage comune), come ritenuto dalla
pronuncia impugnata, bensi' dell'art.  285  cod.  pen.  (strage  allo
scopo di attentare alla sicurezza dello Stato). 
    Al giudice del rinvio e' stata demandata la rideterminazione  del
trattamento sanzionatorio degli imputati. 
    1.1.- In particolare, il rimettente afferma che  la  disposizione
censurata  contrasterebbe  con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  in
riferimento alla violazione del principio di uguaglianza,  in  quanto
determinerebbe l'applicazione della medesima  pena  dell'ergastolo  a
fatti  di  differente   rilievo   penale,   equiparando   sul   piano
sanzionatorio condotte che, se anche  aggrediscono  i  medesimi  beni
giuridici,  sono  assolutamente  diverse  con  riguardo  agli  indici
previsti dall'art. 311 cod. pen.  per  la  particolare  tenuita'  del
danno o del pericolo. 
    Sussisterebbe, altresi', il  contrasto  con  l'art.  25,  secondo
comma,  Cost.,  in  ragione  della  violazione   del   principio   di
offensivita'. La norma censurata, impedendo al giudice  di  applicare
la  diminuzione  della  pena   derivante   dalla   prevalenza   della
circostanza attenuante prevista dall'art. 311 cod. pen., che  ha  una
decisiva funzione riequilibratrice, non consentirebbe di adeguare  la
risposta  sanzionatoria  alla  concreta  capacita'  offensiva   della
condotta criminosa se il fatto e' di lieve entita' in relazione  alla
natura, alla specie, ai mezzi,  alle  modalita'  o  alle  circostanze
dell'azione, ovvero per la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del
pericolo,  finendo  cosi'  con  attribuire  esclusivo  rilievo   alla
pericolosita' dell'agente, insita nell'applicazione della circostanza
aggravante della recidiva reiterata. 
    Tale contrasto sarebbe ancora piu'  evidente  in  relazione  alla
fattispecie in esame, in quanto il reato di  cui  all'art.  285  cod.
pen. e' sanzionato unicamente con  la  pena  dell'ergastolo,  con  la
conseguenza  che  dalla  natura  fissa  di   tale   sanzione   deriva
l'impossibilita' di qualsiasi adeguamento della pena al caso concreto
che, per effetto del divieto di prevalenza  censurato,  viene  punito
esclusivamente con l'ergastolo. 
    In  terzo  luogo,  la  disposizione  censurata  si  porrebbe   in
contrasto  anche  con  l'art.  27,  terzo   comma,   Cost.,   perche'
l'applicazione  della  pena  fissa  dell'ergastolo  non  consente  di
adottare una pena proporzionata alla condotta in concreto tenuta  dal
reo,  precludendo  la  possibilita'  di  assicurare  un   trattamento
sanzionatorio che tenda alla rieducazione del condannato. 
    2.- In via preliminare, occorre esaminare le plurime eccezioni di
inammissibilita' delle questioni prospettate dall'Avvocatura generale
dello Stato che reputa l'ordinanza di rimessione carente di  adeguata
motivazione  sulla  rilevanza,  in  quanto  meramente  apodittica   e
comunque insufficiente; eccezioni contrastate dalla parte  costituita
in giudizio. 
    In particolare, la difesa dello Stato sostiene, in  primo  luogo,
che l'affermazione relativa all'applicabilita' dell'attenuante di cui
all'art. 311 cod. pen. sarebbe  apertamente  contraddittoria  e,  per
altro verso, tautologica; che meramente assertiva sarebbe, dal  punto
di vista argomentativo, la ritenuta prevalenza di  detta  circostanza
sulla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod.  pen.;  che  del  tutto
omessa  sarebbe,  poi,  la  motivazione  concernente  la   prevalenza
dell'attenuante in questione anche  rispetto  all'aggravante  di  cui
all'art. 61, primo comma, numero  10),  cod.  pen.,  pure  contestata
all'imputato per avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale
o una persona incaricata di un pubblico servizio. 
    In secondo luogo, si eccepisce  la  strutturale  inapplicabilita'
dell'attenuante prevista dall'art. 311 cod. pen. al delitto di strage
di cui all'art. 285 cod. pen., in  ragione  dell'intrinseca  gravita'
del reato. 
    2.1.- Quest'ultima eccezione - che ha carattere  pregiudiziale  e
che quindi va esaminata per prima - non puo' essere accolta. 
    A fronte del dato testuale univoco - secondo  cui  la  diminuente
configurata all'art. 311  cod.  pen.  si  applica  a  tutti  i  reati
previsti dal Titolo I del Libro II del codice penale (articoli da 241
a 300), ossia a tutti i delitti contro la personalita' dello Stato  -
non sussistono indici,  normativi  e  giurisprudenziali,  a  sostegno
della prospettata non applicabilita' della diminuente al reato di cui
all'art. 285 cod. pen. 
    Il tenore letterale della disposizione - la cui  portata  rileva,
peraltro, al fine dell'ammissibilita' delle questioni di legittimita'
costituzionale,   solo   in   termini    di    non    implausibilita'
dell'interpretazione  accolta  dal  giudice   rimettente   -   appare
difficilmente  superabile,  tanto  piu'  che  l'Avvocatura  rinviene,
all'interno della stessa, una distinzione che e' priva  di  riscontro
testuale. L'inapplicabilita' della diminuente  di  cui  all'art.  311
cod. pen. al delitto previsto dall'art. 285 cod. pen. sarebbe - nella
prospettazione dell'Avvocatura - solo parziale, perche' concernerebbe
unicamente  l'ipotesi  della  strage  e  non   anche   quella   della
devastazione e del saccheggio  in  ragione  della  maggiore  gravita'
della prima fattispecie. 
    Il delitto di strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello
Stato (art. 285  cod.  pen.)  e'  sicuramente  un  reato  di  estrema
gravita', anche quando, in ipotesi, non sia stata cagionata la  morte
di alcuno. Pur se non ci sono ne' vittime  ne'  danni  materiali,  si
perfeziona comunque il delitto di «strage» -  in  termini  giuridici,
anche se cio' non corrisponde al linguaggio corrente, che riserva  il
termine all'ipotesi di morte di piu' persone  -  essendo  sufficiente
l'idoneita' della condotta a porre in  pericolo  l'incolumita'  delle
persone; ossia della condotta riconducibile a  «un  fatto  diretto  a
portare [...] la strage nel territorio dello Stato». 
    Ma estremamente grave e'  anche  il  delitto  di  strage  di  cui
all'art. 422 cod. pen., che si differenzia dalla strage ex  art.  285
cod. pen. solo perche' manca -  o  non  e'  provato  -  lo  scopo  di
attentare alla sicurezza dello Stato. 
    Entrambi i reati sono puniti con l'ergastolo. 
    Non di meno il codice penale  considera  distintamente  l'ipotesi
della strage ex art. 422 cod. pen. anche quando non e'  cagionata  la
morte di alcuno, punendola diversamente dalla strage con  l'uccisione
di almeno una persona: pena perpetua dell'ergastolo, in  quest'ultimo
caso; reclusione non inferiore a quindici anni, nell'altro. 
    L'estrema gravita' della strage non ha  impedito,  nell'art.  422
cod. pen., una pena diversa per l'ipotesi in cui non vi sia uccisione
di persona alcuna. 
    Non puo', quindi, dirsi - senza alcun conforto nel dato  testuale
della norma e, anzi, in frontale contrasto con la  lettera  dell'art.
311 cod. pen. - che l'estrema gravita' del delitto di strage ex  art.
285 cod. pen. privi ex se di alcuna rilevanza la  eventualita'  della
mancanza di vittime. 
    La sua natura di reato di pericolo a consumazione anticipata  non
esclude, infatti, che il concreto disvalore dei  fatti  riconducibili
alla figura astratta di reato  resti  graduabile  a  seconda  che  la
condotta del reo  abbia,  o  meno,  prodotto  conseguenze  lesive,  e
segnatamente abbia cagionato la morte di una o piu'  persone,  ovvero
si sia arrestata alla soglia della messa in pericolo della loro vita. 
    Proprio per  consentire  alla  pena  di  riflettere  il  concreto
disvalore del fatto, il  legislatore  del  1930  ha  previsto,  anche
nell'ambito di reati, pur  gravissimi,  quali  i  delitti  contro  la
personalita' dello Stato, la diminuente  di  cui  all'art.  311  cod.
pen., applicabile trasversalmente a tutti tali reati, e dunque  anche
alla strage di cui all'art. 285 cod. pen. 
    L'applicazione di tale circostanza al delitto in  esame  consente
al giudice di non irrogare la pena dell'ergastolo  nei  casi  che  si
collocano nella soglia inferiore della scala di  gravita'  dei  fatti
riconducibili alla figura astratta del reato, in particolare per  non
avere cagionato la morte di alcuno. Tali fatti continuano,  peraltro,
ad essere puniti assai severamente, dal momento che, nel caso in  cui
venga riconosciuta la diminuente, ad essi risultera' applicabile,  ai
sensi dell'art. 65 cod. pen., la pena della  reclusione  da  venti  a
ventiquattro anni, che  e'  sensibilmente  maggiore  di  quella  (non
inferiore a quindici anni di reclusione) prevista per  la  strage  ex
art. 422 cod. pen. che non abbia cagionato la morte di alcuno. 
