(Allegato) (parte 2)
4. Altre semplificazioni per i piccoli comuni 
   L'ANAC si riserva di elaborare indicazioni volte ad  agevolare  il
processo di gestione del rischio di corruzione nei piccoli comuni  in
cui la scarsita' di risorse non consente di  implementare,  in  tempi
brevi, un adeguato processo valutativo. 
   In ogni caso, per i dati relativi al contesto esterno e una  prima
analisi degli stessi, i piccoli comuni possono avvalersi del supporto
tecnico   e   informativo   delle   Prefetture.   Resta   ferma    la
responsabilita' di ogni  ente  di  contestualizzare  l'analisi  anche
rispetto  a  dati  in   proprio   possesso.   Come   anche   indicato
nell'approfondimento II dedicato alle citta'  metropolitane,  cui  si
rinvia,  le  "zone  omogenee"  delle  citta'  metropolitane   possono
rappresentare un utile riferimento per i  comuni  del  territorio  ai
fini dell'analisi del contesto esterno e  della  predisposizione  del
PTPC. Analogamente, le province possono fornire un supporto agli enti
locali che ricadono nel relativo ambito territoriale, come  precisato
al § 3.1. 
   Una  specifica  misura  di  semplificazione  e'  stata  introdotta
dall'art. 6, co. 6, del decreto del  Ministero  dell'Interno  del  25
settembre 2015 «Determinazione degli indicatori di anomalia  al  fine
di  agevolare   l'individuazione   delle   operazioni   sospette   di
riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte  degli  uffici
della pubblica amministrazione»  secondo  cui  gli  enti  locali  con
popolazione inferiore ai 15.000 abitanti possono individuare un unico
soggetto quale "gestore  comune"  delle  segnalazioni  di  operazioni
sospette. Nel rinviare alla parte generale § 5.2, si ricorda che  gli
enti possono decidere di attribuire tale incarico  al  RPCT  che,  in
questo caso, puo' coincidere con il RPCT  dell'unione  di  comuni  o,
comunque, in un RPCT dei comuni che abbiano deciso di  stipulare  una
convenzione o un accordo ai sensi dell'art. 15 della l. 241/1990. 
   Particolari modalita' semplificate per l'attuazione degli obblighi
di trasparenza da parte dei comuni con popolazione inferiore a 15.000
abitanti, previste  nell'art.  3,  co.  1-ter,  del  d.lgs.  33/2013,
introdotto dal d.lgs. 97/2016, saranno oggetto  di  specifiche  Linee
guida dell'Autorita'. 
   Ai  fini  della  semplificazione   si   rammenta,   comunque,   la
possibilita' di assolvere l'obbligo di pubblicazione  anche  mediante
un link ad altro sito istituzionale ove  i  dati  e  le  informazioni
siano gia' pubblicati. 
 
5. Coordinamento fra gli strumenti di programmazione 
   La legge 190/2012, prevede che «l'organo  di  indirizzo  definisce
gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e
trasparenza, che costituiscono contenuto necessario dei documenti  di
programmazione strategico-gestionale e del  Piano  triennale  per  la
prevenzione della corruzione» (art. 1, co.  8,  come  sostituito  dal
d.lgs. 97/2016). Si ribadisce, pertanto, come anche gia'  evidenziato
nel § 5.1 della parte generale, la necessita' che  il  PTPC  contenga
gli obiettivi strategici in materia di prevenzione e di trasparenza 
fissati dagli organi di indirizzo. 
   Tali  obiettivi  devono  altresi'  essere  coordinati  con  quelli
previsti in altri documenti di  programmazione  strategico-gestionale
adottati dai comuni ivi inclusi, quindi, piano  della  performance  e
documento unico di programmazione  (di  seguito  DUP).  Quest'ultimo,
nuovo documento contabile introdotto dal d.lgs.  23  giugno  2011  n.
118, «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili
e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli  enti  locali  e  dei
loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2  della  legge  5  maggio
2009, n. 42» (successivamente integrato con il d.lgs. 10 agosto 2014,
n. 126), e' stato adottato dalla generalita' degli enti locali a 
partire dal 2015. 
   Si propone che tra gli obiettivi strategici e  operativi  di  tale
strumento, una  volta  entrato  a  regime,  vengano  inseriti  quelli
relativi alle misure di prevenzione  della  corruzione  previsti  nel
PTPC al fine di migliorare la coerenza  programmatica  e  l'efficacia
operativa degli strumenti. In prospettiva, piu' che un  coordinamento
ex post tra  i  documenti  esistenti,  che  comunque  costituisce  un
obiettivo minimale, maggiore efficacia potra' ottenersi 
dall'integrazione ex ante degli strumenti di programmazione. 
   Nel contesto di un percorso di allineamento temporale  tra  i  due
documenti - DUP e PTPC- che richiede un arco temporale maggiore, come
prima indicazione operativa in sede di PNA 2016 si  propone,  dunque,
di  inserire  nel  DUP  quantomeno  gli  indirizzi  strategici  sulla
prevenzione della corruzione e sulla promozione della trasparenza ed 
i relativi indicatori di performance. 
 
   II - CITTA' METROPOLITANE 
 
 
Premessa 
 
   La finalita' del presente approfondimento e'  quella  di  fornire,
anche sulla base delle  esperienze  concrete,  indicazioni  operative
alle citta' metropolitane per la  predisposizione  e  gestione  delle
misure di prevenzione della corruzione, definendo altresi' competenze 
e responsabilita' nell'adozione dei PTPC. 
 
1. Valutazione dei PTPC delle citta' metropolitane 
   L'esame condotto dall'ANAC sui PTPC delle citta' metropolitane  ha
evidenziato, nel complesso,  un  allineamento  con  gli  esiti  della
valutazione dei PTPC 2016 a livello nazionale come descritti  nel  §2
della parte generale del  presente  PNA  alla  quale  si  rinvia.  Si
evidenzia, tuttavia, quale specifico  elemento  positivo  riscontrato
nei PTPC delle citta' metropolitane  una  buona  articolazione  delle
aree di  rischio  e  delle  misure  di  carattere  generale  cui  non
corrisponde,  pero',  un'adeguata  mappatura  dei   processi.   Quali
principali  criticita'   si   evidenziano,   invece,   l'assenza   di
partecipazione degli organi di indirizzo  politico-amministrativo  ai
processi di adozione dei  PTPC  e  uno  scarso  coinvolgimento  degli
stakeholders. Si e' altresi' rilevato che e'  stata  dedicata  grande
attenzione alla ricognizione delle fonti normative e del processo  di
subentro delle citta' metropolitane alle  province,  in  ragione  del
contesto plurilaterale nel quale  tali  enti  vengono  ad  inserirsi,
quali organismi intermedi tra la regione e i comuni. Cio'  impone  di
considerare sia la complessita' nel riparto  delle  funzioni,  dovuta
alla  concorrenza   tra   previsioni   statali   e   regionali,   sia
l'articolazione  delle  strutture,  tenuto  conto   della   possibile
presenza di convenzioni tramite le quali, ai sensi della l.  56/2014,
i comuni e le loro unioni possono avvalersi di strutture della citta'
metropolitana per l'esercizio di specifiche attivita' oppure delegare
il predetto  esercizio  a  strutture  della  citta'  metropolitana  e
viceversa. 
   Nel  presente  PNA  sono  formulate,  pertanto,  alcune  linee  di
indirizzo con particolare riferimento a: 
    - relazione tra citta' metropolitane e  altri  enti  territoriali
(regione, comune capoluogo, comuni del territorio  metropolitano)  al
fine di individuare le aree e i processi da valutare per la  gestione
del rischio; 
    - individuazione dell'organo cui compete l'adozione del PTPC; 
    - individuazione del RPCT della citta' metropolitana; 
    - contenuti principali del PTPC; 
    - obblighi di trasparenza. 
 
2. Rapporto citta' metropolitane ed enti territoriali (regione, 
comune capoluogo, comuni del territorio) 
2.1 Rapporto tra citta' metropolitana e regione per identificare le 
funzioni e i relativi processi da mappare nei PTPC 
   Come e' noto, ai sensi della l. 56/2014 ed alla luce  dell'accordo
tra governo e regioni dell'11  settembre  2014,  le  regioni  possono
attribuire funzioni alle  citta'  metropolitane,  mediante  leggi  di
riordino delle funzioni delegate o trasferite. Tuttavia,  allo  stato
attuale,  mentre  sono  state  approvate  le  leggi  regionali,   non
risultano complessivamente adottati i conseguenti  accordi  attuativi
volti a disciplinare l'effettiva decorrenza del  trasferimento  delle
funzioni, le modalita' operative, l'entita' dei beni,  delle  risorse
umane, finanziarie,  strumentali  ed  organizzative  destinate  dalla
citta' metropolitana  all'esercizio  di  ogni  singola  funzione.  Il
d.P.C.M. 26 settembre 2014, «Criteri per l'individuazione dei beni  e
delle  risorse  finanziarie,  umane,  strumentali   e   organizzative
connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali», prevede che  le
amministrazioni   interessate   (provincia   ed   ente   subentrante)
concordino il trasferimento dei beni e delle risorse connesse alle 
funzioni. 
   Il rapporto tra citta' metropolitana e regione di  riferimento  e'
stato, pertanto, indagato al fine di enucleare il criterio che  possa
consentire  di  individuare,  a  prescindere  dall'incompletezza  dei
percorsi formali di attribuzioni di deleghe e funzioni,  quali  siano
le funzioni che la citta'  metropolitana  deve  considerare  ai  fini
della mappatura delle aree a rischio e della predisposizione delle 
misure di prevenzione della corruzione. 
   In primo luogo va ribadito che i PTPC delle  citta'  metropolitane
contengono necessariamente misure di prevenzione della corruzione con
riguardo alle funzioni fondamentali specificamente individuate 
dall'art.1, commi da 44 a 46, della l. 56/2014. 
   Inoltre, ove l'ente territoriale citta' metropolitana si ponga  in
qualita' di ente che succede o subentra ad  altro  ente  territoriale
(es. province), le misure di prevenzione dovranno riguardare anche le
funzioni  acquisite  a  seguito  del  subentro  o  trasferimento  dei
compiti, secondo il criterio indicato con Comunicato del Presidente 
dell'Autorita' del 16 dicembre 2015 (16). 
   Il medesimo  criterio  puo'  essere  richiamato  per  le  funzioni
delegate dalle regioni o dalle stesse, viceversa, acquisite a seguito
di specifica normativa  regionale.  Pertanto,  le  predette  funzioni
devono  ritenersi  oggetto  della  programmazione  delle  misure   di
prevenzione della corruzione da  parte  del  soggetto/amministrazione
che direttamente le esercita in virtu' di  delega  e/o  attribuzione.
Per esercizio della funzione  deve  intendersi  l'espletamento  della
medesima, con conseguente gestione delle relative risorse umane e 
finanziarie. 
   L'indicazione del presente  PNA  e'  dunque  nel  senso  che,  per
individuare l'ente territoriale (citta' metropolitana o regione)  cui
spetta considerare la funzione e i relativi processi  ai  fini  della
predisposizione  del  PTPC,  il  criterio  da  utilizzare  e'  quello
dell'esercizio effettivo della funzione anche in virtu' di delega e/o
attribuzione, criterio che prevale su quello della mera titolarita' 
della medesima. 
   Per quanto riguarda la  data  certa  di  decorrenza  del  criterio
indicato, si considerano  esercitate  tutte  le  funzioni  svolte  in
virtu' di delega e/o attribuzione alla data del 31 dicembre  di  ogni
anno relativo al triennio considerato nel PTPC, ancorche' le medesime
siano esercitate per frazione di  anno,  ossia  solo  per  una  parte
dell'anno o degli anni considerati nel PTPC, e fermo restando che ove
la citta' metropolitana preveda di cessare l'esercizio della funzione
nel corso dell'anno  deve  farne  menzione  nel  PTPC,  indicando  la
procedura di trasferimento e l'ente  subentrante  che,  ai  fini  del
proprio  PTPC  considerera'  la  funzione  nell'anno  successivo.  La
presenza di tale indicazione nel PTPC e' necessaria per circoscrivere
e ricondurre il sistema della responsabilita' all'effettivo periodo 
di esercizio della funzione. 
   Gli enti subentranti (siano essi la regione o viceversa la  citta'
metropolitana) devono  individuare  nei  propri  PTPC  le  misure  di
prevenzione della corruzione relative a dette  funzioni  dal  momento
dell'effettivo trasferimento dell'esercizio della funzione. Cio' allo
scopo di evitare adempimenti meramente temporanei e agevolare la 
riorganizzazione in corso. 
   Nel caso in cui i processi di trasferimento e riallocazione  delle
funzioni, attualmente in atto, determinassero situazioni, transitorie
ma rilevanti, di "esercizio contiguo" delle  funzioni  gestite  dalla
citta' metropolitana e di quelle  gestite  dalla  regione  -  che  si
verifica quando il personale, rispettivamente incardinato nei diversi
enti, lavora a stretto contatto e/o anche nelle  stesse  strutture  -
deve  essere   dedicata   particolare   attenzione   alle   possibili
conseguenze dell'interferenza e dei contatti del personale che  opera
nei diversi uffici, individuando nei PTPC adeguate condizioni 
organizzative e misure per evitare fenomeni di maladministration. 
   Con riferimento, inoltre, all'aspetto della gestione del personale
che, per effetto di distacchi o comandi,  dovesse  transitare  da  un
ente all'altro, dovra' essere data adeguata evidenza nel PTPC di tali
passaggi e dei criteri adottati,  fermo  restando  che  la  mappatura
della funzione, cui il personale viene addetto, segue il criterio 
sopra indicato. 
 
2.2 Rapporto tra citta' metropolitana e comune capoluogo al  fine  di
favorire forme di coordinamento per la predisposizione dei rispettivi 
PTPC 
   Comune capoluogo e citta'  metropolitana  si  trovano  a  svolgere
funzioni che richiedono un elevato livello di condivisione  reciproca
che puo' dare luogo ad accordi tra le due  amministrazioni  volti  al
mero coordinamento nello svolgimento delle rispettive funzioni oppure
alla costituzione di uffici comuni al fine di garantire un  esercizio
congiunto. Queste  soluzioni  organizzative  possono  esser  favorite
dall'ampiezza   del   potere   statutario   lasciato   alle    citta'
metropolitane, come risulta dalle disposizioni di cui ai commi  10  e
11 dell'art. 1 della l. 56/2014. 
   In ordine a quanto sopra  evidenziato  si  forniscono  indicazioni
volte a favorire la predisposizione coordinata di  alcune  parti  dei
PTPC di citta' metropolitana e comune capoluogo. 
   In primo luogo  possono  esser  valorizzati  gli  accordi  di  cui
all'art. 15 della l. 241/1990 o le convenzioni tra enti locali di cui
all'art.  30  del  TUEL,  con  i  quali  comune  capoluogo  e  citta'
metropolitana stabiliscono  congiuntamente  modalita'  operative  per
l'esercizio  delle  attivita'   comuni.   Tali   accordi/convenzioni,
infatti, possono essere utilizzati per definire insieme mappature  di
processi  condivisi,  misure  preventive  della  corruzione   nonche'
modalita' di ripartizione delle  responsabilita'  di  attuazione.  In
ogni caso deve essere  data  evidenza,  nei  rispettivi  PTPC,  della
presenza di tali accordi o convenzioni e del loro specifico contenuto
in materia di anticorruzione. 
   Le modalita' di collaborazione tra citta  metropolitana  e  comune
capoluogo  potranno  essere  diverse,  comprendendo  diversi  livelli
organizzativi e riguardando decisioni  ed  attivita'  differenti,  in
ragione delle diversita' territoriali e delle forme di collaborazione
prescelte.  Pertanto,  di  volta   in   volta,   le   amministrazioni
interessate  dovranno  verificare  l'adeguatezza  e  l'efficacia  del
modello  organizzativo  adottato   rispetto   all'individuazione   di
attivita' specifiche legate all'anticorruzione. 
   In ordine ai contenuti di tali accordi/convenzioni ai  fini  della
predisposizione dei PTPC, e' opportuno  che  i  medesimi  abbiano  ad
oggetto,  quantomeno,  l'analisi  del  contesto  esterno   vista   la
condivisione  del  medesimo  contesto  territoriale  nonche'   alcuni
aspetti  dell'analisi  di  contesto  interno,  della  mappatura   dei
processi  ed  altri  aspetti,  quali  la  eventuale  condivisione  di
strutture, personale ed uffici. 
 
2.3  Rapporto  tra  citta'  metropolitana  e   piccoli   comuni   del
territorio, per coordinare e semplificare l'attivita' di elaborazione 
dei rispettivi PTPC 
   L'analisi  degli  statuti  di  alcune  citta'   metropolitane   ha
evidenziato  la   previsione   di   forme   di   assistenza   tecnico
amministrativa  in  generale  e  in  materia  di  prevenzione   della
corruzione e promozione della trasparenza in particolare, nei 
confronti di comuni ed unioni di comuni del territorio. 
   Con riferimento al predetto livello di interazione, e premesso  il
ruolo  di  coordinamento  degli   strumenti   di   programmazione   e
pianificazione  che   la   l.   56/2014   attribuisce   alle   citta'
metropolitane, il PTPC della citta' metropolitana potrebbe contenere,
sulla base di specifiche modalita' organizzative e di  coinvolgimento
dei RPCT del territorio, elementi di impulso e  di  indirizzo  per  i
PTPC dei comuni e/o unioni di comuni ricadenti nel territorio di 
riferimento. 
   Nel  fare  cio',  e'  auspicabile  che   i   PTPC   delle   citta'
metropolitane forniscano indicazioni adeguate - e dunque se del  caso
opportunamente differenziate - in relazione ad  aree  omogenee  nelle
quali puo' essere articolato il territorio di riferimento, sulla base
degli elementi desunti dalla condivisione metodologica con i RPCT del 
territorio stesso. 
   A titolo esemplificativo si fa riferimento alla  possibilita'  che
la  citta'  metropolitana  valorizzi  la   cooperazione   funzionale,
promuovendo la costituzione di  "zone  omogenee",  cioe'  di  realta'
territoriali  integrate  e  gruppi  di  comuni  con   caratteristiche
omogenee, con i quali strutturare modalita'  di  confronto,  ai  fini
dell'emersione di esigenze specifiche da considerare nella redazione 
del PTPC. 
   In  questo  modo  la  citta'  metropolitana  puo',  da  un   lato,
promuovere la redazione congiunta di parti di PTPC  dei  comuni,  ivi
compresa la configurazione di  misure  organizzative  di  prevenzione
della corruzione analoghe, fermo restando  che  ogni  misura  e'  poi
effettivamente adottata da ciascun comune, in rapporto  alla  propria
realta' organizzativa. Dall'altro lato, la citta' metropolitana  puo'
fornire supporto ai comuni che per ridotte dimensioni o altri motivi,
eventualmente anche legati a profili di inefficienza allo stato non 
superati, non dovessero associarsi per la redazione del PTPC. 
   In un contesto cosi' organizzato,  l'apporto  collaborativo  delle
citta' metropolitane nei confronti dei comuni del territorio,  specie
di quelli di ridotte dimensioni, puo' tradursi nell'istituzione di un
tavolo di confronto e/o  una  consulta  tra  i  RPCT  dei  comuni,  i
responsabili  delle  aree   omogenee   e   il   RPCT   della   citta'
metropolitana, ovvero loro  appositi  referenti  con  il  compito  di
individuare buone pratiche e programmare attivita', come, ad esempio: 
    - analisi congiunta del contesto esterno, anche in  raccordo  con
le Prefetture, al fine di individuare gli elementi di criticita' e di 
omogeneizzare l'analisi e i fattori critici del contesto; 
    - individuazione delle  aree  comuni  di  rischio  proprie  delle
singole  amministrazioni,  anche  per  "zone  omogenee",  sulla  base
dell'analisi del contesto interno dei  singoli  PTPC  adottati  dagli
enti, al fine di proporre piu' efficaci misure di prevenzione (risk 
assessment); 
    - individuazione e proposta di buone  pratiche,  non  in  termini
generali,  ma  di  carattere  specifico  all'esito  di  un  confronto
concreto tra le diverse realta' territoriali e la condivisione delle 
analisi. 
   Altri  interventi  possono  realizzarsi   mediante   la   gestione
congiunta a  livello  territoriale  di  alcune  misure  di  carattere
generale, quali, ad esempio, la formazione prevista obbligatoriamente
in materia di trasparenza e anticorruzione,  suddivisa,  ad  esempio,
nei diversi profili (tecnico, amministrativo, operativo, ecc.), anche
al fine di valorizzare economie di scala e di garantire un livello di
qualita' adeguato alla formazione, con risorse finanziarie in 
proporzione a carico dei rispettivi enti. 
   Quanto sopra, fermo restando il permanere  della  responsabilita',
ai sensi della l. 190/2012, in capo a  ciascun  ente  e,  al  proprio
interno, in capo ai diversi soggetti che intervengono nella fase di 
predisposizione, adozione, attuazione e monitoraggio dei PTPC. 
 
   3. Individuazione dell'organo di indirizzo che adotta il PTPC 
   L'art. 1, co. 8 della l. 190/2012, come sostituito  dall'art.  41,
co. 1, lett. g), del d.lgs. 97/2016, prevede che negli enti locali il
PTPC sia adottato dalla Giunta, quindi da un organo esecutivo. 
   Attesa l'assenza di Giunta nelle citta' metropolitane, si  ritiene
che  l'adozione  del  PTPC  debba,  di  norma,  prevedere  un  doppio
passaggio: l'approvazione da parte del consiglio metropolitano di  un
documento di  carattere  generale  sul  contenuto  del  PTPC,  mentre
l'organo esecutivo, rappresentato dal  Sindaco  metropolitano,  resta
competente all'adozione finale, salvo diversa previsione  statutaria.
Al momento questa indicazione e'  confermata  dall'analisi  dei  PTPC
delle  citta'  metropolitane  dalla  quale  e'   emerso   che   nella
maggioranza dei casi il Sindaco metropolitano adotta il PTPC. 
   Ne consegue che la responsabilita' in caso di "omessa adozione" si
configura  in  capo  all'organo   competente   all'adozione   finale,
individuato di norma,  salvo  diversa  disposizione  statutaria,  nel
Sindaco metropolitano. Resta fermo che per omessa adozione si intende
tutto quanto evidenziato dall'Autorita' nell'art.  1,  lett.  g)  del
«Regolamento  in  materia  di  esercizio  del  potere   sanzionatorio
dell'Autorita' Nazionale Anticorruzione  per  l'omessa  adozione  dei
Piani  triennali  di  prevenzione  della  corruzione,  dei  Programmi
triennali  di  trasparenza,  dei  Codici  di  comportamento»  del   9
settembre 2014. Quanto previsto sull'organo competente ad adottare il
PTPC e' da intendersi  riferito  anche  all'adozione  dei  codici  di
comportamento. 
 
   4. Nomina del RPCT 
   Fermo restando quanto previsto al § 5.2. della parte generale  sui
requisiti del RPCT, si ritiene che la sua nomina  sia  di  competenza
dello stesso organo di indirizzo che adotta il PTPC, di norma, il 
Sindaco metropolitano. 
 
   5. Obblighi di trasparenza 
   A  fini  di  semplificazione,  le  citta'  metropolitane   possono
inserire   sul   proprio   sito    istituzionale,    nella    sezione
Amministrazione  trasparente,  link  di  rinvio  a  quei  dati   gia'
pubblicati da parte di enti  territoriali  di  dimensione  inferiore.
Questa  circostanza  si  puo'  verificare   quando   vi   e'   totale
coincidenza, a norma di legge, fra i  dati  da  pubblicare  da  parte
della citta' metropolitana e  quelli  da  parte  di  altro  ente  del
territorio e sempre che il  RPCT  della  citta'  metropolitana  abbia
verificato la correttezza, la completezza e l'aggiornamento del  dato
al quale si rinvia. 
 
   6. Coordinamento fra gli strumenti di programmazione 
   L'art. 1, co. 8 della l.  190/2012,  come  sostituito  dal  d.lgs.
97/2016, prevede che «l'organo di indirizzo definisce  gli  obiettivi
strategici in materia di prevenzione della corruzione e  trasparenza,
che   costituiscono   contenuto   necessario   dei    documenti    di
programmazione strategico-gestionale e del  Piano  triennale  per  la
prevenzione della  corruzione».  Si  ribadisce  pertanto,  come  gia'
esposto nella parte generale al §5.1. cui si  rinvia,  la  necessita'
che il PTPC contenga gli obiettivi strategici in materia di 
prevenzione e di trasparenza fissati dagli organi di indirizzo. 
   Tali  obiettivi  devono  altresi'  essere  coordinati  con  quelli
previsti in altri documenti di  programmazione  strategico-gestionale
della citta' metropolitana ivi inclusi, quindi, piano della 
performance e DUP. 
   In questa ottica si raccomanda che tra gli obiettivi strategici ed
operativi del DUP vengano inseriti quelli  strategici  relativi  alle
misure di prevenzione della corruzione  previsti  nel  PTPC  al  fine
migliorare la coerenza programmatica e  l'efficacia  operativa  degli
strumenti. In prospettiva, piu' che un coordinamento ex  post  tra  i
documenti esistenti, che comunque costituisce un obiettivo  minimale,
maggiore efficacia potra' ottenersi dall'integrazione ex ante degli 
strumenti di programmazione. 
   Nel contesto di un percorso di allineamento temporale  tra  i  due
documenti - DUP e PTPC- che richiede un arco temporale maggiore, come
prima indicazione operativa in sede di PNA 2016 si  propone,  dunque,
di  inserire  nel  DUP  quantomeno  gli  indirizzi  strategici  sulla
prevenzione della corruzione e sulla promozione della trasparenza ed 
i relativi indicatori di performance. 
 
