ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 103,  comma
1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia
di salute, sostegno al lavoro e all'economia,  nonche'  di  politiche
sociali   connesse   all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17  luglio  2020,  n.  77,
promosso dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Liguria,
sezione seconda, nel procedimento vertente tra F. B. e  il  Ministero
dell'interno e altro, con ordinanza del 15 settembre  2022,  iscritta
al n. 152 del registro ordinanze 2022  e  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 52,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  giugno  2023  il  Giudice
relatore  Augusto  Antonio  Barbera;  deliberato  nella   camera   di
consiglio del 7 giugno 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2022 (reg.  ord.  n.  152  del
2022), il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria,  sezione
seconda, ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 103,
comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure  urgenti  in
materia di salute, sostegno al  lavoro  e  all'economia,  nonche'  di
politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17  luglio  2020,  n.  77,
nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto
di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio
nazionale ovvero per dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di
lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini  italiani  o
stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro  stranieri
in possesso del permesso di soggiorno UE per  soggiornanti  di  lungo
periodo, invece  che  da  datori  di  lavoro  stranieri  regolarmente
soggiornanti in Italia. 
    2.- Il giudice  rimettente  riferisce  di  essere  investito  del
ricorso proposto da F. B. per l'annullamento  del  provvedimento  con
cui la Prefettura di Genova - Sportello unico per  l'immigrazione  ha
rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai  sensi
dell'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34  del  2020,  come  convertito,
perche' il richiedente non era titolare di permesso di  soggiorno  di
lungo periodo. 
    Il TAR Liguria, in sede cautelare,  ha  sospeso  l'efficacia  del
provvedimento impugnato «in via provvisoria e temporanea,  riservando
la decisione sull'istanza della parte [...] alla ripresa del giudizio
cautelare dopo l'incidente di legittimita' costituzionale». 
    3.- Con riferimento alla rilevanza della questione, il rimettente
osserva che il procedimento  delineato  dalla  norma  censurata,  pur
essendo attivabile solamente dal datore di  lavoro,  e'  destinato  a
produrre effetti nella sfera giuridica del lavoratore straniero,  con
la conseguenza che questi ha interesse  ad  impugnare  il  suo  esito
negativo. 
    Nella specie, la domanda di emersione e' stata rigettata  perche'
presentata da un datore di lavoro che, pur in possesso di un permesso
di  soggiorno  per  motivi  familiari,  era  privo  del  permesso  di
soggiorno di lunga durata. Dalla fondatezza della questione sollevata
deriverebbe, quindi,  l'accoglimento  dell'unico  motivo  di  ricorso
dedotto  nel  giudizio  a  quo  ritenuto   meritevole   di   positiva
considerazione. 
    4.- Con riferimento alla non manifesta  infondatezza,  ad  avviso
del TAR Liguria, l'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del  2020,  come
convertito, nella parte in cui limita la possibilita' di attivare  la
procedura da esso prevista ai «datori di lavoro stranieri in possesso
del  titolo  di  soggiorno  previsto  dall'articolo  9  del   decreto
legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  e  successive  modificazioni»,
sarebbe in contrasto con l'art. 3,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto
determinerebbe  un'irragionevole  disparita'   di   trattamento   tra
lavoratori che, «a parita' di  requisiti  "sostanziali"»,  verrebbero
ammessi o meno alla procedura di emersione, a seconda del  titolo  di
soggiorno del loro datore di lavoro. 
    La previsione di un requisito piu' stringente rispetto  a  quello
previsto, in via  generale,  dagli  artt.  5-bis  e  22  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero),  che  consentono  a  qualsiasi  «datore  di  lavoro
italiano  o  straniero  regolarmente  soggiornante  in   Italia»   di
instaurare un rapporto di lavoro subordinato, a tempo  determinato  o
indeterminato, con uno straniero residente all'estero e di  stipulare
il relativo contratto di soggiorno, inoltre, renderebbe «meno agevole
il  raggiungimento  dello  scopo,  dichiaratamente  perseguito  dalla
norma,  di  "favorire"  l'emersione  del  lavoro  irregolare   e   la
stipulazione di contratti di impiego nei settori indicati». 
