ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma,  del  codice  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Firenze, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di A.
M., con ordinanza del 18 luglio 2022, iscritta al n. 110 del registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2022, la  cui  trattazione  e'
stata fissata per l'adunanza in camera di consiglio del 20  settembre
2023. 
    Udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2023 il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 settembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 luglio 2022, il Tribunale  ordinario  di
Firenze, sezione prima penale,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,
del  codice  penale,  nella  parte  in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza   della   circostanza   attenuante    del    delitto    di
autoriciclaggio, di cui all'art. 648-ter.1, secondo comma, cod.  pen.
(nella versione ratione temporis applicabile) sulla recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    In via subordinata, il giudice a quo  ha  censurato  la  medesima
norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.,  nella
parte in cui prevede il divieto di  prevalenza  di  piu'  circostanze
attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    1.1.- Il rimettente deve giudicare della  responsabilita'  di  A.
M., imputato di tre furti di monili commessi il 14 marzo 2019  presso
tre diverse gioiellerie della medesima citta' - tutti contestati  con
le aggravanti di cui agli artt. 61,  primo  comma,  numero  2),  625,
primo comma, numero 4), e 99, quarto comma, cod. pen. - e del tentato
autoriciclaggio dei beni  sottratti,  che  egli  avrebbe  cercato  di
vendere,  lo  stesso  giorno  del  furto,  presso  un  «compro  oro»:
condotta, quest'ultima, che secondo la pubblica accusa  configura  il
delitto di cui  agli  artt.  56  e  648-ter.1  cod.  pen.,  anch'esso
aggravato dalla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    1.1.1.- All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il  giudice  a
quo rileva che, rispetto ai tre furti, sussistono l'aggravante  della
destrezza (art. 625, numero 4, cod. pen.) -  non  invece  quella  del
nesso teleologico ex art. art. 61, numero 2), cod. pen.  rispetto  al
tentato autoriciclaggio -, nonche' la contestata recidiva ex art. 99,
quarto comma, cod. pen. Il certificato  penale  di  A.  M.  evidenzia
infatti numerosi precedenti specifici e recenti, tra cui una sentenza
di condanna del 2019 per indebito utilizzo  continuato  di  carte  di
credito, che aveva gia' applicato la recidiva reiterata. 
    Ad  avviso  del   rimettente,   potrebbero   pero'   riconoscersi
all'imputato le circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis  cod.
pen., in ragione sia della «modesta gravita' del caso  concreto»,  in
cui tutti i  beni  sottratti,  di  valore  non  elevato,  sono  stati
recuperati dalla polizia il giorno stesso della commissione dei reati
e riconsegnati alle persone offese nell'arco  di  pochi  giorni;  sia
delle condizioni di disagio personale e familiare di A. M., padre  di
quattro figli, di cui una affetta da grave  disabilita';  sia  infine
del percorso terapeutico intrapreso dall'imputato in  relazione  alla
propria ludopatia. 
    Con riferimento ai delitti di furto, il giudizio di bilanciamento
tra le  circostanze  aggravanti  della  destrezza  e  della  recidiva
reiterata specifica, e le circostanze attenuanti  generiche  dovrebbe
formularsi in termini di equivalenza,  con  conseguente  applicazione
della pena base, il cui massimo edittale e' pari a tre anni. 
    1.1.2.- Rispetto invece al  tentato  autoriciclaggio  -  ritenuto
effettivamente integrato, per l'idoneita' della condotta a ostacolare
l'identificazione della provenienza delittuosa  dei  beni  sottratti,
«in ragione della natura del soggetto destinatario del trasferimento,
vale a dire un esercizio  [...]  che  normalmente  ritrasferisce  gli
oggetti acquistati, che vengono modificati  o  addirittura  destinati
alla  fusione»  -  il  Tribunale  di  Firenze  rileva  che   andrebbe
riconosciuta, oltre alle circostanze  attenuanti  generiche  ex  art.
62-bis cod. pen. per le ragioni gia' esposte,  anche  la  circostanza
attenuante di cui al secondo comma dell'art. 648-ter.1 cod. pen. 