 
   III - ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI 
 
Premessa 
   Gli ordini e i collegi professionali sono tenuti  a  osservare  la
disciplina  in  materia  di  trasparenza  e  di   prevenzione   della
corruzione nonche' gli orientamenti del presente PNA, secondo  quanto
previsto dal d.lgs. 97/2016 ed, in particolare, dagli artt. 3, 4 e 41
che hanno modificato, rispettivamente gli artt.  2  e  3  del  d.lgs.
33/2013 e, tra l'altro, l'art. 1 c. 2 della l. 190/2012. 
   Con particolare riguardo alla trasparenza, l'art. 2-bis del d.lgs.
33/2013 al comma 2 precisa che la medesima disciplina prevista per le
pubbliche amministrazioni si applica anche agli ordini professionali,
in quanto compatibile. Premessi i limiti di compatibilita'  indicati,
non sussistono pertanto  piu'  dubbi  che  gli  ordini  professionali
rientrino nel novero dei soggetti  tenuti  a  conformarsi  al  d.lgs.
33/2013. A tale riguardo, peraltro, all'Autorita' e' stato attribuito
il potere di precisare, in sede di PNA gli obblighi di  pubblicazione
e le relative modalita' di attuazione in relazione  alla  natura  dei
soggetti, alla loro dimensione organizzativa e alle attivita' svolte,
prevedendo in particolare modalita' semplificate anche per gli organi
e  collegi  professionali  (co.1-ter,  inserito  all'art.  3,  d.lgs.
33/13). 
   Analogamente, agli ordini e ai collegi professionali si applica la
disciplina prevista dalle l. 190/2012  sulle  misure  di  prevenzione
della corruzione. In virtu' delle  modifiche  alla  l.  190/2012,  si
evince che il PNA costituisce atto di indirizzo per i soggetti di cui
all'art. 2 bis del d.lgs. 33/13, ai fini  dell'adozione  dei  PTPC  o
delle misure di prevenzione della corruzione  integrative  di  quelle
adottate ai sensi del  d.lgs  8  giugno  2001,  n.  231  (co.  2-bis,
inserito all'art. 1 della l. 190/2012). 
   Alla luce di quanto premesso, al  fine  di  orientare  l'attivita'
degli ordini e  dei  collegi  professionali  di  livello  centrale  e
territoriale, di seguito  sono  approfondite  le  seguenti  questioni
relative a profili di tipo organizzativo e di gestione del rischio: 
   > RPCT e adozione del PTPC e delle  misure  di  prevenzione  della
corruzione; 
   > aree di rischio  specifiche  che  caratterizzano  gli  ordini  e
collegi professionali; 
   > trasparenza di cui al d.lgs. 33/2013. 
 
1. Responsabile della prevenzione della corruzione e adozione del 
PTPC e di misure di prevenzione della corruzione 
   1.1 Responsabile della Prevenzione della corruzione e della 
trasparenza 
   La legislazione anticorruzione ha attribuito particolare rilevanza
al ruolo del RPCT. Per quanto attiene alla  specifica  realta'  degli
ordini e collegi professionali, si ritiene che il RPCT  debba  essere
individuato all'interno di  ciascun  Consiglio  nazionale,  ordine  e
collegio professionale (sia a livello centrale che a livello locale). 
   Piu' in particolare, l'organo di indirizzo politico  individua  il
RPCT, di norma, tra i dirigenti amministrativi in  servizio.  Occorre
sottolineare, al riguardo, che Ordini e Collegi  non  necessariamente
dispongono di personale con profilo dirigenziale. In  tali  casi,  si
pone pertanto, il problema dell'individuazione del soggetto al quale 
affidare il ruolo di RPCT. 
   Rinviando al § 5.2. della  parte  generale  per  le  questioni  di
inquadramento complessivo, si evidenzia che nelle sole ipotesi in cui
gli ordini e i collegi professionali  siano  privi  di  dirigenti,  o
questi siano in numero  cosi'  limitato  da  dover  essere  assegnati
esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali  nelle  aree  a
rischio  corruttivo,  circostanze  che  potrebbero   verificarsi   in
strutture organizzative di ridotte dimensioni, il RPCT potra'  essere
individuato in un profilo non dirigenziale che garantisca comunque le 
idonee competenze. 
   Solo in  via  residuale  e  con  atto  motivato,  il  RPCT  potra'
coincidere con un consigliere  eletto  dell'ente,  purche'  privo  di
deleghe gestionali. In tal senso, dovranno essere escluse  le  figure
di Presidente, Consigliere segretario  o  Consigliere  tesoriere.  In
questi  casi,  e'  auspicabile,  al  fine  di  prevedere   forme   di
responsabilita' collegate al ruolo di RPCT, che i Consigli nazionali,
gli ordini e collegi territoriali - nell'impossibilita' di  applicare
le responsabilita'  previste  dalla  l.  190/2012  ai  consiglieri  -
definiscano e declinino forme di responsabilita' almeno disciplinari,
ai fini delle conseguenze di cui alla predetta legge, con apposite 
integrazioni ai propri codici deontologici. 
 
   1.2 Predisposizione del PTPC e delle misure di prevenzione della 
corruzione 
   L'art. 41 del d.lgs. 97/2016, nell'introdurre l'art. 1, co. 2-bis,
della l. 190/2012, sembrerebbe ricondurre  gli  ordini  e  i  collegi
professionali fra quei soggetti cui spetta l'adozione  di  misure  di
prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai  sensi
del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (art. 1, co.  2-bis  l.
190/2012).  Tuttavia,  tenuto   conto   dell'ambito   soggettivo   di
applicazione   del   d.lgs.   231/2001   e   considerato   che    non
necessariamente il modello ivi previsto e' applicabile da parte degli
ordini e dei collegi professionali, di norma gli stessi  adottano  un
PTPC. In via residuale, qualora  gli  enti  decidano  di  adottare  o
abbiano gia' adottato un modello ai sensi  del  d.lgs.  231/2001,  e'
necessario che le misure idonee  a  prevenire  anche  i  fenomeni  di
corruzione e di illegalita' all'interno dell'ente in coerenza con  le
finalita' della  l.  190/2012  siano  ricondotte  all'interno  di  un
documento unitario che tiene luogo del  Piano  di  prevenzione  della
corruzione anche ai fini della valutazione dell'aggiornamento annuale
e della vigilanza dell'A.N.AC.. 
   Separate considerazioni vanno svolte,  laddove  ordini  e  collegi
professionali siano di dimensioni limitate  e  non  siano  dotati  di
pianta   organica   sufficiente   ad   implementare   la    normativa
anticorruzione in maniera sostenibile per insufficienza di  struttura
organizzativa o limitato numeri di iscritti. 
   Al riguardo, deve ragionevolmente riconoscersi la possibilita' per
gli ordini e collegi "di piccole dimensioni" di stipulare accordi  ai
sensi dell'art. 15 della l. 241/90, purche' essi  risultino  comunque
appartenenti ad aree territorialmente limitrofe e siano  appartenenti
alla medesima categoria professionale  o  a  categorie  professionali
omogenee.  Questa  indicazione  e',  peraltro,  coerente  con  quanto
previsto  nel  d.lgs.  97/2016  in  cui   si   esprime   favore   per
l'aggregazione  di  enti  di  piccole  dimensioni   al   fine   della
predisposizione del PTPC. 
   La definizione di accordi tra ordini e collegi professionali,  che
consente di procedere alla redazione in comune di  alcune  parti  del
documento, non esime i singoli enti dalla nomina di un proprio RPCT e
dall'adozione del PTPC o, comunque, di misure  di  prevenzione  della
corruzione. 
   Ad esempio, potranno essere  redatte  in  comune  dagli  ordini  o
collegi le parti del PTPC  relative  alla  descrizione  del  contesto
esterno di riferimento e, per i processi dello stesso tipo, anche del
contesto interno. In quest'ultimo caso, le mappature dei  processi  a
rischio di corruzione possono avere lo stesso contenuto  nei  singoli
PTPC, ad eccezione della individuazione delle misure  di  prevenzione
(ivi inclusi i responsabili, i tempi e le modalita'  di  attuazione),
che  dovranno  necessariamente  essere  adeguate  alle   peculiarita'
specifiche di ciascun ente. 
   E' auspicabile che ciascun Consiglio nazionale supporti i  collegi
e gli ordini territoriali nella  predisposizione  dei  PTPC  o  delle
misure di prevenzione della corruzione,  al  fine  di  migliorare  la
mappatura dei processi e la progettazione delle misure di prevenzione
della corruzione. Ad esempio possono essere  rese  disponibili  Linee
guida e atti di indirizzo ovvero  diffusi,  a  livello  territoriale,
alcuni contenuti-tipo dei PTPC, a cui gli ordini  e  collegi  possono
fare riferimento, ferma restando la necessita' di  un  indispensabile
adeguamento  dei  contenuti,  in  particolare  quanto   alle   misure
concretamente adottate, alle specifiche realta' dei singoli enti. 
 
   1.3 Organo che adotta il PTPC o le misure di prevenzione della 
corruzione 
   Secondo quanto previsto dalla l. 190/2012,  il  PTPC  e'  adottato
dall'organo di indirizzo (art. 1, co. 8). Negli ordini e nei  collegi
professionali, l'organo in questione e'  individuato  nel  Consiglio.
Questa  indicazione  rileva  anche  ai  fini  dell'eventuale   potere
sanzionatorio che ANAC puo' esercitare ai sensi dell'art. 19, co.  5,
del  d.l.  90/2014.  Tuttavia,  per  la  specificita'  degli   ordini
professionali,  e'  raccomandata  una  consapevole  partecipazione  e
confronto del Consiglio con il RPCT ed, eventualmente, con 
l'Assemblea degli iscritti. 
 
2. Esemplificazione di aree di rischio specifiche negli ordini e 
collegi professionali 
   Da una prima analisi delle funzioni svolte dagli ordini e  collegi
territoriali, cosi' come dai Consigli nazionali delle professioni, e'
stato possibile individuare tre macro-aree di rischio specifiche. Per
ciascuna area sono state  individuate,  a  titolo  esemplificativo  e
senza pretesa di esaustivita', le attivita' a piu' elevato rischio di
corruzione  nonche'  esempi  di  eventi  rischiosi  e  di  misure  di
prevenzione. 
   Nondimeno, si sottolinea che le indicazioni contenute nel presente
documento  presuppongono  la  consapevolezza  delle   diversita'   di
discipline esistenti fra i vari ordinamenti  professionali.  Inoltre,
l'individuazione dei processi a rischio,  degli  eventi  rischiosi  e
delle  misure  di  prevenzione  dovra'  poi  essere   necessariamente
contestualizzata nei PTPC dei  singoli  organismi,  alla  luce  delle
peculiarita' ordinamentali e disciplinari delle diverse professioni. 
   Si premette che si e' ritenuto, in questa fase,  di  escludere  le
attivita' riconducibili  alla  funzione  giurisdizionale  propria  di
alcuni Consigli nazionali (fra  cui  quelli  degli  ingegneri,  degli
architetti e dei geometri), in  quanto  si  tratta  di  attivita'  di
natura non  amministrativa,  che  i  Consigli  espletano  nella  loro
qualita' di giudice  speciale,  in  conformita'  con  i  poteri  loro
espressamente conferiti dalla VI Disposizione  transitoria  e  finale
della Costituzione (cfr. sul tema la relazione illustrativa al d.p.r. 
7  agosto  2012,  n.  137,   recante   «Riforma   degli   Ordinamenti
Professionali»). 
   Lo stesso vale per i procedimenti disciplinari condotti a  livello
territoriale, per  i  quali  la  recente  riforma  degli  ordinamenti
professionali ha previsto l'istituzione dei  Consigli  di  disciplina
territoriale, quali organi locali, «diversi da quelli aventi funzioni
amministrative», ai quali affidare «l'istruzione e la decisione delle
questioni disciplinari», prevedendo altresi'  l'incompatibilita'  tra
la carica di consigliere dell'ordine e quella di membro dei  Consigli
di disciplina stessi (cfr. art. 3, co. 5, lett. f), decreto legge  13
agosto 2011, n. 138, come convertito in legge 14 settembre  2011,  n.
11). Ai sensi del d.p.r. 137/2012, infatti, la funzione  disciplinare
viene  svolta  da  consiglieri  di  disciplina  individuati   tramite
candidature proposte  dall'ordine,  in  numero  pari  al  doppio  dei
componenti da nominare, e designati dal Presidente del  Tribunale  in
base a tale elenco (art. 8). 
   Fermi  restando  ulteriori  approfondimenti  o  analisi   condotte
necessariamente dai singoli enti, di seguito  si  riporta  una  prima
individuazione esemplificativa delle aree di rischio specifiche: 
   > formazione professionale continua; 
•  rilascio  di  pareri  di   congruita'   (nell'eventualita'   dello
svolgimento  di  tale  attivita'  da  parte  di  ordini   e   collegi
territoriali in seguito all'abrogazione delle tariffe professionali); 
   > indicazione di professionisti  per  l'affidamento  di  incarichi
specifici. 
   Per ciascuna delle tre aree di rischio si riportano di seguito, in
via esemplificativa e non esaustiva, un elenco di processi a rischio,
eventi  corruttivi  e  misure  di  prevenzione.  Si   ribadisce   che
l'adozione di queste ultime richiede necessariamente una  valutazione
alla luce della disciplina dei singoli ordini e collegi professionali
e l'effettiva contestualizzazione in relazione alle caratteristiche e
alle dimensioni dei singoli ordini e collegi. 
2.1 Formazione professionale continua 
   La fonte di disciplina della formazione professionale continua  e'
il Regolamento per  l'aggiornamento  della  competenza  professionale
emanato dai singoli Consigli nazionali  ex  art.  7,  co.  3,  d.p.r.
137/2012  ed   eventuali   linee   di   indirizzo/linee   guida   per
l'applicazione dello stesso. Ciascun  ordinamento  professionale  ha,
infatti, provveduto  all'emanazione  di  un  proprio  regolamento  in
materia  di  formazione,  previo  parere  favorevole  del   Ministero
vigilante. 
   Per il trattamento di questa specifica  area  di  rischio,  si  e'
concentrata l'attenzione sulla corretta identificazione dei  processi
e sulla corrispondente individuazione del rischio  e  delle  connesse
misure di prevenzione, di cui si riporta un  elenco  esemplificativo.
In particolare ci si e' soffermati sui seguenti processi rilevanti: 
• esame e valutazione, da parte dei Consigli nazionali, della domanda
di autorizzazione degli "enti terzi" diversi dagli ordini e  collegi,
erogatori  dei  corsi  di  formazione  (ex  art.  7,  co.  2,  d.p.r.
137/2012); 
• esame e valutazione delle  offerte  formative  e  attribuzione  dei
crediti formativi professionali (CFP) agli iscritti; 
• vigilanza  sugli  "enti  terzi"  autorizzati  all'erogazione  della
formazione ai sensi dell'art. 7, co. 2, d.p.r. 137 del  2012,  svolta
in proprio da parte dei Consigli nazionali o dagli ordini  e  collegi
territoriali; 
• organizzazione e svolgimento  di  eventi  formativi  da  parte  del
Consiglio nazionale e degli ordini e collegi territoriali. 
   Possibili eventi rischiosi: 
   > alterazioni documentali volte  a  favorire  l'accreditamento  di
determinati soggetti; 
• mancata valutazione di richieste di autorizzazione, per  carenza  o
inadeguatezza  di  controlli  e  mancato  rispetto  dei   regolamenti
interni; 
   >  mancata  o  impropria   attribuzione   di   crediti   formativi
professionali agli iscritti; 
   > mancata o inefficiente vigilanza sugli "enti terzi"  autorizzati
all'erogazione della formazione; 
• inefficiente organizzazione e svolgimento delle attivita' formative
da  parte  del  Consiglio  nazionale  e/o  degli  ordini  e   collegi
territoriali. 
   Possibili misure 
•   controlli   a   campione   sull'attribuzione   dei   crediti   ai
professionisti, successivi allo svolgimento di un  evento  formativo,
con verifiche periodiche  sulla  posizione  complessiva  relativa  ai
crediti formativi degli iscritti; 
• introduzione di adeguate misure di pubblicita' e trasparenza legate
agli eventi formativi dei Consigli nazionali e degli ordini e collegi
professionali, preferibilmente  mediante  pubblicazione  -  nel  sito
internet istituzionale dell'ente organizzatore - dell'evento e  degli
eventuali costi sostenuti; 
• controlli a campione sulla persistenza dei  requisiti  degli  "enti
terzi" autorizzati all'erogazione della formazione. 
 
2.2 Adozione di pareri di congruita' sui corrispettivi per le 
prestazioni professionali 
   La  fonte  della  disciplina  di  questa  attivita'  e'  contenuta
nell'art. 5, n. 3), legge 24 giugno 1923 n. 1395, nell'art. 636 
c.p.c. e nell'art. 2233 c.c. 
   Nonostante l'abrogazione delle tariffe professionali, ad opera del
d.l. 1/2012 (come convertito dalla l. 27/2012),  sussiste  ancora  la
facolta' dei Consigli degli ordini territoriali di  esprimersi  sulla
«liquidazione  di  onorari  e  spese»   relativi   alle   prestazioni
professionali, avendo la predetta  abrogazione  inciso  soltanto  sui
criteri da porre a fondamento della citata procedura di accertamento. 
   Il  parere  di  congruita'  resta,  quindi,  necessario   per   il
professionista che, ai sensi dell'art. 636 c.p.c.,  intenda  attivare
lo strumento "monitorio" della domanda di ingiunzione  di  pagamento,
per ottenere quanto dovuto dal cliente, nonche' per  il  giudice  che
debba provvedere alla liquidazione giudiziale dei compensi, ai sensi 
dell'art. 2233 c.c.. 
   Il  parere   di   congruita',   quale   espressione   dei   poteri
pubblicistici   dell'ente,   e'    riconducibile    nell'alveo    dei
provvedimenti di natura amministrativa, necessitando delle tutele 
previste dall'ordinamento per tale tipologia di procedimenti. 
   Pertanto,  nell'eventualita'  dello  svolgimento  della   predetta
attivita'  di  valutazione  da   parte   degli   ordini   o   collegi
territoriali, possono essere considerati i seguenti eventi rischiosi 
e misure preventive: 
   Possibili eventi rischiosi 
• incertezza nei criteri di quantificazione degli onorari 
professionali; 
   > effettuazione di una istruttoria lacunosa e/o parziale per 
favorire l'interesse del professionista; 
• valutazione erronea  delle  indicazioni  in  fatto  e  di  tutti  i
documenti a corredo dell'istanza e necessari alla corretta 
valutazione dell'attivita' professionale. 
   Possibili misure 
• necessita'  di  un  regolamento  interno  in  coerenza  con  la  l.
241/1990, ove non gia' adottato in base  all'autonomia  organizzativa
degli enti, che  disciplini  la  previsione  di:  a)  Commissioni  da
istituire per le valutazioni di congruita'; b) specifici requisiti in
capo ai componenti da nominare nelle Commissioni; c) modalita' di 
funzionamento delle Commissioni; 
• rotazione dei soggetti che istruiscono le domande; 
• organizzazione delle  richieste,  raccolta  e  rendicontazione,  su
richiesta, dei pareri di  congruita'  rilasciati  anche  al  fine  di
disporre di parametri di confronto, eventualmente e  se  sostenibile,
con una adeguata informatizzazione, nel rispetto della normativa in 
materia di tutela della riservatezza dei dati personali. 
2.3 Indicazione di professionisti per lo svolgimento di incarichi 
   L'area di rischio riguarda tutte le ipotesi in cui gli ordini sono
interpellati per la nomina, a vario titolo, di professionisti ai 
quali conferire incarichi. 
   Tra le varie fonti di disciplina vi e' il decreto  del  Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380,  «Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.  (Testo
A)», che prevede, in relazione alle attivita' di collaudo statico, ad
esempio, che «Quando non esiste  il  committente  ed  il  costruttore
esegue in proprio, e'  fatto  obbligo  al  costruttore  di  chiedere,
anteriormente alla presentazione della denuncia di inizio dei lavori,
all'ordine provinciale degli ingegneri o a quello  degli  architetti,
la designazione di una terna di nominativi fra  i  quali  sceglie  il
collaudatore» (art. 67, co. 4). Vi  sono,  poi,  altri  casi  in  cui
normative di settore prevedono ipotesi in  cui  soggetti  pubblici  o
privati possono rivolgersi agli ordini e collegi territoriali al fine
di ricevere un'indicazione sui professionisti iscritti agli albi o 
registri professionali cui affidare determinati incarichi. 
   Possibili eventi rischiosi 
   Nelle ipotesi sopra descritte e negli altri  casi  previsti  dalla
legge, gli eventi rischiosi attengono principalmente alla  nomina  di
professionisti - da parte dell'ordine  o  collegio  incaricato  -  in
violazione dei principi di terzieta',  imparzialita'  e  concorrenza.
Tale violazione puo' concretizzarsi,  ad  esempio,  nella  nomina  di
professionisti che abbiamo interessi  personali  o  professionali  in
comune con i  componenti  dell'ordine  o  collegio  incaricato  della
nomina, con i  soggetti  richiedenti  e/o  con  i  destinatari  delle
prestazioni professionali, o di professionisti che  siano  privi  dei
requisiti tecnici idonei ed adeguati allo svolgimento dell'incarico. 
   Possibili misure 
   Le  misure  preventive   potranno,   pertanto,   essere   connesse
all'adozione di criteri di selezione di candidati,  tra  soggetti  in
possesso dei necessari requisiti,  mediante  estrazione  a  sorte  in
un'ampia rosa di professionisti (come avviene per la nomina dei 
componenti delle commissioni di collaudo). 
   E' di fondamentale importanza, inoltre, garantire la trasparenza e
la  pubblicita'  delle  procedure  di  predisposizione  di  liste  di
professionisti, ad esempio provvedendo alla  pubblicazione  di  liste
on-line o ricorrendo a procedure di selezione ad  evidenza  pubblica,
oltre che all'assunzione della relativa decisione in composizione 
collegiale da parte dell'ordine o del collegio interpellato. 
   Qualora l'ordine debba  conferire  incarichi  al  di  fuori  delle
normali procedure ad evidenza pubblica, sono auspicabili le seguenti 
misure: 
• utilizzo di criteri di trasparenza sugli atti di conferimento degli 
incarichi; 
• rotazione dei soggetti da nominare; 
•  valutazioni  preferibilmente  collegiali,  con  limitazioni  delle
designazioni dirette da parte del Presidente, se non in casi di 
urgenza; 
• se la designazione avviene da parte del solo  Presidente  con  atto
motivato, previsione della successiva ratifica da parte del 
Consiglio; 
• verifica dell'insussistenza di  situazioni,  anche  potenziali,  di
conflitto di interesse nei  confronti  del  soggetto  che  nomina  il
professionista   a   cui   affidare   l'incarico    richiesto,    del
professionista   designato,   dei   soggetti   pubblici   o   privati
richiedenti, del soggetto destinatario delle prestazioni 
professionali; 
• eventuali misure di trasparenza sui compensi, indicando  i  livelli
piu' alti e piu' bassi dei compensi corrisposti, nel  rispetto  della
normativa dettata in materia di tutela della riservatezza dei dati 
personali. 
 
3. Trasparenza ai sensi del d.lgs. 33/2013 
   Chiarita  la  diretta  applicabilita'  agli   ordini   e   collegi
professionali della  disciplina  contenuta  nel  d.lgs.  33/2013,  in
quanto  compatibile,  secondo  quanto  gia'  rilevato  in   premessa,
l'Autorita' adottera', come gia' chiarito nella parte generale  al  §
7.1.,  specifiche  Linee  guida  volte  a  fornire  indicazioni   per
l'attuazione della  normativa  in  questione,  da  considerare  parte
integrante del presente PNA. 
   Saranno, pertanto, forniti chiarimenti in ordine al criterio della
"compatibilita'"  e  ai  necessari  adattamenti  degli  obblighi   di
trasparenza   in   ragione   delle   peculiarita'   organizzative   e
dell'attivita' svolta dagli ordini e collegi professionali, in  linea
con  quanto  l'Autorita',  per  i  principali   obblighi,   ha   gia'
dettagliato per le societa' pubbliche e gli  altri  enti  di  diritto
privato con determinazione n. 8/2015. 
 
 
 
   IV - ISTITUZIONI SCOLASTICHE 
 
 
Premessa 
   Tenuto conto delle caratteristiche  organizzative  e  dimensionali
del settore dell'istruzione scolastica e delle  singole  istituzioni,
della specificita'  e  peculiarita'  delle  funzioni,  nonche'  della
disciplina di settore che caratterizza queste amministrazioni, l'ANAC
ha adottato specifiche Linee guida con la  delibera  n.  430  del  13
aprile 2016 a cui si rinvia integralmente  per  l'applicazione  delle
disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza
nelle istituzioni  scolastiche,  fatti  salvi  eventuali  adeguamenti
degli obblighi, ai sensi del d.lgs. 97/2016, che saranno  specificati
nelle Linee guida che l'Autorita' si riserva di emanare, secondo 
quanto previsto al § 7.1 «Trasparenza». 
 
