4. Altre semplificazioni per i piccoli comuni L'ANAC si riserva di elaborare indicazioni volte ad agevolare il processo di gestione del rischio di corruzione nei piccoli comuni in cui la scarsita' di risorse non consente di implementare, in tempi brevi, un adeguato processo valutativo. In ogni caso, per i dati relativi al contesto esterno e una prima analisi degli stessi, i piccoli comuni possono avvalersi del supporto tecnico e informativo delle Prefetture. Resta ferma la responsabilita' di ogni ente di contestualizzare l'analisi anche rispetto a dati in proprio possesso. Come anche indicato nell'approfondimento II dedicato alle citta' metropolitane, cui si rinvia, le "zone omogenee" delle citta' metropolitane possono rappresentare un utile riferimento per i comuni del territorio ai fini dell'analisi del contesto esterno e della predisposizione del PTPC. Analogamente, le province possono fornire un supporto agli enti locali che ricadono nel relativo ambito territoriale, come precisato al § 3.1. Una specifica misura di semplificazione e' stata introdotta dall'art. 6, co. 6, del decreto del Ministero dell'Interno del 25 settembre 2015 «Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte degli uffici della pubblica amministrazione» secondo cui gli enti locali con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti possono individuare un unico soggetto quale "gestore comune" delle segnalazioni di operazioni sospette. Nel rinviare alla parte generale § 5.2, si ricorda che gli enti possono decidere di attribuire tale incarico al RPCT che, in questo caso, puo' coincidere con il RPCT dell'unione di comuni o, comunque, in un RPCT dei comuni che abbiano deciso di stipulare una convenzione o un accordo ai sensi dell'art. 15 della l. 241/1990. Particolari modalita' semplificate per l'attuazione degli obblighi di trasparenza da parte dei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, previste nell'art. 3, co. 1-ter, del d.lgs. 33/2013, introdotto dal d.lgs. 97/2016, saranno oggetto di specifiche Linee guida dell'Autorita'. Ai fini della semplificazione si rammenta, comunque, la possibilita' di assolvere l'obbligo di pubblicazione anche mediante un link ad altro sito istituzionale ove i dati e le informazioni siano gia' pubblicati. 5. Coordinamento fra gli strumenti di programmazione La legge 190/2012, prevede che «l'organo di indirizzo definisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costituiscono contenuto necessario dei documenti di programmazione strategico-gestionale e del Piano triennale per la prevenzione della corruzione» (art. 1, co. 8, come sostituito dal d.lgs. 97/2016). Si ribadisce, pertanto, come anche gia' evidenziato nel § 5.1 della parte generale, la necessita' che il PTPC contenga gli obiettivi strategici in materia di prevenzione e di trasparenza fissati dagli organi di indirizzo. Tali obiettivi devono altresi' essere coordinati con quelli previsti in altri documenti di programmazione strategico-gestionale adottati dai comuni ivi inclusi, quindi, piano della performance e documento unico di programmazione (di seguito DUP). Quest'ultimo, nuovo documento contabile introdotto dal d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (successivamente integrato con il d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126), e' stato adottato dalla generalita' degli enti locali a partire dal 2015. Si propone che tra gli obiettivi strategici e operativi di tale strumento, una volta entrato a regime, vengano inseriti quelli relativi alle misure di prevenzione della corruzione previsti nel PTPC al fine di migliorare la coerenza programmatica e l'efficacia operativa degli strumenti. In prospettiva, piu' che un coordinamento ex post tra i documenti esistenti, che comunque costituisce un obiettivo minimale, maggiore efficacia potra' ottenersi dall'integrazione ex ante degli strumenti di programmazione. Nel contesto di un percorso di allineamento temporale tra i due documenti - DUP e PTPC- che richiede un arco temporale maggiore, come prima indicazione operativa in sede di PNA 2016 si propone, dunque, di inserire nel DUP quantomeno gli indirizzi strategici sulla prevenzione della corruzione e sulla promozione della trasparenza ed i relativi indicatori di performance. II - CITTA' METROPOLITANE Premessa La finalita' del presente approfondimento e' quella di fornire, anche sulla base delle esperienze concrete, indicazioni operative alle citta' metropolitane per la predisposizione e gestione delle misure di prevenzione della corruzione, definendo altresi' competenze e responsabilita' nell'adozione dei PTPC. 1. Valutazione dei PTPC delle citta' metropolitane L'esame condotto dall'ANAC sui PTPC delle citta' metropolitane ha evidenziato, nel complesso, un allineamento con gli esiti della valutazione dei PTPC 2016 a livello nazionale come descritti nel §2 della parte generale del presente PNA alla quale si rinvia. Si evidenzia, tuttavia, quale specifico elemento positivo riscontrato nei PTPC delle citta' metropolitane una buona articolazione delle aree di rischio e delle misure di carattere generale cui non corrisponde, pero', un'adeguata mappatura dei processi. Quali principali criticita' si evidenziano, invece, l'assenza di partecipazione degli organi di indirizzo politico-amministrativo ai processi di adozione dei PTPC e uno scarso coinvolgimento degli stakeholders. Si e' altresi' rilevato che e' stata dedicata grande attenzione alla ricognizione delle fonti normative e del processo di subentro delle citta' metropolitane alle province, in ragione del contesto plurilaterale nel quale tali enti vengono ad inserirsi, quali organismi intermedi tra la regione e i comuni. Cio' impone di considerare sia la complessita' nel riparto delle funzioni, dovuta alla concorrenza tra previsioni statali e regionali, sia l'articolazione delle strutture, tenuto conto della possibile presenza di convenzioni tramite le quali, ai sensi della l. 56/2014, i comuni e le loro unioni possono avvalersi di strutture della citta' metropolitana per l'esercizio di specifiche attivita' oppure delegare il predetto esercizio a strutture della citta' metropolitana e viceversa. Nel presente PNA sono formulate, pertanto, alcune linee di indirizzo con particolare riferimento a: - relazione tra citta' metropolitane e altri enti territoriali (regione, comune capoluogo, comuni del territorio metropolitano) al fine di individuare le aree e i processi da valutare per la gestione del rischio; - individuazione dell'organo cui compete l'adozione del PTPC; - individuazione del RPCT della citta' metropolitana; - contenuti principali del PTPC; - obblighi di trasparenza. 2. Rapporto citta' metropolitane ed enti territoriali (regione, comune capoluogo, comuni del territorio) 2.1 Rapporto tra citta' metropolitana e regione per identificare le funzioni e i relativi processi da mappare nei PTPC Come e' noto, ai sensi della l. 56/2014 ed alla luce dell'accordo tra governo e regioni dell'11 settembre 2014, le regioni possono attribuire funzioni alle citta' metropolitane, mediante leggi di riordino delle funzioni delegate o trasferite. Tuttavia, allo stato attuale, mentre sono state approvate le leggi regionali, non risultano complessivamente adottati i conseguenti accordi attuativi volti a disciplinare l'effettiva decorrenza del trasferimento delle funzioni, le modalita' operative, l'entita' dei beni, delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative destinate dalla citta' metropolitana all'esercizio di ogni singola funzione. Il d.P.C.M. 26 settembre 2014, «Criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali», prevede che le amministrazioni interessate (provincia ed ente subentrante) concordino il trasferimento dei beni e delle risorse connesse alle funzioni. Il rapporto tra citta' metropolitana e regione di riferimento e' stato, pertanto, indagato al fine di enucleare il criterio che possa consentire di individuare, a prescindere dall'incompletezza dei percorsi formali di attribuzioni di deleghe e funzioni, quali siano le funzioni che la citta' metropolitana deve considerare ai fini della mappatura delle aree a rischio e della predisposizione delle misure di prevenzione della corruzione. In primo luogo va ribadito che i PTPC delle citta' metropolitane contengono necessariamente misure di prevenzione della corruzione con riguardo alle funzioni fondamentali specificamente individuate dall'art.1, commi da 44 a 46, della l. 56/2014. Inoltre, ove l'ente territoriale citta' metropolitana si ponga in qualita' di ente che succede o subentra ad altro ente territoriale (es. province), le misure di prevenzione dovranno riguardare anche le funzioni acquisite a seguito del subentro o trasferimento dei compiti, secondo il criterio indicato con Comunicato del Presidente dell'Autorita' del 16 dicembre 2015 (16). Il medesimo criterio puo' essere richiamato per le funzioni delegate dalle regioni o dalle stesse, viceversa, acquisite a seguito di specifica normativa regionale. Pertanto, le predette funzioni devono ritenersi oggetto della programmazione delle misure di prevenzione della corruzione da parte del soggetto/amministrazione che direttamente le esercita in virtu' di delega e/o attribuzione. Per esercizio della funzione deve intendersi l'espletamento della medesima, con conseguente gestione delle relative risorse umane e finanziarie. L'indicazione del presente PNA e' dunque nel senso che, per individuare l'ente territoriale (citta' metropolitana o regione) cui spetta considerare la funzione e i relativi processi ai fini della predisposizione del PTPC, il criterio da utilizzare e' quello dell'esercizio effettivo della funzione anche in virtu' di delega e/o attribuzione, criterio che prevale su quello della mera titolarita' della medesima. Per quanto riguarda la data certa di decorrenza del criterio indicato, si considerano esercitate tutte le funzioni svolte in virtu' di delega e/o attribuzione alla data del 31 dicembre di ogni anno relativo al triennio considerato nel PTPC, ancorche' le medesime siano esercitate per frazione di anno, ossia solo per una parte dell'anno o degli anni considerati nel PTPC, e fermo restando che ove la citta' metropolitana preveda di cessare l'esercizio della funzione nel corso dell'anno deve farne menzione nel PTPC, indicando la procedura di trasferimento e l'ente subentrante che, ai fini del proprio PTPC considerera' la funzione nell'anno successivo. La presenza di tale indicazione nel PTPC e' necessaria per circoscrivere e ricondurre il sistema della responsabilita' all'effettivo periodo di esercizio della funzione. Gli enti subentranti (siano essi la regione o viceversa la citta' metropolitana) devono individuare nei propri PTPC le misure di prevenzione della corruzione relative a dette funzioni dal momento dell'effettivo trasferimento dell'esercizio della funzione. Cio' allo scopo di evitare adempimenti meramente temporanei e agevolare la riorganizzazione in corso. Nel caso in cui i processi di trasferimento e riallocazione delle funzioni, attualmente in atto, determinassero situazioni, transitorie ma rilevanti, di "esercizio contiguo" delle funzioni gestite dalla citta' metropolitana e di quelle gestite dalla regione - che si verifica quando il personale, rispettivamente incardinato nei diversi enti, lavora a stretto contatto e/o anche nelle stesse strutture - deve essere dedicata particolare attenzione alle possibili conseguenze dell'interferenza e dei contatti del personale che opera nei diversi uffici, individuando nei PTPC adeguate condizioni organizzative e misure per evitare fenomeni di maladministration. Con riferimento, inoltre, all'aspetto della gestione del personale che, per effetto di distacchi o comandi, dovesse transitare da un ente all'altro, dovra' essere data adeguata evidenza nel PTPC di tali passaggi e dei criteri adottati, fermo restando che la mappatura della funzione, cui il personale viene addetto, segue il criterio sopra indicato. 2.2 Rapporto tra citta' metropolitana e comune capoluogo al fine di favorire forme di coordinamento per la predisposizione dei rispettivi PTPC Comune capoluogo e citta' metropolitana si trovano a svolgere funzioni che richiedono un elevato livello di condivisione reciproca che puo' dare luogo ad accordi tra le due amministrazioni volti al mero coordinamento nello svolgimento delle rispettive funzioni oppure alla costituzione di uffici comuni al fine di garantire un esercizio congiunto. Queste soluzioni organizzative possono esser favorite dall'ampiezza del potere statutario lasciato alle citta' metropolitane, come risulta dalle disposizioni di cui ai commi 10 e 11 dell'art. 1 della l. 56/2014. In ordine a quanto sopra evidenziato si forniscono indicazioni volte a favorire la predisposizione coordinata di alcune parti dei PTPC di citta' metropolitana e comune capoluogo. In primo luogo possono esser valorizzati gli accordi di cui all'art. 15 della l. 241/1990 o le convenzioni tra enti locali di cui all'art. 30 del TUEL, con i quali comune capoluogo e citta' metropolitana stabiliscono congiuntamente modalita' operative per l'esercizio delle attivita' comuni. Tali accordi/convenzioni, infatti, possono essere utilizzati per definire insieme mappature di processi condivisi, misure preventive della corruzione nonche' modalita' di ripartizione delle responsabilita' di attuazione. In ogni caso deve essere data evidenza, nei rispettivi PTPC, della presenza di tali accordi o convenzioni e del loro specifico contenuto in materia di anticorruzione. Le modalita' di collaborazione tra citta metropolitana e comune capoluogo potranno essere diverse, comprendendo diversi livelli organizzativi e riguardando decisioni ed attivita' differenti, in ragione delle diversita' territoriali e delle forme di collaborazione prescelte. Pertanto, di volta in volta, le amministrazioni interessate dovranno verificare l'adeguatezza e l'efficacia del modello organizzativo adottato rispetto all'individuazione di attivita' specifiche legate all'anticorruzione. In ordine ai contenuti di tali accordi/convenzioni ai fini della predisposizione dei PTPC, e' opportuno che i medesimi abbiano ad oggetto, quantomeno, l'analisi del contesto esterno vista la condivisione del medesimo contesto territoriale nonche' alcuni aspetti dell'analisi di contesto interno, della mappatura dei processi ed altri aspetti, quali la eventuale condivisione di strutture, personale ed uffici. 2.3 Rapporto tra citta' metropolitana e piccoli comuni del territorio, per coordinare e semplificare l'attivita' di elaborazione dei rispettivi PTPC L'analisi degli statuti di alcune citta' metropolitane ha evidenziato la previsione di forme di assistenza tecnico amministrativa in generale e in materia di prevenzione della corruzione e promozione della trasparenza in particolare, nei confronti di comuni ed unioni di comuni del territorio. Con riferimento al predetto livello di interazione, e premesso il ruolo di coordinamento degli strumenti di programmazione e pianificazione che la l. 56/2014 attribuisce alle citta' metropolitane, il PTPC della citta' metropolitana potrebbe contenere, sulla base di specifiche modalita' organizzative e di coinvolgimento dei RPCT del territorio, elementi di impulso e di indirizzo per i PTPC dei comuni e/o unioni di comuni ricadenti nel territorio di riferimento. Nel fare cio', e' auspicabile che i PTPC delle citta' metropolitane forniscano indicazioni adeguate - e dunque se del caso opportunamente differenziate - in relazione ad aree omogenee nelle quali puo' essere articolato il territorio di riferimento, sulla base degli elementi desunti dalla condivisione metodologica con i RPCT del territorio stesso. A titolo esemplificativo si fa riferimento alla possibilita' che la citta' metropolitana valorizzi la cooperazione funzionale, promuovendo la costituzione di "zone omogenee", cioe' di realta' territoriali integrate e gruppi di comuni con caratteristiche omogenee, con i quali strutturare modalita' di confronto, ai fini dell'emersione di esigenze specifiche da considerare nella redazione del PTPC. In questo modo la citta' metropolitana puo', da un lato, promuovere la redazione congiunta di parti di PTPC dei comuni, ivi compresa la configurazione di misure organizzative di prevenzione della corruzione analoghe, fermo restando che ogni misura e' poi effettivamente adottata da ciascun comune, in rapporto alla propria realta' organizzativa. Dall'altro lato, la citta' metropolitana puo' fornire supporto ai comuni che per ridotte dimensioni o altri motivi, eventualmente anche legati a profili di inefficienza allo stato non superati, non dovessero associarsi per la redazione del PTPC. In un contesto cosi' organizzato, l'apporto collaborativo delle citta' metropolitane nei confronti dei comuni del territorio, specie di quelli di ridotte dimensioni, puo' tradursi nell'istituzione di un tavolo di confronto e/o una consulta tra i RPCT dei comuni, i responsabili delle aree omogenee e il RPCT della citta' metropolitana, ovvero loro appositi referenti con il compito di individuare buone pratiche e programmare attivita', come, ad esempio: - analisi congiunta del contesto esterno, anche in raccordo con le Prefetture, al fine di individuare gli elementi di criticita' e di omogeneizzare l'analisi e i fattori critici del contesto; - individuazione delle aree comuni di rischio proprie delle singole amministrazioni, anche per "zone omogenee", sulla base dell'analisi del contesto interno dei singoli PTPC adottati dagli enti, al fine di proporre piu' efficaci misure di prevenzione (risk assessment); - individuazione e proposta di buone pratiche, non in termini generali, ma di carattere specifico all'esito di un confronto concreto tra le diverse realta' territoriali e la condivisione delle analisi. Altri interventi possono realizzarsi mediante la gestione congiunta a livello territoriale di alcune misure di carattere generale, quali, ad esempio, la formazione prevista obbligatoriamente in materia di trasparenza e anticorruzione, suddivisa, ad esempio, nei diversi profili (tecnico, amministrativo, operativo, ecc.), anche al fine di valorizzare economie di scala e di garantire un livello di qualita' adeguato alla formazione, con risorse finanziarie in proporzione a carico dei rispettivi enti. Quanto sopra, fermo restando il permanere della responsabilita', ai sensi della l. 190/2012, in capo a ciascun ente e, al proprio interno, in capo ai diversi soggetti che intervengono nella fase di predisposizione, adozione, attuazione e monitoraggio dei PTPC. 3. Individuazione dell'organo di indirizzo che adotta il PTPC L'art. 1, co. 8 della l. 190/2012, come sostituito dall'art. 41, co. 1, lett. g), del d.lgs. 97/2016, prevede che negli enti locali il PTPC sia adottato dalla Giunta, quindi da un organo esecutivo. Attesa l'assenza di Giunta nelle citta' metropolitane, si ritiene che l'adozione del PTPC debba, di norma, prevedere un doppio passaggio: l'approvazione da parte del consiglio metropolitano di un documento di carattere generale sul contenuto del PTPC, mentre l'organo esecutivo, rappresentato dal Sindaco metropolitano, resta competente all'adozione finale, salvo diversa previsione statutaria. Al momento questa indicazione e' confermata dall'analisi dei PTPC delle citta' metropolitane dalla quale e' emerso che nella maggioranza dei casi il Sindaco metropolitano adotta il PTPC. Ne consegue che la responsabilita' in caso di "omessa adozione" si configura in capo all'organo competente all'adozione finale, individuato di norma, salvo diversa disposizione statutaria, nel Sindaco metropolitano. Resta fermo che per omessa adozione si intende tutto quanto evidenziato dall'Autorita' nell'art. 1, lett. g) del «Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell'Autorita' Nazionale Anticorruzione per l'omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di trasparenza, dei Codici di comportamento» del 9 settembre 2014. Quanto previsto sull'organo competente ad adottare il PTPC e' da intendersi riferito anche all'adozione dei codici di comportamento. 