ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  627,
comma 3, e 634, comma 2, del codice  di  procedura  penale,  promosso
dalla Corte d'appello di Roma, sezione  quarta  penale,  sull'istanza
proposta da O. P., con ordinanza del 14 giugno 2022, iscritta  al  n.
93 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 giugno 2022, la Corte d'appello di Roma,
sezione  quarta  penale,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'
costituzionale: 
    a) dell'art. 634, comma 2, del codice di procedura penale, «cosi'
come risultante dall'interpretazione innovativa adottata dalla  [...]
Corte di cassazione a seguito della sentenza n. 43121 del 2019»,  per
contrasto con gli artt. 3, 25, primo comma, e 70 (recte, alla luce di
quanto  dedotto  in   motivazione:   111,   secondo   comma),   della
Costituzione; 
    b) dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen., «nella parte  in  cui
obbliga il Giudice di rinvio ad uniformarsi alla sentenza della Corte
di Cassazione per cio' che concerne ogni  questione  di  diritto  con
essa  decisa,  anche  quando  tale   pronuncia   non   e'   meramente
interpretativa, ma di fatto sovrascrive la norma creandone una  nuova
e diversa, talora di fatto abrogandola», per contrasto con gli  artt.
70 e 101 Cost. (parametro, il secondo, evocato solo in motivazione). 
    1.1.- Il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito  della
richiesta  di  revisione  della  sentenza  di  condanna   alla   pena
dell'ergastolo, emessa nei  confronti  del  richiedente  dal  Giudice
dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  il  3
aprile 2014 e confermata dalla Corte di assise  d'appello  di  Napoli
con sentenza del 10 luglio 2015, divenuta irrevocabile. 
    Con ordinanza emessa de plano ai sensi dell'art. 634  cod.  proc.
pen., essa Corte d'appello di Roma, in  diversa  composizione,  aveva
dichiarato la richiesta  inammissibile  per  manifesta  infondatezza,
ritenendo che gli elementi addotti a suo sostegno fossero ictu  oculi
inidonei a sovvertire il giudizio di colpevolezza dell'istante. 
    A seguito di ricorso dell'interessato, la sezione  quinta  penale
della Corte di cassazione, con sentenza 11 dicembre 2020-23  febbraio
2021, n. 6979, aveva, tuttavia, ritenuto che la Corte  rimettente  si
fosse spinta oltre i limiti propri della delibazione  preliminare  di
ammissibilita' prefigurata dall'art. 634 cod. proc. pen.  (cosiddetta
fase rescindente), anticipando il giudizio di merito sulla richiesta,
da  svolgere  nel  contraddittorio  fra  le  parti  (cosiddetta  fase
rescissoria).  Aveva  quindi  annullato  senza  rinvio   l'ordinanza,
trasmettendo novamente gli atti alla Corte rimettente. 
    Il giudice di legittimita' aveva indicato, in modo sintetico,  la
ragione per la quale si era  discostato  dalla  previsione  dell'art.
634, comma 2, cod. proc. pen.,  secondo  cui  la  Cassazione,  quando
accoglie il ricorso avverso  l'ordinanza  di  inammissibilita'  della
richiesta, rinvia il giudizio di revisione ad altra corte  d'appello,
individuata secondo i criteri di cui  all'art.  11  cod.  proc.  pen.
(nella specie, si sarebbe dovuto trattare della  Corte  d'appello  di
Perugia). 
    Aderendo alla soluzione  interpretativa  adottata  dalla  sezione
terza penale con la sentenza  17  luglio  2019-21  ottobre  2019,  n.
43121, la Corte di cassazione  aveva  affermato  che  la  regola  ora
ricordata - rilevante nel caso di  annullamento  con  rinvio  per  la
trattazione della cosiddetta fase rescissoria - «non si  applica  nel
caso di  annullamento  senza  rinvio  e  conseguente  devoluzione  al
giudice  di  merito  di  un  nuovo  giudizio   relativo   alla   fase
rescindente, con riferimento alla preliminare delibazione  sulla  non
manifesta  infondatezza  della  richiesta  in  rapporto  all'astratta
idoneita' del "novum" dedotto a demolire il giudicato». 
