(Allegato-art. 9)
                               Art. 9. 
 
                  Legame con l'ambiente geografico 
 
A) Informazioni sulla zona geografica. 
1. Fattori naturali rilevanti per il legame. 
    La zona geografica delimitata ricade nella parte  centrale  della
regione Lazio, si estende su una superficie di circa 330.000 ettari e
comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani,  i
Colli Prenestini e parte della Campagna romana, in provincia di Roma. 
    I terreni dell'area, risalenti al Quaternario, sono riconducibili
a due principali unita' geologiche: le formazioni sedimentarie  e  le
formazioni  vulcaniche.  Nella  prima,  prima  presente  nelle   aree
pianeggianti della  valle  del  Tevere  e  dell'Aniene,  si  hanno  i
sedimenti marini del Pliocene e Pleistocene inferiore  costituiti  da
un substrato di sedimenti alluvionali  e  marini,  quali  travertini,
sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da depositi alluvionali recenti:
procedendo  verso  il  litorale  si  trovano  depositi  formatisi  in
ambiente  fluvio-palustre  costituiti  da   alternanze   di   livelli
sabbiosi, sabbioso-argillosi e da formazioni di natura  travertinosa,
che progressivamente sono sostituiti da argille di ambiente batiale e
circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie
di ambiente costiero con vulcaniti albane  intercalate  e  sabbie  di
ambiente eolico e fluviale ("Duna antica"). 
    Nella  seconda,  le  manifestazioni  vulcaniche   del   complesso
Sabatino  e  del   Vulcano   laziale   della   fine   del   Pliocene,
caratterizzate da fenomeni esplosivi, hanno generato terreni  formati
da vari tipi di tufo a cui  si  sono  sovrapposti  ceneri  e  lapilli
depositati in strati di  notevole  spessore  e  cementati  in  misura
diversa.  Si  possono  distinguere:   pozzolane   (localmente   dette
"terrinelle"),  cioe'  ceneri   vulcaniche   del   tutto   prive   di
cementazione: si riscontrano nelle zone piu' lontane dalle bocche  di
eruzione e danno  luogo  a  terreni  sabbiosi,  profondi,  permeabili
all'acqua e  senza  ristagni  ne'  superficiali  ne'  profondi;  tufi
litoidi, piu' o meno duri, derivati dalla cementazione delle ceneri e
dei  lapilli,  con   diverse   denominazioni   locali   (cappellacci,
cappellacci teneri,  occhio  di  pesce,  occhio  di  pernice,  ecc.),
coprono la parte maggiore del territorio considerato. Sono di  scarsa
o nulla permeabilita'  all'acqua  e  alle  radici  ed  e'  necessario
pertanto procedere a  scassi  profondi  per  permettere  agli  agenti
atmosferici di attivare la pedogenesi e mettere a disposizione  delle
colture, in particolare della vite, uno strato sufficiente di terreno
agrario per lo sviluppo radicale e la nutrizione idrica  e  minerale;
rocce laviche, dure, poco attaccabili dai  mezzi  meccanici  e  dagli
agenti atmosferici. Coprono una minima parte del territorio  in  zone
vicine ai crateri di eruzione. In generale danno origine a terreni di
scarso spessore dove s'insedia  il  pascolo  o  il  bosco;  alluvioni
recenti formatesi nelle zone pianeggianti  per  deposito  alluvionale
proveniente  dalle  pendici  sovrastanti.  I  terreni  derivati  sono
profondi,  tendenzialmente  argillosi,  spesso  umidi.   Sono   anche
presenti  calcari  bianchi  e  avana  con  componente  organogena   e
detritica (resti di bivalvi e alghe calcaree), marne  contenenti  una
sensibile quantita' di argilla, prevalentemente nella parte superiore
del   terreno,   e   formazioni   Argilloso-Arenacee,   composte   da
un'alternanza di argille e  arenarie  che  sono  preponderanti  verso
l'alto della formazione, dove si passa da una giacitura  stratificata
a una massiva. 
    L'altitudine dei terreni coltivati a vite e' compresa tra i 0 e i
600 m s.l.m.,  con  pendenza  variabile:  l'esposizione  generale  e'
orientata verso ovest, sudovest e sud. 