4. Nomina del RPCT Fermo restando quanto previsto al § 5.2. della parte generale sui requisiti del RPCT, si ritiene che la sua nomina sia di competenza dello stesso organo di indirizzo che adotta il PTPC, di norma, il Sindaco metropolitano. 5. Obblighi di trasparenza A fini di semplificazione, le citta' metropolitane possono inserire sul proprio sito istituzionale, nella sezione Amministrazione trasparente, link di rinvio a quei dati gia' pubblicati da parte di enti territoriali di dimensione inferiore. Questa circostanza si puo' verificare quando vi e' totale coincidenza, a norma di legge, fra i dati da pubblicare da parte della citta' metropolitana e quelli da parte di altro ente del territorio e sempre che il RPCT della citta' metropolitana abbia verificato la correttezza, la completezza e l'aggiornamento del dato al quale si rinvia. 6. Coordinamento fra gli strumenti di programmazione L'art. 1, co. 8 della l. 190/2012, come sostituito dal d.lgs. 97/2016, prevede che «l'organo di indirizzo definisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costituiscono contenuto necessario dei documenti di programmazione strategico-gestionale e del Piano triennale per la prevenzione della corruzione». Si ribadisce pertanto, come gia' esposto nella parte generale al §5.1. cui si rinvia, la necessita' che il PTPC contenga gli obiettivi strategici in materia di prevenzione e di trasparenza fissati dagli organi di indirizzo. Tali obiettivi devono altresi' essere coordinati con quelli previsti in altri documenti di programmazione strategico-gestionale della citta' metropolitana ivi inclusi, quindi, piano della performance e DUP. In questa ottica si raccomanda che tra gli obiettivi strategici ed operativi del DUP vengano inseriti quelli strategici relativi alle misure di prevenzione della corruzione previsti nel PTPC al fine migliorare la coerenza programmatica e l'efficacia operativa degli strumenti. In prospettiva, piu' che un coordinamento ex post tra i documenti esistenti, che comunque costituisce un obiettivo minimale, maggiore efficacia potra' ottenersi dall'integrazione ex ante degli strumenti di programmazione. Nel contesto di un percorso di allineamento temporale tra i due documenti - DUP e PTPC- che richiede un arco temporale maggiore, come prima indicazione operativa in sede di PNA 2016 si propone, dunque, di inserire nel DUP quantomeno gli indirizzi strategici sulla prevenzione della corruzione e sulla promozione della trasparenza ed i relativi indicatori di performance. III - ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI Premessa Gli ordini e i collegi professionali sono tenuti a osservare la disciplina in materia di trasparenza e di prevenzione della corruzione nonche' gli orientamenti del presente PNA, secondo quanto previsto dal d.lgs. 97/2016 ed, in particolare, dagli artt. 3, 4 e 41 che hanno modificato, rispettivamente gli artt. 2 e 3 del d.lgs. 33/2013 e, tra l'altro, l'art. 1 c. 2 della l. 190/2012. Con particolare riguardo alla trasparenza, l'art. 2-bis del d.lgs. 33/2013 al comma 2 precisa che la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni si applica anche agli ordini professionali, in quanto compatibile. Premessi i limiti di compatibilita' indicati, non sussistono pertanto piu' dubbi che gli ordini professionali rientrino nel novero dei soggetti tenuti a conformarsi al d.lgs. 33/2013. A tale riguardo, peraltro, all'Autorita' e' stato attribuito il potere di precisare, in sede di PNA gli obblighi di pubblicazione e le relative modalita' di attuazione in relazione alla natura dei soggetti, alla loro dimensione organizzativa e alle attivita' svolte, prevedendo in particolare modalita' semplificate anche per gli organi e collegi professionali (co.1-ter, inserito all'art. 3, d.lgs. 33/13). Analogamente, agli ordini e ai collegi professionali si applica la disciplina prevista dalle l. 190/2012 sulle misure di prevenzione della corruzione. In virtu' delle modifiche alla l. 190/2012, si evince che il PNA costituisce atto di indirizzo per i soggetti di cui all'art. 2 bis del d.lgs. 33/13, ai fini dell'adozione dei PTPC o delle misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del d.lgs 8 giugno 2001, n. 231 (co. 2-bis, inserito all'art. 1 della l. 190/2012). Alla luce di quanto premesso, al fine di orientare l'attivita' degli ordini e dei collegi professionali di livello centrale e territoriale, di seguito sono approfondite le seguenti questioni relative a profili di tipo organizzativo e di gestione del rischio: > RPCT e adozione del PTPC e delle misure di prevenzione della corruzione; > aree di rischio specifiche che caratterizzano gli ordini e collegi professionali; > trasparenza di cui al d.lgs. 33/2013. 1. Responsabile della prevenzione della corruzione e adozione del PTPC e di misure di prevenzione della corruzione 1.1 Responsabile della Prevenzione della corruzione e della trasparenza La legislazione anticorruzione ha attribuito particolare rilevanza al ruolo del RPCT. Per quanto attiene alla specifica realta' degli ordini e collegi professionali, si ritiene che il RPCT debba essere individuato all'interno di ciascun Consiglio nazionale, ordine e collegio professionale (sia a livello centrale che a livello locale). Piu' in particolare, l'organo di indirizzo politico individua il RPCT, di norma, tra i dirigenti amministrativi in servizio. Occorre sottolineare, al riguardo, che Ordini e Collegi non necessariamente dispongono di personale con profilo dirigenziale. In tali casi, si pone pertanto, il problema dell'individuazione del soggetto al quale affidare il ruolo di RPCT. Rinviando al § 5.2. della parte generale per le questioni di inquadramento complessivo, si evidenzia che nelle sole ipotesi in cui gli ordini e i collegi professionali siano privi di dirigenti, o questi siano in numero cosi' limitato da dover essere assegnati esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo, circostanze che potrebbero verificarsi in strutture organizzative di ridotte dimensioni, il RPCT potra' essere individuato in un profilo non dirigenziale che garantisca comunque le idonee competenze. Solo in via residuale e con atto motivato, il RPCT potra' coincidere con un consigliere eletto dell'ente, purche' privo di deleghe gestionali. In tal senso, dovranno essere escluse le figure di Presidente, Consigliere segretario o Consigliere tesoriere. In questi casi, e' auspicabile, al fine di prevedere forme di responsabilita' collegate al ruolo di RPCT, che i Consigli nazionali, gli ordini e collegi territoriali - nell'impossibilita' di applicare le responsabilita' previste dalla l. 190/2012 ai consiglieri - definiscano e declinino forme di responsabilita' almeno disciplinari, ai fini delle conseguenze di cui alla predetta legge, con apposite integrazioni ai propri codici deontologici. 1.2 Predisposizione del PTPC e delle misure di prevenzione della corruzione L'art. 41 del d.lgs. 97/2016, nell'introdurre l'art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012, sembrerebbe ricondurre gli ordini e i collegi professionali fra quei soggetti cui spetta l'adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (art. 1, co. 2-bis l. 190/2012). Tuttavia, tenuto conto dell'ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 231/2001 e considerato che non necessariamente il modello ivi previsto e' applicabile da parte degli ordini e dei collegi professionali, di norma gli stessi adottano un PTPC. In via residuale, qualora gli enti decidano di adottare o abbiano gia' adottato un modello ai sensi del d.lgs. 231/2001, e' necessario che le misure idonee a prevenire anche i fenomeni di corruzione e di illegalita' all'interno dell'ente in coerenza con le finalita' della l. 190/2012 siano ricondotte all'interno di un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell'aggiornamento annuale e della vigilanza dell'A.N.AC.. Separate considerazioni vanno svolte, laddove ordini e collegi professionali siano di dimensioni limitate e non siano dotati di pianta organica sufficiente ad implementare la normativa anticorruzione in maniera sostenibile per insufficienza di struttura organizzativa o limitato numeri di iscritti. Al riguardo, deve ragionevolmente riconoscersi la possibilita' per gli ordini e collegi "di piccole dimensioni" di stipulare accordi ai sensi dell'art. 15 della l. 241/90, purche' essi risultino comunque appartenenti ad aree territorialmente limitrofe e siano appartenenti alla medesima categoria professionale o a categorie professionali omogenee. Questa indicazione e', peraltro, coerente con quanto previsto nel d.lgs. 97/2016 in cui si esprime favore per l'aggregazione di enti di piccole dimensioni al fine della predisposizione del PTPC. La definizione di accordi tra ordini e collegi professionali, che consente di procedere alla redazione in comune di alcune parti del documento, non esime i singoli enti dalla nomina di un proprio RPCT e dall'adozione del PTPC o, comunque, di misure di prevenzione della corruzione. Ad esempio, potranno essere redatte in comune dagli ordini o collegi le parti del PTPC relative alla descrizione del contesto esterno di riferimento e, per i processi dello stesso tipo, anche del contesto interno. In quest'ultimo caso, le mappature dei processi a rischio di corruzione possono avere lo stesso contenuto nei singoli PTPC, ad eccezione della individuazione delle misure di prevenzione (ivi inclusi i responsabili, i tempi e le modalita' di attuazione), che dovranno necessariamente essere adeguate alle peculiarita' specifiche di ciascun ente. E' auspicabile che ciascun Consiglio nazionale supporti i collegi e gli ordini territoriali nella predisposizione dei PTPC o delle misure di prevenzione della corruzione, al fine di migliorare la mappatura dei processi e la progettazione delle misure di prevenzione della corruzione. Ad esempio possono essere rese disponibili Linee guida e atti di indirizzo ovvero diffusi, a livello territoriale, alcuni contenuti-tipo dei PTPC, a cui gli ordini e collegi possono fare riferimento, ferma restando la necessita' di un indispensabile adeguamento dei contenuti, in particolare quanto alle misure concretamente adottate, alle specifiche realta' dei singoli enti. 1.3 Organo che adotta il PTPC o le misure di prevenzione della corruzione Secondo quanto previsto dalla l. 190/2012, il PTPC e' adottato dall'organo di indirizzo (art. 1, co. 8). Negli ordini e nei collegi professionali, l'organo in questione e' individuato nel Consiglio. Questa indicazione rileva anche ai fini dell'eventuale potere sanzionatorio che ANAC puo' esercitare ai sensi dell'art. 19, co. 5, del d.l. 90/2014. Tuttavia, per la specificita' degli ordini professionali, e' raccomandata una consapevole partecipazione e confronto del Consiglio con il RPCT ed, eventualmente, con l'Assemblea degli iscritti. 2. Esemplificazione di aree di rischio specifiche negli ordini e collegi professionali Da una prima analisi delle funzioni svolte dagli ordini e collegi territoriali, cosi' come dai Consigli nazionali delle professioni, e' stato possibile individuare tre macro-aree di rischio specifiche. Per ciascuna area sono state individuate, a titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustivita', le attivita' a piu' elevato rischio di corruzione nonche' esempi di eventi rischiosi e di misure di prevenzione. Nondimeno, si sottolinea che le indicazioni contenute nel presente documento presuppongono la consapevolezza delle diversita' di discipline esistenti fra i vari ordinamenti professionali. Inoltre, l'individuazione dei processi a rischio, degli eventi rischiosi e delle misure di prevenzione dovra' poi essere necessariamente contestualizzata nei PTPC dei singoli organismi, alla luce delle peculiarita' ordinamentali e disciplinari delle diverse professioni. Si premette che si e' ritenuto, in questa fase, di escludere le attivita' riconducibili alla funzione giurisdizionale propria di alcuni Consigli nazionali (fra cui quelli degli ingegneri, degli architetti e dei geometri), in quanto si tratta di attivita' di natura non amministrativa, che i Consigli espletano nella loro qualita' di giudice speciale, in conformita' con i poteri loro espressamente conferiti dalla VI Disposizione transitoria e finale della Costituzione (cfr. sul tema la relazione illustrativa al d.p.r. 7 agosto 2012, n. 137, recante «Riforma degli Ordinamenti Professionali»). Lo stesso vale per i procedimenti disciplinari condotti a livello territoriale, per i quali la recente riforma degli ordinamenti professionali ha previsto l'istituzione dei Consigli di disciplina territoriale, quali organi locali, «diversi da quelli aventi funzioni amministrative», ai quali affidare «l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari», prevedendo altresi' l'incompatibilita' tra la carica di consigliere dell'ordine e quella di membro dei Consigli di disciplina stessi (cfr. art. 3, co. 5, lett. f), decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, come convertito in legge 14 settembre 2011, n. 11). Ai sensi del d.p.r. 137/2012, infatti, la funzione disciplinare viene svolta da consiglieri di disciplina individuati tramite candidature proposte dall'ordine, in numero pari al doppio dei componenti da nominare, e designati dal Presidente del Tribunale in base a tale elenco (art. 8). Fermi restando ulteriori approfondimenti o analisi condotte necessariamente dai singoli enti, di seguito si riporta una prima individuazione esemplificativa delle aree di rischio specifiche: > formazione professionale continua; • rilascio di pareri di congruita' (nell'eventualita' dello svolgimento di tale attivita' da parte di ordini e collegi territoriali in seguito all'abrogazione delle tariffe professionali); > indicazione di professionisti per l'affidamento di incarichi specifici. Per ciascuna delle tre aree di rischio si riportano di seguito, in via esemplificativa e non esaustiva, un elenco di processi a rischio, eventi corruttivi e misure di prevenzione. Si ribadisce che l'adozione di queste ultime richiede necessariamente una valutazione alla luce della disciplina dei singoli ordini e collegi professionali e l'effettiva contestualizzazione in relazione alle caratteristiche e alle dimensioni dei singoli ordini e collegi. 2.1 Formazione professionale continua La fonte di disciplina della formazione professionale continua e' il Regolamento per l'aggiornamento della competenza professionale emanato dai singoli Consigli nazionali ex art. 7, co. 3, d.p.r. 137/2012 ed eventuali linee di indirizzo/linee guida per l'applicazione dello stesso. Ciascun ordinamento professionale ha, infatti, provveduto all'emanazione di un proprio regolamento in materia di formazione, previo parere favorevole del Ministero vigilante. Per il trattamento di questa specifica area di rischio, si e' concentrata l'attenzione sulla corretta identificazione dei processi e sulla corrispondente individuazione del rischio e delle connesse misure di prevenzione, di cui si riporta un elenco esemplificativo. In particolare ci si e' soffermati sui seguenti processi rilevanti: • esame e valutazione, da parte dei Consigli nazionali, della domanda di autorizzazione degli "enti terzi" diversi dagli ordini e collegi, erogatori dei corsi di formazione (ex art. 7, co. 2, d.p.r. 137/2012); • esame e valutazione delle offerte formative e attribuzione dei crediti formativi professionali (CFP) agli iscritti; • vigilanza sugli "enti terzi" autorizzati all'erogazione della formazione ai sensi dell'art. 7, co. 2, d.p.r. 137 del 2012, svolta in proprio da parte dei Consigli nazionali o dagli ordini e collegi territoriali; • organizzazione e svolgimento di eventi formativi da parte del Consiglio nazionale e degli ordini e collegi territoriali. Possibili eventi rischiosi: > alterazioni documentali volte a favorire l'accreditamento di determinati soggetti; • mancata valutazione di richieste di autorizzazione, per carenza o inadeguatezza di controlli e mancato rispetto dei regolamenti interni; > mancata o impropria attribuzione di crediti formativi professionali agli iscritti; > mancata o inefficiente vigilanza sugli "enti terzi" autorizzati all'erogazione della formazione; • inefficiente organizzazione e svolgimento delle attivita' formative da parte del Consiglio nazionale e/o degli ordini e collegi territoriali. Possibili misure • controlli a campione sull'attribuzione dei crediti ai professionisti, successivi allo svolgimento di un evento formativo, con verifiche periodiche sulla posizione complessiva relativa ai crediti formativi degli iscritti; • introduzione di adeguate misure di pubblicita' e trasparenza legate agli eventi formativi dei Consigli nazionali e degli ordini e collegi professionali, preferibilmente mediante pubblicazione - nel sito internet istituzionale dell'ente organizzatore - dell'evento e degli eventuali costi sostenuti; • controlli a campione sulla persistenza dei requisiti degli "enti terzi" autorizzati all'erogazione della formazione. 2.2 Adozione di pareri di congruita' sui corrispettivi per le prestazioni professionali La fonte della disciplina di questa attivita' e' contenuta nell'art. 5, n. 3), legge 24 giugno 1923 n. 1395, nell'art. 636 c.p.c. e nell'art. 2233 c.c. Nonostante l'abrogazione delle tariffe professionali, ad opera del d.l. 1/2012 (come convertito dalla l. 27/2012), sussiste ancora la facolta' dei Consigli degli ordini territoriali di esprimersi sulla «liquidazione di onorari e spese» relativi alle prestazioni professionali, avendo la predetta abrogazione inciso soltanto sui criteri da porre a fondamento della citata procedura di accertamento. Il parere di congruita' resta, quindi, necessario per il professionista che, ai sensi dell'art. 636 c.p.c., intenda attivare lo strumento "monitorio" della domanda di ingiunzione di pagamento, per ottenere quanto dovuto dal cliente, nonche' per il giudice che debba provvedere alla liquidazione giudiziale dei compensi, ai sensi dell'art. 2233 c.c.. Il parere di congruita', quale espressione dei poteri pubblicistici dell'ente, e' riconducibile nell'alveo dei provvedimenti di natura amministrativa, necessitando delle tutele previste dall'ordinamento per tale tipologia di procedimenti. Pertanto, nell'eventualita' dello svolgimento della predetta attivita' di valutazione da parte degli ordini o collegi territoriali, possono essere considerati i seguenti eventi rischiosi e misure preventive: Possibili eventi rischiosi • incertezza nei criteri di quantificazione degli onorari professionali; > effettuazione di una istruttoria lacunosa e/o parziale per favorire l'interesse del professionista; • valutazione erronea delle indicazioni in fatto e di tutti i documenti a corredo dell'istanza e necessari alla corretta valutazione dell'attivita' professionale. Possibili misure • necessita' di un regolamento interno in coerenza con la l. 241/1990, ove non gia' adottato in base all'autonomia organizzativa degli enti, che disciplini la previsione di: a) Commissioni da istituire per le valutazioni di congruita'; b) specifici requisiti in capo ai componenti da nominare nelle Commissioni; c) modalita' di funzionamento delle Commissioni; • rotazione dei soggetti che istruiscono le domande; • organizzazione delle richieste, raccolta e rendicontazione, su richiesta, dei pareri di congruita' rilasciati anche al fine di disporre di parametri di confronto, eventualmente e se sostenibile, con una adeguata informatizzazione, nel rispetto della normativa in materia di tutela della riservatezza dei dati personali. 