    1.2.- Ad avviso del giudice a quo, tale indirizzo interpretativo,
inaugurato in modo innovativo  e  per  certi  versi  "casuale"  dalla
richiamata  sentenza  n.  43121  del  2019,  si  porrebbe  in  palese
contrasto, sia con la lettera del citato  art.  634,  comma  2,  cod.
proc. pen. - che non distingue tra i casi di annullamento con o senza
rinvio, ne' tra i motivi dell'annullamento -, sia con la ratio  della
disposizione. 
    L'attuale formulazione di quest'ultima e' frutto, infatti,  della
modifica apportata dall'art. 1, comma  2,  della  legge  23  novembre
1998, n. 405 (Modifiche al codice di procedura penale in  materia  di
revisione)  al  testo  originario,  secondo  il  quale,  in  caso  di
accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinviava il giudizio
di revisione  ad  altra  sezione  della  corte  d'appello  che  aveva
pronunciato l'ordinanza impugnata o alla corte d'appello piu' vicina.
Come emergerebbe anche dai lavori parlamentari, la modifica mirava ad
eliminare la discrezionalita' riconosciuta alla Corte  di  cassazione
dalla disposizione  previgente  nell'individuazione  del  giudice  di
rinvio, adeguando cosi' il codice di rito al  principio  del  giudice
naturale precostituito per legge. La stessa legge  n.  405  del  1998
era, peraltro, intervenuta anche sul testo dell'art. 633  cod.  proc.
pen., stabilendo che l'istanza di revisione debba  essere  presentata
alla corte d'appello individuata ai sensi  dell'art.  11  cod.  proc.
pen., e non piu' alla corte d'appello nel cui distretto si  trova  il
giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado  o  il  decreto
penale  di   condanna.   L'obiettivo   sistematico   perseguito   dal
legislatore era, dunque, inequivocabilmente, quello di preservare  il
giudice della revisione da ogni forma di condizionamento, a  garanzia
della sua imparzialita', tanto  nella  fase  introduttiva  cosiddetta
rescindente, quanto nella fase di rinvio conseguente all'accoglimento
del ricorso per cassazione. 
    Tale intento verrebbe, tuttavia,  frustrato  dall'interpretazione
adottata dalla sentenza n. 43121 del 2019 - cui  si  e'  adeguata  la
giurisprudenza di legittimita' successiva -,  la  quale  avrebbe,  in
pratica, fatto  "rivivere"  la  norma  originaria,  ripristinando  la
situazione di incertezza che il legislatore  aveva  voluto  superare.
Alla stregua dell'interpretazione censurata,  infatti,  l'interessato
non sarebbe piu' in grado di conoscere in anticipo  a  quale  giudice
saranno trasmessi gli atti nel caso di accoglimento del suo  ricorso,
perche' cio' dipenderebbe dal non  prevedibile  tipo  di  valutazione
operata dal giudice di legittimita'. 
    1.3.- Alla luce di tali  rilievi,  la  Corte  rimettente  dubita,
sotto plurimi profili, della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
634, comma 2, cod. proc. pen., cosi' come interpretato dalla Corte di
cassazione con la citata sentenza n. 43121 del 2019. 
    Intesa in  questo  modo,  la  disposizione  censurata  violerebbe
anzitutto il principio del giudice naturale precostituito per  legge,
sancito dall'art. 25, primo comma, Cost.,  in  quanto,  nel  caso  di
accoglimento del  ricorso  avverso  l'ordinanza  di  inammissibilita'
emessa de plano, il  giudice  investito  del  giudizio  di  revisione
muterebbe in base alle valutazioni compiute di volta in  volta  dalla
Corte di cassazione, non conoscibili in anticipo. 
