ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 628, quinto
comma, del codice penale promosso dal Tribunale ordinario di  Torino,
sezione prima penale, nel procedimento penale a carico  di  C.G.  M.,
con ordinanza del 7 luglio 2022, iscritta  al  n.  119  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  C.G.  M.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  21  novembre  2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Riccardo Magarelli  per  C.G.  M.  e  l'avvocato
dello Stato Salvatore Faraci per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 luglio 2022, il  Tribunale  ordinario  di
Torino, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt.
3 e 27,  primo  e  terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 628, quinto comma,  del  codice
penale, nella parte in cui  prevede  «il  divieto  di  equivalenza  o
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulle
circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3  bis  della
medesima disposizione». 
    1.1.- Il rimettente procede nei confronti di C.G. M., imputata di
tentata  rapina  pluriaggravata,  per  avere  compiuto,  in  data  14
febbraio  2022,  atti  idonei  diretti  in  modo   non   equivoco   a
impossessarsi di beni e denaro del proprio partner M. N., all'interno
dell'abitazione di quest'ultimo e brandendo  un  coltello  contro  di
lui. 
    All'esito dell'istruttoria dibattimentale, ritiene il  giudice  a
quo che la condotta tenuta dall'interessata integri effettivamente un
tentativo di rapina, aggravata dall'uso di un'arma (art.  628,  terzo
comma, numero 1, cod. pen.) e della commissione del fatto in luogo di
privata dimora (art. 628, terzo comma, numero 3-bis, cod. pen.).  Non
rileverebbe che la stessa imputata dimorasse nell'abitazione, poiche'
l'art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen. «prevede l'aggravio
di pena evocando il luogo  ove  e'  avvenuta  la  rapina  (tentata  o
consumata) e non le modalita' clandestine o  le  ragioni  illegittime
per cui il rapinatore si trovava all'interno di un luogo  di  privata
dimora»; sicche' la rapina potrebbe avvenire addirittura nella dimora
del rapinatore (e' richiamata Corte di  cassazione,  sezione  seconda
penale, sentenza 13 luglio-2 settembre 2021, n. 32781). 
    Dalla perizia medico-legale disposta in giudizio sarebbe peraltro
emerso che C.G. M. soffre di un disturbo schizoaffettivo  -  connesso
anche all'uso di sostanze stupefacenti -  con  sintomi  psicotici  di
tipo delirante e di alterazione dell'umore  di  tipo  prevalentemente
disforico; valutazione, questa, fondata tra l'altro sulla  consulenza
tecnica d'ufficio espletata in sede  civile  nel  procedimento  volto
alla nomina di un amministratore di  sostegno.  In  ragione  di  tale
condizione  patologica,  la  capacita'  di  intendere  e  di   volere
dell'imputata al momento del  fatto  dovrebbe  ritenersi  grandemente
scemata, si' da  giustificare  il  riconoscimento  della  circostanza
attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen. 
    Si  dovrebbero  altresi'  applicare  in  favore  di  C.G.  M.  le
circostanze  attenuanti  generiche,  in  ragione  del   comportamento
processuale, della «complicata situazione  sociale  dell'imputata»  e
della «necessita'  di  giungere  ad  una  commisurazione  della  pena
coerente con  le  esigenze  di  risocializzazione  costituzionalmente
connesse all'irrogazione della sanzione penale». 
    1.2.-  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni  sollevate,   il
Tribunale osserva che l'aggravante di cui all'art. 628, terzo  comma,
numero 3-bis), cod.  pen.  e'  sottratta  all'ordinario  giudizio  di
bilanciamento tra circostanze eterogenee, in forza dell'ultimo  comma
della disposizione, secondo cui «[l]e circostanze attenuanti, diverse
da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con le aggravanti di
cui al terzo comma,  numeri  3),  3-bis),  3-ter)  e  3-quater),  non
possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste  e
le diminuzioni di  pena  si  operano  sulla  quantita'  della  stessa
risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti». 
    Pertanto, le circostanze attenuanti di cui agli artt. 89 e 62-bis
cod. pen. potrebbero incidere sulla determinazione della sanzione  da
infliggere «solo dopo che la pena base e' stata inasprita per effetto
dell'aggravante c.d. privilegiata». Ne' sarebbe possibile una diversa
interpretazione dell'art. 628, ultimo comma,  cod.  pen.,  stante  il
tenore letterale della disposizione. 
    1.3.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
richiama ampi stralci della sentenza n. 73 del 2020 di questa  Corte,
che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  l'art.  69,  quarto
comma, cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  prevedeva  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 cod.  pen.
sulla circostanza aggravante  della  recidiva  di  cui  all'art.  99,
quarto comma, cod. pen. Rammenta il giudice a quo come  tale  divieto
sia stato ritenuto contrario sia  al  principio  di  proporzionalita'
della pena (artt. 3 e  27,  terzo  comma,  Cost.)  -  che  esige  che
quest'ultima sia calibrata tanto all'offensivita' del fatto di reato,
quanto al suo disvalore soggettivo - sia al principio di personalita'
della responsabilita' penale (art. 27,  primo  comma,  Cost.)  -  che
impone di tenere conto,  nella  commisurazione  della  sanzione,  del
grado di rimproverabilita' soggettiva che connota  ciascun  fatto  di
reato. 