2.3 Indicazione di professionisti per lo svolgimento di incarichi L'area di rischio riguarda tutte le ipotesi in cui gli ordini sono interpellati per la nomina, a vario titolo, di professionisti ai quali conferire incarichi. Tra le varie fonti di disciplina vi e' il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», che prevede, in relazione alle attivita' di collaudo statico, ad esempio, che «Quando non esiste il committente ed il costruttore esegue in proprio, e' fatto obbligo al costruttore di chiedere, anteriormente alla presentazione della denuncia di inizio dei lavori, all'ordine provinciale degli ingegneri o a quello degli architetti, la designazione di una terna di nominativi fra i quali sceglie il collaudatore» (art. 67, co. 4). Vi sono, poi, altri casi in cui normative di settore prevedono ipotesi in cui soggetti pubblici o privati possono rivolgersi agli ordini e collegi territoriali al fine di ricevere un'indicazione sui professionisti iscritti agli albi o registri professionali cui affidare determinati incarichi. Possibili eventi rischiosi Nelle ipotesi sopra descritte e negli altri casi previsti dalla legge, gli eventi rischiosi attengono principalmente alla nomina di professionisti - da parte dell'ordine o collegio incaricato - in violazione dei principi di terzieta', imparzialita' e concorrenza. Tale violazione puo' concretizzarsi, ad esempio, nella nomina di professionisti che abbiamo interessi personali o professionali in comune con i componenti dell'ordine o collegio incaricato della nomina, con i soggetti richiedenti e/o con i destinatari delle prestazioni professionali, o di professionisti che siano privi dei requisiti tecnici idonei ed adeguati allo svolgimento dell'incarico. Possibili misure Le misure preventive potranno, pertanto, essere connesse all'adozione di criteri di selezione di candidati, tra soggetti in possesso dei necessari requisiti, mediante estrazione a sorte in un'ampia rosa di professionisti (come avviene per la nomina dei componenti delle commissioni di collaudo). E' di fondamentale importanza, inoltre, garantire la trasparenza e la pubblicita' delle procedure di predisposizione di liste di professionisti, ad esempio provvedendo alla pubblicazione di liste on-line o ricorrendo a procedure di selezione ad evidenza pubblica, oltre che all'assunzione della relativa decisione in composizione collegiale da parte dell'ordine o del collegio interpellato. Qualora l'ordine debba conferire incarichi al di fuori delle normali procedure ad evidenza pubblica, sono auspicabili le seguenti misure: • utilizzo di criteri di trasparenza sugli atti di conferimento degli incarichi; • rotazione dei soggetti da nominare; • valutazioni preferibilmente collegiali, con limitazioni delle designazioni dirette da parte del Presidente, se non in casi di urgenza; • se la designazione avviene da parte del solo Presidente con atto motivato, previsione della successiva ratifica da parte del Consiglio; • verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse nei confronti del soggetto che nomina il professionista a cui affidare l'incarico richiesto, del professionista designato, dei soggetti pubblici o privati richiedenti, del soggetto destinatario delle prestazioni professionali; • eventuali misure di trasparenza sui compensi, indicando i livelli piu' alti e piu' bassi dei compensi corrisposti, nel rispetto della normativa dettata in materia di tutela della riservatezza dei dati personali. 3. Trasparenza ai sensi del d.lgs. 33/2013 Chiarita la diretta applicabilita' agli ordini e collegi professionali della disciplina contenuta nel d.lgs. 33/2013, in quanto compatibile, secondo quanto gia' rilevato in premessa, l'Autorita' adottera', come gia' chiarito nella parte generale al § 7.1., specifiche Linee guida volte a fornire indicazioni per l'attuazione della normativa in questione, da considerare parte integrante del presente PNA. Saranno, pertanto, forniti chiarimenti in ordine al criterio della "compatibilita'" e ai necessari adattamenti degli obblighi di trasparenza in ragione delle peculiarita' organizzative e dell'attivita' svolta dagli ordini e collegi professionali, in linea con quanto l'Autorita', per i principali obblighi, ha gia' dettagliato per le societa' pubbliche e gli altri enti di diritto privato con determinazione n. 8/2015. IV - ISTITUZIONI SCOLASTICHE Premessa Tenuto conto delle caratteristiche organizzative e dimensionali del settore dell'istruzione scolastica e delle singole istituzioni, della specificita' e peculiarita' delle funzioni, nonche' della disciplina di settore che caratterizza queste amministrazioni, l'ANAC ha adottato specifiche Linee guida con la delibera n. 430 del 13 aprile 2016 a cui si rinvia integralmente per l'applicazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza nelle istituzioni scolastiche, fatti salvi eventuali adeguamenti degli obblighi, ai sensi del d.lgs. 97/2016, che saranno specificati nelle Linee guida che l'Autorita' si riserva di emanare, secondo quanto previsto al § 7.1 «Trasparenza». 1. Precisazioni in merito al RPCT e ai contenuti dei PTPC in relazione al d.lgs. 97/2016 A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 97/2016 al d.lgs. 33/2013 e alla l. 190/2012 relativamente all'unicita' della figura del RPC e del RT, le funzioni di RPC e RT sono attribuite al Direttore dell'Ufficio scolastico regionale, o per le regioni in cui e' previsto, al Coordinatore regionale. In attuazione delle nuove disposizioni normative, si ribadisce, come gia' indicato nella parte generale del presente PNA al § 5.2. lett. a), che e' necessaria la formalizzazione, con apposito atto dell'organo di indirizzo, dell'attribuzione agli attuali RPC anche della responsabilita' sulla trasparenza, con l'indicazione della relativa decorrenza. Quanto ai dirigenti scolastici e' opportuno che nei PTPC gli stessi siano responsabilizzati, in quanto dirigenti, in ordine alla elaborazione e pubblicazione dei dati sui siti web delle istituzioni scolastiche presso cui prestano servizio. Attraverso un loro attivo e responsabile coinvolgimento all'interno del modello organizzativo dei flussi informativi, viene cosi' assicurata la prossimita' della trasparenza rispetto alla comunita' scolastica di riferimento, con la pubblicazione dei dati e delle informazioni previste dalla normativa vigente sui siti delle singole istituzioni scolastiche. Per quanto riguarda i PTPC, a seguito della confluenza dei contenuti del PTTI all'interno del PTPC, a decorrere dal primo aggiornamento ordinario del 31 gennaio 2018, salvo eventuali modifiche anticipate proposte dal RPCT, i PTPC regionali dovranno contenere l'apposita sezione in cui sono indicati i responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei documenti, delle informazioni e dei dati ai sensi del d.lgs. 33/2013, come previsto dall'art. 10, co. 1, del medesimo decreto, come sostituito dal d.lgs. 97/2016. 2. Istituzioni dell'Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) L'Autorita' ha precisato, nelle Linee guida sopra richiamate, che le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, che costituiscono il sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale, applicano le disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza contenute nella l. 190/2012 e nel d.lgs. 33/2013, in quanto equiparabili alle istituzioni universitarie e, quindi, ricomprese nelle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001. Con riguardo alle modalita' attuative della normativa, a seguito di un confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, si precisa che il PTPC delle AFAM e' adottato dal Consiglio di amministrazione quale organo di indirizzo di dette istituzioni e che il RPCT e' individuato nel Direttore dell'istituzione (conservatorio, accademia, ecc.). Tale figura, si ritiene, possieda sia una profonda conoscenza del funzionamento e dell'organizzazione delle istituzioni in parola, e, dunque, dei fattori di rischio presenti nelle relative aree, sia poteri e funzioni idonee a garantire lo svolgimento dell'incarico con autonomia ed effettivita', come richiesto dalla l. 190/2012. V - TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI Premessa La specificita' del settore dei beni e delle attivita' culturali, rispetto ad altri ambiti di attivita' della pubblica amministrazione, risente della peculiarita' e della complessita' dei beni da tutelare, patrimonio non solo dell'Italia, ma di tutta l'umanita'. La scelta di svolgere un approfondimento su questa materia deriva da una pluralita' di ragioni. In primo luogo, si tratta di un ambito di elevata complessita' giuridico-istituzionale, sia perche' nella regolamentazione del patrimonio culturale si intrecciano numerosi profili di diritto pubblico e di diritto privato, sia perche' vengono coinvolti, a vario titolo, tutti i diversi livelli di governo. In secondo luogo, il settore in questione, negli ultimi anni, e' stato oggetto di ripetute riforme legislative e amministrative che hanno interessato, in modo significativo, anche la stessa organizzazione amministrativa del Ministero preposto. In questa prospettiva, l'esemplificazione di eventi rischiosi e misure di prevenzione della corruzione in un contesto di riorganizzazione puo' rappresentare un utile ausilio per le analisi future. In considerazione dell'ampiezza della materia, l'approfondimento, in questa fase, e' stato avviato attraverso l'interlocuzione con il MIBACT, che svolge istituzionalmente a livello nazionale, tramite una fitta rete di uffici periferici (soprintendenze in primis), i compiti di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Le prime aree e attivita' considerate come particolarmente esposte al rischio di eventi corruttivi e di particolare rilevanza sul piano delle funzioni affidate al MIBACT oggetto del presente approfondimento sono: - la verifica di interesse culturale per beni mobili e immobili, inclusi i beni di interesse paesaggistico; - le autorizzazioni all'esportazione e alla circolazione delle opere d'arte e dei beni culturali in genere; - le autorizzazioni paesaggistiche (tutela del paesaggio). Una prima parte dell'approfondimento riguarda aspetti organizzativi relativi alla predisposizione del PTPC e alla nomina del RPCT, anche tenendo conto della diffusa articolazione dell'amministrazione periferica del Ministero. 1. Programmazione delle misure di prevenzione e di trasparenza e nomina del RPCT nel MIBACT Nell'attuale organizzazione del MIBACT, il RPCT e' individuato nella persona del Segretario generale, coadiuvato dai "Referenti per l'anticorruzione" individuati nei Direttori generali centrali e nei Segretari regionali. I referenti per la prevenzione svolgono attivita' informativa nei confronti del Responsabile, affinche' questi abbia elementi e riscontri sull'intera organizzazione e sulle attivita' dell'amministrazione; il RPCT effettua altresi' il costante monitoraggio dell'attivita' svolta dai dirigenti assegnati agli uffici di riferimento, anche in relazione all'adozione di misure gestionali per assicurare la rotazione del personale. La distribuzione capillare sul territorio delle strutture del MIBACT e l'attribuzione delle funzioni di "stazioni appaltanti", attualmente affidate ai Segretariati regionali e agli istituti e musei di rilevante interesse nazionale, tuttavia, fanno nascere l'esigenza di prevenire e contrastare il rischio corruzione a questo livello organizzativo. A tale scopo, il Ministero puo' affidare agli stessi Segretari regionali e ai direttori dei musei di cui all'art. 30, co. 3, del d.p.c.m. 171/2014 il ruolo di RPCT a livello territoriale. In tale ipotesi, questi ultimi sono tenuti a predisporre appositi PTPC coerenti con le indicazioni date a livello centrale con il PTPC del Ministero. 2. Procedimento per la dichiarazione di interesse culturale La scelta di analizzare questo procedimento e' nata da una valutazione degli interessi coinvolti all'interno delle singole fasi istruttorie e decisionali. Si tratta di un procedimento, strutturato su piu' livelli e secondo diverse fattispecie normative delineate all'interno del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), in cui si opera un bilanciamento costante tra interesse del singolo e interesse della collettivita', con provvedimenti finali autoritativi che incidono in modo economicamente rilevante nella sfera giuridica dei singoli, sia persone fisiche che giuridiche. Con l'entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio e' stata infatti introdotta la norma che prevede l'accertamento specifico dell'interesse culturale delle cose appartenenti a soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro (c.d. verifica di interesse culturale), ponendo fine ad un sistema che produceva notevoli incertezze, sia per la sottrazione all'obbligo dell'inserimento in elenchi delle cose mobili e immobili dello Stato - per i quali non era previsto nessun meccanismo di individuazione - sia per la generale inosservanza dell'obbligo nei casi previsti. In particolare, l'art. 12 del d.lgs. 42/2004 prevede che le cose mobili e immobili appartenenti ad enti pubblici e a persone giuridiche private senza scopo di lucro, che rivestano interesse artistico, storico o di altro tipo, risalgano ad oltre cinquant'anni, se mobili, o settanta anni, se immobili, e siano di autore non piu' vivente, vengano sottoposte ad un apposito procedimento di verifica, volto ad accertare la sussistenza o meno di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. In attesa della verifica, tali cose sono in via provvisoria soggette alla disciplina di tutela prevista dal Codice. L'esito della verifica - che e' promossa d'ufficio o su richiesta del soggetto proprietario - se positivo, comporta la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela, se negativo, la fuoruscita da detta disciplina. Il procedimento concernente la dichiarazione di interesse culturale e' disciplinato dagli artt. 12 e seguenti del d.lgs. 42/2004 e s.m.i., nonche' dagli artt. 33 lettera l) e 39 del d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171 recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazione, dalla legge n. 89 del 23 giugno 2014». Lo stesso si articola secondo tre linee procedimentali, a seconda del soggetto interessato dal vincolo o dalla tipologia di bene oggetto di valutazione finalizzata alla apposizione di un vincolo di tutela: 1) la verifica di interesse culturale per beni mobili e immobili di proprieta' di enti pubblici o persone giuridiche private senza fini di lucro di cui all'art. 12 del Codice; 2) la dichiarazione di interesse culturale per beni mobili e immobili appartenenti a soggetti privati di cui all'art. 13 del Codice; 3) la dichiarazione di notevole interesse pubblico per beni paesaggistici di cui all'art. 138 del Codice. Il procedimento di verifica o di dichiarazione si sviluppa nelle seguenti fasi: - avvio del procedimento: ai sensi dell'art. 12 o dell'art. 14, co. 1, del d.lgs. 42/2004, da parte del Soprintendente. Per la verifica e' ammessa la richiesta da parte dei soggetti interessati; - fase istruttoria di accertamento dell'interesse culturale: l'accertamento della sussistenza, nella "cosa" indagata, del livello di interesse culturale prescritto dalla normativa di tutela e la comunicazione, agli aventi diritto, degli esiti di detto accertamento, di carattere tecnico-discrezionale, costituisce il contenuto pressoche' integrale del procedimento in questione; - il Soprintendente invia la proposta di dichiarazione alla Commissione regionale per il patrimonio culturale, prevista dal d.p.c.m. 171/2014, art. 39, la quale verifica la sussistenza dell'interesse; - il provvedimento finale (decreto o comunicazione di parere negativo) e' adottato dalla Commissione regionale con firma del Segretario regionale, che la presiede, e viene trasmesso alla Soprintendenza (Servizio affari legali) che provvede alla notifica dello stesso agli interessati e alla trascrizione presso i registri della Conservatoria; - in caso di verifica negativa (art. 12 del d.lgs. 42/2004) la scheda contenente i relativi dati e' trasmessa ai competenti uffici affinche' ne dispongano la sdemanializzazione e i beni per i quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del Codice; - nel caso di verifica con esito positivo l'accertamento dell'interesse costituisce dichiarazione ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. 