    Risulterebbe, altresi', violato l'art. 3 Cost., per contrasto con
i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, giacche' la  Corte  di
cassazione restituirebbe  gli  atti,  in  taluni  casi,  al  medesimo
giudice che ha gia' espresso il proprio giudizio entrando nel  merito
(solo in tale evenienza potendosi giustificare  l'annullamento  senza
rinvio), e in altri invece a un giudice diverso, che,  non  essendosi
pronunciato, e' imparziale. 
    Di qui anche la violazione dell'art. 111, secondo  comma,  Cost.,
poiche' la restituzione degli atti allo stesso giudice  che  ha  gia'
espresso valutazioni di merito inciderebbe sulla sua imparzialita'. 
    1.4.- Il  giudice  a  quo  dubita,  inoltre,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.,  che  obbliga
il giudice di rinvio ad uniformarsi  alla  sentenza  della  Corte  di
cassazione per cio' che concerne ogni questione di  diritto  da  essa
decisa. 
    A parere del giudice rimettente, la norma censurata  si  porrebbe
in contrasto  con  l'art.  70  Cost.,  che  attribuisce  la  funzione
legislativa alle due Camere e non al potere  giudiziario,  in  quanto
stabilisce il predetto obbligo senza distinguere tra i casi in cui il
giudice di legittimita' si sia limitato a un'attivita'  di  carattere
ermeneutico e quelli in cui -  come  nella  specie  -,  in  luogo  di
interpretare la norma, l'abbia riscritta creando una norma nuova,  in
tal modo finendo per svolgere una funzione legislativa. 
    Cio' comporterebbe anche la violazione dell'art.  101  Cost.,  in
forza del quale i giudici sono soggetti soltanto  alla  legge,  ossia
alle regole create dal Parlamento, nelle quali non sono  comprese  le
immutazioni   o,   peggio,   le   innovazioni   introdotte   in   via
giurisprudenziale, specie se  contrastanti  con  la  chiara  volonta'
espressa dal legislatore. 
    1.5.- Quanto alla rilevanza delle questioni,  il  giudice  a  quo
osserva  come  non  vi  sia  altro  modo  per  emendare  l'innovativo
mutamento giurisprudenziale in parola. 
    Non  sarebbe,  infatti,  possibile  considerare  la  statuizione,
contenuta nella sentenza di  annullamento  n.  6979  del  2021,  alla
stregua di un errore materiale, suscettibile di correzione  ai  sensi
dell'art. 625-bis cod.  proc.  pen.  (come  pure  e'  precedentemente
avvenuto in casi analoghi), giacche' tale pronuncia ha  espressamente
affermato di volersi discostare dal disposto dell'art. 634, comma  2,
cod. proc. pen. Si e' trattato, pertanto, di una  soluzione  adottata
deliberatamente, e non gia' per errore. 
    Neppure, poi, sarebbe possibile trasmettere, in via di fatto, gli
atti alla Corte d'appello di Perugia, competente in base all'art.  11
cod. proc. pen.,  perche'  cio'  comporterebbe  la  violazione  della
predetta sentenza di annullamento, alla  quale  la  Corte  rimettente
sarebbe vincolata ai sensi dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen. 
    Di qui, dunque, l'asserita necessita' di richiedere  l'intervento
di  questa  Corte.  Cio',  peraltro,  in  accordo  con  la   costante
giurisprudenza costituzionale, in  base  alla  quale  il  giudice  di
rinvio puo' sottoporre a scrutinio di legittimita' costituzionale  la
norma che sarebbe chiamato ad  applicare,  secondo  l'interpretazione
offertane dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- Ad avviso della  difesa  dell'interveniente,  le  questioni
sarebbero inammissibili, in quanto nell'ordinanza di  rimessione  non
si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 634,  comma  2,
cod. proc. pen., ma si censura l'interpretazione datane  dalla  Corte
di cassazione nella decisione di annullamento senza rinvio  (e,  gia'
in precedenza, nella sentenza n. 43121 del 2019).  In  tal  modo,  si
chiederebbe  a  questa  Corte  «una  sorta  di  "revisione  in  grado
ulteriore" della sentenza» della Cassazione che ha  dato  origine  al
giudizio  a  quo,  e  cioe'  di  svolgere   un   ruolo   di   giudice
dell'impugnazione che ovviamente non le compete. 