    I principi espressi nella citata  pronuncia,  poi  ripresi  nella
sentenza di questa Corte n. 55 del 2021, sarebbero applicabili  anche
al caso di specie, pur a fronte della diversita'  tra  il  meccanismo
previsto dall'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.  -  che  comportava
l'impossibilita', per la circostanza attenuante del vizio parziale di
mente, di esplicare effetto, se non in termini di  "neutralizzazione"
della recidiva reiterata - e quello contemplato dall'art. 628, ultimo
comma, cod. pen., ove invece «l'attenuante di cui  all'art.  89  c.p.
puo'  concretamente  esplicare  effetto,  sebbene  partendo  da   una
dimensione sanzionatoria che e' aggravata "a monte" dalla concorrenza
delle circostanze privilegiate». 
    Il rimettente rammenta altresi' che questa Corte, nella  sentenza
n. 117 del 2021,  ha  dichiarato  non  fondate  alcune  questioni  di
legittimita' costituzionale che censuravano l'analogo  meccanismo  di
privilegio  dell'incidenza  di  determinate  circostanze  aggravanti,
previsto dall'art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. 
    Il giudice a quo ritiene tuttavia che le argomentazioni  espresse
nella sentenza n. 73 del 2020 con  riferimento  alla  diminuente  del
vizio parziale di mente «conservino la loro valenza» anche  nel  caso
oggetto del giudizio  a  quo,  atteso  che  detta  pronuncia  avrebbe
individuato la ratio dell'attenuante di cui  all'art.  89  cod.  pen.
nell'esigenza di valorizzare la condizione di minor rimproverabilita'
del  seminfermo  di  mente;  condizione  cui  dovrebbe  corrispondere
l'irrogazione di una pena inferiore rispetto  a  quella  che  sarebbe
applicabile a parita' di disvalore  del  fatto  in  assenza  di  tale
stato,   in   ossequio   ai   principi    di    proporzionalita'    e
individualizzazione della pena, desumibili dagli artt. 3 e 27,  primo
e terzo comma, Cost. 
    Nel  caso  di  specie,  tali  principi  sarebbero  vulnerati  dal
meccanismo previsto dall'art. 628, ultimo comma,  cod.  pen.,  atteso
che: 
    - «[s]i verrebbero a parificare situazioni diverse  (l'autore  di
reato che abbia  agito  in  condizioni  di  normalita'  psichica  vs.
l'autore di reato affetto da vizio parziale di mente), con potenziale
contrasto con il dettato dell'art. 3 della Costituzione»; 
    -  «[s]i  verrebbe  a  determinare  un  inasprimento  del  regime
sanzionatorio, tale  da  potere  comportare  l'applicazione  di  pene
potenzialmente  sproporzionate  rispetto  al  grado  di  colpevolezza
dell'imputato (con potenziale contrasto [...] rispetto  al  principio
di proporzionalita' della risposta  sanzionatoria  discendente  dagli
articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione)»; 
    -  «[s]i  verrebbe  a  misconoscere  -  o  quantomeno  fortemente
sottovalutare  -  la  valenza   della   diminuita   rimproverabilita'
soggettiva dell'autore di reato semi-imputabile, con  sacrificio  del
principio di personalita' della  responsabilita'  penale  discendente
dall'art. 27, comma 1, della Costituzione». 
    1.4.- Il censurato art. 628,  ultimo  comma,  cod.  pen.  sarebbe
infine  affetto  da  intrinseca  irragionevolezza,   in   quanto   il
meccanismo ivi previsto non opererebbe -  con  ritorno  all'ordinario
giudizio di bilanciamento  -  nel  caso  in  cui  con  le  aggravanti
"privilegiate" concorra la circostanza attenuante della  minore  eta'
di cui all'art. 98 cod. pen.; ossia una diminuente parimenti  fondata
sul  minor  grado  di  rimproverabilita'  dell'autore  di  reato,  di
applicazione  obbligatoria  (Corte  di  cassazione,  sezione   quarta
penale, sentenza 20 ottobre 2020-16 marzo  2021,  n.  10134;  sezione
terza penale, sentenze  7  aprile-28  luglio  2015,  n.  33004  e  11
ottobre-15 novembre 2007, n. 42105), che e'  collocata  nello  stesso
Capo I del Titolo IV del Libro I del codice penale ove ha sede l'art.
89 cod. pen., e che comporta una identica diminuzione di pena. 
    Il mantenimento della piena operativita' dell'ordinario  giudizio
di bilanciamento in presenza dell'attenuante di cui all'art. 98  cod.
pen. sarebbe frutto di un emendamento (16.1) proposto al  disegno  di
legge AC 2180 - poi  esitato  nella  legge  15  luglio  2009,  n.  94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che ha introdotto il
censurato quinto comma dell'art. 628 cod. pen. -, in sede di esame in
Commissione referente, nella  seduta  del  28  aprile  2009,  le  cui
ragioni non sarebbero tuttavia state esplicitate ne' nella  proposta,
ne' nella relazione svolta in assemblea nella seduta  del  30  aprile
2009. 