    5.- Nel giudizio  e'  intervenuto,  con  atto  depositato  il  14
gennaio 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata non fondata. 
    6.- Ad avviso  della  difesa  statale,  non  sarebbe  ravvisabile
alcuna lesione dell'art. 3 Cost., in quanto la procedura di emersione
del  lavoro  irregolare  prevista  dal  censurato  art.  103  avrebbe
carattere eccezionale e quindi, rispetto ad essa, non potrebbe essere
assunta a tertium comparationis la disciplina ordinaria  dettata  dal
d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Quest'ultima    e',    infatti,    finalizzata    a    consentire
l'instaurazione di un regolare rapporto di lavoro, mentre l'art.  103
del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, ha introdotto una procedura
straordinaria di «regolarizzazione del lavoro sommerso (riservata  ad
alcuni specifici  ambiti  lavorativi  e  condizionata  dall'emergenza
sanitaria in essere)». 
    Peraltro, «la previsione della titolarita', in capo al datore  di
lavoro, del permesso  di  soggiorno  di  lungo  periodo»  apparirebbe
giustificata dall'esigenza di valorizzare «la stabilita' della  [sua]
presenza  nel  territorio  nazionale»,  che  costituirebbe  «garanzia
essenziale» dell'instaurazione di  «un  solido  e  duraturo  rapporto
lavorativo». 
    7.- In data 17 maggio  2023,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha depositato una memoria, eccependo l'inammissibilita'  della
questione sollevata, atteso il «cospicuo  tasso  di  manipolativita'»
della pronuncia richiesta, che implicherebbe  un  «allargamento  (non
costituzionalmente obbligato)  della  platea  dei  datori  di  lavoro
abilitati a presentare la  domanda  di  emersione».  Nel  merito,  la
difesa statale ha insistito per la non fondatezza della questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 settembre 2022 (reg.  ord.  n.  152  del
2022), il  TAR  Liguria,  sezione  seconda,  dubita,  in  riferimento
all'art. 3, primo comma,  Cost.,  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34  del  2020,  come  convertito,
nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto
di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio
nazionale ovvero per dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di
lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini  italiani  o
stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro  stranieri
in possesso del permesso di soggiorno UE per  soggiornanti  di  lungo
periodo, invece  che  da  datori  di  lavoro  stranieri  regolarmente
soggiornanti in Italia. 
    1.2.- Il giudice a quo espone di  essere  investito  del  ricorso
proposto da F. B. per l'annullamento del  provvedimento  con  cui  la
Prefettura  di  Genova  -  Sportello  unico  per  l'immigrazione   ha
rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai  sensi
dell'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34  del  2020,  come  convertito,
perche' il richiedente non era titolare di permesso di  soggiorno  di
lungo periodo. 
    1.3.- Ad avviso del giudice rimettente, la norma  censurata,  nel
limitare la possibilita' di attivare la procedura di regolarizzazione
da essa prevista ai  datori  di  lavoro  stranieri  in  possesso  del
permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece di
consentirla  a  tutti  gli  stranieri  regolarmente  soggiornanti  in
Italia, contrasterebbe  con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.  Questa
limitazione, infatti, determinerebbe un'irragionevole  disparita'  di
trattamento   tra   lavoratori   che,   «a   parita'   di   requisiti
"sostanziali"»,  verrebbero  ammessi  o  meno   alla   procedura   di
emersione, a seconda del titolo  di  soggiorno  del  loro  datore  di
lavoro. 
