ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della legge 25  febbraio  1992,  n.  210  (Indennizzo  a  favore  dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa  di
vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione   di
emoderivati), promosso dalla Corte d'appello di Roma, sezione  quarta
lavoro, nel procedimento vertente tra G.  R.  e  il  Ministero  della
salute, con ordinanza del 21 settembre 2022, iscritta al n.  150  del
registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione di G. R.; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  6  giugno  2023  la   Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    udito l'avvocato Giuseppe Alberto Romeo per G. R.; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 giugno 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 settembre 2022, la  Corte  d'appello  di
Roma, sezione quarta lavoro, ha sollevato, in riferimento agli  artt.
2,  3  e   32   della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n.
210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da  complicanze  di
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,  trasfusioni
e somministrazione di emoderivati), nella parte in  cui  non  prevede
che il diritto all'indennizzo,  istituito  e  regolato  dalla  stessa
legge, alle condizioni ivi previste, spetti  anche  ai  soggetti  che
abbiano subito lesioni o infermita',  da  cui  siano  derivati  danni
permanenti all'integrita'  psico-fisica,  per  essersi  sottoposti  a
vaccinazione non obbligatoria, ma  raccomandata,  anti-papillomavirus
(anti-HPV). 
    2.- Il rimettente espone che G. R. aveva proposto appello avverso
la sentenza del Tribunale ordinario  di  Tivoli  con  cui  era  stata
respinta la domanda, presentata dai genitori quando  lei  era  ancora
minorenne, volta a ottenere l'indennizzo previsto dall'art. 1,  comma
1, della legge n. 210 del 1992 e l'assegno una tantum di cui all'art.
3, comma 1, (recte: art. 2, comma 2) della medesima legge. 
    La Corte d'appello  riferisce  che,  all'esito  della  consulenza
tecnica d'ufficio, veniva accertato il nesso  di  causalita'  tra  lo
sviluppo della patologia, all'epoca gia' «emergente ed in  fieri»,  e
la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV,  che  aveva
«fatto  acutamente  emergere  sul  piano  sintomatologico-clinico  la
patologia in questione (diabete)». 
    3.- Il giudice a quo  reputa  le  censure  rilevanti,  in  quanto
l'appellante si era sottoposta  alla  profilassi  nel  corso  di  una
campagna  vaccinale  contro  l'infezione  da  HPV,   che   mirava   a
raggiungere una copertura  «pari  al  95%  della  categoria  target»,
costituita da ragazze nel corso del loro  dodicesimo  anno  di  vita.
Inoltre, era stato accertato il nesso di causalita'  tra  il  vaccino
somministrato e la patologia riportata dall'interessata. 
    Pertanto, la Corte d'appello, esclusa la possibilita' di accedere
a un'interpretazione costituzionalmente conforme  della  disposizione
censurata,  ritiene  che  solo  una  sentenza  additiva  di  parziale
illegittimita' costituzionale  consenta  di  riconoscere  il  diritto
all'indennizzo. 
    4.- In punto di non manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
deduce  che  la  tutela  indennitaria,  inizialmente  accordata   dal
legislatore nell'ambito delle vaccinazioni obbligatorie, e' stata  di
seguito estesa  anche  alle  profilassi  «sollecitate  da  interventi
finalizzati alla  protezione  della  salute  pubblica  a  seguito  di
significativi   arresti   della   Corte   Costituzionale,   fino    a
ricomprendere  conseguenze  invalidanti   di   vaccinazioni   assunte
nell'ambito  della  politica  sanitaria  anche  solo  promossa  dallo
Stato». 