    Pertanto, l'interpretazione del giudice rimettente deve ritenersi
senz'altro non implausibile. 
    Del resto, quanto alla portata  oggettiva  della  diminuente,  la
giurisprudenza di legittimita' ha  affermato  che  «il  parametro  di
valutazione ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante ex
art. 311  cod.  pen.  e'  costituito  dalla  effettiva  gravita'  del
fatto-reato con riguardo alle caratteristiche oggettive  dell'azione»
(Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22  febbraio-20
aprile 2017, n. 18981; vedi anche Corte di cassazione, sezione  prima
penale, sentenza 20 ottobre-23 dicembre 1986, n. 14724). 
    2.2.- In relazione,  poi,  al  primo  gruppo  di  eccezioni  deve
considerarsi  che  il  rimettente,  nel  descrivere  il  fatto,  come
accertato nei gradi di merito e ormai coperto dal giudicato, pone  in
rilievo il dato fattuale dell'assenza di danni alle persone  e  della
sussistenza di  limitati  danni  alle  cose  come  conseguenza  della
condotta  addebitata  all'imputato;  dato  che,  a   suo   avviso   e
nell'esercizio delle valutazioni che gli competono quale giudice  del
rinvio,  renderebbe  applicabile,  anche  in   via   prevalente,   la
diminuente di cui all'art. 311 cod. pen.  sulla  recidiva  reiterata,
con cio' adempiendo all'onere di motivazione  della  rilevanza  delle
questioni di legittimita' costituzionale. 
    Il giudice rimettente non era tenuto ad una decisione  anticipata
sull'applicazione della diminuente e sulla  sua  prevalenza  rispetto
alla recidiva reiterata, ma doveva solo argomentare in termini di non
implausibilita' la ricorrenza dei presupposti  della  attenuante  con
conseguente necessita' di comparazione, ai sensi  dell'art.  69  cod.
pen.,  con  l'aggravante  della  recidiva  reiterata  e,  quindi,  di
applicazione  della  disposizione  censurata.  Cio'  ha  fatto,   con
motivazione  sufficiente,  affermando  che   «avuto   riguardo   alle
modalita' con cui si e' realizzato il reato ed alle  conseguenze  che
da questo  sono  in  concreto  derivate,  da  valutarsi  in  rapporto
all'entita' della lesione arrecata ai beni-interessi  tutelati  dalla
norma incriminatrice violata, la condotta [...] appare  soddisfare  i
criteri indicati dall'art. 311 c.p.». 
    Secondo l'orientamento costante  di  questa  Corte,  infatti,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  ammissibile   quando
l'ordinanza di rimessione sia argomentata in modo  da  consentire  il
controllo "esterno" sulla rilevanza della  questione  attraverso  una
motivazione non implausibile del percorso  logico  compiuto  e  delle
ragioni per le quali il rimettente  afferma  di  dover  applicare  la
disposizione censurata nel giudizio principale (ex plurimis, sentenze
n. 237 e n. 149 del 2022, n. 259 del 2021). 
    A  questa  Corte   non   compete   di   spingersi,   nell'odierna
fattispecie, fino ad un esame autonomo degli elementi  che  integrano
la diminuente suddetta. Una volta profilatasi la  possibilita'  della
sua  applicazione  -  non  implausibilmente  ritenuta   dal   giudice
rimettente in ragione della mancanza di vittime e  della  limitatezza
dei danni materiali - viene in rilievo la disposizione censurata, che
esclude la possibilita' di una  valutazione  di  prevalenza  di  tale
attenuante sulla recidiva reiterata, con evidenti  conseguenze  sulla
determinazione della pena, demandata  al  giudice  del  rinvio  dalla
pronuncia  di  annullamento  parziale  della  Corte  di   cassazione.
Valutazione  questa  che,  se  permane  il  divieto,  e'  attualmente
impedita ex lege  dalla  censurata  disposizione  derogatoria  e  che
invece   sarebbe   consentita,   secondo   l'ordinaria   regola   del
bilanciamento delle circostanze, se il divieto fosse rimosso  con  la
pronuncia di  illegittimita'  costituzionale  richiesta  dal  giudice
rimettente. 
    In ogni caso, vi  e'  una  chiara  ed  evidente  incidenza  sulla
motivazione della decisione che il giudice del rinvio e' chiamato  ad
adottare nel decidere in ordine al concorso di circostanze. 
    Ha,  infatti,  affermato  questa  Corte  che  «la  rilevanza  non
coincide con l'utilita' concreta - per una parte del giudizio a quo -
della pronuncia di accoglimento, essendo invece sufficiente che  essa
eserciti  un'influenza  sul  percorso   argomentativo   del   giudice
rimettente (ex multis, sentenze n. 202 e n. 157 del 2021)»  (sentenza
n. 19 del 2022). 
    Cio' vale anche in relazione all'eccepito  difetto  motivazionale
in ordine al giudizio di prevalenza sulla circostanza  aggravante  di
cui all'art. 61, primo  comma,  numero  10),  cod.  pen.,  contestata
all'imputato. La ritenuta (dal rimettente) prevalenza dell'attenuante
di cui all'art. 311 cod. pen. sulla recidiva reiterata  comporterebbe
l'applicazione della regola giurisprudenziale del carattere  unitario
e inscindibile del giudizio  di  comparazione,  nel  senso  che  esso
comprende tutte le circostanze del  reato,  aggravanti  e  attenuanti
ravvisate (ex plurimis, Corte di cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 9-20 ottobre 2003, n. 39456). Sicche'  comunque  il  giudice
rimettente dovrebbe fare applicazione della disposizione censurata. 
    2.3.-   Pertanto,   nessuna   delle   suddette    eccezioni    di
inammissibilita', sollevate sotto il profilo  della  rilevanza  delle
questioni, puo' essere accolta. 
    Sussistendo  poi  nell'ordinanza   una   diffusa   e   ampiamente
sufficiente motivazione in ordine al presupposto della non  manifesta
infondatezza   delle   questioni,   queste    risultano    senz'altro
ammissibili. 
    3.- Passando al merito, va innanzi tutto considerato - quanto  al
quadro normativo, nel quale si collocano le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla Corte d'assise d'appello di  Torino  -
che il  delitto  di  «[d]evastazione  saccheggio  e  strage»  di  cui
all'art. 285 cod. pen.  e  la  circostanza  diminuente  della  «lieve
entita' del fatto» di cui all'art. 311 cod. pen.  si  rinvengono  nel
codice penale del 1930 con una formulazione rimasta sempre invariata,
anche dopo le modifiche introdotte dalla legge 11 novembre  1947,  n.
1317 (Modificazioni al Codice  penale  per  la  parte  riguardante  i
delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato),  al  Libro
II del Titolo I, Capi II, IV e V del codice stesso. 
    Piu' specificamente, la fattispecie di cui all'art. 285 cod. pen.
punisce la condotta di «[c]hiunque,  allo  scopo  di  attentare  alla
sicurezza dello  Stato,  commette  un  fatto  diretto  a  portare  la
devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato  o
in una parte di esso» e stabilisce come pena edittale quella perpetua
dell'ergastolo, come tale fissa nel senso di  non  graduabile  quanto
alla  sua  natura  e  durata.  Pena,  quest'ultima,   introdotta   in
sostituzione di quella della  morte,  abolita  per  tutti  i  delitti
previsti dal codice penale dall'art. 1  del  d.lgs.lgt.  n.  224  del
1944. 
    Accanto alla  fattispecie  in  esame,  nell'ambito  del  medesimo
Titolo I, sono punite  con  la  pena  edittale  fissa  dell'ergastolo
ulteriori fattispecie di reato ed in particolare le condotte  di  cui
agli  artt.  242  (Cittadino  che  porta  le  armi  contro  lo  Stato
italiano), 276 (Attentato contro il Presidente della Repubblica), 284
(Insurrezione armata contro i  poteri  dello  Stato)  e  286  (Guerra
civile). Inoltre, la pena edittale fissa dell'ergastolo  e'  prevista
anche in relazione al delitto di «Epidemia» di cui all'art. 438. 
    Con specifico ed  esclusivo  riferimento  ai  delitti  contro  la
personalita' dello Stato,  il  codice  penale  prevede  -  come  gia'
ricordato - la diminuente della lieve entita' del fatto che, ai sensi
dell'art. 311, ricorre quando «per la natura, la specie, i mezzi,  le
modalita'  o  circostanze  dell'azione,  ovvero  per  la  particolare
tenuita' del  danno  o  del  pericolo,  il  fatto  risulti  di  lieve
entita'»; in tal caso le pene comminate per i delitti  indicati  sono
diminuite. 