    In relazione all'art. 634, comma 2, cod.  proc.  pen.,  ma  anche
all'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.  (con  riguardo  al  quale  le
questioni sollevate apparirebbero prive di autonomia concettuale), si
dovrebbe  porre  inoltre  in  evidenza  come   il   principio   della
irrevocabilita' e incensurabilita' delle  decisioni  della  Corte  di
cassazione, oltre a rispondere al fine di  evitare  la  perpetuazione
dei  giudizi  e  di  conseguire  un  accertamento   definitivo,   sia
pienamente  conforme  alla   funzione   di   giudice   ultimo   della
legittimita' affidata alla medesima Corte di cassazione dall'art. 111
Cost. Da tale principio discende - per costante indicazione di questa
Corte - l'irrilevanza delle questioni  che  tendano  a  rimettere  in
discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla Corte di
cassazione,  in  quanto  ogni  ulteriore  indagine  sul  punto   deve
ritenersi  definitivamente  preclusa  e,  quindi,  nessuna  influenza
potrebbe avere una qualsiasi pronuncia di questa Corte nel giudizio a
quo. 
    2.2.- Nel  merito,  le  questioni  sarebbero  in  ogni  caso  non
fondate. 
    L'interpretazione  dell'art.  634,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
accolta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 43121  del  2019,
si collocherebbe  nell'alveo  dell'orientamento  restrittivo  che  la
giurisprudenza  di  legittimita'  ha  costantemente  adottato   nella
lettura della norma, cosi' come novellata  dalla  legge  n.  405  del
1998:  orientamento  in  base  al  quale  l'ambito   applicativo   di
quest'ultima   rimarrebbe   circoscritto   alle   sole   ipotesi   di
annullamento di ordinanze di inammissibilita'  per  motivi  attinenti
all'inammissibilita' medesima, rimanendone esclusi,  sia  i  casi  di
annullamento di ordinanze di inammissibilita' per  vizi  procedurali,
sia i casi di annullamento di sentenze, quand'anche di rigetto. Nelle
pronunce  espressive  di  tale  indirizzo,  l'interpretazione   della
disposizione in chiave restrittiva e' sostenuta essenzialmente  sulla
base della sua specialita' rispetto alla regola generale  del  rinvio
innanzi ad altra sezione del medesimo  giudice  collegiale,  prevista
dall'art. 623, comma 1, lettera c), cod.  proc.  pen.:  argomento  da
reputare valido anche in relazione alla fattispecie in esame. 
    Nessun vulnus sarebbe, quindi, recato ai parametri costituzionali
invocati  dal  giudice  rimettente,  posto  che  i   presupposti   di
operativita' della norma censurata risultano chiaramente delineati in
termini oggettivi,  senza  che  residuino  margini  di  apprezzamento
discrezionale incompatibili con il  principio  del  giudice  naturale
precostituito per legge, ne' potendosi profilare  la  violazione  dei
principi di uguaglianza e ragionevolezza. 
    Il giudice a quo  non  avrebbe,  d'altro  canto,  esplicitato  le
ragioni della ritenuta violazione del principio di imparzialita'  del
giudice, in realta' nemmeno  astrattamente  ipotizzabile  allorquando
l'organo giudicante risulti diversamente composto, come nel  caso  di
specie. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di rimessione in esame, la Corte d'appello di
Roma, sezione quarta penale, sottopone a  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale due distinte norme. 