1. Precisazioni in merito al RPCT e ai contenuti dei PTPC in 
relazione al d.lgs. 97/2016 
   A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 97/2016 al  d.lgs.
33/2013 e alla l. 190/2012 relativamente  all'unicita'  della  figura
del RPC e del RT,  le  funzioni  di  RPC  e  RT  sono  attribuite  al
Direttore dell'Ufficio scolastico regionale, o per le regioni in  cui
e' previsto, al Coordinatore regionale.  In  attuazione  delle  nuove
disposizioni normative, si ribadisce, come gia' indicato nella  parte
generale del presente PNA al § 5.2. lett. a), che  e'  necessaria  la
formalizzazione,  con  apposito  atto   dell'organo   di   indirizzo,
dell'attribuzione agli attuali RPC anche della responsabilita'  sulla
trasparenza, con l'indicazione della relativa decorrenza. 
   Quanto ai dirigenti scolastici  e'  opportuno  che  nei  PTPC  gli
stessi siano responsabilizzati, in quanto dirigenti, in  ordine  alla
elaborazione e pubblicazione dei dati sui siti web delle  istituzioni
scolastiche presso cui prestano servizio. Attraverso un loro attivo e
responsabile coinvolgimento all'interno del modello organizzativo dei
flussi informativi,  viene  cosi'  assicurata  la  prossimita'  della
trasparenza rispetto alla comunita' scolastica di riferimento, con la
pubblicazione dei dati e delle informazioni previste dalla  normativa
vigente sui siti delle singole istituzioni scolastiche. 
   Per quanto  riguarda  i  PTPC,  a  seguito  della  confluenza  dei
contenuti del PTTI  all'interno  del  PTPC,  a  decorrere  dal  primo
aggiornamento  ordinario  del  31  gennaio  2018,   salvo   eventuali
modifiche anticipate proposte dal RPCT,  i  PTPC  regionali  dovranno
contenere l'apposita sezione in  cui  sono  indicati  i  responsabili
della  trasmissione  e  della  pubblicazione  dei  documenti,   delle
informazioni e dei dati ai sensi del d.lgs.  33/2013,  come  previsto
dall'art. 10, co. 1, del medesimo decreto, come sostituito dal d.lgs. 
97/2016. 
 
2. Istituzioni dell'Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica 
(AFAM) 
   L'Autorita' ha precisato, nelle Linee guida sopra richiamate,  che
le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e  coreutica,
che costituiscono il sistema dell'alta formazione e  specializzazione
artistica  e  musicale,  applicano  le  disposizioni  in  materia  di
prevenzione  della  corruzione  e  trasparenza  contenute  nella   l.
190/2012  e  nel  d.lgs.  33/2013,  in   quanto   equiparabili   alle
istituzioni universitarie e, quindi, ricomprese nelle amministrazioni 
pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001. 
   Con riguardo alle modalita' attuative della normativa,  a  seguito
di un confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'universita'  e
della ricerca, si precisa che il PTPC  delle  AFAM  e'  adottato  dal
Consiglio di amministrazione  quale  organo  di  indirizzo  di  dette
istituzioni  e   che   il   RPCT   e'   individuato   nel   Direttore
dell'istituzione (conservatorio, accademia, ecc.).  Tale  figura,  si
ritiene, possieda sia una profonda  conoscenza  del  funzionamento  e
dell'organizzazione delle  istituzioni  in  parola,  e,  dunque,  dei
fattori di  rischio  presenti  nelle  relative  aree,  sia  poteri  e
funzioni idonee a garantire lo svolgimento dell'incarico con 
autonomia ed effettivita', come richiesto dalla l. 190/2012. 
 
   V - TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI 
 
Premessa 
   La specificita' del settore dei beni e delle attivita'  culturali,
rispetto ad altri ambiti di attivita' della pubblica amministrazione,
risente della peculiarita' e della complessita' dei beni da tutelare,
patrimonio non solo dell'Italia, ma di tutta l'umanita'. La scelta di
svolgere un approfondimento su questa materia deriva da una 
pluralita' di ragioni. 
   In primo luogo, si tratta di un  ambito  di  elevata  complessita'
giuridico-istituzionale,  sia  perche'  nella  regolamentazione   del
patrimonio culturale  si  intrecciano  numerosi  profili  di  diritto
pubblico e di diritto privato, sia perche' vengono coinvolti, a vario 
titolo, tutti i diversi livelli di governo. 
   In secondo luogo, il settore in questione, negli ultimi  anni,  e'
stato oggetto di ripetute riforme legislative  e  amministrative  che
hanno  interessato,  in   modo   significativo,   anche   la   stessa
organizzazione  amministrativa  del  Ministero  preposto.  In  questa
prospettiva, l'esemplificazione  di  eventi  rischiosi  e  misure  di
prevenzione della corruzione in un contesto di riorganizzazione puo' 
rappresentare un utile ausilio per le analisi future. 
   In considerazione dell'ampiezza della materia,  l'approfondimento,
in questa fase, e' stato avviato attraverso l'interlocuzione  con  il
MIBACT, che svolge istituzionalmente a livello nazionale, tramite una
fitta rete di uffici periferici (soprintendenze in primis), i compiti 
di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. 
   Le prime aree e attivita' considerate come particolarmente esposte
al rischio di eventi corruttivi e di particolare rilevanza sul  piano
delle funzioni affidate al MIBACT oggetto del presente 
approfondimento sono: 
    - la verifica di interesse culturale per beni mobili e immobili, 
inclusi i beni di interesse paesaggistico; 
    - le autorizzazioni all'esportazione e alla circolazione delle 
opere d'arte e dei beni culturali in genere; 
    - le autorizzazioni paesaggistiche (tutela del paesaggio). 
   Una   prima   parte    dell'approfondimento    riguarda    aspetti
organizzativi relativi alla predisposizione del PTPC  e  alla  nomina
del RPCT, anche tenendo conto della diffusa articolazione 
dell'amministrazione periferica del Ministero. 
 
1. Programmazione delle misure di prevenzione e di trasparenza e 
nomina del RPCT nel MIBACT 
   Nell'attuale organizzazione del MIBACT,  il  RPCT  e'  individuato
nella persona del Segretario generale, coadiuvato dai "Referenti  per
l'anticorruzione" individuati nei Direttori generali centrali  e  nei
Segretari regionali. 
   I referenti per la prevenzione svolgono attivita' informativa  nei
confronti  del  Responsabile,  affinche'  questi  abbia  elementi   e
riscontri    sull'intera    organizzazione    e    sulle    attivita'
dell'amministrazione;  il  RPCT   effettua   altresi'   il   costante
monitoraggio  dell'attivita'  svolta  dai  dirigenti  assegnati  agli
uffici di riferimento, anche  in  relazione  all'adozione  di  misure
gestionali per assicurare la rotazione del personale. 
   La distribuzione capillare  sul  territorio  delle  strutture  del
MIBACT e l'attribuzione  delle  funzioni  di  "stazioni  appaltanti",
attualmente affidate ai Segretariati  regionali  e  agli  istituti  e
musei di  rilevante  interesse  nazionale,  tuttavia,  fanno  nascere
l'esigenza di prevenire e contrastare il rischio corruzione a  questo
livello organizzativo. 
   A tale scopo, il Ministero puo'  affidare  agli  stessi  Segretari
regionali e ai direttori dei musei di cui all'art.  30,  co.  3,  del
d.p.c.m. 171/2014 il ruolo di RPCT a livello  territoriale.  In  tale
ipotesi, questi  ultimi  sono  tenuti  a  predisporre  appositi  PTPC
coerenti con le indicazioni date a livello centrale con il  PTPC  del
Ministero. 
 
2. Procedimento per la dichiarazione di interesse culturale 
   La scelta  di  analizzare  questo  procedimento  e'  nata  da  una
valutazione degli interessi coinvolti all'interno delle singole fasi 
istruttorie e decisionali. 
   Si tratta di  un  procedimento,  strutturato  su  piu'  livelli  e
secondo  diverse  fattispecie  normative  delineate  all'interno  del
Codice dei beni culturali e del  paesaggio  (decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42), in cui si opera un bilanciamento  costante  tra
interesse  del  singolo  e   interesse   della   collettivita',   con
provvedimenti finali autoritativi che incidono in modo economicamente
rilevante nella sfera giuridica dei singoli, sia persone fisiche che 
giuridiche. 
   Con l'entrata in vigore  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio  e'  stata  infatti  introdotta  la   norma   che   prevede
l'accertamento  specifico   dell'interesse   culturale   delle   cose
appartenenti a soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro (c.d. 
verifica di interesse culturale), ponendo  fine  ad  un  sistema  che
produceva notevoli incertezze, sia  per  la  sottrazione  all'obbligo
dell'inserimento in elenchi delle cose mobili e immobili dello  Stato
- per i quali non era previsto nessun meccanismo di individuazione  -
sia per la generale inosservanza dell'obbligo nei casi  previsti.  In
particolare, l'art. 12 del d.lgs. 42/2004 prevede che le cose  mobili
e immobili appartenenti ad  enti  pubblici  e  a  persone  giuridiche
private senza scopo di  lucro,  che  rivestano  interesse  artistico,
storico o di altro tipo, risalgano ad oltre cinquant'anni, se mobili,
o settanta anni, se immobili, e siano di  autore  non  piu'  vivente,
vengano sottoposte ad un apposito procedimento di verifica, volto  ad
accertare la sussistenza o meno di un interesse  artistico,  storico,
archeologico o etnoantropologico. In attesa della verifica, tali cose
sono in via provvisoria soggette alla disciplina di  tutela  prevista
dal Codice. L'esito della verifica - che e' promossa d'ufficio  o  su
richiesta del  soggetto  proprietario  -  se  positivo,  comporta  la
definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela, se 
negativo, la fuoruscita da detta disciplina. 
   Il  procedimento  concernente  la   dichiarazione   di   interesse
culturale e' disciplinato  dagli  artt.  12  e  seguenti  del  d.lgs.
42/2004 e s.m.i., nonche' dagli artt. 33 lettera l) e 39 del d.p.c.m. 
29 agosto 2014, n. 171 recante  «Regolamento  di  organizzazione  del
Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del  turismo,  degli
uffici  di  diretta  collaborazione  del  Ministro  e  dell'Organismo
indipendente di valutazione della performance, a norma  dell'articolo
16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con 
modificazione, dalla legge n. 89 del 23 giugno 2014». 
   Lo stesso si articola secondo tre linee procedimentali, a  seconda
del soggetto interessato  dal  vincolo  o  dalla  tipologia  di  bene
oggetto di valutazione finalizzata alla apposizione di un vincolo di 
tutela: 
1) la verifica di interesse culturale per beni mobili e  immobili  di
proprieta' di enti pubblici o persone giuridiche private senza fini 
di lucro di cui all'art. 12 del Codice; 
2) la dichiarazione di interesse culturale per beni mobili e immobili 
appartenenti a soggetti privati di cui all'art. 13 del Codice; 
3) la dichiarazione di notevole interesse pubblico per beni 
paesaggistici di cui all'art. 138 del Codice. 
   Il procedimento di verifica o di dichiarazione si sviluppa nelle 
seguenti fasi: 
    - avvio del procedimento: ai sensi dell'art. 12 o  dell'art.  14,
co. 1, del d.lgs. 42/2004, da parte del Soprintendente. Per la 
verifica e' ammessa la richiesta da parte dei soggetti interessati; 
    - fase  istruttoria  di  accertamento  dell'interesse  culturale:
l'accertamento della sussistenza, nella "cosa" indagata, del  livello
di interesse culturale prescritto dalla  normativa  di  tutela  e  la
comunicazione,  agli   aventi   diritto,   degli   esiti   di   detto
accertamento, di carattere tecnico-discrezionale, costituisce il 
contenuto pressoche' integrale del procedimento in questione; 
    - il Soprintendente  invia  la  proposta  di  dichiarazione  alla
Commissione regionale  per  il  patrimonio  culturale,  prevista  dal
d.p.c.m. 171/2014, art. 39, la quale verifica la sussistenza 
dell'interesse; 
    - il provvedimento finale  (decreto  o  comunicazione  di  parere
negativo) e' adottato  dalla  Commissione  regionale  con  firma  del
Segretario  regionale,  che  la  presiede,  e  viene  trasmesso  alla
Soprintendenza (Servizio affari legali) che  provvede  alla  notifica
dello stesso agli interessati e alla trascrizione presso i registri 
della Conservatoria; 
    - in caso di verifica negativa (art. 12 del  d.lgs.  42/2004)  la
scheda contenente i relativi dati e' trasmessa ai  competenti  uffici
affinche' ne dispongano la sdemanializzazione e i beni per i quali si
sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai 
fini del Codice; 
    -  nel  caso  di  verifica  con  esito  positivo   l'accertamento
dell'interesse costituisce dichiarazione ai sensi  dell'art.  13  del
d.lgs.  42/2004  (dichiarazione  dell'interesse  culturale)   ed   il
relativo provvedimento e' trascritto nei modi previsti dalla legge. I
beni restano in questo caso definitivamente sottoposti alle 
disposizioni del Codice; 
    - le schede descrittive oggetto di verifica  con  esito  positivo
confluiscono in un archivio informatico  (17)  conservato  presso  il
Ministero e accessibile al Ministero e all'Agenzia del  demanio,  per
finalita'  di  monitoraggio   del   patrimonio   immobiliare   e   di
programmazione  degli  interventi  in   funzione   delle   rispettive
competenze istituzionali: l'aggiornamento dell'archivio  informatico,
la notifica e la trascrizione del decreto sono a cura del 
Segretariato regionale; 
    - i procedimenti, di verifica e di dichiarazione,  si  concludono
entro 120 gg. dalla notifica al proprietario dell'avviso di avvio del
procedimento; qualora il procedimento sia  iniziato  su  impulso  del
proprietario del bene e non si concluda entro i 120 gg. previsti, gli
interessati possono diffidare il Ministero a provvedere, e agire 
avverso il silenzio ai sensi di legge; 
    - entro 30 gg. dalla notifica della dichiarazione o  degli  esiti
della verifica, e' ammesso ricorso amministrativo  al  Ministero  per
motivi di legittimita' e di merito; in tale ipotesi si  determina  la
sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, fermo restando
l'applicazione, in via cautelare,  delle  disposizioni  previste  dal
d.lgs. 42/2004, nella Parte Seconda Titolo I e precisamente  al  Capo
II, al Capo III Sezione I e Capo IV Sezione I (approvazione di  opere
e lavori, denuncia degli atti di  trasferimento  della  proprieta'  o
della detenzione, ecc.). Il Ministero, nello specifico la Commissione
Regionale,  sentito  il  competente  organo  consultivo,  decide  sul
ricorso entro novanta giorni  dalla  presentazione  dello  stesso,  e
qualora venga accolto procede all'annullamento in autotutela od  alla
modifica   del   provvedimento   medesimo.   Sono   inoltre   ammesse
proposizioni di ricorso giurisdizionale al TAR  competente,  a  norma
degli artt. 2 e 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e  successive
modificazioni, ovvero ricorso straordinario al Capo dello Stato ai 
sensi del d.p.r. 20 novembre 1971, n. 1199. 
   L'analisi del contesto interno in cui si sviluppa il  procedimento
ha evidenziato una serie di possibili eventi  rischiosi,  collegabili
tanto  agli  aspetti  organizzativi  che  di   regolamentazione   del
processo, trattandosi peraltro di fasi procedimentali che coinvolgono
piu' amministrazioni ed uffici, oltre che utenti privati  destinatari
del provvedimento finale, da cui derivano una  serie  di  obblighi  e
limiti:  denunzia  di  trasferimento  delle  opere  per   cambio   di
residenza, denunzia di trasferimento di proprieta\detenzione, divieto 
di trasferimento all'estero, sanzioni. 
   L'impatto  del   provvedimento,   risultante   da   un   specifica
valutazione tecnico/scientifica, costituisce un primo fattore di 
rischio corruttivo. 
   Il rischio di ingerenze si ripropone su  piu'  livelli  intermedi,
declinabili dalla fase istruttoria fino alla fase decisoria, con fasi
endoprocedimentali,  relativi  per  esempio   alla   imposizione   di
prescrizioni,  i  cui  esiti,  pur  potendo  modificare  in   maniera
rilevante i diritti dei singoli, sono di difficile predeterminazione. 
   Posto  che  l'evento   corruttivo   consista,   nel   procedimento
esaminato, nell'apposizione o nella mancata  apposizione  illegittima
di  un  vincolo,  nell'adozione  di  prescrizioni  irragionevoli   o,
comunque, in valutazioni negligenti e/o arbitrarie,  il  rischio  che
esso si possa  verificare  e'  particolarmente  presente  nella  fase
istruttoria, affidata normalmente ad un unico funzionario che, per la
conoscenza che ha del territorio, da cui deriva la sua competenza, e' 
esposto ad ingerenze esterne o all'interesse personale. 
   L'aver demandato, in virtu' dell'art. 39 d.p.c.m.  171/2014,  alla
Commissione regionale il momento finale del procedimento  costituisce
-  per  questa  fase  -  sicuramente  un'evoluzione  in  termini   di
trasparenza e  garanzia,  stante  la  collegialita'  della  decisione
assunta nel  contraddittorio  fra  le  diverse  posizioni  soggettive
coinvolte e potendo la Commissione emettere il provvedimento finale o
imporre prescrizioni, sia sull'"an" del vincolo, sia  sul  "quomodo",
diverse da quelle proposte dal Soprintendente che ha avviato il 
procedimento. 
   Sotto  quest'ultimo  profilo,  e'  raccomandabile,   come   misura
organizzativa e gestionale generale, l'implementazione di un  sistema
informativo che possa consentire un monitoraggio  -  da  parte  della
Commissione regionale e della stessa Direzione generale -  dei  tempi
di avvio e gestione delle procedure. Cio' al fine di  controllare  il
rispetto della cronologia delle  pratiche  avviate  a  seguito  della
preistruttoria relativa alla ammissibilita' stessa del  procedimento.
In tal modo si potrebbe fornire un quadro generale  degli  esiti  del
procedimento  (privo,  allo  stato,  di  evidenza  esterna)  e  delle
motivazioni fornite nel decreto finale, consentendo di intercettare 
eventuali anomalie e di armonizzare le prassi valutative. 
   Come in casi analoghi, inoltre, la  rotazione  degli  incarichi  e
l'adozione di  strumenti  di  emersione  di  eventuali  conflitti  di
interessi (anche solo nella forma  di  una  dichiarazione  attestante
l'assenza di conflitti sottoscritta dal  funzionario  in  rapporto  a
ciascun procedimento  gestito)  consentirebbe  un  maggior  controllo
sull'esercizio imparziale del potere autoritativo rimesso alle 
Soprintendenze. 
   Infine, l'introduzione di un obbligo relativo  alla  pubblicazione
delle schede descrittive dei beni sia da parte del  proprietario  che
della  soprintendenza  sul  sito   www.benitutelati.it,   andando   a
soddisfare l'esigenza di trasparenza, garantirebbe una maggiore 
imparzialita' dell'azione amministrativa. 
   Piu' in generale, un rafforzamento degli obblighi di comunicazione
e  trasparenza  da  parte  delle  Commissioni   regionali   e   delle
Soprintendenze  su  tutta  l'attivita'  espletata   in   materia   di
apposizione dei vincoli, potrebbe consentire il raggiungimento di una
maggiore omogeneita' e coerenza dei criteri decisionali e valutativi. 
Invero,  consentendo  alla  ormai   costituita   Direzione   Unitaria
dell'Archeologia e delle Belle Arti  e  Paesaggio  una  capacita'  di
coordinamento e controllo dell'attivita' di  tutela  nello  specifico
settore, si potrebbe  assicurare,  nel  rispetto  degli  inderogabili
principi di parita' di trattamento  e  di  imparzialita'  dell'azione
amministrativa, un'attivita' di tutela  il  piu'  possibile  omogenea
sull'intero territorio nazionale, ma attenta, allo stesso tempo, alle 
peculiarita' di ciascun ambito territoriale regionale. 
 