    La diminuzione di  pena,  non  essendo  specificamente  stabilita
dalla disposizione che  la  prevede,  risponde  al  criterio  dettato
dall'art.  65  cod.  pen.,  con  la  conseguenza   che   alla   «pena
dell'ergastolo e' sostituita la reclusione da  venti  a  ventiquattro
anni». 
    4.- La disposizione censurata e' contenuta nell'art. 69 cod. pen.
che detta il regime  del  concorso  delle  circostanze  aggravanti  e
attenuanti,  considerando  distinte  ipotesi:  a)  quando  concorrono
insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e  le  prime
sono dal giudice  ritenute  prevalenti,  non  si  tiene  conto  delle
diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si  fa
luogo soltanto agli aumenti di  pena  stabiliti  per  le  circostanze
aggravanti (primo  comma);  b)  se  le  circostanze  attenuanti  sono
ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tiene  conto
degli aumenti di pena stabiliti per queste  ultime,  e  si  fa  luogo
soltanto alle  diminuzioni  di  pena  stabilite  per  le  circostanze
attenuanti (secondo comma); c) se fra  le  circostanze  aggravanti  e
quelle attenuanti il giudice  ritiene  che  vi  sia  equivalenza,  si
applica la pena che sarebbe inflitta se  non  concorresse  alcuna  di
dette circostanze (terzo comma). 
    E' questo il tipico bilanciamento delle circostanze rimesso  alla
valutazione del giudice chiamato a dimensionare la pena  calibrandola
secondo le peculiarita' del caso concreto; bilanciamento nel quale un
ruolo speciale giocano le circostanze  attenuanti  generiche  per  la
loro atipicita'. Infatti esse - introdotte nell'immediato dopo guerra
dall'art. 2 del  decreto  legislativo  luogotenenziale  14  settembre
1944, n. 288 (Provvedimenti relativi alla riforma della  legislazione
penale), per mitigare trasversalmente il rigore del codice penale del
1930 - rilevano sul solo presupposto, ampiamente  discrezionale,  che
siano valutate dal giudice come «tali da giustificare una diminuzione
della pena». 
    La regola generale del bilanciamento di circostanze del reato  e'
stata modificata, nella parte che  rileva  ai  fini  delle  sollevate
questioni, dalla legge n. 251 del 2005, che all'art. 3 ha  sostituito
il quarto comma  dell'art.  69  cod.  pen.  in  questi  termini:  «Le
disposizioni  del  presente  articolo   si   applicano   anche   alle
circostanze inerenti alla  persona  del  colpevole,  esclusi  i  casi
previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e
112, primo comma, numero 4), per cui  vi  e'  divieto  di  prevalenza
delle circostanze attenuanti sulle ritenute  circostanze  aggravanti,
ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una
pena di specie diversa o determini  la  misura  della  pena  in  modo
indipendente da quella ordinaria del reato». 
    In  tal  modo,  e'  stato  introdotto  il  censurato  divieto  di
prevalenza delle circostanze attenuanti quando  ricorre  l'aggravante
della recidiva reiterata. 
    La stessa legge ha, poi, previsto  plurime  modifiche  al  codice
penale, segnatamente con riferimento alla disciplina della recidiva e
delle circostanze del reato. In particolare, l'art. 4  ha  sostituito
l'art. 99 cod. pen., ridefinendo, in termini di  maggior  rigore,  le
varie  ipotesi   di   recidiva,   in   controtendenza   rispetto   al
decreto-legge 11 aprile 1974,  n.  99  (Provvedimenti  urgenti  sulla
giustizia penale),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  7
giugno 1974,  n.  220,  che  gia'  all'epoca  aveva  sostituito  tale
disposizione nel testo del  codice  del  1930  al  fine,  invece,  di
attenuare il rigore di quest'ultimo. 
    L'intervento riformatore del 1974  non  solo  aveva  ridotto  gli
incrementi di pena per le varie ipotesi  di  recidiva,  ma  anche  li
aveva resi facoltativi, prevedendo che il giudice «puo'» aumentare la
pena in tutte le ipotesi di recidiva: da quella semplice (fino  a  un
sesto) a quella reiterata specifica (fino a due terzi). Coerentemente
era stata abrogata la disposizione del codice che prevedeva i casi di
recidiva facoltativa (art. 100), a fronte dell'obbligatorieta'  della
recidiva di cui al precedente art. 99. 
    Con la legge n. 251 del 2005 sono stati  sensibilmente  aumentati
gli incrementi di pena in tutte le ipotesi di recidiva,  anche  oltre
quelli previsti dall'originario art. 99  nel  testo  del  codice  del
1930: da quella semplice (aumento di un  terzo)  a  quella  reiterata
specifica (aumento di due terzi). 
    In particolare, l'ipotesi della recidiva reiterata, sia  semplice
(quella del recidivo che commette un altro delitto non colposo),  sia
specifica (quella del recidivo che commette un  altro  delitto  della
stessa  indole,  oppure  cio'  fa  nei  cinque  anni  dalla  condanna
precedente, o durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero  durante
il tempo in  cui  si  sottrae  volontariamente  all'esecuzione  della
pena), ha visto l'aumento di pena elevato rispettivamente a meta' e a
due terzi (mentre prima era «fino» a meta' e «fino» a due terzi). 
    5.-   Investita   da   numerose   questioni    di    legittimita'
costituzionale, questa  Corte  (sentenza  n.  192  del  2007)  le  ha
dichiarate     inammissibili     per     mancata      sperimentazione
dell'interpretazione adeguatrice da parte dei giudici rimettenti. 
    Ha osservato questa Corte che le sollevate questioni si fondavano
sul presupposto implicito che, a seguito della legge n. 251 del 2005,
la recidiva reiterata  fosse  divenuta  obbligatoria  e  non  potesse
essere  discrezionalmente  esclusa  dal  giudice  -  quantomeno  agli
effetti della  commisurazione  della  pena  -  in  correlazione  alle
peculiarita' del caso concreto. 
    Ma questa non era l'unica lettura  astrattamente  possibile:  «la
nuova formula normativa potrebbe essere letta anche nel diverso senso
che l'indicativo presente "e'" si riferisca, nella sua imperativita',
esclusivamente alla misura  dell'aumento  di  pena  conseguente  alla
recidiva pluriaggravata e reiterata - aumento che, a  differenza  che
per l'ipotesi della recidiva  aggravata,  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 99 cod. pen., il legislatore del  2005  ha  voluto  rendere
fisso, anziche' variabile tra un minimo  e  un  massimo  -  lasciando
viceversa inalterato il potere discrezionale del giudice di applicare
o meno l'aumento stesso». Ed ha aggiunto questa Corte: «allorche'  la
recidiva reiterata concorra con una o piu' attenuanti,  e'  possibile
sostenere che il giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento
- soggetto al regime limitativo di cui  all'art.  69,  quarto  comma,
cod.  pen.  -  unicamente  quando,  sulla  base  dei  criteri  dianzi
ricordati, ritenga la recidiva  reiterata  effettivamente  idonea  ad
influire, di per se', sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui
si procede; mentre, in caso contrario, non vi sara'  luogo  ad  alcun
giudizio di comparazione: rimanendo con  cio'  esclusa  la  censurata
elisione automatica delle circostanze attenuanti». 
    Insomma, era possibile interpretare l'art. 99, quarto comma, cod.
pen., nel senso che la recidiva  reiterata,  divenuta  facoltativa  a
seguito del d.l. n. 99 del 1974, come convertito,  era  rimasta  tale
anche dopo la legge n. 251 del 2005 che contemplava testualmente come
obbligatoria  solo  la  particolare  (e  piu'   specifica)   recidiva
reiterata di cui al quinto comma dell'art. 99 cod. pen. 
    E' questo anche  l'approdo  della  successiva  giurisprudenza  di
legittimita':  e'  consentito  al   giudice   negare   la   rilevanza
aggravatrice  della  recidiva  ed  escludere  la   circostanza,   non
applicando il relativo aumento della sanzione (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenze 24 febbraio-24 maggio 2011, n. 20798 e
27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738). 
    Rimaneva  sottratta  a  tale  interpretazione  solo  la  recidiva
reiterata del quinto comma dell'art. 99 cod. pen., quella che ricorre
quando si tratta di uno dei delitti indicati all'art. 407,  comma  2,
lettera a), del codice di procedura penale e che - oltre a comportare
un aumento di pena ancora maggiore - era testualmente  prevista  come
obbligatoria. Ma successivamente  anche  tale  ipotesi  specifica  e'
venuta meno allorche' questa  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  limitatamente  alle  parole  «e'
obbligatorio e,» (sentenza n. 185 del 2015). In particolare, e' stato
posto in rilievo che  l'automatismo  sanzionatorio  introdotto  dalla
norma censurata - ossia l'obbligatorieta' dell'aumento di pena per la
recidiva reiterata specifica del quinto comma dell'art. 99 cod.  pen.