    Il clima  dell'area  e'  di  tipo  temperato-mediterraneo  ed  e'
caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 810 ed  i
1233 mm, piu' copiose nelle zone piu' acclivi,  con  aridita'  estiva
nei mesi luglio, agosto  (pioggia  73-147  mm),  piu'  pronunciata  e
presente anche nel mese di giugno, e sporadicamente anche  a  maggio,
alle quote piu' basse. La temperatura media e' compresa tra i 12,8 ed
i 15,6°C: freddo prolungato da novembre ad aprile, piu' intenso nelle
zone acclivi, con temperatura media inferiore ai 10°C  per  3-4  mesi
l'anno e temperatura media minima del mese piu' freddo dell'anno  che
oscilla tra 2,3 e 4,0° C. 
    La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici  fanno
della zona delimitata come DOC Roma un  territorio  altamente  vocato
alla produzione di vini di pregio. 
2. Fattori umani rilevanti per il legame. 
    Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio
di produzione, che per consolidata tradizione  hanno  contribuito  ad
ottenere il vino "Roma". 
    I Romani fin  dall'epoca  dei  re  appresero  dagli  Etruschi  le
tecniche  vitivinicole:  nel  II°  secolo  a.C:  la   vitivinicoltura
raggiunse livelli molto elevati ed il vino  era  consumato  anche  in
locali  pubblici  di  vendita  (thermopolia).  Molto  rilevante   era
l'esportazione, tanto che il porto di Ostia divenne un  vero  emporio
vinario. Con la crisi dell'Impero romano (III-IV secolo d.C)  causata
dalle lotte interne,  dalle  invasioni  dei  barbari,  dal  disordine
politico e amministrativo e dall'insicurezza pubblica, inizio'  anche
il declino della viticoltura: molti agricoltori, inoltre, estirpavano
i vigneti per non subire le forti tasse cui erano assoggettati, tanto
che nel IV secolo l'imperatore Teodosio, per frenare questo fenomeno,
decise la pena di morte per chi - sacrilega falce - tagliava le viti.
Verso la fine dell'Impero Romano di Occidente, la superficie viticola
aveva subito una  sensibile  riduzione,  mantenendosi  in  prevalenza
nelle aree vicine alla citta' di Roma.  Dopo  la  caduta  dell'Impero
Romano di Occidente, tra il V e il X secolo, un importante contributo
alla conservazione ed al miglioramento  del  patrimonio  vitivinicolo
venne dato dai vescovi, dai monaci, dagli ordini  religiosi  e  dalla
nobilta' laica. Con la fine della barbarie, la viticoltura si diffuse
nuovamente e si razionalizzo' fino a diventare la coltura principale,
grazie anche alla grande richiesta di vino di Roma, sede della  corte
papale e teatro di un forte aumento della popolazione. 
    Nei territori soggetti allo Stato Pontificio  la  viticoltura  fu
una delle coltivazioni primarie ed i Papi le  dedicarono  particolare
attenzione per il gran conto  in  cui  tenevano  il  vino,  sia  come
elemento liturgico, sia come parte essenziale della loro  mensa,  sia
infine, ma certo non da ultimo, per il suo valore commerciale.  Tanto
importante e' il vino nella mentalita' dell'epoca, che negli  statuti
della citta' di Roma si trova scritto che un  forestiero  non  poteva
usufruire del diritto di cittadinanza,  se  non  possedeva  una  casa
dentro Roma ed anche una vigna nel raggio di tre miglia dalla citta'. 
    Al 1692 risale la fondazione di un'Accademia dei Vignaioli  e  la
stesura di una pianta dell'agro romano voluta da papa Alessandro VII,
dalla quale risulta che l'estensione  delle  vigne  che  circondavano
Roma era di circa 4839 rubbi (8945 ettari). 
