ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,
comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), promossi  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto, nei procedimenti a carico di M. F. e G.  P.,
con due ordinanze del 5  agosto  2022,  rispettivamente  iscritte  ai
numeri 104 e 105 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2022, la cui trattazione e' stata fissata per l'adunanza in
camera di consiglio del 5 aprile 2023. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2023  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 aprile 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 5
agosto 2022 (r.o. n. 104 del 2022), solleva questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera  b),  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
«nella parte in cui dispone  che  il  colloquio  visivo  mensile  del
detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo
da impedire il passaggio di oggetti, anche quando  si  svolga  con  i
figli e i nipoti in linea  retta  minori  di  anni  quattordici»,  in
riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  3  della
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176, e all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    2.- Il rimettente e' investito del reclamo presentato da  M.  F.,
con il quale  l'interessato  ha  contestato  il  divieto,  impostogli
dall'amministrazione  penitenziaria  in  considerazione   della   sua
sottoposizione al regime  differenziato  ai  sensi  dell'art.  41-bis
ordin. penit., di svolgere colloqui visivi senza vetro divisorio  con
il maggiore dei suoi figli, che ha compiuto i dodici anni di eta' nel
corso dell'anno 2021, ossia «mentre erano in  vigore  le  restrizioni
determinate dalla pandemia da COVID19». 
    Il reclamante ha ricordato  che  l'amministrazione  penitenziaria
consente che il detenuto  in  regime  differenziato  ex  art.  41-bis
svolga i predetti colloqui, in  locali  privi  del  vetro  divisorio,
soltanto con i figli ed i nipoti minori di dodici anni, e ha rilevato
che, tuttavia, «tra il 2020 ed il 2021», queste modalita' sono  state
sospese per l'intera popolazione carceraria, allo scopo  di  limitare
la diffusione del contagio,  sicche'  l'interessato  «ha  cessato  di
abbracciare il figlio» quando questi aveva  dieci  anni,  mentre  ora
tale possibilita' gli e' preclusa, avendo il minore raggiunto  l'eta'
di dodici anni. 
    Sulla scorta di  tali  premesse,  il  reclamante  ha  chiesto  la
rimozione  di  questo  limite  d'eta'  o,  in  subordine,  almeno  il
riconoscimento della  possibilita'  di  fruire  «eccezionalmente»  di
ulteriori colloqui con il figlio ormai ultradodicenne,  «compensativi
di quelli che non ha potuto svolgere, eventualmente fintanto  che  lo
stesso non compia quanto meno tredici anni». 
    3.- Il giudice a quo chiarisce che il reclamo e'  stato  proposto
ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera b), ordin.  penit.
Il reclamante allega un pregiudizio grave e perdurante  all'esercizio
del «diritto a subire una pena non disumana», ai sensi  dell'art.  27
Cost. Rivendica altresi', ai sensi dell'art. 3 Cost.,  il  diritto  -
riconosciuto ai detenuti  in  sezioni  diverse  da  quella  a  regime
differenziato ai sensi dell'art. 28 ordin. penit. -  a  mantenere  un
legame, «qui innanzitutto fisico», con il proprio nucleo familiare, e
segnatamente con i figli minori, come sancito dagli artt. 29, 30 e 31
Cost. 
    4.- In punto di fatto, espone il rimettente che -  a  seguito  di
istruttoria circa le ragioni poste a base del divieto  in  precedenza
descritto - la direzione dell'istituto penitenziario ha comunicato di
essersi attenuta a quanto previsto nella circolare  del  Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria  (DAP)  del  2  ottobre  2017,  n.
3676/6126, recante «Organizzazione del  circuito  detentivo  speciale
previsto dall'art. 41 bis O.P.», che disciplina «la vita  all'interno
delle sezioni 41 bis». 
    Tale atto amministrativo, in  particolare,  dispone  all'art.  16
che: «[l]o svolgimento dei  colloqui  visivi  avviene  presso  locali
all'uopo adibiti, muniti di  vetro  a  tutta  altezza,  tale  da  non
consentire il passaggio  di  oggetti  di  qualsiasi  specie,  tipo  o
dimensione. Il chiaro ascolto reciproco  da  parte  dei  colloquianti
sara' garantito con le attuali strumentazioni  all'uopo  predisposte.
In una prospettiva di bilanciamento di interessi  di  pari  rilevanza
costituzionale, tra tutela  del  diritto  del  detenuto/internato  di
mantenere rapporti affettivi con i figli  e  i  nipoti  e  quello  di
garantire la  tutela  dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica,  il
detenuto/internato potra' chiedere che i colloqui con i figli e con i
nipoti in linea retta  minori  di  anni  12,  avvengano  senza  vetro
divisorio per tutta la durata, assicurando  la  presenza  del  minore
nello spazio riservato al detenuto e la  contestuale  presenza  degli
altri familiari  dall'altra  parte  del  vetro.  Detto  colloquio  e'
sottoposto a  videoregistrazione  ed  ascolto,  previo  provvedimento
motivato  dell'A.G.  Il  posizionamento  del  minore   nello   spazio
destinato al detenuto/internato dovra'  avvenire  evitando  forme  di
contatto diretto con ogni familiare adulto. In ogni caso il  predetto
posizionamento e la successiva riconsegna del  minore  ai  familiari,
dovra' avvenire sotto stretto controllo da  parte  del  personale  di
polizia addetto alla vigilanza, con le cautele e gli accorgimenti del
caso, al fine di contemperare le esigenze di sicurezza con quelle del
minore e lo stato  di  disagio  in  cui  lo  stesso  puo'  venirsi  a
trovare». 
    5.- Il rimettente ricostruisce  il  quadro  giurisprudenziale  in
materia, ricordando  come  la  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
penale, con sentenza 3 novembre-21 dicembre 2021, n.  46719,  si  sia
pronunciata   su   «una   questione    largamente    sovrapponibile»,
riconoscendo come i colloqui visivi costituiscano,  in  generale,  un
diritto fondamentale della persona  detenuta  al  mantenimento  delle
relazioni familiari, al punto da non poter essere  compresso  neppure
in caso di isolamento disciplinare e  da  dover  essere  «contemplato
anche per i detenuti ristretti in regime differenziato»,  seppur  con
le limitazioni giustificate dalle esigenze di  tutela  dell'ordine  e
della sicurezza proprie di tale regime. 
    A tale ultimo proposito, e con  precipuo  riferimento  al  citato
art. 16 della circolare  DAP,  la  Corte  di  cassazione  ne  avrebbe
rilevato la natura di scelta organizzativa non irragionevole, operata
nell'ambito   della   discrezionalita'   pur   sempre    riconosciuta
all'amministrazione al fine di operare un  «prudente  contemperamento
tra esigenze di rango costituzionale in potenziale conflitto», quando
i colloqui si svolgano con figli e nipoti  infradodicenni,  i  quali,
«in   ragione   dell'eta',   piu'   difficilmente   possono    essere
strumentalizzati  per  aggirare  le  finalita'  proprie  del   regime
differenziato». 
    6.- In punto di rilevanza, il giudice  a  quo  espone  di  essere
chiamato  a  valutare  della   legittimita'   del   rifiuto   opposto
dall'amministrazione penitenziaria alla richiesta del  reclamante  di
poter svolgere il colloquio visivo con il figlio, ultradodicenne,  ma
infraquattordicenne, senza l'intermediazione del  vetro  divisorio  a
tutta altezza. 
