(Allegato)
                                                       Allegato sub A 
 
                     PROTOCOLLO PER LA DIAGNOSI 
                   E IL FOLLOW-UP DELLA CELIACHIA 
 
                         AGGIORNAMENTO 2015 
 
Introduzione 
    La celiachia, o malattia celiaca (MC), e' una patologia  di  tipo
autoimmunitario, primariamente localizzata nell'intestino tenue ma di
natura sistemica, scatenata dall'ingestione di glutine  nei  soggetti
geneticamente predisposti. La MC e' una  delle  patologie  permanenti
piu' frequenti, in  quanto  colpisce  circa  l'1%  della  popolazione
generale su scala nazionale e mondiale. La malattia e' piu' frequente
nel genere femminile (1,5  -  2  volte  rispetto  ai  maschi),  nelle
popolazioni di origine indoeuropea ed in  alcuni  gruppi  a  rischio,
come di seguito precisato. 
    Le cause necessarie della celiachia sono: 
      1. la presenza dei geni predisponenti DQ2  e/o  DQ8  legati  al
sistema di istocompatibilita' HLA; 
      2. l'ingestione di cereali contenenti glutine (frumento, orzo e
segale). Il glutine e' la frazione proteica principale  del  frumento
(circa 80%) e la  proteina  maggiormente  rappresentata  nella  dieta
della popolazione europea (10-20 g/die). 
    A parte la predisposizione genetica e  l'ingestione  di  glutine,
altri fattori ambientali sembrano giocare un ruolo  nel  modulare  il
rischio di sviluppare celiachia, quali la  tipologia  del  microbioma
intestinale, specie nelle prime  epoche  della  vita,  la  nutrizione
infantile o le infezioni, le modalita' del parto. 
    Al  fine  di  assicurare  un  percorso  diagnostico   appropriato
mediante l'adozione del presente protocollo  clinico  concordato,  la
diagnosi di celiachia e' effettuata o  confermata  solo  dai  presidi
accreditati con il Servizio sanitario  nazionale  e  in  possesso  di
documentata esperienza in  attivita'  diagnostica  specifica  per  la
celiachia, nonche' di idonea dotazione di strutture di supporto e  di
servizi  complementari,  appositamente  individuati,  mediante   atto
formale, dalle  Regioni  e  dalle  Provincie  Autonome  di  Trento  e
Bolzano. 
ASPETTI CLINICI 
    La presentazione della celiachia e' estremamente variabile, tanto
che questa condizione e' stata definita «un camaleonte  clinico».  Si
distinguono le seguenti forme: 
      a) classica (o tipica). Piu'  frequente  nel  bambino  di  eta'
inferiore ai 3 anni, si manifesta con i segni tipici  della  sindrome
da malassorbimento intestinale. Compaiono  gradualmente  inappetenza,
cambiamento dell'umore,  diarrea  cronica,  arresto/calo  di  peso  e
distensione addominale. Nei casi piu' eclatanti si evidenziano talora
ipocalcernia,  edemi  da  ipoprotidemia,   riduzione   dell'attivita'
protrombinica da carenza di vit. K; 
      b)   non   classica   (o   atipica).   E'   caratterizzata   da
sintomatologia  intestinale   aspecifica   (es.   dolori   addominali
ricorrenti,   stomatite   aftosa   ricorrente,    stitichezza)    e/o
manifestazioni extra-intestinali quali anemia sideropenica resistente
alla terapia marziale per  os,  stanchezza  cronica,  bassa  statura,
ritardo  (piu'  raramente  anticipo)  puberale,   ipertransaminasemia
isolata  o  dermatite   erpetiforme   (dermatite   eritemato-ponfoide
pruriginosa considerata come «celiachia della pelle»); 
      c) silente. Tale forma,  nella  quale  e'  assente  una  chiara
sintomatologia,  viene  occasionalmente  individuata  a  seguito   di
screening sierologico in soggetti a rischio, es. familiari  di  primo
grado di celiaci o pazienti affetti da  altre  patologie  autoimmuni.
Nella  celiachia  silente  sono  presenti   le   stesse   alterazioni
sierologiche ed istologiche dei casi tipici; 
      d) potenziale. E'  caratterizzata  da  un  pattern  sierologico
tipico, in presenza di un quadro  istologico  intestinale  normale  o
solo lievemente alterato. Il quadro clinico  puo'  essere  silente  o
aspecifico (es. dolore addominale ricorrente).  Con  il  passare  del
tempo la forma potenziale puo' evolvere in una  celiachia  conclamata
sul piano istologico. 
    Proprie  dell'eta'  adulta  sono  le  turbe  della   riproduzione
(amenorrea, infertilita', abortivita', menopausa precoce, diminuzione
della libido in entrambi i sessi), la maggiore perdita di massa ossea
che, a differenza dell'infanzia, spesso richiede la  somministrazione
di farmaci mineralo-attivi, e le complicanze che verranno trattate in
un successivo capitolo. 
GRUPPI A RISCHIO 
    Una  maggiore  prevalenza  di  celiachia  si  osserva  in  alcune
situazioni (gruppi a rischio), che rappresentano pertanto una  chiara
indicazione alla indagine sierologica: (a) familiarita'. La frequenza
di MC tra i familiari del celiaco e' di circa  il  10  %;  (b)  altre
malattie autoimmuni, soprattutto il diabete di  tipo  1  (5-10%),  le
malattie tiroidee autoimmuni  (5%),  l'epatite  autoimmune  e  le  m.
infiammatorie croniche intestinali; (c) s. di Down (5-10%), di Turner
e di Williams; (d) deficit selettivo di IgA, il  quale  comporta  una
falsa negativita' dei marcatori sierologici di celiachia di tipo IgA.
La Tabella 1 riassume le condizioni cliniche nelle quali e'  indicato
lo screening sierologico per la celiachia (cosiddetto case-finding). 
 
                                                            Tabella 1 
 
                 Situazioni nelle quali e' indicato 
            una valutazione sierologica per la celiachia 
 
      
 
 ===================================================================
 |      Sintomi e segni suggestivi       |    Gruppi a rischio     |
 +=======================================+=========================+
 |Disturbi intestinali cronici (dolore   |                         |
 |addominale, stipsi, diarrea,           |Familiarita' per         |
 |meteorismo)                            |celiachia                |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |                                       |Deficit selettivo IgA    |
 |Stomatite aftosa ricorrente            |sieriche                 |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |                                       |Patologie autoimmuni     |
 |                                       |associate (soprattutto   |
 |                                       |diabete dipo 1 e         |
 |Ipoplasia dello smalto dentario        |tiroidite)               |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Ipostaturalita'                        |s. di Down               |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Ipertransaminasemia                    |s. di Turner             |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Sideropenia (con o senza anemia)       |s. di Williams           |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Stanchezza cronica                     |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Rachitismo, osteopenia                 |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Dermatite erpetiforme                  |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Anomalie dello sviluppo puberale       |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Orticaria ricorrente                   |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Disturbi della fertilita' (abortivita' |                         |
 |spontanea, menarca tardivo, menopausa  |                         |
 |precoce, infertilita')                 |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Epilessia con calcificazioni           |                         |
 |endocraniche ed altre patologie        |                         |
 |neurologiche (atassia, polineurite,    |                         |
 |etc.)                                  |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Disturbi del comportamento alimentare  |                         |
 |(anoressia nervosa)                    |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 
 
