Art. 6. 
 
                        Legame con l'ambiente 
 
  L'areale di cui all'art. 3, al centro  della  nostra  penisola,  e'
collocato nel medio versante tirrenico; si  estende  dagli  Appennini
fino al mar Tirreno con una prevalenza di fascia collinare (54% della
superficie totale regionale) tipica proprio dell'habitat dell'olivo. 
  Tala situazione, caratterizza l'intero paesaggio regionale, con  la
presenza di olivi secolari  e  una  ricchezza  di  ecotipi  di  olivo
identitari di ambiti geografici specifici. 
  La coltura dell'olivo e' diffusa su  tutto  il  territorio  di  cui
all'art 3 per una superficie investita di oltre 63.000 ettari che  si
estendono dal livello del mare fino agli  800  metri  di  altitudine,
rappresentando quasi il 50% dell'intera superficie destinata a  tutte
le colture arboree. 
  Il clima dell'areale in questione  e'  di  tipo  mediterraneo,  con
inverni e autunni miti e umidi, con estati calde e asciutte. La media
delle temperature varia dai 3°C di gennaio ai 30°C di luglio. 
  Le piogge vanno da 600÷700 mm annui sulla fascia costiera ai  1.000
mm annui lungo le fasce collinari e nell'anti  Appennino.  I  periodi
piu' piovosi sono l'autunno e la primavera,  con  un  marcato  minimo
estivo. 
  Tali condizioni  ambientali-climatiche  dell'areale  di  produzione
dell'«Olio di Roma» sono  caratterizzate  in  modo  determinante  dai
venti  di  provenienza  tirrenica  che  influenzano  la   fascia   di
territorio pianeggiante e collinare. 
  Le condizioni ottimali di coltivazione dell'olivo nell'areale  IGP,
sono dovute a: 
    terreno di medio-impasto, con ricchezza di  sostanza  organica  e
reazione neutra o subalcalina; 
    temperature minime che non scendono a 5 gradi sotto lo  zero  nel
periodo dicembre-febbraio; 
    temperature  massime  che  non  superano  i  34°C   nel   periodo
luglio-agosto; 
    piovosita' media annua superiore a 600 mm; 
    piovosita' estiva raramente superiore ai 30mm, con  aridita'  nel
periodo di luglio-agosto; 
    piovosita' autunnale raramente inferiore  ai  120mm  nel  periodo
settembre-ottobre. 
  Le caratteristiche distintive dell'«Olio di  Roma»  sono  dovute  a
queste  particolarissime  condizioni   geografiche,   orografiche   e
pedoclimatiche, che rendono eccezionale la vocazionalita'  agronomica
dell'olivo. Il particolare andamento climatico  (aridita'  e  piogge)
che si verifica nell'areale geografico di  coltivazione,  durante  le
fasi di  inolizione  e  maturazione  dei  frutti,  caratterizzano  le
peculiarita' del prodotto riportate nell'art 2. 
  Nello specifico: 
    lo stress termico ed idrici (agosto-settembre), induce la sintesi
di polifenoli che si accumulano all'interno dei frutti stessi; 
    le piogge autunnali (ottobre-novembre),  invece,  favoriscono  la
sintesi dei composti volatili. 
  Questa particolare successione climatica di stress idrico dovuto al
caldo/asciutto e  piogge  autunnali,  determina  in  una  prima  fase
l'accumulo di polifenoli, con  l'accumulo  di  amaro  e  piccante,  e
successivamente  l'accumulo  di  composti  volatili   (pomodoro   e/o
carciofo e/o erbaceo e/o mandorla). 
  Anche  le  tecniche  estrattive   contribuiscono   alla   tipicita'
dell'«Olio di Roma». Infatti sul  territorio  di  cui  all'art  3  si
contano piu'  di  450  frantoi  con  un  buon  livello  di  dotazione
tecnologica degli impianti, e provvisti di personale che  ha  accesso
ad una adeguata formazione tecnica per continuo aggiornamento utile a
garantire la migliore qualita'  dell'olio  estratto  e  l'esaltazione
delle caratteristiche di tipicita' legate alla presenza  di  molecole
polifenoliche   e   di   composti   volatili    responsabili    delle
caratteristiche descritte all'art. 2. 
