ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9,  comma
1, e 10, commi 1 e 2, del  decreto-legge  20  febbraio  2017,  n.  14
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  sicurezza   delle   citta'),
convertito, con modificazioni, nella legge 18  aprile  2017,  n.  48,
promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in
composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di G.  P.,
con ordinanza del 30 gennaio 2023, iscritta al  n.  28  del  registro
ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2023, la  cui  trattazione  e'
stata fissata per l'adunanza in camera di consiglio  del  23  gennaio
2024. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 gennaio  2024  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 gennaio 2023,  iscritta  al  n.  28  del
registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni  di
legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 10, comma 2, del decreto-legge 20 febbraio 2017,  n.
14 (Disposizioni urgenti  in  materia  di  sicurezza  delle  citta'),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48,  in
riferimento agli artt. 3, 16 e 117, primo comma, della  Costituzione,
quest'ultimo in  relazione  all'art.  2  del  Protocollo  n.  4  alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU); 
    b) degli artt. 9, comma 1, e 10, comma 1,  del  d.l.  n.  14  del
2017, come convertito, in riferimento all'art. 16 Cost.; 
    c)  dell'art.  9,  comma  1,  del  medesimo  decreto-legge,  come
convertito, in riferimento all'art. 3 Cost. 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito del  processo
nei confronti di una persona imputata del  reato  previsto  dall'art.
10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, per  non  aver
osservato il provvedimento del Questore  di  Firenze  che,  ai  sensi
della medesima disposizione, gli aveva vietato di  accedere  per  sei
mesi nella stazione ferroviaria Santa Maria  Novella,  nonche'  nella
piazza antistante e in due vie ad essa limitrofe. 
    Il rimettente riferisce altresi' che, alla luce delle  risultanze
processuali, il provvedimento si basava sul rilievo che  all'imputato
era  stata  applicata,  in  tre  precedenti  occasioni,  la  sanzione
amministrativa prevista dall'art. 9, comma 1,  del  d.l.  n.  14  del
2017, come convertito, con contestuale ordine di  allontanamento  dal
luogo, per  aver  impedito  l'accessibilita'  e  la  fruizione  delle
infrastrutture dell'anzidetta stazione: condotte dalle quali  si  era
ritenuto che potesse derivare un pericolo per la sicurezza, anche  in
ragione del fatto che il loro autore risultava «gravato da precedenti
di  polizia  per  numerosi  reati».  Nelle  predette  occasioni,   in
particolare,  l'interessato,  violando  i  divieti  di  stazionamento
nell'area ferroviaria, aveva richiesto, «con atteggiamento insistente
e fastidioso», denaro alle persone intente ad  acquistare  titoli  di
viaggio presso le macchine emettitrici automatiche o che utilizzavano
la scalinata di accesso alla stazione, impedendo  cosi'  la  regolare
fruizione di tali macchine e delle aree interne dell'infrastruttura. 
    Prima che spirasse il termine  di  operativita'  del  divieto  di
accesso disposto dal Questore, l'imputato  era  stato  trovato  dalle
forze dell'ordine nella piazza antistante lo scalo ferroviario, senza
fornire  alcuna  giustificazione  della   sua   presenza   in   loco.
Sussisterebbero, pertanto - ad  avviso  del  giudice  a  quo  -,  gli
estremi del reato contestato. 
    1.2.-  Il  rimettente  reputa  tuttavia  pregiudiziale,  rispetto
all'affermazione  della  responsabilita'  penale  dell'imputato,   la
verifica della conformita' a Costituzione degli artt. 9, comma  1,  e
10, commi 1 e 2, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito. 
    Secondo il giudice  a  quo,  le  questioni  sarebbero  rilevanti,
giacche',  ove  sopravvenisse  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale della normativa che fonda il potere  del  questore  di
adottare la misura di prevenzione la cui inosservanza e'  oggetto  di
accertamento nel giudizio principale,  cio'  varrebbe  a  «porre  nel
nulla» la misura medesima, con conseguente venir meno del reato. 
    1.3.-  Quanto,  poi,  alla  non  manifesta   infondatezza   delle
questioni, il giudice a quo osserva che il d.l. n. 14 del 2017,  come
convertito, nel prefigurare un complesso di interventi urgenti  volti
a salvaguardare la sicurezza delle citta', ha introdotto, all'art. 9,
nuove «[m]isure a tutela del decoro di particolari luoghi». 
    Il comma 1 di tale articolo assoggetta,  in  specie,  a  sanzione
amministrativa pecuniaria  chiunque,  in  violazione  di  divieti  di
stazionamento o di occupazione di spazi, ponga in essere condotte che
impediscono l'accessibilita' e la fruizione delle infrastrutture  dei
servizi di trasporto ivi indicati.  Contestualmente  all'accertamento
della condotta  illecita,  viene  inoltre  ordinato  al  trasgressore
l'allontanamento dal luogo in cui e' stato commesso il fatto:  ordine
che - come specificato dall'art. 10, comma 1 - ha  una  efficacia  di
quarantotto ore e la cui violazione  comporta  un'ulteriore  sanzione
amministrativa pecuniaria. 
    In  forza  del  comma  2  dell'art.  9,   il   provvedimento   di
allontanamento e' disposto, altresi', nei  confronti  di  chi,  nelle
stesse aree, commetta gli illeciti di ubriachezza, atti contrari alla
pubblica decenza, commercio abusivo, esercizio abusivo dell'attivita'
di parcheggiatore o guardamacchine e vendita senza autorizzazione  di
biglietti di accesso a manifestazioni sportive. 
    Il comma 3 prevede, poi, che  i  regolamenti  di  polizia  urbana
possano individuare ulteriori aree urbane, aventi le destinazioni ivi
elencate  (presidi  sanitari,  scuole,  plessi  scolastici   e   siti
universitari,  musei  e  via  dicendo),   alle   quali   si   estende
l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti. 
    A propria volta,  l'art.  10  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito,  dopo  aver  disciplinato,  al  comma  1,   l'ordine   di
allontanamento  adottato  dagli  organi  accertatori  ai  sensi   del
precedente  articolo  (prevedendone  in  specie  la  trasmissione  al
questore), stabilisce, al comma 2, che «[n]ei  casi  di  reiterazione
delle condotte di cui all'articolo 9,  commi  1  e  2,  il  questore,
qualora  dalla  condotta  tenuta  possa  derivare  pericolo  per   la
sicurezza, puo' disporre, con provvedimento motivato, per un  periodo
non superiore a dodici mesi, il divieto di  accesso  ad  una  o  piu'
delle aree di  cui  all'articolo  9,  espressamente  specificate  nel
provvedimento,  individuando,  altresi',  modalita'  applicative  del
divieto compatibili con le esigenze di mobilita', salute e lavoro del
destinatario dell'atto». La violazione del divieto e' punita  con  la
pena dell'arresto da sei mesi a un anno. 
    I  citati  articoli  delineerebbero,  quindi,  in  sostanza,  una
«fattispecie  a  formazione  progressiva»,  nella  quale  le   misure
approntate a tutela della sicurezza urbana sono  via  via  aggravate,
fino a culminare - nel  caso  di  violazione  del  provvedimento  del
questore (cosiddetto DASPO urbano) - in un reato contravvenzionale. 
    1.4.- A parere del giudice a  quo,  la  normativa  ora  ricordata
genererebbe  plurimi  dubbi  di  legittimita'  costituzionale.   Essi
investirebbero,  anzitutto,  la  misura  del   divieto   di   accesso
contemplata dall'art. 10, comma 2, del d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito. 
    1.4.1.- Il provvedimento del questore comporterebbe, infatti, una
limitazione  della  liberta'  di   circolazione   del   destinatario,
inibendogli per un lungo periodo di tempo l'accesso  ad  alcune  aree
cittadine, di norma liberamente fruibili. 
    Nel garantire la liberta' di circolazione dei  cittadini,  l'art.