    In conseguenza di tale assetto, l'art. 628,  quinto  comma,  cod.
pen.  consentirebbe  l'ordinario  giudizio  di  bilanciamento   delle
aggravanti di cui  al  terzo  comma,  numeri  3),  3-bis),  3-ter)  e
3-quater), con l'attenuante di cui all'art. 98 cod. pen. - ossia  una
diminuente   fondata   sulla   minor   rimproverabilita'   soggettiva
dell'autore di reato - ma non, irragionevolmente, con l'attenuante di
cui all'art. 89 cod. pen. «per molti versi analoga». Tale  attenuante
sarebbe  dunque  «destinata  a  soccombere  (ed  operare  solo   dopo
l'inasprimento di pena determinato dalle  aggravanti  privilegiate)»,
«in frizione» con l'art. 3 Cost. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    2.1.- La giurisprudenza costituzionale formatasi in relazione  al
divieto di prevalenza delle  circostanze  attenuanti  sulla  recidiva
reiterata, contenuto nell'art. 69, quarto comma,  cod.  pen.  avrebbe
chiarito che  deroghe  al  regime  ordinario  del  bilanciamento  tra
circostanze rientrano  nell'ambito  delle  scelte  discrezionali  del
legislatore  e  sono  sindacabili  solo  qualora   trasmodino   nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio (sono citate  le  sentenze
n. 55 del 2021, n. 73 del 2020, n. 205 del 2017, n. 74 del  2016,  n.
106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012). 
    Nel  caso  di  specie,  non  sarebbe  irragionevole   la   scelta
legislativa espressa dal censurato art. 628, ultimo comma, cod. pen.,
di considerare circostanza  aggravante  privilegiata  la  commissione
della rapina nei luoghi di cui all'art. 624-bis. Questa stessa  Corte
avrebbe  infatti  sottolineato  la  particolare  offensivita'   della
condotta posta in essere in tali luoghi, che offende l'inviolabilita'
del domicilio, protetta dall'art. 14 Cost. 
    La  sentenza  n.   216   del   2019   avrebbe   infatti   escluso
l'illegittimita'   costituzionale   del   divieto   di    sospensione
dell'esecuzione della pena per il furto di cui all'art. 624-bis  cod.
pen., sul rilievo che tale reato, a differenza del furto con strappo,
e' «destinato a trasmodare non gia' in  rapina  semplice,  bensi'  in
rapina aggravata ex art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod.  pen.,
titolo, quest'ultimo, per il quale la sospensione dell'esecuzione  e'
preclusa in virtu'  dell'inclusione  nell'elenco  dei  reati  di  cui
all'art. 4-bis, comma 1-ter, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative  e  limitative  della  liberta')»;  e  in   ragione   della
«particolare gravita' del fatto di  chi,  per  commettere  il  furto,
entri in un'abitazione altrui,  ovvero  in  altro  luogo  di  privata
dimora  o  nelle  sue  pertinenze,  e  della  speciale  pericolosita'
soggettiva manifestata dall'autore di un simile reato». 
    Tali considerazioni sarebbero trasponibili alla disposizione  ora
censurata, sicche' «la differenza di trattamento e il privilegio - in
punto di non applicabilita' del giudizio di equivalenza o  prevalenza
con attenuati comuni - dell'aggravante [di cui  all'art.  628,  terzo
comma, numero 3-bis), cod.  pen.]  non  sembra[no]  trasmodare  nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio atteso che  l'offensivita'
patrimoniale assume una  peculiare  connotazione  personalistica,  in
ragione dell'aggancio con l'inviolabilita' del  domicilio  assicurata
dall'art. 14 Cost., domicilio inteso come "proiezione spaziale  della
persona"». 
    2.2.- Il meccanismo derogatorio previsto dal censurato art.  628,
ultimo  comma,   cod.   pen.   non   impedirebbe   poi   al   giudice
un'individualizzazione della risposta sanzionatoria, non traducendosi
- diversamente dal congegno di cui all'art. 69,  quarto  comma,  cod.
pen. - nell'assoluta neutralizzazione  delle  circostanze  attenuanti
nel giudizio di commisurazione della pena.  E  invero,  «pur  essendo
precluso anche il giudizio di equivalenza  oltre  che  di  prevalenza
delle attenuanti, e' previsto che  le  diminuzioni  di  pena  per  le
attenuanti siano comunque apportate  "sulla  quantita'  della  stessa
risultante  dall'aumento  conseguente   alle   predette   circostanze
aggravanti"».  Il  che  escluderebbe  la  sussistenza   dei   vulnera
costituzionali evocati dall'ordinanza di rimessione. 
    2.3.- Non sussisterebbe, infine, alcuna irragionevole  disparita'
di trattamento, quanto alla possibilita' di sottrarre  al  meccanismo
di cui all'art. 628,  ultimo  comma,  cod.  pen.  l'attenuante  della
minore eta' di cui all'art. 98 cod. pen., ma  non  quella  del  vizio
parziale di mente di cui all'art. 89, essendo le due  situazioni  tra
loro disomogenee. 