STRATEGIE DIAGNOSTICHE 
    Sistema maggiore di istocompatibilita' di II tipo HLA 
    L'importanza  diagnostica  del  HLA  risiede   nel   suo   valore
predittivo  negativo,  dato  che  la  negativita'  per  entrambi  gli
aplotipi  rende  decisamente  improbabile  la  diagnosi  di  malattia
celiaca. Quindi nella pratica diagnostica della celiachia,  il  ruolo
principale della tipizzazione HLA e' quello di escludere la  malattia
celiaca, in particolare  negli  individui  appartenenti  a  gruppi  a
rischio di sviluppo di malattia, come ad  esempio  parenti  di  primo
grado  di  pazienti  celiaci.  La  negativita'  del  HLA  in   questi
individui, rendendo improbabile  lo  sviluppo  di  malattia  celiaca,
rende inutile lo screening  successivo  con  metodiche  sierologiche.
Sempre sfruttando il  suo  elevato  valore  predittivo  negativo,  la
tipizzazione HLA  andrebbe  poi  offerta  ai  pazienti  con  diagnosi
incerta di celiachia, come in caso di negativita' per la sierologia e
alterazioni mucosali lievi, o utilizzata nell'approccio al paziente a
dieta senza glutine con pregressa diagnosi dubbia. 
    Sierologia 
    La  celiachia  e'  caratterizzata  dalla  presenza  di  anticorpi
specifici,   diretti   contro    un    auto-antigene,    ovvero    la
transglutaminasi di tipo 2 (anti-TG2), e contro la gliadina deaminata
(DGP). Gli anticorpi  antiendomisio  (EMA)  sono  rivolti  contro  la
transglutaminasi extracellulare. Eccezion fatta per gli anti-DGP, gli
anticorpi utili per la diagnosi appartengono alla classe IgA,  ma  in
individui affetti da deficit di IgA e' utile ricercare lo stesso tipo
di anticorpi di classe IgG. 
    Vi e' evidenza che alti valori di anti-TG2  predicono  meglio  la
presenza di atrofia dei villi rispetto a valori bassi o intermedi. In
particolare, vi e' una forte  associazione  tra  valori  di  anti-TG2
superiori di 10 volte il cut-off dell'assay e la presenza di  atrofia
dei  villi.  Questo  concetto  e'  alla  base  del  nuovo   approccio
diagnostico proposto dalle linee guida pediatriche, ove  la  presenza
in un soggetto con sintomi suggestivi di celiachia, di un  valore  di
anti-TG2 superiore 10 volte il cut-off,  associato  alla  positivita'
degli  EMA  (ottenuta  su  un  altro  campione  di  sangue)  e   alla
compatibilita' dell'HLA, permette la diagnosi di celiachia,  evitando
la biopsia. Nei soggetti asintomatici a rischio con  positivita'  per
l'HLA invece, gli anti-TG2 vanno determinati una volta ogni 2-3  anni
o in caso di comparsa di sintomatologia suggestiva di celiachia. 
    Gli anticorpi tipici della  celiachia  vanno  testati  quando  il
soggetto e a dieta libera, contenente glutine, e la prima volta vanno
associati a una determinazione delle  Ig  totali,  per  escludere  un
deficit di IgA, condizione morbosa che puo' causare falsi negativi  e
che tra l'altro e' in associazione con la celiachia. 
    Biopsia e istologia 
    La biopsia viene  eseguita  mediante  esofagogastroduodenoscopia.
L'importanza del campionamento multiplo e'  dovuta  a  una  possibile
distribuzione  non  omogenea  delle  alterazioni  mucosali   (lesioni
patchy), che potrebbero quindi  non  esser  individuate  in  caso  di
campionamento singolo. Per quanto riguarda le sedi del campionamento,
andrebbero prelevati almeno 4 frammenti dalla seconda/terza  porzione
del duodeno e almeno uno dal bulbo. 
    Una seconda biopsia va considerata in caso di  pazienti  che  pur
essendo a dieta senza glutine rimangono sintomatici,  mentre  non  e'
necessaria, almeno per quanto riguarda i pazienti in eta' pediatrica,
nei celiaci a dieta senza glutine che  presentino  risoluzione  della
sintomatologia e negativizzazione della sierologia. 
    L'aspetto istologico dell'intestino del soggetto celiaco presenta
diversi gradi di severita', andando  dall'infiltrazione  linfocitaria
fino all'atrofia completa dei villi. La descrizione delle lesioni  va
effettuata in accordo alle  classificazioni  riconosciute  a  livello
internazionale, considerando l'infiltrazione linfocitaria,  l'atrofia
dei villi,  l'iperplasia  delle  cripte,  il  rapporto  villi/cripte.
Fondamentale e' il corretto orientamento della biopsia. 
FOLLOW UP: tempi ed indagini 
    Un controllo entro 6-12 mesi dalla diagnosi  e,  successivamente,
ogni 1-2 anni (salvo complicanze) e' sufficiente  per  verificare  la
compliance alla DSG, verificare la comparsa di  malattie  auto-immuni
e/o alterazioni metaboliche (che possono comparire anche in  soggetti
celiaci   trattati)   e   soprattutto,   diagnosticare   precocemente
l'eventuale comparsa di complicanze. 
    Ad ogni controllo, il soggetto celiaco dovrebbe essere sottoposto
a: visita medica, valutazione dietetica,  controllo  dell'emocromo  e
dosaggio anticorpi serici anti-transglutaminasi di classe IgA (o  IgG
se vi e' deficit delle IgA). 
    Gli accertamenti ematici per la valutazione del  metabolismo  del
ferro (sideremia e ferritinemia) e la folatemia vanno  eseguiti  solo
al primo controllo e, se alterati, ripetuti ai successivi  fino  alla
normalizzazione. Inoltre, il dosaggio di  sideremia,  ferritinemia  e
folatemia va eseguito in caso i valori  di  emoglobinemia•e/o  volume
globulare medio risultino alterati. 
    Per  quanto  attiene  la   valutazione   dell'autoimmunita'   per
tireopatia, presente in circa il 5% dei celiaci, va  effettuato  come
segue: 
      dosaggio TSH e anticorpi anti TPO alla diagnosi: 
        1) entrambi nella norma → TSH ogni 3 anni 
        2) entrambi alterati  →  3  tireopatia  autoimmune  (percorso
seguente ben codificato per tale patologia in esenzione) 
        3)  uno  dei  due  alterato  →  endocrinologo  per   valutare
tireopatia autoimmune (con seguente percorso come punto 2) 
    Altri esami strumentali e specialistici vanno  effettuati  se  la
valutazione clinica  lo  suggerisce.  Nell'adulto,  la  densitometria
ossea andrebbe eseguita di routine una volta almeno, dopo 18 mesi  di
dieta senza glutine e  ripetuta  periodicamente  su  indicazione  del
curante, solo se patologica o vi siano indicazioni cliniche. 
COSA NON VA FATTO 
    Eseguire la dieta senza glutine «per prova» 
    Utilizzare il dosaggio degli anticorpi antigliadina nativa  (AGA)
per la diagnosi di celiachia 
    Ripetere troppo presto dopo la diagnosi e  troppo  frequentemente
durante il follow up il dosaggio degli anti-tTG. 
    Eseguire una valutazione mineralometrica (DEXA) al momento  della
diagnosi e durante il follow up nei bambini celiaci. 
    Sospettare la celiachia per sintomi  acuti,  anafilattici,  anche
gastrointestinali, che appaiono in stretta  relazione  temporale  con
l'assunzione del glutine 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
 
Documento di supporto scientifico al protocollo per la diagnosi e  il
                      follow-up della celiachia 
 