    Pur prendendo  atto  della  scelta  operata  dall'amministrazione
penitenziaria con l'art. 16 della citata circolare DAP del 2  ottobre
2017, ritenuta legittima dalla Corte di cassazione, il giudice a  quo
afferma  la  necessita'  di  «confrontarsi   innanzitutto   con   una
disposizione normativa decisamente tranciante in senso negativo,  che
sembra interdire sempre e con chiunque i colloqui visivi senza  vetro
divisorio»,    escludendo,    cosi',    qualsiasi    discrezionalita'
amministrativa,   «anche   ove   volta   a   mitigare   gli   effetti
potenzialmente incostituzionali della lettera della legge». 
    Cosi' dovendosi interpretare la disposizione normativa censurata,
solo la declaratoria di fondatezza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate consentirebbe l'accoglimento del reclamo. 
    Per il rimettente la formulazione della disposizione di  legge  -
secondo  cui  l'unico  colloquio  mensile  del  detenuto  in   regime
differenziato si svolge «in locali attrezzati in modo da impedire  il
passaggio di oggetti» - sarebbe  «inequivocabile»,  tanto  da  essere
stata «univocamente interpretata nel senso che si  deve  trattare  di
locali dotati di vetro  a  tutta  altezza»,  essendo  questa  l'unica
«struttura fisica in grado di consentire ai familiari di guardarsi  e
parlarsi, ma al contempo di impedire il passaggio di oggetti». 
    Per  queste  ragioni,   la   piu'   volte   ricordata   circolare
dell'amministrazione   penitenziaria,   pur   «condivisibile    negli
obbiettivi perseguiti», si porrebbe «in contrasto  con  la  normativa
primaria»,   in   quanto    non    potrebbe    riconoscersi    alcuna
discrezionalita'  «nel  valutare  se  una  limitazione,  imposta  dal
legislatore,  si  riveli  giustificata  da  esigenze  di   ordine   e
sicurezza». 
    Solo un intervento del giudice  delle  leggi,  in  altre  parole,
potrebbe consentire di raggiungere il risultato  garantito  dall'art.
16 della suddetta circolare, peraltro in misura  ridotta  rispetto  a
quanto ritenuto,  dallo  stesso  giudice  a  quo,  costituzionalmente
necessario. 
    7.- Cio' premesso, il  rimettente,  in  punto  di  non  manifesta
infondatezza,  dubita   della   legittimita'   costituzionale   della
disposizione censurata «nella parte in cui non esclude i minori [...]
dall'obbligo di rapportarsi con il genitore o il  nonno  detenuti  in
regime  differenziato  unicamente  all'interno   di   sale   colloqui
approntate con un vetro divisorio a tutta  altezza,  e  dunque  senza
alcun contatto fisico con gli stessi». 
    7.1.- Tale assetto sarebbe lesivo, in primo  luogo,  del  diritto
della persona detenuta a mantenere rapporti  con  il  proprio  nucleo
familiare,  declinato  nella  forma  del  diritto  ai  colloqui:   le
limitazioni all'esercizio di tale diritto,  oltre  a  richiedere  una
previsione di legge, dovrebbero essere giustificate «da  esigenze  di
pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione  dei  reati,  di
protezione della salute, dei diritti e  delle  liberta'  altrui»  (e'
citata  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenza  22
giugno-11 agosto 2020, n. 23819, nonche' Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, prima sezione, sentenza  4  febbraio  2003,  Van  der  Ven
contro Paesi Bassi). 
    Per il rimettente sarebbe compromesso il diritto a non subire una
«detenzione  inumana»,  come  quella  che  deriverebbe  dall'assoluta
privazione di ogni contatto fisico con «i figli ed i nipoti, in  eta'
piu' giovane», con i quali, «piu' e meglio di ogni dialogo»,  sarebbe
fondamentale «il mantenimento di una relazione fatta di  fisicita'  e
di effusioni, semplici e immediate, come quelle che derivano dai baci
e dagli abbracci che  costituiscono  il  nucleo  piu'  intuitivo  del
rapporto tra genitori e figli e tra nonni e  nipoti  in  piu'  tenera
eta'». 
    Per il rimettente, che ricorda sul punto l'insegnamento di questa
Corte (sono citate le sentenze n. 97 del 2020, n. 186  del  2018,  n.
143 del 2013 e n. 351 del 1996), le limitazioni  imposte  dal  regime
differenziato, intanto appaiono legittime, in quanto giustificate  da
esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza. 
    Tuttavia, i soggetti «in tenera eta'» - a parere  del  giudice  a
quo - non potrebbero  «ragionevolmente  ritenersi  strumentalizzabili
quali veicoli di informazioni  da  e  per  l'esterno»,  sicche',  per
risolvere il prospettato contrasto  con  gli  artt.  3  e  27  Cost.,
sarebbe   sufficiente   l'ascolto    accompagnato    da    audio    e
videoregistrazione  del  colloquio,  gia'  previsti  dalla   medesima
disposizione. 
    7.2.- In secondo luogo, «il divieto di svolgimento del  colloquio
senza vetro divisorio» da parte di  genitori  e  nonni  ristretti  in
regime  differenziato,  «previsto  nel   testo   della   disposizione
normativa», non garantirebbe il rispetto  del  «superiore  interesse»
del minore, presidiato dagli artt. 31  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 3 della  Convenzione  sui  diritti
del fanciullo. Tale principio, a  giudizio  del  rimettente,  avrebbe
dovuto  orientare  innanzitutto  il  legislatore  verso   la   «netta
prevalenza» dei diritti del minore sulle altre esigenze confliggenti,
secondo un bilanciamento che sarebbe gia' stato  compiuto  da  questa
Corte in materia penitenziaria (e'  citata  la  sentenza  n.  76  del
2017). 
    In particolare, il colloquio  visivo  appare  al  giudice  a  quo
l'unico in cui puo' esplicarsi il rapporto  con  il  genitore,  tanto
piu' se quest'ultimo si trova in  regime  detentivo  differenziato  e
subisce, quindi, le limitazioni di un unico incontro al  mese,  della
durata  di  un'ora,  e  della  impossibilita'  di  avere  un  dialogo
telefonico. 
    Per il rimettente, «quando il minore e' infante  o  ancora  nelle
fasi dello sviluppo», il rapporto fisico con il genitore non  sarebbe
sostituibile da un dialogo ostacolato da un vetro divisorio,  sicche'
le esigenze di sicurezza sottese al regime  differenziato  dovrebbero
essere tutelate solo  attraverso  gli  ulteriori  strumenti  previsti
dalla disposizione in esame, quali la video e l'audio  registrazione,
nonche' l'ascolto diretto del colloquio, che «puo' essere  interrotto
in qualsiasi momento, a fronte di eventuali elementi di  criticita'»,
improbabili a  fronte  di  una  sicuramente  ridotta  «capacita'  del
fanciullo di rendersi latore di messaggi criminali o del genitore  di
strumentalizzare tale momento a questo scopo». 
    L'esigenza di far prevalere il  superiore  interesse  del  minore
deriverebbe anche dall'art. 8 CEDU. 