    In particolare, la previsione di  un  requisito  piu'  stringente
rispetto a quello previsto, in via generale, dagli artt. 5-bis  e  22
del d.lgs. n.  286  del  1998  (cosiddetto  t.u.  immigrazione),  che
consentono  a  qualsiasi  «datore  di  lavoro  italiano  o  straniero
regolarmente soggiornante in Italia» di  instaurare  un  rapporto  di
lavoro subordinato, a tempo  determinato  o  indeterminato,  con  uno
straniero residente all'estero e di stipulare il  relativo  contratto
di  soggiorno.  Inoltre,  sarebbe  irragionevole  in   quanto   detta
disciplina renderebbe «meno agevole il  raggiungimento  dello  scopo,
dichiaratamente perseguito dalla norma, di "favorire" l'emersione del
lavoro irregolare  e  la  stipulazione  di  contratti  d'impiego  nei
settori indicati». 
    2.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura   generale   dello    Stato,    che    ha    eccepito
l'inammissibilita' della questione,  atteso  il  «cospicuo  tasso  di
manipolativita'» della  pronuncia  richiesta,  che  implicherebbe  un
«allargamento (non costituzionalmente  obbligato)  della  platea  dei
datori di lavoro abilitati a presentare la domanda di emersione». 
    L'eccezione non e' fondata, in quanto questa Corte e' chiamata  a
rimuovere la denunciata lesione dell'art. 3, primo comma,  Cost.  con
una pronuncia che elimini il requisito di accesso alla  procedura  di
emersione  richiesto  dalla   norma   censurata,   qualora   ritenuto
irragionevole rispetto agli obiettivi dalla stessa perseguiti. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1.-  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
dall'ordinanza di rimessione riguarda la prima delle due procedure di
regolarizzazione previste dall'art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, come
convertito, la quale consente  ai  datori  di  lavoro  di  presentare
domanda «per  concludere  un  contratto  di  lavoro  subordinato  con
cittadini stranieri presenti  sul  territorio  nazionale  ovvero  per
dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di  lavoro  irregolare,
tuttora in corso, con  cittadini  italiani  o  cittadini  stranieri»,
soggiornanti in Italia prima dell'8 marzo  2020  e  che  non  abbiano
lasciato il territorio nazionale dopo quella data (comma 1). 
    L'accesso a questa forma di regolarizzazione  e'  consentito,  in
favore di lavoratori italiani o stranieri, ai datori  di  lavoro  che
siano «italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione  europea,
ovvero [ai] datori di lavoro stranieri  in  possesso  del  titolo  di
soggiorno previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25  luglio
1998, n. 286, e successive  modificazioni»,  ossia  del  permesso  di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Si tratta del  titolo
di soggiorno concesso in forza del citato art. 9,  solamente  qualora
ricorra una serie di presupposti e, in particolare, il «possesso,  da
almeno  cinque  anni,  di  un  permesso  di  soggiorno  in  corso  di
validita'»,  la  «disponibilita'  di   un   reddito   non   inferiore
all'importo annuo dell'assegno sociale», un «alloggio idoneo»  (comma
1), il  «superamento,  da  parte  del  richiedente,  di  un  test  di
conoscenza della lingua italiana» (comma 2-bis).  Il  permesso  e'  a
tempo indeterminato (comma 2) e fra le cause della sua revoca non  e'
prevista la perdita dei requisiti di cui sopra (cioe', del reddito  e
dell'alloggio idoneo) (sentenze n. 34 e n. 19 del 2022). 
    3.2.- Va premesso che la disciplina dettata,  in  via  ordinaria,
dal citato d.lgs. n. 286 del 1998 per il rilascio e  il  rinnovo  del
permesso di soggiorno per ragioni  di  lavoro,  invece,  consente  di
instaurare un rapporto di lavoro  subordinato  con  uno  straniero  a
qualunque «datore di lavoro [...] straniero regolarmente soggiornante
in Italia» (art. 22, comma 2), per quanto sia indubbia la specialita'
dei procedimenti per la legalizzazione del  lavoro  irregolare  degli
stranieri (da ultimo, sentenza n. 88 del 2023; in  tal  senso,  anche
sentenza n. 172 del 2012). 