3. Circolazione internazionale intracomunitaria dei beni culturali 
   All'interno del vasto quadro di funzioni pubbliche in  materia  di
tutela dei beni culturali,  un  ruolo  particolare  e'  quello  della
regolamentazione dell'esportazione e della circolazione  delle  opere
d'arte (18), tema di estrema delicatezza per la finalita'  strategica
di difesa dell'integrita' del patrimonio culturale. 
   Due sono  le  principali  finalita'  delle  norme  in  materia  di
circolazione: assicurare che i beni culturali rimangano di proprieta'
pubblica o siano acquisiti dallo Stato; garantire che tali  beni  non
siano portati definitivamente al di fuori del  territorio  nazionale.
Un esempio  della  prima  finalita'  e'  quello  dell'istituto  della
prelazione storico-artistica, che consente allo Stato  (e  agli  enti
territoriali e locali) di acquistare beni alienati tra privati oppure
di espropriarli. Un esempio della seconda e' dato  dai  limiti  posti
sia all'alienabilita' del demanio culturale sia all'uscita  dei  beni
dal territorio nazionale. 
   In   considerazione   della   finalita'    generale    volta    al
contemperamento di interessi privati collegati e subalterni,  e  alla
tutela di interessi pubblici prevalenti di rango costituzionale (art. 
9  Cost.),  gli  eventi  rischiosi  da   prevenire   sono   collegati
all'assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di
procedimenti,  di  determinazioni   di   fasi   interne   a   singoli
procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti  dalla  cura
dell'interesse generale. 
   Di seguito ci si sofferma,  in  particolare  sul  procedimento  di
rilascio dell'attestato di libera circolazione previsto  all'art.  68
del Codice dei beni culturali, strumento  utilizzato  per  consentire
l'uscita di beni culturali dal territorio della Repubblica  italiana,
in via definitiva e senza danni per il patrimonio nazionale. In  ogni
caso, il procedimento, oltre a poter dar luogo all'apposizione di  un
vincolo di interesse culturale che ne inibisca  l'esportazione,  puo'
condurre alla proposta di acquisto del bene. 
   Gli eventi rischiosi connessi a tale procedimento attengono: 
a) ad una deviazione dalle regole procedimentali tale da determinare,
anche per pressioni esterne, un'illecita uscita definitiva  del  bene
culturale dal territorio nazionale; 
b) ad una valutazione non congrua del valore venale del bene (19). 
   La  competenza  relativa  al   rilascio   di   autorizzazioni   di
esportazione/importazione  per  beni  culturali  e'  attribuita  agli
uffici esportazione, istituiti presso diciotto Soprintendenze.  Detti
uffici,  diffusi  su  tutto  il  territorio   nazionale,   risultano,
tuttavia, privi di una  competenza  territoriale.  Cio'  consente  ai
privati  di  poter  scegliere,  anche  sulla  base   di   valutazioni
opportunistiche (in ragione, ad esempio, di rapporti di conoscenza ed
interesse maturati tra il privato e i  funzionari  che  vi  operano),
l'ufficio   al   quale   rivolgersi   per   ottenere   il    rilascio
dell'autorizzazione e prima ancora la valutazione del bene. 
   In base all'attuale normativa, inoltre,  i  privati  detentori  di
beni possono reiterare  la  richiesta  di  autorizzazione  in  uffici
esportazione diversi,  anche  se  non  contemporaneamente,  ritirando
l'istanza,  prima  della  pronuncia  finale   e   a   seguito   della
comunicazione di un preavviso di diniego, allo scopo di ottenere  una
valutazione che si  discosti  da  quella  precedentemente  formulata.
Attualmente, infatti, non esiste un sistema condiviso  da  tutti  gli
uffici esportazione  di  tracciatura  delle  domande  presentate  dai
privati. 
   Un ulteriore fattore di rischio e' individuabile nel ruolo  e  nel
funzionamento della commissione, costituita da tre esperti  scelti  a
rotazione tra  i  funzionari  tecnici  del  territorio  (due  storici
dell'arte e un archeologo), che deve effettuare la valutazione  tanto
della congruita' del valore del bene quanto della  certificazione  di
interesse pubblico con apposizione dei limiti alla sua circolazione. 
   Al riguardo, la principale causa di eventi rischiosi  e'  connessa
alla genericita'  e  al  non  aggiornamento  dei  criteri  a  cui  la
Commissione si attiene nel corso di tale  valutazione,  risalenti  ad
una circolare del 1974, emanata dall'allora Ministero della  pubblica
istruzione. Si tratta di criteri che lasciano ampia  discrezionalita'
in capo alla Commissione e ai singoli funzionari. 
   Una necessaria misura preventiva e' costituita dall'emanazione, da
parte del  MIBACT,  di  indirizzi  di  carattere  generale  (previsti
dall'art. 71, co. 4 del Codice) e vincolanti  per  i  diversi  uffici
esportazione, in modo che la  valutazione  circa  il  rilascio  o  il
rifiuto  dell'attestato  sia  effettuata  sulla  base  di  prassi   e
procedure uniformi. Cio' consentirebbe di ancorare l'esercizio  della
discrezionalita' dei vari uffici  a  criteri  oggettivi,  assicurando
l'imparzialita' del giudizio tecnico. 
   Un ulteriore criticita' e' da ravvisarsi nell'assenza, nei criteri
adottati per la nomina dei membri della Commissione esportazione,  di
adeguate misure di prevenzione dei conflitti di interesse. 
   Si  evidenzia,  infatti,  che  gli  esperti  che   compongono   la
commissione, in virtu' dell'esperienza acquisita sul  campo,  possono
offrire anche consulenze esterne ad antiquari e case d'asta;  sarebbe
utile, pertanto, per scongiurare i rischi connessi a  valutazioni  di
comodo,  volte  a  favorire  l'acquisizione  privata  del  bene,   la
sottoscrizione di una dichiarazione relativa all'assenza di conflitti
di  interessi,  attuali  o  potenziali,  al  momento  di   assunzione
dell'incarico. 
   In aggiunta a tale misura, puo' essere utile l'istituzione di  uno
specifico albo da  cui  estrarre  i  membri  della  Commissione,  che
consentirebbe   la   trasparenza   delle   procedure    di    nomina,
l'effettivita' della rotazione, la valutazione circa  la  sussistenza
dei  requisiti  scientifici   di   idoneita'   all'incarico   nonche'
l'identificazione di potenziali conflitti di interesse tra  i  membri
della commissione e i soggetti richiedenti. 
   Ulteriori misure preventive possono, poi, riguardare: 
    - lo sviluppo del Sistema informativo degli  Uffici  Esportazione
(SUE), attualmente utilizzato non da tutti gli  uffici  territoriali,
al fine di consentire ad ogni ufficio esportazione  di  conoscere  in
tempo reale le decisioni adottate dagli uffici omologhi e  di  essere
aggiornato   sull'eventuale   riproposizioni   delle   richieste   in
differenti uffici a seguito di un precedente diniego; 
    -  la  fissazione  delle  competenze  territoriali  degli  uffici
esportazione; 
    - la rotazione, ove possibile, dei  funzionari  responsabili  del
procedimento. 
4. Autorizzazioni paesaggistiche: il ruolo delle Soprintendenze 
   Il procedimento in esame - che non include quello semplificato  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio  2010,  n.
139, «Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione
paesaggistica  per  gli  interventi  di  lieve   entita',   a   norma
dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio  2004,
n. 42, e successive modificazioni» - si articola nelle seguenti fasi: 
    - istanza da parte del soggetto di cui all'art. 146, co.  1,  del
Codice; 
    - istruttoria da parte della regione o del comune subdelegato; 
    -  trasmissione  dell'istanza  ad  opera  della   amministrazione
competente al  Soprintendente  e  contestuale  avviso  di  avvio  del
procedimento al soggetto interessato; 
    - parere di compatibilita' e conformita' reso dal Soprintendente;
    -  fase  conclusiva  del  procedimento  (eventuale  preavviso  di
    procedimento negativo, trasmissione del parere, autorizzazione  o
    diniego). 
   L'autorizzazione  paesaggistica  costituisce   atto   autonomo   e
presupposto rispetto al permesso di costruire  o  agli  altri  titoli
legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. 
   Nell'ambito del procedimento si esamina, in particolare, il  ruolo
svolto dalle Soprintendenze nel rilascio del parere. Si tratta di  un
atto vincolante, che va trasmesso all'amministrazione  competente  al
rilascio del provvedimento finale (comune o  regione)  e  riveste  un
ruolo   di   fondamentale   importanza   ai   fini   dell'ottenimento
dell'autorizzazione. 
   Le principali cause di rischio e i principali eventi rischiosi  si
individuano: 
• nell'elevata discrezionalita' tecnica legata al rilascio del parere
da parte del Soprintendente/responsabile del procedimento. Le  scelte
dell'amministrazione sono basate su  regole  e  parametri  di  natura
tecnica   e   scientifica   specialistica.   L'elevato    tasso    di
discrezionalita'   tecnica   caratterizzante    il    parere    della
Soprintendenza e' rapportato alla tipologia di  vincolo  apposto  sul
bene. Vincolare senza prescrizione un'area molto  vasta  lascia  ampi
margini di valutazione. Pertanto, in presenza di vincoli c.d.  "nudi"
la ponderazione degli interessi da parte dei funzionari sull'uso  del
bene  e'  assai  elevata,  in  quanto  detti  vincoli   derivano   da
provvedimenti di tutela dei beni paesaggistici che, riducendosi ad un
mero divieto di trasformazione del territorio, non indicano l'essenza
valoriale e differenziata del  bene  vincolato.  Diversamente,  minor
grado di discrezionalita' si puo' avere  nel  caso  di  vincoli  c.d.
"vestiti".  Tali  vincoli  si  caratterizzano  per  la  presenza   di
prescrizioni relative all'uso  dell'area  oggetto  del  procedimento,
presentando un contenuto regolativo e  prescrittivo  che,  in  quanto
operato "a monte", circoscrive l'oggetto del parere di merito  e  con
esso la discrezionalita' del Soprintendente e  del  responsabile  del
procedimento. Gli eventi rischiosi si possono concretizzare in  varie
forme  di  condizionamento  della  fase  istruttoria  per   pressioni
esterne, ovvero  nella  non  corretta  e  adeguata  ponderazione  dei
diversi interessi da contemperare; 
• nella complessita' del processo di autorizzazione  che  prevede  il
coinvolgimento di  piu'  amministrazioni.  Eventi  rischiosi  possono
annidarsi   tanto   nel   rapporto   tra   soggetto   richiedente   e
amministrazione competente (regione, comune), quanto nel rapporto tra
lo stesso e la Soprintendenza  competente,  se  non  addirittura  nel
rapporto tra funzionario responsabile per il rilascio del  parere  ed
ente  competente  al  rilascio  dell'autorizzazione  (ad  esempio  in
ipotesi di inerzia da parte del Soprintendente volta a far  decorrere
il  termine  per  il  rilascio  del  parere   rimettendo,   pertanto,
all'amministrazione  competente  la  pronuncia   sulla   domanda   di
autorizzazione - cfr. art. 146, co. 9 del Codice).  Evento  rischioso
suscettibile di condizionare lo  svolgimento  corretto  del  processo
potrebbe essere, invece, il  rilascio  del  parere  o  proprio  della
stessa  autorizzazione  paesaggistica,  sulla  base  di   una   falsa
attestazione da parte dell'ente a cio' deputato; 
• nell'inadeguatezza delle strutture nel  dare  una  risposta  celere
alle istanze con conseguente dilatazione dei termini  di  definizione
del procedimento. In tali casi, ad esempio, condotte "inerti" possono
dar luogo a criticita' procedimentali cui potrebbe ovviarsi  con  una
maggiore  attenzione  all'organizzazione  e  alla  distribuzione  del
personale in organico; 
• nella presenza di eventuali interessi privati  e  nel  collegamento
territoriale  tra  utente/istante  e   funzionario/responsabile   del
procedimento.  Tali  collegamenti   potrebbero   favorire   dinamiche
improprie   nella   gestione   dell'istruttoria    con    conseguente
condizionamento dell'esito finale  del  processo  di  autorizzazione.
Occorre sul punto considerare che i funzionari di zona depositari  di
una  conoscenza  capillare  del  territorio  in  cui   operano   sono
maggiormente esposti, per prossimita' e  consuetudine,  all'esercizio
di pressioni esterne di interessi particolari e soggettivi. 
   Al riguardo possono ipotizzarsi le seguenti misure preventive: 
• sul piano normativo, sembrerebbe  opportuno  un  adeguamento  della
normativa vigente in  materia  di  vincoli  sui  beni  paesaggistici,
introducendo idonei meccanismi sanzionatori o incentivanti  affinche'
si possa effettivamente provvedere alla vestizione dei c.d.  "vincoli
nudi"  (come  gia'  previsto  dal  2008).  Possono  essere   valutate
positivamente, inoltre, alcune misure, quale  quella  introdotta  dal
d.l.  83/2014,  art.  12,  co.  1-bis  (poi  confluito  nel  d.p.c.m.
171/2014) ove si prevede che  ogni  decisione  di  un  soprintendente
possa comunque essere riesaminata dalla Commissione regionale,  anche
su segnalazione di altre amministrazioni. Tali  misure,  infatti,  si
sono gia' dimostrate efficaci sul piano della  previsione  di  eventi
corruttivi, allargando la responsabilita' della decisione a un organo
collegiale che puo' comunque ribaltare la decisione di un singolo; 
• sul piano gestionale,  sarebbe  opportuno  realizzare  sistemi  che
assicurino  la  trasparenza,  il   controllo   e   monitoraggio   del
procedimento in ogni sua fase, consentendo di pervenire ad un  quadro
il piu' possibile completo sia del numero dei  procedimenti  trattati
che dei relativi esiti (positivi, negativi o derivante da  inerzia  e
dalla conseguente formazione del  c.d.  silenzio-assenso).  Anche  in
questo caso e' un segnale positivo la previsione di cui all'art.  12,
co. 1-ter, del d.l. 83/2014 (poi ripresa dal citato d.p.c.m. 171  del
2014), in base alla quale tutti gli atti aventi rilevanza esterna e i
provvedimenti adottati dagli organi centrali e periferici del MIBACT,
nell'esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione  di  cui  al
codice dei beni culturali e del paesaggio, debbono essere  pubblicati
integralmente sul sito  internet  del  Ministero  e  in  quello,  ove
esistente, dell'organo che ha adottato l'atto. Per ogni  procedimento
vanno indicati la data di inizio, lo stato di avanzamento, il termine
di conclusione e l'esito dello stesso; 
• sul piano organizzativo, sarebbero utili misure  di  rotazione  dei
funzionari di zona adeguatamente programmate nel  tempo,  all'interno
della medesima Soprintendenza, nei limiti indicati per queste  misure
nella Parte generale (§ 7.2); 
• quanto  alla  prevenzione  del  conflitto  di  interessi,  si  puo'
ipotizzare l'assunzione di responsabilita' da parte del titolare  del
procedimento, attraverso  la  sottoscrizione  di  un'attestazione  di
insussistenza di rapporti personali o familiari con l'istante. 
 
   VI - GOVERNO DEL TERRITORIO 
Premessa 
   Con l'espressione "governo del territorio", nel presente  PNA,  si
fa riferimento ai  processi  che  regolano  la  tutela,  l'uso  e  la
trasformazione  del  territorio.   A   tale   ambito   si   ascrivono
principalmente  i  settori  dell'urbanistica  e  dell'edilizia,  come
chiarito dalla giurisprudenza costituzionale sull'attribuzione alle 
regioni della potesta' legislativa concorrente in materia (20). 
   Il governo del territorio rappresenta da sempre, e viene percepito
dai cittadini, come un'area ad elevato rischio di corruzione, per  le
forti  pressioni   di   interessi   particolaristici,   che   possono
condizionare o addirittura precludere il perseguimento degli 
interessi generali. 
   Le principali cause di corruzione in questa materia sono 
determinate da: 
a) estrema complessita' ed ampiezza della materia,  che  si  riflette
nella  disorganicita',  scarsa  chiarezza  e  stratificazione   della
normativa di riferimento e perdurante  vigenza  di  una  frammentaria
legislazione precostituzionale ancorata  alla  legge  urbanistica  17
agosto 1942, n. 1150. Tale complessita' si ripercuote  negativamente:
sull'individuazione e delimitazione delle competenze  spettanti  alle
diverse amministrazioni coinvolte e dei  contenuti  -  con  possibili
duplicazioni - dei rispettivi, diversi, atti pianificatori; sui tempi
di adozione delle decisioni; sulle risorse pubbliche;  sulla  fiducia
dei cittadini, dei professionisti e degli imprenditori nell'utilita',
nell'efficienza e nell'efficacia del ruolo svolto dai pubblici 
poteri; 
b) varieta' e molteplicita' degli interessi  pubblici  e  privati  da
ponderare,   che   comportano   che   gli   atti   che   maggiormente
caratterizzano il governo del  territorio  -  i  piani  generali  dei
diversi livelli territoriali - presentino un elevato grado di 
discrezionalita'; 
c) difficolta' nell'applicazione del  principio  di  distinzione  fra
politica e amministrazione nelle decisioni, le piu' rilevanti delle 
quali di sicura valenza politica; 
d) difficile applicazione del principio di concorrenza fra i soggetti
privati interessati, condizionata dall'assetto della proprieta' delle
aree sulle quali incidono le scelte di destinazione territoriale e 
urbanistica; 
e) esistenza, alla base delle scelte di pianificazione, di asimmetrie
informative tra soggetti pubblici e privati, accompagnate dalla 
difficolta' nelle predeterminazione dei criteri di scelta; 
f) ampiezza delle rendite immobiliari in gioco. 
   Il rischio corruttivo e' trasversale e comune a tutti  i  processi
dell'area  governo  del  territorio,  a  prescindere  dal   contenuto
(generale o speciale) e dagli effetti  (autoritativi  o  consensuali)
degli  atti  adottati  (piani,   programmi,   concessioni,   accordi,
convenzioni); la gran  parte  delle  trasformazioni  territoriali  ha
conseguenze  permanenti,  che  possono  causare  la  perdita   o   il
depauperamento di risorse non rinnovabili, prima fra tutte il  suolo,
le cui funzioni sono tanto essenziali quanto infungibili per la 
collettivita' e per l'ambiente. 
   La prevenzione e il contrasto del rischio traversale di  sviamento
dall'interesse pubblico primario alla sostenibilita'  dello  sviluppo
urbano  e  dagli  obiettivi  di  politica   territoriale   dichiarati
richiedono che, nella mappatura di tutti i processi che riguardano il
governo del territorio, siano precisati, preliminarmente, i criteri e
le specifiche modalita' delle verifiche previste,  per  accertare  la
compatibilita' tra gli effetti delle trasformazioni programmate e  la
salvaguardia  delle  risorse  ambientali,  paesaggistiche  e  storico
culturali che costituiscono il patrimonio identitario delle 
popolazioni insediate nello specifico contesto territoriale. 
   Nella presente analisi saranno maggiormente  approfonditi  alcuni,
specifici, rischi corruttivi  che  riguardano  i  piu'  significativi
processi pianificatori di livello comunale, salvo brevi riferimenti 
alla pianificazione di livello superiore. 
   Sono  state  rinviate  ad  una  fase  futura  le  esemplificazioni
relative ai processi pianificatori che riguardano altre materie,  pur
strettamente connesse al governo del  territorio  (piani  ambientali,
piani paesaggistici, ecc.). Tale scelta non  intende  in  alcun  modo
sottovalutare i rischi  corruttivi  relativi  a  tali  processi,  ne'
intende suggerire una minore  attenzione  per  le  amministrazioni  -
statali, regionali e provinciali/metropolitane - responsabili degli 
stessi. 
   In conformita' a quanto previsto dall'art. 1, co. 2-bis  della  l.
190/2012, sono anche individuate misure organizzative di  prevenzione
della corruzione. Si ribadisce  che  si  tratta  di  esempi  volti  a
fornire alle amministrazioni e agli enti indicazioni  e  orientamenti
per supportare l'elaborazione dei PTPC. La concreta adozione di  tali
misure richiede la loro  necessaria  contestualizzazione  e  il  loro
necessario   adeguamento   rispetto   alle    dimensioni    e    alle
caratteristiche organizzative di ogni ente a seguito  dell'analisi  e
della valutazione  del  rischio  corruttivo  e  in  coerenza  con  il
principio di non aggravamento procedimentale e  organizzativo.  Vista
la  particolare  complessita'  della  normativa   del   governo   del
territorio l'Autorita' si riserva, proprio nel rispetto dei  principi
sopra esposti, di verificare l'attuazione e la funzionalita' delle 
misure proposte. 
 
 
1. Pianificazione territoriale regionale, provinciale o metropolitana
La pianificazione territoriale, sia essa di  carattere  generale  sia
essa di carattere  settoriale,  di  livello  regionale,  provinciale,
metropolitano  o  d'area  vasta,  pur  assumendo  nelle  legislazioni
regionali denominazioni  talvolta  differenti,  e'  regolamentata  in
maniera analoga, per  i  profili  concernenti  la  trasparenza  e  la
partecipazione alle diverse fasi in cui si articola la  procedura  di
approvazione (formazione, adozione e approvazione del piano). 
   Molte legislazioni regionali prevedono, infatti,  peculiari  forme
di pubblicita' dell'atto con cui l'organo  di  governo  manifesta  la
volonta' di procedere all'elaborazione del piano territoriale  o  sua
variante, disciplinando gia' in questa  fase  la  partecipazione  dei
portatori di interesse. 
   Con riferimento alla fase di adozione dell'atto di  pianificazione
regionale, le discipline  regionali  sono  sostanzialmente  omogenee,
prevedendo ampie forme di pubblicita' tra cui la consultazione  degli
atti via web, e presso le sedi regionali, provinciali,  spesso  anche
presso le sedi comunali, garantendo a tutti i portatori di  interesse
la possibilita' di accedere agli  atti  e  di  esprimere  le  proprie
osservazioni. 
   Con riferimento, infine, alla fase di approvazione, la proposta di
atto di pianificazione territoriale viene elaborata con apposito atto
motivato (anche sull'accoglimento delle osservazioni) e trasmessa  al
Consiglio regionale per l'approvazione definitiva. 
   Nel fare riserva di approfondimenti successivi, in questa sede  si
considerano possibili fenomeni corruttivi che si possono  manifestare
allorche' quei piani sovracomunali, tematici o settoriali,  prevedano
l'apposizione di discipline di tutela  (principalmente  ambientale  o
paesaggistica) che comportano  significative  limitazioni  all'uso  o
alla trasformazione del territorio.  Il  livello  di  esposizione  al
rischio  puo'  essere  piu'  marcato  nel  caso   di   procedure   di
approvazione di varianti specifiche (o di approvazione di progetti in
variante alla pianificazione sovracomunale) che  prevedano  modifiche
cartografiche, in riduzione degli ambiti vincolati o che attenuino le
tutele. 
   In tali casi, per la prevenzione del rischio, trovano applicazione
misure analoghe a quelle indicate nel successivo § 2. 
 
2. Processi di pianificazione comunale generale 
   Il  modello  della   pianificazione   disciplinato   dalla   legge
urbanistica 1150/1942 prevede il piano regolatore generale  (p.r.g.),
che presenta,  oltre  ad  un  contenuto  direttivo  e  programmatico,
prescrizioni vincolanti per i privati, con effetti conformativi della
proprieta'. Esso puo' essere ricondotto ai piani  comunali  generali,
ovvero a quegli strumenti di pianificazione urbanistica che hanno ad 
oggetto l'intero territorio comunale. 
   Le  leggi   regionali   hanno   introdotto   propri   modelli   di
pianificazione  urbanistico-territoriale  e  sono  intervenute  sulla
struttura,  sul   contenuto   e   sugli   effetti   giuridici   della
pianificazione urbanistica comunale, che puo'  articolarsi  cosi'  su
piu' livelli. Di conseguenza, il panorama attuale dei piani  comunali
generali si presenta molto variegato e complesso. Pertanto, anche  la
mappatura dei processi di pianificazione generale e  l'individuazione
dei rischi corruttivi che ne derivano dovranno essere dimensionate  e
calibrate da ogni amministrazione interessata in rapporto a tale 
complessita' e varieta'. 
   Di seguito si indicano alcuni eventi rischiosi, aggregati per fasi
del processo, che possono considerarsi comuni ai vari modelli 
adottati dalle regioni ed alcune misure per prevenirli. 
 
2.1 Varianti specifiche 
Possibili eventi rischiosi 
   Anche le varianti specifiche allo strumento urbanistico  generale,
siano esse approvate con iter ordinario, ovvero attraverso i numerosi
procedimenti che consentono l'approvazione di progetti con  l'effetto
di variante agli strumenti urbanistici,  sono  esposte  a  rischio  e
necessitano di misure preventive integrative, laddove dalle modifiche
derivi per i  privati  interessati  un  significativo  aumento  delle
potesta' edificatorie o del valore d'uso degli immobili  interessati.
I rischi connessi a tali varianti risultano relativi, in particolare: 
alla scelta o al maggior consumo del suolo finalizzati a procurare un
indebito vantaggio ai destinatari del provvedimento;  alla  possibile
disparita' di trattamento tra diversi operatori; alla sottostima  del
maggior valore generato dalla variante. 
Possibili misure 
   Anche i processi relativi a queste varianti  e'  necessario  siano
mappati in relazione ai contenuti della variante  e  all'impatto  che
gli stessi possono generare, per valutare il livello di  rischio  che
comportano e stabilire, di conseguenza, le misure di  prevenzione  da
assumere, secondo quanto evidenziato nel presente approfondimento per
le diverse tipologie di strumenti urbanistici e le relative fasi. 
 
2.2 Fase di redazione del piano 
Possibili eventi rischiosi 
   Alcuni eventi  rischiosi  sono  connessi  alle  modalita'  e  alle
tecniche di redazione del piano o  delle  varianti.  La  mancanza  di
chiare e specifiche indicazioni preliminari, da  parte  degli  organi
politici, sugli obiettivi delle politiche  di  sviluppo  territoriale
alla  cui  concretizzazione  le  soluzioni  tecniche  devono   essere
finalizzate,   puo'   impedire   una   trasparente   verifica   della
corrispondenza  tra  le  soluzioni  tecniche  adottate  e  le  scelte
politiche ad  esse  sottese,  non  rendendo  evidenti  gli  interessi
pubblici  che  effettivamente   si   intendono   privilegiare.   Tale
commistione tra soluzioni tecniche e scelte politiche e'  ancor  piu'
rimarcata nel caso in cui la redazione del piano e' prevalentemente 
affidata a tecnici esterni all'amministrazione comunale. 
Possibili misure 
• In caso di affidamento della redazione del piano a soggetti esterni
all'amministrazione comunale, e' necessario che l'ente renda note  le
ragioni che determinano  questa  scelta,  le  procedure  che  intende
seguire per individuare il professionista, cui affidare l'incarico  e
i relativi costi, nel rispetto della normativa vigente in materia  di
affidamento  di  servizi  e,  comunque,  dei  principi  dell'evidenza
pubblica; il comune, specialmente  se  di  piccole  dimensioni,  puo'
valutare preventivamente la possibilita'  di  associarsi  con  comuni
confinanti per la redazione dei  rispettivi  piani,  con  conseguente
risparmio di costi e possibilita' di acquisire una visione piu' ampia
e significativa di contesti territoriali contigui e omogenei. In ogni
caso, e' opportuno che lo staff incaricato della redazione del  piano
sia  interdisciplinare  (con  la   presenza   di   competenze   anche
ambientali,  paesaggistiche  e  giuridiche)  e  che  siano   comunque
previste modalita' operative che vedano il diretto coinvolgimento 
delle strutture comunali, tecniche e giuridiche; 
• la verifica dell'assenza di cause di  incompatibilita'  o  casi  di
conflitto di interesse in capo a tutti i soggetti appartenenti al 
gruppo di lavoro; 
• anteriormente all'avvio del processo  di  elaborazione  del  piano,
l'individuazione  da  parte  dell'organo  politico  competente  degli
obiettivi generali del piano e l'elaborazione di criteri  generali  e
linee   guida   per   la   definizione   delle   conseguenti   scelte
pianificatorie. In quest'ottica e' utile prevedere che,  in  fase  di
adozione  dello  strumento  urbanistico,  l'amministrazione  comunale
effettui un'espressa verifica del rispetto  della  coerenza  tra  gli
indirizzi di politica territoriale e le soluzioni tecniche adottate e 
apporti i conseguenti correttivi; 
• puo', altresi', essere opportuno  dare  ampia  diffusione  di  tali
documenti di indirizzo tra la popolazione locale, prevedendo forme di
partecipazione dei cittadini sin dalla fase di redazione  del  piano,
attraverso strumenti da  configurarsi  in  analogia,  ad  esempio,  a
quello  dell'udienza  pubblica,  prevista  nella  VIA,  in  modo   da
acquisire ulteriori informazioni sulle  effettive  esigenze  o  sulle
eventuali criticita' di aree specifiche, per adeguare ed orientare le
soluzioni tecniche, ma anche per consentire a tutta la  cittadinanza,
cosi' come alle associazioni e  organizzazioni  locali,  di  avanzare
proposte di carattere generale e specifico per riqualificare l'intero
territorio comunale, con particolare attenzione ai servizi pubblici. 
 
2.3 Fase di pubblicazione del piano e raccolta delle osservazioni 
Possibili eventi rischiosi 
   In questa fase possono verificarsi eventi  rischiosi  a  causa  di
asimmetrie informative, grazie  alle  quali  gruppi  di  interessi  o
privati proprietari "oppositori" vengono agevolati nella conoscenza e
interpretazione dell'effettivo contenuto del piano adottato,  con  la
possibilita' di orientare e condizionare le scelte dall'esterno. 
Possibili misure 
• divulgazione e massima trasparenza e conoscibilita' delle decisioni
fondamentali  contenute  nel   piano   adottato,   anche   attraverso
l'elaborazione  di  documenti  di  sintesi  dei  loro  contenuti   in
linguaggio non tecnico e la predisposizione di punti informativi  per
i cittadini; 
• attenta verifica del rispetto degli obblighi  di  pubblicazione  di
cui al d.lgs. 33/2013 da parte del responsabile del procedimento; 
• previsione della esplicita attestazione di  avvenuta  pubblicazione
dei provvedimenti e degli elaborati da allegare al  provvedimento  di
approvazione. 
 
2.4 Fase di approvazione del piano 
Possibili eventi rischiosi 
   In questa fase, il principale rischio e' che il piano adottato sia
modificato  con  l'accoglimento  di  osservazioni  che  risultino  in
contrasto con gli interessi generali di tutela e razionale assetto 
del territorio cui e' informato il piano stesso. 
Possibili misure 
• predeterminazione  e  pubblicizzazione  dei  criteri  generali  che
saranno utilizzati in fase istruttoria per la valutazione delle 
osservazioni; 
•  motivazione  puntuale  delle  decisioni  di   accoglimento   delle
osservazioni  che  modificano  il  piano  adottato,  con  particolare
riferimento agli impatti sul contesto ambientale, paesaggistico e 
culturale; 
•  monitoraggio  sugli   esiti   dell'attivita'   istruttoria   delle
osservazioni, al fine di verificare quali e quante proposte 
presentate dai privati siano state accolte e con quali motivazioni. 
 