    Quest'ultima disposizione imporrebbe di  dedicare  «una  speciale
attenzione [...] ai colloqui con i minori», e obbligherebbe lo  Stato
ad assicurare che il  colloquio  si  svolga  con  modalita'  tali  da
evitare, per quanto possibile, «condizioni stressanti per i bambini»,
pure quando si tratta di «colloqui con parenti in carcere  per  reati
di  speciale  gravita',  anche  ristretti  in   regime   di   massima
sicurezza». 
    8.- Cio' premesso con riferimento alla posizione  del  minore  in
generale,  il  rimettente  ritiene  rinvenibili  «nella   legge,   in
particolare   penitenziaria»,   parametri   cui    ancorare,    «piu'
ragionevolmente   rispetto   a    quanto    faccia    la    circolare
amministrativa», l'eta' al di sotto della  quale  «l'imposizione  del
vetro» si risolverebbe in  un  pregiudizio  grave  al  diritto  dello
stesso minore di mantenere un «contatto fisico significativo» con  il
genitore o il nonno detenuto. 
    A tal fine, il giudice a quo richiama il  comma  3  dell'art.  18
ordin. penit., come modificato dall'art. 11,  comma  1,  lettera  g),
numero 3), del decreto legislativo 2 ottobre 2018,  n.  123,  recante
«Riforma dell'ordinamento penitenziario in attuazione della delega di
cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d),  i),  l),  m),
o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017,  n.  103»,  secondo  cui
«particolare cura e' dedicata  ai  colloqui  con  i  minori  di  anni
quattordici». 
    Si tratta di una disposizione  non  applicabile  ai  detenuti  in
regime differenziato (come confermato  dalla  gia'  citata  Corte  di
cassazione, sentenza n. 46719 del 2021),  poiche'  la  legge  delega,
alla quale il d.lgs. n. 123 del 2018 ha dato attuazione, impediva «di
incidere sul 41 bis» (art. 1, comma 85, della legge 23  giugno  2017,
n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al codice  di  procedura
penale e all'ordinamento penitenziario»). 
    Tuttavia, a parere del  rimettente,  sarebbe  «evidente»  che  il
legislatore, con riferimento alla necessita' di tutelare i minori che
debbano svolgere colloqui con i propri parenti detenuti,  ha  fissato
«una asticella  in  relazione  all'eta'»,  la  quale  «non  puo'  che
prescindere  dalla  pericolosita'  del  congiunto  ristretto»:   cio'
imporrebbe,   «a   prezzo    altrimenti    di    una    irragionevole
discriminazione», un trattamento di «analoga  attenzione»  anche  nei
confronti  dei  figli  e  nipoti  minorenni  infraquattordicenni   di
genitori e nonni ristretti in regime differenziato. 
    A  sostegno  della  tesi,  il  giudice  a  quo  osserva  che,  «a
differenza  dell'eta'  di  dodici  anni,  indicata  nella   circolare
ministeriale del 2017», quella di  quattordici  anni  costituisce  un
parametro «in plurime occasioni adoperato dal legislatore  a  segnare
una  linea   di   demarcazione»,   come   ad   esempio   «la   soglia
dell'imputabilita'» e la «conclusione del ciclo di scuola  secondaria
inferiore». 
    Si tratterebbe, quindi, di un'eta' in cui il legislatore  avrebbe
gia' presunto il passaggio  «ad  una  certa  nozione  di  adolescenza
piena», in cui il minore sarebbe maggiormente capace  di  comprendere
ed accettare «il passaggio, comunque traumatico,  in  cui  cessano  i
colloqui visivi con contatto fisico», senza  «percepirsi  come  causa
dell'esclusione subita». 
    Per il rimettente  l'impedimento  di  ogni  contatto  fisico  dei
minori  infraquattordicenni  con  i  congiunti   detenuti   «mediante
l'imposizione del vetro divisorio a tutta  altezza»,  in  un  momento
«ancora cosi' delicato della loro  crescita»,  sarebbe  incompatibile
con i principi  costituzionali  e  convenzionali  illustrati,  e,  in
particolare, con la necessita' di contenere nel  «minimo,  congruo  e
proporzionato», il sacrificio necessario richiesto nel  bilanciamento
con le esigenze di sicurezza. 
    9.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  «manifestamente»
non fondate. 
    Dopo aver ricostruito i  passaggi  essenziali  dell'ordinanza  di
rimessione, nonche' genesi e finalita' sottese  all'istituto  di  cui
all'art. 41-bis ordin. penit., l'Avvocatura  generale,  sottolineando
la «natura peculiare e distintiva rispetto a tutti gli altri fenomeni
criminali»  rivestita  dalle  organizzazioni  mafiose,  ha  ricordato
l'orientamento della giurisprudenza della  Corte  di  cassazione,  in
ordine alla legittimita'  della  previsione  contenuta  nell'art.  16
della circolare DAP del 2 ottobre  2017,  la  quale  prevede  che  il
colloquio visivo avvenga senza vetro divisorio solo nel caso  in  cui
esso abbia luogo con il figlio o i nipoti in linea  retta  minori  di
dodici anni (e' citata Corte di  cassazione,  sezione  prima  penale,
sentenza 30 marzo-16 settembre 2022, n. 34388). 
    L'interveniente ritiene che il giudice a quo muova  «da  tre  non
condivisibili assunti». 
    9.1.- In primo  luogo,  sarebbe  «smentita  dai  fatti»  la  tesi
secondo  cui  i   minori   di   quattordici   anni   non   potrebbero
ragionevolmente  ritenersi  strumentalizzabili   quali   veicoli   di
informazioni da e per l'esterno. 
    Per   l'Avvocatura,   infatti,    l'«esperienza    criminologica»
comproverebbe che, in contesti familiari mafiosi, la «maturazione  di
giovani puberi [...] puo' essere assai diversa da  quella  usuale  di
coetanei della stessa eta' in contesti di normalita'». 
    Inoltre, per l'interveniente, il  legislatore  avrebbe  indicato,
seppure in  altri  ambiti,  l'eta'  di  dodici  anni  «quale  momento
anagrafico secondo cui il minore e' gia'  o  puo'  essere  capace  di
discernimento», come ad esempio in tema di adozione (art. 15, secondo
comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore
ad una famiglia», secondo cui il minore di eta' inferiore  ai  dodici
anni, se capace di discernimento, deve essere sentito in vista  della
dichiarazione di adottabilita') o di affidamento  non  congiunto,  in
caso di separazione tra coniugi con figli minori. 
    Tali disposizioni,  a  parere  dell'interveniente,  starebbero  a
dimostrare che la legge,  a  prescindere  dall'imputabilita'  penale,
ritiene che il minore di anni dodici  possa  gia'  essere  capace  di
discernimento, sicche' «a maggior ragione», quando  tale  eta'  viene
superata,  «la  presunzione  di  discernimento   si   accresce   sino
all'imputabilita' penale fissata ad anni 14». 
    9.2.- Inoltre, non condivisibile sarebbe  l'affermazione  secondo
cui, al di sotto dei quattordici anni, la tutela  dell'interesse  del
minore ad avere,  durante  i  colloqui,  un  contatto  fisico  con  i
congiunti prescinderebbe dalla pericolosita' del  familiare  detenuto
in regime differenziato. La tesi, «nella  sua  assolutezza»,  sarebbe
«distonica e  sbilanciata  rispetto  ai  diritti  costituzionali  che
vengono in conflitto (tra cui la vita e la  liberta'  dei  consociati
vittime dei reati di mafia, oltre  che  l'inderogabile  tutela  della
collettivita' nel suo complesso)». 