    3.- Si e' costituita in giudizio C.G.  M.,  personalmente  e  con
l'assistenza  del  proprio  amministratore   di   sostegno   C.   P.,
ripercorrendo  adesivamente  le  argomentazioni   dell'ordinanza   di
rimessione e chiedendo l'accoglimento delle questioni  sollevate  dal
Tribunale di Torino. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale  di  Torino,
sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,
primo e terzo comma, Cost., questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 628, quinto comma, cod. pen., nella parte  in  cui  prevede
«il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza  attenuante
di cui all'art. 89 c.p. sulle  circostanze  aggravanti  indicate  dal
terzo comma, numero 3 bis della medesima disposizione». 
    La disposizione censurata recita: «[l]e  circostanze  attenuanti,
diverse da quella  prevista  dall'articolo  98,  concorrenti  con  le
aggravanti di cui  al  terzo  comma,  numeri  3),  3-bis),  3-ter)  e
3-quater), non  possono  essere  ritenute  equivalenti  o  prevalenti
rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantita'
della  stessa  risultante  dall'aumento  conseguente  alle   predette
aggravanti». 
    Il rimettente si duole del divieto per il giudice di  considerare
equivalente o prevalente la circostanza attenuante del vizio parziale
di mente di cui all'art. 89 cod. pen. - che viene  specificamente  in
considerazione  nel  giudizio  a  quo  -  rispetto  alla  circostanza
aggravante  speciale,  applicabile  al  delitto  di  rapina,  di  cui
all'art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen.;  aggravante  che
consiste nell'avere il soggetto agente commesso il fatto in  uno  dei
luoghi indicati dall'art. 624-bis cod. pen. (e cioe' in un edificio o
altro luogo destinato in tutto o in parte a privata  dimora  o  nelle
pertinenze di essa) o in luoghi tali  da  ostacolare  la  pubblica  o
privata difesa. 
    In sostanza, il rimettente articola tre censure: 
    - in primo  luogo,  la  disciplina  in  questione  parificherebbe
indebitamente, sul piano sanzionatorio, fatti connotati da differente
gravita' dal punto di vista soggettivo (art. 3 Cost.); 
    - in secondo luogo, essa  determinerebbe  l'irrogazione  di  pene
sproporzionate rispetto al grado di colpevolezza dell'imputato e, per
la  medesima  ragione,  non  rispettose  nemmeno  del  principio   di
personalita' della responsabilita' penale (artt.  3  e  27,  primo  e
terzo comma, Cost.); 
    - infine,  essa  risulterebbe  intrinsecamente  irragionevole,  e
pertanto in contrasto con l'art. 3  Cost.,  perche'  non  vi  sarebbe
alcuna ragione per distinguere  il  trattamento  dell'attenuante  del
vizio  parziale  di  mente  da  quello  riservato   dal   legislatore
all'attenuante della minore eta' di  cui  all'art.  98  cod.  pen.  -
ritenuta dal rimettente «per molti versi analoga»  a  quella  di  cui
all'art. 89 cod. pen. - che la disposizione  censurata  espressamente
eccettua dal divieto di equivalenza o  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti. 
    A ben guardare, peraltro, la  terza  censura  lamenta  non  tanto
l'intrinseca    irragionevolezza    della    disposizione,     quanto
l'irragionevole disparita' di trattamento  da  essa  creata  tra  due
circostanze attenuanti: l'una - l'art. 98 cod. pen.  -  espressamente
sottratta dal legislatore al  divieto  di  equivalenza  o  prevalenza
rispetto alle circostanze aggravanti elencate dall'art.  628,  quinto
comma, cod. pen.; l'altra - l'art. 89 cod. pen.  -  irragionevolmente
ricompresa in tale divieto, nonostante l'allegata identita' di ratio.
L'art. 98 cod. pen. e' dunque qui invocato, in effetti, come  tertium
comparationis di un giudizio triadico di irragionevole disparita'  di
trattamento tra due situazioni ritenute analoghe. 
    2.- Le prime due censure, che si prestano  ad  essere  affrontate
congiuntamente, non sono fondate. 
    2.1.- Il rimettente cita estesamente, nella propria ordinanza  di
rimessione, la sentenza n. 73 del 2020 di questa Corte, con la  quale
era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto
comma, cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  stabiliva  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale  di  mente
di cui all'art. 89 cod. pen. rispetto all'aggravante  della  recidiva
reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    In quell'occasione, si era rimarcato (punto 4.2. del  Considerato
in diritto) che «il principio di proporzionalita' della pena rispetto
alla gravita' del reato, da tempo affermato  da  questa  Corte  sulla
base di una lettura congiunta degli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.
[...] esige in via generale che la pena sia  adeguatamente  calibrata
non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per
gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal
fatto medesimo [...]. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in
maniera determinante non solo dal contenuto della volonta'  criminosa
(dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla
eventuale  presenza  di  fattori  che  hanno  influito  sul  processo
motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno rimproverabile». 