2.4.1 Concorso di regioni, province e citta' metropolitane al 
procedimento di approvazione 
   In alcune leggi regionali e' previsto che la regione, la provincia
e  la  citta'  metropolitana  svolgano  un'importante  attivita'   di
concorso nel processo di approvazione dei piani comunali, finalizzata
a garantire la coerenza tra i vari livelli di governo del territorio. 
Possibili eventi rischiosi 
   Nell'esercizio di tale funzione possono individuarsi alcuni eventi
rischiosi tra cui: 
• il decorso infruttuoso del termine di legge  a  disposizione  degli
enti per adottare le proprie  determinazioni,  al  fine  di  favorire
l'approvazione del piano senza modifiche; 
• l'istruttoria non approfondita del piano  in  esame  da  parte  del
responsabile del procedimento; 
•  l'accoglimento  delle  controdeduzioni   comunali   alle   proprie
precedenti riserve sul piano, pur in carenza di adeguate motivazioni. 
Possibili misure 
   Le principali  misure  di  prevenzione  possono  fare  leva  sulla
trasparenza degli atti, anche istruttori, al fine di rendere evidenti
e conoscibili le scelte  operate,  nonche'  sul  rafforzamento  delle
misure di controllo  attraverso  il  monitoraggio  interno,  anche  a
campione, dei tempi procedimentali e dei contenuti degli atti. 
   Per quanto concerne la trasparenza, ad esempio,  l'ente  (regione,
provincia o citta' metropolitana) cura la pubblicazione  sintetica  e
comprensibile  degli  atti,  anche  istruttori  al  fine  di  rendere
evidenti e conoscibili le scelte operate. 
 
3. Processi di pianificazione attuativa 
   La locuzione "piani attuativi" non indica una  tipologia  omogenea
di  strumenti  pianificatori,  bensi'  una  pluralita'  di  strumenti
urbanistici di dettaglio, non ascrivibili  ad  uno  schema  unitario,
configurando tipologie pianificatorie fra loro disomogenee.  Inoltre,
a tali strumenti esecutivi della pianificazione urbanistica comunale,
si e' aggiunta una ulteriore categoria dei c.d. "programmi complessi"
(il prototipo dei quali e'  il  programma  integrato  di  intervento,
introdotto dall'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179  recante
«Norme  per  l'edilizia  residenziale   pubblica»)   consistenti   in
programmi di intervento, finanziati con risorse pubbliche  statali  e
regionali, che prevedono  la  realizzazione  di  opere  di  interesse
pubblico e privato, per il recupero e la  rigenerazione  dei  tessuti
urbani esistenti. Tali programmi presentano il dettaglio  urbanistico
proprio dei piani attuativi e sono abilitati ad apportare varianti ai 
piani urbanistici generali. 
 
3.1 Piani attuativi d'iniziativa privata 
   I piani attuativi di iniziativa privata si caratterizzano  per  la
presenza  di  un  promotore  privato,  che  predispone  lo  strumento
urbanistico di esecuzione, sottoponendolo all'approvazione  comunale,
e con il quale viene stipulata una convenzione per  la  realizzazione
di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e  per  la  cessione
delle aree  necessarie.  Tali  piani  sono  pertanto  particolarmente
esposti   al   rischio   di   indebite   pressioni    di    interessi
particolaristici. 
Possibili eventi rischiosi 
   Nella fase di adozione del piano attuativo  il  principale  evento
rischioso e' quello della mancata coerenza con il piano  generale  (e
con la legge), che si traduce in uso  improprio  del  suolo  e  delle
risorse naturali. 
   Un'efficace azione di contrasto dei fenomeni corruttivi presuppone
che sia  valorizzata  l'efficacia  prescrittiva  del  piano  comunale
generale, in ordine alla puntuale definizione  degli  obiettivi,  dei
requisiti e delle prestazioni che in fase attuativa degli  interventi
debbano essere realizzati. La chiarezza di tali indicazioni consente,
infatti, di guidare in fase attuativa  la  verifica  da  parte  delle
strutture comunali del rispetto degli indici e parametri  edificatori
e degli standard urbanistici stabiliti dal piano generale,  ma  anche
della traduzione grafica delle scelte  urbanistiche  riguardanti:  la
viabilita' interna,  l'ubicazione  dei  fabbricati,  la  sistemazione
delle attrezzature pubbliche, l'estensione dei  lotti  da  edificare,
ecc. 
Possibili misure 
• incontri preliminari del  responsabile  del  procedimento  con  gli
uffici tecnici e i  rappresentanti  politici  competenti,  diretti  a
definire gli  obiettivi  generali  in  relazione  alle  proposte  del
soggetto attuatore; 
• linee guida interne, oggetto di pubblicazione, che disciplinino  la
procedura da seguire e introducano specifiche forme di trasparenza  e
rendicontazione (ad esempio, tramite check  list  di  verifica  degli
adempimenti  da  porre  in  essere,  inviata  al  RPCT  ai  fini   di
controllo); 
• costituzione di gruppi di lavoro  interdisciplinare  con  personale
dell'ente, ma appartenente a uffici diversi, i cui  componenti  siano
chiamati a rendere una dichiarazione  sull'assenza  di  conflitti  di
interesse; tale misura si rivela opportuna soprattutto per i piani di
particolare incidenza urbanistica; 
• la predisposizione di un registro degli  incontri  con  i  soggetti
attuatori, nel quale riportare le relative verbalizzazioni; 
•  la  richiesta  della  presentazione  di  un  programma   economico
finanziario relativo sia alle trasformazioni edilizie che alle  opere
di urbanizzazione da realizzare, il quale consenta di verificare  non
soltanto la fattibilita'  dell'intero  programma  di  interventi,  ma
anche  l'adeguatezza  degli  oneri  economici  posti  in  capo   agli
operatori; 
• puo' poi risultare opportuno acquisire alcune informazioni  dirette
ad accertare il livello di affidabilita' dei privati promotori (quali
ad esempio il  certificato  della  Camera  di  commercio,  i  bilanci
depositati, le referenze bancarie, casellario giudiziale). 
Ulteriori eventi rischiosi 
   Anche per i piani attuativi si pongono i rischi gia' esaminati per
le fasi di pubblicazione, decisione delle osservazioni e approvazione
dei piani urbanistici generali (§ 2), cui si rinvia anche  in  merito
alle possibili misure di prevenzione, sottolineando anzi che nel caso
dei piani esecutivi il livello di  rischio  deve  essere  considerato
piu'  elevato,  a  causa   della   piu'   diretta   vicinanza   delle
determinazioni  di  piano  rispetto  agli   interessi   economici   e
patrimoniali dei privati interessati. 
 
3.2 Piani attuativi di iniziativa pubblica 
   I   piani   attuativi   di    iniziativa    pubblica    presentano
caratteristiche  comuni  con  i   piani   sopradescritti,   ma   sono
caratterizzati in genere da una minore pressione o condizionamento da
parte dei  privati.  Tuttavia,  particolare  attenzione  deve  essere
prestata ai piani in variante, qualora risultino in riduzione delle 
aree assoggettate a vincoli ablatori. 
 
3.3 Convenzione urbanistica 
   Fra gli atti predisposti nel corso del processo di  pianificazione
attuativa, lo schema di convenzione riveste un  particolare  rilievo,
in quanto stabilisce gli impegni assunti dal privato per l'esecuzione
delle  opere  di  urbanizzazione  connesse  all'intervento   (ed   in
particolare:  obbligo  di  realizzazione  di  tutte   le   opere   di
urbanizzazione  primaria  e  di  una  quota  parte  delle  opere   di
urbanizzazione secondaria  o  di  quelle  che  siano  necessarie  per
allacciare la zona ai servizi pubblici; obbligo di cessione  gratuita
delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria  e  per
le attrezzature pubbliche e di interesse  pubblico  o  generale;  nel
caso in cui l'acquisizione di tali aree non risulti possibile  o  non
sia ritenuta  opportuna  dal  comune,  corresponsione  di  una  somma
commisurata  all'utilita'  economica  conseguita  per  effetto  della
mancata cessione e comunque non inferiore al costo  dell'acquisizione
di  altre  aree;  congrue  garanzie  finanziarie  per  gli   obblighi
derivanti al privato per effetto della stipula della convenzione). 
   Per quanto riguarda la completezza e l'adeguatezza  dei  contenuti
della convenzione, puo' essere  opportuno  richiedere  l'utilizzo  di
schemi di convenzione - tipo che assicurino una completa  e  organica
regolazione degli aspetti sopra richiamati, eventualmente  modificati
e integrati alla luce della  particolare  disciplina  prevista  dalla
pianificazione   urbanistica    comunale.    A    titolo    meramente
esemplificativo, si richiama il modello elaborato  dall'Istituto  per
l'innovazione e trasparenza degli appalti e compatibilita' ambientale
(ITACA) del 7 novembre 2013. 
3.3.1 Calcolo degli oneri 
   L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e'
stabilita con deliberazione del consiglio comunale.  Il  Testo  Unico
sull'edilizia dispone articolati e dettagliati criteri per il calcolo
del contributo dovuto per il permesso di costruire, in modo tale  che
esso sia «commisurato all'incidenza  degli  oneri  di  urbanizzazione
nonche' al costo di costruzione» (art. 16, co. 1,  d.p.r.  380/2001).
Il calcolo e' effettuato in  base  a  tabelle  parametriche  definite
dalla regione di appartenenza, per classi di comuni  in  relazione  a
criteri omogenei.  La  disciplina  regionale  risulta  nella  materia
piuttosto differenziata. 
Possibili eventi rischiosi 
   Poiche' non spetta al presente PNA definire  discipline  omogenee,
semmai affidate a scelte delle regioni, si possono indicare misure da
adottarsi a livello comunale. In  tal  senso,  un  primo,  possibile,
evento rischioso e' connesso alla non corretta, non  adeguata  o  non
aggiornata commisurazione degli  "oneri"  dovuti,  in  difetto  o  in
eccesso, rispetto all'intervento edilizio da realizzare, al  fine  di
favorire eventuali soggetti interessati. Cio' puo' avvenire  a  causa
di una erronea applicazione dei sistemi di calcolo, ovvero a causa di
omissioni  o  errori  nella  valutazione  dell'incidenza  urbanistica
dell'intervento e/o delle  opere  di  urbanizzazione  che  lo  stesso
comporta. 
Possibili misure 
• attestazione del responsabile dell'ufficio comunale competente,  da
allegare alla convenzione, dell'avvenuto aggiornamento delle  tabelle
parametriche degli oneri e del  fatto  che  la  determinazione  degli
stessi e' stata attuata sulla base dei valori in vigore alla data  di
stipula della convenzione; 
• pubblicazione delle tabelle a cura della regione e del comune,  ove
non sia gia' prevista per legge; 
• assegnazione della  mansione  del  calcolo  degli  oneri  dovuti  a
personale diverso da quello che cura l'istruttoria tecnica del  piano
attuativo e della convenzione. 
3.3.2 Individuazione delle opere di urbanizzazione 
   Altrettanto rilevante e' la corretta individuazione delle opere di
urbanizzazione  necessarie  e  dei  relativi  costi,  in  quanto   la
sottostima/sovrastima  delle  stesse   puo'   comportare   un   danno
patrimoniale  per  l'ente,  venendo  a  falsare  i  contenuti   della
convenzione riferiti a tali  valori  (scomputo  degli  oneri  dovuti,
calcolo del contributo residuo da versare, ecc.). 
Possibili eventi rischiosi 
   Possibili eventi rischiosi  possono  essere:  l'individuazione  di
un'opera come prioritaria, laddove  essa,  invece,  sia  a  beneficio
esclusivo o prevalente dell'operatore privato; l'indicazione di costi
di realizzazione superiori a quelli che l'amministrazione  sosterebbe
con l'esecuzione diretta. 
Possibili misure 
•  identificazione  delle  opere  di   urbanizzazione   mediante   il
coinvolgimento del  responsabile  della  programmazione  delle  opere
pubbliche, che esprime un parere, in particolare, circa l'assenza  di
altri interventi  prioritari  realizzabili  a  scomputo,  rispetto  a
quelli  proposti   dall'operatore   privato   nonche'   sul   livello
qualitativo adeguato al contesto d'intervento, consentendo cosi'  una
valutazione piu' coerente alle effettive esigenze pubbliche; 
• previsione di una specifica motivazione in merito  alla  necessita'
di far realizzare direttamente al privato  costruttore  le  opere  di
urbanizzazione secondaria; 
•  calcolo  del  valore  delle  opere  da  scomputare  utilizzando  i
prezziari regionali o dell'ente, anche tenendo conto dei  prezzi  che
l'amministrazione ottiene solitamente in esito a procedure di appalto
per la realizzazione di opere analoghe; 
• richiesta per tutte le opere per cui e'  ammesso  lo  scomputo  del
progetto  di  fattibilita'  tecnica  ed  economica  delle  opere   di
urbanizzazione, previsto dall'art. 1, co.  2,  lett.  e)  del  d.lgs.
50/2016, da porre a base di gara per l'affidamento  delle  stesse,  e
prevedere che la relativa istruttoria  sia  svolta  da  personale  in
possesso di specifiche competenze  in  relazione  alla  natura  delle
opere da eseguire, appartenente ad  altri  servizi  dell'ente  ovvero
utilizzando  personale  di  altri  enti  locali  mediante  accordo  o
convenzione; 
• previsione di garanzie aventi  caratteristiche  analoghe  a  quelle
richieste in caso di appalto di opere pubbliche,  ferma  restando  la
possibilita' di adeguare tali garanzie, anche tenendo conto dei costi
indicizzati, in relazione ai tempi di realizzazione degli interventi. 
3.3.3 Cessione delle aree necessarie per opere di urbanizzazione 
primaria e secondaria 
   Anche  le  valutazioni  compiute  dall'amministrazione   ai   fini
dell'acquisizione  delle   aree   sono   connotate   da   una   forte
discrezionalita'  tecnica.  La  cessione  gratuita  delle  aree   per
standard e' determinata con riferimento alle previsioni  normative  e
al progetto urbano delineato dal piano, e deve essere coerente con le
soluzioni progettuali contenute negli strumenti urbanistici esecutivi
o negli interventi edilizi  diretti  convenzionati,  mentre  tempi  e
modalita' della cessione sono stabiliti nella convenzione. 
Possibili eventi rischiosi 
   I  possibili  eventi  rischiosi  consistono  dunque:   nell'errata
determinazione della quantita' di aree da cedere (inferiore a  quella
dovuta  ai  sensi  della  legge   o   degli   strumenti   urbanistici
sovraordinati); nell'individuazione di aree da cedere di minor pregio
o  di  poco  interesse   per   la   collettivita',   con   sacrificio
dell'interesse pubblico a disporre di aree  di  pregio  per  servizi,
quali verde o parcheggi; nell'acquisizione di aree gravate  da  oneri
di bonifica anche rilevanti. 
Possibili misure 
• individuazione di un responsabile dell'acquisizione delle aree, che
curi  la  corretta  quantificazione  e  individuazione  delle   aree,
contestualmente alla stipula della convenzione, e che  richieda,  ove
ritenuto  indispensabile,  un  piano   di   caratterizzazione   nella
previsione di specifiche garanzie in  ordine  a  eventuali  oneri  di
bonifica; 
• monitoraggio da parte dell'amministrazione comunale sui tempi e gli
adempimenti connessi alla acquisizione gratuita delle aree. 
3.3.4 Monetizzazione delle aree a standard 
   In   conformita'   alla   legislazione   regionale   vigente,   la
pianificazione urbanistica puo' prevedere il versamento al comune  di
un importo alternativo alla  cessione  diretta  delle  aree,  qualora
l'acquisizione non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna, in
relazione alla estensione  delle  aree,  alla  loro  conformazione  o
localizzazione,  ovvero  in  relazione  ai  programmi   comunali   di
intervento. 
Possibili eventi rischiosi 
   Tale valutazione appartiene alla  discrezionalita'  tecnica  degli
uffici competenti e puo' essere causa di eventi rischiosi,  non  solo
comportando  minori  entrate  per  le  finanze  comunali,  ma   anche
determinando una elusione dei corretti rapporti tra  spazi  destinati
agli insediamenti residenziali o produttivi e  spazi  a  destinazione
pubblica,  con  sacrificio  dell'interesse  generale  a  disporre  di
servizi - quali aree a verde o parcheggi - in aree di pregio. 
Possibili misure 
• adozione  di  criteri  generali  per  la  individuazione  dei  casi
specifici in cui procedere alle monetizzazioni e per  la  definizione
dei valori da attribuire alle aree, da aggiornare annualmente; 
• previsione per le monetizzazioni di importo significativo di  forme
di verifica attraverso un organismo collegiale, composto da  soggetti
che non hanno curato l'istruttoria, compresi tecnici  provenienti  da
altre amministrazioni, quale ad esempio l'Agenzia delle entrate; 
• previsione del  pagamento  delle  monetizzazioni  contestuale  alla
stipula della convenzione, al fine di evitare il mancato o  ritardato
introito, e, in caso di rateizzazione, richiesta  in  convenzione  di
idonee garanzie. 
 
3.4 Approvazione del piano attuativo 
Possibili eventi rischiosi 
   Anche nel corso del processo di approvazione del piano  attuativo,
sono  riscontrabili  gli  eventi  rischiosi   (legati   alla   scarsa
trasparenza e conoscibilita' dei contenuti del piano, alla mancata  o
non adeguata  valutazione  delle  osservazioni  pervenute,  dovuta  a
indebiti condizionamenti dei privati  interessati,  al  non  adeguato
esercizio della funzione di  verifica  dell'ente  sovraordinato)  che
sono stati esaminati, con riferimento al piano generale, al 
precedente § 2. 
Possibili misure 
   Anche per le possibili misure preventive si rinvia alle 
indicazioni fornite nel suddetto paragrafo. 
 
3.5 Esecuzione delle opere di urbanizzazione 
Possibili eventi rischiosi 
   La fase dell'esecuzione da parte  degli  operatori  privati  delle
opere di urbanizzazione presenta rischi analoghi  a  quelli  previsti
per l'esecuzione  di  lavori  pubblici  e  alcuni  rischi  specifici,
laddove l'amministrazione non eserciti i propri compiti di  vigilanza
al fine di evitare la  realizzazione  di  opere  qualitativamente  di
minor pregio rispetto a quanto dedotto in obbligazione. 
   Le  carenze  nell'espletamento  di   tale   importante   attivita'
comportano un danno sia per l'ente, che sara' costretto  a  sostenere
piu' elevati oneri di manutenzione o per la  riparazione  di  vizi  e
difetti delle opere, sia  per  la  collettivita'  e  per  gli  stessi
acquirenti degli immobili privati realizzati  che  saranno  privi  di
servizi essenziali ai fini dell'agibilita' degli stessi. 
   Altro rischio tipico e'  costituito  dal  mancato  rispetto  delle
norme sulla scelta del soggetto che deve realizzare le opere. 
Possibili misure 
•  costituzione  di  un'apposita  struttura  interna,   composta   da
dipendenti di uffici tecnici  con  competenze  adeguate  alla  natura
delle opere, e che non  siano  in  rapporto  di  contiguita'  con  il
privato, che verifichi puntualmente  la  correttezza  dell'esecuzione
delle opere previste in convenzione. Tale compito di  vigilanza  deve
comprendere anche l'accertamento della qualificazione  delle  imprese
utilizzate,   qualora   l'esecuzione   delle   opere   sia   affidata
direttamente al  privato  titolare  del  permesso  di  costruire,  in
conformita' alla vigente disciplina in materia (cfr. d.lgs.  50/2016,
artt.1, co. 2, lettera e) e 36, co. 3 e 4,  ove  e'  fatta  salva  la
disposizione  di  cui  all'art.  16,  co.  2-bis,  del  Testo   Unico
sull'edilizia); 
• comunicazione, a  carico  del  soggetto  attuatore,  delle  imprese
utilizzate, anche nel caso di  opere  per  la  cui  realizzazione  la
scelta del contraente non e' vincolata da procedimenti previsti dalla
legge; 
• verifica, secondo tempi programmati,  del  cronoprogramma  e  dello
stato di avanzamento dei  lavori,  per  assicurare  l'esecuzione  dei
lavori nei tempi e modi stabiliti nella convenzione; 
• particolare  rilievo  riveste  la  previsione  che  la  nomina  del
collaudatore sia effettuata  dal  comune,  con  oneri  a  carico  del
privato  attuatore,  dovendo  essere  assicurata  la  terzieta'   del
soggetto incaricato; 
•  previsione  in  convenzione,  in  caso  di  ritardata  o   mancata
esecuzione delle opere, di apposite  misure  sanzionatorie  quali  il
divieto del rilascio del titolo abilitativo per le parti d'intervento
non ancora attuate. 
4. Permessi di costruire convenzionati 
   Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. "Sblocca Italia")
ha introdotto nel Testo Unico sull'edilizia il permesso di  costruire
convenzionato, che puo' essere rilasciato  «qualora  le  esigenze  di
urbanizzazione  possano  essere   soddisfatte   con   una   modalita'
semplificata» (art. 28-bis del d.p.r. 380/2001).  Detto  istituto  e'
caratterizzato dal fatto che  il  rilascio  del  titolo  edilizio  e'
preceduto dalla stipula di una convenzione urbanistica. 
Possibili eventi rischiosi 
   Si osserva, di conseguenza, che gli eventi rischiosi sono analoghi
a quelli indicati per la  convenzione  urbanistica  conseguente  agli
atti di pianificazione attuativa (per  quanto  riguarda:  la  stipula
della convenzione; la coerenza della convenzione con i contenuti  del
piano urbanistico di  riferimento;  la  definizione  degli  oneri  da
versare; la cessione di aree o  la  monetizzazione,  l'individuazione
delle opere a scomputo  da  realizzare  e  la  vigilanza  sulla  loro
esecuzione). 
Possibili misure 
   Per l'analisi di questi processi  e  per  le  relative  misure  di
prevenzione si fa quindi riferimento a quanto indicato nel precedente
§ 3. 
5. Il processo attinente al rilascio o al controllo dei titoli 
abilitativi edilizi 
   L'attivita'  amministrativa   attinente   al   rilascio   o   alla
presentazione dei titoli abilitativi edilizi e ai relativi controlli,
salvo diversa disciplina regionale, e' regolata dal d.p.r. 380/2001. 
   In particolare: 
- l'attivita' edilizia libera, la  comunicazione  inizio  lavori  (di
seguito CIL) e la comunicazione inizio lavori asseverata (di  seguito
CILA) sono disciplinati dall'art. 6; 
- il permesso di costruire e' disciplinato dagli artt. 10-15 e 20; 
- la segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) dagli  artt.
22-23-bis; 
- il contributo di costruzione dagli artt. 16-19. 
   Il processo  che  presiede  al  rilascio  dei  titoli  abilitativi
edilizi  o  al  controllo  di  quelli  presentati  dai   privati   e'
caratterizzato  dalla  elevata   specializzazione   delle   strutture
competenti   e   complessita'   della   normativa    da    applicare.
Tradizionalmente le funzioni  edilizie  sono  svolte  infatti  da  un
ufficio speciale, oggi  denominato  Sportello  unico  per  l'edilizia
(SUE) - e Sportello  unico  per  le  attivita'  produttive  (SUAP)  -
chiamati ad applicare una disciplina che attiene  non  soltanto  alla
normativa urbanistica ed edilizia di carattere locale, ma anche  alla
normativa tecnica sui requisiti delle opere, ai limiti  e  condizioni
alle trasformazioni del territorio, etc. Tali peculiarita' comportano
che il personale dotato di adeguate competenze si formi in  un  lungo
periodo  di  tempo  e  l'amministrazione  comunale  sia   portata   a
mantenerlo stabilmente assegnato a tali compiti. 
   Inoltre, si evidenzia che il  procedimento  per  il  rilascio  del
permesso di costruire e la  verifica  delle  istanze  presentate  dai
privati in relazione a SCIA, CIL e CILA sono considerati  espressione
di attivita'  vincolata,  in  quanto  in  presenza  dei  requisiti  e
presupposti  richiesti  dalla  legge  non   sussistono   margini   di
discrezionalita', ne' circa l'ammissibilita' dell'intervento, ne' sui
contenuti  progettuali  dello  stesso.  Nondimeno,  l'ampiezza  e  la
complessita' della normativa  da  applicare  e'  tale  da  indurre  a
considerare l'attivita' edilizia un'area di rischio specifico. 
   In generale, un contributo positivo di  significativa  trasparenza
dei  processi  valutativi  degli  interventi  edilizi,  e  dunque  di
prevenzione  del  rischio,  e'  offerto  dalla  modulistica  edilizia
unificata  approvata  in  attuazione  della  c.d.   Agenda   per   la
semplificazione. Tale modulistica, infatti, richiedendo  un'analitica
disamina delle caratteristiche del progetto, delle normative tecniche
e delle discipline  vincolistiche  da  applicare,  da  una  parte  ha
ridotto  significativamente  le  incertezze  normative  insite  nella
materia; dall'altra, consente di ricostruire in modo analitico sia  i
contenuti delle asseverazioni del committente  e  del  professionista
abilitato, sia l'oggetto della valutazione delle strutture comunali. 
   Cio' nonostante ogni  intervento  edilizio  presenta  elementi  di
specificita'   e   peculiarita'   che   richiedono   una    complessa
ricostruzione della disciplina del caso  concreto,  con  un  processo
decisionale  che  puo'  quindi  essere  oggetto  di  condizionamenti,
parziali  interpretazioni  e  applicazioni  normative.   Inoltre,   a
differenza dei processi di pianificazione urbanistica, in questa area
non  sono  previste  adeguate  forme  di  pubblicita'  del   processo
decisionale, bensi' solo la possibilita' per i  soggetti  interessati
di  prendere  conoscenza  dei   titoli   abilitativi   presentati   o
rilasciati, a conclusione del procedimento abilitativo. 
   Sotto il profilo  della  complessita'  e  rilevanza  dei  processi
interpretativi, non sussistono differenze significative tra i diversi
tipi di titoli abilitativi edilizi: l'uno, il permesso di  costruire,
richiede il rilascio di un provvedimento abilitativo (suscettibile di
silenzio assenso); l'altro, la SCIA presuppone  comunque  un  obbligo
generale dell'amministrazione comunale  di  provvedere  al  controllo
della pratica. Ma in entrambi i  casi  e'  necessaria  una  attivita'
istruttoria  che  porti  all'accertamento   della   sussistenza   dei
requisiti  e  presupposti  previsti  dalla  legge  per   l'intervento
ipotizzato. 
 