16 Cost. fa salve,  peraltro,  solo  «le  limitazioni  che  la  legge
stabilisce in via generale per motivi di  sanita'  o  di  sicurezza».
Escluso che nell'ipotesi in  esame  vengano  in  rilievo  «motivi  di
sanita'», quanto ai motivi di «sicurezza» il rimettente  rileva  come
questa Corte abbia chiarito, fin dagli inizi della sua attivita', che
al termine «sicurezza» va attribuito  il  significato  di  situazione
nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto e' possibile,  il
pacifico esercizio dei diritti garantiti  dalla  Costituzione,  senza
essere minacciati  da  offese  alla  propria  personalita'  fisica  o
morale: si tratta, dunque, dell'«ordinato vivere civile»  (e'  citata
la sentenza n. 2 del 1956). 
    La disposizione censurata, nel subordinare il divieto di accesso,
oltre che alla reiterazione delle condotte di cui all'art. 9, commi 1
e 2, alla circostanza  che  «dalla  condotta  tenuta  possa  derivare
pericolo  per  la  sicurezza»,  farebbe  tuttavia  riferimento  a  un
concetto di sicurezza molto piu' ampio di quello ora indicato. L'art.
4 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, stabilisce, infatti,  che
per «sicurezza urbana» deve intendersi, ai fini del medesimo decreto,
«il bene pubblico che afferisce alla vivibilita' e  al  decoro  delle
citta',   da    perseguire    anche    attraverso    interventi    di
riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e  recupero
delle aree o  dei  siti  degradati,  l'eliminazione  dei  fattori  di
marginalita'  e  di  esclusione   sociale,   la   prevenzione   della
criminalita', in particolare di tipo predatorio, la promozione  della
cultura del rispetto della legalita' e l'affermazione di piu' elevati
livelli di coesione  sociale  e  convivenza  civile,  cui  concorrono
prioritariamente,  anche  con  interventi  integrati,  lo  Stato,  le
Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali,
nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni». 
    Al riguardo, il  giudice  a  quo  ricorda  come  questa  Corte  -
chiamata a pronunciarsi su leggi regionali per denunciata  violazione
del  riparto  di  competenze  di  cui  all'art.  117  Cost.  -  abbia
sottolineato che il d.l. n. 14 del 2017, come convertito, ha  accolto
un'ampia  accezione  della  sicurezza,  che  vede   affiancata   alla
sicurezza in senso stretto (o primaria), costituente il  nucleo  duro
della competenza legislativa esclusiva  statale  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera h), Cost., una sicurezza in senso lato (o
secondaria),   atta    a    ricomprendere    funzioni    intrecciate,
corrispondenti a plurime competenze legislative  di  spettanza  anche
regionale (e' citata la sentenza n. 285 del 2019). 
    Di la' dagli  aspetti  inerenti  al  riparto  di  competenze,  si
sarebbe - secondo il rimettente -  al  cospetto  di  un  concetto  di
sicurezza «onnivoro», che abbraccia, oltre agli interessi  essenziali
per il mantenimento di una ordinata convivenza civile, anche  profili
di carattere estetico o afferenti ai costumi, come il «decoro». 
    Vari elementi deporrebbero,  d'altro  canto,  nel  senso  che  la
«sicurezza» cui allude  l'art.  10,  comma  2,  debba  essere  intesa
proprio in questo significato molto ampio: il Capo  II  del  decreto,
entro il quale la disposizione e' collocata, fa espresso riferimento,
infatti, nel titolo al «decoro urbano»;  l'art.  9,  che  prevede  le
condotte la cui reiterazione legittima il provvedimento del questore,
reca la rubrica «[m]isure a tutela del decoro di particolari luoghi»;
la stessa natura di alcune di tali condotte evocherebbe interessi che
esorbitano dai  presupposti  di  un  ordinato  vivere  civile;  nella
disposizione  censurata,  inoltre,  il  termine  «sicurezza»  non  e'
accompagnato dall'aggettivo «pubblica», ne' associato al concetto  di
«ordine». 
    Si dovrebbe, quindi, concludere che la norma in discorso consente
limitazioni alla liberta' di circolazione in funzione  di  tutela  di
interessi (la sicurezza urbana) che trascendono la sicurezza  cui  ha
riguardo l'art. 16 Cost., violando di conseguenza quest'ultimo. 
    1.4.2.-   Il   vulnus   denunciato   risulterebbe   ulteriormente
accentuato dal fatto che l'art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017,
come convertito, non  esige  neppure,  ai  fini  dell'adozione  della
misura,  che  sussista  un  pericolo  per  la  sicurezza,  pur  cosi'
latamente intesa, e cioe' che sia probabile la  verificazione  di  un
pregiudizio per l'interesse avuto di mira, ma richiede  semplicemente
che dalla condotta tenuta «possa derivare pericolo per la sicurezza»,
rendendo quindi sufficiente «una mera possibilita' non qualificata». 
    Cio' indurrebbe  a  dubitare  della  legittimita'  costituzionale
della   norma    anche    in    riferimento    al    «principio    di
proporzionalita'/ragionevolezza     dell'intervento     legislativo»,
desumibile  dall'art.  3  Cost.:  verrebbe,   infatti,   imposto   un
sacrificio a un diritto fondamentale senza che cio' sia  strettamente
necessario, essendo solo eventuale il pericolo per l'interesse che il
legislatore intende tutelare (interesse delineato, per di  piu',  «in
termini particolarmente generici, quasi onnicomprensivi»). 
    1.4.3.- La descrizione in  termini  molto  ampi  e  generici  dei
presupposti   della   misura   lascerebbe,   inoltre,   all'autorita'
amministrativa eccessivi margini di apprezzamento, in  contrasto  con
il principio affermato dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso  contro  Italia,  proprio
con riguardo alla liberta' di circolazione tutelata dall'art. 2 Prot.
n. 4 CEDU: principio secondo cui ogni norma che costituisca  la  base
legale di un'interferenza nei diritti fondamentali della persona deve
essere connotata da sufficiente precisione e determinatezza,  si'  da
offrire effettiva protezione contro le ingerenze arbitrarie da  parte
delle autorita' pubbliche. 
    Nella specie, la «non chiarissima» descrizione della condotta  di
cui all'art. 9, comma 1, il concetto «onnivoro o quanto meno ambiguo»
di sicurezza recepito dall'art. 10, comma 2, e la circostanza che sia
sufficiente un pericolo anche solo eventuale per la sicurezza  stessa
al fine di legittimare il provvedimento del questore, sarebbero tutti
elementi che contribuiscono a rendere la norma  non  sufficientemente
precisa e determinata, lasciando di conseguenza  l'individuo  esposto
al sostanziale arbitrio dell'autorita' amministrativa. 
    1.4.4.- Gli elementi dianzi indicati, di  carattere  letterale  e
sistematico, non consentirebbero, d'altra parte, una  interpretazione
della disposizione  censurata  conforme  ai  principi  costituzionali
evocati: si tratterebbe, infatti, «di stravolgerne la portata  e  non
semplicemente d'interpretarla». 
    1.5.- Il rimettente dubita, in secondo luogo, della  legittimita'
costituzionale   della   misura   dell'ordine   di    allontanamento,
disciplinata dagli artt. 9, comma 1, e 10, comma 1, del  d.l.  n.  14
del 2017, come convertito. 
    1.5.1.- A parere del giudice a quo, tale misura  si  porrebbe  in
contrasto, in modo ancor piu' evidente, con l'art. 16 Cost. Se l'art.
10, comma 2, subordina il provvedimento di  divieto  di  accesso  del
questore,  sia  pure  con  le  criticita'   dianzi   indicate,   alla
sussistenza di un possibile pericolo per la sicurezza, le  norme  ora
in   esame,   nel   prevedere   che   l'organo   accertatore   ordini
l'allontanamento del trasgressore per quarantotto ore  dal  luogo  in
cui e' stata  tenuta  la  condotta  illecita  -  misura  da  reputare
anch'essa limitativa della liberta' di circolazione -, non fanno, per
converso, alcun cenno a possibili motivi di sicurezza (o di sanita'). 