-  non  si  giustificava,  contrastando  esso  con  il  principio  di
ragionevolezza perche' parificava situazioni personali e  ipotesi  di
recidiva tra loro diverse, in violazione dell'art.  3  Cost.  Inoltre
«[l]a  preclusione  dell'accertamento  della  sussistenza  nel   caso
concreto delle condizioni che dovrebbero  legittimare  l'applicazione
della recidiva puo' rendere la  pena  palesemente  sproporzionata,  e
dunque avvertita  come  ingiusta  dal  condannato,  vanificandone  la
finalita' rieducativa prevista appunto  dall'art.  27,  terzo  comma,
Cost.». 
    Si e' cosi' anche consolidata l'interpretazione  alla  quale  era
pervenuta la giurisprudenza di legittimita': se non  e'  obbligatoria
l'ipotesi piu' grave di recidiva, quella del quinto  comma  dell'art.
99 cod. pen., a maggior ragione non lo sono  le  altre  previste  dai
commi precedenti e quindi al giudice e' sempre consentito «negare  la
rilevanza aggravatrice della recidiva ed  escludere  la  circostanza,
non applicando il relativo aumento della sanzione» (ancora,  sentenza
n. 185 del 2015). 
    6.-  Pertanto,  la  connotazione  peculiare   della   circostanza
aggravante della recidiva reiterata, come modificata dalla  legge  n.
251  del  2005,  risiede  nel  rigido  automatismo  del  divieto   di
prevalenza  di  qualsiasi  circostanza  attenuante  a  fronte   della
persistente non obbligatorieta' della sua applicazione. 
    Nella legge n. 251 del 2005 e' rimasto, infatti,  a  valle  della
pur non obbligatorieta' di ogni fattispecie di recidiva,  un  effetto
inequivocabilmente automatico,  quello  censurato  oggi  dal  giudice
rimettente. La recidiva reiterata del quarto comma dell'art. 99  cod.
pen. per un verso  puo'  (non  necessariamente  deve)  comportare  un
aumento di pena maggiore che in passato, ma  per  l'altro  determina,
come effetto automatico  appunto,  il  divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti. 
    Infatti, l'art. 3 della  legge  n.  251  del  2005  -  come  gia'
rilevato - ha sostituito il  quarto  comma  dell'art.  69  cod.  pen.
(disposizione  censurata)  prevedendo  che  per   alcune   aggravanti
nominate - la recidiva reiterata del quarto comma dell'art.  99  cod.
pen., l'aver determinato al reato una persona non  imputabile  o  non
punibile, o un minore di anni diciotto o  una  persona  in  stato  di
infermita'  o  di  deficienza  psichica  -  ci  sia  il  «divieto  di
prevalenza delle circostanze attenuanti  sulle  ritenute  circostanze
aggravanti». 
    Invece, per tutte le altre circostanze  -  anche  quelle  per  le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o  determina  la
misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del  reato
- si applica  l'ordinaria  disciplina  del  concorso  di  circostanze
aggravanti e attenuanti prevista dai primi  tre  commi  dello  stesso
art. 69. 
    Il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti  su  quella
aggravante  della  recidiva  reiterata  connota   quest'ultima   come
circostanza aggravante dotata di forza maggiore, che si  iscrive  nel
novero di quelle cosiddette "privilegiate". 
    Il sistema penale conosce varie ipotesi di circostanze aggravanti
per  le  quali  vale  il  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti o finanche, piu' radicalmente, l'esclusione  del  giudizio
di comparazione tra circostanze. 
    Quanto al divieto di prevalenza di circostanze  attenuanti  o  al
divieto di bilanciamento delle circostanze di cui  all'art.  69  cod.
pen. (cosiddette circostanze "privilegiate"), «[h]a affermato  questa
Corte (sentenza n. 38 del 1985) che "[n]ell'art. 69 cod.  pen.  [...]
l'obbligatorieta'  del  giudizio  di   bilanciamento   ha   una   sua
razionalita'  nell'essenza  stessa  di  quella  valutazione,  che  e'
giudizio di  valore  globale  del  fatto".  Ma  il  legislatore  puo'
sospendere  l'applicazione  dell'art.  69  cod.  pen.,  togliendo  al
giudice  il  potere  discrezionale  di  operare  il  bilanciamento  a
compensazione  delle  aggravanti  o  a  favore  delle  attenuanti  in
un'ottica di inasprimento sanzionatorio.  Si  tratta  di  una  "grave
limitazione" che in se' non e' illegittima, ma non puo' accompagnarsi
anche alla irrilevanza ex  lege  delle  circostanze  attenuanti.  Con
questa limitazione, si e' quindi  riconosciuto  che  appartiene  alla
discrezionalita'  del  legislatore  introdurre  speciali  ipotesi  di
circostanze   aggravanti   privilegiate   che   sono   sottratte   al
bilanciamento di cui all'art. 69  cod.  pen.»  (sentenza  n.  88  del
2019). 
    Una clausola di esclusione della comparazione e'  stata  prevista
dall'art. 416-bis.1 cod. pen. (Circostanze  aggravanti  e  attenuanti
per reati connessi ad attivita' mafiose). 
    Anche con riguardo all'aggravante della finalita' di terrorismo o
di eversione dell'ordine democratico di cui all'art.  270-bis.1  cod.
pen. si ha che le circostanze attenuanti non possono essere  ritenute
equivalenti o prevalenti. 
    In riferimento al "nuovo" reato di omicidio stradale e di lesioni
stradali gravi e gravissime, un divieto di bilanciamento e'  previsto
dall'art.  590-quater  cod.  pen.  quando  ricorrono  le  circostanze
aggravanti di cui agli artt. 589-bis, secondo, terzo, quarto,  quinto
e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo,  terzo,  quarto,  quinto  e
sesto comma, e 590-ter cod. pen. 
    Piu' recentemente, l'art. 5, comma 1,  lettera  b),  del  decreto
legislativo 1° marzo 2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione
del principio di delega della riserva di codice nella materia  penale
a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23  giugno
2017, n. 103», ha introdotto l'art. 69-bis cod.  pen.,  che  prevede,
per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), numeri da  1)
a 6), cod. proc. pen., un divieto  di  bilanciamento  di  circostanze
aggravanti e attenuanti nell'ipotesi in cui chi ha determinato  altri
a commettere il reato, o si e' avvalso di altri nella commissione del
delitto, ne e' il genitore esercente la  responsabilita'  genitoriale
ovvero il fratello o la sorella, aggiungendo che  le  diminuzioni  di
pena si operano  sulla  quantita'  di  pena  risultante  dall'aumento
conseguente alle predette aggravanti. 
    Quindi vi sono  varie  circostanze  "privilegiate",  quelle  alle
quali   il   legislatore   ha   riservato   un   regime   derogatorio
dell'ordinario bilanciamento di cui all'art. 69 cod. pen. 
    7.- In questo panorama di aggravanti "privilegiate",  il  divieto
di prevalenza delle attenuanti con riguardo alla  recidiva  reiterata
si presenta come particolare perche' l'automatismo di tale esclusione
si  innesta   sulla   mancanza   di   automatismo   dell'applicazione
dell'aumento di pena. 
    Il giudice deve innanzi  tutto  accertare,  con  discrezionalita'
valutativa, se sussistono i presupposti per  applicare  l'aumento  di
pena per la recidiva  reiterata,  verificando,  in  concreto,  se  le
precedenti condanne abbiano reso la persona  maggiormente  incline  a
commettere un ulteriore reato. 
    E' questo un accertamento  distinto  rispetto  alla  (logicamente
successiva) valutazione di proporzionalita' della pena irrogabile ove
sia  in  concreto  applicabile  l'aumento   per   la   recidiva.   In
particolare, quanto all'ipotesi della recidiva reiterata, solo se  il
giudice ritiene che debba in concreto applicare l'aumento di pena per
tale   circostanza   aggravante,    allora    scatta    l'automatismo
dell'esclusione  della  prevalenza  di  qualsivoglia  (eventualmente)
concorrente circostanza attenuante. 
    Questa  preliminare  valutazione,  pur  discrezionale,   e'   ben
distinta  da  quella  che,  in   seguito,   in   caso   di   condanna
dell'imputato, il giudice e' chiamato a fare per  stabilire  la  pena
proporzionata al reato accertato. 
    Diversamente nel caso oggetto del giudizio a quo - come mette  in
rilievo il rimettente - si ha che, dopo la pronuncia di  annullamento
della Corte di cassazione,  non  sono  piu'  in  discussione  ne'  la
qualificazione  giuridica  dei  reati  contestati  (e  innanzi  tutto
quello, piu' grave, di cui all'art. 285 cod. pen.), ne'  il  giudizio
di penale responsabilita', in particolare, dell'imputato, ne' la  sua
condizione di recidivo reiterato ai sensi dell'art. 99, quarto comma,
cod. pen. 
    Si   e'   formato   un   giudicato   interno    sull'operativita'
dell'aggravante  costituita  dalla   recidiva   reiterata,   la   cui
originaria non obbligatorieta' non puo'  piu'  rilevare,  e  cio'  fa
scattare  l'automatismo  dell'esclusione   della   prevalenza   delle
attenuanti. 