    1.1.- Il giudice a quo dubita, in primo luogo, della  conformita'
a Costituzione  dell'art.  634,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  «come
risultante dall'interpretazione innovativa adottata dalla [...] Corte
di  Cassazione  a  seguito  della  sentenza  n.  43121   del   2019»:
interpretazione  in  base  alla  quale  la  regola  stabilita   dalla
disposizione censurata - per cui, in caso di accoglimento del ricorso
avverso  l'ordinanza  che  dichiara  inammissibile  la  richiesta  di
revisione, la Corte di cassazione rinvia il giudizio ad  altra  corte
d'appello, individuata secondo i criteri  di  cui  all'art.  11  cod.
proc. pen. - non si applica nel caso di annullamento senza  rinvio  e
di conseguente devoluzione al giudice di merito di un nuovo  giudizio
relativo alla cosiddetta  fase  rescindente,  avente  ad  oggetto  la
delibazione  preliminare  sulla  non  manifesta  infondatezza   della
richiesta; con la  conseguenza  che,  in  questa  ipotesi,  gli  atti
andrebbero restituiti alla  stessa  corte  d'appello  che  ha  emesso
l'ordinanza annullata. 
    Ad  avviso  del   giudice   a   quo,   tale   interpretazione   -
inconciliabile, sia con la lettera, sia con la ratio  della  norma  -
porrebbe quest'ultima in contrasto, anzitutto, con il  principio  del
giudice naturale precostituito per legge, sancito dall'art. 25, primo
comma, Cost., in quanto, nel caso di accoglimento del ricorso avverso
l'ordinanza di inammissibilita' emessa de plano, il giudice investito
del  giudizio  di  revisione  muterebbe  in  base  alle  valutazioni,
compiute di volta in volta dalla Corte di cassazione, non conoscibili
in anticipo. 
    Sarebbe altresi' violato l'art. 3  Cost.,  per  contrasto  con  i
principi di uguaglianza e di ragionevolezza,  giacche'  la  Corte  di
cassazione restituirebbe  gli  atti,  in  taluni  casi,  al  medesimo
giudice che ha gia' espresso il proprio giudizio entrando nel merito,
e  in  altri  invece  a  un  giudice  diverso,  che,  non   essendosi
pronunciato, e' imparziale. 
    Ne seguirebbe anche la violazione dell'art. 111,  secondo  comma,
Cost., poiche' la restituzione degli atti allo stesso giudice, che ha
gia' espresso valutazioni di merito  sulla  richiesta  di  revisione,
inciderebbe sulla sua imparzialita'. 
    1.2.- Il giudice a quo censura, in  secondo  luogo,  l'art.  627,
comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui obbliga il  giudice  del
rinvio ad uniformarsi alla sentenza della  Corte  di  cassazione  per
cio' che concerne ogni questione di diritto  da  essa  decisa,  anche
quando  la  Cassazione  non  si  sia  limitata  a  interpretare   una
disposizione di legge, ma l'abbia di fatto riscritta,  creandone  una
nuova. 
    La norma denunciata violerebbe, per  tal  verso,  sia  l'art.  70
Cost., che attribuisce la funzione legislativa alle due Camere e  non
al potere giudiziario, sia l'art. 101 Cost., in  forza  del  quale  i
giudici sono soggetti soltanto  alla  legge,  nella  quale  non  sono
comprese  le  immutazioni  o  le  innovazioni   introdotte   in   via
giurisprudenziale, specie se  contrastanti  con  la  chiara  volonta'
espressa dal legislatore. 
    2.- Le questioni sono inammissibili  per  difetto  di  rilevanza,
avendo ad oggetto norme  delle  quali  la  Corte  rimettente  non  e'
chiamata a fare applicazione (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 20 del
2019, n. 177 del 2018). 
    2.1.- Quanto alle questioni concernenti l'art. 627, comma 3, cod.
proc. pen. - dalle quali giova muovere, per  migliore  linearita'  di
discorso - vale osservare che la disposizione denunciata  si  colloca
nell'ambito della disciplina  del  giudizio  di  rinvio,  ponendo  un
vincolo   nei   confronti   del   relativo    giudice    strettamente
consequenziale al legame intercorrente tra il iudicium  rescindens  e
il iudicium rescissorium: il giudice di rinvio deve uniformarsi  alla
sentenza di annullamento della  Corte  di  cassazione  per  cio'  che
concerne ogni questione di diritto con essa decisa. 