    I Papi proteggono con appositi editti la  vite,  si  registra  un
prosperare di osterie e locande dettato dalla  presenza  del  Papa  e
dall'affluenza di pellegrini. L'importanza del commercio del vino  e'
dimostrata anche dall'esistenza di ben sette corporazioni.  I  membri
della corporazione o Universita'  dei  Tavernieri,  che  risaliva  al
1481, si dividevano in Tavernieri, che  fornivano  anche  alloggio  e
Bettolieri, cioe' mercanti al minuto soltanto  di  vino  romanesco  e
dell'agro romano. A Pio IX si deve l'aver fatto  nascere,  nel  1854,
l'Universita' dei mercanti  di  vino,  riunendo  cosi'  in  un  unico
organismo  le  troppe  associazioni  esistenti.  Stemma   di   questo
Collegium Vinariorum Urbis era un sole che dava luce ad una vite  con
la scritta "vinea nostra floruit", stemma che si conserva ancora oggi
nel cortile della chiesa di Santa Maria in Trivio. 
    Nei corso dei secoli la viticoltura  ha  mantenuto  il  ruolo  di
coltura  principe   del   territorio,   fino   all'attualita',   come
testimoniano le  numerose  sagre  e  feste  che  annualmente  vengono
celebrate nei paesi ricadenti nell'areale di  produzione  e  tra  cui
spiccano la Sagra dell'uva di Marino (la  prima  edizione  risale  al
1925) e la Festa dell'uva e dei vini di Velletri (1930). 
    L'incidenza dei fattori umani, nel  corso  della  storia,  e'  in
particolare riferita alla puntuale definizione dei  seguenti  aspetti
tecnico produttivi, che costituiscono parte  integrante  del  vigente
disciplinare di produzione: 
      base  ampelografica  dei  vigneti:  i   vitigni   idonei   alla
produzione  del  vino  in  questione,  sono  quelli  tradizionalmente
coltivati nell'area geografica considerata: la Malvasia del Lazio, il
Bellone, il Bombino bianco ed il Trebbiano giallo e verde per i  vini
bianchi, il Montepulciano, il Cesanese di Affile, il Cesanese Comune,
il Sangiovese per i vini rossi; 
      le forme di allevamento, i sesti  d'impianto  e  i  sistemi  di
potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali  e
tali  da  perseguire  la  migliore  e  razionale  disposizione  sulla
superficie  delle  viti,  sia  per   agevolare   l'esecuzione   delle
operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione  della
chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare  ben
esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro  i  limiti
fissati dal disciplinare (84 hl/ha per  le  tipologie  bianche  e  70
hl/ha per le tipologie rosse e rosate); 
      le pratiche relative all'elaborazione dei vini, che sono quelle
tradizionalmente consolidate in zona per la  vinificazione  in  rosso
dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia  di
base e le tipologie riserva e superiore, riferite quest'ultime a vini
rossi  maggiormente  strutturati,  la   cui   elaborazione   comporta
determinati periodi di invecchiamento  ed  affinamento  in  bottiglia
obbligatori. 
B) Informazioni sulla qualita' o sulle caratteristiche  del  prodotto
  essenzialmente   o   esclusivamente    attribuibili    all'ambiente
  geografico. 
    La DOC "Roma"  e'  riferita  a  nove  tipologie  di  vino  bianco
("bianco", "Classico  bianco",  "bianco  amabile  -  Classico  bianco
amabile",  "Bellone",  "Classico  Bellone",   "Malvasia   puntinata",
"Classico Malvasia puntinata", "Romanella spumante"), a due tipologie
di vino rosato ("rosato", "Classico rosato") e  a  sei  tipologie  di
vino rosso ("rosso", "Classico  rosso",  "rosso  amabile  -  Classico
rosso amabile", "rosso Riserva", "Classico  rosso  Riserva)  che  dal
punto di vista analitico ed organolettico presentano  caratteristiche
molto evidenti e peculiari, descritte all'art.  6  del  disciplinare,
che ne permettono una chiara individuazione e  tipicizzazione  legata
all'ambiente geografico. 
    Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano: 
      "Roma" bianco - Classico bianco: vino  fresco  ed  equilibrato,
con colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli,  odore
delicato etereo con note  floreali  e  fruttate,  sapore  asciutto  e
armonico. 
      "Roma" bianco amabile  -  Classico  bianco  amabile:  vino  dal
colore giallo paglierino  con  riflessi  verdognoli,  odore  delicato
fine, con note floreali e frutta esotica, sapore armonico, sapido. 