INTRODUZIONE 
    La celiachia, o malattia celiaca (MC), e' una patologia  di  tipo
autoimmunitario, primariamente localizzata nell'intestino tenue ma di
natura sistemica, scatenata dall'ingestione di glutine  nei  soggetti
geneticamente predisposti. La MC e' una  delle  patologie  permanenti
piu' frequenti, in  quanto  colpisce  circa  l'1%  della  popolazione
generale su scala nazionale e mondiale. La malattia e' piu' frequente
nel  genere  femminile  (1.5-2  volte  rispetto  ai  maschi),   nelle
popolazioni  di  origine  indoeuropea  (con  l'eccezione  del  popolo
africano Saharawi nei quali la celiachia e' molto  frequente)  ed  in
alcuni gruppi a rischio, come  di  seguito  precisato.  La  frequenza
delle diagnosi e'  in  aumento,  soprattutto  grazie  alla  crescente
applicazione  dei  test  diagnostici  nella  pratica  clinica.   Cio'
nonostante, circa il 70-80% dei casi sfuggono tuttora  alla  diagnosi
(parte sommersa dell'iceberg  celiaco),  constatazione  che  potrebbe
suggerire, per il futuro, l'opportunita' di uno screening sierologico
di massa. 
    Le cause necessarie della celiachia sono: 
      1. la presenza dei geni predisponenti DQ2  e/o  DQ8  legati  al
sistema di istocompatibilita' HLA. Il genotipo DQ2,  piu'  frequente,
identifica il gene DQB1*02 generalmente associato, in posizione cis o
trans, al gene DQA1*05, mentre il DQ8 indica i soggetti positivi  per
DQA1*0301/DQB1*0302. I soggetti portatori di  una  «doppia  dose»  di
DQB1*02 (omozigoti) presentano un maggiore rischio di  sviluppare  la
malattia. I genotipi DQ2 e DQ8 non sono specifici della  MC,  poiche'
frequenti (circa il 30%) nella popolazione generale. Essi spiegano il
40-50% della predisposizione genetica, peraltro legata anche a decine
di altri geni prevalentemente coinvolti nella risposta immunitaria ed
infiammatoria; 
      2. l'ingestione di cereali contenenti glutine (frumento, orzo e
segale). Il glutine e' la frazione proteica principale  del  frumento
(circa 80%) e la  proteina  maggiormente  rappresentata  nella  dieta
della popolazione europea (10-20 g/die). E'  costituito  da  numerose
componenti di tipo gliadinico (α,  γ  e  ϖ)  e  gluteninico,  le  cui
caratteristiche sono il notevole contenuto di prolina e  glutamina  e
la   scarsa   digeribilita',    a    causa    della    mancanza    di
prolil-endopeptidasi (PEP) intestinale. Tra i peptidi derivati  dalla
digestione del glutine, spicca il ruolo  patogenetico  del  «33-mer»,
costituito   da   33   aminoacidi,   contenente   numerose   sequenze
immunodominanti in grado  di  attivare  la  «catena»  fisiopatologica
della celiachia. 
    La  patogenesi  della  MC  dipende  da  una  complessa   reazione
immunitaria innescata dal glutine a livello della mucosa intestinale,
che coinvolge meccanismi  di  tipo  sia  adattativo  che  innato.  La
distruzione dell'epitelio intestinale e'  causata  dalla  attivazione
sia dei linfociti CD4 nella lamina propria, con conseguente  rilascio
di citochine  pro-infiammatorie  quali  IFN  ,  che  dei  linfociti
intraepiteliali (IEL), quest'ultima mediata soprattutto dalla IL-15. 
    A parte la predisposizione genetica e  l'ingestione  di  glutine,
altri fattori ambientali sembrano giocare un ruolo  nel  modulare  il
rischio di sviluppare celiachia, quali la  tipologia  del  microbioma
intestinale, specie nelle prime  epoche  della  vita,  la  nutrizione
infantile o le infezioni, le modalita' del parto. 
ASPETTI CLINICI 
    La presentazione della celiachia e' estremamente variabile, tanto
che questa condizione e' stata definita «un camaleonte  clinico».  Si
distinguono le seguenti forme: 
      a) classica (o tipica). Nel bambino  si  manifesta  tipicamente
durante i primi 3 anni di vita, dopo una latenza di alcuni mesi dalla
introduzione  di  cereali  contenenti   glutine   col   divezzamento.
Compaiono gradualmente inappetenza, cambiamento  dell'umore,  diarrea
cronica, arresto/calo di peso e distensione addominale. Nei casi piu'
eclatanti si evidenziano talora  manifestazioni  di  tipo  rachitico,
edemi da ipoprotidemia,  riduzione  dell'attivita'  protrombinica  da
carenza  di  vit.  K.  La  «crisi  celiaca»,  con  diarrea   profusa,
ipoprotidemia e disturbi metabolici  ed  elettrolitici,  e'  divenuta
rara nel nostro Paese; 
      b) non classica (o atipica). Viene spesso osservata in  bambini
di eta' superiore ai 3  anni.  E'  caratterizzata  da  sintomatologia
intestinale aspecifica (es. dolori addominali  ricorrenti,  stomatite
aftosa ricorrente, stitichezza) e/o manifestazioni  extra-intestinali
quali anemia sideropenica resistente alla terapia  marziale  per  os,
stanchezza cronica, bassa statura, ritardo (piu' raramente  anticipo)
puberale,  ipertransaminasemia  isolata   o   dermatite   erpetiforme
(dermatite eritematoponfoide pruriginosa considerata come  «celiachia
della pelle»); 
      c) silente. Tale forma,  nella  quale  e'  assente  una  chiara
sintomatologia,  viene  occasionalmente  individuata  a  seguito   di
screening sierologico in soggetti a rischio, es. familiari  di  primo
grado di celiaci o pazienti affetti da  altre  patologie  autoimmuni.
Nella  celiachia  silente  sono  presenti   le   stesse   alterazioni
sierologiche ed istologiche dei casi tipici; 
      d) potenziale. E'  caratterizzata  da  un  pattern  sierologico
tipico, in presenza di un quadro  istologico  intestinale  normale  o
solo lievemente alterato. Il quadro clinico  puo'  essere  silente  o
aspecifico (es. dolore addominale ricorrente).  Con  il  passare  del
tempo la forma potenziale puo' evolvere in una  celiachia  conclamata
sul piano istologico. 
    Per cio' che  riguarda  la  malattia  dell'adulto,  le  forme  di
presentazione sono sostanzialmente le stesse anche se, pur in assenza
di studi controllati, si ritiene che quelle caratterizzate da sintomi
aspecifici,  minori,  extraintestinali  e  l'associazione  con  altre
malattie  autoimmuni,  abbiano  una  prevalenza   maggiore.   Proprie
dell'eta'  adulta  sono  le  turbe  della  riproduzione   (amenorrea,
infertilita',  abortivita',  menopausa  precoce,  diminuzione   della
libido in entrambi i sessi), la maggiore perdita di massa ossea  che,
a differenza dell'infanzia, spesso richiede  la  somministrazione  di
farmaci mineralo-attivi, le complicanze che verranno trattate  in  un
successivo  capitolo.   Anche   l'anemia,   in   particolare   quella
sideropenica, assume un rilievo maggiore per le concomitanti  perdite
mestruali. 
GRUPPI A RISCHIO 
    Una  maggiore  prevalenza  di  celiachia  si  osserva  in  alcune
situazioni (gruppi a rischio), che rappresentano pertanto una  chiara
indicazione alla indagine sierologica: (a) familiarita'. La frequenza
di MC tra i familiari del celiaco e' di circa  il  10  %;  (b)  altre
malattie autoimmuni, soprattutto il diabete di  tipo  1  (5-10%),  le
malattie tiroidee autoimmuni  (5%),  l'epatite  autoimmune  e  le  m.
infiammatorie croniche intestinali; (c) s. di Down (5-10%), di Turner
e di Williams; (d) deficit selettivo di IgA, il  quale  comporta  una
falsa negativita' dei marcatori sierologici di celiachia di tipo IgA.
La Tabella 1 riassume le condizioni cliniche nelle quali e'  indicato
lo screening sierologico per la celiachia (cosiddetto case-finding). 
 
                                                            Tabella 1 
 
                 Situazioni nelle quali e' indicato 
            una valutazione sierologica per la celiachia  
 
      
 
 ===================================================================
 |      Sintomi e segni suggestivi       |    Gruppi a rischio     |
 +=======================================+=========================+
 |Disturbi intestinali cronici (dolore   |                         |
 |addominale, stipsi, diarrea,           |Familiarita' per         |
 |meteorismo)                            |celiachia                |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |                                       |Deficit selettivo IgA    |
 |Stomatite aftosa ricorrente            |sieriche                 |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |                                       |Patologie autoimmuni     |
 |                                       |associate (soprattutto   |
 |                                       |diabete dipo 1 e         |
 |Ipoplasia dello smalto dentario        |tiroidite)               |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Ipostaturalita'                        |s. di Down               |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Ipertransaminasemia                    |s. di Turner             |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Sideropenia (con o senza anemia)       |s. di Williams           |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Stanchezza cronica                     |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Rachitismo, osteopenia                 |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Dermatite erpetiforme                  |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Anomalie dello sviluppo puberale       |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Orticaria ricorrente                   |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Disturbi della fertilita' (abortivita' |                         |
 |spontanea, menarca tardivo, menopausa  |                         |
 |precoce, infertilita')                 |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Epilessia con calcificazioni           |                         |
 |endocraniche ed altre patologie        |                         |
 |neurologiche (atassia, polineurite,    |                         |
 |etc.)                                  |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 |Disturbi del comportamento alimentare  |                         |
 |(anoressia nervosa)                    |                         |
 +---------------------------------------+-------------------------+
 