42/2004 (dichiarazione dell'interesse culturale) ed il relativo provvedimento e' trascritto nei modi previsti dalla legge. I beni restano in questo caso definitivamente sottoposti alle disposizioni del Codice; - le schede descrittive oggetto di verifica con esito positivo confluiscono in un archivio informatico (17) conservato presso il Ministero e accessibile al Ministero e all'Agenzia del demanio, per finalita' di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli interventi in funzione delle rispettive competenze istituzionali: l'aggiornamento dell'archivio informatico, la notifica e la trascrizione del decreto sono a cura del Segretariato regionale; - i procedimenti, di verifica e di dichiarazione, si concludono entro 120 gg. dalla notifica al proprietario dell'avviso di avvio del procedimento; qualora il procedimento sia iniziato su impulso del proprietario del bene e non si concluda entro i 120 gg. previsti, gli interessati possono diffidare il Ministero a provvedere, e agire avverso il silenzio ai sensi di legge; - entro 30 gg. dalla notifica della dichiarazione o degli esiti della verifica, e' ammesso ricorso amministrativo al Ministero per motivi di legittimita' e di merito; in tale ipotesi si determina la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, fermo restando l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal d.lgs. 42/2004, nella Parte Seconda Titolo I e precisamente al Capo II, al Capo III Sezione I e Capo IV Sezione I (approvazione di opere e lavori, denuncia degli atti di trasferimento della proprieta' o della detenzione, ecc.). Il Ministero, nello specifico la Commissione Regionale, sentito il competente organo consultivo, decide sul ricorso entro novanta giorni dalla presentazione dello stesso, e qualora venga accolto procede all'annullamento in autotutela od alla modifica del provvedimento medesimo. Sono inoltre ammesse proposizioni di ricorso giurisdizionale al TAR competente, a norma degli artt. 2 e 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e successive modificazioni, ovvero ricorso straordinario al Capo dello Stato ai sensi del d.p.r. 20 novembre 1971, n. 1199. L'analisi del contesto interno in cui si sviluppa il procedimento ha evidenziato una serie di possibili eventi rischiosi, collegabili tanto agli aspetti organizzativi che di regolamentazione del processo, trattandosi peraltro di fasi procedimentali che coinvolgono piu' amministrazioni ed uffici, oltre che utenti privati destinatari del provvedimento finale, da cui derivano una serie di obblighi e limiti: denunzia di trasferimento delle opere per cambio di residenza, denunzia di trasferimento di proprieta\detenzione, divieto di trasferimento all'estero, sanzioni. L'impatto del provvedimento, risultante da un specifica valutazione tecnico/scientifica, costituisce un primo fattore di rischio corruttivo. Il rischio di ingerenze si ripropone su piu' livelli intermedi, declinabili dalla fase istruttoria fino alla fase decisoria, con fasi endoprocedimentali, relativi per esempio alla imposizione di prescrizioni, i cui esiti, pur potendo modificare in maniera rilevante i diritti dei singoli, sono di difficile predeterminazione. Posto che l'evento corruttivo consista, nel procedimento esaminato, nell'apposizione o nella mancata apposizione illegittima di un vincolo, nell'adozione di prescrizioni irragionevoli o, comunque, in valutazioni negligenti e/o arbitrarie, il rischio che esso si possa verificare e' particolarmente presente nella fase istruttoria, affidata normalmente ad un unico funzionario che, per la conoscenza che ha del territorio, da cui deriva la sua competenza, e' esposto ad ingerenze esterne o all'interesse personale. L'aver demandato, in virtu' dell'art. 39 d.p.c.m. 171/2014, alla Commissione regionale il momento finale del procedimento costituisce - per questa fase - sicuramente un'evoluzione in termini di trasparenza e garanzia, stante la collegialita' della decisione assunta nel contraddittorio fra le diverse posizioni soggettive coinvolte e potendo la Commissione emettere il provvedimento finale o imporre prescrizioni, sia sull'"an" del vincolo, sia sul "quomodo", diverse da quelle proposte dal Soprintendente che ha avviato il procedimento. Sotto quest'ultimo profilo, e' raccomandabile, come misura organizzativa e gestionale generale, l'implementazione di un sistema informativo che possa consentire un monitoraggio - da parte della Commissione regionale e della stessa Direzione generale - dei tempi di avvio e gestione delle procedure. Cio' al fine di controllare il rispetto della cronologia delle pratiche avviate a seguito della preistruttoria relativa alla ammissibilita' stessa del procedimento. In tal modo si potrebbe fornire un quadro generale degli esiti del procedimento (privo, allo stato, di evidenza esterna) e delle motivazioni fornite nel decreto finale, consentendo di intercettare eventuali anomalie e di armonizzare le prassi valutative. Come in casi analoghi, inoltre, la rotazione degli incarichi e l'adozione di strumenti di emersione di eventuali conflitti di interessi (anche solo nella forma di una dichiarazione attestante l'assenza di conflitti sottoscritta dal funzionario in rapporto a ciascun procedimento gestito) consentirebbe un maggior controllo sull'esercizio imparziale del potere autoritativo rimesso alle Soprintendenze. Infine, l'introduzione di un obbligo relativo alla pubblicazione delle schede descrittive dei beni sia da parte del proprietario che della soprintendenza sul sito www.benitutelati.it, andando a soddisfare l'esigenza di trasparenza, garantirebbe una maggiore imparzialita' dell'azione amministrativa. Piu' in generale, un rafforzamento degli obblighi di comunicazione e trasparenza da parte delle Commissioni regionali e delle Soprintendenze su tutta l'attivita' espletata in materia di apposizione dei vincoli, potrebbe consentire il raggiungimento di una maggiore omogeneita' e coerenza dei criteri decisionali e valutativi. Invero, consentendo alla ormai costituita Direzione Unitaria dell'Archeologia e delle Belle Arti e Paesaggio una capacita' di coordinamento e controllo dell'attivita' di tutela nello specifico settore, si potrebbe assicurare, nel rispetto degli inderogabili principi di parita' di trattamento e di imparzialita' dell'azione amministrativa, un'attivita' di tutela il piu' possibile omogenea sull'intero territorio nazionale, ma attenta, allo stesso tempo, alle peculiarita' di ciascun ambito territoriale regionale. 3. Circolazione internazionale intracomunitaria dei beni culturali All'interno del vasto quadro di funzioni pubbliche in materia di tutela dei beni culturali, un ruolo particolare e' quello della regolamentazione dell'esportazione e della circolazione delle opere d'arte (18), tema di estrema delicatezza per la finalita' strategica di difesa dell'integrita' del patrimonio culturale. Due sono le principali finalita' delle norme in materia di circolazione: assicurare che i beni culturali rimangano di proprieta' pubblica o siano acquisiti dallo Stato; garantire che tali beni non siano portati definitivamente al di fuori del territorio nazionale. Un esempio della prima finalita' e' quello dell'istituto della prelazione storico-artistica, che consente allo Stato (e agli enti territoriali e locali) di acquistare beni alienati tra privati oppure di espropriarli. Un esempio della seconda e' dato dai limiti posti sia all'alienabilita' del demanio culturale sia all'uscita dei beni dal territorio nazionale. In considerazione della finalita' generale volta al contemperamento di interessi privati collegati e subalterni, e alla tutela di interessi pubblici prevalenti di rango costituzionale (art. 9 Cost.), gli eventi rischiosi da prevenire sono collegati all'assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell'interesse generale. Di seguito ci si sofferma, in particolare sul procedimento di rilascio dell'attestato di libera circolazione previsto all'art. 68 del Codice dei beni culturali, strumento utilizzato per consentire l'uscita di beni culturali dal territorio della Repubblica italiana, in via definitiva e senza danni per il patrimonio nazionale. In ogni caso, il procedimento, oltre a poter dar luogo all'apposizione di un vincolo di interesse culturale che ne inibisca l'esportazione, puo' condurre alla proposta di acquisto del bene. Gli eventi rischiosi connessi a tale procedimento attengono: a) ad una deviazione dalle regole procedimentali tale da determinare, anche per pressioni esterne, un'illecita uscita definitiva del bene culturale dal territorio nazionale; b) ad una valutazione non congrua del valore venale del bene (19). La competenza relativa al rilascio di autorizzazioni di esportazione/importazione per beni culturali e' attribuita agli uffici esportazione, istituiti presso diciotto Soprintendenze. Detti uffici, diffusi su tutto il territorio nazionale, risultano, tuttavia, privi di una competenza territoriale. Cio' consente ai privati di poter scegliere, anche sulla base di valutazioni opportunistiche (in ragione, ad esempio, di rapporti di conoscenza ed interesse maturati tra il privato e i funzionari che vi operano), l'ufficio al quale rivolgersi per ottenere il rilascio dell'autorizzazione e prima ancora la valutazione del bene. In base all'attuale normativa, inoltre, i privati detentori di beni possono reiterare la richiesta di autorizzazione in uffici esportazione diversi, anche se non contemporaneamente, ritirando l'istanza, prima della pronuncia finale e a seguito della comunicazione di un preavviso di diniego, allo scopo di ottenere una valutazione che si discosti da quella precedentemente formulata. Attualmente, infatti, non esiste un sistema condiviso da tutti gli uffici esportazione di tracciatura delle domande presentate dai privati. Un ulteriore fattore di rischio e' individuabile nel ruolo e nel funzionamento della commissione, costituita da tre esperti scelti a rotazione tra i funzionari tecnici del territorio (due storici dell'arte e un archeologo), che deve effettuare la valutazione tanto della congruita' del valore del bene quanto della certificazione di interesse pubblico con apposizione dei limiti alla sua circolazione. Al riguardo, la principale causa di eventi rischiosi e' connessa alla genericita' e al non aggiornamento dei criteri a cui la Commissione si attiene nel corso di tale valutazione, risalenti ad una circolare del 1974, emanata dall'allora Ministero della pubblica istruzione. Si tratta di criteri che lasciano ampia discrezionalita' in capo alla Commissione e ai singoli funzionari. Una necessaria misura preventiva e' costituita dall'emanazione, da parte del MIBACT, di indirizzi di carattere generale (previsti dall'art. 71, co. 4 del Codice) e vincolanti per i diversi uffici esportazione, in modo che la valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell'attestato sia effettuata sulla base di prassi e procedure uniformi. Cio' consentirebbe di ancorare l'esercizio della discrezionalita' dei vari uffici a criteri oggettivi, assicurando l'imparzialita' del giudizio tecnico. Un ulteriore criticita' e' da ravvisarsi nell'assenza, nei criteri adottati per la nomina dei membri della Commissione esportazione, di adeguate misure di prevenzione dei conflitti di interesse. Si evidenzia, infatti, che gli esperti che compongono la commissione, in virtu' dell'esperienza acquisita sul campo, possono offrire anche consulenze esterne ad antiquari e case d'asta; sarebbe utile, pertanto, per scongiurare i rischi connessi a valutazioni di comodo, volte a favorire l'acquisizione privata del bene, la sottoscrizione di una dichiarazione relativa all'assenza di conflitti di interessi, attuali o potenziali, al momento di assunzione dell'incarico. In aggiunta a tale misura, puo' essere utile l'istituzione di uno specifico albo da cui estrarre i membri della Commissione, che consentirebbe la trasparenza delle procedure di nomina, l'effettivita' della rotazione, la valutazione circa la sussistenza dei requisiti scientifici di idoneita' all'incarico nonche' l'identificazione di potenziali conflitti di interesse tra i membri della commissione e i soggetti richiedenti. Ulteriori misure preventive possono, poi, riguardare: - lo sviluppo del Sistema informativo degli Uffici Esportazione (SUE), attualmente utilizzato non da tutti gli uffici territoriali, al fine di consentire ad ogni ufficio esportazione di conoscere in tempo reale le decisioni adottate dagli uffici omologhi e di essere aggiornato sull'eventuale riproposizioni delle richieste in differenti uffici a seguito di un precedente diniego; - la fissazione delle competenze territoriali degli uffici esportazione; - la rotazione, ove possibile, dei funzionari responsabili del procedimento. 4. Autorizzazioni paesaggistiche: il ruolo delle Soprintendenze Il procedimento in esame - che non include quello semplificato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139, «Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entita', a norma dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni» - si articola nelle seguenti fasi: - istanza da parte del soggetto di cui all'art. 146, co. 1, del Codice; - istruttoria da parte della regione o del comune subdelegato; - trasmissione dell'istanza ad opera della amministrazione competente al Soprintendente e contestuale avviso di avvio del procedimento al soggetto interessato; - parere di compatibilita' e conformita' reso dal Soprintendente; - fase conclusiva del procedimento (eventuale preavviso di procedimento negativo, trasmissione del parere, autorizzazione o diniego). L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Nell'ambito del procedimento si esamina, in particolare, il ruolo svolto dalle Soprintendenze nel rilascio del parere. Si tratta di un atto vincolante, che va trasmesso all'amministrazione competente al rilascio del provvedimento finale (comune o regione) e riveste un ruolo di fondamentale importanza ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione. Le principali cause di rischio e i principali eventi rischiosi si individuano: • nell'elevata discrezionalita' tecnica legata al rilascio del parere da parte del Soprintendente/responsabile del procedimento. Le scelte dell'amministrazione sono basate su regole e parametri di natura tecnica e scientifica specialistica. L'elevato tasso di discrezionalita' tecnica caratterizzante il parere della Soprintendenza e' rapportato alla tipologia di vincolo apposto sul bene. Vincolare senza prescrizione un'area molto vasta lascia ampi margini di valutazione. Pertanto, in presenza di vincoli c.d. "nudi" la ponderazione degli interessi da parte dei funzionari sull'uso del bene e' assai elevata, in quanto detti vincoli derivano da provvedimenti di tutela dei beni paesaggistici che, riducendosi ad un mero divieto di trasformazione del territorio, non indicano l'essenza valoriale e differenziata del bene vincolato. Diversamente, minor grado di discrezionalita' si puo' avere nel caso di vincoli c.d. "vestiti". Tali vincoli si caratterizzano per la presenza di prescrizioni relative all'uso dell'area oggetto del procedimento, presentando un contenuto regolativo e prescrittivo che, in quanto operato "a monte", circoscrive l'oggetto del parere di merito e con esso la discrezionalita' del Soprintendente e del responsabile del procedimento. Gli eventi rischiosi si possono concretizzare in varie forme di condizionamento della fase istruttoria per pressioni esterne, ovvero nella non corretta e adeguata ponderazione dei diversi interessi da contemperare; • nella complessita' del processo di autorizzazione che prevede il coinvolgimento di piu' amministrazioni. Eventi rischiosi possono annidarsi tanto nel rapporto tra soggetto richiedente e amministrazione competente (regione, comune), quanto nel rapporto tra lo stesso e la Soprintendenza competente, se non addirittura nel rapporto tra funzionario responsabile per il rilascio del parere ed ente competente al rilascio dell'autorizzazione (ad esempio in ipotesi di inerzia da parte del Soprintendente volta a far decorrere il termine per il rilascio del parere rimettendo, pertanto, all'amministrazione competente la pronuncia sulla domanda di autorizzazione - cfr. art. 146, co. 9 del Codice). Evento rischioso suscettibile di condizionare lo svolgimento corretto del processo potrebbe essere, invece, il rilascio del parere o proprio della stessa autorizzazione paesaggistica, sulla base di una falsa attestazione da parte dell'ente a cio' deputato; • nell'inadeguatezza delle strutture nel dare una risposta celere alle istanze con conseguente dilatazione dei termini di definizione del procedimento. In tali casi, ad esempio, condotte "inerti" possono dar luogo a criticita' procedimentali cui potrebbe ovviarsi con una maggiore attenzione all'organizzazione e alla distribuzione del personale in organico; • nella presenza di eventuali interessi privati e nel collegamento territoriale tra utente/istante e funzionario/responsabile del procedimento. Tali collegamenti potrebbero favorire dinamiche improprie nella gestione dell'istruttoria con conseguente condizionamento dell'esito finale del processo di autorizzazione. Occorre sul punto considerare che i funzionari di zona depositari di una conoscenza capillare del territorio in cui operano sono maggiormente esposti, per prossimita' e consuetudine, all'esercizio di pressioni esterne di interessi particolari e soggettivi. Al riguardo possono ipotizzarsi le seguenti misure preventive: • sul piano normativo, sembrerebbe opportuno un adeguamento della normativa vigente in materia di vincoli sui beni paesaggistici, introducendo idonei meccanismi sanzionatori o incentivanti affinche' si possa effettivamente provvedere alla vestizione dei c.d. "vincoli nudi" (come gia' previsto dal 2008). Possono essere valutate positivamente, inoltre, alcune misure, quale quella introdotta dal d.l. 83/2014, art. 12, co. 1-bis (poi confluito nel d.p.c.m. 171/2014) ove si prevede che ogni decisione di un soprintendente possa comunque essere riesaminata dalla Commissione regionale, anche su segnalazione di altre amministrazioni. Tali misure, infatti, si sono gia' dimostrate efficaci sul piano della previsione di eventi corruttivi, allargando la responsabilita' della decisione a un organo collegiale che puo' comunque ribaltare la decisione di un singolo; • sul piano gestionale, sarebbe opportuno realizzare sistemi che assicurino la trasparenza, il controllo e monitoraggio del procedimento in ogni sua fase, consentendo di pervenire ad un quadro il piu' possibile completo sia del numero dei procedimenti trattati che dei relativi esiti (positivi, negativi o derivante da inerzia e dalla conseguente formazione del c.d. silenzio-assenso). Anche in questo caso e' un segnale positivo la previsione di cui all'art. 12, co. 1-ter, del d.l. 83/2014 (poi ripresa dal citato d.p.c.m. 171 del 2014), in base alla quale tutti gli atti aventi rilevanza esterna e i provvedimenti adottati dagli organi centrali e periferici del MIBACT, nell'esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio, debbono essere pubblicati integralmente sul sito internet del Ministero e in quello, ove esistente, dell'organo che ha adottato l'atto. Per ogni procedimento vanno indicati la data di inizio, lo stato di avanzamento, il termine di conclusione e l'esito dello stesso; • sul piano organizzativo, sarebbero utili misure di rotazione dei funzionari di zona adeguatamente programmate nel tempo, all'interno della medesima Soprintendenza, nei limiti indicati per queste misure nella Parte generale (§ 7.2); • quanto alla prevenzione del conflitto di interessi, si puo' ipotizzare l'assunzione di responsabilita' da parte del titolare del procedimento, attraverso la sottoscrizione di un'attestazione di insussistenza di rapporti personali o familiari con l'istante. VI - GOVERNO DEL TERRITORIO Premessa Con l'espressione "governo del territorio", nel presente PNA, si fa riferimento ai processi che regolano la tutela, l'uso e la trasformazione del territorio. A tale ambito si ascrivono principalmente i settori dell'urbanistica e dell'edilizia, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale sull'attribuzione alle regioni della potesta' legislativa concorrente in materia (20). Il governo del territorio rappresenta da sempre, e viene percepito dai cittadini, come un'area ad elevato rischio di corruzione, per le forti pressioni di interessi particolaristici, che possono condizionare o addirittura precludere il perseguimento degli interessi generali. Le principali cause di corruzione in questa materia sono determinate da: a) estrema complessita' ed