    Nella specie, pero', secondo quanto  riferito  nell'ordinanza  di
rimessione, la Corte di cassazione ha disposto un annullamento  senza
rinvio. Il rimettente non deve, dunque, fare applicazione della norma
censurata, per la semplice e dirimente ragione che, alla  luce  della
decisione  assunta  dal  giudice  di  legittimita',   esso   non   e'
qualificabile come giudice di rinvio. 
    Cio', a prescindere dal rilievo  che,  ove  si  trattasse  di  un
giudizio di rinvio, la norma conferente, rispetto al caso di  specie,
non sarebbe, comunque sia, il comma 3 dell'art. 627 cod. proc.  pen.,
ma  semmai  il  comma  1  dello  stesso  articolo,  che  sancisce  il
cosiddetto  principio  di  irretrattabilita'  del  foro  commissorio,
stabilendo che «[n]el giudizio di rinvio non e'  ammessa  discussione
sulla competenza attribuita con la sentenza di  annullamento»,  salvo
che nell'ipotesi indicata nell'art. 25 cod. proc. pen. (quello di cui
nella sostanza si duole la  Corte  rimettente  e',  infatti,  che  la
Cassazione   l'abbia   designata   come   ancora   competente    dopo
l'annullamento dell'ordinanza di inammissibilita' della richiesta  di
revisione). 
    2.2.- Quanto all'altra norma denunciata,  l'art.  634,  comma  2,
cod. proc. pen., nel suo secondo periodo - che e' quello sul quale si
appuntano le censure -, stabilisce, in  termini  derogatori  rispetto
alla disciplina generale recata dall'art.  623  cod.  proc.  pen.,  a
quale giudice la Corte di cassazione deve  rinviare  il  giudizio  di
revisione, ove accolga il ricorso contro l'ordinanza  che,  in  esito
alla delibazione preliminare prevista dal comma 1 dello  stesso  art.
634 (intesa a verificare che la  richiesta  di  revisione  sia  stata
presentata nei casi e con le  forme  prescritte  e  che  non  risulti
manifestamente  infondata),   abbia   dichiarato   inammissibile   la
richiesta stessa («altra  corte  di  appello  individuata  secondo  i
criteri di cui all'articolo 11»). 
    Come il giudice a quo ricorda, la disposizione  e'  frutto  delle
modifiche operate dalla legge n. 405 del 1998, ponendosi in parallelo
al nuovo testo dell'art. 633, comma 1,  cod.  proc.  pen.  introdotto
dalla medesima legge, in forza del quale la richiesta di revisione va
presentata essa pure alla «corte di  appello  individuata  secondo  i
criteri di cui all'articolo 11» (relativo ai procedimenti riguardanti
i magistrati), e non piu', come in origine, alla corte d'appello  nel
cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la  sentenza  di
primo grado o il decreto penale di condanna. 
    Come emerge chiaramente dai lavori parlamentari,  l'obiettivo  di
fondo  della   novella   era   assicurare   nel   modo   piu'   ampio
l'imparzialita' del giudice chiamato  a  giudicare  sull'istanza  del
condannato, stornando il sospetto di un "condizionamento  ambientale"
legato alla "contiguita'" del giudice della revisione con quello  che
ha giudicato nel merito (nel caso dell'art. 633, comma 1, cod.  proc.
pen.), o che ha ritenuto inammissibile l'istanza (nel caso  dell'art.
634, comma 2, cod. proc. pen.): cio', tenuto conto della  particolare
delicatezza del giudizio in questione,  per  il  possibile  esito  di
travolgimento del giudicato. Con  riguardo  alla  modifica  dell'art.
634,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  si  accenna  anche,  nei  lavori
parlamentari,  all'intento  di  meglio  assicurare  il  rispetto  del
principio del giudice naturale precostituito per legge, eliminando la
discrezionalita' che il precedente testo della norma pareva accordare
alla Corte di cassazione nell'individuazione del  giudice  di  rinvio
dopo  l'annullamento   dell'ordinanza   di   inammissibilita'   (esso
prevedeva, in via alternativa,  il  rinvio  ad  altra  sezione  della
stessa corte d'appello o alla corte d'appello piu' vicina). 