    Richiamando la sentenza di questa  Corte  n.  118  del  2020,  il
rimettente fa propria l'affermazione secondo cui,  nella  prospettiva
della  salute  quale  interesse  della  collettivita',  non   vi   e'
differenza qualitativa tra obbligo  e  raccomandazione,  poiche',  in
presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore di
un trattamento vaccinale, si sviluppa un affidamento nei confronti di
quanto consigliato dalle autorita' sanitarie. Tale affidamento «rende
la scelta individuale di aderire alla raccomandazione  obiettivamente
votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo, al  di  la'
delle  particolari  motivazioni  che  muovono  i  singoli».  Sarebbe,
dunque, giustificata  la  traslazione  in  capo  alla  collettivita',
«obiettivamente favorita dalle  scelte  individuali»,  degli  effetti
dannosi che  dovessero,  per  ipotesi,  derivare  dalle  vaccinazioni
raccomandate. 
    Di  conseguenza,  il  giudice  a  quo  sostiene  che  la  mancata
previsione del diritto all'indennizzo in caso di patologie permanenti
derivanti dalla vaccinazione anti-papillomavirus, oggetto di  diffuse
e reiterate campagne di comunicazione e di raccomandazione, leda  gli
artt. 2, 3 e 32 Cost. 
    Conformemente a quanto sostenuto da questa Corte, «le esigenze di
solidarieta'  sociale  e  di  tutela   della   salute   del   singolo
richied[erebbero] che sia la collettivita' ad accollarsi l'onere  del
pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano
i singoli danneggiati a  sopportare  il  costo  del  beneficio  anche
collettivo» (viene citata la sentenza n. 268 del 2017,  che  richiama
la sentenza n. 107 del 2012). 
    5.- Si e' costituita  in  giudizio  G.  R.,  parte  del  processo
principale, la quale, a sostegno della fondatezza delle questioni, ha
parimenti sottolineato le ragioni -  riconducibili  al  principio  di
solidarieta' - per cui, «sul piano degli  interessi  garantiti  dagli
artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, e' giustificata la traslazione in
capo  alla  collettivita',  obiettivamente  favorita   dalle   scelte
individuali, degli effetti dannosi che eventualmente conseguano dalle
vaccinazioni raccomandate». 
    Le affermazioni gia' accolte dalla giurisprudenza  costituzionale
(sono citate, in proposito, le sentenze n. 118 del 2020, n.  268  del
2017 e n. 107 del 2012) ben si attaglierebbero al  caso  oggetto  del
giudizio a quo, atteso che la campagna di vaccinazione  in  questione
era stata avviata nel 2007 e che le somministrazioni, a seguito delle
quali  l'interessata  aveva  riportato  danni  irreversibili,   erano
avvenute tra febbraio e settembre 2009. A partire dal 2008, peraltro,
le autorita'  sanitarie  del  Lazio  avevano  esercitato  «un'intensa
attivita' di raccomandazione, informazione  e  sensibilizzazione  per
l'esecuzione della terapia  preventiva  dell'infezione  da  papilloma
virus», che mirava a una copertura  superiore  all'obiettivo  statale
del 95 per cento. 
    A ulteriore conferma dell'affidamento ingenerato nella  comunita'
circa l'utilita', anche collettiva, della vaccinazione in parola,  la
ricorrente  ha  precisato  che,  «[n]ell'intesa  Stato  Regioni   che
prevedeva la strategia per la diffusione  della  vaccinazione  contro
l'infezione da HPV in  Italia,  gli  operatori  presso  le  strutture
pubbliche del SSN e i  medici  di  medicina  generale  [erano  stati]
identificati  come  un  punto  di  riferimento  essenziale   per   la
famiglia», assieme alle  associazioni  dei  genitori,  alle  societa'
scientifiche e agli esponenti dell'ambito sanitario e della  pubblica
amministrazione. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio. 
    7.- Il 17 maggio 2023 e' stata  depositata,  fuori  termine,  una
memoria illustrativa della parte. 
    8.- All'udienza del 6 giugno 2023 e' stata udita la difesa  della
parte,  che  ha  insistito  per  l'accoglimento   delle   conclusioni
rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 settembre 2022, la  Corte  d'appello  di
Roma, sezione quarta lavoro, ha sollevato, in riferimento agli  artt.
2, 3 e 32 Cost., questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.