    Quest'ultima, nella versione introdotta  dall'art.  3,  comma  3,
della legge 15 dicembre 2014, n.  186  (Disposizioni  in  materia  di
emersione e rientro di capitali detenuti all'estero  nonche'  per  il
potenziamento  della  lotta  all'evasione  fiscale.  Disposizioni  in
materia di autoriciclaggio) e vigente fino alla  sua  sostituzione  a
opera dell'art. 1, comma  1,  lettera  f),  numero  3),  del  decreto
legislativo 8  novembre  2021,  n.  195,  recante  «Attuazione  della
direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio,  del
23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale»,
prevedeva che alla condotta di autoriciclaggio  si  applicasse  -  in
luogo della pena base della reclusione da due a  otto  anni  e  della
multa da 5.000 a 25.000 euro - la reclusione da uno a quattro anni  e
la multa da 2.500 a 12.500 euro ove il denaro,  i  beni  o  le  altre
utilita' impiegate, sostituite o trasferite in attivita'  economiche,
finanziarie,  imprenditoriali  o   speculative   provenissero   dalla
commissione di un  delitto  non  colposo  punito  con  la  reclusione
inferiore nel massimo a cinque anni. 
    Ad avviso del rimettente, il calcolo  del  massimo  edittale  del
delitto presupposto - che deve essere  appunto  inferiore  ai  cinque
anni per l'applicazione dell'attenuante ex  art.  648-ter.1,  secondo
comma, cod. pen. - andrebbe  effettuato  in  relazione  alla  cornice
edittale della fattispecie base, senza  considerare  le  circostanze,
aggravanti o attenuanti, da  cui  il  concreto  fatto  di  reato  sia
connotato. Non sarebbe in proposito condivisibile  la  valorizzazione
delle  circostanze  aggravanti,  effettuata  da  alcune  pronunce  di
legittimita' in relazione al contiguo delitto di riciclaggio, per cui
e' prevista un'analoga circostanza attenuante (sono citate  Corte  di
cassazione, sezione seconda penale, sentenze 23 novembre-21  dicembre
2021, n. 46754; 18 ottobre 2019-31 gennaio 2020, n. 4146; 23 maggio-2
agosto 2019, n. 35445; 12-27 gennaio 2017, n. 3935). Il  computo  del
massimo  edittale  alla  luce  della  sola  cornice  base  del  reato
presupposto  sarebbe,  in  effetti,  l'opzione  interpretativa   piu'
aderente al tenore letterale dell'art. 648-ter.1, secondo comma, cod.
pen. - criterio guida da seguire  nell'esegesi  dei  criteri  per  la
selezione dei reati che facciano riferimento alla quantita'  di  pena
(Corte di cassazione, sezioni  unite  penali,  sentenza  31  marzo-1°
settembre 2016, n. 36272) -  e  condurrebbe  a  ritenere  applicabile
l'attenuante in parola, essendo il furto (reato  presupposto)  punito
con una pena base di tre anni di reclusione nel massimo. 
    Quand'anche poi si ritenesse che il massimo edittale del  delitto
presupposto  vada  calcolato   valorizzando   il   fatto   di   reato
circostanziato, andrebbero prese in  considerazione,  in  assenza  di
specificazioni normative di segno contrario,  tutte  le  circostanze,
aggravanti e attenuanti, comuni e  speciali  (sono  citate  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali sentenza 28 febbraio-13 giugno 2013,
n. 25939 e sezione quinta penale, sentenza 7 febbraio-27 aprile 2022,
n. 16169, in tema di reato continuato). Attribuendo rilievo  a  tutte
le circostanze - aggravanti  e  attenuanti  -  che  connotano  i  tre
delitti  di  furto,  il  giudizio  di  equivalenza  tra   le   stesse
condurrebbe comunque  ad  assumere  come  pena  rilevante  dei  reati
presupposto la pena base del furto, pari a tre anni nel massimo,  con
conseguente applicabilita' dell'attenuante ex art. 648-ter.1, secondo
comma, cod. pen. 
    1.2.- Tutto  cio'  premesso,  considera  il  rimettente  che,  in
relazione al  delitto  di  tentato  autoriciclaggio,  le  circostanze
attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 648-ter.1, secondo comma,  cod.
pen., «per la loro pregnanza - ed in particolare per la  tipologia  e
la modesta gravita' in  concreto  dei  reati  presupposto  e  per  la
situazione  di  disagio  in  cui  viveva  l'imputato  e  il  percorso
successivamente  intrapreso  -  meriterebbero  di   essere   ritenute
prevalenti» rispetto alla recidiva  reiterata  specifica  (in  specie
correttamente contestata ed effettivamente applicabile) e di  «essere
applicate nella loro estensione massima o quasi massima». 