    9.3.- Infine, non sarebbe corretto sostenere che la  possibilita'
di ascoltare e registrare, in video e  audio,  il  colloquio  sarebbe
gia' di per se' idonea a neutralizzare i rischi di un uso fraudolento
del contatto con il minore di anni quattordici. 
    Per  l'interveniente,  l'esperienza  starebbe  a  dimostrare  che
«[u]na frase, una sola parola, un'allusione pronunciata  in  dialetto
stretto e  sussurrata  ad  orecchio  al  minore  nell'abbraccio»  non
potrebbe essere compresa in alcun modo da  soggetti  terzi  «che  non
abbiano le chiavi di decodifica del linguaggio mafioso». 
    10.-  In  definitiva,  ad  avviso  dell'Avvocatura  generale,  la
disposizione censurata risulta «proporzionale, consentanea allo scopo
e bilanciata», nel confronto tra i diritti costituzionali  coinvolti,
sicche' non assume una connotazione «puramente afflittiva», in quanto
«la necessita' del vetro divisorio»  si  imporrebbe  per  ragioni  di
bilanciamento tra esigenze di sicurezza e  diritti  fondamentali  del
recluso e del figlio o nipote minore a intrattenere rapporti  con  il
familiare, pur nel perdurante «stato di grave pericolosita'». 
    11.- Con altra ordinanza, sempre depositata in data 5 agosto 2022
(r.o. n. 105 del 2022), il medesimo  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto solleva identiche questioni di  legittimita'  costituzionale,
aventi ad oggetto sempre l'art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera  b),
ordin. penit., e in riferimento ai medesimi parametri  costituzionali
e sovranazionali. 
    12.- In fatto, il giudice a quo espone di  essere  investito  del
reclamo presentato da G. P., con il quale l'interessato  contesta  il
divieto, impostogli  dall'amministrazione  penitenziaria  in  ragione
della sua sottoposizione al regime differenziato ai  sensi  dell'art.
41-bis  ordin.  penit.,  di  svolgere  colloqui  visivi  senza  vetro
divisorio con i nipoti in linea retta, che hanno compiuto dodici anni
di  eta',  chiedendo,  altresi',  «di  poter  almeno  abbracciare  la
moglie». 
    Espone l'ordinanza di rimessione come il piu' piccolo dei  nipoti
del reclamante abbia raggiunto l'eta' di dodici  anni  (di  cui  alla
circolare gia' citata) nel 2021, quando  le  modalita'  di  colloquio
senza vetro divisorio erano state gia' sospese per tutti i  detenuti,
«perche'  rischiose  sotto  il  profilo  del  contagio  da  COVID19».
L'interessato, per questo, «ha cessato di  abbracciare  tale  nipote»
quando questi aveva undici anni, mentre ora tale possibilita' gli  e'
preclusa, avendo il minore raggiunto l'eta' di tredici anni. 
    13.- Per il resto, la motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione
r.o. n. 105 del 2022, sia  in  punto  di  rilevanza  delle  questioni
sollevate, sia di valutazione circa  la  non  manifesta  infondatezza
delle stesse, coincide testualmente con quella dell'ordinanza r.o. n.
104 del 2022, illustrata nei precedenti punti da 3 a 8. 
    14.- Anche nel giudizio iscritto al  n.  105  r.o.  del  2022  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate «manifestamente» non fondate  e  svolgendo
difese coincidenti con quelle spiegate nel giudizio  iscritto  al  n.
104 r.o. del 2022. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con  due  ordinanze
di analogo tenore (r.o. n. 104 e n.  105  del  2022),  solleva  -  in
riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31  e  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  3  della  Convenzione  sui
diritti del fanciullo e all'art. 8 CEDU - questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera  b),  ordin.
penit., «nella parte in cui dispone che il colloquio  visivo  mensile
del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati  in
modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga  con
i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici». 
    2.- Il rimettente e' investito di due reclami, con  i  quali  gli
interessati - detenuti sottoposti  al  regime  differenziato  di  cui
all'art.  41-bis  ordin.  penit.  -  impugnano  il  rifiuto   opposto
dall'amministrazione penitenziaria alla loro  richiesta  di  svolgere
colloqui visivi, senza vetro divisorio, con familiari minori di  eta'
(il figlio maggiore del primo detenuto e i nipoti in linea retta  del
secondo: tutti ultradodicenni, ma infraquattordicenni). 
    L'ordinanza  di  rimessione  evidenzia   come   l'amministrazione
penitenziaria - in forza della circolare DAP del  2  ottobre  2017  -
consenta di svolgere i colloqui in locali privi del vetro  divisorio,
ma soltanto con i figli e i nipoti in linea retta  minori  di  dodici
anni. In punto di fatto, rileva, tuttavia, che tra il 2020 ed il 2021
queste modalita' sono  state  sospese,  allo  scopo  di  limitare  la
diffusione del contagio da COVID-19.  Sottolinea  percio'  come,  nel
caso di specie, gli interessati abbiano cessato  di  «abbracciare»  i
minori in precedenza indicati quando questi avevano  ancora  meno  di
dodici anni, mentre ora tale possibilita' e' loro preclusa, avendo  i
minori superato questa soglia di eta'. 
    Evidenzia  inoltre  il  rimettente  che  la   giurisprudenza   di
legittimita' (e' citata Corte di cassazione, sentenza  n.  46719  del
2021) riconosce  che  i  colloqui  visivi  costituiscono  un  diritto
fondamentale al mantenimento delle relazioni familiari, anche per  la
persona  detenuta  in   regime   differenziato.   Osserva   che,   in
considerazione  delle  limitazioni  giustificate  dalle  esigenze  di
tutela dell'ordine e della sicurezza proprie di tale regime, la Corte
di cassazione ha tuttavia giudicato legittima la  disposizione  della
circolare DAP che limita  ai  familiari  minori  di  dodici  anni  la
possibilita'   dei   colloqui   visivi   senza    vetro    divisorio,
considerandola  scelta  organizzativa  non  irragionevole,  tesa   ad
operare  un  «prudente  contemperamento   tra   esigenze   di   rango
costituzionale in potenziale conflitto». 
    Non  giudicando   soddisfacente   tale   contesto   normativo   e
giurisprudenziale, e allo scopo  di  ampliare  la  sfera  dei  minori
ammessi al colloquio senza vetro divisorio, richiede a  questa  Corte
un intervento sulla disposizione di legge che asseritamente impone  -
in ogni circostanza, e dunque anche in occasione dei colloqui  visivi
con i figli e i nipoti in linea retta minori di (qualunque) eta' - la
presenza di un vetro divisorio a tutta altezza. 
    3.- Sotto il profilo della rilevanza, il rimettente  ritiene  che
la disposizione censurata avrebbe  un  significato  «inequivocabile»:
stabilire che  l'unico  colloquio  mensile  del  detenuto  in  regime
differenziato si svolge «in locali attrezzati in modo da impedire  il
passaggio di oggetti» non potrebbe significare altro, se non  che  il
colloquio deve avvenire in locali dotati di vetro divisorio  a  tutta
altezza,  essendo  questa  l'«unica  struttura  fisica  in  grado  di
consentire ai familiari di guardarsi e parlarsi, ma  al  contempo  di
impedire il passaggio  di  oggetti,  per  come  richiesto  dal  testo
normativo». 