1, comma 1, della legge n. 210 del  1992,  nella  parte  in  cui  non
prevede che il diritto all'indennizzo,  istituito  e  regolato  dalla
stessa legge, alle condizioni ivi previste, spetti anche ai  soggetti
che abbiano subito lesioni o infermita', da cui siano derivati  danni
permanenti all'integrita'  psico-fisica,  per  essersi  sottoposti  a
vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-HPV. 
    2.- Il rimettente  argomenta  la  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita'   costituzionale,   affermando   che   la   vaccinazione
effettuata era stata raccomandata dalle autorita'  competenti  e  che
era stato accertato il nesso di  causalita'  tra  lo  sviluppo  della
patologia permanente  e  la  somministrazione  della  terza  dose  di
vaccino anti-HPV. 
    Secondo il giudice a quo, stante l'impossibilita'  di  percorrere
la  via  di  un'interpretazione  costituzionalmente  conforme   della
disposizione   censurata,   solo   la   dichiarazione   di   parziale
illegittimita' costituzionale della  stessa  potrebbe  consentire  di
riconoscere alla parte danneggiata il diritto all'indennizzo. 
    3.- La  Corte  d'appello  sostiene,  inoltre,  la  non  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3
e 32 Cost., in quanto le esigenze di solidarieta' sociale e di tutela
della  salute  del  singolo  richiederebbero  di  far  gravare  sulla
collettivita' l'onere del pregiudizio subito da chi si  sia  attenuto
al comportamento raccomandato dalle autorita'  sanitarie  competenti,
in difesa della salute di tutti. 
    4.- Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento a  tutti
i parametri evocati. 
    5.- L'art. 1, comma 1, della legge n. 210  del  1992  prevede  il
diritto all'indennizzo a beneficio di chi  abbia  subito  «lesioni  o
infermita', dalle quali sia derivata una menomazione permanente della
integrita' psico-fisica», a causa di «vaccinazioni  obbligatorie  per
legge o per ordinanza di una autorita' sanitaria nazionale». 
    Il   diritto   all'indennizzo,   diversamente    dalla    pretesa
risarcitoria che ha fonte nel compimento di un illecito, rinviene  il
proprio fondamento nel dovere giuridico  di  solidarieta'  che  grava
sulla collettivita', la'  dove  -  per  il  tramite  delle  autorita'
competenti - sia richiesto al singolo di attenersi a una condotta che
preservi non solo la salute propria, ma anche quella degli altri. 
    Chi adempia a tale obbligo, e riporti per effetto del vaccino una
patologia  con  effetti  menomativi   permanenti   della   integrita'
psico-fisica,  ha  diritto,  in  base  alla  norma  censurata,  a  un
indennizzo, purche' - come precisa l'art. 4 della medesima  legge  n.
210  del  1992  -  sussista   un   nesso   di   causalita'   fra   la
somministrazione del vaccino e la lesione del diritto alla salute. 
    Il legislatore -  in  conformita'  a  quanto  gia'  deciso  dalla
sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte - ha,  dunque,  dettato  una
disciplina la cui ratio si rinviene nella  reciprocita'  dei  vincoli
che scaturiscono dal principio di solidarieta': la  collettivita'  e'
tenuta a essere "solidale" e a tutelare il diritto alla salute di chi
sia stato, a sua volta, "solidale" con gli altri, per aver tenuto  un
comportamento che protegge la salute di tutti. 
    «[S]e il rilievo costituzionale della salute come interesse della
collettivita' (art. 32 della Costituzione)  giustifica  l'imposizione
per legge di trattamenti sanitari obbligatori» - ha osservato  questa
Corte nella sentenza n. 27 del 1998 - «esso non postula il sacrificio
della salute individuale a quella  collettiva.  Cosicche',  ove  tali
trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative
sulla salute di  chi  a  essi  e'  stato  sottoposto,  il  dovere  di
solidarieta', previsto dall'art. 2 della  Costituzione,  impone  alla
collettivita', e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore  i
mezzi  di  una  protezione  specifica  consistente   in   una   "equa
indennita'"». 