      "Roma" Bellone - Classico Bellone: vino fresco ed  equilibrato,
con colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli,  odore
caratteristico, gradevole con note floreali e fruttate, sapore secco,
equilibrato, sapido. 
      "Roma" Malvasia puntinata - Classico Malvasia  puntinata:  vino
fresco ed equilibrato, con colore  giallo  paglierino  carico,  odore
caratteristico  della  varieta',  gradevole  con  note   floreali   e
fruttate, sapore secco, equilibrato, morbido. 
      "Roma" rosso - Classico rosso: buona struttura  e  presenza  di
buone  dotazioni  polifenoliche   e   tanniche   polimerizzate,   che
conferiscono al vino un giusto corpo e assenza di ruvidezza. Il  vino
presenta un colore rosso rubino con riflessi violacei anche  tendenti
al granato con l'invecchiamento, odore intenso e  caratteristico  con
sentori fruttati,  sapore  secco,  armonico  con  buona  struttura  e
persistenza. 
      "Roma" rosso amabile - Classico rosso amabile: vino dal  colore
rosso rubino con riflessi violacei, odore armonico, fruttato intenso,
con note speziate, sapore persistente 
      "Roma" rosso Riserva - Classico rosso Riserva: buona  struttura
e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate,
che conferiscono al vino un giusto  corpo,  assenza  di  ruvidezza  e
buona longevita'.  Il  vino  presenta  un  colore  rosso  rubino  con
riflessi violacei anche tendenti  al  granato  con  l'invecchiamento,
odore intenso e caratteristico con sentori  fruttati  che  sfumano  a
favore di quelli speziati o fenolici  associabili  al  legno,  sapore
secco, armonico con buona struttura e persistenza. 
      "Roma" rosato - Classico  rosato:  leggero  di  corpo,  fresco,
vivace, con colore rosato piu' o meno intenso, odore delicato,  fine,
sapore secco, fresco, fruttato, sapido. 
      "Roma" Romanella spumante:  vino  fresco  ed  equilibrato,  con
colore giallo paglierino tenue con perlage fine ed evanescente, odore
delicato e fine, sapore armonico, vivace da brut a extradry. 
    Al sapore tutti i vini presentano un'acidita' normale,  un  amaro
poco  percepibile,  poca   astringenza   e   buona   struttura,   che
contribuiscono al loro equilibrio gustativo. 
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui  alla
lettera A) e quelli di cui alla lettera B). 
    L'orografia pianeggiante e collinare dell'areale  di  produzione,
che comprende i  territori  litoranei,  la  Sabina  romana,  i  Colli
Albani,  i  Colli  Prenestini  e  parte  della  Campagna  romana,   e
l'esposizione ad ovest, sud-ovest, sud concorrono  a  determinare  un
ambiente arioso, luminoso e  con  un  suolo  naturalmente  sgrondante
dalle acque reflue, particolarmente vocato per  la  coltivazione  dei
vigneti del vino "Roma". Da tale area sono peraltro esclusi i terreni
ubicati a quote  troppo  basse  non  adatti  ad  una  viticoltura  di
qualita'. 
    Anche la tessitura e  la  struttura  chimico-fisica  dei  terreni
interagiscono in maniera determinante  con  la  coltura  della  vite,
contribuendo all'ottenimento delle peculiari  caratteristiche  fisico
chimiche ed organolettiche del vino "Roma". 
    In particolare, i terreni di origine  sedimentaria  e  vulcanica,
sono costituiti sedimenti alluvionali  e  marini,  quali  travertini,
sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da depositi alluvionali recenti,
da depositi  formatisi  in  ambiente  fluvio-palustre  costituiti  da
alternanze di livelli sabbiosi,  sabbioso-argillosi,  da  argille  di
ambiente batiale e circalitorale, sabbie e  calcareniti  di  ambiente
infralitorale, sabbie  di  ambiente  costiero  con  vulcaniti  albane
intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale  ("Duna  antica").