    Tale operazione sarebbe tuttavia preclusa  dall'art.  69,  quarto
comma, cod. pen., il quale prevede il  divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulla recidiva  di  cui  all'art.  99,  quarto
comma, cod. pen.; divieto che potrebbe essere  rimosso  solo  da  una
pronuncia di questa Corte. Di qui la rilevanza delle questioni. 
    Non scalfirebbe tale rilevanza la modifica, successiva  ai  fatti
in contestazione, dell'art. 648-ter.1 cod. pen. ad opera  del  d.lgs.
n. 195 del 2021, che ha trasformato la circostanza di cui al  secondo
comma in attenuante a efficacia comune e l'ha ricollocata  nel  terzo
comma della disposizione. La nuova disciplina  sarebbe  infatti  piu'
sfavorevole per l'imputato  (minore  essendo  l'efficacia  attenuante
della circostanza), per cui  -  stante  il  divieto  di  applicazione
retroattiva delle norme  penali  successive  sfavorevoli  -  dovrebbe
trovare ancora applicazione la disciplina originaria introdotta dalla
legge n. 186 del 2014. 
    1.3.- Quanto alla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate in via  principale  -  che  si  appuntano  sul  divieto  di
prevalenza dell'attenuante ex art.  648-ter.1,  secondo  comma,  cod.
pen. sulla recidiva  ex  art.  99,  quarto  comma,  cod.  pen.  -  il
rimettente rammenta che  questa  Corte  si  e'  gia'  pronunciata  in
molteplici occasioni sulla legittimita' costituzionale del  censurato
art. 69, quarto comma, cod. pen. 
    Il giudice a quo cita in particolare le considerazioni svolte  da
questa Corte nella sentenza n. 251 del 2012, secondo cui il  giudizio
di bilanciamento tra circostanze eterogenee «consente al  giudice  di
"valutare il fatto in  tutta  la  sua  ampiezza  circostanziale,  sia
eliminando  dagli   effetti   sanzionatori   tutte   le   circostanze
(equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas
delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono" (sentenza  n.
38 del 1985)».  Eventuali  deroghe  al  bilanciamento  -  sindacabili
«soltanto  ove  trasmodino   nella   manifesta   irragionevolezza   o
nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012) - «in ogni caso non  possono
giungere    a    determinare    un'alterazione    degli     equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale» (e' ancora citata la sentenza n. 251 del 2012). 
    Nel caso di specie, il divieto  contenuto  nell'art.  69,  quarto
comma, cod. pen. trasmoderebbe in una  «manifesta  irragionevolezza»,
in relazione alla circostanza attenuante di  cui  all'art.  648-ter.1
cod. pen., che  -  nella  versione  ratione  temporis  applicabile  -
comporta, per i fatti di minor offensivita' (in relazione alla  minor
gravita' del reato presupposto), una diminuzione di pena  «a  effetto
speciale e determinata in modo indipendente dalla fattispecie  base»,
e conduce a un dimezzamento della cornice edittale. 
    La condotta e l'oggetto materiale del delitto di  autoriciclaggio
sarebbero individuati dall'art. 648-ter.1 cod.  pen.  in  modo  assai
ampio e suscettibile di abbracciare una vasta gamma di  comportamenti
(ossia le condotte di chiunque «impiega, sostituisce, trasferisce, in
attivita' economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative,  il
denaro, i beni o le altre utilita' provenienti dalla  commissione  di
tale delitto, in modo da ostacolare  concretamente  l'identificazione
della loro  provenienza  delittuosa»).  Parimenti  ampio  sarebbe  il
ventaglio dei possibili reati presupposto, identificati in  qualunque
delitto non colposo (catalogo  esteso,  nella  nuova  versione  della
disposizione, ai delitti colposi e alle contravvenzioni piu'  gravi).
La risposta sanzionatoria si connoterebbe  poi  per  «un'apprezzabile
severita'». 
    In questo contesto, la circostanza attenuante di cui  al  secondo
comma  dell'art.  648-ter.1  cod.  pen.  svolgerebbe   «la   funzione
essenziale di mitigare il  citato  rigore  sanzionatorio  per  quelle
fattispecie che presentino una minore gravita' oggettiva  in  ragione
della provenienza del denaro o dei beni  oggetto  delle  condotte  di
autoriciclaggio da delitti di minore gravita'». 