    La riqualificazione del reato da parte della Corte di  cassazione
- strage "politica" ex art. 285 cod. pen. (punita con l'ergastolo)  e
non gia' strage "comune" ex art. 422 cod.  pen.  senza  uccisione  di
persone (punita con la reclusione non inferiore a  quindici  anni)  -
comporta, quindi, il necessario dispiegarsi  dell'automatismo  recato
dalla disposizione  censurata:  anche  nel  concorso  di  circostanze
attenuanti il giudice non puo' che irrogare la  pena  edittale  fissa
dell'ergastolo. 
    8.- La tenuta costituzionale di questo  automatismo,  insito  nel
divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti,  non  poteva  che
misurarsi con i principi di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.),
di offensivita' della condotta  del  reo  (art.  25,  secondo  comma,
Cost.) e della necessaria proporzionalita' della pena  tendente  alla
rieducazione del condannato (art. 27, terzo comma,  Cost.),  pur  nel
contesto della generale non obbligatorieta' della recidiva,  che  non
attenua la portata del divieto stesso, ma anzi lo fa  apparire,  gia'
per cio' solo, eccedente se non proprio contraddittorio. 
    Questa Corte ha ripetutamente fatto tale verifica di legittimita'
costituzionale  con  riferimento  a  singoli  reati  e  a  specifiche
circostanze attenuanti e il divieto di  prevalenza  delle  attenuanti
sull'aggravante della recidiva reiterata e'  gia'  stato  piu'  volte
dichiarato   costituzionalmente   illegittimo   con   riferimento   a
specifiche circostanze diminuenti e a singoli reati. 
    8.1.- Con la sentenza n. 143 del 2021, che ha avuto ad oggetto la
preclusione  introdotta  dalla  disposizione  censurata  proprio  con
riferimento alla medesima diminuente di cui all'art. 311  cod.  pen.,
questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il  divieto
di  prevalenza  della  diminuente  del  fatto  di  lieve  entita'   -
introdotta con sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in  relazione
al reato di sequestro di  persona  a  scopo  di  estorsione,  di  cui
all'art. 630 cod. pen. - sulla circostanza aggravante della  recidiva
di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    La  «funzione  di   necessario   riequilibrio   del   trattamento
sanzionatorio» riconosciuta  alla  diminuente  del  «fatto  di  lieve
entita'» si  e'  posta  come  essenziale  perche'  il  giudice  possa
individuare una pena proporzionata anche in relazione a condotte meno
gravi di quelle avute di mira dal legislatore che, con  la  legge  30
dicembre 1980, n. 894 (Modifiche all'articolo 630 del codice penale),
ha modificato il trattamento sanzionatorio del delitto  di  sequestro
di persona a scopo di estorsione, stabilendo la pena della reclusione
da venticinque a trent'anni. 
    Mette conto ricordare anche che, nella precedente sentenza n.  68
del  2012,   questa   Corte   -   nel   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 630  cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevedeva «che la pena da esso comminata e' diminuita quando  per  la
natura, la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze  dell'azione,
ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto
risulti di lieve entita'» - ha affermato,  con  riferimento  all'art.
311 cod. pen.,  che  la  peculiare  funzione  di  questa  attenuante,
«rientrante nel novero  delle  circostanze  cosiddette  indefinite  o
discrezionali (non avendo il legislatore meglio precisato il concetto
di "lievita'" del fatto) [...] consiste propriamente nel  mitigare  -
in rapporto ai soli  profili  oggettivi  del  fatto  (caratteristiche
dell'azione criminosa, entita'  del  danno  o  del  pericolo)  -  una
risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza  e  che,  proprio
per  questo,  rischia  di  rivelarsi  incapace  di  adattamento  alla
varieta' delle situazioni concrete riconducibili al modello legale». 
    8.2.- La richiamata sentenza n. 143 del 2021 e'  stata  preceduta
da  numerose  altre  pronunce,  tutte  dichiarative,  in   linea   di
continuita', dell'illegittimita' costituzionale parziale della stessa
disposizione attualmente censurata dal giudice rimettente (l'art. 69,
quarto comma, cod. pen.). 
    Con la sentenza n. 251 del 2012, questa Corte  -  nel  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione nella  parte  in
cui prevedeva il divieto di prevalenza della  circostanza  attenuante
di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza) -  ha,  tra  l'altro,  affermato  che  le
differenze quantitative delle comminatorie edittali dei commi 1  e  5
del citato art. 73 rispecchiano le diverse caratteristiche  oggettive
delle due fattispecie sul piano dell'offensivita'; in particolare, il
trattamento sanzionatorio decisamente piu' mite, assicurato al  fatto
di "lieve entita'", esprime una dimensione offensiva la cui effettiva
portata e' disconosciuta dalla norma censurata, la  quale  «indirizza
l'individuazione della pena concreta verso un'abnorme  enfatizzazione
delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata,  a
detrimento delle componenti oggettive del reato». 
    Ed ha aggiunto che «[d]ue fatti, quelli previsti dal primo e  dal
quinto  comma  dell'art.  73,  che  lo  stesso  assetto   legislativo
riconosce come profondamente diversi sul piano  dell'offesa,  vengono
ricondotti alla medesima  cornice  edittale,  e  cio'  "determina  un
contrasto tra la disciplina censurata e  l'art.  25,  secondo  comma,
Cost., che pone il fatto  alla  base  della  responsabilita'  penale"
(sentenza n. 249 del 2010)». 
    Analogamente,  con  riferimento  alla  stessa  disciplina   degli
stupefacenti, questa Corte, con  la  sentenza  n.  74  del  2016,  ha
dichiarato    l'illegittimita'    costituzionale    della    medesima
disposizione nella parte in cui prevedeva il  divieto  di  prevalenza
della circostanza  attenuante  di  cui  al  successivo  comma  7  del
medesimo art. 73. La rigida presunzione  di  capacita'  a  delinquere
desunta dall'esistenza di una recidiva reiterata  «e'  inadeguata  ad
assorbire e neutralizzare gli indici contrari, che possono desumersi,
a favore del  reo,  dalla  condotta  susseguente,  con  la  quale  la
recidiva reiterata non ha alcun necessario collegamento»; condotta di
chi si adopera per evitare che l'attivita' delittuosa sia  portata  a
conseguenze ulteriori. 
    Parimenti, nella sentenza  n.  105  del  2014,  questa  Corte  ha
affermato che la disposizione censurata, nel precludere relativamente
al reato di ricettazione la prevalenza dell'attenuante del  fatto  di
«particolare   tenuita'»   sulla   recidiva   reiterata,    determina
conseguenze manifestamente irragionevoli sul piano sanzionatorio  per
la riconducibilita' alla medesima cornice edittale di due  fatti  che
lo stesso legislatore riconosce come profondamente diversi sul  piano
dell'offesa, dal momento che «[l]e differenti  comminatorie  edittali
del primo e del secondo comma dell'art. 648 cod. pen. rispecchiano le
diverse caratteristiche oggettive delle due  fattispecie,  sul  piano
dell'offensivita'». 
    Principi analoghi sono alla base della sentenza n. 106 del  2014,
in relazione al divieto di prevalenza  della  circostanza  attenuante
concernente i «casi di minore  gravita'»  di  violenza  sessuale  cui
all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. Tale circostanza  attenuante
si pone «quale temperamento degli effetti della concentrazione in  un
unico reato di  comportamenti,  tra  loro  assai  differenziati,  che
comunque incidono sulla liberta' sessuale  della  persona  offesa,  e
della conseguente diversa intensita' della lesione  dell'oggettivita'
giuridica del reato». 
    Nella  sentenza  n.   205   del   2017,   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale ha riguardato la circostanza attenuante
di cui all'art. 219, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.
267  (Disciplina   del   fallimento,   del   concordato   preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa),  concernente  il  «danno  patrimoniale  di  speciale
tenuita'»  cagionato  alla  massa  dei  creditori  per  i  reati   di
bancarotta fraudolenta, bancarotta  semplice  e  ricorso  abusivo  al
credito.  Si  e'  riconosciuto  che  il  trattamento   sanzionatorio,
significativamente piu' mite, assicurato ai fatti di  bancarotta  che
hanno determinato un  danno  patrimoniale  di  particolare  tenuita',
«esprime  una  dimensione  offensiva  la  cui  effettiva  portata  e'
disconosciuta dalla norma censurata, che  indirizza  l'individuazione
della pena concreta verso un'abnorme enfatizzazione delle  componenti
soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento  delle
componenti oggettive del reato». 
    Inoltre, in relazione al divieto  di  prevalenza  dell'attenuante
del vizio parziale di mente di cui  all'art.  89  cod.  pen.,  questa
Corte, nella sentenza n. 73 del 2020, ha affermato che esso impedisce
al giudice  di  determinare  una  pena  proporzionata  rispetto  alla
concreta gravita'  oggettiva  e  soggettiva  del  reato,  e  pertanto
adeguata al grado di responsabilita' «personale» e  rimproverabilita'
del suo autore, «non consentendo di tenere adeguatamente conto  [...]
della minore possibilita' di essere motivato dalle norme  di  divieto
da parte di  chi  risulti  affetto  da  patologie  o  disturbi  della
personalita' che, seppur non  escludendola  del  tutto,  diminuiscano
grandemente la sua capacita' di intendere e di volere»,  come  invece
previsto dalla circostanza attenuante indicata, «riconducibile  a  un
connotato  di  sistema  di  un  diritto  penale   "costituzionalmente
orientato"». 