    «Tra tali fattori» - proseguiva la sentenza  -  «si  colloca,  in
posizione eminente, proprio  la  presenza  di  patologie  o  disturbi
significativi della personalita' (cosi' come  definiti  da  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 gennaio-8  marzo  2005,
n. 9163), come quelli che la scienza medico-forense  stima  idonei  a
diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacita' di intendere
e di volere dell'autore del reato. In tali ipotesi, l'autore puo' si'
essere punito per aver commesso  un  reato  che  avrebbe  pur  sempre
potuto  -  secondo  la  valutazione   dell'ordinamento   -   evitare,
attraverso un maggiore sforzo della  volonta';  ma  al  tempo  stesso
merita una punizione meno severa rispetto a  quella  applicabile  nei
confronti di chi si sia determinato a compiere una condotta identica,
in condizioni di normalita' psichica». 
    Sicche',   concludeva   la    sentenza,    «il    principio    di
proporzionalita' della pena desumibile dagli  artt.  3  e  27,  terzo
comma, Cost. esige [...] in via  generale,  che  al  minor  grado  di
rimproverabilita' soggettiva corrisponda una pena inferiore  rispetto
a quella che sarebbe applicabile a parita' di disvalore oggettivo del
fatto». E cio', come gia' osservato dalla precedente sentenza n.  222
del 2018 (punto  7.1.  del  Considerato  in  diritto),  «in  modo  da
assicurare altresi' che la pena appaia una risposta - oltre  che  non
sproporzionata -  il  piu'  possibile  "individualizzata",  e  dunque
calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione  del
mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale
di cui all'art. 27, primo comma, Cost.». 
    2.2.- Nel riaffermare tali principi (come gia' nelle sentenze  n.
55 del 2021, punto 8 del Considerato in diritto, e n. 197  del  2023,
punto 5.2.1. del Considerato in diritto), questa Corte deve  tuttavia
rilevare - conformemente a quanto osservato dall'Avvocatura  generale
dello Stato  -  che  il  divieto  previsto  dalla  disposizione  oggi
censurata differisce in modo essenziale rispetto a  quello  esaminato
nella sentenza n. 73 del 2020. 
    In effetti, l'art. 69, quarto comma, cod. pen. -  che  era  stato
oggetto di quella sentenza - stabiliva il  divieto  di  applicare  le
diminuzioni  di  pena  connesse  al  riconoscimento  di   circostanze
attenuanti, tra cui quella relativa al vizio parziale di mente di cui
all'art. 89 cod. pen., in presenza della circostanza aggravante della
recidiva reiterata. La disposizione ora censurata,  invece,  preclude
al giudice l'ordinario giudizio di bilanciamento tra  le  circostanze
ivi  specificamente  elencate  -  tra  cui  quella,  che   viene   in
considerazione nel giudizio a  quo,  prevista  dall'art.  628,  terzo
comma, numero 3-bis), cod. pen. - e qualsiasi circostanza attenuante,
con la sola esclusione di quella prevista all'art. 98 cod.  pen.;  ma
prevede, al  tempo  stesso,  che  il  giudice  effettui  la  relativa
diminuzione sulla pena risultante dall'applicazione delle  aggravanti
cosi' "blindate". 
    Tale meccanismo di calcolo nella sostanza riproduce quello che e'
stato in vigore per tutte le circostanze a  effetto  speciale  e  per
quelle  inerenti  alla  persona  del  colpevole  sino  alla   riforma
dell'art. 69 cod. pen. ad opera  dell'art.  6  del  decreto-legge  11
aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti  sulla  giustizia  penale),
convertito, con modificazioni, nella legge 7  giugno  1974,  n.  220;
meccanismo successivamente ripreso da numerose disposizioni  relative
a singole circostanze aggravanti, che il legislatore ha inteso  cosi'
sottrarre  a  possibili  esiti  di  soccombenza  o  anche   solo   di
equivalenza con attenuanti concorrenti. 
    2.3.- Questa Corte ha,  sinora,  sempre  escluso  che  un  simile
meccanismo  sia,  di  per   se',   incompatibile   con   i   principi
costituzionali di volta in volta evocati. 
    Si e' in proposito osservato che  «quando  ricorrono  particolari
esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale  il
diritto fondamentale e  personalissimo  alla  vita  e  all'integrita'
fisica, ben puo' il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle
circostanze richiedendo che vada calcolato  prima  l'aggravamento  di
pena di particolari  circostanze»,  dal  momento  che,  «[c]ome  gia'
evidenziato (sentenza n. 251 del 2012), "[d]eroghe  al  bilanciamento
[...]  sono  possibili  e  rientrano  nell'ambito  delle  scelte  del
legislatore"» (sentenza n. 88 del 2019, punto 13 del  Considerato  in
diritto, con riferimento al meccanismo di computo  delle  circostanze
di cui all'art. 590-quater cod. pen.; analogamente, sentenza  n.  117
del 2021, punto 9.4. del  Considerato  in  diritto,  in  relazione  a
quello di cui all'art. 624-bis, quarto comma, cod. pen.). 