STRATEGIE DIAGNOSTICHE 
    Sistema maggiore di istocompatibilita' di II tipo HLA 
    I geni HLA di classe II DQA e DQB sono i principali  determinanti
della suscettibilita' genetica della  celiachia.  Piu'  del  95%  dei
pazienti  celiaci  condivide  l'eterodimero  DQ2,  che  puo'   essere
presente    in    configurazione    cis    (codificato    dall'allele
HLA-DR3-DQA1*0501-DQB1*0201)    o     in     configurazione     trans
(HLA-DR11-DQA1*0505 DQB1*0301/DR7-DQA1*0201  DQB1*0202);  la  maggior
parte   degli   altri    pazienti    presenta    l'eterodimero    DQ8
(DQA1*0301-DQB1*0302). La presenza del DQ2 e/o del DQ8 e'  condizione
necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di malattia celiaca,  e
in effetti  circa  il  30-40%  della  popolazione  generale  presenta
l'aplotipo DQ2, ma solo l'1% sviluppa la  celiachia.  Considerando  i
numerosi studi che hanno valutato l'uso  del  HLA  nella  diagnostica
della celiachia, emerge che la sensibilita' del DQ2 e'  del  91%,  ed
aumenta al 96% quando associato al DQ8, mentre la specificita'  della
combinazione dei  due  aplotipi  e'  bassa,  e  varia  nelle  diverse
popolazioni studiate dal 12 al 68%. 
    L'importanza  diagnostica  del  HLA  risiede   nel   suo   valore
predittivo  negativo,  dato  che  la  negativita'  per  entrambi  gli
aplotipi  rende  decisamente  improbabile  la  diagnosi  di  malattia
celiaca. Quindi nella pratica diagnostica della celiachia,  il  ruolo
principale della tipizzazione HLA e' escludere la  malattia  celiaca,
in particolare negli individui appartenenti a  gruppi  a  rischio  di
sviluppo di malattia, come ad  esempio  parenti  di  primo  grado  di
pazienti  celiaci.  La  negativita'  del  HLA  in  questi  individui,
rendendo improbabile lo sviluppo di malattia celiaca,  rende  inutile
lo screening successivo con metodiche sierologiche. Sempre sfruttando
il suo  elevato  valore  predittivo  negativo,  la  tipizzazione  HLA
andrebbe poi offerta ai pazienti con diagnosi incerta  di  celiachia,
come in caso di negativita' per la sierologia e alterazioni  mucosali
lievi, o utilizzata nell'approccio al paziente a dieta senza  glutine
con pregressa diagnosi dubbia. 
    Sierologia 
    La  celiachia  e'  caratterizzata  dalla  presenza  di  anticorpi
specifici,   diretti   contro    un    auto-antigene,    ovvero    la
transglutaminasi di tipo 2 (anti-TG2), e contro la gliadina deaminata
(DGP). Gli anticorpi  antiendomisio  (EMA)  sono  rivolti  contro  la
transglutaminasi extracellulare. Eccezion fatta per gli anti-DGP, gli
anticorpi utili per la diagnosi appartengono alla classe IgA,  ma  in
individui affetti da deficit di IgA e' utile ricercare lo stesso tipo
di anticorpi di classe IgG. 
    Gli anti-TG2 possono essere individuati  con  metodiche  ELISA  o
RIA,   mentre   gli   EMA   vengono   studiati   con   metodiche   di
immunofluorescenza,  soggette  alla   variabilita'   interindividuale
dell'operatore,  ma  dotate  di  specificita'  vicina  al   100%   in
laboratori esperti. Non  esiste  un  metodo  standardizzato  tale  da
esprimere gli anti-TG2 e gli anti-DGP in concentrazione  assoluta  di
immunoglobuline, tuttavia la maggior  parte  dei  kits  in  commercio
utilizza curve di taratura basate su diluizioni che  corrispondono  a
valori numerici proporzionali alla concentrazione di anticorpo. 
    La positivita' degli anti-TG2  e/o  degli  EMA  e'  associata  ad
un'alta probabilita'  di  celiachia.  La  positivita'  isolata  degli
anti-TG2, in particolare se  caratterizzata  da  bassi  valori,  puo'
essere  associata  anche  ad   altre   condizioni,   quali   malattie
autoimmuni, malattie epatiche, psoriasi. Questo fenomeno  invece  non
e' descritto per gli EMA, ed e' questo il  motivo  per  cui  gli  EMA
presentano una specificita' maggiore. 
    Vi e' evidenza che alti valori di anti-TG2  predicono  meglio  la
presenza di atrofia dei villi rispetto a valori bassi o intermedi. In
particolare, vi e' una forte  associazione  tra  valori  di  anti-TG2
superiori di 10 volte il cut-off dell'assay e la presenza di  atrofia
dei  villi.  Questo  concetto  e'  alla  base  del  nuovo   approccio
diagnostico proposto dalle linee guida pediatriche, ove  la  presenza
in un soggetto con sintomi suggestivi di celiachia, di un  valore  di
anti-TG2 superiore 10 volte il cut-off,  associato  alla  positivita'
degli  EMA  (ottenuta  su  un  altro  campione  di  sangue)  e   alla
compatibilita' dell'HLA, permette la diagnosi di celiachia,  evitando
la biopsia. Nei soggetti asintomatici a rischio invece, gli  anti-TG2
vanno determinati periodicamente se vi e' positivita' per l'HLA. 
    Gli  anti-DGP  hanno  una  performance  inferiore  rispetto  agli
anti-TG2 e agli EMA,  ma  hanno  un  ruolo  nella  diagnostica  della
celiachia nei soggetti con deficit di  IgA  e  nei  bambini  di  eta'
inferiore ai 2 anni con forte sospetto clinico, ma negativita'  degli
anticorpi anti-transglutaminasi. Gli anticorpi  anti-gliadina  nativa
presentano in genere bassa sensibilita' e specificita', e  non  vanno
presi in considerazione nella diagnostica della celiachia. 
    Gli anticorpi tipici della  celiachia  vanno  testati  quando  il
soggetto e a dieta libera, contenente glutine, e la prima volta vanno
associati a una determinazione delle  Ig  totali,  per  escludere  un
deficit di IgA, condizione morbosa che puo' causare falsi negativi  e
che tra l'altro e' in associazione con la celiachia. 
    Biopsia e istologia 
    La biopsia andrebbe eseguita mediante esofagogastroduodenoscopia.
Questa,  rispetto  alla  capsula,   offre   notevoli   vantaggi:   la
possibilita'  di   effettuare   campionamenti   multipli,   l'assenza
esposizione  ai  radiazioni,  la  durata  minore   della   procedura.
L'importanza del campionamento multiplo e'  dovuta  a  una  possibile
distribuzione  non  omogenea  delle  alterazioni  mucosali   (lesioni
patchy), che potrebbero quindi  non  esser  individuate  in  caso  di
campionamento singolo. Per quanto riguarda le sedi del campionamento,
andrebbero prelevati almeno 4 frammenti dalla seconda/terza  porzione
del duodeno e almeno uno dal bulbo. 
    Una seconda biopsia va considerata in caso di  pazienti  che  pur
essendo a dieta senza glutine rimangono sintomatici,  mentre  non  e'
necessaria, almeno per quanto riguarda i pazienti in eta' pediatrica,
nei celiaci a dieta senza glutine che  presentano  risoluzione  della
sintomatologia e negativizzazione della sierologia. 
    L'aspetto istologico dell'intestino del soggetto celiaco presenta
diversi gradi di severita', andando  dall'infiltrazione  linfocitaria
fino all'atrofia completa dei villi. La descrizione delle lesioni  va
effettuata  in  accordo  classificazioni   riconosciute   a   livello
internazionale, considerando l'infiltrazione linfocitaria,  l'atrofia
dei  villi,  l'iperplasia  delle  cripte,  il  rapporto  vini/cripte.
Fondamentale e' il corretto orientamento della biopsia. 
    La biopsia si puo', infine, rivelare utile per studi  di  secondo
livello che soprattutto nei casi con danno minimo possano indirizzare
il sospetto verso una patologia da glutine.  Un  assay  relativamente
nuovo  prevede  l'individuazione  mediante   immunofluorescenza   dei
depositi di antiTG2 IgA nella  mucosa  intestinale.  Utile  anche  la
conta  dei  linfociti   intraepiteliali   con   recettore   di   tipo
gamma/delta,   il   cui   aumento   risulta   essere   il   parametro
immunoistochimico piu' specifico per la diagnosi di celiachia. 
    L'algoritmo diagnostico per l'adulto e' piu' semplice  di  quello
dei pazienti in eta' pediatrica, in quanto nell'adulto,  in  caso  di
positivita' serologica, si passa direttamente alla biopsia.  Inoltre,
nell'adulto in casi particolari, e' prevedibile una  seconda  biopsia
dopo dieta aglutinata. 
PROBLEMATICHE PARTICOLARI 
    Malattia celiaca potenziale 
    La  Celiachia  Potenziale  e'  caratterizzata  dal  riscontro  di
anticorpi specifici per la  malattia  celiaca,  in  presenza  di  HLA
compatibile, ma in assenza di alterazioni architetturali della mucosa
intestinale (Tipo 0, 1  secondo  Marsh).  I  pazienti  con  Celiachia
Potenziale possono  o  meno  presentare  sintomatologia  clinica;  il
riscontro di  tale  condizione  e'  frequente  come  risultato  dello
screening di popolazioni a rischio quali familiari di primo grado  di
celiaci, diabetici o pazienti con  altre  patologia  autoimmunitarie.
Tale condizione nell'ultima decade e' diventata sempre piu' frequente
nella pratica clinica fino a  rappresentare  oggi  circa  il  18%-20%
delle  diagnosi  di  celiachia.  Essa  pone   al   clinico   problemi
diagnostici e di terapia. 
    Dal punto di vista diagnostico,  di  fronte  a  quadri  di  danno
«minimo»  della  mucosa,  rivestono  un  ruolo  importante   tecniche
eseguibili sui campioni bioptici  che  indirizzino  in  maniera  piu'
specifica verso una patologia da glutine; tra  queste  la  conta  dei
linfociti intraepiteliali con recettore di tipo gamma/delta,  il  cui
aumento risulta essere il parametro immunoistochimico piu'  specifico
per la diagnosi di celiachia. A  livello  dei  villi  intestinali  e'
inoltre possibile distinguere un pattem di distribuzione  particolare
dei linfociti  intraepiteliali  che  nel  celiaco  sono  maggiormente