    Nell'esaminare la fattispecie del cosiddetto concorso anomalo  di
cui all'art. 116, primo comma, cod. pen.  -  che  prevede  lo  stesso
titolo di responsabilita' per il reato, diverso da quello voluto  con
l'accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando  cosi'  a
quest'ultimo la posizione  del  concorrente  che  non  ha  voluto  il
fatto-reato - questa  Corte,  nella  sentenza  n.  55  del  2021,  ha
affermato che la diminuente di cui al  secondo  comma  dell'art.  116
cod. pen. vale proprio  ad  operare  la  necessaria  diversificazione
quanto alla  dosimetria  della  pena,  in  quanto  «[i]l  trattamento
sanzionatorio non puo' essere pienamente parificato quando  il  reato
commesso sia piu' grave di quello voluto», per cui «la  pena  per  il
correo che risponde a titolo di colpa di un reato doloso  piu'  grave
di  quello   voluto   e'   necessariamente   riequilibrata   mediante
l'operativita' della diminuente». 
    9.- Tutto cio' premesso, le sollevate questioni  di  legittimita'
costituzionale, inquadrate in questo contesto normativo (punti da 3 a
7)  e  giurisprudenziale  (punto  8  e  seguenti),  sono  fondate  in
riferimento a tutti i parametri evocati dal giudice rimettente. 
    10.- Come  si  e'  ricordato,  il  divieto  di  prevalenza  delle
attenuanti in caso di recidiva reiterata, recato  dalla  disposizione
censurata, e' gia' stato  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
piu' volte. Si e' trattato di  pronunce  tutte  relative  a  distinti
reati e a specifiche circostanze attenuanti (in rassegna al punto 8),
ma  alle  quali  sono  sottese  rationes  decidendi  riconducibili  a
principi comuni, declinati lungo una triplice direttrice, i  quali  -
come si dira' - sono decisivi al fine della valutazione di fondatezza
delle questioni, in linea di continuita' con tali precedenti. 
    10.1.-  La  prima  condivisa   ratio   decidendi   attiene   alla
particolare ampiezza della divaricazione tra la  pena  base  prevista
per il reato non circostanziato e quella risultante dall'applicazione
dell'attenuante; divaricazione che,  per  essere  compatibile  con  i
principi di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di offensivita'
della  condotta  penale  (art.  25,  secondo  comma,  Cost.)   e   di
proporzionalita' della pena tendente alla rieducazione del condannato
(art. 27,  terzo  comma,  Cost.),  richiede  necessariamente  che  il
giudice possa operare l'ordinario  giudizio  di  bilanciamento  delle
circostanze  (art.  69  cod.  pen.),  senza  che  sia   preclusa   la
valutazione di prevalenza dell'attenuante sulla recidiva reiterata. 
    La  deroga  al  giudizio   di   bilanciamento   tra   circostanze
eterogenee, insita nel divieto recato dalla  disposizione  censurata,
determina,  in  questi  casi,  una   «alterazione   degli   equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale» (sentenza n. 251 del 2012), perche'  finisce  per  comportare
l'applicazione di pene identiche per  violazioni  di  rilievo  penale
marcatamente diverso. 
    L'affermazione di tale principio si rinviene gia' nella pronuncia
appena richiamata, concernente le violazioni «di lieve entita'» della
disciplina degli stupefacenti, per le quali l'art. 73, comma  5,  del
d.P.R. n. 309 del 1990, recante l'attenuante in questione,  prevedeva
la pena della reclusione da uno a sei anni (oltre la multa) a  fronte
di  una  pena  edittale,  per  il  reato  non  circostanziato,  della
reclusione da sei a venti anni (oltre  la  multa).  Questa  Corte  ha
evidenziato l'«enorme divaricazione delle cornici edittali» stabilite
dal legislatore per il reato circostanziato dalla diminuente e per la
fattispecie base prevista dal comma 1 della disposizione citata,  con
l'effetto di «un'abnorme enfatizzazione delle  componenti  soggettive
riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle  componenti
oggettive del reato». 
    Quanto allo stesso  reato,  considerazioni  analoghe  sono  state
fatte da questa Corte (sentenza n. 74 del 2016) con riferimento  alla
circostanza attenuante ad effetto speciale, prevista dal comma 7  del
medesimo art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, che comporta una marcata
diminuzione della pena (dalla meta' a due terzi) per chi  si  adopera
per evitare che l'attivita'  delittuosa  sia  portata  a  conseguenze
ulteriori. 
    Alla stessa  ragione  del  decidere  e'  riconducibile  anche  la
sentenza n. 105 del 2014 relativa alla ricettazione  «di  particolare
tenuita'» (art. 648, secondo comma, cod. pen.). Il minimo della  pena
detentiva previsto per il fatto di particolare tenuita' (15 giorni di
reclusione) veniva elevato a due anni, determinando  cosi',  a  causa
del divieto di prevalenza delle attenuanti di cui  alla  disposizione
censurata, un trattamento sanzionatorio «irragionevolmente severo». 
    La coeva sentenza n.  106  del  2014  ha  riguardato  i  casi  di
violenza sessuale di «minore gravita'», per i quali  l'art.  609-bis,
terzo comma, cod. pen., prevede una pena della reclusione (da un anno
e otto mesi a tre anni e  quattro  mesi)  sensibilmente  inferiore  a
quella relativa al reato non circostanziato (reclusione da  cinque  a
dieci anni). 
    Il divieto di prevalenza delle attenuanti finiva  per  attribuire
alla  risposta  punitiva  i  connotati  di  «una   pena   palesemente
sproporzionata» e, dunque, «inevitabilmente avvertita  come  ingiusta
dal condannato». 
    Analoga divaricazione sproporzionata e' stata ritenuta  (sentenza
n. 205 del 2017) con riferimento al reato di bancarotta  fraudolenta,
punito con la pena edittale che va da tre a dieci anni di reclusione,
pena che, per effetto dell'attenuante prevista per il caso di  «danno
patrimoniale di speciale tenuita'», puo' essere  ridotta  nel  minimo
fino a un anno. 
    Particolarmente significativa per  le  questioni  attualmente  in
esame e' - come gia' rilevato - la sentenza n. 143 del 2021 che,  con
riferimento proprio all'attenuante di cui all'art. 311 cod. pen.,  ha
posto in rilievo che la funzione di tale diminuente, pur comune e non
gia' ad effetto speciale, «consiste propriamente nel  mitigare  -  in
rapporto  ai  soli  profili  oggettivi  del  fatto   (caratteristiche
dell'azione criminosa, entita'  del  danno  o  del  pericolo)  -  una
risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza  e  che,  proprio
per  questo,  rischia  di  rivelarsi  incapace  di  adattamento  alla
varieta' delle situazioni concrete riconducibili al modello legale». 
    In definitiva, in tutte queste fattispecie e' stata  riconosciuta
alle  singole  attenuanti,  anche  non  ad  effetto   speciale,   una
necessaria funzione riequilibratrice del marcato divario tra una pena
particolarmente elevata per il reato base  a  fronte  di  quella  che
altrimenti risulterebbe dall'applicazione  dell'attenuante;  funzione
che, per il rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza (art.
3, primo comma, Cost.), di  offensivita'  della  condotta  sanzionata
penalmente (art. 25, secondo  comma,  Cost.)  e  di  proporzionalita'
della pena tendente alla rieducazione del condannato (art. 27,  terzo
comma, Cost.), non puo' essere compromessa dal divieto di  prevalenza
sulla recidiva reiterata recato dalla disposizione censurata. 
    10.2.- Inoltre, ancora sotto il profilo oggettivo, nei precedenti
richiamati,  e'  stata  rilevante,  come  ragione  del  decidere,  la
considerazione che alcune attenuanti sono accomunate dall'esigenza di
bilanciare la particolare ampiezza della fattispecie  del  reato  non
circostanziato che accomuna  condotte  marcatamente  diverse,  e  che
necessitano  di  essere  differenziate   nella   determinazione   del
trattamento sanzionatorio. 
    Lo spaccio di lieve entita' (art. 73, comma 5, del d.P.R. n.  309
del 1990) costituisce condotta certamente meno grave del traffico  di
stupefacenti, tipico del reato non circostanziato di cui al  comma  1
della stessa  disposizione,  tanto  che  in  seguito  esso  e'  stato
previsto come fattispecie autonoma di reato. 
    Anche le condotte di atti sessuali  di  «minore  gravita'»  -  in
passato riconducibili agli atti di libidine violenti o alle molestie,
ma ricompresi, a seguito della riforma del 1996  (legge  15  febbraio
1996, n. 66, recante «Norme contro la violenza sessuale»), nel reato,
ad ampio spettro, di violenza sessuale  -  richiedono  la  necessaria
funzione riequilibratrice dell'attenuante  ad  effetto  speciale  del
terzo comma dell'art. 609-bis cod. pen. 