    Per queste ragioni, la ricordata circolare DAP  si  porrebbe  «in
contrasto con la normativa primaria», che  non  consentirebbe  alcuna
deroga - neppure per i minori  infradodicenni  -  alla  regola  cosi'
dettata. 
    Solo un intervento di questa  Corte,  appunto,  consentirebbe  di
raggiungere il risultato che oggi la  circolare  garantisce  solo  in
parte, e comunque in misura ridotta rispetto a quanto  il  rimettente
ritiene costituzionalmente necessario. 
    4.- In punto di non manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
dubita della legittimita' costituzionale della disposizione censurata
«nella parte in cui  non  esclude  i  minori  [...]  dall'obbligo  di
rapportarsi  con  il  genitore  o  il  nonno   detenuti   in   regime
differenziato unicamente all'interno di sale colloqui approntate  con
un vetro divisorio a tutta altezza, e  dunque  senza  alcun  contatto
fisico con gli stessi». 
    Sarebbe leso, in primo luogo, il diritto della persona detenuta a
mantenere rapporti effettivi con il proprio nucleo  familiare,  cosi'
come garantito dai parametri costituzionali evocati. 
    Risulterebbe, in particolare, compromesso il diritto a non subire
una  «detenzione  inumana»,   tale   dovendosi   considerare   quella
caratterizzata dall'assoluta privazione di ogni contatto fisico con i
figli ed i nipoti in eta' piu' giovane. 
    Ancora,  il  divieto  censurato  non  rispetterebbe  i   principi
enunciati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (sono   citate   le
sentenze n. 97 del 2020, n. 186 del 2018, n. 143 del 2013  e  n.  351
del  1996),  secondo  cui   le   limitazioni   imposte   dal   regime
differenziato sono compatibili con gli artt. 3 e  27  Cost.  solo  in
quanto  giustificate  da  esigenze  di  tutela  dell'ordine  e  della
sicurezza. I soggetti  «in  tenera  eta'»,  infatti,  non  potrebbero
ragionevolmente  ritenersi  strumentalizzabili   quali   vettori   di
informazioni, da e  per  l'esterno.  Durante  i  colloqui  con  loro,
sarebbe  percio'  sufficiente  l'ascolto  accompagnato  da  audio   e
videoregistrazione  del  colloquio,  gia'  previsti  dalla   medesima
disposizione. 
    In  secondo  luogo,  il  divieto  sospettato  di   illegittimita'
costituzionale non garantirebbe il rispetto del «superiore interesse»
del minore, presidiato dagli artt. 31  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 3 della  Convenzione  sui  diritti
del fanciullo.  In  forza  di  tale  principio,  si  dovrebbe  sempre
accordare «netta  prevalenza»  ai  diritti  del  minore  sulle  altre
esigenze confliggenti. Per  questo,  in  particolare  durante  l'eta'
dello sviluppo, il  rapporto  fisico  con  il  genitore  non  sarebbe
sostituibile con un dialogo ostacolato da un vetro  divisorio.  Anche
l'art.  8  CEDU,  del  resto,  obbligherebbe  lo  Stato  ad   evitare
«condizioni stressanti per  i  bambini»  durante  i  colloqui  con  i
parenti, pure se detenuti in regime di massima sicurezza. 
    4.1.-  Il  giudice  a  quo  ritiene  che  in  altre  disposizioni
dell'ordinamento penitenziario sia rinvenibile l'indicazione  di  una
soglia di eta' piu' ragionevole, al di sotto della quale consentire i
colloqui senza separazione fisica. 
    Richiama, in particolare, il comma 3 dell'art. 18 ordin.  penit.,
come modificato dalla riforma dell'ordinamento penitenziario  operata
dal d.lgs. n. 123 del 2018, secondo cui «particolare cura e' dedicata
ai colloqui con  i  minori  di  anni  quattordici».  Osserva  che  il
legislatore avrebbe indicato il medesimo limite  d'eta'  «in  plurime
occasioni»,   come   ad    esempio    per    fissare    «la    soglia
dell'imputabilita'» e la «conclusione del ciclo di scuola  secondaria
inferiore». Questa soglia d'eta', insomma, individuerebbe il  momento
in cui i minori acquisterebbero maggiore consapevolezza  e  sarebbero
capaci di accettare la  trasformazione  in  senso  restrittivo  delle
modalita' di esecuzione dei colloqui con i familiari detenuti. 
    5.-  Le  due  ordinanze  di  rimessione   censurano   la   stessa
disposizione, evocano i medesimi parametri costituzionali ed  offrono
i medesimi argomenti a sostegno delle questioni sollevate. I relativi
giudizi  vanno  percio'  riuniti,  per  essere  decisi  con  un'unica
sentenza. 
    6.- Il rimettente, come si e' visto, muove dalla premessa secondo
cui il testo  della  disposizione  censurata  imporrebbe  -  in  ogni
circostanza e senza possibilita' di deroga - di attrezzare  i  locali
destinati ad ospitare i colloqui  dei  detenuti  soggetti  al  regime
differenziato con un vetro divisorio a tutta altezza,  strumento  che
per sua natura impedisce ogni contatto fisico. 
    Questo e', dunque, il presupposto interpretativo da sottoporre  a
verifica. 
    7.- La giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito che  il
regime differenziato  previsto  dall'art.  41-bis,  comma  2,  ordin.
penit. mira  a  contenere  la  pericolosita'  dei  detenuti  ad  esso
soggetti, anche nelle sue eventuali proiezioni  esterne  al  carcere,
impedendo  i  collegamenti  degli  appartenenti  alle  organizzazioni
criminali tra loro e con  i  membri  di  queste  che  si  trovino  in
liberta': collegamenti che potrebbero realizzarsi proprio  attraverso
quei  contatti  con  il  mondo  esterno  che  lo  stesso  ordinamento
penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento
sociale (sentenze n. 97 del 2020 e n. 186 del 2018). 
    Questa Corte, tuttavia, ha puntualmente definito anche  i  limiti
cui e' soggetta l'applicazione del regime speciale. 
    In particolare, ha affermato che, in base  alla  disposizione  in
esame, e'  possibile  sospendere  solo  l'applicazione  di  regole  e
istituti dell'ordinamento penitenziario  che  risultino  in  concreto
contrasto  con  le   esigenze   di   ordine   e   sicurezza,   e   ha
correlativamente chiarito non potersi disporre misure  che,  a  causa
del  loro  contenuto,  «a  quelle   concrete   esigenze   non   siano
riconducibili poiche' risulterebbero palesemente inidonee o incongrue
rispetto alle finalita' del provvedimento che assegna il detenuto  al
regime differenziato» (sentenza n. 186 del 2018; nello stesso  senso,
sentenza n.  18  del  2022).  Misure  di  tal  genere  assumerebbero,
infatti, «una portata puramente  afflittiva  non  riconducibile  alla
funzione  attribuita  dalla  legge  al  provvedimento   ministeriale»
(sentenze n. 97 del 2020 e n. 351 del 1996). 
    Questa Corte ha inoltre precisato (sentenze n. 376 del  1997,  n.
351 del 1996 e n. 349 del 1993) che le restrizioni  che  accompagnano
l'applicazione del regime differenziato, «considerate singolarmente e
nel loro complesso, non devono essere tali da vanificare del tutto la
necessaria finalita' rieducativa della  pena  (sentenza  n.  149  del
2018) e da violare il divieto di trattamenti  contrari  al  senso  di
umanita'» (sentenza n. 186 del 2018). 