ampiezza della materia, che si riflette nella disorganicita', scarsa chiarezza e stratificazione della normativa di riferimento e perdurante vigenza di una frammentaria legislazione precostituzionale ancorata alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. Tale complessita' si ripercuote negativamente: sull'individuazione e delimitazione delle competenze spettanti alle diverse amministrazioni coinvolte e dei contenuti - con possibili duplicazioni - dei rispettivi, diversi, atti pianificatori; sui tempi di adozione delle decisioni; sulle risorse pubbliche; sulla fiducia dei cittadini, dei professionisti e degli imprenditori nell'utilita', nell'efficienza e nell'efficacia del ruolo svolto dai pubblici poteri; b) varieta' e molteplicita' degli interessi pubblici e privati da ponderare, che comportano che gli atti che maggiormente caratterizzano il governo del territorio - i piani generali dei diversi livelli territoriali - presentino un elevato grado di discrezionalita'; c) difficolta' nell'applicazione del principio di distinzione fra politica e amministrazione nelle decisioni, le piu' rilevanti delle quali di sicura valenza politica; d) difficile applicazione del principio di concorrenza fra i soggetti privati interessati, condizionata dall'assetto della proprieta' delle aree sulle quali incidono le scelte di destinazione territoriale e urbanistica; e) esistenza, alla base delle scelte di pianificazione, di asimmetrie informative tra soggetti pubblici e privati, accompagnate dalla difficolta' nelle predeterminazione dei criteri di scelta; f) ampiezza delle rendite immobiliari in gioco. Il rischio corruttivo e' trasversale e comune a tutti i processi dell'area governo del territorio, a prescindere dal contenuto (generale o speciale) e dagli effetti (autoritativi o consensuali) degli atti adottati (piani, programmi, concessioni, accordi, convenzioni); la gran parte delle trasformazioni territoriali ha conseguenze permanenti, che possono causare la perdita o il depauperamento di risorse non rinnovabili, prima fra tutte il suolo, le cui funzioni sono tanto essenziali quanto infungibili per la collettivita' e per l'ambiente. La prevenzione e il contrasto del rischio traversale di sviamento dall'interesse pubblico primario alla sostenibilita' dello sviluppo urbano e dagli obiettivi di politica territoriale dichiarati richiedono che, nella mappatura di tutti i processi che riguardano il governo del territorio, siano precisati, preliminarmente, i criteri e le specifiche modalita' delle verifiche previste, per accertare la compatibilita' tra gli effetti delle trasformazioni programmate e la salvaguardia delle risorse ambientali, paesaggistiche e storico culturali che costituiscono il patrimonio identitario delle popolazioni insediate nello specifico contesto territoriale. Nella presente analisi saranno maggiormente approfonditi alcuni, specifici, rischi corruttivi che riguardano i piu' significativi processi pianificatori di livello comunale, salvo brevi riferimenti alla pianificazione di livello superiore. Sono state rinviate ad una fase futura le esemplificazioni relative ai processi pianificatori che riguardano altre materie, pur strettamente connesse al governo del territorio (piani ambientali, piani paesaggistici, ecc.). Tale scelta non intende in alcun modo sottovalutare i rischi corruttivi relativi a tali processi, ne' intende suggerire una minore attenzione per le amministrazioni - statali, regionali e provinciali/metropolitane - responsabili degli stessi. In conformita' a quanto previsto dall'art. 1, co. 2-bis della l. 190/2012, sono anche individuate misure organizzative di prevenzione della corruzione. Si ribadisce che si tratta di esempi volti a fornire alle amministrazioni e agli enti indicazioni e orientamenti per supportare l'elaborazione dei PTPC. La concreta adozione di tali misure richiede la loro necessaria contestualizzazione e il loro necessario adeguamento rispetto alle dimensioni e alle caratteristiche organizzative di ogni ente a seguito dell'analisi e della valutazione del rischio corruttivo e in coerenza con il principio di non aggravamento procedimentale e organizzativo. Vista la particolare complessita' della normativa del governo del territorio l'Autorita' si riserva, proprio nel rispetto dei principi sopra esposti, di verificare l'attuazione e la funzionalita' delle misure proposte. 1. Pianificazione territoriale regionale, provinciale o metropolitana La pianificazione territoriale, sia essa di carattere generale sia essa di carattere settoriale, di livello regionale, provinciale, metropolitano o d'area vasta, pur assumendo nelle legislazioni regionali denominazioni talvolta differenti, e' regolamentata in maniera analoga, per i profili concernenti la trasparenza e la partecipazione alle diverse fasi in cui si articola la procedura di approvazione (formazione, adozione e approvazione del piano). Molte legislazioni regionali prevedono, infatti, peculiari forme di pubblicita' dell'atto con cui l'organo di governo manifesta la volonta' di procedere all'elaborazione del piano territoriale o sua variante, disciplinando gia' in questa fase la partecipazione dei portatori di interesse. Con riferimento alla fase di adozione dell'atto di pianificazione regionale, le discipline regionali sono sostanzialmente omogenee, prevedendo ampie forme di pubblicita' tra cui la consultazione degli atti via web, e presso le sedi regionali, provinciali, spesso anche presso le sedi comunali, garantendo a tutti i portatori di interesse la possibilita' di accedere agli atti e di esprimere le proprie osservazioni. Con riferimento, infine, alla fase di approvazione, la proposta di atto di pianificazione territoriale viene elaborata con apposito atto motivato (anche sull'accoglimento delle osservazioni) e trasmessa al Consiglio regionale per l'approvazione definitiva. Nel fare riserva di approfondimenti successivi, in questa sede si considerano possibili fenomeni corruttivi che si possono manifestare allorche' quei piani sovracomunali, tematici o settoriali, prevedano l'apposizione di discipline di tutela (principalmente ambientale o paesaggistica) che comportano significative limitazioni all'uso o alla trasformazione del territorio. Il livello di esposizione al rischio puo' essere piu' marcato nel caso di procedure di approvazione di varianti specifiche (o di approvazione di progetti in variante alla pianificazione sovracomunale) che prevedano modifiche cartografiche, in riduzione degli ambiti vincolati o che attenuino le tutele. In tali casi, per la prevenzione del rischio, trovano applicazione misure analoghe a quelle indicate nel successivo § 2. 2. Processi di pianificazione comunale generale Il modello della pianificazione disciplinato dalla legge urbanistica 1150/1942 prevede il piano regolatore generale (p.r.g.), che presenta, oltre ad un contenuto direttivo e programmatico, prescrizioni vincolanti per i privati, con effetti conformativi della proprieta'. Esso puo' essere ricondotto ai piani comunali generali, ovvero a quegli strumenti di pianificazione urbanistica che hanno ad oggetto l'intero territorio comunale. Le leggi regionali hanno introdotto propri modelli di pianificazione urbanistico-territoriale e sono intervenute sulla struttura, sul contenuto e sugli effetti giuridici della pianificazione urbanistica comunale, che puo' articolarsi cosi' su piu' livelli. Di conseguenza, il panorama attuale dei piani comunali generali si presenta molto variegato e complesso. Pertanto, anche la mappatura dei processi di pianificazione generale e l'individuazione dei rischi corruttivi che ne derivano dovranno essere dimensionate e calibrate da ogni amministrazione interessata in rapporto a tale complessita' e varieta'. Di seguito si indicano alcuni eventi rischiosi, aggregati per fasi del processo, che possono considerarsi comuni ai vari modelli adottati dalle regioni ed alcune misure per prevenirli. 2.1 Varianti specifiche Possibili eventi rischiosi Anche le varianti specifiche allo strumento urbanistico generale, siano esse approvate con iter ordinario, ovvero attraverso i numerosi procedimenti che consentono l'approvazione di progetti con l'effetto di variante agli strumenti urbanistici, sono esposte a rischio e necessitano di misure preventive integrative, laddove dalle modifiche derivi per i privati interessati un significativo aumento delle potesta' edificatorie o del valore d'uso degli immobili interessati. I rischi connessi a tali varianti risultano relativi, in particolare: alla scelta o al maggior consumo del suolo finalizzati a procurare un indebito vantaggio ai destinatari del provvedimento; alla possibile disparita' di trattamento tra diversi operatori; alla sottostima del maggior valore generato dalla variante. Possibili misure Anche i processi relativi a queste varianti e' necessario siano mappati in relazione ai contenuti della variante e all'impatto che gli stessi possono generare, per valutare il livello di rischio che comportano e stabilire, di conseguenza, le misure di prevenzione da assumere, secondo quanto evidenziato nel presente approfondimento per le diverse tipologie di strumenti urbanistici e le relative fasi. 2.2 Fase di redazione del piano Possibili eventi rischiosi Alcuni eventi rischiosi sono connessi alle modalita' e alle tecniche di redazione del piano o delle varianti. La mancanza di chiare e specifiche indicazioni preliminari, da parte degli organi politici, sugli obiettivi delle politiche di sviluppo territoriale alla cui concretizzazione le soluzioni tecniche devono essere finalizzate, puo' impedire una trasparente verifica della corrispondenza tra le soluzioni tecniche adottate e le scelte politiche ad esse sottese, non rendendo evidenti gli interessi pubblici che effettivamente si intendono privilegiare. Tale commistione tra soluzioni tecniche e scelte politiche e' ancor piu' rimarcata nel caso in cui la redazione del piano e' prevalentemente affidata a tecnici esterni all'amministrazione comunale. Possibili misure • In caso di affidamento della redazione del piano a soggetti esterni all'amministrazione comunale, e' necessario che l'ente renda note le ragioni che determinano questa scelta, le procedure che intende seguire per individuare il professionista, cui affidare l'incarico e i relativi costi, nel rispetto della normativa vigente in materia di affidamento di servizi e, comunque, dei principi dell'evidenza pubblica; il comune, specialmente se di piccole dimensioni, puo' valutare preventivamente la possibilita' di associarsi con comuni confinanti per la redazione dei rispettivi piani, con conseguente risparmio di costi e possibilita' di acquisire una visione piu' ampia e significativa di contesti territoriali contigui e omogenei. In ogni caso, e' opportuno che lo staff incaricato della redazione del piano sia interdisciplinare (con la presenza di competenze anche ambientali, paesaggistiche e giuridiche) e che siano comunque previste modalita' operative che vedano il diretto coinvolgimento delle strutture comunali, tecniche e giuridiche; • la verifica dell'assenza di cause di incompatibilita' o casi di conflitto di interesse in capo a tutti i soggetti appartenenti al gruppo di lavoro; • anteriormente all'avvio del processo di elaborazione del piano, l'individuazione da parte dell'organo politico competente degli obiettivi generali del piano e l'elaborazione di criteri generali e linee guida per la definizione delle conseguenti scelte pianificatorie. In quest'ottica e' utile prevedere che, in fase di adozione dello strumento urbanistico, l'amministrazione comunale effettui un'espressa verifica del rispetto della coerenza tra gli indirizzi di politica territoriale e le soluzioni tecniche adottate e apporti i conseguenti correttivi; • puo', altresi', essere opportuno dare ampia diffusione di tali documenti di indirizzo tra la popolazione locale, prevedendo forme di partecipazione dei cittadini sin dalla fase di redazione del piano, attraverso strumenti da configurarsi in analogia, ad esempio, a quello dell'udienza pubblica, prevista nella VIA, in modo da acquisire ulteriori informazioni sulle effettive esigenze o sulle eventuali criticita' di aree specifiche, per adeguare ed orientare le soluzioni tecniche, ma anche per consentire a tutta la cittadinanza, cosi' come alle associazioni e organizzazioni locali, di avanzare proposte di carattere generale e specifico per riqualificare l'intero territorio comunale, con particolare attenzione ai servizi pubblici. 2.3 Fase di pubblicazione del piano e raccolta delle osservazioni Possibili eventi rischiosi In questa fase possono verificarsi eventi rischiosi a causa di asimmetrie informative, grazie alle quali gruppi di interessi o privati proprietari "oppositori" vengono agevolati nella conoscenza e interpretazione dell'effettivo contenuto del piano adottato, con la possibilita' di orientare e condizionare le scelte dall'esterno. Possibili misure • divulgazione e massima trasparenza e conoscibilita' delle decisioni fondamentali contenute nel piano adottato, anche attraverso l'elaborazione di documenti di sintesi dei loro contenuti in linguaggio non tecnico e la predisposizione di punti informativi per i cittadini; • attenta verifica del rispetto degli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. 33/2013 da parte del responsabile del procedimento; • previsione della esplicita attestazione di avvenuta pubblicazione dei provvedimenti e degli elaborati da allegare al provvedimento di approvazione. 2.4 Fase di approvazione del piano Possibili eventi rischiosi In questa fase, il principale rischio e' che il piano adottato sia modificato con l'accoglimento di osservazioni che risultino in contrasto con gli interessi generali di tutela e razionale assetto del territorio cui e' informato il piano stesso. Possibili misure • predeterminazione e pubblicizzazione dei criteri generali che saranno utilizzati in fase istruttoria per la valutazione delle osservazioni; • motivazione puntuale delle decisioni di accoglimento delle osservazioni che modificano il piano adottato, con particolare riferimento agli impatti sul contesto ambientale, paesaggistico e culturale; • monitoraggio sugli esiti dell'attivita' istruttoria delle osservazioni, al fine di verificare quali e quante proposte presentate dai privati siano state accolte e con quali motivazioni. 2.4.1 Concorso di regioni, province e citta' metropolitane al procedimento di approvazione In alcune leggi regionali e' previsto che la regione, la provincia e la citta' metropolitana svolgano un'importante attivita' di concorso nel processo di approvazione dei piani comunali, finalizzata a garantire la coerenza tra i vari livelli di governo del territorio. Possibili eventi rischiosi Nell'esercizio di tale funzione possono individuarsi alcuni eventi rischiosi tra cui: • il decorso infruttuoso del termine di legge a disposizione degli enti per adottare le proprie determinazioni, al fine di favorire l'approvazione del piano senza modifiche; • l'istruttoria non approfondita del piano in esame da parte del responsabile del procedimento; • l'accoglimento delle controdeduzioni comunali alle proprie precedenti riserve sul piano, pur in carenza di adeguate motivazioni. Possibili misure Le principali misure di prevenzione possono fare leva sulla trasparenza degli atti, anche istruttori, al fine di rendere evidenti e conoscibili le scelte operate, nonche' sul rafforzamento delle misure di controllo attraverso il monitoraggio interno, anche a campione, dei tempi procedimentali e dei contenuti degli atti. Per quanto concerne la trasparenza, ad esempio, l'ente (regione, provincia o citta' metropolitana) cura la pubblicazione sintetica e comprensibile degli atti, anche istruttori al fine di rendere evidenti e conoscibili le scelte operate. 3. Processi di pianificazione attuativa La locuzione "piani attuativi" non indica una tipologia omogenea di strumenti pianificatori, bensi' una pluralita' di strumenti urbanistici di dettaglio, non ascrivibili ad uno schema unitario, configurando tipologie pianificatorie fra loro disomogenee. Inoltre, a tali strumenti esecutivi della pianificazione urbanistica comunale, si e' aggiunta una ulteriore categoria dei c.d. "programmi complessi" (il prototipo dei quali e' il programma integrato di intervento, introdotto dall'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 recante «Norme per l'edilizia residenziale pubblica») consistenti in programmi di intervento, finanziati con risorse pubbliche statali e regionali, che prevedono la realizzazione di opere di interesse pubblico e privato, per il recupero e la rigenerazione dei tessuti urbani esistenti. Tali programmi presentano il dettaglio urbanistico proprio dei piani attuativi e sono abilitati ad apportare varianti ai piani urbanistici generali. 3.1 Piani attuativi d'iniziativa privata I piani attuativi di iniziativa privata si caratterizzano per la presenza di un promotore privato, che predispone lo strumento urbanistico di esecuzione, sottoponendolo all'approvazione comunale, e con il quale viene stipulata una convenzione per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e per la cessione delle aree necessarie. Tali piani sono pertanto particolarmente esposti al rischio di indebite pressioni di interessi particolaristici. Possibili eventi rischiosi Nella fase di adozione del piano attuativo il principale evento rischioso e' quello della mancata coerenza con il piano generale (e con la legge), che si traduce in uso improprio del suolo e delle risorse naturali. Un'efficace azione di contrasto dei fenomeni corruttivi presuppone che sia valorizzata l'efficacia prescrittiva del piano comunale generale, in ordine alla puntuale definizione degli obiettivi, dei requisiti e delle prestazioni che in fase attuativa degli interventi debbano essere realizzati. La chiarezza di tali indicazioni consente, infatti, di guidare in fase attuativa la verifica da parte delle strutture comunali del rispetto degli indici e parametri edificatori e degli standard urbanistici stabiliti dal piano generale, ma anche della traduzione grafica delle scelte urbanistiche riguardanti: la viabilita' interna, l'ubicazione dei fabbricati, la sistemazione delle attrezzature pubbliche, l'estensione dei lotti da edificare, ecc. Possibili misure • incontri preliminari del responsabile del procedimento con gli uffici tecnici e i rappresentanti politici competenti, diretti a definire gli obiettivi generali in relazione alle proposte del soggetto attuatore; • linee guida interne, oggetto di pubblicazione, che disciplinino la procedura da seguire e introducano specifiche forme di trasparenza e rendicontazione (ad esempio, tramite check list di verifica degli adempimenti da porre in essere, inviata al RPCT ai fini di controllo); • costituzione di gruppi di lavoro interdisciplinare con personale dell'ente, ma appartenente a uffici diversi, i cui componenti siano chiamati a rendere una dichiarazione sull'assenza di conflitti di interesse; tale misura si rivela opportuna soprattutto per i piani di particolare incidenza urbanistica; • la predisposizione di un registro degli incontri con i soggetti attuatori, nel quale riportare le relative verbalizzazioni; • la richiesta della presentazione di un programma economico finanziario relativo sia alle trasformazioni edilizie che alle opere di urbanizzazione da realizzare, il quale consenta di verificare non soltanto la fattibilita' dell'intero programma di interventi, ma anche l'adeguatezza degli oneri economici posti in capo agli operatori; • puo' poi risultare opportuno acquisire alcune informazioni dirette ad accertare il livello di affidabilita' dei privati promotori (quali ad esempio il certificato della Camera di commercio, i bilanci depositati, le referenze bancarie, casellario giudiziale). Ulteriori eventi rischiosi Anche per i piani attuativi si pongono i rischi gia' esaminati per le fasi di pubblicazione, decisione delle osservazioni e approvazione dei piani urbanistici generali (§ 2), cui si rinvia anche in merito alle possibili misure di prevenzione, sottolineando anzi che nel caso dei piani esecutivi il livello di rischio deve essere considerato piu' elevato, a causa della piu' diretta vicinanza delle determinazioni di piano rispetto agli interessi economici e patrimoniali dei privati interessati. 