Sono presenti anche pozzolane (localmente dette "terrinelle"),  cioe'
ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione che danno  luogo  a
terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni ne'
superficiali ne' profondi;  si  hanno  anche  limi  e  sabbie  gialle
mescolate a ciottolini calcarei e  silicei  sparsi  o  concentrati  e
argille azzurre e grigie di ambiente lacustre e terreni riconducibili
alle terre rosse con  tessitura  argillo-limosa  che  presentano,  in
genere, limitato spessore ed  un  sottosuolo  coerente.  Trattasi  di
terreni  con  caratteristiche  tali  da  renderli   idonei   ad   una
vitivinicoltura di qualita'. 
    Anche il  clima  dell'areale  di  produzione,  caratterizzato  da
precipitazioni abbondanti (1065 mm), con scarse  piogge  estive  (105
mm) ed aridita' nei mesi di  luglio  e  agosto,  piu'  pronunciata  e
presente anche nel mese di giugno, e sporadicamente anche  a  maggio,
alle quote piu' basse, da una buona temperatura media  annuale  (14.2
°C),  unita  ad  una  temperatura  relativamente  elevata  e   ottima
insolazione nei mesi di settembre ed  ottobre,  caratterizzato  nella
fase finale, da una elevata escursione termica tra  notte  e  giorno,
consente  alle  uve   di   maturare   lentamente   e   completamente,
contribuendo    in    maniera    significativa    alle    particolari
caratteristiche organolettiche del vino "Roma". 
    In  particolare,  la  combinazione  tra  le  caratteristiche  del
terreno ed i fattori climatici, determina  per  i  vini  bianchi,  la
produzione di significative quantita'  di  precursori  aromatici  che
consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i  sentori
tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un'ottimale maturazione
fenolica, che unita ad un ottimale  rapporto  tra  zuccheri  e  acidi
permette di ottenere vini caratterizzati  da  elevata  struttura,  un
grande equilibrio fra le diverse componenti. 
    La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra del "Roma",
dall'epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri,  attestata  da
numerosi documenti, e' la generale e fondamentale prova della stretta
connessione ed  interazione  esistente  tra  i  fattori  umani  e  la
qualita' e le peculiari caratteristiche del "Roma". 
    Ovvero e' la testimonianza di  come  l'intervento  dell'uomo  nel
particolare territorio abbia, nel corso  dei  secoli,  tramandato  le
tradizionali tecniche di coltivazione della vite  ed  enologiche,  le
quali nell'epoca moderna e contemporanea  sono  state  migliorate  ed
affinate, grazie all'indiscusso progresso scientifico e  tecnologico,
fino  ad  ottenere  i  rinomati  vini  "Roma",   le   cui   peculiari
caratteristiche sono descritte all'art. 6 del disciplinare. 
    Nella storia di Roma, dalle origini alla caduta  dell'Impero,  il
vino  ha  sempre  svolto  un  ruolo  di  primo  piano  e  per  giunta
polivalente:    accanto    alla    sua    indispensabile     funzione
nell'alimentazione quotidiana, ha avuto un posto di rilievo anche nel
campo della medicina ed in ambito religioso, raggiungendo il  culmine
della sacralita' con il Cristianesimo. 
    Agli inizi dell'eta' imperiale  la  coltivazione  della  vite  si
estese ulteriormente (anche in  terreni  fertili  per  ottenere  piu'
elevate produzioni) allo scopo di produrre  il  vino  necessario  per
soddisfare l'esportazione e l'aumento del consumo interno. 
    I Romani destinavano a vigneto le terre  piu'  idonee  e  percio'
preferivano il suolo vulcanico dei Colli  Laziali,  di  Caere,  della
Sabina.  Columella  ci  ha  lasciato   ne   l'Arte   dell'agricoltura
un'interessante descrizione delle  ville  rustiche  romane,  dove  la
coltivazione principale era quella della vite. Oltre alla parte cosi'
detta urbana, dimora del padrone dotata di ogni  genere  di  confort,
c'era  la  parte  detta  fructuaria,  dove   si   lavoravano   e   si
conservavano, oltre al grano, soprattutto vino e olio d'oliva. 