    L'ordine in discorso - qualificabile, secondo il rimettente, come
misura di prevenzione atipica - consegue quindi automaticamente  alla
rilevazione delle condotte di cui ai commi 1 e 2 dell'art.  9,  senza
che l'organo accertatore abbia alcun potere di apprezzamento: profilo
del quale, in  fase  di  conversione  del  decreto-legge,  lo  stesso
Servizio studi della Camera dei deputati aveva posto in  evidenza  la
criticita', ricordando come questa Corte abbia piu' volte  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  delle   presunzioni   assolute   di
pericolosita' sociale. 
    1.5.2.- Per altro verso, benche'  il  giudizio  a  quo  abbia  ad
oggetto il reato integrato dalla violazione del  divieto  di  accesso
disposto dal questore, e non gia' dell'ordine di  allontanamento,  la
questione sarebbe - a parere del rimettente - egualmente rilevante. 
    Come gia' posto in evidenza, infatti, gli artt. 9 e 10  del  d.l.
n. 14 del 2017, come convertito, delineerebbero  una  «fattispecie  a
formazione progressiva», caratterizzata da un  graduale  inasprimento
delle misure a tutela della  sicurezza  urbana.  Ne  seguirebbe  che,
indipendentemente dal dato letterale dell'art.  10,  comma  2  -  che
collega  il  provvedimento  del  questore  alla  reiterazione   delle
condotte e al possibile pericolo per la  sicurezza,  e  non  pure  ai
precedenti provvedimenti di allontanamento -, qualora le disposizioni
che    contemplano    tale    ultima    misura    fossero    ritenute
costituzionalmente illegittime, «l'intero costrutto», e quindi  anche
la norma che contempla il provvedimento del questore, «perderebbe[ro]
ragionevolezza». 
    1.5.3.- Anche in questo caso, inoltre, non sarebbe possibile  una
interpretazione costituzionalmente orientata delle  norme  censurate,
le quali impongono chiaramente all'organo  accertatore  di  impartire
l'ordine di allontanamento nel momento  in  cui  rileva  la  condotta
illecita, a prescindere da qualsiasi riferimento a  pericoli  per  la
sicurezza. 
    1.6.- Il rimettente ravvisa,  infine,  un  ulteriore  profilo  di
illegittimita' costituzionale,  per  violazione  dell'art.  3  Cost.,
nell'individuazione delle  condotte  illecite  operata  dall'art.  9,
comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito. 
    1.6.1.-  Il  legislatore  ha,  infatti,  previsto   l'ordine   di
allontanamento e il provvedimento di divieto di accesso nei confronti
di chi, violando divieti di stazionamento o di occupazione di  spazi,
tenga condotte che impediscano l'accessibilita' e la fruizione  delle
infrastrutture dei  trasporti:  condotte  che  potrebbero  non  avere
alcuna rilevanza penale, cosi' come non  hanno  rilevanza  penale  le
condotte, contemplate dal comma 2 dello stesso art. 9 - non  incluso,
peraltro,  dal  rimettente  fra  le  disposizioni   sottoposte   allo
scrutinio di questa Corte  -,  di  ubriachezza,  atti  contrari  alla
pubblica decenza e via  dicendo.  Analoghe  misure  non  sono  invece
previste a carico di coloro che, nelle stesse aree, commettano  fatti
ben piu' pericolosi per la sicurezza e penalmente rilevanti. 
    Le misure in questione si applicherebbero, cosi', al clochard che
dorma in  terra,  in  corrispondenza  di  uno  degli  ingressi  della
stazione  ferroviaria,  impedendo  l'accesso  a  quest'ultima,  o  al
questuante collocato davanti alla biglietteria automatica (come  pure
all'ubriaco, non necessariamente molesto, che viaggi a  bordo  di  un
tram e al venditore di oggetti minuti che  operi  nell'atrio  di  una
fermata della metropolitana),  mentre  ne  resta  esente  chi,  nelle
medesime aree,  partecipi  a  risse  o  commetta  fatti  di  minacce,
percosse, lesioni, porto  di  armi  bianche  o  di  oggetti  atti  ad
offendere senza giustificato motivo. Si tratta di reati per  i  quali
l'arresto in flagranza non e' consentito,  o  e'  consentito  solo  a
talune condizioni, le quali  potrebbero  non  ricorrere:  sicche'  la
funzione preventiva non potrebbe essere assolta dall'arresto. 
    Ne' a tale carenza potrebbe supplire la previsione dell'art.  10,
comma 5, del d.l. n. 14 del  2017,  come  convertito,  in  base  alla
quale, nei casi  di  condanna  per  reati  contro  la  persona  o  il
patrimonio commessi nei luoghi e nelle aree di  cui  all'art.  9,  la
concessione della sospensione condizionale  della  pena  puo'  essere
subordinata all'osservanza  del  divieto,  imposto  dal  giudice,  di
accedere a luoghi o aree specificamente individuati.  Il  divieto  in
parola potrebbe essere, infatti, disposto solo quando venga  concessa
la sospensione condizionale della pena e  unicamente  in  rapporto  a
reati contro la persona o il patrimonio.  Esso  diverrebbe,  in  ogni
caso, operativo solo con il passaggio in giudicato della sentenza,  e
quindi dopo un lungo lasso di  tempo,  quando  invece,  a  fronte  di
condotte meno gravi, quali quelle descritte dai commi 1 e 2 dell'art.
9, il provvedimento e' adottato dal questore in tempi prevedibilmente
piu' veloci ed e' immediatamente esecutivo. 
    1.6.2.- Il rimettente esclude, di nuovo, che  sia  possibile  una
interpretazione conforme a  Costituzione,  stante  il  dato  testuale
della disposizione censurata. 
    1.7.- A fronte  della  tipologia  e  della  pluralita'  dei  vizi
denunciati,  il  giudice  a  quo  ritiene  conclusivamente  di  dover
chiedere a questa Corte una pronuncia a  carattere  ablativo,  e  non
gia'  manipolativo,  rilevando  come  essa  non   darebbe   luogo   a
insostenibili vuoti di tutela per gli interessi tutelati. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha chiesto che  le  questioni  siano  dichiarate  non
fondate. 
    2.1.- Ad avviso della  difesa  dell'interveniente,  le  questioni
sollevate in riferimento agli artt. 16  e  117,  primo  comma,  Cost.
(quest'ultimo in relazione all'art. 2 Prot.  n.  4  CEDU)  potrebbero
essere   agevolmente   superate,   sulla   base   di   una    diversa
interpretazione della nozione di «sicurezza» cui ha  riguardo  l'art.
10 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito. 
    A tal proposito,  l'Avvocatura  dello  Stato  rileva  che  questa
Corte,  con  la  sentenza  n.  195  del  2019,  pronunciandosi  sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1,  lettera  a),  del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia
di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza  pubblica,
nonche' misure per la  funzionalita'  del  Ministero  dell'interno  e
l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia  nazionale   per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni,  nella
legge 1° dicembre 2018, n. 132  -  che  ha  aggiunto  all'elenco  dei
luoghi di cui all'art. 9, comma 3, del d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito,  i  «presidi  sanitari»  e  le   «aree   destinate   allo
svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli»  -  ha  affermato
che la disposizione in questione persegue «la finalita' di evitare le
turbative dell'ordine pubblico nelle aree alle quali  il  regolamento
di polizia puo'  estendere  l'applicabilita'  del  DASPO  urbano»,  e
pertanto  concerne  la   materia   ordine   pubblico   e   sicurezza,
appartenente alla competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  ai
sensi dell'art. 117, primo comma, lettera h), Cost. 