localizzati a livello  dell'apice  del  villo  rispetto  ai  soggetti
normali. Piu' recentemente e'  stato  dimostrato  che  gli  anticorpi
anti-transglutaminasi si  depositano  nella  mucosa  intestinale  del
celiaco: il ritrovare depositi di anticorpi anti-transglutaminasi  di
tipo IgA a livello intestinale viene considerato un  segno  specifico
della malattia celiaca ed e' stato suggerito come elemento predittore
di eventuale evoluzione verso l'atrofia. 
    La storia naturale della  malattia  nei  pazienti  con  Celiachia
Potenziale non e' ancora del tutto chiarita;  un  recente  lavoro  ha
mostrato che circa il  30%  dei  bambini  con  Celiachia  Potenziale,
lasciati a dieta libera, sviluppa un'atrofia della mucosa intestinale
durante un periodo di osservazione di 9 anni. Nello stesso periodo di
osservazione nel 20% dei casi si e' assistito ad una scomparsa  degli
anticorpi specifici nel siero. Ad  oggi,  in  realta',  non  esistono
chiare evidenze scientifiche che permettano di identificare un  unico
parametro  in  grado  di  predire  al  momento  della  diagnosi   chi
sviluppera' nel tempo un franco danno della mucosa intestinale. 
    Per quanto riguarda le decisioni  terapeutiche,  il  ruolo  della
dieta priva di glutine e' ancora dibattuto, in particolar modo per  i
soggetti asintomatici. 
    L'atteggiamento prevalente nei centri Italiani e' quello di porre
a dieta priva di glutine i pazienti  sintomatici  per  verificare  la
glutine-dipendenza dei sintomi; al contrario i pazienti  asintomatici
vengono lasciati a dieta libera, ma  con  uno  stretto  programma  di
follow-up per verificare  l'andamento  clinico-laboratoristico  e  la
comparsa di eventuali segni e sintomi della malattia, come per  altro
indicato dalle nuove linee-guida dell'ESPGHAN pubblicate nel 2012. 
    La celiachia nella  transizione  dall'eta'  pediatrica  a  quella
adulta 
    Il  problema  della  celiachia  nell'adolescente  merita  qualche
sottolineatura per tre  aspetti  peculiari:  quello  clinico,  quello
dell'elevato rischio di abbandono della dieta senza glutine  e  delle
sue conseguenze in questa epoca della vita e quello della transizione
alle cure del medico specialista dell'adulto. 
    Durante l'adolescenza, in condizioni fisiologiche, si completa il
processo di mineralizzazione  dell'osso  con  il  raggiungimento  del
cosiddetto picco di massa ossea. Dopo questa eta', la deposizione  di
calcio  nell'osso  e'  irrilevante   e   prevale   il   processo   di
riassorbimento. Nell'adolescente celiaco non diagnosticato o che  non
esegue correttamente la dieta senza glutine, il picco di massa  ossea
che viene raggiunto rimane piu' o meno significativamente ridotto con
la conseguenza di un maggior rischio di osteoporosi in  eta'  adulta.
L'aderenza alla dieta glutinata  durante  l'adolescenza  ha  pertanto
un'importanza  specifica  perche',   qualora   instaurata   dopo   il
raggiungimento del picco di massa ossea (16-18  anni  nelle  femmine,
20-22 anni nel maschio), non bastera' piu' da sola  a  correggere  il
difetto di mineralizzazione dell'osso. 
    Piu' della meta'  degli  adolescenti  abbandona  la  dieta  senza
glutine. Questo fenomeno ha diverse spiegazioni  non  solo  attinenti
alla fase evolutiva stessa, caratterizzata  tra  l'altro  da  rifiuto
delle regole e spesso anche della sorveglianza medica, ma anche  alle
modalita'  con  cui  era  stata  fatta  la  diagnosi  (per  screening
piuttosto che per sintomi o nelle primissime eta' della vita).  Molti
adolescenti celiaci che liberalizzano la dieta  per  prova  (o  anche
come gesto di sfida), qualora le conseguenze  di  questa  scelta  non
siano state discusse e approfondite ripetutamente e direttamente  con
loro (con largo spazio all'ascolto oltre che alla prescrizione),  mal
intendono il  fatto  di  non  presentare  alcun  sintomo  acuto  dopo
l'ingestione di cibi contenenti glutine e finiscono  col  convincersi
di aver fatto la scelta giusta. E' questo  un  momento  critico,  con
elevato rischio che l'adolescente esca dal  controllo  e  dalle  cure
dello specialista pediatra senza essere correttamente traghettato  al
controllo e alle cure del  medico  specialista  dell'adulto  e  senza
avere reale  consapevolezza  delle  possibili  implicazioni  negative
dell'abbandono della dieta aglutinata. 
    E' stato calcolato che solo una minoranza (meno  del  20%)  degli
adolescenti celiaci rimane affidato  a  cure  mediche  specialistiche
dopo l'adolescenza. Questo evento  rappresenta  uno  dei  fattori  di
maggior peso nel favorire una cattiva aderenza alla dieta  aglutinata
e impone la ricerca di una soluzione specifica. 
    Sarebbe   opportuno   che   l'inizio   dello   sviluppo    pubere
rappresentasse un'occasione per riformulare la diagnosi  direttamente
al bambino, discutendone  a  tu  per  tu  le  implicazioni  senza  la
mediazione  dei  genitori,  dandogli  cosi'  occasione  di   ricevere
risposte personalizzate a dubbi e timori e di maturare consapevolezza
del suo problema. Questo processo di internalizzazione del  locus  of
control  (quel  processo  col  quale  in  un  individuo   cresce   la
consapevolezza di quanto sia personalmente responsabile di  cio'  che
gli accade) e' un fattore di importanza  determinante  per  la  buona
compliance alle terapie nella celiachia come  in  tutte  le  malattie
croniche in generale e potrebbe  essere  favorito  da  un  intervento
condiviso  e  concordato  (transizione)   tra   pediatra   e   medico
dell'adulto. 
    Per quanto nella letteratura medica internazionale non  vi  siano
al momento linee guida ufficiali sulla  transizione  dell'adolescente
celiaco alle cure del medico dell'adulto, in alcuni centri sono  gia'
in uso dei protocolli perche' questa avvenga in maniera  strutturata,
specie per quel gruppo di pazienti che  vengono  considerati  a  piu'
alto rischio di abbandonare la dieta aglutinata  (ad  esempio  quelli
che hanno ricevuto diagnosi nella prima infanzia  o  che  sono  stati
diagnosticati per screening in assenza  di  sintomi  conclamati).  La
transizione ideale dovrebbe prevedere la creazione di un  ambulatorio
dedicato in  cui  gastroenterologo  pediatra  e  dell'adulto  possano
interagire alla presenza dell'interessato  in  un  paio  di  incontri
formulando e condividendo il suo programma di controlli. Sara'  molto
utile in  queste  occasioni  la  lettura  e  la  discussione  di  una
relazione strutturata scritta  dal  pediatra  che  riassuma  i  punti
salienti della storia clinica, lo  stato  attuale  del  paziente,  la
qualita' della sua aderenza alla dieta aglutinata e  in  cui  vengano
sottolineati i rischi e le conseguenze associati all'abbandono  della
dieta stessa specifici dell'eta' adolescenziale e dell'adulto. 
FOLLOW UP: tempi ed indagini 
    Un controllo entro 6-12 mesi dalla  diagnosi  e  successivamente,
ogni 1-2 anni (salvo complicanze) e' sufficiente  per  verificare  la
compliance alla dieta senza glutine (DSG), verificare la comparsa  di
malattie  auto-immuni  e/o  alterazioni  metaboliche   (che   possono
comparire  anche  in  soggetti  celiaci  trattati)   e   soprattutto,
diagnosticare precocemente la comparsa di complicanze. 
    Ad ogni controllo, il soggetto celiaco dovrebbe essere sottoposto
a: visita medica,  valutazione  dietetica,  controllo  dell'emocromo,
dosaggio anticorpi serici anti-transglutaminasi di classe IgA (o  IgG
se vi e'  deficit  delle  IgA)  e  TSH.  Altri  esami  strumentali  e
specialistici  vanno  effettuati  se  la   valutazione   clinica   lo
consiglia. Nell'adulto, la densitometria ossea andrebbe  eseguita  di
routine una volta almeno, dopo 18  mesi  di  dieta  senza  glutine  e
ripetuta  periodicamente  su  indicazione  del   curante,   solo   se
patologica o vi sono indicazioni cliniche. 
LE COMPLICANZE DELLA MALATTIA CELIACA 
    Si tratta di rare situazioni che occorrono in  circa  il  5%  dei
pazienti celiaci che  afferiscono  a  Centri  di  riferimento  e  che
peggiorano, in misura spesso irreversibile, il decorso clinico  della
MC. E' opportuno  chiarire  che,  nella  quasi  totalita'  dei  casi,
riguardano la forma dell'adulto, cioe' adulti diagnosticati  in  eta'
adulta  e  non  pazienti  in  eta'  pediatrica  o   pazienti   adulti
diagnosticati in eta' pediatrica e da allora in dieta  aglutinata.  A
conferma, solo  per  la  forma  dell'adulto  e'  stata  ripetutamente
riportata una mortalita' significativamente superiore a quella  della
popolazione  generale.  Fattori  predisponenti   allo   sviluppo   di
complicanze sono rappresentati da una diagnosi  tardiva  e/o  da  una
insufficiente compliance alla dieta aglutinata. 
    Le  principali  complicanze  della  MC  sono:  (a)  la  celiachia
refrattaria, (b) il linfoma T-cellulare e (c) l'atrofia della milza. 
    (a) La celiachia refrattaria e'  caratterizzata  da  una  mancata
risposta istologica, e quindi clinica, dopo 12 mesi di esclusione del
glutine  dalla  dieta.  L'accertamento  di  questa  condizione   pone
numerosi problemi  clinici.  In  accordo  con  tale  definizione,  la
persistenza o la ricomparsa, dopo dieta,  dei  soli  sintomi  non  e'
indicativa di MC refrattaria. La presenza  di  diarrea,  ad  esempio,
puo'  dipendere  dalla  frequente  associazione  alla  MC  di   altre