    Gabelle, proibizioni, bandi ed editti  proliferarono  intorno  al
vino, come dimostrano i regesti e i numerosi libri della gabella  del
vino conservati nell'Archivio di Stato di Roma a partire dal 1422. In
tal modo il potere papale disciplinava la produzione nei  vigneti  di
Roma e dei territori circostanti. Proprio  sotto  il  pontificato  di
Paolo III il mercato romano fu invaso dai vini  dei  Castelli,  della
Sabina, dei Colli predestini, sia perche' il vino romanesco  non  era
sufficiente per il consumo della citta', sia perche' papi e cardinali
amavano  avere  sulle  mense  vini  diversi   e   di   qualita'.   La
diversificazione tra vino  romanesco  (quello  prodotto  entro  sette
miglia dal Campidoglio) e vino dei Castelli e' attestato fino al  XIX
secolo. 
    Nel 1539, Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, nella
sua opera Della natura dei vini e dei viaggi di Paolo  III  descritti
da  Sante  Lancerio  suo  bottigliere,  ci   ha   lasciato   numerose
informazioni sui vini romaneschi, per la gran parte robusti e  adatti
all'invecchiamento. I migliori, a  suo  dire,  erano  quelli  che  si
producevano dalle vigne sul  Gianicolo,  fuori  dalla  Porta  di  San
Pancrazio, in Vaticano e a Monte Mario, conosciuto come  il  vino  di
maggior pregio. 
    Per quanto concerne il vino romano, il periodo piu' nero coincise
con il trasferimento del  Papato  ad  Avignone  agli  inizi  del  XIV
secolo. Durante il pontificato dei Papi Avignonesi, infatti,  i  vini
italiani in genere furono temporaneamente messi in disparte a  favore
di quelli francesi. Intorno alla prima meta' del XVI secolo, tocco' a
Paolo III della famiglia  Farnese  (1534-  1549)  rendere  nuovamente
giustizia al vino nostrano, che finalmente torno' a troneggiare sulle
mense papali. Sui sette colli sorsero splendide ville  attorniate  da
giardini, boschi e soprattutto vigne, dove nobili,  cardinali  e  gli
stessi papi trascorrevano le loro vacanze. 
    Nel 1596 il Bacci in Sulla storia dei vini, dei vini  d'Italia  e
dei conviti degli antichi in sette libri, ci  conferma  che  la  Roma
cinquecentesca e' una citta' ammantata di vigneti e  si  sofferma  ad
elencare le vigne piu' importanti: quelle di San Pancrazio, di  Porta
Pinciana e di Monte Mario, che producono i vini romaneschi  migliori,
moscatelli e trebbiani, e poi  quelle  sull'Aventino,  il  Celio,  il
Quirinale e l'Esquilino, anch'esse di discreta qualita'.  Per  quanto
concerne i vini dell'hinterland romano, si parla dei vini di  Ariccia
e di Albano, per il  quale  l'autore  esprime  particolare  lode,  di
Marino, di Colonna, del Tuscolo, di Castel Gandolfo  e  di  Velletri,
nell'area dei Castelli Romani. 
    Anche lo scrittore francese Michel de Montaigne, fermatosi a Roma
tra il 1580 e il 1581, narra nel Giornale di viaggio in Italia le sue
giornate romane impegnate a visitare antichita'  e  vigne,  indicando
tra le piu' degne di nota quella d'Este a  Monte  Cavallo  (l'odierno
Quirinale), la Farnese sul Palatino e quella di Villa Madama. La Roma
papale si ammanta di verde riempiendosi di ville e  di  vigne.  Nella
Pianta di Roma di Leonardo Bufalini, redatta nella  prima  meta'  del
XVI secolo, si contano 43 vigne. Anche il  gesuita  Eschinardi  nella
Descrizione di Roma e dell'agro romano(1750), oltre a citare numerose
vigne all'interno delle  mura,  riporta  a  conferma  dell'estensione
della coltivazione "...vigne, le quali per  l'ordinario  si  stendono
fuori Roma tra le due e tre miglia". 
    Nei primi  decenni  del  diciannovesimo  secolo  i  vigneti  sono
presenti in tutta Roma in grande numero,  tanto  che  sia  il  Venuti
nella Accurata e succinta descrizione topografica delle antichita' di
Roma (1824) che il Nibby in Roma nell'anno 1838,  riportano  ben  120
toponimi di vigna, tutti entro le mura o nelle immediate vicinanze. E
a testimonianza di questa '"epoca d'oro" rimane la  toponomastica  di
molte vie romane: Vigna Clara, Vigna Stelluti, Vigna Pia,  Via  delle
Vigne Nuove, via di Vigna Fabbri, Vigna Murata, via di  Vigna  Putti.