    La necessita' di interpretare in senso restrittivo la nozione  in
discorso sarebbe sostenuta anche dalla giurisprudenza amministrativa,
la quale ha ritenuto  illegittimo  il  provvedimento  di  divieto  di
accesso adottato dal questore qualora la sua  motivazione  non  renda
palesi le ragioni per le quali la condotta contestata al trasgressore
sarebbe idonea a causare un pericolo per la sicurezza pubblica. 
    Il concetto di sicurezza cui fa riferimento  il  citato  art.  10
coinciderebbe quindi, in sostanza, con quello di  «ordine  pubblico»:
il che renderebbe la disciplina censurata pienamente  rispettosa  del
dettato  dell'art.  16  Cost.,  escludendone,  al  tempo  stesso,  la
paventata  incompatibilita'  con  la  garanzia  della   liberta'   di
circolazione assicurata dall'art. 2 Prot. n. 4 CEDU. 
    2.2.-  Infondate  sarebbero  anche  le  censure  prospettate  dal
giudice a quo in riferimento all'art. 3 Cost. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, per l'adozione del  divieto  di
accesso sarebbe espressamente richiesto l'accertamento  del  pericolo
per  la  sicurezza,  quale   requisito   aggiuntivo   rispetto   alla
reiterazione delle  condotte  che  hanno  dato  luogo  all'ordine  di
allontanamento: il che renderebbe privo di fondamento  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale afferente alla mancata  previsione  della
necessaria sussistenza  di  un  simile  pericolo.  Il  controllo  del
giudice penale che, in sede di applicazione della norma che  sanziona
la violazione del provvedimento del  questore,  deve  preliminarmente
accertarne  la  legittimita',  varrebbe  altresi'  a  scongiurare  il
rischio, prospettato nell'ordinanza di rimessione, che si irroghi una
sanzione penale  sulla  base  di  una  valutazione  arbitraria  della
pericolosita'    del    soggetto    destinatario    dell'ordine    di
allontanamento. 
    Anche la censura di violazione dell'art. 3 Cost.  per  disparita'
di trattamento rispetto a  condotte  piu'  pericolose,  talune  delle
quali penalmente rilevanti, risulterebbe priva di pregio. 
    In primo luogo, infatti, gli artt. 13 e 13-bis dello stesso  d.l.
n. 14  del  2017,  come  convertito,  prevedono  la  possibilita'  di
adottare un divieto di  accesso  a  pubblici  esercizi  e  locali  di
pubblico intrattenimento, nonche' di  stazionamento  nelle  immediate
vicinanze degli stessi, nei confronti di autori di reati  in  materia
di stupefacenti, contro la persona o contro il patrimonio. 
    In secondo luogo, poi, nel prospettare il  vulnus  costituzionale
in parola, il giudice a quo avrebbe preso in considerazione tipologie
di reato molto diverse, non aventi carattere  abituale  o  reiterato.
Tali condotte non sarebbero  assimilabili  ai  comportamenti  molesti
tenuti in  alcune  zone  «sensibili»  delle  aree  urbane,  presi  in
considerazione dalla disciplina censurata, i quali, pur  non  essendo
penalmente rilevanti, per loro  abitualita'  e  reiterazione  possono
intralciare la fruizione del trasporto pubblico. 
    3.- L'Avvocatura dello Stato ha ribadito la propria  richiesta  e
le proprie difese con successiva memoria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima  penale,  in
composizione monocratica, solleva tre distinti gruppi di questioni di
legittimita'  costituzionale,  concernenti  le   particolari   misure
introdotte dagli artt.  9  e  10  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito. 
    1.1.- Il giudice a quo dubita, in primo luogo, della legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 2, del citato  decreto,  in  forza
del quale, nei casi di reiterazione delle condotte di cui all'art. 9,
commi 1 e 2,  il  questore,  «qualora  dalla  condotta  tenuta  possa
derivare pericolo per la sicurezza», puo' disporre,  per  un  periodo
non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso a una o piu' delle
aree di cui all'art. 9 (cosiddetto DASPO urbano). 
    Ad avviso del rimettente,  la  norma  censurata  si  porrebbe  in
contrasto, anzitutto, con l'art. 16 Cost., in quanto, nel subordinare
l'applicazione della misura alla sussistenza di un possibile pericolo
per la sicurezza, farebbe riferimento  a  un  concetto  di  sicurezza
molto  piu'  ampio   di   quello   contemplato   dalla   disposizione
costituzionale quale ragione di possibili limitazioni  alla  liberta'
di circolazione: concetto da intendere, in base alle  indicazioni  di
questa Corte, come garanzia della liberta' dei cittadini di  svolgere
le loro attivita' al riparo da offese alla loro personalita' fisica e
morale.  La  misura   prefigurata   dalla   disposizione   in   esame
costituirebbe, infatti, uno  strumento  di  tutela  della  «sicurezza
urbana», quale definita dall'art. 4 del d.l. n.  14  del  2017,  come
convertito: nozione che esorbita  dal  mantenimento  dei  presupposti
dell'ordinato vivere civile, abbracciando anche profili di  carattere
estetico o attinenti ai costumi, quale il «decoro urbano». 
    Sarebbe  violato,  altresi',  l'art.  3  Cost.,  per  difetto  di
ragionevolezza e proporzionalita' della misura, in  quanto  la  norma
denunciata  non  esige  nemmeno  che  sussista  un  pericolo  per  la
sicurezza cosi' largamente intesa, e cioe' che  appaia  probabile  la
verificazione di un pregiudizio per essa, ma richiede soltanto che vi
sia la possibilita', non qualificata, di tale pericolo. Verrebbe,  di
conseguenza, imposto un sacrificio a un  diritto  fondamentale  senza
che cio' sia strettamente necessario, essendo meramente eventuale  il
pericolo per l'interesse che il legislatore ha inteso tutelare. 
    La norma censurata si  porrebbe  in  contrasto,  da  ultimo,  con
l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2  Prot.  n.  4
CEDU,  concernente  la  liberta'  di  circolazione,  in  quanto   non
individuerebbe  con   sufficiente   precisione   i   presupposti   di
applicazione della misura. La  «non  chiarissima»  descrizione  della
condotta di cui all'art. 9, comma 1, il concetto «onnivoro  o  quanto
meno ambiguo» di sicurezza e il fatto che, ai fini dell'adozione  del
divieto di accesso,  basti  un  pericolo  anche  solo  eventuale  per
quest'ultima, attribuirebbero, infatti, margini  di  discrezionalita'
troppo ampi  alle  autorita'  amministrative,  in  contrasto  con  il
principio affermato dalla Corte EDU nella sentenza 23 febbraio  2017,
De Tommaso contro Italia. 
    1.2.- Il rimettente dubita, in secondo luogo, della  legittimita'
costituzionale degli artt. 9, comma 1, e 10, comma 1, del d.l. n.  14
del 2017, come convertito, i  quali  prevedono  che,  contestualmente
all'accertamento delle condotte illecite  di  cui  ai  commi  1  e  2
dell'art.   9,   l'organo   accertatore   ordini   al    trasgressore
l'allontanamento per quarantotto  ore  dal  luogo  in  cui  e'  stato
commesso il fatto. 
    Tali disposizioni violerebbero in modo ancor piu' evidente l'art.
16  Cost.,  in  quanto  l'applicazione  della  misura  in  questione,
limitativa anch'essa della liberta'  di  circolazione,  conseguirebbe
automaticamente  alla  rilevazione   delle   condotte   illecite,   a
prescindere da ogni collegamento con motivi di sicurezza (o  sanita')
e  senza  lasciare  alcun   margine   di   apprezzamento   all'organo
accertatore. 
    1.3.- Da ultimo, il Tribunale fiorentino censura l'individuazione
delle condotte illecite  suscettibili  di  dar  luogo  all'ordine  di
allontanamento e al divieto di accesso, operata dall'art. 9, comma 1,
del d.l. n. 14 del 2017, come  convertito,  reputandola  contrastante
con l'art. 3 Cost. 