5.1 Assegnazione delle pratiche per l'istruttoria 
Possibili eventi rischiosi 
   In questa fase  il  principale  evento  rischioso  consiste  nella
assegnazione a tecnici in rapporto di contiguita' con  professionisti
o aventi titolo al fine di orientare  le  decisioni  edilizie.  Nelle
difficolta'  di  attuare  misure  di   rotazione,   a   causa   della
specializzazione richiesta ai funzionari assegnati a queste funzioni,
tale  evento  puo'  essere   prevenuto,   ove   possibile,   con   la
informatizzazione delle procedure di protocollazione  e  assegnazione
automatica delle pratiche ai diversi responsabili  del  procedimento.
Sotto questo profilo  e'  utile  mantenere  la  tracciabilita'  delle
modifiche alle assegnazioni delle pratiche e monitorare i casi in cui 
tali modifiche avvengono. 
   Quanto all'attivita' istruttoria e agli esiti della stessa, emerge
il rischio di un potenziale condizionamento  esterno  nella  gestione
dell'istruttoria che puo' essere favorito dall'esercizio di attivita'
professionali  esterne  svolte  da  dipendenti   degli   uffici,   in
collaborazione con professionisti del territorio nel quale svolgono 
tale attivita'. 
Possibili misure 
   Misure preventive da porre in essere possono far leva su doveri di
comportamento,   introdotti   nei   codici   di   comportamento    di
amministrazione,  consistenti  nel  divieto  di  svolgere   attivita'
esterne, se non al di fuori dell'ambito territoriale  di  competenza,
nelle specifiche attivita'  di  controllo  da  parte  dei  competenti
nuclei ispettivi,  nell'obbligo  di  dichiarare  ogni  situazione  di
potenziale conflitto di interessi, ma anche su percorsi di formazione
professionale che approfondiscano le  competenze  del  funzionario  e
rafforzino la sua capacita' di autonome e specifiche valutazioni 
circa la disciplina da applicare nel caso concreto. 
 
5.2 Richiesta di integrazioni documentali 
Possibili eventi rischiosi 
   Anche la fase  di  richiesta  di  integrazioni  documentali  e  di
chiarimenti istruttori puo' essere l'occasione di pressioni, al  fine
di ottenere vantaggi  indebiti.  Le  misure  possibili  attengono  al
controllo  a  campione  di  tali  richieste,  monitorando   eventuali
eccessive frequenze di  tali  comportamenti,  al  fine  di  accertare
anomalie. 
   Sia in caso di permesso di costruire (cui si applica il meccanismo
del silenzio assenso) che di SCIA  (per  la  quale  e'  stabilito  un
termine perentorio per lo  svolgimento  dei  controlli),  la  mancata
conclusione  dell'attivita'  istruttoria  entro   i   tempi   massimi
stabiliti  dalla  legge  (e  la   conseguente   non   assunzione   di
provvedimenti sfavorevoli agli interessati) deve  essere  considerata
un evento rischioso. 
Possibili misure 
   La sua prevenzione generale si incentra  su  misure  organizzative
atte a garantire un adeguato numero di  risorse  umane  impegnate  in
questa attivita' o, nel caso di insuperabile  carenza  di  personale,
nella fissazione di una quota ragionevole di controlli da  effettuare
e nella definizione di criteri oggettivi per  la  individuazione  del
campione.   Rispetto   ai   casi   di   non    conclusione    formale
dell'istruttoria, pur in presenza di dette misure  organizzative,  e'
immaginabile lo  svolgimento  di  un  monitoraggio  delle  cause  del
ritardo e una verifica di  quelle  pratiche  che,  in  astratto,  non
presentano oggettiva complessita'. 
 
5.3 Calcolo del contributo di costruzione 
   Le  amministrazioni  devono  porre  attenzione  al   calcolo   del
contributo   di   costruzione   da   corrispondere,   alla   corretta
applicazione delle modalita' di rateizzazione dello stesso e 
all'applicazione delle eventuali sanzioni per il ritardo. 
Possibili eventi rischiosi 
   Gli eventi rischiosi ad esso riferibili sono: l'errato calcolo del
contributo, il riconoscimento di una rateizzazione al  di  fuori  dei
casi previsti dal regolamento comunale o comunque con modalita' piu' 
favorevoli e la non applicazione delle sanzioni per il ritardo. 
Possibili misure 
   Anche in questo caso il primo fattore di riduzione del rischio  e'
la  chiarezza  dei  meccanismi  di  calcolo  del  contributo,   della
rateizzazione e della sanzione e l'adozione di procedure  telematiche
che  favoriscano  una  gestione  automatizzata   del   processo.   In
subordine, una efficace prevenzione del rischio puo'  essere  attuata
assegnando tali mansioni a personale  diverso  da  coloro  che  hanno
curato l'istruttoria tecnica della  pratica  edilizia.  Inoltre  puo'
essere utile un sistema di  verifica  di  report  che  segnalino  gli
evidenti scostamenti delle somme quantificate, a parita' delle 
dimensioni complessive dell'opera, o anomalie dello scadenziario. 
 
5.4 Controllo dei titoli rilasciati 
Possibili eventi rischiosi 
   In merito al controllo dei titoli rilasciati possono  configurarsi
rischi di omissioni o ritardi nello svolgimento  di  tale  attivita';
inoltre puo' risultare carente  la  definizione  di  criteri  per  la
selezione del campione delle pratiche soggette a controllo. 
Possibili misure 
   In tutti i casi nei quali i controlli sono attuati a campione,  la
principale misura di  prevenzione  del  rischio  appare  la  puntuale
regolamentazione dei casi e delle modalita' di  individuazione  degli
interventi da assoggettare a verifica (per esempio con  sorteggio  in
data fissa, utilizzando un  estrattore  di  numeri  verificabili  nel
tempo, dando alle pratiche presentate un peso differente  in  ragione
della rilevanza o della problematicita' dell'intervento). 
   Una misura generale di verifica della corretta applicazione  della
normativa che incide sulla attivita' edilizia puo' essere  costituita
da  controlli  su  tutte  le  pratiche  che  abbiano  interessato  un
determinato  ambito  urbanistico  di   particolare   rilevanza,   una
determinata area soggetta a vincoli, ecc., per  verificare  se  tutti
gli  interventi  edilizi  abbiano  dato  applicazione  alla  relativa
normativa in modo omogeneo. 
 
6. Vigilanza 
   L'attivita' di vigilanza costituisce un processo  complesso  volto
all'individuazione degli illeciti edilizi, all'esercizio  del  potere
sanzionatorio, repressivo e ripristinatorio, ma anche alla  sanatoria
degli abusi attraverso il procedimento di accertamento di 
conformita'. 
   Quest'attivita' e' connotata da un'ampia discrezionalita'  tecnica
e, come tale, e' suscettibile di condizionamenti e pressioni esterne,
anche in relazione ai rilevanti valori patrimoniali in gioco e alla 
natura reale della sanzione ripristinatoria. 
Possibili eventi rischiosi 
   Gli eventi rischiosi consistono, innanzitutto, nella  omissione  o
nel parziale  esercizio  dell'attivita'  di  verifica  dell'attivita'
edilizia in corso nel territorio. Altro evento rischioso puo'  essere
individuato nell'applicazione della  sanzione  pecuniaria,  in  luogo
dell'ordine di ripristino, che richiede una attivita' particolarmente
complessa,   dal   punto   di   vista   tecnico,   di    accertamento
dell'impossibilita' di  procedere  alla  demolizione  dell'intervento
abusivo senza pregiudizio per le opere eseguite legittimamente in 
conformita' al titolo edilizio. 
   Una particolare  attenzione  si  deve  avere  per  i  processi  di
vigilanza e controllo delle attivita' edilizie (minori) non  soggette
a titolo abilitativo  edilizio,  bensi'  totalmente  liberalizzate  o
soggette a comunicazione di inizio lavori (CIL) da parte del  privato
interessato o a CIL asseverata da un professionista  abilitato.  Tali
interventi, infatti, pur essendo comunque tenuti  al  rispetto  della
disciplina che incide sull'attivita' edilizia,  sono  sottratti  alle
ordinarie procedure di controllo e sottoposti alla generale  funzione
comunale di vigilanza sull'attivita' edilizia, il cui esercizio e  le
cui modalita' di svolgimento di norma non sono soggetti a criteri 
rigorosi e verificabili. 
Possibili misure 
   Quali misure generali di prevenzione, le amministrazioni  comunali
possono predisporre accurati sistemi di valutazione della performance
individuale e organizzativa delle strutture preposte alla  vigilanza,
prevedendo obiettivi ed indicatori di  attivita'  che  consentano  di
monitorare l'esercizio di tali compiti, anche in  ordine  agli  esiti
delle  segnalazioni  ricevute.  Inoltre  e'  opportuno  assegnare  le
funzioni  di  vigilanza  a  soggetti  diversi  da  quelli  che,   per
l'esercizio delle funzioni istruttorie delle pratiche edilizie, hanno
relazione continuative con i professionisti (e quindi con i direttori 
dei lavori). 
   Al fine di assicurare  la  corretta  applicazione  delle  sanzioni
pecuniarie possono essere individuate le seguenti misure specifiche: 
• forme collegiali  per  l'esercizio  di  attivita'  di  accertamento
complesse,  con  il  ricorso  a  tecnici  esterni  agli  uffici   che
esercitano la vigilanza, in particolare per la valutazione della 
impossibilita' della restituzione in pristino; 
• la definizione analitica dei criteri e modalita' di  calcolo  delle
sanzioni amministrative pecuniarie (comprensivi  dei  metodi  per  la
determinazione   dell'aumento   di   valore   venale    dell'immobile
conseguente alla  realizzazione  delle  opere  abusive  e  del  danno
arrecato o del profitto conseguito, ai fini  dell'applicazione  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria  prevista  per  gli   interventi
abusivi realizzati su aree  sottoposte  a  vincolo  paesaggistico)  e
delle somme da corrispondere a titolo di oblazione, in caso di 
sanatoria; 
• verifiche, anche a campione, del calcolo delle sanzioni, con 
riferimento a tutte le fasce di importo. 
   Al fine di prevenire i rischi di mancata  ingiunzione  a  demolire
l'opera abusiva o  di  omessa  acquisizione  gratuita  al  patrimonio
comunale di quanto  costruito,  a  seguito  del  mancato  adempimento
dell'ordine di demolire possono essere introdotte le seguenti misure: 
• l'istituzione di un registro degli abusi accertati, che consenta la
tracciabilita' di tutte le fasi del procedimento, compreso 
l'eventuale processo di sanatoria; 
• la pubblicazione sul  sito  del  comune  di  tutti  gli  interventi
oggetto di ordine di  demolizione  o  ripristino  e  dello  stato  di
attuazione degli stessi, nel rispetto della normativa sulla tutela 
della riservatezza; 
• il monitoraggio dei tempi del procedimento sanzionatorio, 
comprensivo delle attivita' esecutive dei provvedimenti finali. 
 
VII - SANITA' 
 
Introduzione 
   Il presente approfondimento e' stato  redatto  tenendo  conto  del
lavoro degli appositi tavoli tematici ANAC, Ministero della salute e 
AGENAS. 
   Le indicazioni specifiche qui fornite, da leggere  a  integrazione
di quelle contenute nell'Aggiornamento 2015 al PNA che  si  intendono
recepite  anche  con  riferimento  agli  ambiti  non   specificamente
trattati ( § 1.5, § 2.1.3, § 2.1.4, § 2.2.3, § 2.2.4),  rappresentano
un  insieme  di  misure,  in  costante  evoluzione,   affinamento   e
miglioramento, concretamente attuabili con gli opportuni  adattamenti
di contesto e con gli strumenti disponibili, che hanno  lo  scopo  di
favorire  una  maggiore  capacita'  di  contrasto  da   parte   delle
istituzioni sanitarie dei fenomeni corruttivi nel breve/medio 
periodo. 
   In  particolare,  le  misure  indicate   costituiscono   possibili
soluzioni  organizzative  per  preservare   il   Servizio   Sanitario
Nazionale (di seguito SSN) dal  rischio  di  eventi  corruttivi  (con
specifico riferimento al contesto strutturale, sociale  ed  economico
in cui si  collocano  ed  operano  le  istituzioni  medesime)  e  per
innalzare il livello  globale  di  integrita',  di  competenza  e  di
produttivita' del sistema sanitario nazionale a partire  dall'aumento
dell'efficacia e dell'efficienza delle singole unita' operative in 
cui si articola. 
   Per  realizzare  questi  obiettivi,  il  presente  approfondimento
rivolto alle  regioni  e  alle  organizzazioni  sanitarie  aziendali,
presenta  un  quadro  di  interventi  tra  loro  correlati   la   cui
realizzazione  richiede   necessariamente   un   forte   investimento
formativo, soprattutto sugli RPCT e, a cascata, su tutti  coloro  che
intervengono nei processi di costruzione ed attuazione  delle  azioni
dei  PTPC.  Cio'  affinche'  tutti  i  soggetti  siano  in  grado  di
utilizzare al meglio le misure e le indicazioni contenute nel PNA per
realizzare il livello di equilibrio ottimale fra i due  pilastri:  la
realizzazione  piena  delle  finalita'  istituzionali  di  un'azienda
sanitaria, da cui dipende il livello di salute di una popolazione,  e
il contrasto ai tentativi e/o ai fatti corruttivi che si oppongono o 
ne ostacolano il perseguimento. 
Ruolo del responsabile della prevenzione della corruzione 
 
   Premessa 
   Il RPCT rappresenta uno dei soggetti fondamentali per l'attuazione
della  normativa  sulla  prevenzione   della   corruzione   e   della
trasparenza (21). 
   In considerazione della natura dei soggetti destinatari del PNA  -
sezione II  Sanita'  -  e  delle  peculiarita'  delle  organizzazioni
sanitarie nell'ambito del sistema-aziende che operano all'interno del
SSN, e' necessario che le indicazioni fornite nella parte generale al
§ 5.2. siano quanto piu' possibile contestualizzate, sia nella scelta
da  parte  dell'organo  nominante  (Direttore  Generale),  sia  nella
configurazione    degli    strumenti    di    supporto    nell'ambito
dell'organizzazione sanitaria, funzionali alla migliore  gestione  di
tutti i processi interni alla stessa. In coerenza,  infatti,  con  le
indicazioni della parte generale, il ruolo e le funzioni del RPCT non
possono prescindere, ancor piu' in un'organizzazione sanitaria  e  di
alta complessita', dalle funzioni strategiche di  pianificazione,  di
vigilanza, di monitoraggio e di controllo proprie dell'organizzazione
stessa e devono essere integrate ed interconnesse con esse. 
   Nel presente approfondimento sono contenute indicazioni specifiche
al fine di uniformare, per gli aspetti di  comune  applicabilita',  i
criteri di scelta delle aziende e degli enti del SSN, del profilo cui
attribuire la funzione di RPCT. 
 
1. Ambito soggettivo 
   I soggetti  cui  si  rivolge  l'approfondimento  sono  i  medesimi
contenuti al punto 1.2 dell'approfondimento sezione II Sanita' 
dell'Aggiornamento 2015 al PNA (22). 
 
1.1 Altri soggetti non di diritto pubblico: gli ospedali classificati 
e altri soggetti accreditati con il SSN 
   Per gli enti non di diritto pubblico accreditati  con  il  SSN  si
raccomanda  alle  amministrazioni  di   riferimento   di   promuovere
l'adozione di strumenti per il rafforzamento della trasparenza e  per
la prevenzione della corruzione e del conflitto  di  interessi,  alla
luce  delle  indicazioni  operative  contenute  anche  nel   presente
approfondimento. 
   Particolare riguardo va riservato ai c.d. ospedali classificati  o
equiparati (23) in ragione della peculiarita' di questi enti  la  cui
natura giuridica - amministrativa non ne consente la riconducibilita'
netta al settore pubblico o al privato. La normativa di settore  (24)
a oggi invariata ha, di fatto, determinato, con  riferimento  a  tali
enti, una nuova fattispecie giuridica legata ad una  personalita'  di
natura  privata  delle  strutture  ecclesiastiche   classificate   ed
equiparate, coesistente con la erogazione di un servizio  ospedaliero
sottoposto alle stesse regole generali del settore pubblico. 
   E' ragionevole, quanto opportuno, quindi, estendere anche  a  tali
enti le medesime indicazioni contenute nel presente  approfondimento,
per quanto applicabili, dandone opportuna evidenza  in  ognuno  degli
specifici accordi contrattuali. 
   Qualora le aziende sanitarie  e  gli  altri  soggetti  di  cui  al
presente paragrafo controllino o partecipino in societa' o altri enti
di diritto privato, questi ultimi, in analogia  agli  altri  soggetti
sopra menzionati, sono  tenuti  ad  assicurare  l'applicazione  della
normativa di prevenzione  della  corruzione  e  di  promozione  della
trasparenza (25), anche ai fini dell'individuazione  e  nomina  della
figura del RPCT. 
 
2. Conoscenze e competenze generali e comuni del RPCT in ambito 
sanitario e requisiti soggettivi 
   L'approfondimento sezione II Sanita'  dell'Aggiornamento  2015  al
PNA contiene gia' indicazioni  sui  requisiti  soggettivi  dei  RPCT,
prevedendo che «Fermo  restando  quanto  gia'  indicato  nella  parte
generale,  il  profilo  del  professionista   al   quale   attribuire
l'incarico di RPC e' opportuno abbia specifiche competenze in tema di
conoscenza dell'organizzazione e gestione della struttura sanitaria, 
dei processi e delle relazioni in essa esistenti». 
   Nella definizione del profilo del RPCT e' necessario tenere  conto
degli aspetti che connotano la  funzione  che  deve  esercitare  tale
figura che possono essere ricompresi prevalentemente in due ambiti: 
"preventivo" e di "vigilanza". 
   In riferimento al primo ambito, il RPCT e' chiamato  ad  elaborare
il PTPC che costituisce l'espressione delle conoscenze  specifiche  e
contingenti in possesso del RPCT e della sua capacita' di  utilizzare
esperienze e competenze  presenti  all'interno  e  all'esterno  della
struttura in cui opera. In merito al secondo  aspetto,  quello  della
vigilanza, il RPCT e' chiamato a  vigilare  sul  rispetto  di  quanto
previsto dal Piano, a elaborare nuove misure e strategie preventive e
a segnalare criticita' e/o specifici fatti corruttivi  o  di  cattiva
gestione. Il prevalere di un aspetto o dell'altro, ovvero il  livello
di equilibrio fra questi due ambiti, rilevano nell'identificazione 
del profilo del RPCT. 
   Poste le caratteristiche comuni della  funzione  del  RPCT  e  del
profilo dirigenziale cui deve rispondere tale figura, il  RPCT  delle
aziende sanitarie e degli enti assimilati del SSN assume, anche  alla
luce della sezione II Sanita'  dell'Aggiornamento  2015  al  PNA,  un
ruolo  pregnante  all'interno   dell'organizzazione   sanitaria   che
richiede, in quanto tale, una sempre piu'  specifica  conoscenza  del
settore sotto tutti gli aspetti, organizzativo, gestionale e 
sanitario. 
   Al   fine   di   contestualizzare   tale    profilo    nell'ambito
dell'organizzazione sanitaria, occorre, con maggior livello di 
dettaglio: 
    - definire il profilo e le competenze del RPCT delle aziende 
sanitarie e degli enti del SSN; 
    - esplicitare il sistema di relazioni/collegamenti del  RPCT  con
riferimento ai rapporti con i vertici aziendali e con i responsabili 
delle varie articolazioni aziendali; 
    - esplicitare gli strumenti  a  supporto  del  RPCT  (ad  esempio
referenti e/o struttura organizzativa in relazione al livello di 
complessita' dell'organizzazione aziendale). 
   Sulla base delle suddette considerazioni si possono distinguere in
capo al RPCT due diversi aspetti: profili di competenza e aspetti 
organizzativi. 
 
   2.1 Profili di competenza 
   Le caratteristiche conoscitive principali del RPCT devono essere: 
    -        conoscenza         dell'organizzazione         sanitaria
(ospedaliera/territoriale) e dei diversi processi  che  costituiscono
gli elementi fondamentali per la produzione di servizi sanitari; 
    - conoscenza dei processi amministrativi e gestionali; 
    - capacita' di valutare  il  contesto  in  cui  opera  un'azienda
sanitaria e gli snodi  importanti  di  funzionamento  della  macchina
assistenziale ed amministrativa sulla  base  anche  della  conoscenza
intersettoriale dell'azienda sanitaria  e  della  rete  di  relazioni
interne ed esterne della stessa in ambito locale, regionale ed  extra
regionale; 
    - conoscenza degli strumenti di programmazione  aziendale  e  del
sistema  di  valutazione  delle   performance   per   le   necessarie
interconnessioni tra questi e il PTPC. 
 
   2.2 Aspetti organizzativi 
   Posto che il RPCT negli enti del servizio sanitario  debba  almeno
occupare una  posizione  dirigenziale  di  struttura  complessa  o  a
valenza dipartimentale  (UOC,  UOD,  Dipartimento/Distretto/Presidio,
ecc.) e che la funzione di RPCT e' aggiuntiva rispetto alla  funzione
e   al   ruolo   del    dirigente    gia'    ricoperti    all'interno
dell'organizzazione,  a  invarianza   di   risorse   economiche,   e'
importante nell'individuazione della figura piu' adeguata al ruolo di
RPCT, tenere conto della tipologia di struttura organizzativa diretta
e del livello di integrabilita'/compatibilita' delle relative 
funzioni ed attivita' con quelle aggiuntive del ruolo di RPCT. 
 
3. Criteri di esclusione 
   La normativa vigente prevede che il RPCT sia un dirigente  stabile
dell'amministrazione,  con  una   adeguata   conoscenza   della   sua
organizzazione e  del  suo  funzionamento,  dotato  della  necessaria
imparzialita' ed autonomia valutativa  e  scelto,  di  norma,  tra  i
dirigenti non assegnati ad uffici che svolgano attivita' di  gestione
e di amministrazione attiva. 
   Nel contesto delle organizzazioni sanitarie, l'applicazione  delle
richiamate disposizioni normative e delle indicazioni gia' fornite da
questa Autorita', induce ad escludere, ai fini della scelta  e  della
conseguente nomina del RPCT, le fattispecie  di  seguito  elencate  a
titolo indicativo e non esaustivo: 
    - direttore generale; 
    -  dirigente  (sia  di  area  sanitaria  che  amministrativa)  di
struttura semplice; 
    - dirigente responsabile del settore gare e appalti; 
    - dirigente responsabile dell'ufficio procedimenti disciplinari; 
    - dirigente esterno con  contratto  di  collaborazione/consulenza
e/o altro tipo di rapporti a tempo determinato. 
   Rispetto ai  suddetti  criteri  di  esclusione,  eventuali  scelte
residuali dovranno, in  ogni  caso,  essere  adeguatamente  motivate,
avuto riguardo delle indicazioni di cui al presente approfondimento e
a quelle della parte generale, in coerenza con la  cornice  normativa
vigente per l'ambito di riferimento. Resta salva la  possibilita'  di
salvaguardare le professionalita' che  hanno  svolto  l'incarico  per
almeno un triennio, previa adeguata motivazione  circa  l'assenza  di
altre figure compatibili con le indicazioni gia' fornite nel PNA. 
   In  ogni  caso,  per  tutte  le  fattispecie  non   esplicitamente
annoverate tra quelle escludenti la nomina a RPCT,  resta  intesa  la
presupposta  condizione  di  assoluta  integrita'  del  soggetto   da
nominare,  che,  di  norma,  non  deve  essere  stato  sottoposto   a
procedimenti disciplinari. 
 
4. Criteri di scelta 
   Se gli  aspetti  che  prevalgono  nella  scelta  sono  quelli  "di
competenza", le aziende sanitarie e gli enti assimilati avranno  cura
di valorizzare l'organizzazione funzionale di supporto al RPCT di cui
al successivo § 6. Qualora, invece, gli aspetti che prevalgono  siano
quelli "organizzativi", e' opportuno prendere a riferimento strutture
organizzative  che,  per  funzioni  strategiche  proprie,   oltre   a
presupporre la conoscenza dei  processi  organizzativi  e  gestionali
interni all'azienda, gia' si caratterizzano per un elevato livello di
integrazione con gli  altri  livelli  di  responsabilita'  aziendali.
Rispondono a quest'ultimo caso, e sono da  intendersi  quali  profili
elettivi, figure come il responsabile del controllo di  gestione,  il
responsabile del  settore  affari  legali/affari  generali,  il  risk
manager, il direttore medico di presidio, il dirigente amministrativo
di presidio, il direttore di distretto, il direttore di dipartimento,
il cui ruolo e funzioni  si  caratterizzano  per  essere  trasversali
rispetto  all'organizzazione  aziendale  e  che,   pertanto,   devono
interagire   necessariamente    con    la    direzione    strategica.
Transitoriamente,  e  in  via  eccezionale,   e'   fatta   salva   la
possibilita'  di  attribuire  l'incarico  di  RPCT  ai  dirigenti  di
struttura   semplice   o   ai   titolari   di   incarichi   di   alta
professionalita' che abbiano  gia'  svolto  l'incarico  di  RPCT  per
almeno un triennio, previa adeguata motivazione  circa  l'assenza  di
condizioni per poter attribuire l'incarico agli altri soggetti sopra 
indicati. 
 