  I  parametri  chimico-fisici   identitari   dell'«Olio   di   Roma»
scaturiscono dall'analisi di  oltre  2.150  campioni,  mentre  quelli
organolettici da oltre 740 campioni analizzati negli ultimi  10  anni
da parte del Laboratorio di analisi della CCIAA di Roma. 
  In  definitiva,  le  condizioni  ambientali-climatiche  dell'areale
caratterizzano il prodotto che si presenta di  colore  giallo  dorato
con sfumature verdi piu' o meno intense; al naso  si  apre  ampio  ed
elegante con sentori piu' o meno intensi  di  carciofo,  erba  fresca
falciata,  cicoria  e  pomodoro  con  ricordi  di  menta  basilico  e
rosmarino. Al gusto si apre complesso e fine con  toni  piu'  o  meno
intensi ed equilibrati di carciofo, cardo e pomodoro e mandorla dolce
in chiusura. Ben espressi amaro e piccante. 
  Nel Lazio sin dal VII-VI a.C., si  trovano  tracce  evidenti  della
utilizzazione della pianta a scopi alimentari, anche se  la  presenza
nei siti archeologici di numerosi noccioli fa  ritenere  che  fossero
consumate  soprattutto  le  olive,  mentre   l'olio   doveva   essere
utilizzato piu' per la illuminazione. 
  I Romani perfezionarono le tecniche  di  produzione  ed  estrazione
dell'olio, diffondendo la coltura dell'olivo  in  tutti  i  territori
conquistati. Per capire l'importanza del traffico  dell'olio  a  Roma
basta andare al quartiere Testaccio, antico porto  fluviale  Emporium
dove giungevano i carichi di anfore che, una volta svuotate, venivano
rotte e depositate, in tale quantita' da formare  una  collina  detta
«monte dei cocci». 
  L'olio  si  vendeva  a  Roma  (Plauto  Capt.  489-490)  nella  zona
commerciale del Velabro, vicino al Tevere, dove si trovava e tutt'ora
esistente  il  tempio  dedicato  ad  Ercole  Olivario  patrono  degli
«oleari»,  fatto  costruire   da   Marcus   Octavius   Herrenus,   un
commerciante di olio d'eta' repubblicana alla fine del II sec.  A.C.,
che si era arricchito con il commercio dell'olio. 
  Nella societa' romana l'agricoltura forniva il 70%  del  reddito  e
l'80%  dell'occupazione.  Il  concetto  stesso   di   ricchezza   era
rapportato  alla  ampiezza  delle  superfici  possedute.   All'inizio
dell'eta'  imperiale,  l'industria   olearia   e   quella   vinicola,
costituiva uno dei maggiori cespiti di ricchezza per Roma. A  seguito
delle trasformazioni fondiarie e all'impianto di numerosi oliveti, la
produzione olearia era tale che poteva rifornire  di  olio  tutte  le
provincie. Si calcola che alla morte di Settimio Severo nel 211 d.C.,
l'olio immagazzinato a Roma poteva far fronte ai bisogni della citta'
per 5 anni. 
  I monasteri del Lazio ancora conservano traccia  dei  loro  antichi
oliveti. Tra VIII e IX secolo oliveti sono gia' presenti in Sabina, a
sud del Lazio, nei possessi olivicoli dei grandi  monasteri.  Ma  per
assistere all'imporsi della coltivazione specializzata nei  territori
di piu' sicura vocazione olivicola, come  Tivoli,  Alatri,  Sabina  e
nell'alto Lazio, costruendo la trama di un paesaggio  in  gran  parte
nuovo, dobbiamo attendere il Quattrocento e  gli  ulteriori  sviluppi
cinquecenteschi. 