    Decisiva nell'orientare la  valutazione  della  Corte  in  simili
ipotesi e' stata la considerazione che il meccanismo di calcolo degli
aggravamenti e  diminuzioni  di  pena  connessi  all'applicazione  di
circostanze di segno opposto produce si', nella generalita' dei casi,
un effetto di inasprimento  delle  sanzioni  applicabili  al  delitto
aggravato, conformemente del resto alle intenzioni  del  legislatore;
ma non esclude  affatto  che  il  giudice  applichi  in  concreto  la
diminuzione di pena connessa al  riconoscimento  di  attenuanti,  sia
pure  sulla  pena  gia'  aumentata  per  effetto  del  riconoscimento
dell'aggravante cosiddetta "blindata" . 
    2.4.-  La  predetta  considerazione  vale,  anche  nel  caso  ora
all'esame, a escludere la fondatezza  della  censura,  formulata  con
riferimento all'art. 3 Cost.,  di  irragionevole  equiparazione,  sul
piano sanzionatorio, di fatti di reato aventi disvalore differente, e
segnatamente  del  fatto  commesso  da  persona  in   condizioni   di
normalita' psichica, da un  lato,  e  da  persona  affetta  da  vizio
parziale di mente, dall'altro. 
    Dalla disposizione censurata non discende,  infatti,  una  totale
"neutralizzazione" della circostanza attenuante del vizio parziale di
mente, che il giudice dovra' comunque prendere in  considerazione  ai
fini della commisurazione della sanzione. 
    2.5.- Ne' e' fondata la doglianza relativa  alla  violazione  dei
principi di proporzionalita' e personalita' della pena, riconducibili
agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. 
    Questa   Corte   ha,   invero,   piu'   volte   sottolineato   la
problematicita' dei livelli sanzionatori stabiliti  in  via  generale
dal legislatore per taluni delitti contro il patrimonio, per i  quali
sono previsti minimi e massimi edittali di livello analogo, e  spesso
ben piu' elevato, di quelli contemplati per delitti che offendono  in
modo grave beni di carattere personale, come l'integrita' fisica o la
liberta'  sessuale  (sentenza  n.  190  del  2020,  punto  7.2.   del
Considerato in diritto; piu' recentemente, con specifico  riferimento
ai livelli sanzionatori previsti per il furto semplice  e  aggravato,
sentenza n. 259 del 2021, con un'ampia ricapitolazione - al punto 4 e
seguenti del Considerato in diritto -  delle  reiterate  perplessita'
espresse da questa Corte, gia' a partire dai primi anni Settanta,  su
tali previsioni sanzionatorie). 
    In questa sede, tuttavia,  non  e'  in  discussione  il  generale
trattamento sanzionatorio previsto per la rapina aggravata, bensi'  -
soltanto - un asserito eccesso sanzionatorio, al metro  dei  principi
di proporzionalita' e individualizzazione della pena, nella specifica
ipotesi di chi commetta  una  rapina  all'interno  di  un  domicilio,
essendo affetto da vizio parziale di mente. 
    Rispetto  a  tale  specifica  ipotesi,   la   gia'   sottolineata
applicabilita' della diminuzione di pena prevista dall'art.  89  cod.
pen.  esclude  che  si  debba  ritenere  violato  il   principio   di
individualizzazione della pena. 
    E  la  possibilita'  di   tenere   adeguatamente   conto,   nella
commisurazione della pena,  della  ridotta  colpevolezza  dell'autore
discendente dal suo vizio  parziale  di  mente  rende  parimenti  non
fondata  la  censura  di  violazione  del  canone  costituzionale   -
declinato  nella  sentenza  n.  73  del  2020   cui   il   rimettente
specialmente  si  richiama  -  secondo  cui  la  pena   deve   essere
proporzionata non solo al disvalore oggettivo del reato, ma anche  al
grado di colpevolezza del suo autore. 
    3.- E' invece fondata la censura di irragionevole disparita',  ai
sensi  dell'art.  3  Cost.,  fra  il  trattamento   riservato   dalla
disposizione censurata alla circostanza attenuante della minore  eta'
di  cui  all'art.  98  cod.  pen.,  rispetto   a   quello   riservato
all'attenuante del vizio parziale di mente di cui  all'art.  89  cod.
pen. 
    3.1.-    Il    legislatore,    nell'esercizio    della    propria
discrezionalita', ha previsto una specifica eccezione  alla  generale
operativita' del divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti
rispetto alle aggravanti menzionate dalla disposizione censurata,  in
favore soltanto della circostanza della minore eta' di  cui  all'art.
98 cod. pen. Occorre, pertanto, stabilire se sussista  una  «medesima
ratio derogandi» (da ultimo, sentenza n. 98 del 2023, punto 6.9.  del
Considerato in diritto) tale da rendere  contraria  al  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. la  mancata  estensione  di  tale
eccezione anche all'attenuante, che qui viene in considerazione,  del
vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen. 