3.2 Piani attuativi di iniziativa pubblica I piani attuativi di iniziativa pubblica presentano caratteristiche comuni con i piani sopradescritti, ma sono caratterizzati in genere da una minore pressione o condizionamento da parte dei privati. Tuttavia, particolare attenzione deve essere prestata ai piani in variante, qualora risultino in riduzione delle aree assoggettate a vincoli ablatori. 3.3 Convenzione urbanistica Fra gli atti predisposti nel corso del processo di pianificazione attuativa, lo schema di convenzione riveste un particolare rilievo, in quanto stabilisce gli impegni assunti dal privato per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione connesse all'intervento (ed in particolare: obbligo di realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria o di quelle che siano necessarie per allacciare la zona ai servizi pubblici; obbligo di cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e per le attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale; nel caso in cui l'acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune, corresponsione di una somma commisurata all'utilita' economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree; congrue garanzie finanziarie per gli obblighi derivanti al privato per effetto della stipula della convenzione). Per quanto riguarda la completezza e l'adeguatezza dei contenuti della convenzione, puo' essere opportuno richiedere l'utilizzo di schemi di convenzione - tipo che assicurino una completa e organica regolazione degli aspetti sopra richiamati, eventualmente modificati e integrati alla luce della particolare disciplina prevista dalla pianificazione urbanistica comunale. A titolo meramente esemplificativo, si richiama il modello elaborato dall'Istituto per l'innovazione e trasparenza degli appalti e compatibilita' ambientale (ITACA) del 7 novembre 2013. 3.3.1 Calcolo degli oneri L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e' stabilita con deliberazione del consiglio comunale. Il Testo Unico sull'edilizia dispone articolati e dettagliati criteri per il calcolo del contributo dovuto per il permesso di costruire, in modo tale che esso sia «commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonche' al costo di costruzione» (art. 16, co. 1, d.p.r. 380/2001). Il calcolo e' effettuato in base a tabelle parametriche definite dalla regione di appartenenza, per classi di comuni in relazione a criteri omogenei. La disciplina regionale risulta nella materia piuttosto differenziata. Possibili eventi rischiosi Poiche' non spetta al presente PNA definire discipline omogenee, semmai affidate a scelte delle regioni, si possono indicare misure da adottarsi a livello comunale. In tal senso, un primo, possibile, evento rischioso e' connesso alla non corretta, non adeguata o non aggiornata commisurazione degli "oneri" dovuti, in difetto o in eccesso, rispetto all'intervento edilizio da realizzare, al fine di favorire eventuali soggetti interessati. Cio' puo' avvenire a causa di una erronea applicazione dei sistemi di calcolo, ovvero a causa di omissioni o errori nella valutazione dell'incidenza urbanistica dell'intervento e/o delle opere di urbanizzazione che lo stesso comporta. Possibili misure • attestazione del responsabile dell'ufficio comunale competente, da allegare alla convenzione, dell'avvenuto aggiornamento delle tabelle parametriche degli oneri e del fatto che la determinazione degli stessi e' stata attuata sulla base dei valori in vigore alla data di stipula della convenzione; • pubblicazione delle tabelle a cura della regione e del comune, ove non sia gia' prevista per legge; • assegnazione della mansione del calcolo degli oneri dovuti a personale diverso da quello che cura l'istruttoria tecnica del piano attuativo e della convenzione. 3.3.2 Individuazione delle opere di urbanizzazione Altrettanto rilevante e' la corretta individuazione delle opere di urbanizzazione necessarie e dei relativi costi, in quanto la sottostima/sovrastima delle stesse puo' comportare un danno patrimoniale per l'ente, venendo a falsare i contenuti della convenzione riferiti a tali valori (scomputo degli oneri dovuti, calcolo del contributo residuo da versare, ecc.). Possibili eventi rischiosi Possibili eventi rischiosi possono essere: l'individuazione di un'opera come prioritaria, laddove essa, invece, sia a beneficio esclusivo o prevalente dell'operatore privato; l'indicazione di costi di realizzazione superiori a quelli che l'amministrazione sosterebbe con l'esecuzione diretta. Possibili misure • identificazione delle opere di urbanizzazione mediante il coinvolgimento del responsabile della programmazione delle opere pubbliche, che esprime un parere, in particolare, circa l'assenza di altri interventi prioritari realizzabili a scomputo, rispetto a quelli proposti dall'operatore privato nonche' sul livello qualitativo adeguato al contesto d'intervento, consentendo cosi' una valutazione piu' coerente alle effettive esigenze pubbliche; • previsione di una specifica motivazione in merito alla necessita' di far realizzare direttamente al privato costruttore le opere di urbanizzazione secondaria; • calcolo del valore delle opere da scomputare utilizzando i prezziari regionali o dell'ente, anche tenendo conto dei prezzi che l'amministrazione ottiene solitamente in esito a procedure di appalto per la realizzazione di opere analoghe; • richiesta per tutte le opere per cui e' ammesso lo scomputo del progetto di fattibilita' tecnica ed economica delle opere di urbanizzazione, previsto dall'art. 1, co. 2, lett. e) del d.lgs. 50/2016, da porre a base di gara per l'affidamento delle stesse, e prevedere che la relativa istruttoria sia svolta da personale in possesso di specifiche competenze in relazione alla natura delle opere da eseguire, appartenente ad altri servizi dell'ente ovvero utilizzando personale di altri enti locali mediante accordo o convenzione; • previsione di garanzie aventi caratteristiche analoghe a quelle richieste in caso di appalto di opere pubbliche, ferma restando la possibilita' di adeguare tali garanzie, anche tenendo conto dei costi indicizzati, in relazione ai tempi di realizzazione degli interventi. 3.3.3 Cessione delle aree necessarie per opere di urbanizzazione primaria e secondaria Anche le valutazioni compiute dall'amministrazione ai fini dell'acquisizione delle aree sono connotate da una forte discrezionalita' tecnica. La cessione gratuita delle aree per standard e' determinata con riferimento alle previsioni normative e al progetto urbano delineato dal piano, e deve essere coerente con le soluzioni progettuali contenute negli strumenti urbanistici esecutivi o negli interventi edilizi diretti convenzionati, mentre tempi e modalita' della cessione sono stabiliti nella convenzione. Possibili eventi rischiosi I possibili eventi rischiosi consistono dunque: nell'errata determinazione della quantita' di aree da cedere (inferiore a quella dovuta ai sensi della legge o degli strumenti urbanistici sovraordinati); nell'individuazione di aree da cedere di minor pregio o di poco interesse per la collettivita', con sacrificio dell'interesse pubblico a disporre di aree di pregio per servizi, quali verde o parcheggi; nell'acquisizione di aree gravate da oneri di bonifica anche rilevanti. Possibili misure • individuazione di un responsabile dell'acquisizione delle aree, che curi la corretta quantificazione e individuazione delle aree, contestualmente alla stipula della convenzione, e che richieda, ove ritenuto indispensabile, un piano di caratterizzazione nella previsione di specifiche garanzie in ordine a eventuali oneri di bonifica; • monitoraggio da parte dell'amministrazione comunale sui tempi e gli adempimenti connessi alla acquisizione gratuita delle aree. 3.3.4 Monetizzazione delle aree a standard In conformita' alla legislazione regionale vigente, la pianificazione urbanistica puo' prevedere il versamento al comune di un importo alternativo alla cessione diretta delle aree, qualora l'acquisizione non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna, in relazione alla estensione delle aree, alla loro conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento. Possibili eventi rischiosi Tale valutazione appartiene alla discrezionalita' tecnica degli uffici competenti e puo' essere causa di eventi rischiosi, non solo comportando minori entrate per le finanze comunali, ma anche determinando una elusione dei corretti rapporti tra spazi destinati agli insediamenti residenziali o produttivi e spazi a destinazione pubblica, con sacrificio dell'interesse generale a disporre di servizi - quali aree a verde o parcheggi - in aree di pregio. Possibili misure • adozione di criteri generali per la individuazione dei casi specifici in cui procedere alle monetizzazioni e per la definizione dei valori da attribuire alle aree, da aggiornare annualmente; • previsione per le monetizzazioni di importo significativo di forme di verifica attraverso un organismo collegiale, composto da soggetti che non hanno curato l'istruttoria, compresi tecnici provenienti da altre amministrazioni, quale ad esempio l'Agenzia delle entrate; • previsione del pagamento delle monetizzazioni contestuale alla stipula della convenzione, al fine di evitare il mancato o ritardato introito, e, in caso di rateizzazione, richiesta in convenzione di idonee garanzie. 3.4 Approvazione del piano attuativo Possibili eventi rischiosi Anche nel corso del processo di approvazione del piano attuativo, sono riscontrabili gli eventi rischiosi (legati alla scarsa trasparenza e conoscibilita' dei contenuti del piano, alla mancata o non adeguata valutazione delle osservazioni pervenute, dovuta a indebiti condizionamenti dei privati interessati, al non adeguato esercizio della funzione di verifica dell'ente sovraordinato) che sono stati esaminati, con riferimento al piano generale, al precedente § 2. Possibili misure Anche per le possibili misure preventive si rinvia alle indicazioni fornite nel suddetto paragrafo. 3.5 Esecuzione delle opere di urbanizzazione Possibili eventi rischiosi La fase dell'esecuzione da parte degli operatori privati delle opere di urbanizzazione presenta rischi analoghi a quelli previsti per l'esecuzione di lavori pubblici e alcuni rischi specifici, laddove l'amministrazione non eserciti i propri compiti di vigilanza al fine di evitare la realizzazione di opere qualitativamente di minor pregio rispetto a quanto dedotto in obbligazione. Le carenze nell'espletamento di tale importante attivita' comportano un danno sia per l'ente, che sara' costretto a sostenere piu' elevati oneri di manutenzione o per la riparazione di vizi e difetti delle opere, sia per la collettivita' e per gli stessi acquirenti degli immobili privati realizzati che saranno privi di servizi essenziali ai fini dell'agibilita' degli stessi. Altro rischio tipico e' costituito dal mancato rispetto delle norme sulla scelta del soggetto che deve realizzare le opere. Possibili misure • costituzione di un'apposita struttura interna, composta da dipendenti di uffici tecnici con competenze adeguate alla natura delle opere, e che non siano in rapporto di contiguita' con il privato, che verifichi puntualmente la correttezza dell'esecuzione delle opere previste in convenzione. Tale compito di vigilanza deve comprendere anche l'accertamento della qualificazione delle imprese utilizzate, qualora l'esecuzione delle opere sia affidata direttamente al privato titolare del permesso di costruire, in conformita' alla vigente disciplina in materia (cfr. d.lgs. 50/2016, artt.1, co. 2, lettera e) e 36, co. 3 e 4, ove e' fatta salva la disposizione di cui all'art. 16, co. 2-bis, del Testo Unico sull'edilizia); • comunicazione, a carico del soggetto attuatore, delle imprese utilizzate, anche nel caso di opere per la cui realizzazione la scelta del contraente non e' vincolata da procedimenti previsti dalla legge; • verifica, secondo tempi programmati, del cronoprogramma e dello stato di avanzamento dei lavori, per assicurare l'esecuzione dei lavori nei tempi e modi stabiliti nella convenzione; • particolare rilievo riveste la previsione che la nomina del collaudatore sia effettuata dal comune, con oneri a carico del privato attuatore, dovendo essere assicurata la terzieta' del soggetto incaricato; • previsione in convenzione, in caso di ritardata o mancata esecuzione delle opere, di apposite misure sanzionatorie quali il divieto del rilascio del titolo abilitativo per le parti d'intervento non ancora attuate. 4. Permessi di costruire convenzionati Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. "Sblocca Italia") ha introdotto nel Testo Unico sull'edilizia il permesso di costruire convenzionato, che puo' essere rilasciato «qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalita' semplificata» (art. 28-bis del d.p.r. 380/2001). Detto istituto e' caratterizzato dal fatto che il rilascio del titolo edilizio e' preceduto dalla stipula di una convenzione urbanistica. Possibili eventi rischiosi Si osserva, di conseguenza, che gli eventi rischiosi sono analoghi a quelli indicati per la convenzione urbanistica conseguente agli atti di pianificazione attuativa (per quanto riguarda: la stipula della convenzione; la coerenza della convenzione con i contenuti del piano urbanistico di riferimento; la definizione degli oneri da versare; la cessione di aree o la monetizzazione, l'individuazione delle opere a scomputo da realizzare e la vigilanza sulla loro esecuzione). Possibili misure Per l'analisi di questi processi e per le relative misure di prevenzione si fa quindi riferimento a quanto indicato nel precedente § 3. 5. Il processo attinente al rilascio o al controllo dei titoli abilitativi edilizi L'attivita' amministrativa attinente al rilascio o alla presentazione dei titoli abilitativi edilizi e ai relativi controlli, salvo diversa disciplina regionale, e' regolata dal d.p.r. 380/2001. In particolare: - l'attivita' edilizia libera, la comunicazione inizio lavori (di seguito CIL) e la comunicazione inizio lavori asseverata (di seguito CILA) sono disciplinati dall'art. 6; - il permesso di costruire e' disciplinato dagli artt. 10-15 e 20; - la segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) dagli artt. 22-23-bis; - il contributo di costruzione dagli artt. 16-19. Il processo che presiede al rilascio dei titoli abilitativi edilizi o al controllo di quelli presentati dai privati e' caratterizzato dalla elevata specializzazione delle strutture competenti e complessita' della normativa da applicare. Tradizionalmente le funzioni edilizie sono svolte infatti da un ufficio speciale, oggi denominato Sportello unico per l'edilizia (SUE) - e Sportello unico per le attivita' produttive (SUAP) - chiamati ad applicare una disciplina che attiene non soltanto alla normativa urbanistica ed edilizia di carattere locale, ma anche alla normativa tecnica sui requisiti delle opere, ai limiti e condizioni alle trasformazioni del territorio, etc. Tali peculiarita' comportano che il personale dotato di adeguate competenze si formi in un lungo periodo di tempo e l'amministrazione comunale sia portata a mantenerlo stabilmente assegnato a tali compiti. Inoltre, si evidenzia che il procedimento per il rilascio del permesso di costruire e la verifica delle istanze presentate dai privati in relazione a SCIA, CIL e CILA sono considerati espressione di attivita' vincolata, in quanto in presenza dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge non sussistono margini di discrezionalita', ne' circa l'ammissibilita' dell'intervento, ne' sui contenuti progettuali dello stesso. Nondimeno, l'ampiezza e la complessita' della normativa da applicare e' tale da indurre a considerare l'attivita' edilizia un'area di rischio specifico. In generale, un contributo positivo di significativa trasparenza dei processi valutativi degli interventi edilizi, e dunque di prevenzione del rischio, e' offerto dalla modulistica edilizia unificata approvata in attuazione della c.d. Agenda per la semplificazione. Tale modulistica, infatti, richiedendo un'analitica disamina delle caratteristiche del progetto, delle normative tecniche e delle discipline vincolistiche da applicare, da una parte ha ridotto significativamente le incertezze normative insite nella materia; dall'altra, consente di ricostruire in modo analitico sia i contenuti delle asseverazioni del committente e del professionista abilitato, sia l'oggetto della valutazione delle strutture comunali. Cio' nonostante ogni intervento edilizio presenta elementi di specificita' e peculiarita' che richiedono una complessa ricostruzione della disciplina del caso concreto, con un processo decisionale che puo' quindi essere oggetto di condizionamenti, parziali interpretazioni e applicazioni normative. Inoltre, a differenza dei processi di pianificazione urbanistica, in questa area non sono previste adeguate forme di pubblicita' del processo decisionale, bensi' solo la possibilita' per i soggetti interessati di prendere conoscenza dei titoli abilitativi presentati o rilasciati, a conclusione del procedimento abilitativo. Sotto il profilo della complessita' e rilevanza dei processi interpretativi, non sussistono differenze significative tra i diversi tipi di titoli abilitativi edilizi: l'uno, il permesso di costruire, richiede il rilascio di un provvedimento abilitativo (suscettibile di silenzio assenso); l'altro, la SCIA presuppone comunque un obbligo generale dell'amministrazione comunale di provvedere al controllo della pratica. Ma in entrambi i casi e' necessaria una attivita' istruttoria che porti all'accertamento della sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge per l'intervento ipotizzato. 