    Sarebbe, infatti, irragionevole colpire con le misure in discorso
chi, violando divieti di stazionamento o  di  occupazione  di  spazi,
tenga condotte che impediscano l'accessibilita' e la fruizione  delle
infrastrutture  dei  trasporti  -  condotte  normalmente   prive   di
rilevanza penale - quando invece analoghe misure  non  sono  previste
nei confronti di chi, nelle stesse aree, ponga in essere condotte ben
piu' pericolose  per  la  sicurezza  e  penalmente  rilevanti,  quali
partecipazione a risse, minacce, percosse,  lesioni,  porto  di  armi
bianche o di oggetti atti ad offendere senza giustificato motivo. 
    2.-  Prodromica  all'analisi  delle  singole  questioni  e'   una
sintetica ricostruzione del panorama normativo di riferimento. 
    Le  questioni  vertono   sui   due   istituti   -   l'ordine   di
allontanamento e il divieto di accesso a specifiche aree cittadine  -
introdotti dagli artt.  9  e  10  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito  (disposizioni  successivamente  interessate  da   plurime
modifiche di  segno  ampliativo),  nel  quadro  di  un  complesso  di
interventi urgenti finalizzati -  secondo  quanto  si  afferma  nella
premessa del provvedimento - «a rafforzare la sicurezza delle  citta'
e la vivibilita' dei territori», nonche' «al mantenimento del  decoro
urbano». 
    Gli istituti in parola - e particolarmente il secondo -  assumono
come archetipo il divieto di accesso inteso a contrastare i  fenomeni
di violenza nel corso delle manifestazioni sportive (DASPO), previsto
dall'art. 6 della legge 13 dicembre  1989,  n.  401  (Interventi  nel
settore del giuoco e  delle  scommesse  clandestini  e  tutela  della
correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) e ascritto,
per communis opinio, al novero delle misure di prevenzione  personali
atipiche. 
    Nella specie, l'idea di  fondo  -  espressa  nella  relazione  al
disegno di legge di conversione C. 4310 - e' che uno dei fattori  del
degrado  delle   citta'   sia   rappresentato   dall'occupazione   di
determinate aree pubbliche,  particolarmente  «sensibili»  in  quanto
costituenti «punti nevralgici della mobilita'»,  o  comunque  sia  ad
alta  frequentazione,  da  parte  di  soggetti   che,   stazionandovi
indebitamente e spesso svolgendo  attivita'  abusive  o  moleste,  ne
compromettono la libera e piena fruibilita', contribuendo con cio'  a
creare un senso di insicurezza negli utenti. Fenomeno in relazione al
quale - sempre secondo la citata relazione - «si registra difficolta'
o   inopportunita'   di   intervenire   con   forme    esclusivamente
sanzionatorie». 
    Le aree prese in considerazione a  tal  fine  sono  primariamente
quelle serventi rispetto ai servizi di trasporto: in specie, le  aree
interne delle infrastrutture ferroviarie, aeroportuali,  marittime  e
di trasporto pubblico  locale,  urbano  ed  extraurbano,  nonche'  le
relative pertinenze (art. 9, comma 1, del d.l. n. 14 del  2017,  come
convertito). E', peraltro, previsto  che  i  regolamenti  di  polizia
urbana possano estendere le misure  in  discorso  ad  ulteriori  aree
urbane  "sensibili",   da   essi   specificamente   individuate:   in
particolare, quelle  «su  cui  insistono  presidi  sanitari,  scuole,
plessi  scolastici  e  siti  universitari,  musei,  aree   e   parchi
archeologici, complessi monumentali o altri istituti e  luoghi  della
cultura o comunque  interessati  da  consistenti  flussi  turistici»,
nonche'  quelle  «destinate  allo  svolgimento  di  fiere,   mercati,
pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico» (art. 9,  comma
3). 
    Il meccanismo di tutela e' articolato. 
    L'art.  9,  comma  1,  assoggetta   a   sanzione   amministrativa
pecuniaria da cento a trecento  euro  chiunque,  «in  violazione  dei
divieti di stazionamento o di occupazione di spazi», ponga in  essere
«condotte che impediscono l'accessibilita' e la fruizione» delle aree
considerate.   Contestualmente   all'accertamento   della    condotta
illecita, al trasgressore viene inoltre ordinato l'allontanamento dal
luogo in cui e' stato commesso il fatto. Come precisato dall'art. 10,
comma 1, l'ordine e' impartito per iscritto dall'organo  accertatore,
deve essere motivato e cessa di avere efficacia  decorse  quarantotto
ore dall'accertamento. La sua violazione da'  luogo  all'applicazione
di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo doppio. 
    In  forza  del  comma  2  dell'art.  9,   il   provvedimento   di
allontanamento e' altresi'  adottato  nei  confronti  di  chi,  nelle
medesime aree, commetta gli illeciti di  ubriachezza  (art.  688  del
codice penale), atti contrari alla pubblica decenza  (art.  726  cod.
pen.),  esercizio  abusivo  del  commercio  (art.  29   del   decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante «Riforma della  disciplina
relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma  4,
della legge 15 marzo 1997, n. 59»), esercizio abusivo  dell'attivita'
di parcheggiatore o guardamacchine (art. 7, comma 15-bis, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il  «Nuovo  codice  della
strada») e vendita abusiva di biglietti di accesso  a  manifestazioni
sportive (art. 1-sexies del decreto-legge 24 febbraio  2003,  n.  28,
recante «Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di  violenza
in   occasione   di   competizioni   sportive»,    convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2003, n. 88), ferme restando  le
sanzioni amministrative previste per tali illeciti dalle disposizioni
richiamate. 
    L'art. 10, comma 2, stabilisce poi che, nel caso di  reiterazione
delle condotte indicate dai commi 1 e 2 dell'art. 9,  «qualora  dalla
condotta  tenuta  possa  derivare  pericolo  per  la  sicurezza»,  il
questore puo' vietare, con provvedimento motivato, al trasgressore di
accedere, per un periodo non superiore a dodici mesi, a  una  o  piu'
delle   aree   in   questione,   «espressamente    specificate    nel
provvedimento»,  individuando  modalita'  applicative   del   divieto
compatibili con  le  esigenze  di  mobilita',  salute  e  lavoro  del
destinatario. L'inosservanza del divieto e' punita con  l'arresto  da
sei mesi a un anno. 
    Il divieto ha una durata maggiore (da dodici mesi a due  anni)  e
la sua inosservanza e' punita con pena piu' elevata (arresto da uno a
due anni) qualora le condotte  siano  poste  in  essere  da  soggetto
condannato negli  ultimi  cinque  anni,  con  sentenza  definitiva  o
confermata in grado di appello, per reati  contro  la  persona  o  il
patrimonio (art. 10, comma 3). 
    3.- Cio' premesso, giova, per comodita' di trattazione,  prendere
prioritariamente in esame la questione avente ad  oggetto  la  misura
dell'ordine di allontanamento, regolata dagli artt. 9, comma 1, e 10,
comma 1, del d.l. n. 24 del 2017,  come  convertito:  misura  che  il
rimettente reputa  incompatibile  con  l'art.  16  Cost.,  in  quanto
svincolata dalla verifica della sussistenza di motivi di sicurezza (o
di sanita'). 
    La questione si palesa inammissibile per difetto di rilevanza. 
    Il giudice a quo e', infatti, investito del processo  penale  nei
confronti di una  persona  imputata  della  contravvenzione  prevista
dall'art. 10, comma 2, del citato decreto-legge, per aver violato  il
divieto di accesso in una stazione ferroviaria e nelle aree  ad  essa
limitrofe disposto nei suoi confronti  dal  questore.  Egli  non  e',
dunque, chiamato ad occuparsi  degli  ordini  di  allontanamento  che
hanno preceduto tale divieto. 