    3.2.- Come evidenziato dal rimettente, i lavori preparatori della
legge n. 94 del 2009 - il cui  art.  3,  comma  27,  lettera  b),  ha
introdotto il censurato quinto comma dell'art. 628 cod.  pen.  -  non
chiariscono la ragione dell'emendamento (16.1), proposto  al  disegno
di legge AC 2180  in  sede  di  esame  delle  Commissioni  I  (Affari
costituzionali) e II (Giustizia)  riunite  in  sede  referente  della
Camera nella seduta del 28 aprile 2009, al quale si deve l'esclusione
dell'attenuante  di  cui  all'art.  98  cod.  pen.  dal  divieto   di
prevalenza o equivalenza stabilito dalla nuova disposizione. 
    Nel silenzio dei lavori preparatori, la  sottrazione  della  sola
attenuante della minore eta' a una disciplina a sua volta derogatoria
rispetto alla regola generale di cui all'art. 69 cod.  pen.  potrebbe
in ipotesi spiegarsi in ragione dei caratteri peculiari  del  diritto
penale  minorile,  affidato,  con  «scelta  [...]  costituzionalmente
vincolata», a  una  «giurisdizione  specializzata,  i  cui  operatori
[sono]  selezionati  anche  sulla  base  della  specifica  competenza
professionale in materia di minori, e che oper[a] secondo finalita' e
sulla base di regole  differenti  da  quelle  che  caratterizzano  la
giurisdizione penale ordinaria» (sentenza n. 2 del 2022,  punto  3.4.
del Considerato in  diritto).  Il  trattamento  penitenziario  per  i
condannati minorenni al momento del  fatto  si  svolge,  inoltre,  in
istituzioni distinte da quelle per gli adulti, sulla base  di  regole
speciali oggi stabilite dal decreto legislativo 2  ottobre  2018,  n.
121, recante «Disciplina dell'esecuzione delle pene nei confronti dei
condannati minorenni, in attuazione della delega di cui  all'art.  1,
commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103». 
    Tuttavia,  la  commisurazione  della  pena  nei   confronti   dei
condannati minorenni continua ad essere regolata dal  codice  penale,
sulla base delle medesime regole generali che vigono per gli  adulti,
con la  rilevante  eccezione  costituita  dal  divieto  di  applicare
l'ergastolo ai minori, per effetto della sentenza n. 168 del 1994  di
questa Corte. 
    E allora, dal momento  che  lo  scopo  sotteso  al  quinto  comma
dell'art. 628 cod. pen. ora  all'esame  e'  evidentemente  quello  di
assicurare a talune  ipotesi  di  rapina  aggravata  -  ritenute  dal
legislatore produttive di particolare allarme sociale - una pena piu'
severa  di  quella  cui  condurrebbe,  nella  generalita'  dei  casi,
l'applicazione dello stesso art. 69 cod. pen., la ratio della  deroga
a tale disciplina in favore dei condannati  minorenni  non  puo'  che
sottendere la valutazione, da parte  del  legislatore,  di  una  piu'
ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto  essendo
ancora minorenne, per quanto gia' giudicato imputabile dal giudice. 
    Tale ridotta meritevolezza di pena e',  d'altronde,  presunta  in
via generale dal legislatore nell'art. 98 cod. pen., ove  si  dispone
la diminuzione della pena sino ad un terzo in tutti i casi in cui  il
reato sia compiuto da una persona pur ritenuta capace di intendere  e
di volere, ma di eta' compresa tra i quattordici e i diciotto anni. 
    Il codice penale muove infatti  dal  dato  di  comune  esperienza
secondo cui i  ragazzi  in  quella  fascia  di  eta',  anche  laddove
possiedano  un  grado  di  maturita'   intellettiva   e   psicologica
sufficiente a consentir loro di comprendere il disvalore del reato  e
di orientare conformemente la propria condotta,  hanno  tuttavia  una
personalita' ancora in formazione (sentenza n. 168  del  1994,  punto
5.1. del Considerato in diritto), che in linea generale ne diminuisce
in misura significativa la capacita' di autocontrollo, quando  non  -
ancor prima - la stessa capacita' di discernere l'effettiva  gravita'
delle proprie condotte inosservanti della legge. Cio' rende il  fatto
di reato  dagli  stessi  commesso  meno  rimproverabile  rispetto  al
corrispondente fatto compiuto da un adulto; minore  rimproverabilita'
cui - nella stessa valutazione  del  legislatore  del  1930,  rimasta
inalterata sino ad oggi  -  deve  necessariamente  corrispondere  una
riduzione della pena sino a un terzo. 
    3.3.- Una tale diminuzione della colpevolezza  per  il  fatto  di
reato non puo', pero', non essere affermata anche con  riferimento  a
chi abbia agito  trovandosi  in  «tale  stato  di  mente  da  scemare
grandemente,  senza  escluderla,  la  capacita'  di  intendere  e  di
volere», come recita l'art. 89 cod. pen. 