5.1 Assegnazione delle pratiche per l'istruttoria Possibili eventi rischiosi In questa fase il principale evento rischioso consiste nella assegnazione a tecnici in rapporto di contiguita' con professionisti o aventi titolo al fine di orientare le decisioni edilizie. Nelle difficolta' di attuare misure di rotazione, a causa della specializzazione richiesta ai funzionari assegnati a queste funzioni, tale evento puo' essere prevenuto, ove possibile, con la informatizzazione delle procedure di protocollazione e assegnazione automatica delle pratiche ai diversi responsabili del procedimento. Sotto questo profilo e' utile mantenere la tracciabilita' delle modifiche alle assegnazioni delle pratiche e monitorare i casi in cui tali modifiche avvengono. Quanto all'attivita' istruttoria e agli esiti della stessa, emerge il rischio di un potenziale condizionamento esterno nella gestione dell'istruttoria che puo' essere favorito dall'esercizio di attivita' professionali esterne svolte da dipendenti degli uffici, in collaborazione con professionisti del territorio nel quale svolgono tale attivita'. Possibili misure Misure preventive da porre in essere possono far leva su doveri di comportamento, introdotti nei codici di comportamento di amministrazione, consistenti nel divieto di svolgere attivita' esterne, se non al di fuori dell'ambito territoriale di competenza, nelle specifiche attivita' di controllo da parte dei competenti nuclei ispettivi, nell'obbligo di dichiarare ogni situazione di potenziale conflitto di interessi, ma anche su percorsi di formazione professionale che approfondiscano le competenze del funzionario e rafforzino la sua capacita' di autonome e specifiche valutazioni circa la disciplina da applicare nel caso concreto. 5.2 Richiesta di integrazioni documentali Possibili eventi rischiosi Anche la fase di richiesta di integrazioni documentali e di chiarimenti istruttori puo' essere l'occasione di pressioni, al fine di ottenere vantaggi indebiti. Le misure possibili attengono al controllo a campione di tali richieste, monitorando eventuali eccessive frequenze di tali comportamenti, al fine di accertare anomalie. Sia in caso di permesso di costruire (cui si applica il meccanismo del silenzio assenso) che di SCIA (per la quale e' stabilito un termine perentorio per lo svolgimento dei controlli), la mancata conclusione dell'attivita' istruttoria entro i tempi massimi stabiliti dalla legge (e la conseguente non assunzione di provvedimenti sfavorevoli agli interessati) deve essere considerata un evento rischioso. Possibili misure La sua prevenzione generale si incentra su misure organizzative atte a garantire un adeguato numero di risorse umane impegnate in questa attivita' o, nel caso di insuperabile carenza di personale, nella fissazione di una quota ragionevole di controlli da effettuare e nella definizione di criteri oggettivi per la individuazione del campione. Rispetto ai casi di non conclusione formale dell'istruttoria, pur in presenza di dette misure organizzative, e' immaginabile lo svolgimento di un monitoraggio delle cause del ritardo e una verifica di quelle pratiche che, in astratto, non presentano oggettiva complessita'. 5.3 Calcolo del contributo di costruzione Le amministrazioni devono porre attenzione al calcolo del contributo di costruzione da corrispondere, alla corretta applicazione delle modalita' di rateizzazione dello stesso e all'applicazione delle eventuali sanzioni per il ritardo. Possibili eventi rischiosi Gli eventi rischiosi ad esso riferibili sono: l'errato calcolo del contributo, il riconoscimento di una rateizzazione al di fuori dei casi previsti dal regolamento comunale o comunque con modalita' piu' favorevoli e la non applicazione delle sanzioni per il ritardo. Possibili misure Anche in questo caso il primo fattore di riduzione del rischio e' la chiarezza dei meccanismi di calcolo del contributo, della rateizzazione e della sanzione e l'adozione di procedure telematiche che favoriscano una gestione automatizzata del processo. In subordine, una efficace prevenzione del rischio puo' essere attuata assegnando tali mansioni a personale diverso da coloro che hanno curato l'istruttoria tecnica della pratica edilizia. Inoltre puo' essere utile un sistema di verifica di report che segnalino gli evidenti scostamenti delle somme quantificate, a parita' delle dimensioni complessive dell'opera, o anomalie dello scadenziario. 5.4 Controllo dei titoli rilasciati Possibili eventi rischiosi In merito al controllo dei titoli rilasciati possono configurarsi rischi di omissioni o ritardi nello svolgimento di tale attivita'; inoltre puo' risultare carente la definizione di criteri per la selezione del campione delle pratiche soggette a controllo. Possibili misure In tutti i casi nei quali i controlli sono attuati a campione, la principale misura di prevenzione del rischio appare la puntuale regolamentazione dei casi e delle modalita' di individuazione degli interventi da assoggettare a verifica (per esempio con sorteggio in data fissa, utilizzando un estrattore di numeri verificabili nel tempo, dando alle pratiche presentate un peso differente in ragione della rilevanza o della problematicita' dell'intervento). Una misura generale di verifica della corretta applicazione della normativa che incide sulla attivita' edilizia puo' essere costituita da controlli su tutte le pratiche che abbiano interessato un determinato ambito urbanistico di particolare rilevanza, una determinata area soggetta a vincoli, ecc., per verificare se tutti gli interventi edilizi abbiano dato applicazione alla relativa normativa in modo omogeneo. 6. Vigilanza L'attivita' di vigilanza costituisce un processo complesso volto all'individuazione degli illeciti edilizi, all'esercizio del potere sanzionatorio, repressivo e ripristinatorio, ma anche alla sanatoria degli abusi attraverso il procedimento di accertamento di conformita'. Quest'attivita' e' connotata da un'ampia discrezionalita' tecnica e, come tale, e' suscettibile di condizionamenti e pressioni esterne, anche in relazione ai rilevanti valori patrimoniali in gioco e alla natura reale della sanzione ripristinatoria. Possibili eventi rischiosi Gli eventi rischiosi consistono, innanzitutto, nella omissione o nel parziale esercizio dell'attivita' di verifica dell'attivita' edilizia in corso nel territorio. Altro evento rischioso puo' essere individuato nell'applicazione della sanzione pecuniaria, in luogo dell'ordine di ripristino, che richiede una attivita' particolarmente complessa, dal punto di vista tecnico, di accertamento dell'impossibilita' di procedere alla demolizione dell'intervento abusivo senza pregiudizio per le opere eseguite legittimamente in conformita' al titolo edilizio. Una particolare attenzione si deve avere per i processi di vigilanza e controllo delle attivita' edilizie (minori) non soggette a titolo abilitativo edilizio, bensi' totalmente liberalizzate o soggette a comunicazione di inizio lavori (CIL) da parte del privato interessato o a CIL asseverata da un professionista abilitato. Tali interventi, infatti, pur essendo comunque tenuti al rispetto della disciplina che incide sull'attivita' edilizia, sono sottratti alle ordinarie procedure di controllo e sottoposti alla generale funzione comunale di vigilanza sull'attivita' edilizia, il cui esercizio e le cui modalita' di svolgimento di norma non sono soggetti a criteri rigorosi e verificabili. Possibili misure Quali misure generali di prevenzione, le amministrazioni comunali possono predisporre accurati sistemi di valutazione della performance individuale e organizzativa delle strutture preposte alla vigilanza, prevedendo obiettivi ed indicatori di attivita' che consentano di monitorare l'esercizio di tali compiti, anche in ordine agli esiti delle segnalazioni ricevute. Inoltre e' opportuno assegnare le funzioni di vigilanza a soggetti diversi da quelli che, per l'esercizio delle funzioni istruttorie delle pratiche edilizie, hanno relazione continuative con i professionisti (e quindi con i direttori dei lavori). Al fine di assicurare la corretta applicazione delle sanzioni pecuniarie possono essere individuate le seguenti misure specifiche: • forme collegiali per l'esercizio di attivita' di accertamento complesse, con il ricorso a tecnici esterni agli uffici che esercitano la vigilanza, in particolare per la valutazione della impossibilita' della restituzione in pristino; • la definizione analitica dei criteri e modalita' di calcolo delle sanzioni amministrative pecuniarie (comprensivi dei metodi per la determinazione dell'aumento di valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere abusive e del danno arrecato o del profitto conseguito, ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per gli interventi abusivi realizzati su aree sottoposte a vincolo paesaggistico) e delle somme da corrispondere a titolo di oblazione, in caso di sanatoria; • verifiche, anche a campione, del calcolo delle sanzioni, con riferimento a tutte le fasce di importo. Al fine di prevenire i rischi di mancata ingiunzione a demolire l'opera abusiva o di omessa acquisizione gratuita al patrimonio comunale di quanto costruito, a seguito del mancato adempimento dell'ordine di demolire possono essere introdotte le seguenti misure: • l'istituzione di un registro degli abusi accertati, che consenta la tracciabilita' di tutte le fasi del procedimento, compreso l'eventuale processo di sanatoria; • la pubblicazione sul sito del comune di tutti gli interventi oggetto di ordine di demolizione o ripristino e dello stato di attuazione degli stessi, nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza; • il monitoraggio dei tempi del procedimento sanzionatorio, comprensivo delle attivita' esecutive dei provvedimenti finali. VII - SANITA' Introduzione Il presente approfondimento e' stato redatto tenendo conto del lavoro degli appositi tavoli tematici ANAC, Ministero della salute e AGENAS. Le indicazioni specifiche qui fornite, da leggere a integrazione di quelle contenute nell'Aggiornamento 2015 al PNA che si intendono recepite anche con riferimento agli ambiti non specificamente trattati ( § 1.5, § 2.1.3, § 2.1.4, § 2.2.3, § 2.2.4), rappresentano un insieme di misure, in costante evoluzione, affinamento e miglioramento, concretamente attuabili con gli opportuni adattamenti di contesto e con gli strumenti disponibili, che hanno lo scopo di favorire una maggiore capacita' di contrasto da parte delle istituzioni sanitarie dei fenomeni corruttivi nel breve/medio periodo. In particolare, le misure indicate costituiscono possibili soluzioni organizzative per preservare il Servizio Sanitario Nazionale (di seguito SSN) dal rischio di eventi corruttivi (con specifico riferimento al contesto strutturale, sociale ed economico in cui si collocano ed operano le istituzioni medesime) e per innalzare il livello globale di integrita', di competenza e di produttivita' del sistema sanitario nazionale a partire dall'aumento dell'efficacia e dell'efficienza delle singole unita' operative in cui si articola. Per realizzare questi obiettivi, il presente approfondimento rivolto alle regioni e alle organizzazioni sanitarie aziendali, presenta un quadro di interventi tra loro correlati la cui realizzazione richiede necessariamente un forte investimento formativo, soprattutto sugli RPCT e, a cascata, su tutti coloro che intervengono nei processi di costruzione ed attuazione delle azioni dei PTPC. Cio' affinche' tutti i soggetti siano in grado di utilizzare al meglio le misure e le indicazioni contenute nel PNA per realizzare il livello di equilibrio ottimale fra i due pilastri: la realizzazione piena delle finalita' istituzionali di un'azienda sanitaria, da cui dipende il livello di salute di una popolazione, e il contrasto ai tentativi e/o ai fatti corruttivi che si oppongono o ne ostacolano il perseguimento. Ruolo del responsabile della prevenzione della corruzione Premessa Il RPCT rappresenta uno dei soggetti fondamentali per l'attuazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e della trasparenza (21). In considerazione della natura dei soggetti destinatari del PNA - sezione II Sanita' - e delle peculiarita' delle organizzazioni sanitarie nell'ambito del sistema-aziende che operano all'interno del SSN, e' necessario che le indicazioni fornite nella parte generale al § 5.2. siano quanto piu' possibile contestualizzate, sia nella scelta da parte dell'organo nominante (Direttore Generale), sia nella configurazione degli strumenti di supporto nell'ambito dell'organizzazione sanitaria, funzionali alla migliore gestione di tutti i processi interni alla stessa. In coerenza, infatti, con le indicazioni della parte generale, il ruolo e le funzioni del RPCT non possono prescindere, ancor piu' in un'organizzazione sanitaria e di alta complessita', dalle funzioni strategiche di pianificazione, di vigilanza, di monitoraggio e di controllo proprie dell'organizzazione stessa e devono essere integrate ed interconnesse con esse. Nel presente approfondimento sono contenute indicazioni specifiche al fine di uniformare, per gli aspetti di comune applicabilita', i criteri di scelta delle aziende e degli enti del SSN, del profilo cui attribuire la funzione di RPCT. 1. Ambito soggettivo I soggetti cui si rivolge l'approfondimento sono i medesimi contenuti al punto 1.2 dell'approfondimento sezione II Sanita' dell'Aggiornamento 2015 al PNA (22). 1.1 Altri soggetti non di diritto pubblico: gli ospedali classificati e altri soggetti accreditati con il SSN Per gli enti non di diritto pubblico accreditati con il SSN si raccomanda alle amministrazioni di riferimento di promuovere l'adozione di strumenti per il rafforzamento della trasparenza e per la prevenzione della corruzione e del conflitto di interessi, alla luce delle indicazioni operative contenute anche nel presente approfondimento. Particolare riguardo va riservato ai c.d. ospedali classificati o equiparati (23) in ragione della peculiarita' di questi enti la cui natura giuridica - amministrativa non ne consente la riconducibilita' netta al settore pubblico o al privato. La normativa di settore (24) a oggi invariata ha, di fatto, determinato, con riferimento a tali enti, una nuova fattispecie giuridica legata ad una personalita' di natura privata delle strutture ecclesiastiche classificate ed equiparate, coesistente con la erogazione di un servizio ospedaliero sottoposto alle stesse regole generali del settore pubblico. E' ragionevole, quanto opportuno, quindi, estendere anche a tali enti le medesime indicazioni contenute nel presente approfondimento, per quanto applicabili, dandone opportuna evidenza in ognuno degli specifici accordi contrattuali. Qualora le aziende sanitarie e gli altri soggetti di cui al presente paragrafo controllino o partecipino in societa' o altri enti di diritto privato, questi ultimi, in analogia agli altri soggetti sopra menzionati, sono tenuti ad assicurare l'applicazione della normativa di prevenzione della corruzione e di promozione della trasparenza (25), anche ai fini dell'individuazione e nomina della figura del RPCT. 2. Conoscenze e competenze generali e comuni del RPCT in ambito sanitario e requisiti soggettivi L'approfondimento sezione II Sanita' dell'Aggiornamento 2015 al PNA contiene gia' indicazioni sui requisiti soggettivi dei RPCT, prevedendo che «Fermo restando quanto gia' indicato nella parte generale, il profilo del professionista al quale attribuire l'incarico di RPC e' opportuno abbia specifiche competenze in tema di conoscenza dell'organizzazione e gestione della struttura sanitaria, dei processi e delle relazioni in essa esistenti». Nella definizione del profilo del RPCT e' necessario tenere conto degli aspetti che connotano la funzione che deve esercitare tale figura che possono essere ricompresi prevalentemente in due ambiti: "preventivo" e di "vigilanza". In riferimento al primo ambito, il RPCT e' chiamato ad elaborare il PTPC che costituisce l'espressione delle conoscenze specifiche e contingenti in possesso del RPCT e della sua capacita' di utilizzare esperienze e competenze presenti all'interno e all'esterno della struttura in cui opera. In merito al secondo aspetto, quello della vigilanza, il RPCT e' chiamato a vigilare sul rispetto di quanto previsto dal Piano, a elaborare nuove misure e strategie preventive e a segnalare criticita' e/o specifici fatti corruttivi o di cattiva gestione. Il prevalere di un aspetto o dell'altro, ovvero il livello di equilibrio fra questi due ambiti, rilevano nell'identificazione del profilo del RPCT. Poste le caratteristiche comuni della funzione del RPCT e del profilo dirigenziale cui deve rispondere tale figura, il RPCT delle aziende sanitarie e degli enti assimilati del SSN assume, anche alla luce della sezione II Sanita' dell'Aggiornamento 2015 al PNA, un ruolo pregnante all'interno dell'organizzazione sanitaria che richiede, in quanto tale, una sempre piu' specifica conoscenza del settore sotto tutti gli aspetti, organizzativo, gestionale e sanitario. Al fine di contestualizzare tale profilo nell'ambito dell'organizzazione sanitaria, occorre, con maggior livello di dettaglio: - definire il profilo e le competenze del RPCT delle aziende sanitarie e degli enti del SSN; - esplicitare il sistema di relazioni/collegamenti del RPCT con riferimento ai rapporti con i vertici aziendali e con i responsabili delle varie articolazioni aziendali; - esplicitare gli strumenti a supporto del RPCT (ad esempio referenti e/o struttura organizzativa in relazione al livello di complessita' dell'organizzazione aziendale). Sulla base delle suddette considerazioni si possono distinguere in capo al RPCT due diversi aspetti: profili di competenza e aspetti organizzativi. 2.1 Profili di competenza Le caratteristiche conoscitive principali del RPCT devono essere: - conoscenza dell'organizzazione sanitaria (ospedaliera/territoriale) e dei diversi processi che costituiscono gli elementi fondamentali per la produzione di servizi sanitari; - conoscenza dei processi amministrativi e gestionali; - capacita' di valutare il contesto in cui opera un'azienda sanitaria e gli snodi importanti di funzionamento della macchina assistenziale ed amministrativa sulla base anche della conoscenza intersettoriale dell'azienda sanitaria e della rete di relazioni interne ed esterne della stessa in ambito locale, regionale ed extra regionale; - conoscenza degli strumenti di programmazione aziendale e del sistema di valutazione delle performance per le necessarie interconnessioni tra questi e il PTPC. 2.2 Aspetti organizzativi Posto che il RPCT negli enti del servizio sanitario debba almeno occupare una posizione dirigenziale di struttura complessa o a valenza dipartimentale (UOC, UOD, Dipartimento/Distretto/Presidio, ecc.) e che la funzione di RPCT e' aggiuntiva rispetto alla funzione e al ruolo del dirigente gia' ricoperti all'interno dell'organizzazione, a invarianza di risorse economiche, e' importante nell'individuazione della figura piu' adeguata al ruolo di RPCT, tenere conto della tipologia di struttura organizzativa diretta e del livello di integrabilita'/compatibilita' delle relative funzioni ed attivita' con quelle aggiuntive del ruolo di RPCT. 3. Criteri di esclusione La normativa vigente prevede che il RPCT sia un dirigente stabile dell'amministrazione, con una adeguata conoscenza della sua organizzazione e del suo funzionamento, dotato della necessaria imparzialita' ed autonomia valutativa e scelto, di norma, tra i dirigenti non assegnati ad uffici che svolgano attivita' di gestione e di amministrazione attiva. Nel contesto delle organizzazioni sanitarie, l'applicazione delle richiamate disposizioni normative e delle indicazioni gia' fornite da questa Autorita', induce ad escludere, ai fini della scelta e della conseguente nomina del RPCT, le fattispecie di seguito elencate a titolo indicativo e non esaustivo: - direttore generale; - dirigente (sia di area sanitaria che amministrativa) di struttura semplice; - dirigente responsabile del settore gare e appalti; - dirigente responsabile dell'ufficio procedimenti disciplinari; - dirigente esterno con contratto di collaborazione/consulenza e/o altro tipo di rapporti a tempo determinato. Rispetto ai suddetti criteri di esclusione, eventuali scelte residuali dovranno, in ogni caso, essere adeguatamente motivate, avuto riguardo delle indicazioni di cui al presente approfondimento e a quelle della parte generale, in coerenza con la cornice normativa vigente per l'ambito di riferimento. Resta salva la possibilita' di salvaguardare le professionalita' che hanno svolto l'incarico per almeno un triennio, previa adeguata motivazione circa l'assenza di altre figure compatibili con le indicazioni gia' fornite nel PNA. In ogni caso, per tutte le fattispecie non esplicitamente annoverate tra quelle escludenti la nomina a RPCT, resta intesa la presupposta condizione di assoluta integrita' del soggetto da nominare, che, di norma, non deve essere stato sottoposto a procedimenti disciplinari. 