    3.3.- La norma censurata risulta a  questa  Corte  manifestamente
irragionevole, in quanto stabilisce  un  requisito  di  accesso  alla
procedura  di  emersione  degli  stranieri  dal   lavoro   irregolare
eccessivamente restrittivo. 
    L'emersione del lavoro  svolto  "in  nero"  -  che  nel  caso  di
cittadini stranieri si intreccia  alla  regolarizzazione  della  loro
presenza in Italia - persegue uno scopo socialmente  apprezzabile,  a
tutela, oltre  che  delle  parti  del  singolo  rapporto  di  lavoro,
dell'interesse pubblico generale, in particolare della regolarita'  e
trasparenza  del  mercato  del  lavoro  (in  tal  senso,  seppur  con
riferimento al generale fenomeno  del  lavoro  "nero"  o  "sommerso",
sentenza n. 173 del 2020). 
    La norma censurata, al contrario, richiedendo al datore di lavoro
che non sia cittadino italiano o di uno Stato dell'Unione europea  il
permesso di soggiorno di lungo periodo, restringe eccessivamente,  in
modo non ragionevole, l'ambito dei soggetti  che  possono  presentare
istanza per «dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di  lavoro
irregolare» con cittadini italiani o stranieri, ostacolando cosi'  la
realizzazione degli obiettivi perseguiti  dallo  stesso  legislatore,
ossia la  piu'  ampia  emersione  del  lavoro  "nero".  Peraltro,  la
condizione  dell'essere  «regolarmente  soggiornante  in  Italia»  si
cumula con altri requisiti, oggettivi e soggettivi,  richiesti  nella
stessa legge per accedere alla procedura di regolarizzazione, al fine
di prevenire eventuali elusioni del sistema di emersione  del  lavoro
irregolare. 
    3.4.- Il requisito del possesso  del  permesso  di  soggiorno  di
lunga durata e' arbitrario e irragionevole  anche  in  considerazione
delle specifiche finalita' che la procedura di emersione del 2020 era
destinata a soddisfare. Lo stesso art. 103, infatti, nell'incipit del
comma  1,  individua  dette  finalita'  nell'esigenza  di  «garantire
livelli adeguati di tutela della salute individuale e  collettiva  in
conseguenza della  contingente  ed  eccezionale  emergenza  sanitaria
connessa alla calamita' derivante dalla diffusione del  contagio  del
contagio da COVID-19 e favorire l'emersione  di  rapporti  di  lavoro
irregolari». 
    Anche dai lavori preparatori emerge che la ratio delle  procedure
di regolarizzazione in esame andava  ravvisata  nella  necessita'  di
rendere piu' efficaci le azioni  di  contenimento  e  contrasto  alla
diffusione  del  COVID-19,  salvaguardando  la  salute  pubblica   e,
contemporaneamente, sostenendo le famiglie  e  i  settori  produttivi
gravemente colpiti dalla carenza di lavoratori  disponibili  a  causa
dell'emergenza pandemica. 
    3.5.-   In   conclusione,   la   norma    censurata,    riducendo
eccessivamente la "platea" dei datori di lavori abilitati ad attivare
la procedura di emersione prevista dal censurato art. 103,  comma  1,
compromette la realizzazione degli obiettivi dalla stessa perseguiti,
attinenti tanto  alla  tutela  del  singolo  lavoratore  quanto  alla
funzionalita'  del  mercato  del  lavoro  in  un  contesto  d'inedita
difficolta'. Questa contraddittorieta' intrinseca tra la  complessiva
finalita' perseguita dal  legislatore  e  la  norma  censurata  lede,
dunque, il principio di ragionevolezza (sentenze n. 186 del 2020 e n.
86 del 2017). 
    4.- Per le ragioni sopra esposte, va dichiarata,  in  riferimento
all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34  del  2020,  come  convertito,
nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto
di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio
nazionale ovvero per dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di
lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini  italiani  o
stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro  stranieri
in possesso del permesso di soggiorno UE per  soggiornanti  di  lungo
periodo, invece  che  da  datori  di  lavoro  stranieri  regolarmente
soggiornanti in Italia.