    Il  trattamento  sanzionatorio,  significativamente  piu'   mite,
assicurato ai fatti di autoriciclaggio aventi ad oggetto denaro, beni
e utilita' provenienti dai reati presupposto meno gravi  esprimerebbe
per l'appunto «una dimensione offensiva la cui effettiva  portata  e'
disconosciuta dalla norma censurata, che  indirizza  l'individuazione
della pena concreta verso un abnorme enfatizzazione delle  componenti
soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento  delle
componenti oggettive del reato» (e' citata la  sentenza  n.  251  del
2012). E invero, «due fatti - quello di  autoriciclaggio  di  denaro,
beni o utilita' provenienti dai delitti piu' gravi (ad es.  sequestro
a scopo di  estorsione,  rapina,  concussione,  peculato,  bancarotta
fraudolenta, ecc.) e quello di  autoriciclaggio  di  denaro,  beni  o
utilita' provenienti da delitti decisamente meno gravi (ad es. furto,
truffa, esercizio arbitrario delle  proprie  ragioni,  reato  di  cui
all'art. 388 c.  p.,  ecc.)»,  «che  lo  stesso  assetto  legislativo
riconosce come profondamente diversi sul piano  dell'offesa,  vengono
ricondotti alla medesima  cornice  edittale,  e  cio'  "determina  un
contrasto tra la disciplina censurata e  l'art.  25,  secondo  comma,
Cost., che pone il fatto alla base della responsabilita' penale"» (e'
nuovamente richiamata la sentenza n. 251 del 2012). 
    Aggiunge il rimettente che,  nell'ipotesi  contemplata  dall'art.
648-ter.1, secondo comma, cod. pen. per effetto dell'equivalenza  tra
la  recidiva  reiterata  e  l'attenuante  in  questione,   l'imputato
«verrebbe  di  fatto  a  subire  un  aumento  di  pena  sensibilmente
superiore a  quello  previsto  dallo  stesso  art.  99  co.  4  c.p.:
l'annullamento di una riduzione pari alla meta' equivale  infatti  ad
un aumento del 100% anziche' ad un aumento  della  meta'  o  dei  due
terzi, quale quello previsto a seconda dei casi dall'art.  99  co.  4
c.p.». 
    1.4.-  Alla  luce  di  queste  considerazioni,   emergerebbe   il
contrasto del divieto di prevalenza contenuto  nell'art.  69,  quarto
comma, cod. pen. con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost.,  poiche'
la norma  censurata  «determina  l'applicazione  irragionevole  della
stessa pena a fatti oggettivamente diversi e in modo  non  rispettoso
del principio di offensivita'». 
    Sarebbe altresi' violato l'art. 27, terzo comma, Cost., «sotto il
profilo  del  principio  di  proporzionalita'  della  pena  e   della
finalita' rieducativa della stessa». 
    Questa Corte avrebbe infatti gia' osservato che l'art. 69, quarto
comma, cod. pen., nel  precludere  la  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza «una deroga rispetto  a
un  principio   generale   che   governa   la   complessa   attivita'
commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri  di
determinazione della pena base con  quelli  mediante  i  quali  essa,
secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27,  terzo
comma, Cost., diviene adeguata al caso  di  specie  anche  per  mezzo
dell'applicazione delle circostanze» (e' citata la  sentenza  n.  205
del 2017). 
    In specie, il divieto di cui  all'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen., in  relazione  (anche)  alla  circostanza  attenuante  ex  art.
648-ter.1,  cod.  pen.,  secondo  comma,  impedirebbe  il  necessario
adeguamento della pena edittale alle circostanze del  caso  concreto,
determinando un trattamento  sanzionatorio  sproporzionato  e  dunque
inidoneo  a  esplicare  una  funzione  rieducativa.  E  invero,   «il
condannato -  che  per  effetto  della  recidiva  reiterata  si  veda
assoggettato ad una pena enormemente piu'  alta  di  quella  che  gli
sarebbe altrimenti  applicata  -  non  potrebbe  che  percepire  come
irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi  al  trattamento
rieducativo». 