    In base al chiaro dettato dell'art. 10, comma 2, presupposto  del
divieto di accesso e' la «reiterazione delle condotte»  previste  dai
commi 1 e 2 dell'articolo precedente, unitamente alla sussistenza  di
un possibile pericolo per la  sicurezza.  Di  conseguenza,  ove  pure
questa  Corte  dichiarasse  l'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni che riguardano l'ordine di allontanamento, quale  misura
ulteriore rispetto alle sanzioni amministrative per  esse  comminate,
la pronuncia non impedirebbe  affatto  all'istituto  del  divieto  di
accesso di operare, rimanendo percio' ininfluente nel giudizio a quo. 
    Rimane, comunque sia, la  rilevanza  della  questione  avente  ad
oggetto il solo art. 9, comma 1, sotto il profilo  di  cui  si  dira'
infra al punto 6. 
    4.- Certamente rilevanti, per converso,  sono  le  questioni  che
investono il divieto di accesso, di cui all'art.  10,  comma  2,  del
d.l.  n.  14   del   2017,   come   convertito.   Il   riconoscimento
dell'illegittimita'  costituzionale   della   misura   travolgerebbe,
infatti, anche la norma che ne  incrimina  la  violazione  e  che  il
rimettente e' chiamato ad applicare. 
    4.1-  Quanto  all'ammissibilita'  della  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 16 Cost., il rimettente muove dalla premessa che
la misura in discussione implica una limitazione  della  liberta'  di
circolazione  del  destinatario,  inibendogli   l'accesso,   per   un
significativo lasso di tempo, ad aree  urbane  di  norma  liberamente
fruibili da chicchessia. L'istituto  dovrebbe  confrontarsi,  quindi,
con la  previsione  della  disposizione  costituzionale  evocata,  la
quale, nel garantire a ogni cittadino la  possibilita'  di  circolare
liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, fa salve  le
«limitazioni» che la legge stabilisce in via generale «per motivi  di
sanita' o di sicurezza». 
    Al riguardo, il rimettente ricorda come questa Corte, occupandosi
di altra misura di prevenzione, abbia ritenuto, sin dagli inizi della
sua attivita', che ai fini considerati deve attribuirsi «alla  parola
"sicurezza" il significato di situazione nella quale  sia  assicurato
ai cittadini, per quanto e' possibile, il pacifico esercizio di  quei
diritti di liberta' che la Costituzione garantisce con  tanta  forza.
Sicurezza si ha quando il cittadino puo' svolgere la  propria  lecita
attivita' senza essere minacciato da offese alla propria personalita'
fisica e morale; e' l'"ordinato vivere civile", che e'  indubbiamente
la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico» (sentenza n. 2
del 1956). 
    La norma censurata, per converso, nel subordinare la misura  alla
sussistenza di  un  possibile  pericolo  per  la  sicurezza,  farebbe
riferimento - secondo il rimettente - a un  concetto  di  «sicurezza»
molto piu' ampio di quello ora indicato. Nel frangente, il sostantivo
evocherebbe,  infatti,  il  concetto  di  «sicurezza  urbana»,  quale
risultante dalla definizione offerta dall'art. 4 dello stesso d.l. n.
14 del 2017, come convertito: definizione che fa  perno  su  nozioni,
quali quelli  di  «vivibilita'»  e  «decoro»,  evocative  (specie  la
seconda)  anche  di  profili  inerenti  all'estetica  e  ai  costumi,
componendosi poi di un elenco non tassativo («anche»)  di  interventi
per il perseguimento dei fini considerati nel quale convivono -  come
emerge dalla relazione al disegno di legge di conversione  -  un'idea
di  «sicurezza  primaria»,  intesa   alla   prevenzione   dei   reati
(«prevenzione   della   criminalita',   in   particolare   di    tipo
predatorio»),  e  un'idea  di  «sicurezza  secondaria»,  volta   alla
rimozione di situazioni di degrado e al promovimento  di  fattori  di
coesione sociale («riqualificazione,  anche  urbanistica,  sociale  e
culturale», «recupero delle aree o dei siti degradati», «eliminazione
dei fattori di marginalita' e  di  esclusione  sociale»,  «promozione
della cultura del rispetto della legalita'»,  «affermazione  di  piu'
elevati  livelli  di  coesione  sociale  e  convivenza  civile»).  Si
tratterebbe, dunque - a parere  del  rimettente  -,  di  un  concetto
«onnivoro»,  quasi  «onnicomprensiv[o]»:  in  ogni  caso,  largamente
esorbitante dalla  salvaguardia  delle  condizioni  per  un  ordinato
vivere civile. 
    Ad avviso del giudice a quo, plurimi indici  confermerebbero  che
la «sicurezza», avuta di mira dalla  norma  censurata,  debba  essere
intesa proprio in questa ampia accezione: il  Capo  II  del  decreto,
entro il quale la disposizione e' collocata, fa espresso  riferimento
nel titolo al «decoro urbano»; l'art. 9, che prevede le  condotte  la
cui reiterazione legittima il provvedimento del questore, reca a  sua
volta la  rubrica  «[m]isure  a  tutela  del  decoro  di  particolari
luoghi»; la stessa tipologia di alcune di  queste  condotte  richiama
aspetti che esorbitano dai presupposti di un ordinato vivere  civile;
nell'art. 10, comma 2, il termine  «sicurezza»  non  e'  accompagnato
dall'aggettivo «pubblica», ne' associato  all'ulteriore  concetto  di
ordine. Alla luce di cio', il rimettente  esclude,  quindi,  che  sia
possibile  una  interpretazione   conforme   a   Costituzione   della
disposizione in esame. 
    Tanto basta ad assicurare l'ammissibilita' della questione. 
    5.- Nel merito, tuttavia, l'approdo ermeneutico del rimettente si
palesa non suscettibile di avallo. Conformemente a  quanto  sostenuto
dall'Avvocatura  dello  Stato,  infatti,  nel  contesto  della  norma
sottoposta a scrutinio il termine «sicurezza» puo' - e deve -  essere
inteso in un senso piu' ristretto e coerente con la natura di  misura
di   prevenzione   personale   atipica,   generalmente   riconosciuta
all'istituto in discussione, e  al  tempo  stesso  in  linea  con  il
dettato  costituzionale:  vale  a  dire  propriamente  nel  senso  di
garanzia della liberta' dei cittadini  di  svolgere  le  loro  lecite
attivita' al riparo da condotte criminose. 
    Molteplici argomenti, di ordine testuale, logico  e  sistematico,
convergono in questa direzione. 
    Il d.l. n. 14 del 2017, come convertito, consta di due  Capi,  il
primo dei quali reca disposizioni in  ordine  alla  «[c]ollaborazione
interistituzionale per la  promozione  della  sicurezza  integrata  e
della sicurezza urbana». Entro tale Capo, la  Sezione  II  si  occupa
specificamente della «[s]icurezza urbana»: formula della quale l'art.
4 offre una definizione «[a]i fini  del  presente  decreto»,  ma  che
risulta, in fatto, impiegata esclusivamente nelle altre  disposizioni
che compongono la stessa Sezione (artt. 5, 6, 7 e  8).  Non,  invece,
nella disposizione censurata, collocata nel Capo successivo,  ove  si
fa riferimento  alla  «sicurezza»  tout  court:  dal  che  e'  lecito
inferire che il legislatore non abbia voluto  chiamare  in  gioco  la
definizione del citato art.  4,  calibrata  sulla  prospettiva  della
«collaborazione interistituzionale»,  ma  abbia  inteso  riferirsi  a
qualcosa di diverso, in linea con  le  caratteristiche  dell'istituto
che andava a regolare. 