  Nel XIX secolo l'olivicoltura costituiva una fonte di reddito e  di
commercio importante per lo Stato della Chiesa, anche se, diffusa  in
molte zone della regione, non era ancora sufficiente al fabbisogno. 
  Il problema delle gelate  tra  il  1707  ed  il  1809  che  arreco'
gravissimi  danni  alla  olivicoltura  laziale,  indusse  il  governo
pontificio, al fine di incoraggiare  la  messa  a  cultura  di  nuovi
olivi, ad emanare un motu proprio nel 1788 (riproposto fino al  1830)
in cui Papa Pio VI concedeva un premio di un  paolo  per  ogni  olivo
messo a dimora. Ma anche se la  coltura  dell'olivo  ebbe  un  grande
incremento  (furono  piantate  200.000  piante  in  tutto  lo   stato
pontificio) la  situazione  olearia  rimase  ancora  deficitaria.  La
successiva amministrazione francese, oltre a riconfermare  le  scelte
in campo olivicolo dello stato pontificio, compi' ulteriori sforzi di
sensibilizzazione presso gli agricoltori ma anche  economici  con  lo
stanziamento di 12.000 franchi. La  superficie  ad  olivo  nel  Lazio
raggiunse, nel 1813, 27.000 ettari con una produzione in  olio  di  3
milioni di chilogrammi. Ulteriore azioni di sostegno all'olivicoltura
furono avviate dallo stato pontificio accordando ulteriori premi  che
portarono tra il 1856 e il 1858 l'impianto annuale di  50.000  piante
di olivo. Nel 1938 la superficie destinata alla coltura specializzata
dell'olivo nel Lazio e' passata da 80.000 ettari a 84.000 nel 1952-56
e a 87.770 ettari nel 1966-70. 
  Sulla scia di questa grande storia che alcune ditte produttrici  di
olio, da anni hanno cercato di legare il nome di  Roma  alla  propria
produzione olearia. Emblematico e' l'uso, dal 1926 a  fine  anni  '90
del nome Roma e dei simboli ad essa collegata  (Augusto,  gladiatore,
Lupa con gemelli, ecc.) che troviamo in alcuni  marchi  registrati  o
comunque  su  documentazione  commerciale  di  alcune  aziende  della
filiera  olivicola.  In  particolare  i  documenti   comprovante   la
reputazione sono: 
    registrazione marchio «Roma» per la  commercializzazione  di  una
linea di oli di oliva venduta a livello nazionale  ed  internazionale
sin dal 1997 e successiva registrazione nel 2003,  da  parte  di  una
opificio ricadente nell'areale di cui all'art 3; 
    registrazioni marchi del 1926, 1930, 1945, 1955; 
    listini prezzi del 1980, 1984 e 1993; 
    fatture e bolle di accompagnamento dal 1984 al 1989; 
    ricevute di deposito olio del 1984; 
    progetto di commercializzazione 1991; 
    etichettatura per  un  progetto  sociale  di  Roma  Capitale  del
2014/2015. 
  I numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, la  presenza
costante e  i  premi  ricevuti  ai  vari  Concorsi  oleari  -  Premio
nazionale Ercole Olivario con 41 aziende e 47  oli  partecipanti  nel
2016 con 3 premiati, 27 aziende con 31 oli nel 2017 con 4 premiati  e
35 aziende e 46 oli nel 2018 con 13 premiati; Concorso  Sirena  d'Oro
di Sorrento con 3 oli premiati  nel  2017  e  1  nel  2018,  Concorso
Orciolo d'Oro con 10 premi nel 2016 e 6 nel 2017 - e la vendita  come
gadget, ai turisti della  capitale  presso  numerosi  punti  vendita,
dell'olio proveniente dal territorio di cui art.  3  hanno  di  fatto
creato una  reputazione  internazionale  al  prodotto  che  pero'  la
normativa vigente dal 2002 ha vietato di enfatizzare  con  i  termini
geografici.