    6.-  A  fronte  della  previsione  legislativa  di   un   diritto
all'indennizzo correlato alle ipotesi in cui l'ordinamento impone  un
obbligo di vaccinarsi, questa Corte si e' pronunciata piu'  volte  al
fine di estendere il medesimo diritto in presenza di vaccinazioni che
le autorita' pubbliche sanitarie raccomandano a difesa  della  salute
collettiva (sentenza n. 118 del 2020, con riguardo alla  vaccinazione
anti-epatite  A;  sentenza  n.  268  del  2017,  attinente  a  quella
antinfluenzale; sentenza n. 107 del 2012, inerente alle  vaccinazioni
anti-morbillo, parotite e rosolia; sentenza n. 423 del 2000, relativa
a quella anti-epatite B; e, infine, sentenza n. 27 del 1998, riferita
alla vaccinazione antipoliomielitica). 
    7.- Al contempo, anche il legislatore e' intervenuto  nuovamente,
rendendo obbligatorie e gratuite, per i minori  di  eta'  da  zero  a
sedici anni, molte delle vaccinazioni sopra citate, che in precedenza
erano solo raccomandate (art. 1, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge 7
giugno 2017, n. 73,  recante  «Disposizioni  urgenti  in  materia  di
prevenzione vaccinale», convertito, con modificazioni, nella legge 31
luglio 2017, n. 119). Inoltre, con l'art. 5-quater, dello stesso d.l.
n. 73 del 2017, come convertito, ha precisato che le disposizioni «di
cui alla legge 25 febbraio 1992, n.  210,  si  applicano  a  tutti  i
soggetti che, a causa delle vaccinazioni  indicate  nell'articolo  1,
abbiano riportato lesioni o infermita' dalle quali sia  derivata  una
menomazione permanente dell'integrita' psico-fisica». E, in  sede  di
conversione del decreto-legge, alcune  vaccinazioni  contemplate  dal
citato  art.  1  (in  particolare,  quelle   anti-meningococcica   B;
anti-meningococcica   C;   anti-pneumococcica;   anti-rotavirus)   da
obbligatorie sono divenute raccomandate (sentenza n. 129 del 2023). 
    Di seguito, l'art. 20, comma  1,  del  decreto-legge  27  gennaio
2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli
operatori  economici,  di  lavoro,  salute  e  servizi  territoriali,
connesse all'emergenza da COVID-19, nonche' per il contenimento degli
effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, ha  disposto  la
tutela indennitaria in  caso  di  danni  permanenti  alla  integrita'
psico-fisica conseguenti  alla  vaccinazione  meramente  raccomandata
anti SARS-CoV-2. 
    8.-  Evocato  per  rapidi  tratti   il   quadro   legislativo   e
giurisprudenziale nel quale si colloca la  norma  censurata,  occorre
ora richiamare le ragioni, e correlativamente le  condizioni,  che  -
secondo questa Corte - determinano la  necessita'  costituzionale  di
riconoscere un diritto all'indennizzo a chi subisca  una  menomazione
permanente dell'integrita' psico-fisica per essersi sottoposto  a  un
trattamento vaccinale non obbligatorio. 
    Il dovere della collettivita' di riconoscere  una  simile  tutela
sussiste se  il  singolo  si  e'  attenuto  a  un  comportamento  che
oggettivamente  persegue  la  finalita'  di  proteggere   la   salute
generale: cio' che rileva e' «l'esistenza di  un  interesse  pubblico
alla  promozione  della  salute  collettiva  tramite  il  trattamento
sanitario» (sentenza n. 423 del 2000; in senso analogo,  sentenze  n.
118 del 2020 e n. 268 del 2017). 
    Affinche',  dunque,  si  instauri  una  corrispondenza   fra   il
comportamento individuale e l'obiettivo  della  tutela  della  salute
collettiva e' necessario e sufficiente, da un lato,  che  l'autorita'
pubblica  promuova  campagne  di  informazione  e  di  sollecitazione
dirette a raccomandare la somministrazione del  vaccino  non  solo  a
tutela della salute individuale,  ma  con  la  precipua  funzione  di
assicurare la piu' ampia  immunizzazione  possibile  a  difesa  della
salute collettiva e, da un altro lato, che la condotta del singolo si
attenga   alla   profilassi   suggerita    dall'autorita'    pubblica
nell'interesse generale (sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del 2017  e
n. 107 del 2012). 