    Il titolo del Capo II del decreto, entro il quale trova posto  la
previsione censurata - «[d]isposizioni a tutela della sicurezza delle
citta' e del decoro urbano» - milita, d'altronde, in senso opposto  a
quello ipotizzato  dal  giudice  rimettente.  Risponde,  infatti,  al
canone ermeneutico di  un  legislatore  razionale  e  non  ridondante
ritenere che l'espressione «sicurezza delle citta'» non sia stata nel
frangente usata come sinonimo di  «sicurezza  urbana»,  giacche',  se
cosi' fosse, non sarebbe stato necessario menzionare al suo fianco il
«decoro urbano», che, in base alla definizione dell'art.  4,  e'  una
componente della «sicurezza urbana». Cio', a prescindere dalla scarsa
plausibilita' dell'ipotesi che il legislatore, dopo aver  fornito  la
definizione di una determinata locuzione,  si  avvalga  nello  stesso
testo normativo di una  formula  diversa  per  indicare  il  medesimo
concetto. 
    E' vero, poi, che  l'art.  9  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito,  reca  la  rubrica  «[m]isure  a  tutela  del  decoro  di
particolari  luoghi».  Si  tratta,  pero',  della  disposizione   che
prevede, per le condotte ivi  indicate,  la  sanzione  amministrativa
pecuniaria e l'ordine di allontanamento,  il  quale  prescinde  dalla
condizione del possibile pericolo per la sicurezza, richiesta  invece
ai fini dell'adozione del divieto di accesso, regolato dal successivo
art. 10 sotto l'omonima rubrica. Se ne deve dedurre che  quest'ultimo
non costituisce, negli intenti legislativi, una misura a  tutela  del
decoro, ma della «sicurezza delle citta'», nei piu'  ristretti  sensi
dianzi indicati. 
    Ancora,  la  medesima  locuzione  presente   nella   disposizione
censurata («possa derivare [un] pericolo per la  sicurezza»)  compare
anche nell'art. 13-bis del d.l.  n.  14  del  2017,  come  convertito
(aggiunto dall'art. 21, comma 1-ter, del d.l. n. 113 del  2018,  come
convertito), che prevede un'altra fattispecie di divieto  di  accesso
in luoghi urbani, diretta in modo specifico a prevenire  i  disordini
negli esercizi pubblici e nei  locali  di  pubblico  intrattenimento:
fattispecie rispetto alla quale e' indubitabile, anche alla luce  dei
presupposti  della  misura,  che  il   vocabolo   «sicurezza»   debba
intendersi nel senso di prevenzione dei reati.  Un  discorso  analogo
puo' farsi, altresi', con  riguardo  alla  formula  «per  ragioni  di
sicurezza», presente nell'art. 13 del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito, a proposito dell'ulteriore figura di divieto  di  accesso
finalizzata al  contrasto  dello  spaccio  di  sostanze  stupefacenti
all'interno o in prossimita' di locali pubblici o aperti al  pubblico
e di pubblici esercizi. 
    Come ricorda l'Avvocatura generale dello  Stato,  d'altro  canto,
questa Corte, occupandosi di  questione  inerente  al  riparto  delle
competenze legislative, ha  gia'  avuto  modo  di  affermare  che  la
disciplina  del  DASPO  urbano  persegue  la  finalita'  di   evitare
turbative dell'ordine pubblico nelle  aree  interessate,  rientrando,
percio', nella materia «ordine pubblico e sicurezza»,  di  competenza
legislativa statale esclusiva ai sensi dell'art.  117,  primo  comma,
lettera h), Cost.: materia alla quale vanno ascritte le  disposizioni
volte  al  «perseguimento   degli   interessi   costituzionali   alla
sicurezza, all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza»  (sentenza
n. 195 del 2019). 
    In definitiva,  quindi,  affinche'  il  divieto  di  accesso  sia
legittimamente disposto, non basta che la presenza del soggetto possa
apparire  non  consona  al  decoro  dell'area  considerata,   ma   e'
necessario che la condotta sia associata ad un concreto  pericolo  di
commissione di reati: la misura non deve, in conclusione,  intendersi
rivolta ad  allontanare  "oziosi  e  vagabondi",  come  pure  si  era
affermato nell'ampio dibattito parlamentare sviluppatosi in  sede  di
conversione del d.l. n. 14 del 2017. 
    Cade,  in  questa  prospettiva,  la  censura  del  rimettente  di
violazione dell'art. 16: intesa nei sensi ora lumeggiati, la norma in
esame risulta compatibile con il precetto costituzionale evocato. 
    5.1.-  Parimente  non  fondata  e'  la  questione  sollevata   in
riferimento all'art. 3 Cost., per asserito contrasto con il principio
di «proporzionalita'/ragionevolezza». 
    Il Tribunale rimettente fa discendere il vulnus  prospettato  dal
rilievo che la norma in discussione non richiede la sussistenza di un
pericolo per la  sicurezza,  ma  semplicemente  che  «dalla  condotta
tenuta  possa  derivare  pericolo  per   la   sicurezza».   Ai   fini
dell'adozione  della  misura,  non  occorrerebbe,  dunque,  che   sia
probabile la verificazione di un pregiudizio per l'interesse  che  si
vuole tutelare - sia pur inteso, secondo  il  rimettente,  nei  sensi
della «sicurezza urbana» di cui all'art. 4 del d.l. n. 14  del  2017,
come  convertito  -  ma  basterebbe  una   «mera   possibilita'   non
qualificata» di tale  pregiudizio.  Cio'  renderebbe  la  misura  non
proporzionata:  essa  comprimerebbe  un  diritto  fondamentale  -  la
liberta' di circolazione - senza che sia  «strettamente  necessario»,
dato che il pericolo per l'interesse tutelato e' solo eventuale. 
    Anche in questo caso, la ricostruzione ermeneutica del giudice  a
quo  -  reputata  novamente  non   superabile   a   favore   di   una
interpretazione  costituzionalmente   orientata,   stante   il   dato
letterale - non puo' essere condivisa. 
    Posto che, per quanto detto, la nozione di «sicurezza»  cui  deve
aversi riguardo e' diversa e piu' ristretta di quella ipotizzata  dal
rimettente (supra, punto  4.1.),  e'  sufficiente  osservare  che  le
misure di prevenzione, allo stesso modo delle misure di sicurezza, si
basano,  per  loro  natura,  su  un  giudizio  prognostico,  di  tipo
probabilistico,  sulla  futura  condotta  del  soggetto  che  vi   e'
sottoposto. Ed e' in  questa  ottica  che  la  formula  normativa  in
questione, pur sintatticamente non del tutto felice, va letta:  l'uso
del verbo servile («possa») si spiega con  il  fatto  che  si  e'  di
fronte a un pronostico su quanto e'  ben  possibile  che  avvenga  in
futuro, e non gia' con un supposto intento legislativo di  consentire
la  misura  anche  per  arginare  situazioni  di  pericolo  remote  o
puramente congetturali. 
    Giova soggiungere che la  norma  richiede  espressamente  che  il
pericolo per  la  sicurezza  emerga  «dalla  condotta  tenuta»  (non,
dunque, dalla sola personalita' dell'agente, desunta ad  esempio  dai
precedenti penali). Affinche' scatti  la  misura  piu'  incisiva  del
divieto di accesso  il  comportamento  del  soggetto  deve  risultare
concretamente indicativo  del  pericolo  che  la  sua  presenza  puo'
ingenerare per i fruitori della struttura  (ad  esempio,  in  ragione
dell'atteggiamento aggressivo, minaccioso o  insistentemente  molesto
mostrato nei loro confronti). 
    Cosi' interpretata, la disposizione si sottrae  alla  censura  in
esame. 
    5.2.-  Le  considerazioni  dianzi   svolte   rendono   piana   la
valutazione in senso similare della conclusiva censura di  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2 Prot. n. 4
CEDU, come interpretato dalla Corte EDU: parametro che il  rimettente
reputa  leso  in  ragione  dell'asserita  carenza  di  precisione   e
determinatezza  della   norma   censurata   nell'individuazione   dei
presupposti di applicazione  della  misura,  la  quale  attribuirebbe
eccessivi margini di discrezionalita'  all'autorita'  amministrativa,
lasciando cosi' l'individuo esposto al suo «sostanziale arbitrio». 