    1.5.- In relazione alle questioni formulate in  via  subordinata,
che censurano l'art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte  in  cui
prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze  attenuanti  (in
specie, quelle ex artt. 648-ter.1,  secondo  comma,  e  62-bis,  cod.
pen.) sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.,  il
rimettente osserva che tale divieto «comporta a  maggior  ragione  un
trattamento  sanzionatorio  sproporzionato,  ancor  maggiore  essendo
l'incidenza sullo stesso delle  componenti  soggettive  riconducibili
alla recidiva reiterata». 
    Sarebbe dunque ancor piu' evidente l'attrito  tra  la  deroga  al
giudizio di bilanciamento introdotta dall'art. 69, quarto comma, cod.
pen. e i principi di  ragionevolezza,  proporzionalita'  e  finalita'
rieducativa della pena. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale ordinario di
Firenze, sezione prima penale, solleva, in riferimento agli artt.  3,
25,  secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,   Cost.,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.,
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza
attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all'art. 648-ter.1,
secondo  comma,  cod.   pen.   (nella   versione   ratione   temporis
applicabile), sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto  comma,  cod.
pen. 
    In via subordinata, il giudice a quo censura la  medesima  norma,
per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.,  nella  parte
in  cui  prevede  il  divieto  di  prevalenza  di  piu'   circostanze
attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    2.- Le questioni sono ammissibili. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della
verifica della rilevanza della questione e' necessario e  sufficiente
che il rimettente motivi in modo non implausibile sulle  ragioni,  in
fatto e in diritto, che lo conducono a ritenere applicabile la  norma
della cui legittimita' costituzionale dubita nel giudizio  principale
(ex multis, sentenze n. 139 del 2023,  punto  3  del  Considerato  in
diritto; n. 94 del 2023, punto 2.2. del Considerato  in  diritto;  n.
192 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto). 
    Il che e' quanto puntualmente avviene  nell'articolata  ordinanza
introduttiva del presente giudizio. 
    2.1.- Il rimettente motiva anzitutto in modo non  implausibile  -
richiamando, in particolare, una pronuncia della Corte di  cassazione
(seconda sezione penale, sentenza 14  settembre-5  ottobre  2021,  n.
36180) relativa a un caso di specie sovrapponibile a quello di cui e'
causa nel giudizio a quo  -  sulla  riconducibilita'  della  condotta
contestata all'imputato alla figura legale dell'autoriciclaggio. 
    In tal modo, il giudice a quo scioglie in  senso  affermativo  un
dubbio interpretativo di per se' non  futile,  alla  luce  anche  del
quadro   sanzionatorio   di   particolare    rigore    previsto    da
un'incriminazione che punisce autonomamente condotte successive  alla
commissione di un reato, funzionali a  consolidarne  il  profitto  in
capo allo stesso autore: e cioe' se sia sufficiente la  mera  vendita
della res furtiva a integrare  almeno  uno  dei  requisiti  normativi
alternativi dell'"impiego", "sostituzione" o "trasferimento" dei beni
provenienti dalla commissione del  delitto  di  furto  in  «attivita'
economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative»;  dubbio  che
deve  essere  sciolto  prima   della   verifica   della   sussistenza
dell'ulteriore  requisito  normativo  concernente  l'idoneita'  della
condotta a «ostacolare concretamente  l'identificazione  della  [...]
provenienza delittuosa» dei beni sottratti. 
    2.2.- Una densa motivazione e'  poi  dedicata  dall'ordinanza  di
rimessione  all'ulteriore  dubbio   interpretativo   concernente   le
modalita' di calcolo della pena prevista per  il  reato  presupposto,
che ai sensi della norma censurata deve essere «inferiore nel massimo
a cinque anni». 
    Il rimettente opta per la soluzione secondo cui decisivo  sarebbe
il  riferimento  alla  pena  prevista  per  il  reato   base,   senza
considerare le eventuali  circostanze  aggravanti  o  attenuanti  che
connotano  in  concreto  il   delitto   presupposto,   confrontandosi
estesamente - in parte in senso critico, ma  in  assenza  di  diritto
vivente sul tema specifico - con la  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione formatasi su problemi interpretativi contigui. Tanto basta
ai fini della verifica, che questa  Corte  e'  chiamata  a  compiere,
della plausibilita'  della  soluzione  interpretativa  adottata,  che
condiziona a sua volta la rilevanza delle questioni sollevate. 
    2.3.- Il rimettente muove dall'implicito presupposto  che  l'art.