    7.1.-  E'  di  intuitiva  evidenza  che,  tra  gli  istituti  che
connotano l'ordinaria disciplina trattamentale, quello  dei  colloqui
con i familiari o con terze persone rappresenta  uno  dei  momenti  a
piu'  alto  rischio  per  la  garanzia  degli  obbiettivi  perseguiti
attraverso  l'applicazione   del   regime   detentivo   differenziato
(sentenza n. 97 del 2020), trattandosi del «veicolo  piu'  diretto  e
immediato di comunicazione del detenuto con l'esterno»  (sentenza  n.
143 del 2013). 
    E' comprensibile, dunque, la ragione per cui  lo  svolgimento  di
tali colloqui - i quali, secondo la disciplina ordinaria,  dovrebbero
svolgersi in  locali  interni  «senza  mezzi  divisori»  o  in  spazi
all'aperto a cio' destinati (art. 37, comma 5, del d.P.R.  30  giugno
2000, n. 230, recante  «Regolamento  recante  norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulle misure privative e limitative della  liberta'»)
- sia stata sempre circondato, in riferimento ai detenuti  sottoposti
al regime speciale, da una serie di rigorose misure, volte a impedire
che  gli  esponenti  dell'organizzazione  criminale   in   stato   di
detenzione possano continuare ad impartire direttive  agli  affiliati
in stato di liberta',  e  cosi'  mantenere,  anche  dall'interno  del
carcere, il controllo sulle attivita' delittuose  dell'organizzazione
stessa (sentenze n. 97 del 2020, n. 186 del 2018 e n. 143 del 2013). 
    7.2.- Tra queste misure,  il  divieto  di  passaggio  di  oggetti
durante i colloqui  visivi  e'  inizialmente  contemplato  in  alcune
circolari  dell'amministrazione  penitenziaria,  diramate  nel  corso
degli anni  Novanta  del  secolo  scorso,  in  attuazione  dei  primi
provvedimenti che dispongono la sospensione delle ordinarie regole di
trattamento, introdotta dall'art. 19 del decreto-legge 8 giugno 1992,
n. 306 (Modifiche urgenti al  nuovo  codice  di  procedura  penale  e
provvedimenti di contrasto alla  criminalita'  mafiosa),  convertito,
con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356. 
    Per garantire il conseguimento del  risultato,  l'amministrazione
aveva da tempo assicurato il rispetto  del  divieto  attrezzando  con
vetri divisori "a tutta  altezza"  i  locali  destinati  ai  colloqui
visivi. 
    Nel  frattempo,  il  divieto  di  passaggio  di   oggetti   trova
collocazione a livello di fonte primaria, con la  legge  23  dicembre
2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della  legge  26
luglio 1975,  n.  354,  in  materia  di  trattamento  penitenziario).
Quest'ultima, infatti,  sulla  scorta  dell'esperienza  maturata  nei
primi anni di applicazione del regime differenziato, "stabilizza"  il
regime detentivo speciale, «tipizzando le limitazioni che in concreto
il Ministro della giustizia poteva imporre allo scopo di contenere la
pericolosita' dei singoli destinatari della misura» (sentenza n.  186
del  2018).  Tra   queste   limitazioni   figura   quella   censurata
dall'odierno rimettente: la lettera b) del comma  2-quater  dell'art.
41-bis ordin. penit. dispone, infatti, per la  parte  qui  rilevante,
che i colloqui dei detenuti avvengano «in locali attrezzati  in  modo
da impedire il passaggio di oggetti». 
    Si tratta  di  una  restrizione  ulteriore  rispetto  alle  altre
previste dalla medesima disposizione: limitazione dei colloqui visivi
ad uno soltanto al mese e loro  sottoposizione  a  videoregistrazione
nonche', previa motivata  autorizzazione  dell'autorita'  giudiziaria
competente, a controllo auditivo e a registrazione. 
    7.3.- Proprio con riferimento al divieto di passaggio di oggetti,
ancor prima della trasposizione in  legge  delle  misure  restrittive
tipiche  del   regime   speciale,   la   stessa   amministrazione   -
nell'esercizio di quel margine di discrezionalita'  che  naturalmente
le spetta in materia di definizione dei  tempi  e  dei  modi  per  la
concreta  attuazione  del  diritto  ai  colloqui  visivi  (Corte   di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 26 giugno-13 agosto  2020,
n. 23945) - aveva avvertito la necessita' di operare un bilanciamento
tra gli interessi in gioco. 
    Gia' con  la  circolare  DAP  del  6  febbraio  1998,  n.  543884
(successiva alla prima serie di pronunce con le quali questa Corte ha
delineato i ricordati limiti "interni" cui e' soggetta l'applicazione
del  regime  detentivo  differenziato),  era  stata   consentita   la
fruizione dei colloqui senza  vetro  divisorio,  inizialmente  con  i
figli minori di anni sedici. 
    Con  la  successiva  circolare  DAP  del  20  febbraio  1998,  n.
3470/5920 (punto 4), tale soglia di eta' e' stata abbassata a  dodici
anni, secondo una direttiva  mai  piu'  abbandonata  nelle  circolari
successive. Queste ultime, piuttosto, hanno provveduto  ad  estendere
anche ai nipoti ex filio infradodicenni la  deroga  alla  regola  del
colloquio con il vetro divisorio, consolidando in tal modo i contorni
di una prassi giunta immutata fino ad oggi. 
    Anche  nell'ultimo  atto  amministrativo  emanato  per  impartire
istruzioni sull'organizzazione del regime detentivo  differenziato  -
la circolare DAP del 2 ottobre 2017, oggetto  di  attenzione  critica
del giudice rimettente - si legge (art. 16): «[i]n una prospettiva di
bilanciamento di interessi  di  pari  rilevanza  costituzionale,  tra
tutela del  diritto  del  detenuto/internato  di  mantenere  rapporti
affettivi con i figli e i nipoti e  quello  di  garantire  la  tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica, il detenuto/internato  potra'
chiedere che i colloqui con i figli e con i  nipoti  in  linea  retta
minori di anni 12, avvengano  senza  vetro  divisorio  per  tutta  la
durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato  al
detenuto e la contestuale presenza degli altri  familiari  dall'altra
parte del vetro. Detto colloquio e' sottoposto  a  videoregistrazione
ed ascolto, previo provvedimento motivato dell'A.G». 
    La  circolare  ha  cura  di  precisare,   altresi',   che   «[i]l
posizionamento    del    minore    nello    spazio    destinato    al
detenuto/internato dovra' avvenire evitando forme di contatto diretto
con ogni familiare adulto. In ogni caso il predetto posizionamento  e
la successiva riconsegna del minore ai familiari, [dovranno] avvenire
sotto stretto controllo da parte del  personale  di  polizia  addetto
alla vigilanza, con le cautele e gli accorgimenti del caso,  al  fine
di contemperare le esigenze di sicurezza con quelle del minore  e  lo
stato di disagio in cui lo stesso puo' venirsi a trovare». 
    Inoltre, e' previsto un controllo con l'ausilio di metal-detector
prima  e  dopo  la  fruizione  del  colloquio   stesso,   mentre   la
perquisizione  manuale  e'  consentita  soltanto  quando   sussistano
comprovate ragioni di sicurezza. 