    Tramite la campagna vaccinale  l'autorita'  pubblica  fa  appello
alla  autodeterminazione  dei   singoli   (o   alla   responsabilita'
genitoriale, ove si tratti di vaccinazioni raccomandate  ai  minori),
ingenerando «negli individui un affidamento nei confronti  di  quanto
consigliato dalle autorita' sanitarie» (sentenza n. 118 del 2020). Di
conseguenza, in ambito medico, raccomandare e  prescrivere  finiscono
per essere percepite quali azioni «"egualmente doverose in  vista  di
un determinato obiettivo" (sentenza  n.  5  del  2018;  nello  stesso
senso, sentenza n. 137  del  2019),  cioe'  la  tutela  della  salute
(anche) collettiva» (ancora, sentenza n. 118 del 2020). 
    «[L]a ragione determinante del diritto  all'indennizzo»  risiede,
pertanto, nel perseguimento con la  propria  condotta  dell'interesse
collettivo alla salute e non nella «obbligatorieta'  in  quanto  tale
del  trattamento,  la  quale  e'  semplicemente  strumento   per   il
perseguimento di tale interesse» (sentenza n. 226 del 2000; in  senso
analogo, sentenze n. 118 del 2020 e n. 107 del 2012). 
    La scelta tecnica dell'obbligatorieta' o  della  raccomandazione,
del resto, oltre a essere frutto di concezioni  parzialmente  diverse
del rapporto tra singoli e  autorita'  pubblica,  puo'  dipendere  da
condizioni sanitarie differenti  nella  popolazione  di  riferimento,
spesso correlate a diversi livelli di rischio: tutti profili che  non
possono  condizionare  la  previsione   o   l'assenza   del   diritto
all'indennizzo. 
    Ferma, dunque, restando la diversita' fra le «due  tecniche»,  di
cui l'autorita' pubblica puo' ritenere di avvalersi (sentenze n.  118
del 2020, n. 423  e  n.  226  del  2000),  nondimeno  tra  obbligo  e
raccomandazione non si apprezza una diversita' qualitativa  (sentenza
n. 268 del 2017). 
    9.- Alla luce delle ragioni e  dei  presupposti  delineati  dalla
giurisprudenza di questa Corte, si deve ritenere che, nel caso  della
vaccinazione   anti-HPV,   la   mancata   previsione   del    diritto
all'indennizzo violi gli artt. 2, 3 e  32  Cost.,  in  considerazione
della ampia e diffusa campagna vaccinale concernente tale profilassi. 
    9.1.- Nel periodo in cui la ricorrente  si  era  sottoposta  alla
somministrazione del vaccino anti-HPV, nella Regione Lazio, e -  piu'
in generale - nel  territorio  nazionale,  era  in  atto  una  estesa
campagna vaccinale. 
    9.1.1.-  Le  autorita'  competenti,  all'esito  di  una  accurata
indagine  scientifica  ed  epidemiologica,  avevano  evidenziato   il
rischio di un'ampia diffusione del virus HPV, trasmissibile  per  via
sessuale  e  coinvolto  nell'eziologia  sia   di   lesioni   genitali
(femminili  e  maschili),  sia  di  talune  forme  di  carcinoma  (in
particolare, alla cervice uterina). 
    La campagna vaccinale era stata preceduta dal  parere,  reso  dal
Consiglio superiore di sanita' l'11  gennaio  2007,  favorevole  alla
somministrazione  del  vaccino  a  spese   del   Servizio   sanitario
nazionale,  nonche'  dall'intesa  raggiunta  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e  di  Bolzano  in  data  20  dicembre  2007,  che
indirizzava il trattamento sanitario alle ragazze nel dodicesimo anno
di eta'. 