5. Fattori di rischio/criticita' 
   In questa sezione rientrano  tutti  quegli  elementi  che  possono
influenzare, positivamente o negativamente,  l'azione  del  RPCT.  In
particolare, si segnalano: 
    - il livello di integrita' del soggetto cui  affidare  l'incarico
di RPCT; 
    -  il  livello  di  legittimazione/autorevolezza   del   soggetto
all'interno dell'organizzazione  e  nelle  relazioni  con  gli  altri
livelli di responsabilita' aziendali; 
    - il grado di "dipendenza" del soggetto e  del  suo  percorso  di
carriera da persone che operano all'interno dell'azienda  (o  che  ne
possono influenzare gli orientamenti dall'esterno); 
    - l'appartenenza a specifiche "comunita'" (ad es. associazioni  o
altro); 
    - la mancanza di  prospettive  di  realizzazione  di  azioni  che
possono richiedere tempi  operativi  medio/lunghi  (rotazioni  troppo
brevi possono disincentivare l'attivita' di un RPCT); 
    - la necessita' di rientro nel precedente percorso di carriera  e
quindi la convivenza nell'ambiente con ruoli diversi, ecc.; 
    - ulteriori eventuali fattori di "rischio" soggettivi  evincibili
ad  es.  dalla  dichiarazione  pubblica  di  interessi  di  cui  alla
modulistica standard resa disponibile in applicazione della specifica
previsione contenuta nella determinazione ANAC n. 12/2015  -  sezione
II - Sanita'. 
 
6. Struttura di supporto 
   Per quanto concerne, in particolare, gli strumenti a supporto  del
RPCT si rinvia a quanto illustrato nella parte generale (cfr.§ 5.2.),
in coerenza con le indicazioni fornite  dal  legislatore  nel  d.lgs.
97/2016. All'atto della nomina, specie laddove nella scelta i profili
di competenza prevalgano sugli aspetti  organizzativi,  e'  opportuno
esplicitare i collegamenti e le strutture/figure di supporto al  RPCT
che consentano, da un lato, un efficace espletamento dei  compiti  di
quest'ultimo  e,  dall'altro,  la   necessaria   partecipazione   dei
responsabili degli uffici a tutte le fasi  di  predisposizione  e  di
attuazione del PTPC, nonche' la piena condivisione degli obiettivi e 
la piu' ampia partecipazione di tutti i dipendenti. 
 
7. Durata dell'incarico 
   La durata dell'incarico del RPCT deve essere fissata tenendo conto
della non esclusivita'  della  funzione,  che,  al  contrario,  viene
assegnata a titolari di incarichi dirigenziali di struttura complessa
e/o    valenza    dipartimentale    gia'    ricoperti     all'interno
dell'organizzazione. Al riguardo si rinvia alla  parte  generale.  Le
predette indicazioni sono connesse alla salvaguardia della necessaria
"indipendenza" delle funzione del RPCT rispetto  anche  ad  eventuali
potenziali condizionamenti connessi ai fattori di rischio evidenziati
al precedente § 5. Il  RPCT  deve,  infatti,  essere  una  figura  di
garanzia per l'istituzione sanitaria e  non  un  incarico  di  natura
fiduciaria. Di cio' deve tenersi  conto  anche  nella  determinazione
della durata dell'incarico, non correlata a quella del contratto  del
Direttore Generale. 
 
8. Formazione 
   La centralita' della formazione (26) e  il  ruolo  strategico  che
essa assume nella qualificazione e nel mantenimento delle competenze,
sono affermati, come richiamato nella nota sottostante, gia' nella l. 
190/2012. 
   Ferma restando la  responsabilizzazione  delle  amministrazioni  e
degli enti sulla scelta dei soggetti da formare e  su  cui  investire
prioritariamente e la  trasversalita'  della  formazione  all'interno
dell'organizzazione per tutti i soggetti  che,  seppur  con  approcci
differenziati,  partecipano,  a  vario  titolo,  alla  formazione  ed
attuazione delle misure di prevenzione,  la  figura  del  RPCT  e  le
figure di supporto  (referenti,  organi  di  indirizzo,  titolari  di
uffici e di funzioni strategiche, ecc.) sono da considerarsi 
destinatari prioritari dell'investimento formativo. 
   Sotto il profilo dei  contenuti  la  formazione  deve  riguardare,
anche in modo specialistico, tutte le diverse fasi di costruzione dei
PTPC e  delle  connesse  relazioni  annuali:  a  titolo  di  esempio,
l'analisi di contesto, esterno e interno, la mappatura dei  processi,
l'individuazione e  la  valutazione  del  rischio,  l'identificazione
delle misure e le modalita' di verifica, monitoraggio e controllo 
delle stesse. 
   Sotto il profilo delle modalita' didattiche, sono  da  valorizzare
modalita'  formative   secondo   la   logica   della   diffusione   e
implementazione dell'esperienza e delle buone pratiche,  da  condursi
anche sul campo, rivolte sia ai RPCT  che  alle  figure  di  supporto
finalizzate    a     costruire     la     consapevolezza     e     la
corresponsabilizzazione degli operatori e dei responsabili delle aree
a rischio nelle attivita' di monitoraggio dei processi e dei 
procedimenti. 
   I percorsi formativi dovranno pertanto connotarsi per  una  sempre
maggiore specificita' in  relazione  alle  peculiarita'  del  settore
sanitario rispetto agli altri settori della pubblica  amministrazione
e per l'approccio operativo  finalizzato  al  consolidamento  di  una
reale e concreta capacita' di applicazione e di  trasferimento  delle
competenze nell'espletamento delle funzioni rivestite all'interno 
dell'organizzazione. 
Acquisti in ambito sanitario 
 
   Fermo restando quanto gia' indicato nella determinazione  ANAC  n.
12 del 28 ottobre 2015, nella sezione II Sanita' e,  in  particolare,
quanto ivi riportato al § 2.1.1. "Contratti pubblici", di seguito  si
forniscono ulteriori, specifiche  indicazioni  relative  al  processo
degli acquisti in ambito sanitario. 
 
1. Misure per la gestione dei conflitti di interessi nei processi di 
procurement in sanita' 
   Nell'ambito degli appalti in sanita', l'esigenza di affrontare  in
modo sistemico e strategico le situazioni di conflitti  di  interesse
appare maggiormente sentita a causa delle caratteristiche strutturali
di  potenziale  intrinseca  "prossimita'"   di   interessi   presenti
nell'organizzazione sanitaria con specifico  riferimento  al  settore
degli  acquisti,  generata  dal  fatto  che  i  soggetti   proponenti
l'acquisto sono  spesso  anche  coloro  che  utilizzano  i  materiali
acquistati. L'argomento riveste una particolare rilevanza  alla  luce
anche del d.lgs. 50/2016 (nuovo Codice dei contratti  pubblici)  che,
all'art. 42, reca una specifica  previsione  sulla  individuazione  e
risoluzione dei conflitti di interesse che possano  essere  percepiti
come minaccia alla imparzialita' e all'indipendenza del personale 
della stazione appaltante. 
   Occorre, pertanto, predisporre misure per  una  corretta  gestione
dei conflitti  potenziali  e/o  effettivi  attraverso  l'enucleazione
delle fattispecie tipiche di conflitto di interessi e la divulgazione
di  informazioni  finalizzate  a   consentire   ai   tecnici   e   ai
professionisti sanitari piu'  esposti  al  rischio  di  conflitto  di
interessi di agire con la consapevolezza richiesta, anche  attraverso
la compilazione delle apposite dichiarazioni; e' inoltre opportuna la
definizione di un modello di gestione dei conflitti di interessi e la 
informazione dei professionisti coinvolti. 
   Di conseguenza si propongono le seguenti possibili misure: 
•  adozione  di  documenti  strategici   finalizzati   a   facilitare
l'implementazione  coordinata  di  misure  preventive  che   agiscano
contemporaneamente sul piano della sensibilizzazione e della 
responsabilizzazione degli attori coinvolti; 
• predisposizione di una modulistica per le dichiarazioni di  assenza
di conflitti di interesse e definizione di apposite procedure per la 
raccolta, tenuta ed aggiornamento di tali dichiarazioni; 
• formazione dei professionisti coinvolti mediante moduli dedicati 
alla gestione dei conflitti di interesse; 
• informazione puntuale e tempestiva degli  operatori  coinvolti,  ad
esempio mediante l'adozione e diffusione di documenti esplicativi che
facilitino l'autovalutazione delle situazioni personali e relazionali
con riferimento al contesto in  cui  ciascun  soggetto  si  trova  ad
operare (in una Commissione giudicatrice, in un Collegio tecnico per 
la stesura degli atti di gara, ecc.). 
 
   L'AGENAS potra' offrire un  supporto  operativo  per  l'attuazione
delle misure indicate attraverso  materiale  pubblicato  sul  proprio
sito istituzionale. 
 
1.1 Possibili ambiti di conflitto di interesse 
   Le  situazioni  che  possono  generare  conflitti   di   interessi
dovrebbero, per le ragioni anzidette, essere  gestite  dalle  aziende
sanitarie in modo che i contatti tra mondo professionale  interno  ed
operatori economici possano avvenire all'interno di un quadro 
regolamentato in termini di procedure definite a livello aziendale. 
   In tale  ottica  si  suggeriscono  le  seguenti  misure,  utili  a
costituire  un  valido  contributo  procedurale  alla  riduzione  del
rischio e la cui adozione favorisca  la  percezione  di  un'attivita'
imparziale e indipendente da parte  delle  stazioni  appaltanti,  sia
nella fase di progettazione che in quella di selezione del 
contraente. 
   * Nell'ambito della sponsorizzazione di attivita': 
• nei casi in cui la formazione dei professionisti sia  sponsorizzata
con fondi provenienti da imprese private,  le  aziende  predispongono
procedure che prevedano che le richieste  di  sponsorizzazione  siano
indirizzate direttamente alla struttura  indicata  dall'azienda  (es.
Direzione Sanitaria)  e  non  ai  singoli  professionisti  o  a  loro
associazioni private e che tali richieste non siano  mai  nominative,
dovendo essere l'azienda a indicare e autorizzare i dipendenti idonei
a beneficiarne (in relazione al ruolo organizzativo, al bisogno 
formativo, ecc.); 
•  le  risorse  derivanti  dalle  sponsorizzazioni  sono   utilizzate
attraverso l'istituzione di un fondo  dedicato  alla  formazione  dei
professionisti,   da   gestire   secondo   criteri   di    rotazione,
imparzialita' e con modalita' che garantiscano la piena trasparenza. 
    - Nel rilascio di pareri, nulla osta, autorizzazioni allo 
svolgimento di attivita' extra impiego: 
• le aziende definiscono un procedimento per il rilascio  di  pareri,
nulla  osta,  autorizzazioni  allo  svolgimento  di  attivita'  extra
impiego che tenga conto: nel caso in cui il soggetto richiedente  sia
membro di una commissione di  gara,  della  possibile  insorgenza  di
situazioni di conflitto quando la procedure di gara sia in uno  stato
avanzato di espletamento che  non  consente  agevoli  sostituzioni  o
quando non siano presenti professionalita' fungibili con  quella  del
dipendente; della programmazione  degli  acquisti  e,  quindi,  delle
professionalita' che potranno essere chiamate a partecipare alle 
future procedure di gara. 
 
2. Rafforzamento della trasparenza nel settore degli acquisti 
   La pubblicazione dei dati relativi  alle  attivita'  negoziali  da
parte delle stazioni appaltanti e' finalizzata a consentire l'accesso
alle  informazioni  essenziali,  che   devono   essere   innanzitutto
contenute negli atti riguardanti un appalto. Il rispetto dell'obbligo
di pubblicazione di tali dati e informazioni richiede, quindi,  anche
una maggiore cognizione e responsabilita' nell'adozione degli atti  e
nella definizione dei relativi contenuti, in quanto  deve  consentire
alle figure preposte - ed ai cittadini in senso generale -  la  piena
conoscenza dell'operato  della  pubblica  amministrazione.  Pertanto,
fermi  restando  gli  obblighi  di   pubblicazione   previsti   dalla
legislazione vigente, di  seguito  sono  indicati,  quali  misure  di
trasparenza, un set di dati  da  pubblicare  sul  sito  istituzionale
delle stazioni appaltanti e un set di dati minimi da riportare  nella
determina a contrarre, nel contratto e in tutti  gli  ulteriori  atti
connessi all'appalto (atto  di  proroga,  di  rinnovo,  di  variante,
ecc.), con un duplice livello  di  controllo  del  rispetto  di  tali
misure da parte sia del RPCT sia del collegio dei revisori aziendali. 
 
   Set di dati minimo all'interno degli atti relativi ad appalti: 
-  presenza  o  meno  dell'oggetto   dell'appalto   negli   atti   di
programmazione, con indicazione dell'identificativo dell'atto di 
programmazione; 
- oggetto e natura dell'appalto  (lavori/servizi/forniture/misto  con
esplicitazione della prevalenza;  in  caso  di  contratto  di  global
service comprensivo di diversi  servizi,  indicazione  analitica  dei
diversi servizi, evidenziando eventuali beni e/o servizi ad esclusivo 
utilizzo della Direzione generale aziendale); 
- procedura di scelta del contraente e relativi riferimenti normativi
(aperta/ristretta/competitiva con negoziazione/negoziata senza previa 
pubblicazione del bando/procedura sotto soglia); 
- importo dell'appalto, con specificazione anche dei costi  derivanti
dal ciclo di vita dell'appalto (ad es. per materiali connessi 
all'utilizzo e/o per manutenzioni); 
- termini temporali dell'appalto: durata dell'esigenza da  soddisfare
con l'appalto (permanente/una tantum), durata prevista dell'appalto, 
se disponibili, decorrenza e termine dell'appalto; 
- RUP e, quando nominati, direttore dei lavori, direttore 
dell'esecuzione e commissione di collaudo; 
- CIG e (se presente) CUP. 
Set di dati oggetto di pubblicazione: 
   Oltre ai dati di cui all'art. 29 del d.lgs. 50/2016: 
-  presenza  o  meno  dell'oggetto   dell'appalto   negli   atti   di
programmazione, con indicazione dell'identificativo dell'atto di 
programmazione; 
-  fase  della  procedura  di  aggiudicazione  o  di  esecuzione  del
contratto      (indizione/aggiudicazione/affidamento/proroga      del
contratto/rinnovo del contratto ecc./risoluzione) nonche' motivazioni
di eventuali proroghe, rinnovi, affidamenti in via diretta o in via 
d'urgenza; 
-  indicazione  dell'operatore  economico  affidatario  del  medesimo
appalto immediatamente precedente a quello oggetto della procedura di 
selezione; 
- RUP e, quando nominati, direttore dei lavori, direttore 
dell'esecuzione e commissione di collaudo; 
- CIG e (se presente) CUP; 
- resoconto economico e gestionale dell'appalto, incluso l'ammontare 
delle fatture liquidate all'appaltatore. 
 
2.1 Altre proposte di misure di trasparenza nel settore degli 
acquisti 
   Ulteriori proposte di misure  tese  a  rafforzare  ed  elevare  il
livello  di  trasparenza  in   questo   settore   trovano   specifica
applicazione in relazione alle diverse fasi del processo di acquisto. 
   > Nella fase di progettazione della gara  le  stazioni  appaltanti
pubblicano le seguenti informazioni: 
- criteri per gestire le varie forme di consultazione preliminare  di
mercato con i soggetti privati e con le  associazioni  di  categoria,
prevedendo la rendicontazione  sintetica  degli  incontri  (anche  di
quelli eventualmente aperti al pubblico); 
-  elenco  dei  soggetti  abilitati  a  svolgere   la   funzione   di
responsabili del procedimento di gara, con  relativi  curricula  (nel
rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza); 
- per le centrali di committenza, pubblicazione periodica dello stato
di avanzamento dei  lavori  per  la  realizzazione  delle  iniziative
programmate,   inclusa   la   previsione   della   conclusione    del
procedimento; 
- criteri univoci  per:  le  procedure  finalizzate  all'accertamento
delle condizioni di cui all'art. 63,  co.  2,  lett.  b)  del  d.lgs.
50/2016 (per il caso di  esclusive  dichiarate  o  di  infungibilita'
tecnica); la scelta  degli  operatori  economici  da  invitare  nelle
procedure negoziate  sotto  soglia  (indagini  di  mercato  o  elenco
fornitori). 
• Nella fase di istituzione delle commissioni di  gara,  le  stazioni
appaltanti pubblicano le seguenti informazioni: 
-  tempestiva  pubblicazione  dei  nominativi  e  dei  curricula  dei
commissari selezionati, in conformita' a quanto previsto all'art.  29
del d.lgs. 50/2016; 
- la modalita' di scelta dei commissari, in caso di nomina  da  parte
della stazione appaltante di componenti interni alla stessa; 
- modalita' con cui procedere al  sorteggio  in  caso  di  nomina  di
componenti esterni ai sensi dell'art. 77 del d.lgs. 50/2016; 
- calendario delle sedute di gara. 
• Nella fase di aggiudicazione e stipula del contratto  e'  opportuno
che sia  effettuato  il  monitoraggio  del  tempo  intercorrente  tra
l'aggiudicazione e la data di stipula del contratto. 
• Nella fase di  esecuzione  del  contratto  le  stazioni  appaltanti
pubblicano le seguenti informazioni: 
- provvedimenti di adozione di varianti,  contestualmente  alla  loro
adozione e almeno per tutta la durata del contratto, con  riferimento
a quelle per il cui valore vi e' altresi'  obbligo  di  comunicazione
all'ANAC; 
- eventuali variazioni contrattuali rispetto alle indicazioni fornite
dalle centrali di committenza con obbligo di  segnalazione  a  queste
ultime. 
3. Misure di controllo 
   Appalti di importo inferiore alla soglia di ? 40.000 
   E' opportuno che sia organizzato un adeguato sistema di  controllo
su questo tipo di affidamenti strutturando flussi informativi tra  il
RUP, il RPCT e  il  collegio  dei  revisori  aziendali,  al  fine  di
consentire di verificare, nel caso in cui  l'appaltatore  individuato
risulti gia' affidatario del precedente appalto,  se  la  scelta  sia
sorretta da idonea motivazione. Il RPCT puo' richiedere ai RUP dati e
informazioni, anche aggregate, sulle scelte e le relative motivazioni
nonche' su  eventuali  scostamenti  tra  l'importo  del  contratto  e
l'importo corrisposto all'appaltatore, illustrandone la  motivazione;
nel caso in cui sia rilevata la violazione dell'art.  35  del  Codice
dei  contratti  pubblici  -  in  ordine   al   calcolo   dell'importo
dell'appalto,  che  deve  comprendere  i  costi  aggiuntivi  connessi
all'utilizzo o alla manutenzione  dei  beni  -  il  RPCT  provvede  a
segnalare  il  fatto  agli  organi  di  vertice  e  ad  altri  organi
competenti. 
 
   Acquisti autonomi e proroghe contrattuali 
   Si richiama l'esigenza di motivazione  espressa  della  scelta  di
ricorrere alla proroga  contrattuale,  con  esplicitazione  dei  vari
livelli di responsabilita' e relativa asseverazione da parte dei 
vertici aziendali. 
   Per i beni e servizi che non rientrano per categoria e per importo
nell'ambito  di  applicazione  del  d.p.c.m.  24  dicembre  2015  (in
attuazione dell'art. 9,  co.  3,  del  d.l.  66/2014),  e'  opportuno
prevedere  l'inserimento  nel   provvedimento   autorizzativo   della
espressa indicazione che il bene o servizio acquistato  «non  rientra
tra le categorie merceologiche del settore sanitario come individuate
dal d.p.c.m. di cui all'art. 9 co. 3 del d.l. 66/2014 e s.m.i. e 
relativi indirizza applicativi». 
 
4. Sotto-processo di adesione agli strumenti delle centrali di 
committenza o dei soggetti aggregatori 
   Negli ultimi anni il processo di  approvvigionamento,  soprattutto
in ambito sanitario,  ha  vissuto  una  profonda  trasformazione.  La
costituzione di centrali di committenza a livello nazionale e l'avvio
dei lavori dei soggetti  aggregatori  di  cui  all'art.  9  del  d.l.
66/2014, nonche' le previsioni di cui all'art. 37 del d.lgs.  50/2016
in ordine alle varie forme di aggregazione e  centralizzazione  delle
committenze,  (di  seguito,  indicati   tutti   come   "centrali   di
committenza"),  stanno  sempre  piu'  plasmando  la  geografia  e  la
struttura della domanda  pubblica.  Di  conseguenza  il  ruolo  delle
singole stazioni appaltanti muta, poiche' il venir meno delle fasi di
progettazione, selezione del contraente e aggiudicazione richiede una
maggiore  attenzione  alla  programmazione  e  alla  esecuzione   dei
contratti. I profili di rischio collegati si arricchiscono di aspetti
peculiari e tipici che richiedono l'adozione di misure specifiche  da
aggiungere a quelle del processo piu' generale. L'AGENAS fornira'  il
necessario supporto per  l'analisi  e  la  corretta  trattazione  dei
rischi. 
 
Processi e procedimenti rilevanti 
• Nella fase di programmazione possono rilevare le seguenti 
attivita': 
- formulazione ed invio della programmazione e dei relativi 
aggiornamenti nei tempi previsti dalla centrale di committenza; 
- definizione delle competenze per l'approvazione del fabbisogno e 
definizione dei livelli organizzativi (referenze qualificate); 
-  verifica  della  pertinenza  dei  fabbisogni  con  strumenti  gia'
disponibili  o  programmati;  formulazione  del  fabbisogno   secondo
codifiche proprie delle centrali di committenza anche mediante 
l'utilizzo di modelli e vocabolari comuni; 
- pubblicazione della programmazione e monitoraggio dello stato di 
avanzamento dei lavori della centrale. 
• Nella fase di adesione possono rilevare le seguenti attivita': 
- analisi ed esame del contenuto degli strumenti messi a disposizione
dalle centrali (accordi quadro, convenzioni, SDA, ecc.) e 
compatibilita' con i fabbisogni espressi o non programmati; 
- definizione dell'oggetto  degli  atti  di  adesione  (codifica  dei
fabbisogni non programmati e comparazione quali-quantitativa con i 
prodotti/servizi messi a disposizione dalle centrali); 
-  formalizzazione  delle  adesioni   (appalto   specifico,   ordine,
contratto, ecc.) secondo le regole degli strumenti posti in essere 
dalla centrale. 
• Nella fase di esecuzione e rendicontazione  dei  singoli  contratti
rilevano gli aspetti legati  alla  interpretazione  delle  condizioni
contrattuali,     alla     contrattualizzazione/ordinazione     delle
prestazioni, alle comunicazioni con la centrale di committenza e alle
comunicazioni alla centrale sulle verifiche (di processo, di outcome, 
ecc.) che la stessa pone in essere. 
 
Possibili eventi rischiosi 
• Per la fase di formulazione e comunicazione dei fabbisogni  possono
rilevare il mancato rispetto dei tempi di invio della  programmazione
e dei relativi aggiornamenti e la mancata o  non  chiara  definizione
delle competenze per l'approvazione del fabbisogno e  la  definizione
dei  livelli  organizzativi  (referenze   qualificate).   Cio'   puo'
comportare la parziale comunicazione con la centrale,  generando  una
progettazione  e  un'aggiudicazione  non  allineata   con   i   reali
fabbisogni oppure l'aggiudicazione di prodotti che non  corrispondono
alle esigenze e che non  verranno  poi  acquisiti;  l'elusione  degli
obblighi di adesione causata dall'assenza di strumenti e procedure di
verifica  della  pertinenza  dei  fabbisogni   con   strumenti   gia'
disponibili  o  programmati;  il  mancato  rispetto  o  utilizzo  dei
vocabolari o delle  codifiche  previste  dalla  centrale  porta  alla
formulazione di un  fabbisogno  non  chiaro  che  puo'  inficiare  la
corretta  progettazione  della  gara   da   parte   delle   centrali;
l'effettuazione di acquisizioni autonome  in  presenza  di  strumenti
messi a disposizione dalla centrale, causato dal mancato monitoraggio
dello stato di avanzamento dei lavori della centrale stessa. 
• Per la fase di adesione possono rilevare rischi legati ad  una  non
corretta analisi del contenuto degli strumenti messi  a  disposizione
dalle centrali, al fine di dichiararne la non  compatibilita'  con  i
fabbisogni  espressi  o  non  programmati  o  con  le   esigenze   di
appropriatezza   dell'utilizzo   dei   prodotti;    la    definizione
dell'oggetto degli atti di adesione allo scopo di rendere  necessarie
acquisizioni complementari; il mancato rispetto dei limiti  temporali
e  quantitativi  di  adesione  allo  scopo  di   rendere   necessarie
acquisizioni in urgenza o frazionare artificiosamente il bisogno. 
• Per la fase di esecuzione e rendicontazione dei  singoli  contratti
possono emergere rischi  legati  alla  non  corretta  interpretazione
delle condizioni  contrattuali  allo  scopo  di  dichiararne  la  non
compatibilita' con le  esigenze  di  approvvigionamento;  al  mancato
rispetto dei limiti quantitativi e qualitativi  del  contenuto  delle
prestazioni; richiesta di prestazioni non comprese nelle  opzioni  di
variazione;  la  mancata   o   non   corretta   comunicazione   delle
inadempienze,  delle  penali,  delle  sospensioni,  delle   verifiche
negative  di  conformita'  e  delle  risoluzioni  alla  centrale   di
committenza che inficiano, da un lato,  la  corretta  gestione  degli
accordi e delle convenzioni da parte della  centrale  e,  dall'altra,
possono essere utilizzati al solo scopo di giustificare  acquisizioni
autonome   sovrapponibili;   l'effettuazione   di   acquisizioni   di
prestazioni complementari che modifichino sostanzialmente il  profilo
qualitativo dei prodotti/servizi aggiudicati dalle centrali. 
 