Famose erano le vigne di alcuni pontefici  come  quella  di  Clemente
VII,  a  Monte  Mario.  Rinomata  anche   la   villa   di   Sisto   V
sull'Esquilino, costruita anche questa nel bel mezzo  di  una  vigna,
posta nel  luogo  piu'  elevato  di  Roma  e  quella  di  Leone  XIII
(1878-1903).  La  piu'  nota  pero'  era  la  villa  di  Giulio   III
(1550-1555), che si trovava in una zona di Roma conosciuta  un  tempo
come Vigna Vecchia, nei pressi di Villa  Borghese.  Si  dice  che  il
pontefice amasse talmente dedicarsi  alla  sua  vigna  da  trascurare
persino il concistorio. Villa Borghese nacque nel 1580 intorno ad una
vigna, alla quale se  ne  aggiunsero  altre  fino  al  1833.  Tra  le
numerose stampe  che  Bartolomeo  Pinelli  ha  dedicato  alle  vedute
romane, ce ne sono alcune che testimoniano che  ancora  fino  al  XIX
secolo si vendemmiava a Villa Borghese  come  sull'Aventino.  Tra  le
testimonianze tecniche risalenti alla fine dell'Ottocento e  relative
alla coltivazione della vite nel territorio romano, preziosissima  e'
la monografia dell'onorevole Camillo Mancini, pubblicata nel 1888  ed
intitolata Il Lazio viticolo  e  vinicolo.  Vi  si  apprende  che  la
viticoltura avveniva ancora essenzialmente  secondo  i  precetti  del
latino  Columella  e  che,  specie  dentro   Roma,   si   coltivavano
comunemente in mezzo ai filari finocchi e carciofi con il deprecabile
risultato, a giudizio dell'autore, di conferire al vino  il  classico
sapore amarognolo proprio del carciofo. Sempre il Mancini ci  informa
che i vitigni piu' comuni a quei tempi erano  il  trebbiano  verde  e
bianco, il bello e il buonvino per quanto concerne i vini bianchi, il
cesanese, il buonvino rosso, la lacrima e l'aleatico per i rossi.  In
Agricoltura e quistioni economiche: che la riguardano, (1860) Vol. 2,
Frederic Passy riporta "La coltura della vigna e'  nondimeno  una  di
quelle che piu' aggradiscono gli abitanti, e' la sola che si permetta
il romano, e Roma e' tutta circondata di vigne e vigneti. Si va  alla
vigna come fra noi si andava ai campi  per  diporto,  ed  ogni  villa
suburbana porta scritto sul sommo della sua entrata Vigna  di....,  e
il nome del proprietario. Si usano insieme  negli  Stati  Romani  due
metodi di coltura affatto diversa: l'una,  generalmente  in  uso  nei
dintorni di Roma e nelle paludi  Pontine,  consiste  a  sostenere  il
tralcio per mezzo di canne che si  fanno  espressamente  crescere  in
grandissimo numero ...". 
    Con la crescita urbana di Roma  iniziata  subito  dopo  il  1870,
l'estensione delle vigne si ridusse e le produzioni si  allontanarono
dalle  zone  di  consumo.   L'espansione   della   citta'   continuo'
prevalentemente lungo gli assi della  Flaminia,  Salaria,  Nomentana,
Tiburtina e dell'Appia. L'urbanizzazione comporto' la  concentrazione
delle produzioni nelle zone  maggiormente  vocate:  Castelli  Romani,
Cerveteri, Sabina. Anche se la vite si "allontana"  dalla  citta'  di
Roma, resta un elemento di  aggregazione  e  richiamo  nella  cultura
popolare. 
    Il vino e' ancora oggi  una  voce  importante  dell'economia  del
territorio romano e, come ai tempi  di  Virgilio,  Bacco  continua  a
prediligere i colli, cosicche' soprattutto l'hinterland romano appare
inequivocabilmente vocato all'antica coltura.