648-ter.1,  secondo  comma,   cod.   pen.   costituisca   circostanza
attenuante a  effetto  speciale,  anziche'  fattispecie  autonoma  di
reato: qualificazione, quest'ultima, che priverebbe di  rilevanza  le
questioni, rendendo in radice inapplicabile nel  giudizio  a  quo  il
censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. 
    Per quanto non manchino voci in dottrina che hanno  sostenuto  la
tesi della natura  di  fattispecie  autonoma  della  disposizione  in
parola, la tesi opposta - implicitamente accolta dal giudice a quo, e
prevalente presso la stessa dottrina  -  corrisponde  alla  soluzione
pacificamente adottata  dalla  giurisprudenza  con  riferimento  alla
contigua previsione di cui all'art. 648, quarto comma, cod. pen., che
prevede  un  autonomo  quadro  edittale  per  la   ricettazione   «di
particolare tenuita'» (Corte di cassazione, sezione  settima  penale,
ordinanza 8 luglio-21 ottobre 2022, n. 39944; sezione seconda penale,
sentenza 13 maggio-1° luglio 2021, n. 25121).  La  qualificazione  su
cui si fonda l'ordinanza di rimessione, inoltre, appare in linea  con
gli orientamenti delle sezioni unite della Corte di  cassazione,  che
in generale tracciano la linea distintiva tra circostanze  a  effetto
speciale e fattispecie autonome  in  base  al  «criterio  strutturale
della descrizione  del  precetto  penale»,  ravvisando  in  linea  di
principio una mera circostanza allorche' non vi sia una  «immutazione
degli elementi  essenziali  delle  condotte  illecite»,  che  restano
quelle descritte dalla fattispecie base (Corte di cassazione, sezioni
unite penali, sentenza 27 ottobre 2011-7 febbraio 2012, n.  4694;  si
vedano altresi' le sentenze 21 giugno-24 settembre 2018, n. 40982; 24
giugno-5 ottobre 2010, n. 35737; 26 giugno-10 luglio 2002, n. 26351). 
    A fronte di tali considerazioni, e in assenza  di  precedenti  in
senso  contrario  presso  la  giurisprudenza  di  legittimita',  deve
pertanto ritenersi che una specifica motivazione sul punto non  fosse
necessaria ai fini del  vaglio,  da  parte  di  questa  Corte,  sulla
rilevanza   delle   questioni   sollevate,   non   potendo    l'onere
motivazionale del giudice a quo  spingersi  sino  a  dover  confutare
tutti i  dubbi  interpretativi  sollevati  in  dottrina,  o  comunque
astrattamente prospettabili, sulle disposizioni che  condizionano  la
rilevanza della questione. 
    2.4.- Il rimettente si sofferma, per contro,  puntualmente  sulle
ragioni per cui ritiene non applicabile nel giudizio a quo  il  nuovo
testo dell'art. 648-ter.1, terzo comma, cod. pen.,  (Autoriciclaggio)
che - nella formulazione novellata dall'art. 1, comma 1, lettera  f),
numero 3), del d.lgs. n. 195 del 2021 - stabilisce che «[l]a pena  e'
diminuita se il denaro, i beni o  le  altre  utilita'  provengono  da
delitto per il quale e' stabilita la pena della reclusione  inferiore
nel massimo a cinque anni». 
    Giustamente  il  giudice  a  quo  rileva,   infatti,   che   tale
disposizione, stabilendo una diminuzione di pena inferiore  a  quella
prevista al momento del fatto  dall'art.  648-ter.1,  secondo  comma,
cod. pen. nella versione allora  vigente,  e'  piu'  sfavorevole  per
l'imputato, e pertanto risulta a lui inapplicabile ai sensi dell'art.
2, quarto comma, cod. pen. 
    2.5.- Infine, il  rimettente  articola  due  gruppi  distinti  di
questioni di  legittimita'  costituzionale,  in  chiaro  rapporto  di
subordinazione: il che, secondo la costante giurisprudenza di  questa
Corte (ex multis, sentenze n. 7 del 2022, punto 2.3. del  Considerato
in diritto;  n.  152  del  2020,  punto  2.2.1.  del  Considerato  in
diritto), gli e' certamente consentito,  a  differenza  di  cio'  che
sarebbe accaduto ove i distinti petita fossero stati proposti in modo
meramente alternativo  e  -  pertanto  -  ancipite,  con  conseguente
devoluzione alla Corte di una «impropria competenza di scegliere  tra
ess[i]» (ordinanza n. 221 del 2017). 