Anomalie significative 
• Per la fase di formulazione e comunicazione dei fabbisogni  possono
costituire elementi rilevatori di rischio: il  mancato  rispetto  dei
tempi di invio della programmazione  e  dei  relativi  aggiornamenti;
l'invio delle comunicazioni/informazioni da  parte  di  soggetti  non
titolati;  la  pubblicazione/effettuazione  di   gare   con   oggetti
sovrapponibili a quelli delle centrali di committenza; la presenza di
proroghe contrattuali per beni e servizi oggetto di strumenti  attivi
delle centrali; presenza di solleciti da parte delle centrali di 
acquisto. 
• Nella  fase  di  adesione,  esecuzione  e  rendicontazione  possono
segnalare  la  presenza   di   rischi   la   stipula   di   contratti
autonomi/affidamenti  sotto  soglia  nelle  categorie  riservate   ai
soggetti aggregatori;  l'approvazione  di  variazioni  qualitative  e
quantitative che non dimostrino il  rispetto  dei  limiti  consentiti
dagli strumenti delle centrali; la contrattualizzazione/il  pagamento
di prestazioni in variazione non  motivati  (nella  determina  o  nei
certificati di pagamento) con riferimento  alle  opzioni  consentite;
l'assenza   di   rendicontazioni   circa   le   comunicazioni   delle
inadempienze,  delle  penali,  delle  sospensioni,  delle   verifiche
negative  di  conformita'  e  delle  risoluzioni  alla  centrale   di
committenza; il superamento  delle  soglie  di  spesa  annua  per  le
categorie merceologiche riservate ai soggetti aggregatori e stabilito 
dal d.p.c.m. di cui all'art. 9, co. 3 del d.l. 66/2013. 
 
Indicatori 
• Per la fase di formulazione e comunicazione  dei  fabbisogni  e  di
adesione possono considerarsi indicatori  significativi  il  rapporto
tra il numero degli affidamenti in adesione ed il numero  totale  dei
contratti;  gli  importi  affidati  in  adesione  sul  totale   degli
affidamenti; il numero di affidamenti in  autonomia  nelle  categorie
merceologiche riservate ai soggetti aggregatori in rapporto al totale
degli affidamenti della singola stazione; gli importi di acquisizione
comunicati alla centrale di committenza e gli importi delle  adesioni
effettuate in un determinato arco  temporale  e  lo  scostamento  (in
difetto o eccesso) rispetto al 100%; lo scostamento dai livelli  medi
di adesioni ai contratti delle centrali di committenza registrati  da
amministrazioni comparabili. 
• Per la  fase  di  esecuzione  e  rendicontazione  indicatori  utili
possono  essere  costituiti  da:  rapporto  tra   il   numero   delle
varianti/servizi e forniture complementari e quello  delle  adesioni;
rapporto  tra  gli  importi  delle  variazioni/servizi  e   forniture
complementari e quello delle adesioni; confronto (anche in termini di
rapporto semplice o di incidenza) tra il numero  (anche  come  media)
delle variazioni/servizi e  forniture  complementari  effettuate  sui
contratti stipulati  in  autonomia  e  quelle  poste  in  essere  sui
contratti in adesione. 
 
Possibili misure 
• In fase di programmazione: 
- obbligo di evidenziare, nella programmazione  annuale,  il  ricorso
agli strumenti delle centrali di committenza nonche' di prevedere una
sezione separata per le categorie riservate ai soggetti aggregatori; 
- adozione e pubblicazione di procedure interne  di  segregazione  di
responsabilita'  e   compiti   per   le   fasi   di   manifestazione,
elaborazione, analisi e validazione del fabbisogno ed identificazione 
dei soggetti titolati a trasmettere i fabbisogni alle centrali; 
- previsione di una fase di aggiornamento della programmazione in 
corso di anno; 
- previsioni di audit interni circa il rispetto  dei  tempi  e  delle
codifiche di prodotti e servizi rilevati dalle centrali di 
committenza; 
- obbligo di motivare sul piano tecnico e gestionale, anche  mediante
valutazioni di appropriatezza d'uso, la formulazione di  bisogni  che
fuoriescano dagli standard comunicati alla centrale di committenza in 
corso di programmazione. 
 
• In fase di adesione: 
- previsione di  istanze  di  controllo  interno  (o  di  validazione
tecnica) in caso di acquisizione  di  beni  e  servizi  in  quantita'
diverse da quelle programmate e comunicate; 
- adozione di modelli di contratto di  adesione  ad  accordi  quadro,
convenzioni che standardizzino i processi di adesione anche  mediante
l'utilizzo di check list dei contenuti e dei passaggi obbligatori; 
- previsione generalizzata di  documentare  l'esame  degli  strumenti
delle centrali; 
- comunicazioni alle centrali di acquisto delle adesioni  parziali  o
in quantita' diverse da quelle programmate, accompagnate da eventuali
relazioni  circa  la  non  compatibilita'/sovrapponibilita'   con   i
fabbisogni espressi o emersi in seguito alla relativa  comunicazione,
nonche' con le esigenze di appropriatezza d'uso sopravvenute; 
- attivazione di audit interni in caso di segnalazioni,  osservazioni
o richiami da parte delle centrali di committenza a causa di  mancate
o  parziali   adesioni   che   richiedano   necessarie   acquisizioni
complementari,  nonche'  in  caso  di  mancato  rispetto  dei  limiti
temporali e quantitativi di adesione o di attivazione degli strumenti
(mancato rispetto dei limiti minimi di ordinazione; dichiarazione  di
inadeguatezza  dei  tempi   di   consegna   o   realizzazione   della
prestazione, ecc.). 
 
• In fase di esecuzione e rendicontazione dei singoli contratti: 
- pubblicazione delle acquisizioni realizzate in autonomia, a 
prescindere dagli importi; 
- necessita' di motivazione in ordine alle esigenze sia tecniche  che
cliniche qualora l'acquisizione autonoma si fondi su ragioni di 
infungibilita'; 
- pubblicazione delle acquisizioni in adesione che  contengano  delle
variazioni rispetto ai profili qualitativi e quantitativi di  beni  e
servizi oggetto delle convenzioni (oltre i limiti opzionali gia' 
previsti nei medesimi strumenti); 
- previsione di una valutazione di outcome (oltre che di conformita',
sui maggiori vantaggi ottenuti) in caso di acquisizioni autonome o in
variazione rispetto agli standard previsti negli strumenti delle 
centrali; 
-   pubblicazione   dei    certificati    di    conformita'/parziale,
conformita'/mancata,  conformita'  che  tengano  conto  anche   delle
penali, delle sospensioni, delle verifiche e delle risoluzioni 
parziali, ecc.; 
- trasmissione di report periodici alle centrali contenente le citate 
informazioni. 
 
5. Rilevazione delle performance gestionali delle aziende sanitarie e 
degli enti del SSN in tema di acquisti: strumento operativo 
   Al fine di introdurre un  sistema  di  monitoraggio  periodico  da
parte  delle  regioni  sulle  performance  gestionali  delle  aziende
sanitarie e degli enti del  SSN  in  tema  di  acquisti,  le  regioni
dovrebbero dotarsi di uno strumento operativo di rilevazione dei dati
finalizzato ad implementare  una  banca  dati  utile,  anche  per  le
centrali di committenza, per la definizione del piano  triennale  dei
fabbisogni  e  il  piano  annuale  degli  acquisti,  nonche'  per  le
attivita' di pianificazione e controllo. 
   L'AGENAS fornira' il necessario supporto alle regioni  e  province
autonome   attraverso   materiale   pubblicato   sul   proprio   sito
istituzionale. 
    
Nomine
    
Premessa 
   L'ambito di attivita' relativo al  conferimento  degli  incarichi,
alla valutazione o alla revoca o conferma degli stessi, si configura,
nel servizio sanitario, tra le aree a "rischio generali" di cui  alla
determinazione ANAC del 28 ottobre 2015, n. 12. 
   Nel settore sanitario  il  "rischio"  connesso  alla  mancata  e/o
carente osservanza delle norme in  materia  di  trasparenza  e/o  dei
criteri di imparzialita' e/o all'uso distorto della discrezionalita',
assume ulteriore rilievo anche per gli aspetti inerenti  la  qualita'
delle cure. Una delle principali componenti della qualita',  infatti,
risiede  proprio  nella  capacita',  competenza  ed  esperienza   dei
professionisti  in  rapporto  alla  tipologia  del   servizio,   alle
caratteristiche del contesto organizzativo e, soprattutto, al livello
di responsabilita' che l'incarico comporta. 
   Il conferimento degli incarichi e' una delle  dirette  prerogative
del Direttore generale delle aziende sanitarie in cui  si  misura  in
maniera piu' evidente  la  capacita'  e  l'integrita'  manageriale  e
l'adeguatezza degli strumenti dallo  stesso  utilizzati  al  fine  di
assicurare la corretta programmazione, pianificazione  e  valutazione
del valore delle risorse umane e professionali  e,  conseguentemente,
dell'organizzazione dei servizi. 
   Per tale  ragione  prioritaria,  il  presente  approfondimento  si
occupa,  estendendo  le  previsioni  gia'  contenute   nella   citata
determinazione dell'Autorita' (27),  degli  incarichi  relativi  alla
dirigenza medica e sanitaria (28). Cio' allo scopo  di  fornire  alle
aziende sanitarie indicazioni e suggerimenti su possibili  misure  di
prevenzione del rischio - nell'accezione sopra richiamata -, da porre
in essere tuttavia  anche  per  i  procedimenti  di  attribuzione  di
incarichi riferiti alla dirigenza  non  sanitaria  (29),  per  quanto
applicabili ai sensi delle disposizioni normative e  regolamentari  e
delle specifiche discipline contrattuali vigenti. 
   Vale, infatti, a prescindere dal  ruolo,  dalla  qualifica  e  dal
settore di riferimento, il principio per il quale ogni  azienda  deve
dare  evidenza  dei  processi  di  nomina  e  di  conferimento  degli
incarichi in modo da assicurare il massimo livello di  trasparenza  e
l'utilizzo di strumenti di valutazione che privilegino  il  merito  e
l'integrita' del professionista aspirante all'incarico,  al  fine  di
garantire la tutela ed il perseguimento del pubblico interesse. 
    
1. Dirigenza medica e sanitaria
   I CCNL della dirigenza del SSN prevedono le seguenti tipologie  di
incarichi:
a) incarico di direzione di struttura complessa;
b) incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario o di
presidio ospedaliero di cui al decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 502;
c) incarico di direzione di struttura semplice;
d) incarichi di natura professionale anche di alta  specializzazione,
di consulenza, di studio, e ricerca,  ispettivi,  di  verifica  e  di
controllo;
e) incarichi di natura professionale  conferibili  ai  dirigenti  con
meno di cinque anni di attivita'.
   Tali tipologie di incarichi costituiscono  gli  elementi  di  base
offerti dalla disciplina contrattuale su cui  costruire  percorsi  di
sviluppo  delle   carriere   dirigenziali,   secondo   le   strategie
organizzative proprie di ogni  azienda  nel  quadro  della  normativa
vigente e della programmazione regionale in  tema  di  politiche  del
personale.
   L'approfondimento  svolto  e'  rivolto,  nello   specifico,   alle
tipologie di incarichi di cui ai punti a), b) e c) della elencazione,
essendo interessate da un maggior grado di competitivita' e, per tale
ragione, e' necessario che venga data piena evidenza  delle  relative
procedure di conferimento, al fine di garantirne la  trasparenza,  la
correttezza e le motivazioni ad esse sottese.
   In via generale, si fa presente che gli obblighi di  pubblicazione
dei dati, gia' previsti per la dirigenza sanitaria dall'art. 41, co 2
e 3, d.lgs. 33/2013 - ovvero direttori generali, direttori  sanitari,
direttori amministrativi, responsabili di dipartimento e di strutture
complesse - sono estesi anche ai responsabili di struttura  semplice,
per effetto della modifica apportata dal d.lgs. 97/2016. Al  fine  di
rendere coerente l'applicazione della norma di cui all'art. 41, co 3,
cit., il riferimento all'art. 15 del d.lgs. 33/2013 ivi contenuto,  e
presumibilmente rimasto immutato  per  un  difetto  di  coordinamento
normativo,  deve  intendersi  all'art.  14  del   medesimo   decreto;
diversamente si avrebbe una ingiustificata disparita' di  trattamento
tra i dirigenti medici e gli altri dirigenti.
    
1.1 Incarichi di direzione di struttura complessa 
   Degli incarichi di direzione di struttura  complessa  si  e'  gia'
trattato in  via  generale  nella  determinazione  ANAC  n.  12/2015,
sezione II Sanita', § 2.1.2 «Incarichi e nomine». In questa  sede  si
affrontano in dettaglio le singole tipologie di  incarichi  afferenti
alle  varie  fattispecie  di  struttura  complessa  e  alle  relative
procedure di conferimento (30). 
1.1.1 Direttore di dipartimento 
   La  natura  di  tale   incarico   e'   di   tipo   prevalentemente
organizzativo-gestionale con implicazioni anche con il settore  degli
acquisti, e' infatti in capo al Direttore del dipartimento, sia  esso
ospedaliero o territoriale, la responsabilita' anche in  ordine  alla
corretta  e  razionale  programmazione  e  gestione   delle   risorse
assegnate  per  la  realizzazione  degli  obiettivi  attribuiti.   La
relativa procedura di conferimento dell'incarico prevede  la  scelta,
da parte del Direttore generale, fra  i  dirigenti  con  incarico  di
direzione  delle  strutture  complesse  aggregate  nel   dipartimento
stesso. In questo contesto,  eventuali  rischi  possono  configurarsi
nell'uso non trasparente e adeguatamente motivato dell'esercizio  del
potere discrezionale di scelta. Per evitare e contrastare tali rischi
e al fine di garantire comunque il prevalere dei  profili  di  merito
nell'attribuzione  del  suddetto  incarico,  le   aziende   sanitarie
dovranno  orientare   le   opportune   misure   di   prevenzione   al
rafforzamento  della  trasparenza,  avuto  riguardo  delle   seguenti
indicazioni: 
a) esplicitazione, all'interno degli  atti  del  procedimento,  della
conformita' dello stesso alle previsioni dell'atto aziendale ed  agli
indirizzi di programmazione regionale; 
b) predeterminazione dei  criteri  di  scelta  e,  ove  non  sussista
apposita disciplina regionale, ai sensi dell'art. 17 bis, co. 3,  del
d.lgs. 502/1992, esplicitazione delle modalita' di partecipazione del
Comitato  di  dipartimento  alla  individuazione  dei  direttori   di
dipartimento; 
c) esplicitazione, negli atti relativi  al  procedimento  di  nomina,
della motivazione sottesa  alla  scelta  in  relazione  ai  requisiti
professionali, ai compiti affidati e alla pregressa performance della
struttura dipartimentale,  al  fine  di  delineare  il  perimetro  di
valutazione rispetto  anche  al  raggiungimento  degli  obiettivi  di
miglioramento che la struttura si pone; 
d) pubblicazione degli atti del procedimento  con  evidenziazione  di
quanto previsto ai punti a) e b). 
    
1.1.2 Direttore di distretto sanitario o di presidio ospedaliero
   La procedura di conferimento  di  tale  incarico  (31),  ai  sensi
dell'art. 3 sexies del d.lgs. 502/1992, presenta un  maggior  livello
di competitivita',  essendo  piu'  ampia  la  platea  dei  potenziali
aspiranti   in   ragione   dell'esperienza   maturata   nei   servizi
territoriali e dell'adeguata formazione nella loro organizzazione. In
questo  ambito,  fatte  salve  le  eventuali  specifiche   discipline
regionali, e'  opportuno,  per  le  medesime  ragioni  enucleate  con
riferimento agli incarichi di cui al  paragrafo  precedente,  che  le
aziende - ove la regione non regoli la materia  -  adottino  tutti  i
possibili interventi ed azioni finalizzati a garantire i principi  di
imparzialita' e parita' di trattamento, attraverso apposite procedure
selettive  improntate  a  tali  principi  e,  piu'  in  generale,  al
principio di buona amministrazione. Sarebbe auspicabile al  riguardo,
mutuare buone prassi gia' adottate da altre regioni/aziende sanitarie
(32) confluite, in parte, nelle indicazioni che  seguono  e  che  per
tale ambito si richiamano,  quali  misure  di  prevenzione,  ove  non
previste come obblighi da eventuali norme/discipline regionali:
a) avvio di procedura selettiva attraverso avviso/bando  pubblico  in
cui siano esplicitati i requisiti previsti  dalla  normativa  vigente
nazionale ed eventualmente regionale;
b) costituzione della commissione selezionatrice;
c) predeterminazione dei criteri di selezione;
d) esplicitazione, negli atti relativi  al  procedimento  di  nomina,
della motivazione sottesa alla scelta in relazione  ai  requisiti  di
partecipazione e ai criteri di selezione di cui ai  rispettivi  punti
a) e c);
e) pubblicazione degli atti del procedimento.
    
1.2 Incarichi di direzione di struttura semplice 
   Le strutture  semplici  rappresentano,  nell'assetto  dell'azienda
sanitaria, l'articolazione organizzativa di base di cui si compone la
struttura complessa. Gli indirizzi di programmazione e  gli  standard
di riferimento  recati  dalla  normativa  nazionale  e  dai  relativi
regolamenti attuativi,  pongono  chiari  limiti  all'istituzione  e/o
mantenimento di unita' operative complesse e, conseguentemente, anche
le unita' operative semplici devono riparametrarsi in relazione  alle
prime sulla base di un rapporto predeterminato. Ne deriva, quindi, un
presupposto vincolo di programmazione riferito alla  circostanza  che
dette strutture  devono  essere  predeterminate  negli  strumenti  di
programmazione regionale e aziendali, in  numero  (nel  rispetto  del
rapporto posto come riferimento) (33) e tipologia (nel rispetto degli
standard per l'assistenza ospedaliera e territoriale) (34). 
   Pertanto, sebbene la preposizione a tali strutture rientri tra gli
incarichi da conferirsi, ai sensi dell'art. 15, co. 7-quater,  d.lgs.
502/1992 e s.m.i., ai dirigenti che abbiano maturato un'anzianita' di
servizio   di   almeno   cinque   anni   nella   disciplina   oggetto
dell'incarico, la competitivita' e' relativa - in questo ambito - sia
al  numero  definito  delle   posizioni   oggetto   di   conferimento
dell'incarico, sia al potenziale numero di aspiranti che possiedono i
previsti requisiti soggettivi. 
   Questa  tipologia  di  incarico   (35)   presenta   procedure   di
conferimento che, rispetto  ai  casi  gia'  trattati  nei  precedenti
paragrafi, risultano meno disciplinate da criteri generali e da  atti
di indirizzo nazionale, se non quelli derivanti dalla disciplina  del
Contratto collettivo nazionale  (CCNL),  sicche'  e'  piu'  frequente
riscontrare  in  questo  ambito  una  certa  variabilita'  di  prassi
regionali e/o aziendali sia nelle procedure di conferimento che nella
durata degli incarichi (nei limiti  del  range  stabilito  da  tre  a
cinque anni). 
   Come indicato per gli incarichi di  cui  al  §  1.1.2,  anche  per
questa fattispecie - ove la  regione  non  regoli  la  materia  -  e'
opportuno  che  le  aziende  sanitarie  adottino  tutti  i  possibili
interventi ed azioni finalizzati a rafforzare  la  trasparenza  delle
relative procedure di conferimento, avuto riguardo delle buone prassi
gia' adottate da alcune aziende e delle seguenti indicazioni che,  in
parte, le ripropongono: 
a)  verifica,  all'interno  degli  atti   del   procedimento,   della
conformita' dello stesso alle previsioni dell'atto aziendale ed  agli
indirizzi di programmazione regionale; 
b) pubblicazione delle unita' operative  semplici  per  le  quali  va
conferito l'incarico  (e'  auspicabile  che  le  funzioni  delle  UOS
vengano qualificate nell'ambito di atti  di  organizzazione  in  modo
tale che i requisiti degli  aspiranti  di  cui  al  punto  successivo
trovino nei citati atti la loro motivazione); 
c) avvio di procedura selettiva attraverso avviso/bando  pubblico  in
cui siano stati esplicitati i requisiti soggettivi degli aspiranti; 
d) costituzione della commissione selezionatrice; 
e) predeterminazione dei criteri di selezione; 
f) misure di trasparenza, nel rispetto della normativa  sulla  tutela
della riservatezza, della rosa degli idonei; 
g) esplicitazione, negli atti relativi  al  procedimento  di  nomina,
della motivazione sottesa alla scelta in relazione  ai  requisiti  di
partecipazione e ai criteri di selezione di cui ai  rispettivi  punti
a) e c); 
h) esplicitazione della motivazione  alla  base  della  scelta  della
durata dell'incarico piu' o meno lunga all'interno del minimo/massimo
previsto (la durata degli  incarichi  dovrebbe  essere  definita  non
volta per volta ma in modo  "standard",  oppure  la  stessa  dovrebbe
essere esplicitamente collegata a provvedimenti di programmazione); 
i) pubblicazione degli atti del procedimento. 
   Per tutti i casi  in  cui  si  avvii  una  procedura  selettiva  a
evidenza pubblica, con la costituzione della commissione, oltre  alle
misure di  cui  ai  punti  precedenti,  e'  necessario  sottoporre  i
componenti delle commissioni a processi  di  rotazione  nonche'  alla
sottoscrizione,  da  parte  degli  stessi,  delle  dichiarazioni   di
insussistenza  o  di  eventuale  sussistenza  di  incompatibilita'  o
conflitto  di  interesse.  Sarebbe   auspicabile   prevedere,   nella
composizione della commissione di  selezione,  almeno  un  componente
esterno. Nel caso, inoltre, di avviso pubblico in cui non si  proceda
alla costituzione della commissione, e' opportuno fornire indicazioni
per la composizione degli  organi  di  natura  tecnica  che  dovranno
selezionare i candidati (es. sorteggio informatico). 
   Laddove invece non si preveda l'apertura di procedure competitive,
e' necessario - quale misura di prevenzione - richiedere un  atto  di
responsabilita'  dell'organo  nominante   sul   rafforzamento   delle
motivazione della scelta e di pubblicazione di quest'ultima. 
    Come precisato al § 1, si evidenzia  che  il  d.lgs.  97/2016  ha
introdotto l'obbligo di pubblicazione dei dati, gia' previsti per  la
dirigenza sanitaria, anche per i responsabili di struttura semplice. 
1.3 Incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione,
di consulenza, di studio, e ricerca,  ispettivi,  di  verifica  e  di
controllo 
   Le  procedure  di  conferimento  di  tali  incarichi   (36)   sono
particolarmente dettagliate nella disciplina contrattuale di  cui  al
CCNL 8.6.2000 (art. 28) I biennio economico e, per quanto concerne in
particolare gli effetti  della  valutazione  per  la  conferma  o  il
conferimento di nuovi incarichi di maggior  rilievo  professionali  o
gestionali, nella disciplina di cui all'art. 33  del  CCNL  8.6.2000,
come sostituito dall'art. 28 del CCNL 3.11.2005. 
   Occorre pertanto che le aziende  sanitarie  osservino  il  massimo
livello di trasparenza per l'affidamento  o  revoca  degli  incarichi
dirigenziali di cui trattasi, attraverso la  pubblicazione  dell'atto
di conferimento sul  sito  dell'azienda,  comprendendo  l'ambito  del
programma che si intende  realizzare,  l'oggetto  dell'incarico  e  i
criteri di scelta. 
    
2. Sostituzione della dirigenza medica e sanitaria
   L'istituto  delle  sostituzioni   (37)   rappresenta   un   ambito
particolarmente vulnerabile al rischio di  eventi  corruttivi  legati
alla possibile messa in atto  di  condotte  elusive  delle  ordinarie
procedure di selezione. Possibili rischi sono, ad esempio, ritardo  o
mancato avvio delle procedure concorsuali alla base della  necessita'
di  copertura  del  posto  vacante  con  la  sostituzione  oppure,  a
sostituzione   avvenuta,   prolungamento   intenzionale   dei   tempi
occorrenti per l'avvio delle procedure ordinarie di  conferimento  al
titolare dell'incarico, con conseguente prolungamento del periodo  di
sostituzione per oltre sei mesi (vantaggio, in quest'ultimo caso, del
sostituto la cui retribuzione viene  integrata  ai  sensi  di  quanto
previsto dal CCNL). Per quanto  i  casi  in  cui  fare  ricorso  alle
sostituzioni  siano   puntualmente   disciplinati   dal   CCNL,   per
contrastare i connessi rischi, la misura di  prevenzione  prioritaria
in  questo  ambito  e'  quella  di  rendere  quanto  piu'   possibile
trasparenti le  relative  procedure  avuto  riguardo  delle  seguenti
indicazioni:
a) pubblicazione, aggiornamento e monitoraggio periodico  del  numero
dei posti oggetto di sostituzione/sostituibili per anno;
b) esplicitazione in  dettaglio  e  relativa  pubblicizzazione  della
motivazione del ricorso alla sostituzione.