    Oggetto  delle  doglianze  del  giudice  a  quo  e'   l'indirizzo
interpretativo, inaugurato dalla terza sezione penale della Corte  di
cassazione con la sentenza n. 43121 del 2019,  secondo  il  quale  la
regola stabilita dal citato art.  634,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
rilevante nel caso di annullamento dell'ordinanza di inammissibilita'
con rinvio per la trattazione della cosiddetta fase  rescissoria  del
giudizio di revisione, non si applica invece nel caso di annullamento
senza rinvio per un nuovo  giudizio  relativo  alla  cosiddetta  fase
rescindente, con riferimento alla preliminare delibazione  sulla  non
manifesta infondatezza della  richiesta  in  rapporto  alla  astratta
idoneita' del "novum" dedotto a rimuovere il giudicato: ipotesi nella
quale - secondo la Cassazione - gli atti vanno restituiti alla stessa
corte d'appello che ha emesso l'ordinanza annullata. 
    A tale indirizzo si e' allineata, nel giudizio a quo,  la  quinta
sezione penale con la sentenza 11 dicembre 2020-23 febbraio 2021,  n.
6979 che ha annullato senza rinvio  l'ordinanza  di  inammissibilita'
emessa de plano dalla Corte d'appello di Roma,  sul  presupposto  che
essa avesse effettuato una approfondita valutazione in  concreto  dei
nuovi  elementi  dedotti  dal  condannato,  debordando  cosi'  in  un
anticipato giudizio  di  merito  sulla  fondatezza  della  richiesta:
operazione non consentita in sede di delibazione  preliminare,  nella
quale - secondo la consolidata giurisprudenza di  legittimita'  -  il
giudice deve limitarsi  a  valutare  l'idoneita'  in  astratto  degli
elementi stessi a rimuovere il giudicato. 
    Le censure  della  Corte  rimettente  colgono  effettivi  profili
problematici   dell'orientamento   interpretativo    in    questione.
Ammettendo pure che il trasferimento di  sede  giudiziaria  nei  casi
considerati dagli artt. 633, comma 1, e 634, comma 2, cod. proc. pen.
non sia una  soluzione  costituzionalmente  necessaria  ai  fini  del
rispetto del principio di imparzialita',  essa  garantisce,  comunque
sia, in modo piu' ampio e incisivo tale principio.  In  quest'ottica,
il discrimen tracciato fra le ipotesi di  annullamento  con  e  senza
rinvio non appare coeso con la ratio legis: reputando  manifestamente
infondata la richiesta di revisione sulla  base  di  un  approfondito
vaglio di merito dei nuovi elementi (pure non consentito  nella  fase
rescindente), la corte d'appello si "espone" di piu', in  termini  di
manifestazione del proprio  convincimento,  che  non  dichiarando  la
stessa richiesta inammissibile sulla base, ad esempio, di  un  errore
di diritto nella lettura del concetto di «nuove prove»  rilevanti  ai
sensi dell'art. 630, comma 1, lettera c), cod.  proc.  pen.;  ipotesi
nella quale la Cassazione annullerebbe la pronuncia  con  rinvio  per
l'espletamento della fase rescissoria, con  conseguente  operativita'
della  regola  dello  spostamento  di  sede  enunciata  dalla   norma
censurata. Vengono altresi' reintrodotti, in contrasto  con  uno  dei
dichiarati obiettivi della riforma del 1998, elementi  di  incertezza
preventiva sulla individuazione del giudice che, dopo  l'annullamento
dell'ordinanza di inammissibilita', dovra' occuparsi del giudizio. 