    3.- Nel merito, le questioni formulate  in  via  principale  sono
fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati. 
    In numerose  precedenti  occasioni  questa  Corte  ha  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.,
nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di  altrettante
circostanze attenuanti sulla recidiva  di  cui  all'art.  99,  quarto
comma, cod. pen. In particolare nella recente sentenza n. 94 del 2023
(punto 10  del  Considerato  in  diritto)  sono  state  rammentate  e
sinteticamente illustrate le varie rationes  decidendi  sottese  alle
sentenze anteriori, riconducibili peraltro all'esigenza di  mantenere
- con le parole della successiva sentenza n. 141 del 2023 (punto 3.1.
del Considerato in diritto) - «un conveniente rapporto di  equilibrio
tra la gravita' (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e
la severita' della risposta sanzionatoria,  evitando  in  particolare
quella che la sentenza "capostipite"  n.  251  del  2012  gia'  aveva
definito  l'"abnorme  enfatizzazione  delle   componenti   soggettive
riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle  componenti
oggettive del reato" (punto 5  del  Considerato  in  diritto)  creata
dall'art. 69, quarto comma, cod. pen.». 
    Tale criterio generale non puo' non condurre anche in questo caso
alla dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  auspicata  dal
rimettente. 
    Prevedendo per l'autoriciclaggio una pena  dimezzata,  tanto  nel
massimo quanto nel minimo, allorche' il delitto  presupposto  sia  di
minore gravita' -  segnatamente  quando  esso  sia  punito  con  pena
inferiore a cinque anni di reclusione -,  il  legislatore  ha  inteso
differenziare nettamente il disvalore  oggettivo  di  questa  ipotesi
rispetto alla fattispecie base, la quale e'  peraltro  caratterizzata
da un  quadro  sanzionatorio  di  notevole  severita',  calibrato  su
fenomeni criminosi ben piu' gravi -  anche  per  la  loro  dimensione
offensiva del sistema  economico,  imprenditoriale  e  finanziario  -
rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale. 
    Allorche' pero'  il  delitto  risulti  aggravato  dalla  recidiva
reiterata - situazione statisticamente assai frequente  allorche'  il
reato presupposto sia un furto, come nel caso oggetto del giudizio  a
quo  -,   l'intento   legislativo   di   prevedere   un   trattamento
sanzionatorio sensibilmente meno severo per i  fatti  di  riciclaggio
conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli  effetti
pratici, frustrato dalla norma  censurata,  che  vincola  il  giudice
all'irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto  per  la
fattispecie base di autoriciclaggio. 
    Cio'  ridonda  anzitutto  in  una  violazione  del  canone  della
proporzionalita' della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo  comma,
Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore  -  e
conseguentemente  applicate  dal  giudice   -   pene   manifestamente
sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato
(sentenza 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    Dalla norma censurata scaturisce altresi' un vulnus al  principio
di offensivita' di cui all'art. 25, secondo comma,  Cost.,  il  quale
esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a
un singolo "fatto" di reato, e non sia invece utilizzata come  misura
primariamente volta al controllo della pericolosita' sociale del  suo
autore, rivelata dalle sue  qualita'  personali  (sostanzialmente  in
questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto  9  del  Considerato  in
diritto, nonche' -  con  riferimento  specifico  al  divieto  di  cui
all'art. 69, quarto comma, cod. pen. -  sentenze  n.  205  del  2017,
punto 5 del Considerato in diritto; n. 105  del  2014,  punto  4  del
Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del  Considerato  in
diritto). Il che accade, per l'appunto, per effetto della  norma  ora
censurata, da  cui  discende  addirittura  il  raddoppio  della  pena
minima, a parita' di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione
dei soli precedenti penali dell'autore. 
    L'art.  69,  quarto  comma,  cod.  pen.  deve,  pertanto,  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui  prevede
il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art.
648-ter.1,  secondo  comma,  cod.  pen.  (nella  versione  introdotta
dall'art. 3, comma 3, della legge n. 186 del  2014,  e  vigente  fino
alla sua sostituzione a opera dell'art. 1, comma 1, lettera f, numero
3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva  di  cui  all'art.  99,
quarto comma, cod. pen.