    10.3.- Sotto il profilo soggettivo, infine, una  ulteriore  ratio
decidendi e' rinvenibile in  quelle  pronunce  che  hanno  riguardato
attenuanti  strettamente  legate   al   carattere   personale   della
responsabilita' penale. 
    Si tratta di circostanze  attenuanti  espressive  non  gia',  sul
piano oggettivo, di una minore offensivita' del fatto  rispetto  agli
interessi protetti dalla norma penale, ne' di una finalita'  premiale
rispetto a condotte post delictum,  quanto  piuttosto  della  ridotta
rimproverabilita' soggettiva dell'autore. 
    La circostanza attenuante del vizio  parziale  di  mente  di  cui
all'art. 89 cod. pen. si fonda sul minore grado di discernimento,  da
parte dell'autore che versi in tale condizione,  circa  il  disvalore
della sua condotta e sulla minore capacita'  di  controllo  dei  suoi
impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono;  di
qui, la ridotta  rimproverabilita'  soggettiva.  Con  riferimento  ad
essa, questa Corte ha affermato che il «principio di proporzionalita'
della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.  esige
insomma, in via generale, che al  minor  grado  di  rimproverabilita'
soggettiva corrisponda una  pena  inferiore  rispetto  a  quella  che
sarebbe applicabile a  parita'  di  disvalore  oggettivo  del  fatto»
(sentenza n. 73 del 2020). 
    Anche la circostanza attenuante  di  cui  all'art.  116,  secondo
comma, cod. pen., che contempla l'ipotesi in cui  il  reato  commesso
sia diverso da quello voluto da taluno  dei  concorrenti,  prevedendo
che quest'ultimo ne risponde se l'evento  e'  conseguenza  della  sua
azione od omissione, svolge la «funzione di  necessario  riequilibrio
del trattamento sanzionatorio» (sentenza n. 55 del 2021). La pena per
il correo, che risponde a titolo di colpa di  un  reato  doloso  piu'
grave di quello voluto,  e'  necessariamente  riequilibrata  mediante
l'operativita' di tale  diminuente  che  «concorre  a  sorreggere  la
tenuta  costituzionale   di   questa   eccezionale   fattispecie   di
responsabilita' penale»; riequilibrio che non puo' essere compromesso
dal  divieto  di   prevalenza   delle   attenuanti   previsto   dalla
disposizione censurata. 
    11.- Orbene, queste ragioni del decidere (sub punti  da  10.1.  a
10.3.), che reclamano l'ordinario  giudizio  di  bilanciamento  delle
circostanze attenuanti pur  in  presenza  della  recidiva  reiterata,
ricorrono tutte, e in maggior grado, nell'ipotesi in cui  il  divieto
di prevalenza delle circostanze attenuanti comporta che l'unica  pena
irrogabile  e'  l'ergastolo,  quale  che  sia   stata   la   condotta
dell'imputato, rientrante in quella prevista dall'art. 285 cod.  pen.
come strage (ma, beninteso, cio' vale anche quando il  divieto  opera
in riferimento alle condotte di devastazione o  saccheggio,  previste
anch'esse dalla stessa disposizione). 
    Il divario tra la pena edittale e  quella  che,  in  assenza  del
contestato divieto, sarebbe irrogabile ove  ricorra  una  circostanza
attenuante  dal  giudice  valutata  come  prevalente  sulla  recidiva
reiterata, risulta qui particolarmente elevato: in luogo di una  pena
perpetua, quale l'ergastolo, sarebbe possibile applicare, sempre  che
il giudice ritenga prevalente l'attenuante, la pena temporanea  della
reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 cod. pen.). 
    Quest'ultima e' calibrata sul fatto  e  sulle  sue  peculiarita',
nonche' sulla persona dell'imputato ai sensi dell'art. 133 cod. pen.,
pur con le limitazioni contenute ora, per effetto ancora della  legge
n. 251 del 2005, nel secondo comma dell'art. 62-bis cod. pen. 
    Invece la pena edittale (l'ergastolo) non  e'  graduabile  quanto
alla durata, proprio perche' e' perpetua e tale e' nel momento in cui
viene irrogata con sentenza passata in giudicato; in quel momento  la
prospettiva per il condannato e' una pena che non ha mai fine. 
    E'  vero  che  questa  Corte  ha   rinvenuto   nella   disciplina
dell'esecuzione della pena  istituti  che  consentono  di  escludere,
nella fase dell'espiazione, il carattere di irrimediabile perpetuita'
della stessa come restrizione "senza speranza", sottolineando che  si
tratta  di  «istituti  che  si  caratterizzano  come  concettualmente
antagonisti rispetto alla perpetuita' della pena»  (sentenza  n.  168
del 1994). 
    In proposito, la sentenza n. 264 del 1974  ha  affermato  che  al
condannato alla pena perpetua non e' preclusa la possibilita'  di  un
rientro nella societa' tramite la liberazione condizionale.  Infatti,
il beneficio e' concedibile - dal giudice e non piu' per  concessione
del Ministro della giustizia (sentenza n. 204 del 1974)  -  anche  ai
condannati alla pena perpetua quando abbiano scontato almeno ventisei
anni di reclusione; beneficio che si accompagna comunque al  rispetto
degli obblighi della liberta' vigilata per la durata di  cinque  anni
affinche' la pena dell'ergastolo possa alla fine estinguersi e quindi
risultare, in concreto ed ex post, non essere stata perpetua. 
    Anche recentemente, questa Corte  (sentenza  n.  66  del  2023  e
ordinanza n. 97 del 2021) ha ribadito il  ruolo  dell'istituto  della
liberazione condizionale quale garanzia di compatibilita' della  pena
dell'ergastolo di cui all'art. 22  cod.  pen.  con  il  principio  di
risocializzazione presidiato dall'art. 27 Cost., sottolineando che la
liberazione condizionale e' l'unico istituto che, in virtu' della sua
esistenza nell'ordinamento, rende non contrastante con  il  principio
rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell'ergastolo. 
    Altre pronunce poi convergono nella stessa direzione, rafforzando
la prospettiva della liberazione condizionale (sentenze  n.  253  del
2019, n. 161 del 1997 e n. 274 del 1983). 
    Tuttavia va considerato che, pur con il riconoscimento di  queste
tutele, tese a rafforzare  il  processo  rieducativo  finalizzato  al
"sicuro   ravvedimento",   quale   presupposto   della    liberazione
condizionale del condannato all'ergastolo dopo  l'espiazione  di  non
meno di ventisei anni di reclusione (art. 176 cod. pen.), il  fossato
che, come divario sanzionatorio, esiste  tra  la  pena  perpetua,  al
momento della sua irrogazione, ed  una  temporanea,  e'  radicalmente
maggiore di ogni  squilibrio  considerato  dalla  giurisprudenza  per
dichiarare, nelle plurime richiamate  fattispecie  (sub  punto  10  e
seguenti), l'illegittimita' costituzionale del censurato  divieto  di
prevalenza delle attenuanti. 
    12.-  Oltre  a  questo  particolare  rigore  sanzionatorio,  c'e'
un'ulteriore concorrente esigenza di  "riequilibrio"  per  essere  la
pena dell'ergastolo prevista dall'art. 285 cod. pen., non solo  molto
piu' afflittiva  di  ogni  pena  temporanea,  ma  anche  irrogata  in
riferimento ad una condotta ad ampio spettro - tale e' il  compimento
di «un fatto diretto a portare [...] la strage nel  territorio  dello
Stato» - e che eccezionalmente  e'  a  consumazione  anticipata,  nel
senso che il reato si perfeziona  quando  e'  posta  in  essere  tale
condotta senza richiedere che si verifichi la lesione dell'integrita'
fisica di persone, tant'e' che  non  e'  ipotizzabile,  a  differenza
degli  altri  reati,  un  tentativo  di  strage;  cio'   perche'   il
"tentativo" di strage e' gia' strage consumata. 
    13.-  Soprattutto,  poi,  nella  fattispecie  in   cui   concorre
l'aggravante   della   recidiva   reiterata,   la    pena    edittale
dell'ergastolo risulta essere non solo  "fissa",  ma  anche  unica  e
"indefettibile" proprio a  causa  del  divieto  di  prevalenza  delle
attenuanti recato dalla disposizione censurata. 
    Invece, ove non operasse tale divieto, la  pena  irrogabile,  nel
concorso di circostanze attenuanti prevalenti, se ritenute  tali  dal
giudice, sarebbe determinabile entro l'intervallo di un minino (venti
anni di  reclusione)  e  un  massimo  (ventiquattro  anni)  ai  sensi
dell'art. 65 cod. pen.; quindi sarebbe graduabile. 
    La giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato che  una
pena  fissa  e'   per   cio'   solo   indiziata   di   illegittimita'
costituzionale (sentenze n. 222 del 2018, n. 50 del 1980, n. 104  del
1968 e n. 67 del 1963, nonche', in ambito di sanzioni  amministrative
accessorie, le sentenze n. 246 del 2022 e n. 88  del  2019).  Cio'  a
maggior ragione non puo' non valere quando il  giudice  e'  tenuto  a
infliggere l'ergastolo quale pena "fissa" e "indefettibile". 