    8.-  Tutto  cio'   premesso,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale oggetto di odierno scrutinio  risultano  non  fondate,
nei sensi di seguito precisati. 
    9.- Come si e' visto, entrambe le ordinanze muovono da un  comune
presupposto: la disposizione in esame sarebbe inequivoca nel senso di
imporre l'utilizzo del vetro divisorio in ogni circostanza, e  dunque
anche in occasione dei colloqui visivi con i  figli  e  i  nipoti  in
linea retta minori di (qualunque) eta'. 
    Questa Corte non condivide tale  presupposto,  essendo  possibile
una interpretazione costituzionalmente orientata  della  disposizione
censurata. 
    Con riferimento ai colloqui visivi, senza dubbio ricompresi nella
sfera  dei  diritti   spettanti   anche   ai   detenuti   in   regime
differenziato, non erra il rimettente quando sostiene la  necessita',
sia di garantire che il  complessivo  trattamento  penitenziario  non
contrasti con il senso di umanita', al metro dell'art. 27 Cost.,  sia
di tutelare il preminente interesse dei minori. 
    Sotto il primo profilo,  rilievo  essenziale  assume  l'interesse
della  persona  detenuta  a  mantenere  un  contatto  fisico  con   i
familiari. Una disciplina che ne escluda totalmente la  possibilita',
finanche nei confronti di quelli in eta' piu' giovane, si porrebbe in
contrasto con  quanto  disposto  dall'art.  27  Cost.,  anche  per  i
soggetti in regime differenziato (sentenza n. 351 del 1996). 
    Sotto il secondo profilo, la giurisprudenza di questa Corte ha da
tempo riconosciuto che  «la  speciale  rilevanza  dell'interesse  del
figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con  ciascuno  dei
genitori, dai  quali  ha  diritto  di  ricevere  cura,  educazione  e
istruzione», trova  «riconoscimento  e  tutela  sia  nell'ordinamento
costituzionale interno - che demanda alla  Repubblica  di  proteggere
l'infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo  (art.  31,
secondo  comma,  Cost.)  -   sia   nell'ordinamento   internazionale»
(sentenza n. 187 del 2019). 
    In quest'ultimo, vengono in particolare considerazione  non  solo
le  previsioni  del   parametro   interposto   evocato   dall'odierno
rimettente (l'art. 3, comma 1,  della  Convenzione  sui  diritti  del
fanciullo), ma anche quelle dell'art. 24, comma 2,  della  Carta  dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea:  «[q]ueste  due   ultime
disposizioni qualificano come  "superiore"  l'interesse  del  minore,
stabilendo che in tutte le decisioni relative ad  esso,  adottate  da
autorita' pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere
considerato "preminente"» (ancora  sentenza  n.  187  del  2019,  che
richiama le  sentenze  n.  76  del  2017  e,  in  termini  pressoche'
sovrapponibili, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014). 
    Piu' volte, quindi, sulla scorta del ricordato principio,  questa
Corte  e'  intervenuta  per  adeguare   le   norme   di   ordinamento
penitenziario alla necessita' di tutelare il primario  interesse  del
minore, ossia di un  «soggetto  debole,  distinto  dal  condannato  e
particolarmente meritevole di protezione» (sentenza n. 76 del 2017). 
    Non puo'  che  concordarsi  con  il  rimettente,  dunque,  quando
afferma che, per  il  minore  «infante  o  ancora  nelle  fasi  dello
sviluppo», il rapporto fisico con il familiare detenuto non  sarebbe,
almeno di regola, sostituibile con un incontro ostacolato da un vetro
divisorio;  anche  se,  come  si  mettera'  subito  in  evidenza,  le
innegabili  esigenze  di  sicurezza  sottese  al   regime   detentivo
differenziato comportano cautele e precisazioni ulteriori. 
    In tutte le pronunce prima richiamate, in effetti,  questa  Corte
ha sempre ribadito che l'interesse del minore «non forma  oggetto  di
una  protezione  assoluta,  insuscettibile   di   bilanciamento   con
contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale,  quali  quelle
di difesa sociale, sottese alla  necessaria  esecuzione  della  pena»
(sentenza n. 174 del 2018;  nello  stesso  senso,  piu'  di  recente,
sentenza n. 30 del 2022). Esigenze che, appunto,  si  riscontrano  al
massimo  grado  per  i  detenuti  assoggettati  al  regime  detentivo
differenziato. 
    10.- Ritiene questa Corte che il giudice a quo - pur  avendo  ben
presente  l'intero  contesto  normativo  e  giurisprudenziale  appena
illustrato -  non  ne  abbia  tratto  le  dovute  conseguenze  quanto
all'interpretazione della disposizione censurata. 
    Essa, per vero, contiene indici testuali che depongono in  favore
della lettura fatta propria dal rimettente: in effetti,  "attrezzare"
i locali destinati  ai  colloqui  visivi  «in  modo  da  impedire  il
passaggio di  oggetti»  puo'  significare  inserire  una  separazione
materiale  che  impedisca  qualsivoglia  contatto  fisico   tra   gli
interlocutori. 
    E' indubbio che, nell'esperienza concreta, lo strumento del vetro
divisorio a tutta altezza - impedendo ogni contatto  fisico  tra  gli
interlocutori - si  rivela  quello  piu'  efficace  per  impedire  il
passaggio  di  oggetti.  Ed  e',  quindi,  certamente  legittimo  che
l'amministrazione penitenziaria, nella prassi, abbia  individuato  in
quello strumento la soluzione tecnica  per  gestire  i  colloqui  dei
detenuti soggetti al regime differenziato con i  propri  familiari  e
conviventi. 
    Tuttavia, ad un'analisi piu' attenta, il dato testuale suggerisce
anche un esito diverso da quello proposto dal rimettente, compatibile
con i parametri costituzionali e sovranazionali evocati. 
    Non e' senza significato che il legislatore,  nel  codificare  le
prescrizioni    gia'    contenute    nelle    precedenti    circolari
amministrative, abbia semplicemente indicato il risultato  vietato  -
il passaggio di oggetti durante i colloqui  visivi  -  senza  affatto
specificare, in  dettaglio,  le  pertinenti  soluzioni  tecniche  (in
particolare,  l'impiego  del  vetro  divisorio  a   tutta   altezza),
limitandosi a richiedere che i locali  destinati  ai  colloqui  siano
«attrezzati» in modo da impedire tale passaggio. 
    Del resto, la stessa giurisprudenza di legittimita' ha  giudicato
legittima - e  dunque  conforme  al  dato  normativo  primario  -  la
previsione dell'art. 16 della citata  circolare  DAP  del  2  ottobre
2017, che ammette il colloquio senza vetro divisorio, nel caso in cui
esso avvenga con i figli e i nipoti in linea retta minori  di  dodici
anni (tra le ultime, Corte  di  cassazione,  sentenza  n.  34388  del
2022). 
    Risulta chiaro, insomma, che l'impiego del vetro  divisorio,  pur
potendo  costituire  un  mezzo  altamente  idoneo  allo   scopo,   in
considerazione della sua innegabile efficacia ostativa  al  passaggio
di oggetti, non e' tuttavia  imposto  dal  testo  della  disposizione
primaria, che non ne fa alcuna menzione. 