    A parere del Tribunale fiorentino, il deficit denunciato  sarebbe
il risultato della convergenza di tre fattori: la descrizione non ben
definita della condotta di cui all'art. 9, comma 1, del  d.l.  n.  14
del 2017, come convertito (alla reiterazione della quale  il  divieto
di accesso e' collegato), l'ambiguita' del concetto di sicurezza e il
carattere solo eventuale del pericolo per quest'ultima. 
    Quanto al primo profilo, si deve pero' osservare come la condotta
di cui al citato art. 9, comma 1 - la cui descrizione  il  rimettente
reputa, in modo peraltro solo assertivo,  «non  chiarissima»  -,  sia
individuata, per contro, in modo sufficientemente chiaro e  puntuale.
Si richiede, come gia' ricordato, che il soggetto,  violando  divieti
di stazionamento o di occupazione di spazi,  abbia  impedito  (e  non
soltanto limitato,  come  nel  testo  originario  del  decreto-legge)
l'accessibilita' o la fruizione di aree infrastrutturali  di  servizi
di  trasporto,  ovvero  di  altre   aree   cittadine   specificamente
individuate  dai  regolamenti  comunali  nell'ambito   di   categorie
predeterminate. L'identificazione dei divieti di stazionamento  o  di
occupazione di  spazi,  come  pure  la  determinazione  degli  esatti
confini del  concetto  di  impedimento  dell'accessibilita'  o  della
fruizione delle aree in questione, costituiscono d'altronde  problemi
non eccedenti i normali compiti  interpretativi  affidati,  in  prima
battuta, all'autorita' amministrativa chiamata ad adottare la  misura
e, in seconda battuta, al giudice eventualmente chiamato a verificare
la legittimita' del suo operato. 
    Per   l'applicazione   del   divieto,   occorre,   altresi',   la
reiterazione delle condotte, la quale, a propria volta,  e'  definita
in modo adeguato dalla norma generale di  cui  all'art.  8-bis  della
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), secondo
cui si ha  reiterazione  quando,  nei  cinque  anni  successivi  alla
commissione  di  una   violazione   amministrativa,   accertata   con
provvedimento  esecutivo,  lo  stesso  soggetto   commette   un'altra
violazione della stessa indole. 
    Quanto,  poi,  agli  altri  due  profili   sotto   i   quali   si
manifesterebbe il supposto difetto  di  precisione  e  determinatezza
della norma censurata, vale quanto osservato in precedenza. 
    Riguardo al concorrente requisito di applicabilita' della misura,
rappresentato dal pericolo per la sicurezza,  va  ribadito  che  tale
sostantivo deve ritenersi evocativo, per le ragioni  esposte  (supra,
punto 4.1.), non del dilatato concetto di cui all'art. 4 del d.l.  n.
14 del 2017,  come  convertito,  quanto  piuttosto  delle  condizioni
dell'ordinata  convivenza   civile,   in   particolare   tramite   la
prevenzione  dei  reati.  Mentre,  per  quanto  attiene  all'asserito
carattere meramente eventuale - e percio' sfuggente  -  del  pericolo
che legittima il provvedimento, vanno  richiamate  le  considerazioni
precedentemente  svolte  circa  il  significato  da  attribuire  alla
locuzione «possa derivare pericolo per la  sicurezza»  (supra,  punto
5.1.), tale da scongiurare il rischio paventato. 
    6.- Resta la conclusiva questione avente  ad  oggetto  l'art.  9,
comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito: disposizione  che,
con specifico riguardo all'individuazione delle condotte illecite  da
essa operata, il rimettente reputa contrastante con l'art.  3  Cost.,
sul  rilievo  che  sarebbe  irragionevole  colpire  con   le   misure
dell'ordine di allontanamento e del divieto di  accesso  condotte  di
impedimento all'accessibilita' e  alla  fruizione  delle  aree  delle
infrastrutture di trasporto, normalmente prive di rilevanza penale, e
non invece altre condotte costituenti reato e ben piu' pericolose per
la  sicurezza  (quali  partecipazione  a  risse,  minacce,  percosse,
lesioni, porto di armi bianche o di oggetti atti ad  offendere  senza
giustificato motivo). 
    La  questione  -  che  e'  rilevante,   nella   misura   in   cui
l'individuazione censurata delimita anche i confini della misura  del
divieto di accesso (supra, punti 3 e 4) - non e', pero', fondata. 
    Allo stesso modo dell'individuazione delle condotte punibili  (ex
plurimis, sentenze n. 212 del 2019, n. 79 del 2016, n. 229 del 2015 e
n. 250 del 2010), anche la selezione  delle  condotte  cui  annettere
misure a carattere preventivo del genere  considerato  rientra  nella
discrezionalita' del legislatore, il cui esercizio e' sindacabile, in
sede di giudizio di legittimita' costituzionale,  solo  ove  trasmodi
nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio. 
    Nella specie, onde  contestare  la  ragionevolezza  della  scelta
operata, il rimettente pone a raffronto fattispecie  non  omogenee  e
non utilmente comparabili.  La  selezione  delle  condotte  alla  cui
reiterazione puo'  conseguire  la  misura  del  divieto  di  accesso,
effettuata tramite la norma censurata,  e'  ispirata  all'intento  di
individuare  quelle  tipologie  di  comportamenti  che,  sulla   base
dell'esperienza   concreta,   il   legislatore   ha   ritenuto    che
contribuiscano maggiormente a generare un  clima  di  insicurezza  in
determinate aree urbane, e che si caratterizzano per una  indebita  e
prolungata occupazione di spazi nevralgici ai fini della mobilita'  o
interessati, comunque sia, da rilevanti  flussi  di  persone  (supra,
punto 2). 
    Come rilevato anche dall'Avvocatura dello Stato,  il  legislatore
non ha mancato, peraltro, di  prendere  in  considerazione,  ai  fini
dell'applicazione di misure similari, anche fatti di diverso ordine e
di diretto rilievo penale. 
    Di la' dalla previsione del cosiddetto DASPO urbano aggravato nei
confronti di chi ponga in essere le condotte di cui all'art. 9, commi
1 e 2, essendo stato condannato  nell'ultimo  quinquennio  per  reati
contro la persona o il patrimonio (art. 10, comma 3), e di la'  dalla
previsione per la quale, quando tali reati risultino  commessi  nelle
aree di cui all'art. 9, la sospensione condizionale della  pena  puo'
essere subordinata all'osservanza del divieto, imposto  dal  giudice,
di accedere ad aree o luoghi  specificamente  individuati  (art.  10,
comma 5), particolari figure di divieto di  accesso  ad  aree  urbane
sono  state  poi  introdotte,  sempre  sulla  scorta  dell'esperienza
concreta, in funzione di  contrasto  dello  spaccio  di  stupefacenti
all'interno o in prossimita' di locali pubblici o aperti al  pubblico
e di pubblici esercizi (art. 13), nonche' ai fini  della  prevenzione
di disordini  negli  esercizi  pubblici  e  nei  locali  di  pubblico
intrattenimento (art. 13-bis).  Misura,  quest'ultima,  che  ha  come
presupposto l'avvenuta denuncia del soggetto  per  varie  ipotesi  di
reato, comprensive di  quelle  evocate  dal  rimettente  come  tertia
comparationis. 
    In questo quadro, la scelta espressa  dalla  norma  sottoposta  a
scrutinio si sottrae, dunque, alla censura mossale dal giudice a quo. 
    7.- Alla luce delle considerazioni che  precedono,  la  questione
avente ad oggetto gli artt. 9, comma 1, e 10, comma 1, del d.l. n. 14
del  2017,  come  convertito,  va  dichiarata  inammissibile;  quelle
concernenti l'art. 10, comma 2, vanno  dichiarate  non  fondate,  nei
sensi di cui in motivazione; quella relativa al solo art. 9, comma 1,
va dichiarata non fondata.