    L'obiettivo  previsto  dall'intesa  era  il  raggiungimento,  nel
termine di cinque anni, di una copertura vaccinale  pari  al  95  per
cento  della  popolazione  target,  nella  consapevolezza  che  «[l]a
disponibilita' del vaccino anti-HPV  [avrebbe  rappresentato],  oltre
che un'importante occasione di prevenzione  individuale,  soprattutto
una rilevante opportunita' per l'intera comunita'». 
    Per  tale  ragione,  sin  da  principio,   era   stato   previsto
l'inserimento delle dosi somministrate nell'anagrafe vaccinale ed era
stata programmata una attivita' di monitoraggio, volta  a  verificare
la  copertura  raggiunta.  L'intesa,  inoltre,   promuoveva   diffuse
strategie di comunicazione, demandandole anche a  organi  statali,  a
partire dal Ministero della salute. 
    9.1.2.- In attuazione dell'intesa, le regioni si erano  impegnate
a  gestire  la  somministrazione  dei  vaccini  e  a  partecipare  al
programma  di  valutazione  della   loro   efficacia   e   sicurezza,
verificando   l'impatto   epidemiologico   sulla   popolazione   «sia
attraverso la rigorosa raccolta dei dati sia  garantendo  un'adeguata
partecipazione  ai  programmi  di  studio  in  atto   o   di   futura
attivazione» (ancora, la citata intesa Stato-Regioni del 20  dicembre
2007). 
    Nello  specifico,  la  Regione  Lazio   aderiva   alla   campagna
vaccinale,  aggiornando  con  delibera  della  Giunta  regionale   29
febbraio 2008, n. 133, il «Piano Regionale  Vaccini»  e  introducendo
nel calendario la profilassi anti-HPV. A partire dall'aprile 2008, la
stessa Regione avviava la fase attuativa. 
    9.1.3.- Si sono poi  susseguiti  a  livello  statale  vari  piani
nazionali  di  prevenzione  vaccinale  che   hanno   contemplato   la
profilassi anti-HPV e hanno confermato le scelte strategiche indicate
nell'intesa. 
    In particolare, negli anni,  e'  stato  rimodulato  il  programma
relativo alla copertura vaccinale, in considerazione di  un  iniziale
riscontro  inferiore  alle  attese   da   parte   della   popolazione
destinataria  della  raccomandazione  (Piano  nazionale   prevenzione
vaccinale  2012-2014).  Successivamente,  il  trattamento  e'   stato
offerto a titolo gratuito anche ai ragazzi nel dodicesimo anno d'eta'
(Piano nazionale  prevenzione  vaccinale  2017-2019),  nell'acquisita
convinzione che solo la immunizzazione degli «adolescenti di entrambi
i sessi  [avrebbe  garantito]  la  massima  protezione  da  tutte  le
patologie  HPV  correlate».  Inoltre,  sempre  nel  Piano   nazionale
prevenzione  vaccinale  2017-2019   la   raccomandazione   e'   stata
indirizzata ad ampio spetto e rivolta, in specie, a «tutte le donne». 
    Al contempo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei  livelli  essenziali
di  assistenza,  di  cui  all'articolo  1,  comma  7,   del   decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), all'Allegato 1, ha ascritto il
vaccino anti-HPV fra i livelli essenziali di assistenza. 
    Da ultimo, nel Piano nazionale prevenzione vaccinale 2023-2025 e'
stato  ribadito  il  fine  della  tutela  della  salute   collettiva,
costituito dalla «protezione  anche  degli  individui  non  vaccinati
attraverso l'immunita' di gregge». 
    9.2.-  L'attitudine  della   descritta   campagna   vaccinale   a
ingenerare un affidamento nella popolazione non viene scalfita  dalla
circostanza che essa sia stata inizialmente demandata alle regioni. 