    Lo stato di mente  cui  si  riferisce  quest'ultima  disposizione
sottende, infatti, un'anomalia psichica significativa, che  comprende
- in base alla consolidata interpretazione  della  giurisprudenza  di
legittimita' - le vere e proprie malattie mentali, nonche' i disturbi
della personalita' «di consistenza, intensita', rilevanza e  gravita'
tali da concretamente incidere sulla  capacita'  di  intendere  e  di
volere», e a condizione che  sussista  un  nesso  eziologico  con  la
specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato
sia  ritenuto  causalmente  determinato  dal  disturbo  mentale;  con
esclusione, comunque, di mere anomalie caratteriali o  alterazioni  e
disarmonie della personalita' che non presentino  i  caratteri  sopra
indicati (Cass., n. 9163 del 2005),  oltre  che  dei  disturbi  della
coscienza  e  della  volonta'  provocati   dall'abuso   di   sostanze
alcooliche o stupefacenti, in ogni ipotesi in cui tali effetti  siano
comunque riconducibili a una scelta rimproverabile all'autore  (artt.
92, 93 e 94 cod. pen.). 
    L'anomalia  psichica  cosi'  definita  deve  inoltre,  per  poter
rilevare ai sensi dell'art. 89 cod. pen.,  comportare  una  rilevante
compromissione della capacita' di intendere e di volere  dell'agente,
che deve in  conseguenza  risultare  "grandemente  scemata",  si'  da
determinare un «minore grado  di  discernimento  circa  il  disvalore
della propria condotta» e una  «minore  capacita'  di  controllo  dei
propri impulsi» (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.2. del  Considerato
in diritto). 
    A fronte di tale rilevante riduzione della capacita' di intendere
e  di  volere  dell'agente  -  cui  corrisponde,  come  la   dottrina
contemporanea   ampiamente   riconosce,   una    diminuzione    della
colpevolezza per il fatto - il codice penale, sin dal 1930, impone la
riduzione della pena sino a un terzo. 
    Identica e', dunque, la conseguenza  sulla  commisurazione  della
sanzione che due disposizioni parallele - gli artt. 89 e 98 cod. pen.
-, collocate nel medesimo capo del codice  penale,  ricollegano  alle
situazioni qui oggetto di raffronto; e identica appare la ratio delle
due diminuenti. 
    3.4.- D'altra parte,  a  vari  altri  fini  la  situazione  della
persona inferma di mente e' equiparata,  nell'ordinamento  penale,  a
quella del minorenne. Ad esempio, l'art. 112, primo comma, numero 4),
cod. pen. prevede un identico aggravamento di pena a  carico  di  chi
abbia concorso con un «minore di anni 18 o una persona  in  stato  di
infermita' o di deficienza psichica» nella commissione di un reato. 
    Ed e' certamente significativo che la legislazione piu' recente -
nel cosiddetto "Codice Rosso" (legge 19 luglio 2019, n.  69,  recante
«Modifiche al codice penale, al codice di procedura  penale  e  altre
disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica
e di genere») - abbia confermato questa equiparazione anche sotto  lo
specifico profilo, che qui  direttamente  rileva,  della  sottrazione
della diminuzione di pena stabilita tanto  dall'art.  89  cod.  pen.,
quanto dall'art. 98 cod. pen. al  meccanismo  di  "blindatura"  della
circostanza  aggravante  consistente   nell'essere   stato   commesso
l'omicidio nei confronti di un familiare o di una persona  legata  da
un rapporto  affettivo  (art.  577,  terzo  comma,  cod.  pen.,  come
introdotto dall'art. 11, comma 1, lettera c, della legge  n.  69  del
2019, recentemente esaminato da questa Corte con la sentenza  n.  197
del 2023). 
    3.5.- Si deve dunque ritenere che  non  superi  lo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale al metro dell'art. 3 Cost. la scelta  del
legislatore di non estendere al condannato affetto da vizio  parziale
di mente la stessa regola  derogatoria  prevista  per  il  condannato
minorenne. 
    Una  volta,  insomma,  che  il  legislatore  abbia  ritenuto   di
prevedere una specifica deroga  all'applicazione  del  meccanismo  di
computo delle circostanze previsto dall'art. 628, quinto comma,  cod.
pen. in favore dei minorenni, un imperativo di  coerenza,  per  linee
interne al sistema, esige che  tale  deroga  si  estenda  anche  alla
posizione, del tutto analoga sotto il profilo che qui  rileva,  degli
imputati affetti da vizio parziale di mente. 
    Rispetto a questi ultimi, anzi, le ragioni  dell'attenuazione  di
pena valgono a fortiori, dal momento che la notevole riduzione  della
capacita' di intendere e di volere della persona e' in questa ipotesi
oggetto di un accertamento caso per caso da  parte  del  giudice,  di
solito in esito a una perizia psichiatrica disposta d'ufficio; mentre
nel caso del minorenne e' lo stesso legislatore che  presume  in  via
generale la sua minore colpevolezza, una volta che ne  sia  accertata
una maturita' sufficiente a fargli comprendere il disvalore del fatto
e a dominare i propri impulsi - e cio' anche nell'ipotesi  limite  di
un ragazzo alla soglia del diciottesimo anno, psichicamente del tutto
maturo. 
    3.6.- In conclusione, l'art. 628, quinto comma,  cod.  pen.  deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in  cui
non consente di ritenere  prevalente  o  equivalente  la  circostanza
attenuante prevista dall'art. 89 cod. pen.,  allorche'  concorra  con
l'aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso  art.
628.