    2.3.- L'esame di merito delle censure e'  tuttavia  impedito,  in
questa sede, dall'assorbente  ragione  che  neppure  della  norma  in
discorso  il  giudice  a  quo  puo'   ritenersi   chiamato   a   fare
applicazione.  La  norma  si  indirizza,  infatti,  alla   Corte   di
cassazione, la quale, nella specie, l'ha gia'  applicata,  per  cosi'
dire, in senso negativo, escludendo che la  regola  da  essa  dettata
valga anche nel caso  di  annullamento  senza  rinvio  per  un  nuovo
espletamento della delibazione  preliminare  di  ammissibilita',  del
genere di quello che ha colpito l'ordinanza  della  Corte  di  merito
romana. 
    Anche alla luce delle considerazioni svolte nel  punto  2.1.  che
precede, tale lettura della norma - contrariamente a quanto mostra di
ritenere il giudice  rimettente  -  non  costituisce  oggetto  di  un
principio di diritto, la cui  applicazione  sia  stata  demandata  al
giudice di merito in ragione dei limiti  ai  poteri  cognitivi  della
Corte  di  cassazione:   ipotesi   alla   quale   si   riferisce   la
giurisprudenza di questa Corte richiamata  dallo  stesso  rimettente,
secondo la quale  il  giudice  di  rinvio  e'  abilitato  a  proporre
questioni di legittimita' costituzionale  sull'interpretazione  della
norma, quale risultante dal  principio  di  diritto  enunciato  dalla
Corte di cassazione, proprio perche' tale norma deve ricevere  ancora
applicazione  nell'ambito  del  giudizio  di  rinvio  (ex   plurimis,
sentenze n. 293 del 2013, n. 197 del 2010, n. 58 del 1995  e  n.  257
del 1994; ordinanza n. 118 del 2016). 
    Nel caso in esame, il problema dell'applicazione  dell'art.  634,
comma 2, cod.  proc.  pen.  riguarda,  per  converso,  una  fase  del
giudizio anteriore rispetto a quella in corso di svolgimento  davanti
al giudice a quo: fase definita  con  la  pronuncia  del  giudice  di
legittimita', per sua natura inoppugnabile, stante  la  posizione  di
vertice  che  la  Corte  di   cassazione   ricopre   nell'ordinamento
giudiziario. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di occuparsi di un caso  analogo,
mutatis mutandis, con l'ordinanza n. 306  del  2013.  Nell'occasione,
una  corte  d'appello  lamentava  che,  in  base  alla  norma  allora
impugnata (l'art. 569,  comma  4,  cod.  proc.  pen.),  la  Corte  di
cassazione, nell'annullare una sentenza di primo grado a  seguito  di
ricorso per  saltum,  avesse  rinviato  il  giudizio  ad  essa  corte
d'appello rimettente, anziche' al giudice di primo grado,  nonostante
la sentenza annullata fosse stata emessa in violazione del  principio
del contraddittorio. 
    La questione e' stata ritenuta priva di rilevanza anche, e  prima
di tutto, perche' il giudice rimettente non doveva fare  applicazione
della norma denunciata, la quale era gia' stata applicata dalla Corte
di cassazione. Per potersi ravvisare il requisito della rilevanza  in
concreto della questione proposta - ha ricordato questa Corte -  «"e'
in ogni caso necessario che la norma impugnata  sia  applicabile  nel
giudizio a  quo  e  non  invece,  come  nella  specie,  in  una  fase
processuale anteriore" (sentenza n. 247 del 1995)» (ordinanza n.  306
del 2013). 
    In questa prospettiva, le questioni oggi  sollevate  dalla  Corte
d'appello  di  Roma  finiscono  per  risolversi   -   come   eccepito
dall'Avvocatura generale dello Stato -  nell'inammissibile  richiesta
al giudice delle leggi di operare una sorta di  "revisione  in  grado
ulteriore" delle interpretazioni e quindi delle decisioni della Corte
di  cassazione,  e  cioe'   di   svolgere   un   ruolo   di   giudice
dell'impugnazione, che ovviamente non gli compete  (sentenze  n.  270
del 2014, n. 294 e n. 247 del 1995; ordinanze n. 214 del 2018 e n. 92
del 2016). 
    3.- Alla luce di  quanto  precede,  tutte  le  questioni  debbono
essere dunque dichiarate inammissibili.