condizioni,  quali   deficit   di   lattasi,   colite   microscopica,
insufficienza    pancreatica,    diabete,    che,     poiche'     non
glutine-sensibili, non rispondono alla dieta  aglutinata.  Il  marker
della  forma  refrattaria  e',  invece,  costituito   dalle   lesioni
intestinali, ma anche in loro presenza la refrattarieta' puo'  essere
solo apparente e simulata da (i) una scadente aderenza (consapevole o
inconsapevole)  alla  dieta  aglutinata,  da  (ii)  un  miglioramento
tardivo e pertanto non evidente dopo un anno di dieta,  da  (iii)  un
errore nell'interpretazione della prima biopsia legato  ad  artefatti
tecnici  o  all'aver  scambiato  la  MC  con  altre  condizioni   non
glutine-sensibili, ma anch'esse caratterizzate da atrofia dei  villi,
quali  l'enteropatia   autoimmune,   l'enteropatia   da   Olmesartan,
l'immunodeficit comune variabile o, meno frequentemente, la giardiasi
o l'enteropatia da lICV. In queste condizioni  la  negativita'  degli
anticorpi propri della MC, la positivita' di esami particolari, quali
gli anticorpi antienterocita nel caso dell'enteropatia autoimmune,  e
la  raccolta  di  un'attenta  storia  clinica  consentono   la   loro
differenziazione  dalla  MC  refrattaria.  E'   opportuno,   inoltre,
sottolineare  che  il  riconoscimento   di   tale   condizione   pone
particolari e maggiori difficolta'  in  quei  pazienti  in  cui  alla
diagnosi il paziente e' gia' affetto  dalla  complicanza  rispetto  a
quelli nei quali essa si sviluppa dopo una iniziale positiva risposta
alla dieta. Nel primo caso, infatti, mancano due  criteri  forti  per
MC:  la  regressione  delle  lesioni  dopo  dieta  aglutinata  e   la
positivita' degli anticorpi  antitransglutaminasi  ed  endomisio  (di
norma negativi in corso di MC complicata) e, di conseguenza, per  una
diagnosi sicura e' necessario escludere con molta  attenzione  quelle
condizioni gia' menzionate. 
    Una  volta  definita  la   diagnosi   di   MC   refrattaria,   e'
assolutamente necessario distinguere tra i suoi possibili  sottotipi,
marcati  da  importanti  differenze   prognostiche.   Le   principali
caratteristiche del Tipo 1 e Tipo 2 di MC refrattaria sono  riportate
nella Tabella 1. Per cio' che riguarda il Tipo 1,  la  sua  frequente
associazione  con  altre  malattie  autoimmuni  e  la  sua  possibile
risposta  alla  somministrazione  di  immunosoppressori,  inducono  a
considerarlo il viraggio autoimmune di una MC che ha perso nel  tempo
la capacita' di rispondere alla dieta priva di glutine. Per cio'  che
riguarda  il  Tipo  2,  il  piu'  frequente  accumulo  di   linfociti
intraepiteliali  (le  cellule  dalle   quali   origina   il   linfoma
intestinale)  con   un   fenotipo   aberrante,   caratterizzato   dal
riarrangiamento monoclonale della catena gamma del  T-cell  receptor,
dalla mancata espressione del  CD4,  del  CD8  e  della  porzione  di
membrana del CD3, dalla presenza  di  alterazioni  cromosomiali,  dal
rischio elevato  di  evoluzione  in  linfoma  T-cellulare  e  da  una
conseguente elevata mortalita', inducono a considerarla  una  vera  e
propria forma preneoplastica. Il Tipo 2 e', a volte,  associato  alla
presenza  di  digiuno-ileite   ulcerativa,   cioe'   di   ulcerazioni
intestinali multiple, che determinano stenosi plurime della parete  e
che si accompagnano a sintomi quali intenso dolore  di  tipo  colico,
distensione  gassosa,  febbricola,   peggioramento   di   diarrea   e
malnutrizione. Per la dimostrazione delle  specifiche  alterazioni  a
carico dei linfociti intraepiteliali la citofluorimetria a flusso  su
cellule  separate  si  e'  dimostrata  piu'  sensibile  e   specifica
dell'immunoistochimica. 
    Ne   consegue   che   sia   la   diagnosi   che   la   successiva
caratterizzazione  della  malattia  celiaca  refrattaria   richiedono
esperienza ed attrezzature particolari. Ciononostante, a  volte,  non
si riesce a differenziare con sicurezza Tipo 1 e Tipo 2, alcuni hanno
addirittura osservato una conversione tra  le  due  forme  e  non  e'
escluso  che  in  un  prossimo  futuro  tale  classificazione   possa
cambiare. Mentre, come si  e'  detto,  il  Tipo  1  e'  correntemente
trattato  con  immunosoppressori,  privilegiando  la  budesonide   ed
evitando l'azatioprina per non aumentare il rischio di  linfoma,  per
il Tipo 2 non esiste una terapia codificata. Poiche' si  ritiene  che
una  persistente  sovraproduzione  di   IL-15   sia   la   principale
responsabile  di  questa  complicanza,  il  monoclonale  anti   IL-15
(AMG714),  gia'  usato  sperimentalmente  in  ambito   reumatologico,
rappresenterebbe un naturale candidato. Il suo profilo di  sicurezza,
tuttavia, non si e' rivelato tale da consentirne un  impiego  clinico
allargato e, al momento, la terapia del Tipo 2 non si differenzia  in
maniera sostanziale da quella del linfoma T. 
    (b) Il linfoma T si localizza piu' frequentemente  nell'intestino
tenue  prossimale,  con  nodularita'  multiple  ed  ulcerate,  spesso
complicate da  stenosi  e  perforazioni.  Sul  piano  istologico,  e'
caratterizzato dall'accumulo di cellule di dimensioni  aumentate  con
nucleo rotondeggiante o vescicolare, nucleoli prominenti,  abbondante
citoplasma pallido ed elevato indice  mitotico,  in  un  contesto  di
eosinofili, istiociti e piccoli linfociti. Sul piano  clinico,  sesso
maschile,  eta'  avanzata,  omozigotismo  DQ2,  e,  soprattutto,   il
precedente rilievo di celiachia refrattaria, rappresentano importanti
predittori clinici. L'insorgenza inattesa di calo  ponderale,  dolore
addominale, ripresa della diarrea, perdita di  sangue  e/o  albumine,
febbre, sudorazione notturna,  elevazione  delle  latticodeidrogenasi
debbono sempre allenare nei confronti di questa complicanza. Anche se
sul piano diagnostico l'accertamento di linfoma avviene molto  spesso
in corso di laparotomia, le recenti tecniche di immagine  (TAC,  RMN,
PET) ed endoscopiche (videocapsula e,  soprattutto,  enteroscopia  «a
doppio pallone» che consente biopsie  multiple  delle  lesioni)  sono
provviste di livelli di sensibilita' e specificita' molto elevati ma,
in assenza di studi  comparativi,  l'impiego  dell'una  o  dell'altra
metodica dipende eminentemente dalla loro disponibilita' locale. 
    La risposta alla  terapia  del  linfoma  associato  alla  MC  e',
purtroppo, ancora estremamente deludente, con una sopravvivenza che a
5 anni risulta mediamente inferiore al 15%. D'altra parte, non esiste
alcun regime adeguatamente standardizzato ed  anche  il  ruolo  della
chirurgia e' molto dibattuto: se da  una  parte  la  resezione  della
massa tumorale riduce il rischio di perforazione associato a chemio e
radioterapia, dall'altra l'intervento chirurgico, per la possibilita'
di fistole, incompleta cicatrizzazione, ed infezioni, puo'  ritardare
oltre  il  dovuto  l'inizio  della  chemioterapia.  Lo  schema   CHOP
(ciclofosfamide,  doxorubicina,  vincristina,  prednisone),  il  piu'
usato  per  anni,  consente   assai   raramente   una   soddisfacente
sopravvivenza. Risultati migliori sono stati ottenuti  associando  un
ciclo iniziale di CHOP a sei cicli alternati  di  IVE  (ifofosfamide,
epirubicina,  etoposide)  e  metotrexate,  seguiti  da   melfalan   e
trapianto  di  cellule  staminali  autologhe.  Altri  farmaci,  quali
l'alemtuzumab (anti CD52), la cladribina  (nucleoside  purinico),  la
romidepsina  (inibitone   della   istone-deacetilasi),   sono   stati
insufficientemente   testati   e/o   hanno   portato   a    risultati
contrastanti. 
    (e) L'atrofia della milza  deve  essere  sospettata  in  pazienti
diagnosticati  tardivamente,  complicati,  o   con   altre   malattie
autoimmuni.  E'  confermata  dal  riscontro,  anche   alla   semplice
ecografia addominale,  di  una  milza  piccola,  spesso  associata  a
cavitazione dei linfonodi mesenterici, quale espressione di  un  piu'
generalizzato  disordine  linfo-reticolare.   L'atrofia   e'   sempre
accompagnata da una importante compromissione funzionale,  confermata
dall'aumento nel sangue periferico dei corpi di Howell-Jolly o,  piu'
specificamente,  delle  «pitted  red  cells»   (globuli   rossi   con
caratteristiche escavazioni di membrana). 
    Per anni l'atrofia splenica della MC e'  stata  considerata  solo
una curiosita' patologica,  probabilmente  sprovvista  di  una  reale
valenza clinica. Piu' recentemente,  alcuni  studi  hanno  dimostrato
nella MC una frequenza  abnormemente  elevata  di  sepsi  da  batteri
capsulati (pneumococco, meningococco, haemophilus) nei confronti  dei
quali gli anticorpi «naturali»  prodotti  dalla  milza  rappresentano
l'unica linea di difesa. Di conseguenza,  il  riscontro  nel  celiaco
adulto  di  una   compromissione   anatomo-funzionale   della   milza
costituisce un'indicazione alla vaccinazione nei  confronti  di  tali
microrganismi. 
    Come  considerazione  conclusiva,  questo  panel  si   sente   di
raccomandare che, a motivo della loro prevalenza non  elevata,  della
inerente complessita' clinico-diagnostica e della costante severita',
le complicanze della malattia celiaca costituiscono un  argomento  di
pertinenza ultraspecialistica e che i pazienti che ne siano portatori
debbano essere indirizzati a Centri di riferimento terziario. 
 