    In particolare, nella sentenza n. 185 del 2021 - nel ribadire che
la fissita' del trattamento sanzionatorio impedisce  di  tener  conto
della  diversa  gravita'  concreta  dei  singoli  illeciti  -  si  e'
sottolineato che «questa Corte ha posto da  tempo  in  luce  come  la
"mobilita'"  (sentenza  n.  67  del  1963),  o  "individualizzazione"
(sentenza n. 104 del 1968), della pena -  tramite  l'attribuzione  al
giudice di un margine di discrezionalita'  nella  sua  commisurazione
all'interno di una forbice edittale, cosi' da poterla  adeguare  alle
particolarita' della fattispecie  concreta  -  costituisca  "naturale
attuazione e sviluppo di principi  costituzionali,  tanto  di  ordine
generale (principio d'uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla
materia penale"  (sentenza  n.  50  del  1980),  al  lume  dei  quali
"l'attuazione di una  riparatrice  giustizia  distributiva  esige  la
differenziazione piu' che l'uniformita'" (cosi', ancora, la  sentenza
n. 104 del 1968)». 
    Cio' implica che, in via di principio,  previsioni  sanzionatorie
rigide non sono in linea con il «volto  costituzionale»  del  sistema
penale, potendo esse essere giustificate solo «a condizione che,  per
la natura dell'illecito sanzionato e per  la  misura  della  sanzione
prevista,   quest'ultima   appaia   ragionevolmente   "proporzionata"
rispetto  all'intera  gamma  di  comportamenti   riconducibili   allo
specifico tipo di reato» (sentenze n. 222 del 2018 e n. 50 del 1980). 
    Non puo' dirsi assicurata una pena proporzionata al fatto,  sotto
il profilo della «mobilita' della pena» (sentenza n. 50 del 1980), se
la medesima identica pena venga irrogata in relazione  ad  atti,  che
pur integrando  il  delitto  consumato,  si  differenzino  sul  piano
oggettivo per condotte di  piu'  avanzato  compimento  dell'attivita'
delittuosa. 
    Esigenza questa che si rivela ancora piu' impellente nei  delitti
di  attentato,  altrimenti  detti  a  consumazione  anticipata,   che
puniscono  una  condotta  in  quanto  tesa  al  perseguimento  di  un
determinato risultato che, pero', ai fini della  punibilita'  non  e'
necessario che si consegua in concreto. 
    Sotto questo profilo, puo' anche ricordarsi, con riferimento alla
pena edittale dell'ergastolo, prevista in passato  per  il  reato  di
violenza consistente nell'omicidio, sia tentato  sia  consumato,  del
superiore (art. 186, primo comma, del regio decreto 20 febbraio 1941,
n. 303, recante «Codici penali militari di pace e di  guerra»,  nella
formulazione all'epoca vigente), che questa Corte (sentenza n. 26 del
1979) ha affermato che «le norme che assoggettano il tentativo  e  la
consumazione allo  stesso  regime  penale  costituiscono  pur  sempre
alcunche' di eccezionale rispetto ai principi ispiratori del  diritto
italiano» ed ha, quindi, dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
di tale disposizione, limitatamente  alle  parole  «tentato  o»,  con
conseguente espansione  delle  norme  penali  comuni  in  materia  di
delitto tentato di omicidio. 
    In definitiva, nel caso di reati  puniti  con  la  pena  edittale
dell'ergastolo, si ha che, concorrendo  l'aggravante  della  recidiva
reiterata e applicandosi il censurato  divieto  di  prevalenza  delle
attenuanti, la pena dell'ergastolo diventa l'unica irrogabile, quindi
"fissa" e "indefettibile". 
    14.- La fissita' della pena perpetua comporta anche, per  effetto
del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva  reiterata,
un trattamento, per il  condannato,  ingiustificatamente  diverso  in
peius. 
    In generale, le circostanze attenuanti - se ritenute  equivalenti
all'aggravante della recidiva reiterata (cio' che e' possibile che il
giudice faccia anche in presenza del censurato divieto di prevalenza)
- quanto meno hanno l'effetto di escludere l'aumento di pena  per  la
recidiva.  Ma  nel  caso  dell'ergastolo,  questo  effetto  non  puo'
conseguirsi, non essendo esso suscettibile  di  aggravamento  per  la
recidiva reiterata in quanto di per se' perpetuo. 
    Nel regime delle circostanze cosiddette privilegiate  -  sia  con
"privilegio debole" (divieto  di  prevalenza),  sia  con  "privilegio
forte"  (divieto  di  bilanciamento)  -  le  circostanze   attenuanti
comunque hanno un effetto sulla pena (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite  penali,  sentenza  29  aprile-18  novembre  2021,  n.  42414).
Finanche nel caso del divieto di bilanciamento,  l'art.  69-bis  cod.
pen. prevede che «le diminuzioni di pena si operano  sulla  quantita'
di   pena   risultante   dall'aumento   conseguente   alle   predette
aggravanti», ossia alle aggravanti "privilegiate". 
    Invece, nel caso della pena edittale fissa  dell'ergastolo  tutte
le attenuanti sono, di fatto,  "sterilizzate"  dal  concorso  con  la
recidiva  reiterata  proprio  a  causa  del  censurato   divieto   di
prevalenza delle attenuanti e quindi - con trattamento  deteriore  in
violazione del principio di eguaglianza - non hanno nemmeno l'effetto
di schermare l'aumento della pena per il concorso  della  circostanza
aggravante della recidiva reiterata, il quale di per se' non si  puo'
produrre in ragione del carattere perpetuo della pena dell'ergastolo. 
    Del resto,  mutatis  mutandis,  il  regime  "privilegiato"  delle
circostanze di cui all'art. 270-bis.1 cod. pen., che al secondo comma
prevede un divieto di prevalenza delle attenuanti, non  dissimile  da
quello attualmente censurato, per i reati commessi per  finalita'  di
terrorismo o  di  eversione  dell'ordine  democratico,  si  riferisce
espressamente, al primo comma, a quelli  punibili  con  pena  diversa
dall'ergastolo. 
    15.-  In   conclusione,   la   fissita'   della   pena   edittale
dell'ergastolo, aggravata dal suo rigore per essere la sanzione  piu'
elevata  in  assoluto,  in  quanto  perpetua  al  momento  della  sua
irrogazione,  e  marcatamente  piu'  afflittiva  rispetto  a   quella
irrogabile per lo stesso  reato  circostanziato  da  una  diminuente,
richiede -  per  la  tenuta  costituzionale  della  pena  stessa,  in
riferimento a tutti gli evocati parametri (artt. 3, primo comma,  25,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.) - che non sia  precluso,  in
caso  di  recidiva   reiterata,   l'ordinario   bilanciamento   delle
circostanze attenuanti del reato, le quali, se esclusive  o  ritenute
dal giudice prevalenti sulle aggravanti,  comportano  che  alla  pena
dell'ergastolo e' sostituita  quella  della  reclusione  da  venti  a
ventiquattro anni (art. 65 cod. pen.). 
    16.-  L'accertata  violazione,  da   parte   della   disposizione
censurata, di tutti i parametri costituzionali  evocati  dal  giudice
rimettente, vale non solo per il reato di cui all'art. 285 cod. pen.,
punito appunto con  la  pena  edittale  fissa  dell'ergastolo,  e  in
riferimento all'attenuante di cui all'art.  311  cod.  pen.,  che  il
giudice rimettente ritiene di poter applicare, ma vale  altresi'  con
riguardo ad ogni altra attenuante, comprese le  attenuanti  generiche
di cui all'art. 62-bis cod. pen., e per tutti gli altri reati  puniti
allo stesso modo, ossia con la  pena  edittale  fissa  dell'ergastolo
(quali quelli sopra richiamati al punto 3), quando parimenti operi il
divieto di prevalenza delle attenuanti. 
    La disposizione censurata e gli accertati vulnera  dei  parametri
suddetti sono infatti gli stessi (analogamente, sentenza n.  156  del
2020). 
    Deve, quindi, essere dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede  il
divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla  circostanza
aggravante della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma,
cod. pen., in relazione  ai  delitti  puniti  con  la  pena  edittale
dell'ergastolo. 
    Per   effetto   di   tale   dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale   il   giudice,   nel   determinare   il   trattamento
sanzionatorio in caso di condanna di persona  recidiva  ex  art.  99,
quarto comma, cod. pen., imputata di uno dei delitti  suddetti,  puo'
operare l'ordinario bilanciamento previsto dall'art. 69 cod. pen. nel
caso  di  concorso  di  circostanze  e,  quindi,  puo'  ritenere   le
attenuanti  prevalenti  sulla  recidiva  reiterata  (secondo  comma),
oppure  equivalenti  a  quest'ultima  (terzo   comma),   o   finanche
subvalenti rispetto ad essa (primo comma).