(Allegato-art. 4)
                               Art. 4. 
 
 
                        Metodo di ottenimento 
 
4.1. Materia prima e ingredienti. 
    La lavorazione del  «Pecorino  delle  Balze  Volterrane»  prevede
l'impiego delle  seguenti  materie  prime,  nelle  dosi  indicate  al
successivo art. 5.2.2: 
      latte: ovino, crudo e intero, prodotto da capi di  razza  sarda
allevati con sistema semi-brado nel territorio di cui all'art. 3; 
      caglio:  vegetale  ricavato  dalle  infiorescenze  di  cardo  o
carciofo selvatico (Cynara cardunculus); 
      sale: fino. 
4.2. Sistema di allevamento e alimentazione degli animali. 
    Il sistema di allevamento e'  semi-brado.  L'alimentazione  degli
ovini e' ricavata per almeno i 2/3  del  fabbisogno  complessivo  dal
pascolamento nella zona geografica di origine. Foraggi  conservati  e
cereali contenenti granelle (orzo, avena, favette) sono somministrati
in quantita' variabili da 100 g/capo/die a 800 g/capo/die  a  seconda
del periodo dell'anno, con i valori  maggiori  concentrati  nei  mesi
invernali e quelli inferiori nei mesi estivi. 
    Gli  ovini   non   possono   essere   alimentati   con   prodotti
geneticamente modificati (OGM). 
4.3. Tecniche di lavorazione. 
    4.3.1. Produzione. 
    Il latte destinato alla trasformazione in «Pecorino  delle  Balze
Volterrane»  non  deve  essere  sottoposto  ad  alcun  intervento  di
termizzazione e deve essere lavorato entro 48 ore  dall'effettuazione
della prima mungitura. 
    Il latte crudo viene versato in una caldaia  di  rame  o  acciaio
inox detta «pentola» fino a raggiungere una temperatura compresa  tra
i 30-40°C. Al latte riscaldato e' addizionato caglio vegetale (da  un
minimo di 10 ml ad un massimo di 50 ml per 100 litri  di  latte).  E'
ammessa l'aggiunta di fermenti termofili e/o mesofili o  autofermenti
(ottenuti dal siero della lavorazione precedente) in  quantita'  tali
da produrre abbassamento di pH a 5,2 +/- 0,2 in tre/otto ore. 
    Il latte e' lasciato coagulare per un periodo oscillante tra i 30
ed i 60 minuti. Quando il coagulo ha raggiunto una consistenza solida
si procede, con l'ausilio di un attrezzo detto «spino», alla  rottura
dello stesso  fino  a  che  i  grumi  caseosi  abbiano  raggiunto  la
dimensione   di   una   nocciola   per   il    formaggio    «fresco»,
«semistagionato» e «stagionato», e di una nocciolina o chicco di riso
per il formaggio «da asserbo». 
    Per  la  preparazione  del  pecorino,  la  cagliata  puo'  essere
mantenuta in ambiente caldo (processo  di  «cottura»)  a  temperatura
compresa tra 20°C e 40°C per un tempo che  va  da  un  minimo  di  60
minuti ad un massimo di 180 minuti. 
    Terminata la rottura e  l'eventuale  «cottura»,  la  cagliata  e'
pressata manualmente  in  apposite  forme  cilindriche  di  materiale
idoneo ad  usi  alimentari  e  trasferita  su  tavoli  spersori,  per
favorire l'allontanamento del siero. 
    4.3.2. Salatura maturazione ed eventuale stagionatura. 
    La  salatura  deve  essere   effettuata   manualmente   a   secco
cospargendo di  sale  la  superficie  del  formaggio,  provvedendo  a
rivoltare il prodotto. 
    Entro i successivi 10 giorni, in base alla pezzatura, si  procede
ad asportare dalla  superficie  del  formaggio  il  sale  in  eccesso
mediante lavaggio con acqua delle forme. Successivamente il formaggio
viene posto ad asciugare su assi di legno chiaro, preferibilmente  di
pioppo ed abete, in locali freschi ad una  temperatura  compresa  tra
6-16°C  per  un  periodo  corrispondente  ai  tempi  di  stagionatura
indicati all'art. 2 per ciascuna tipologia di formaggio. 
    Durante la  fase  di  stagionatura  le  forme  di  pecorino,  con
frequenza almeno settimanale, devono essere capovolte,  spazzolate  e
lavate con acqua per eliminare la muffa eventualmente  formata.  Sono
ammessi per il pecorino «da asserbo» trattamenti con olio di oliva  o
con olio addizionato a sale, cenere di leccio o di pioppo. 
    Per i prodotti con una stagionatura superiore ai 30 giorni, parte
del processo di stagionatura puo' avvenire in grotte di  tufo,  o  in
fosse di argilla,  o  in  cantine  presenti  nel  territorio  di  cui
all'art. 3.