                                                            Tabella 2 
              MALATTIA CELIACA REFRATTARIA TIPO I E II 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
LA DIETA SENZA GLUTINE 
    Una scrupolosa e permanente dieta senza glutine (DSG) e'  l'unico
trattamento ad oggi disponibile per la MC.  Con  termine  glutine  si
comprende in origine il complesso proteico  alcol-solubile  solo  del
grano (composto  da  gliadine  e  glutenine),  ma  in  considerazione
dell'omologia di sequenze e della simile tossicita'  per  i  soggetti
celiaci, questo termine e' stato esteso per identificare le  omologhe
proteine dell'orzo (ordeine) e  della  segale  (secaline).  Quindi  i
soggetti celiaci devono evitare cibi a base di grano (tutto il gruppo
Triticum, compresi farro e spelta), segale ed  orzo;  inoltre  queste
persone devono prestare attenzione a tutti quei  prodotti  alimentari
trasformati e/o confezionati, nei quali  in  glutine  viene  aggiunto
durante i processi industriali come additivo. 
    I  cereali  che  non  contengono  glutine,  e  che  quindi   sono
liberamente permessi in un DSG sono mais, riso, sorgo, miglio e teff.
Inoltre gli pseudo-cereali, tra i piu' diffusi quinoa, grano saraceno
e manioca, sono privi di glutine. Riguardo all'inclusione  dell'avena
nella  DSG,  persistono  tuttora  delle  perplessita';  sebbene   sia
tollerata dalla maggior parte dei soggetti celiaci,  alcuni  pazienti
celiaci trattati mostrano comunque una risposta immune ed inoltre  vi
e' ancora incertezza riguardo la tossicita' delle diverse varieta' di
avena nella malattia celiaca. Sono  naturalmente  privi  di  glutine:
verdure ed ortaggi, frutta, tuberi, legumi,  carne,  pesce  ed  uova,
purche' non presenti in prodotti lavorati e/o trasformati. 
    La DSG e' efficace nel determinare  la  remissione  nel  soggetto
celiaco,  dei  sintomi  e  segni  dipendenti   dalla   malattia,   la
normalizzazione   dei   livelli   plasmatici   degli   auto-anticorpi
glutine-dipendenti e delle lesioni della  mucosa  duodenale.  La  DSG
inoltre, e' uno  strumento  efficace  nel  prevenire  le  complicanze
associate  alla  MC,  alcune  delle  quali  a  prognosi  estremamente
sfavorevole. 
    La compliance alla  DSG  deve  essere  rigorosa,  nell'ambito  di
questo regime dietetico va evitata l'assunzione volontaria di glutine
(trasgressioni), anche saltuariamente  e  in  piccole  dosi  e  anche
qualora non  si  scatenassero  sintomi  e/o  segni  propri  della  MC
nell'immediato  dopo   l'assunzione   di   glutine.   Riguardo   alle
contaminazioni (presenza non voluta di tracce di glutine in  alimenti
che ne sono naturalmente privi in seguito  al  passaggio  accidentale
durante processi di conservazione e preparazione domestica e/o  nella
ristorazione collettiva), l'atteggiamento da tenere  deve  essere  di
attenzione, evitando comportamenti troppo restrittivi. 
    La DSG prevede il consumo, oltre di alimenti  naturalmente  privi
di glutine (sopra descritti), di  prodotti  alimentari  appositamente
formulati per celiaci. Questi sono  succedanei  di  alimenti  di  uso
comune  in  cui  la  presenza  di  cereali  contenenti   glutine   e'
caratterizzante e prevalente, se  non  esclusiva  e  che  sono  stati
prodotti con materie prime prive di glutine o  private  del  glutine.
Tali  prodotti   possono   riportare   in   etichetta   l'indicazione
nutrizionale  volontaria  «senza  glutine».  La  stessa  dicitura  e'
permessa per gli alimenti  confezionati  e/o  lavorati  che  pur  non
essendo  caratterizzati  dalla  sostituzione  di  cereali  contenenti
glutine con quelli che ne sono privi, sono  stati  prodotti  evitando
l'aggiunta  di   glutine   come   additivo.   Per   poter   riportare
l'indicazione «senza glutine» in etichetta,  un  prodotto  alimentare
deve avere un contenuto di glutine inferiore a 20 parti per milione. 
    Nonostante le limitazioni della DSG, che  condiziona  in  maniera
importante la qualita' di vita delle persone celiache, questo  regime
dietetico puo' fornire un apporto vario,  bilanciato  e  completo  di
nutrienti, vitamine e minerali. Gli individui celiaci in  trattamento
dietetico presentano a regime  un  intake  inferiore  alle  quantita'
raccomandate di fibre, calcio, folati e vitamina B12, mentre  non  ci
sono evidenti differenze tra  la  dieta  libera  e  la  DSG  riguardo
all'apporto di energia e di macronutrienti. La carenza  di  fibre  e'
dovuta alla difficolta' di inserire nella  dieta  cereali  integrali.
Non  e'  comunque  necessario  assumere  integratori  di  particolari
nutrienti, se si segue una DSG varia ed equilibrata. 
    Al momento non esistono indici non invasivi  che  permettano  con
certezza di valutare la compliance alla DSG di un  soggetto  celiaco.
La soglia di ricomparsa dei  sintomi  legati  alla  malattia  celiaca
all'esposizione al glutine con la dieta e' variabile da individuo  ad
individuo.  Il  dosaggio  degli  anticorpi  anti-transglutaminasi  di
classe IgA non  correla  strettamente  con  il  consumo  di  glutine,
soprattutto  a  lungo  termine.  La   compilazione   di   questionari
alimentari  tramite  cui  il   paziente   possa   auto-riportare   le
trasgressioni alla DSG non e' uno strumento  che  ha  dato  risultati
tali  da  poter  sostituire  la  biopsia  duodenale.   Pertanto,   la
duodenoscopia  con  prelievo  bioptico  di  campioni   della   mucosa
duodenale rimane tuttora l'unico mezzo per valutare  l'aderenza  alla
DSG. 
    L'aderenza alla DSG va monitorata sei mesi dopo la diagnosi e poi
una  volta  ogni  12-24  mesi  (se  non  compaiono  segni  o  sintomi
suggestivi  di  riesposizione  al   glutine)   mediante   valutazione
dietetica da parte di un nutrizionista e/o dietista e dosaggio  degli
anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA. 
COSA NON VA FATTO 
    Eseguire la dieta senza glutine «per prova» 
    A  fronte  di  un  sospetto  clinico  l'ipotesi  diagnostica   di
celiachia  va  approfondita  attraverso  le   indagini   sierologiche
(anti-tTG, EMA) e bioptiche prima che  il  paziente  inizi  la  dieta
senza glutine. La semplice  valutazione  clinica  dell'effetto  della
dieta impedisce nei fatti di porre o di  escludere  la  diagnosi  con
certezza basandosi su elementi obiettivi, comporta un elevato rischio
di  errore,  sia  nel  senso   della   sottovalutazione   che   della
sopravalutazione della diagnosi, esponendo il paziente al rischio  di
sottoporsi a lungo termine a una restrizione dietetica non necessaria
o al contrario a quello di non ricevere la diagnosi  di  certezza  di
celiachia in tempi brevi (ad esempio se  dopo  una  risposta  clinica
apparentemente favorevole alla dieta di  esclusione  del  glutine  si
vorra' arrivare alla diagnosi di certezza si dovra' per forza di cose
riesporre per un tempo sufficientemente lungo il paziente a una dieta
glutinata). Oltre a comportare un elevato  rischio  di  errore  e  di
ritardo diagnostico, la prescrizione di una dieta senza  glutine  per
prova e'  nei  fatti  un  modo  per  allontanare  il  paziente  dalla
necessaria consapevolezza della  natura  della  malattia,  delle  sue
complicanze e dell'importanza di seguire la dieta nella maniera  piu'
corretta possibile per tutta la vita. 
    Utilizzare il dosaggio degli anticorpi antigliadina nativa (AGA) 
    Gli anticorpi antigliadina  nativa  di  classe  IgA  e  IgG  sono
presenti a titolo elevato in una percentuale variabile di celiaci  in
dieta libera. In circa un terzo  dei  casi,  il  dosaggio  di  questi
anticorpi  risulta  peraltro   negativo   e   nel   contempo   titoli
significativi  di  anticorpi  antigliadina  nativa   possono   essere
riscontrati nel soggetto sano e  in  molte  patologie  diverse  dalla
celiachia. La sensibilita' e la specificita' del dosaggio  degli  AGA
nativa vanno pertanto considerate del tutto insoddisfacenti e il loro
utilizzo  a  fronte  di  un  sospetto  di  celiachia  puo'  risultare
fuorviante a qualsiasi eta'. 
    Utilizzare l'indagine genetica (determinazione HLA DQ2/D428) come
unico test diagnostico 
    La quasi totalita' dei soggetti  celiaci  (>  95%)  e'  portatore
dell'HLA DQ2 o DQ8. Questi marcatori genetici sono peraltro presenti,
nel loro complesso, in piu' del 30% della  popolazione  generale.  La
loro positivita' in assenza dei marcatori sierologici della  malattia
celiaca (EMA, antitTG) non ha di fatto alcun significato diagnostico.
La determinazione  degli  HLA  DQ2  /  DQ8  riveste  invece  concreta
utilita' nell'escludere  la  malattia  nei  casi  in  cui  il  dubbio
diagnostico e' difficile da risolvere (sierologia  e/o  biopsia  male
interpretabili): la malattia potra'  infatti  essere  ragionevolmente
negata se il test risultera' negativo. 
    La  determinazione  degli  HLA  puo'  essere  utile   anche   per
individuare quali casi appartenenti a gruppi a  rischio  (ad  esempio
neonati con familiarita' celiaca) siano effettivamente esposti a  una
aumentata probabilita' di  sviluppare  la  celiachia  e  meritino  in