    Seppure l'attivita' di pianificazione  e  di  organizzazione  sia
stata da principio affidata alle regioni,  «in  considerazione  delle
diverse realta' dei Servizi Sanitari Regionali e delle loro modalita'
di funzionamento» (cosi' il citato parere del Consiglio superiore  di
sanita' dell'11 gennaio 2007), la campagna  vaccinale  si  e'  sempre
svolta sotto l'egida  dell'intesa  del  20  dicembre  2007  e  dietro
diretto coordinamento  del  Ministero  della  salute,  che  aveva  il
compito di individuare le azioni di arruolamento attivo, comprendenti
«interventi di  informazione  e  comunicazione  rivolti  ai  soggetti
target e alle loro famiglie». 
    Inoltre - in linea con quanto gia' in passato sostenuto da questa
Corte (sentenza n. 118 del  2020)  -  l'attivita'  delle  regioni  ha
trovato  ampi  «riscontri  e  corrispondenze  nei   piani   vaccinali
nazionali»  (in  particolare  nei  piani  di  prevenzione   vaccinale
2012-2014,  2017-2019  e  2023-2025)  e   in   atti   ulteriori   che
«prescindono da riferimenti territoriali specifici». 
    10.- Conclusivamente, in conformita' ai criteri individuati dalla
giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 118 del 2020, n. 268  del
2017, n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n. 27  del  1998),  e'  dato
ravvisare il presupposto  della  prolungata  e  diffusa  campagna  di
informazione e di raccomandazione da parte delle autorita'  sanitarie
pubbliche circa l'opportunita' di sottoporsi alla vaccinazione contro
il virus HPV  «a  presidio  della  salute  di  ciascun  singolo,  dei
soggetti  a  rischio,  dei  piu'  fragili,  e  in  definitiva   della
collettivita' intera» (ancora, sentenza n. 118 del 2020). 
    Di conseguenza, l'art. 1, comma 1, della legge n. 210  del  1992,
nel non prevedere il diritto all'indennizzo per il vaccino  anti-HPV,
si pone in contrasto con i plurimi parametri  costituzionali  evocati
nell'ordinanza di rimessione. 
    10.1.- Lede  l'art.  2  Cost.,  poiche'  viola  il  principio  di
solidarieta' che impone alla collettivita' di essere, per  l'appunto,
"solidale" con il singolo che subisce un danno per  essersi  attenuto
alla  condotta  raccomandata  dalle  pubbliche  autorita'  a   tutela
dell'interesse collettivo (sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del  2017
e n. 107 del 2012). 
    10.2.-  Viola  l'art.  3  Cost.,  in   quanto   irragionevolmente
pregiudica chi spontaneamente  si  attiene  alla  condotta  richiesta
dagli organi preposti alla  difesa  del  diritto  alla  salute  della
collettivita', rispetto a coloro il cui comportamento e' adesivo a un
obbligo giuridico presidiato da rimedi deterrenti (in senso  analogo,
sentenze n. 268 del 2017 e n.  27  del  1998).  In  particolare,  una
differenziazione che negasse il diritto all'indennizzo nel primo caso
si risolverebbe in una patente irrazionalita'  della  legge,  poiche'
riserverebbe  «a  coloro  che  sono  stati  indotti   a   tenere   un
comportamento  di  utilita'  generale  per  ragioni  di  solidarieta'
sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a  favore
di quanti hanno agito  in  forza  della  minaccia  di  una  sanzione»
(sentenza n. 27 del 1998). 
    10.3.- Infine, la norma censurata contravviene all'art. 32 Cost.,
poiche' priva di ogni tutela il diritto alla  salute  di  chi  si  e'
sottoposto al  vaccino  (anche)  nell'interesse  della  collettivita'
(cosi' sentenze n. 15 del 2023, n. 5 del 2018, n. 258 del 1994  e  n.
307 del 1990). 
    11.- Per le ragioni esposte, l'art. 1, comma 1,  della  legge  n.
210 del 1992 e' costituzionalmente illegittimo, nella  parte  in  cui
non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni  e  nei  modi
stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia  riportato
lesioni o infermita', da cui sia derivata una menomazione  permanente
della integrita' psico-fisica, a causa della vaccinazione  contro  il
contagio da papillomavirus umano (HPV).