    Ed anzi, al cospetto di altri interessi di  rango  costituzionale
assai rilevanti, quali sono quelli  coinvolti  dalla  disciplina  dei
colloqui del detenuto con minori d'eta', un simile  dispositivo  puo'
apparire sproporzionato: differenti  soluzioni  tecniche  (unitamente
alle misure gia' espressamente contemplate, per tutti i colloqui  dei
detenuti in regime differenziato,  dal  comma  2-quater,  lettera  b,
dell'art. 41-bis ordin. penit.) potrebbero invece risultare adeguate,
sia a garantire la finalita' indicata dalla  disposizione  censurata,
sia, al contempo, a evitare che la  restrizione  assuma  connotazioni
puramente  afflittive   per   il   detenuto,   sacrificando   inoltre
l'interesse preminente del minore. Tra queste, ad esempio,  l'impiego
di telecamere di sorveglianza puntate costantemente  sulle  mani,  la
dislocazione del personale di  vigilanza  in  posizioni  strategiche,
eccetera. 
    In tale prospettiva, e'  la  stessa  ordinanza  di  rimessione  a
osservare che il  colloquio  «puo'  essere  interrotto  in  qualsiasi
momento,  a  fronte  di  eventuali  elementi  di  criticita'»,   piu'
facilmente rilevabili in presenza  di  una  (almeno  statisticamente)
ridotta «capacita' del  fanciullo  di  rendersi  latore  di  messaggi
criminali o del genitore di strumentalizzare tale  momento  a  questo
scopo» (nello stesso senso,  la  gia'  citata  Corte  di  cassazione,
sentenza n. 46719 del 2021, che valorizza la massima di esperienza in
base alla quale i minori di dodici anni «in ragione  dell'eta',  piu'
difficilmente  possono  essere  strumentalizzati  per   aggirare   le
finalita' proprie del regime differenziato»). 
    In definitiva, l'interpretazione qui privilegiata -  secondo  cui
la disposizione censurata non  impone  affatto  in  ogni  circostanza
l'impiego del vetro divisorio - e' compatibile con il dato  testuale,
e ne  consente  una  lettura  adeguata  ai  parametri  costituzionali
evocati. Contestualmente, permette  di  valorizzare  la  ratio  della
disposizione  stessa,  considerandola  quale  parte  del  complessivo
regime detentivo differenziato, alla luce sia  delle  finalita',  sia
dei limiti cui l'applicazione di tale regime  e'  soggetta:  i  quali
ultimi  impongono  di  considerare  legittime  le  sole   restrizioni
funzionali a  garantire  l'inderogabile  esigenza  «di  prevenire  ed
impedire i collegamenti fra detenuti  appartenenti  a  organizzazioni
criminali,  nonche'  fra   questi   e   gli   appartenenti   a   tali
organizzazioni ancora in liberta'» (sentenza n. 376 del 1997). 
    A  differenza  di  quanto  sostenuto  dal  giudice   a   quo,   e
conformemente alle statuizioni rese, sul punto, dalla  giurisprudenza
di legittimita' ricordata, non possono  percio'  considerarsi  contra
legem le circolari adottate  dall'amministrazione  penitenziaria  per
consentire colloqui senza vetro divisorio con minori in  tenera  eta'
(da ultimo, nella circolare DAP del 2 ottobre 2017). Come ribadito di
recente da questa Corte, infatti, quando cio'  sia  consentito  dalla
littera  legis,  l'interpretazione  delle  disposizioni   restrittive
tipiche del regime detentivo speciale «deve  essere  orientata  verso
soluzioni  che  ne  garantiscano  la  miglior  compatibilita'  con  i
precetti  costituzionali  di  riferimento  nella  materia  in  esame»
(sentenza n. 197 del 2021). 
    11.-   Nella   prospettiva    dell'interpretazione    adeguatrice
illustrata,  l'intervento  richiesto  dal  rimettente   non   risulta
necessario, neppure ai fini dell'estensione della platea dei soggetti
minorenni da ammettere al colloquio in assenza di vetro divisorio. 
    In presenza di una disposizione di legge che indica con chiarezza
l'obiettivo - impedire il passaggio di oggetti  -  le  soluzioni  per
raggiungerlo vanno necessariamente adeguate alla situazione  concreta
che l'amministrazione si trovi ad affrontare. 
    Da questo angolo  visuale,  la  piu'  volte  ricordata  circolare
amministrativa ha il pregio  di  contenere  direttive  che  orientano
uniformemente   l'amministrazione   penitenziaria,   fornendole    un
riferimento che la solleva dall'obbligo di motivare  puntualmente  le
ragioni della propria scelta su ogni  richiesta  di  colloquio  senza
vetro   divisorio   con   familiari   minorenni,   sia   infra,   sia
ultradodicenni. 
    L'ulteriore pregio dell'indicazione contenuta  in  una  circolare
siffatta - proprio considerando le varie peculiarita'  di  condizione
in cui possono trovarsi, sia il minore, sia il detenuto - e' che essa
non puo' dar luogo ad alcuna  insuperabile  rigidita'.  Da  un  lato,
l'indicazione in parola non puo' impedire una  deroga  puntuale  alla
regola  del  vetro  divisorio,  anche  per  i  colloqui  con   minori
ultradodicenni; dall'altro lato, e all'inverso, non  attribuisce  una
pretesa intangibile alla condivisione  del  medesimo  spazio  libero,
nemmeno durante i colloqui con minori infradodicenni. 
    Sara' quindi ben possibile all'amministrazione penitenziaria -  o
alla magistratura di sorveglianza in sede di reclamo  -  disporre  un
colloquio senza vetro divisorio anche con minori di eta' superiore  a
dodici anni, quando  sussistano  ragioni  tali  da  giustificare  una
simile scelta, oggetto di adeguata motivazione, volta  ad  escludere,
in particolare, che i minori in  questione  siano  strumentalizzabili
per trasmettere o ricevere informazioni, ordini o direttive. 
    In direzione opposta, la singola amministrazione potra' rifiutare
- con provvedimento comunque soggetto al vaglio giurisdizionale - una
richiesta  di  colloquio  non   schermato   anche   con   un   minore
infradodicenne, nei  casi  in  cui,  nel  bilanciamento  tra  il  suo
interesse, i  diritti  del  detenuto  e  le  esigenze  di  sicurezza,
risultino  elementi  specifici,  tali   da   rendere   oggettivamente
prevalente l'esigenza di contenimento del  rischio  di  contatti  con
l'ambiente esterno. 
    Nulla impedisce ovviamente  al  legislatore  di  disciplinare  in
fonte  primaria  le  modalita'  dei  colloqui  con  i  familiari,  in
particolare  con  i  minori,  evitando  peraltro  scelte  rigide  che
potrebbero risultare non adeguate, per  eccesso  o  per  difetto,  al
cospetto delle specifiche esigenze evidenziate dal caso singolo. 
    12.- Anche in assenza di intervento legislativo,  tuttavia,  alla
luce della interpretazione qui prescelta, risulta immune da  vizi  lo
schema  normativo  piu'  sopra  descritto:  la  forza  dei  parametri
costituzionali  interni  e  sovranazionali   evocati   dallo   stesso
rimettente,  il  tenore  letterale  della   disposizione   di   legge
censurata, l'efficacia orientativa, per cio' solo  derogabile,  della
soluzione contenuta nella circolare piu' volte richiamata, comportano
infatti la non fondatezza, nei sensi precisati, di tutte le questioni
sollevate.