questo senso un piu' attento follow-up e quali invece possano  essere
ragionevolmente (e definitivamente) tranquillizzati. 
    Ripetere troppo presto dopo la diagnosi e  troppo  frequentemente
durante il follow up il dosaggio degli anti-tTG 
    Il dosaggio degli anticorpi anti-tTG  e'  spesso  utilizzato  nel
follow up del paziente celiaco come indicatore della risposta clinica
e della  compliance  alla  dieta  senza  glutine.  Ciononostante,  la
ripetizione del dosaggio  degli  anti-tTG  nei  primi  mesi  dopo  la
diagnosi ha poco significato  poiche'  in  molti  pazienti,  che  pur
eseguono correttamente la dieta, la  loro  negativizzazione  richiede
molti mesi o anche piu' di un anno. D'altra parte, il dosaggio  degli
anti-tTG ha dei limiti di  affidabilita'  per  la  valutazione  della
aderenza alla dieta aglutinata anche nel follow up a  lungo  termine:
il  dosaggio  degli   anti-tTG   sierici   infatti   puo'   risultare
costantemente  negativo  in  pazienti  in  cui  si  ha  certezza   di
trasgressioni piu' o meno occasionali e viceversa  rimanere  positivo
(ma in questo  caso  si  tratta  di  casi  eccezionalmente  rari)  in
pazienti in cui si ha  evidenza  dell'aderenza  alla  dieta  e  della
remissione istologica. E' in questa consapevolezza e  limitandone  la
ripetizione a condizioni particolari (come ad esempio  la  ricomparsa
di sintomi compatibili con una celiachia conclamata) che il  dosaggio
degli anti-tTG dovrebbe essere utillizato durante il  follow  up  del
paziente celiaco. 
    Eccedere nella attenzione alle contaminazioni dietetiche 
    La dieta senza glutine va prescritta come dieta da  proseguire  a
vita evitando ogni eccezione volontaria.  Tuttavia  una  prescrizione
ossessiva in  questo  senso  puo'  essere  oltre  che  inutile  anche
controproducente penalizzando senza  vantaggi  la  vita  personale  e
sociale   del   paziente   col   rischio    di    favorire,    specie
nell'adolescente, una reazione di  frustrazione  e  un  peggioramento
paradosso della aderenza alla dieta. 
    Eseguire una valutazione mineralometrica (DEXA) al momento  della
diagnosi e durante il follow up nei bambini celiaci 
    Un difetto di mineralizzazione ossea e'  di  frequente  riscontro
sia nei bambini che negli adulti celiaci al  momento  della  diagnosi
indipendentemente dalla presenza o meno di segni clinici conclamati. 
    In eta' pediatrica, a  differenza  di  quanto  succede  nell'eta'
adulta, la dieta senza glutine e' in grado da  sola  di  ottenere  in
tempi brevi (un anno) la normalizzazione della mineralizzazione ossea
e non vi e' quindi ragione di  eseguire  approfondimenti  diagnostici
quali la DEXA ne' al momento della diagnosi ne' durante il follow-up,
come potrebbe invece essere indicato nei soggetti adulti (dopo almeno
18 mesi dalla diagnosi) per selezionare  coloro  che  abbisognano  di
terapie   aggiuntive   (supplementazione   calcica,    vitamina    D,
bifosfonati). 
    Sospettare la celiachia per sintomi  acuti,  anafilattici,  anche
gastrointestinali, che appaiono in stretta  relazione  temporale  con
l'assunzione del glutine 
    A differenza che nell'allergia alimentare IgE mediata, i  sintomi
gastrointestinali nel soggetto celiaco sono di  tipo  cronico  e  non
appaiono in  stretta  correlazione  temporale  con  l'assunzione  del
glutine. 
COSA NON E' CELIACHIA 
    Allergia al glutine 
    L'allergia al glutine ha le caratteristiche  di  tutte  le  altre
allergie ad alimenti  e  si  presenta  con  reazioni  acute  di  tipo
anafilattico (orticaria, angioedema, asma, dolore  addominale  con  o
senza vomito e diarrea  esplosiva,  shock)  in  stretta  correlazione
temporale (minuti) con l'ingestione di glutine. Queste reazioni  sono
mediate da anticorpi anti-glutine di classe IgE, anticorpi  che  sono
facilmente dimostrabili con i test cutanei (prick test) o sierologici
(RAST). Si tratta di una allergia non particolarmente frequente e che
a volte puo' manifestarsi solo  nel  caso  l'assunzione  del  glutine
venga seguita a breve distanza da uno sforzo fisico  (Food  dependent
exercise induced anaphylaxis). I soggetti con allergia al glutine non
sono esposti ad un aumentato rischio di celiachia. 
    FPIES (Food Protein Intolerance Enterocolitis  Syndrome)  glutine
dipendente 
    Si tratta di una forma di allergia alle proteine  alimentari  che
puo' presentarsi nel  bambino  fino  ai  due-tre  anni  di  vita.  La
sintomatologia   e'   classicamente   caratterizzata    dal    vomito
incoercibile,  con  o   senza   diarrea,   che   segue   l'assunzione
dell'alimento di una - due ore, si accompagna ad intensa  leucocitosi
neutrofila e puo'  portare  il  paziente  in  un  marcato  quadro  di
prostrazione tanto da essere non di  rado  scambiata  per  uno  stato
settico o per una emergenza di tipo  chirurgico.  Pur  se  acute,  le
manifestazioni cliniche non sono mediate da anticorpi di tipo IgE (la
reazione allergica e' attribuita alla liberazione massiva di TNF alfa
da parte dei linfociti sensibilizzati) e la diagnosi viene posta solo
su base clinica. Il glutine (il frumento) e' tra  i  cinque  alimenti
piu' frequentemente in causa. Anche in  questi  casi  non  vi  e'  un
rischio aumentato  di  malattia  celiaca  rispetto  alla  popolazione
generale. 
    La sensibilita' al glutine (Gluten sensitivity) 
    Con il  termine  NCGS  (Sensibilita'  al  Glutine  Diversa  dalla
Celiachia) si definisce una sindrome caratterizzata  dalla  presenza,
in rapporto all'ingestione di alimenti contenenti glutine, di sintomi
intestinali ed extra intestinali (Tabella 3) in pazienti in cui MC ed
allergia  alle  proteine  del  frumento  siano  gia'  state  escluse.
Pazienti con tali caratteristiche  sono  noti  da  anni  ma  e'  bene
premettere che, nonostante un  numero  crescente  di  essi  riferisca
quadri di questo tipo, l'esistenza stessa della  sindrome  e'  ancora
messa in dubbio da numerosi esperti. Piu' in  particolare,  il  fatto
che i disturbi (quasi tutti  soggettivi!)  migliorino  all'esclusione
del glutine e peggiorino alla sua  reintroduzione  viene  considerato
come legato al ben noto effetto  placebo  e  nocebo  delle  diete  da
eliminazione e provocazione. D'altra parte studi «in cieco» sono resi
difficili  e  scarsamente  affidabili  dalla  riconoscibilita'   (mai
adeguatamente testata «a  priori»)  del  glutine  quando  aggiunto  o
mescolato ad altri alimenti. 
    Tutti, pertanto, concordano sul  fatto  che  i  risultati  finora
ottenuti si riferiscono  a  pazienti  presunti,  ma  non  sicuramente
portatori di tale sindrome, e sulla necessita' di studi  ulteriori  e
piu' approfonditi. 
    Sul piano clinico e' fondamentale  combattere  l'autodiagnosi  ed
evitare che, il paziente abbia gia' escluso il glutine  prima  ancora
di un consulto medico. Tale comportamento impedisce l'accertamento di
una MC vera, con tutte le conseguenze del caso, e rende assolutamente
necessaria la riesposizione al glutine. In accordo con la definizione
di NCGS, la prima cosa da fare e' escludere un'allergia alle proteine
del frumento attraverso la  ricerca  delle  IgE  specifiche  mediante
metodica di «ImmunoCAP» e, soprattutto, la MC attraverso  la  ricerca
degli anticorpi anti-transglutaminasi o endomisio. Come  si  e'  gia'
accennato,  non  esistono  algoritmi  minimamente  standardizzati   e
validati per la diagnosi positiva di NCGS. In assenza di  «biomarker»
specifici, c'e' largo consenso sull'opportunita'  di  test  dietetici
controllati ed in «doppio cieco».  Restano,  tuttavia,  da  precisare
modalita',  dosi,  tempi  di  somministrazione  e  criteri   per   la
valutazione dei risultati. Qualora il medico ritenga di  disporre  di
evidenze  sufficienti   per   NCGS,   il   paziente   potra'   essere
cautelativamente consigliato di evitare il glutine con  la  finalita'
di controllare i sintomi. Non  vi  sono  evidenze  che  la  NCGS  sia
soggetta a complicanze o di una sua conversione nella MC. 
 
                                                            Tabella 3 
                   SINTOMI ATTRIBUITI ALLA "NCGS" 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
 
    Il presente documento e' stato realizzato dal Tavolo Tecnico 
                 in materia di diagnosi di celiachia 
 
    Componenti: 
      Catassi Carlo, Professore Associato  di  Pediatria  Universita'
Politecnica delle Marche - Ancona, 
      Copparoni Roberto, Dirigente Medico DGISAN  -  Ministero  della
salute, 
      Corazza Gino Roberto, Professore Ordinario di Medicina  Interna
Universita' di Pavia, 
      De Stefano Simona, Dirigente Chimico DGISAN -  Ministero  della
Salute, 
      Ruocco Giuseppe, Direttore Generale DGISAN  -  Ministero  della
salute, 
      Silano  Marco,  Primo  Ricercatore,  Dipartimento  di   Sanita'
Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare - Istituto  Superiore  di
Sanita', 
      Troncone Riccardo Professore Ordinario di Pediatria Universita'
Federico II - Napoli, 
      Ventura   Alessandro,   Professore   Ordinario   di   Pediatria
Universita' di Trieste.