4. Criteri di scelta Se gli aspetti che prevalgono nella scelta sono quelli "di competenza", le aziende sanitarie e gli enti assimilati avranno cura di valorizzare l'organizzazione funzionale di supporto al RPCT di cui al successivo § 6. Qualora, invece, gli aspetti che prevalgono siano quelli "organizzativi", e' opportuno prendere a riferimento strutture organizzative che, per funzioni strategiche proprie, oltre a presupporre la conoscenza dei processi organizzativi e gestionali interni all'azienda, gia' si caratterizzano per un elevato livello di integrazione con gli altri livelli di responsabilita' aziendali. Rispondono a quest'ultimo caso, e sono da intendersi quali profili elettivi, figure come il responsabile del controllo di gestione, il responsabile del settore affari legali/affari generali, il risk manager, il direttore medico di presidio, il dirigente amministrativo di presidio, il direttore di distretto, il direttore di dipartimento, il cui ruolo e funzioni si caratterizzano per essere trasversali rispetto all'organizzazione aziendale e che, pertanto, devono interagire necessariamente con la direzione strategica. Transitoriamente, e in via eccezionale, e' fatta salva la possibilita' di attribuire l'incarico di RPCT ai dirigenti di struttura semplice o ai titolari di incarichi di alta professionalita' che abbiano gia' svolto l'incarico di RPCT per almeno un triennio, previa adeguata motivazione circa l'assenza di condizioni per poter attribuire l'incarico agli altri soggetti sopra indicati. 5. Fattori di rischio/criticita' In questa sezione rientrano tutti quegli elementi che possono influenzare, positivamente o negativamente, l'azione del RPCT. In particolare, si segnalano: - il livello di integrita' del soggetto cui affidare l'incarico di RPCT; - il livello di legittimazione/autorevolezza del soggetto all'interno dell'organizzazione e nelle relazioni con gli altri livelli di responsabilita' aziendali; - il grado di "dipendenza" del soggetto e del suo percorso di carriera da persone che operano all'interno dell'azienda (o che ne possono influenzare gli orientamenti dall'esterno); - l'appartenenza a specifiche "comunita'" (ad es. associazioni o altro); - la mancanza di prospettive di realizzazione di azioni che possono richiedere tempi operativi medio/lunghi (rotazioni troppo brevi possono disincentivare l'attivita' di un RPCT); - la necessita' di rientro nel precedente percorso di carriera e quindi la convivenza nell'ambiente con ruoli diversi, ecc.; - ulteriori eventuali fattori di "rischio" soggettivi evincibili ad es. dalla dichiarazione pubblica di interessi di cui alla modulistica standard resa disponibile in applicazione della specifica previsione contenuta nella determinazione ANAC n. 12/2015 - sezione II - Sanita'. 6. Struttura di supporto Per quanto concerne, in particolare, gli strumenti a supporto del RPCT si rinvia a quanto illustrato nella parte generale (cfr.§ 5.2.), in coerenza con le indicazioni fornite dal legislatore nel d.lgs. 97/2016. All'atto della nomina, specie laddove nella scelta i profili di competenza prevalgano sugli aspetti organizzativi, e' opportuno esplicitare i collegamenti e le strutture/figure di supporto al RPCT che consentano, da un lato, un efficace espletamento dei compiti di quest'ultimo e, dall'altro, la necessaria partecipazione dei responsabili degli uffici a tutte le fasi di predisposizione e di attuazione del PTPC, nonche' la piena condivisione degli obiettivi e la piu' ampia partecipazione di tutti i dipendenti. 7. Durata dell'incarico La durata dell'incarico del RPCT deve essere fissata tenendo conto della non esclusivita' della funzione, che, al contrario, viene assegnata a titolari di incarichi dirigenziali di struttura complessa e/o valenza dipartimentale gia' ricoperti all'interno dell'organizzazione. Al riguardo si rinvia alla parte generale. Le predette indicazioni sono connesse alla salvaguardia della necessaria "indipendenza" delle funzione del RPCT rispetto anche ad eventuali potenziali condizionamenti connessi ai fattori di rischio evidenziati al precedente § 5. Il RPCT deve, infatti, essere una figura di garanzia per l'istituzione sanitaria e non un incarico di natura fiduciaria. Di cio' deve tenersi conto anche nella determinazione della durata dell'incarico, non correlata a quella del contratto del Direttore Generale. 8. Formazione La centralita' della formazione (26) e il ruolo strategico che essa assume nella qualificazione e nel mantenimento delle competenze, sono affermati, come richiamato nella nota sottostante, gia' nella l. 190/2012. Ferma restando la responsabilizzazione delle amministrazioni e degli enti sulla scelta dei soggetti da formare e su cui investire prioritariamente e la trasversalita' della formazione all'interno dell'organizzazione per tutti i soggetti che, seppur con approcci differenziati, partecipano, a vario titolo, alla formazione ed attuazione delle misure di prevenzione, la figura del RPCT e le figure di supporto (referenti, organi di indirizzo, titolari di uffici e di funzioni strategiche, ecc.) sono da considerarsi destinatari prioritari dell'investimento formativo. Sotto il profilo dei contenuti la formazione deve riguardare, anche in modo specialistico, tutte le diverse fasi di costruzione dei PTPC e delle connesse relazioni annuali: a titolo di esempio, l'analisi di contesto, esterno e interno, la mappatura dei processi, l'individuazione e la valutazione del rischio, l'identificazione delle misure e le modalita' di verifica, monitoraggio e controllo delle stesse. Sotto il profilo delle modalita' didattiche, sono da valorizzare modalita' formative secondo la logica della diffusione e implementazione dell'esperienza e delle buone pratiche, da condursi anche sul campo, rivolte sia ai RPCT che alle figure di supporto finalizzate a costruire la consapevolezza e la corresponsabilizzazione degli operatori e dei responsabili delle aree a rischio nelle attivita' di monitoraggio dei processi e dei procedimenti. I percorsi formativi dovranno pertanto connotarsi per una sempre maggiore specificita' in relazione alle peculiarita' del settore sanitario rispetto agli altri settori della pubblica amministrazione e per l'approccio operativo finalizzato al consolidamento di una reale e concreta capacita' di applicazione e di trasferimento delle competenze nell'espletamento delle funzioni rivestite all'interno dell'organizzazione. Acquisti in ambito sanitario Fermo restando quanto gia' indicato nella determinazione ANAC n. 12 del 28 ottobre 2015, nella sezione II Sanita' e, in particolare, quanto ivi riportato al § 2.1.1. "Contratti pubblici", di seguito si forniscono ulteriori, specifiche indicazioni relative al processo degli acquisti in ambito sanitario. 1. Misure per la gestione dei conflitti di interessi nei processi di procurement in sanita' Nell'ambito degli appalti in sanita', l'esigenza di affrontare in modo sistemico e strategico le situazioni di conflitti di interesse appare maggiormente sentita a causa delle caratteristiche strutturali di potenziale intrinseca "prossimita'" di interessi presenti nell'organizzazione sanitaria con specifico riferimento al settore degli acquisti, generata dal fatto che i soggetti proponenti l'acquisto sono spesso anche coloro che utilizzano i materiali acquistati. L'argomento riveste una particolare rilevanza alla luce anche del d.lgs. 50/2016 (nuovo Codice dei contratti pubblici) che, all'art. 42, reca una specifica previsione sulla individuazione e risoluzione dei conflitti di interesse che possano essere percepiti come minaccia alla imparzialita' e all'indipendenza del personale della stazione appaltante. Occorre, pertanto, predisporre misure per una corretta gestione dei conflitti potenziali e/o effettivi attraverso l'enucleazione delle fattispecie tipiche di conflitto di interessi e la divulgazione di informazioni finalizzate a consentire ai tecnici e ai professionisti sanitari piu' esposti al rischio di conflitto di interessi di agire con la consapevolezza richiesta, anche attraverso la compilazione delle apposite dichiarazioni; e' inoltre opportuna la definizione di un modello di gestione dei conflitti di interessi e la informazione dei professionisti coinvolti. Di conseguenza si propongono le seguenti possibili misure: • adozione di documenti strategici finalizzati a facilitare l'implementazione coordinata di misure preventive che agiscano contemporaneamente sul piano della sensibilizzazione e della responsabilizzazione degli attori coinvolti; • predisposizione di una modulistica per le dichiarazioni di assenza di conflitti di interesse e definizione di apposite procedure per la raccolta, tenuta ed aggiornamento di tali dichiarazioni; • formazione dei professionisti coinvolti mediante moduli dedicati alla gestione dei conflitti di interesse; • informazione puntuale e tempestiva degli operatori coinvolti, ad esempio mediante l'adozione e diffusione di documenti esplicativi che facilitino l'autovalutazione delle situazioni personali e relazionali con riferimento al contesto in cui ciascun soggetto si trova ad operare (in una Commissione giudicatrice, in un Collegio tecnico per la stesura degli atti di gara, ecc.). L'AGENAS potra' offrire un supporto operativo per l'attuazione delle misure indicate attraverso materiale pubblicato sul proprio sito istituzionale. 1.1 Possibili ambiti di conflitto di interesse Le situazioni che possono generare conflitti di interessi dovrebbero, per le ragioni anzidette, essere gestite dalle aziende sanitarie in modo che i contatti tra mondo professionale interno ed operatori economici possano avvenire all'interno di un quadro regolamentato in termini di procedure definite a livello aziendale. In tale ottica si suggeriscono le seguenti misure, utili a costituire un valido contributo procedurale alla riduzione del rischio e la cui adozione favorisca la percezione di un'attivita' imparziale e indipendente da parte delle stazioni appaltanti, sia nella fase di progettazione che in quella di selezione del contraente. * Nell'ambito della sponsorizzazione di attivita': • nei casi in cui la formazione dei professionisti sia sponsorizzata con fondi provenienti da imprese private, le aziende predispongono procedure che prevedano che le richieste di sponsorizzazione siano indirizzate direttamente alla struttura indicata dall'azienda (es. Direzione Sanitaria) e non ai singoli professionisti o a loro associazioni private e che tali richieste non siano mai nominative, dovendo essere l'azienda a indicare e autorizzare i dipendenti idonei a beneficiarne (in relazione al ruolo organizzativo, al bisogno formativo, ecc.); • le risorse derivanti dalle sponsorizzazioni sono utilizzate attraverso l'istituzione di un fondo dedicato alla formazione dei professionisti, da gestire secondo criteri di rotazione, imparzialita' e con modalita' che garantiscano la piena trasparenza. - Nel rilascio di pareri, nulla osta, autorizzazioni allo svolgimento di attivita' extra impiego: • le aziende definiscono un procedimento per il rilascio di pareri, nulla osta, autorizzazioni allo svolgimento di attivita' extra impiego che tenga conto: nel caso in cui il soggetto richiedente sia membro di una commissione di gara, della possibile insorgenza di situazioni di conflitto quando la procedure di gara sia in uno stato avanzato di espletamento che non consente agevoli sostituzioni o quando non siano presenti professionalita' fungibili con quella del dipendente; della programmazione degli acquisti e, quindi, delle professionalita' che potranno essere chiamate a partecipare alle future procedure di gara. 2. Rafforzamento della trasparenza nel settore degli acquisti La pubblicazione dei dati relativi alle attivita' negoziali da parte delle stazioni appaltanti e' finalizzata a consentire l'accesso alle informazioni essenziali, che devono essere innanzitutto contenute negli atti riguardanti un appalto. Il rispetto dell'obbligo di pubblicazione di tali dati e informazioni richiede, quindi, anche una maggiore cognizione e responsabilita' nell'adozione degli atti e nella definizione dei relativi contenuti, in quanto deve consentire alle figure preposte - ed ai cittadini in senso generale - la piena conoscenza dell'operato della pubblica amministrazione. Pertanto, fermi restando gli obblighi di pubblicazione previsti dalla legislazione vigente, di seguito sono indicati, quali misure di trasparenza, un set di dati da pubblicare sul sito istituzionale delle stazioni appaltanti e un set di dati minimi da riportare nella determina a contrarre, nel contratto e in tutti gli ulteriori atti connessi all'appalto (atto di proroga, di rinnovo, di variante, ecc.), con un duplice livello di controllo del rispetto di tali misure da parte sia del RPCT sia del collegio dei revisori aziendali. Set di dati minimo all'interno degli atti relativi ad appalti: - presenza o meno dell'oggetto dell'appalto negli atti di programmazione, con indicazione dell'identificativo dell'atto di programmazione; - oggetto e natura dell'appalto (lavori/servizi/forniture/misto con esplicitazione della prevalenza; in caso di contratto di global service comprensivo di diversi servizi, indicazione analitica dei diversi servizi, evidenziando eventuali beni e/o servizi ad esclusivo utilizzo della Direzione generale aziendale); - procedura di scelta del contraente e relativi riferimenti normativi (aperta/ristretta/competitiva con negoziazione/negoziata senza previa pubblicazione del bando/procedura sotto soglia); - importo dell'appalto, con specificazione anche dei costi derivanti dal ciclo di vita dell'appalto (ad es. per materiali connessi all'utilizzo e/o per manutenzioni); - termini temporali dell'appalto: durata dell'esigenza da soddisfare con l'appalto (permanente/una tantum), durata prevista dell'appalto, se disponibili, decorrenza e termine dell'appalto; - RUP e, quando nominati, direttore dei lavori, direttore dell'esecuzione e commissione di collaudo; - CIG e (se presente) CUP. Set di dati oggetto di pubblicazione: Oltre ai dati di cui all'art. 29 del d.lgs. 50/2016: - presenza o meno dell'oggetto dell'appalto negli atti di programmazione, con indicazione dell'identificativo dell'atto di programmazione; - fase della procedura di aggiudicazione o di esecuzione del contratto (indizione/aggiudicazione/affidamento/proroga del contratto/rinnovo del contratto ecc./risoluzione) nonche' motivazioni di eventuali proroghe, rinnovi, affidamenti in via diretta o in via d'urgenza; - indicazione dell'operatore economico affidatario del medesimo appalto immediatamente precedente a quello oggetto della procedura di selezione; - RUP e, quando nominati, direttore dei lavori, direttore dell'esecuzione e commissione di collaudo; - CIG e (se presente) CUP; - resoconto economico e gestionale dell'appalto, incluso l'ammontare delle fatture liquidate all'appaltatore. 2.1 Altre proposte di misure di trasparenza nel settore degli acquisti Ulteriori proposte di misure tese a rafforzare ed elevare il livello di trasparenza in questo settore trovano specifica applicazione in relazione alle diverse fasi del processo di acquisto. > Nella fase di progettazione della gara le stazioni appaltanti pubblicano le seguenti informazioni: - criteri per gestire le varie forme di consultazione preliminare di mercato con i soggetti privati e con le associazioni di categoria, prevedendo la rendicontazione sintetica degli incontri (anche di quelli eventualmente aperti al pubblico); - elenco dei soggetti abilitati a svolgere la funzione di responsabili del procedimento di gara, con relativi curricula (nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza); - per le centrali di committenza, pubblicazione periodica dello stato di avanzamento dei lavori per la realizzazione delle iniziative programmate, inclusa la previsione della conclusione del procedimento; - criteri univoci per: le procedure finalizzate all'accertamento delle condizioni di cui all'art. 63, co. 2, lett. b) del d.lgs. 50/2016 (per il caso di esclusive dichiarate o di infungibilita' tecnica); la scelta degli operatori economici da invitare nelle procedure negoziate sotto soglia (indagini di mercato o elenco fornitori). • Nella fase di istituzione delle commissioni di gara, le stazioni appaltanti pubblicano le seguenti informazioni: - tempestiva pubblicazione dei nominativi e dei curricula dei commissari selezionati, in conformita' a quanto previsto all'art. 29 del d.lgs. 50/2016; - la modalita' di scelta dei commissari, in caso di nomina da parte della stazione appaltante di componenti interni alla stessa; - modalita' con cui procedere al sorteggio in caso di nomina di componenti esterni ai sensi dell'art. 77 del d.lgs. 50/2016; - calendario delle sedute di gara. • Nella fase di aggiudicazione e stipula del contratto e' opportuno che sia effettuato il monitoraggio del tempo intercorrente tra l'aggiudicazione e la data di stipula del contratto. • Nella fase di esecuzione del contratto le stazioni appaltanti pubblicano le seguenti informazioni: - provvedimenti di adozione di varianti, contestualmente alla loro adozione e almeno per tutta la durata del contratto, con riferimento a quelle per il cui valore vi e' altresi' obbligo di comunicazione all'ANAC; - eventuali variazioni contrattuali rispetto alle indicazioni fornite dalle centrali di committenza con obbligo di segnalazione a queste ultime. 3. Misure di controllo Appalti di importo inferiore alla soglia di ? 40.000 E' opportuno che sia organizzato un adeguato sistema di controllo su questo tipo di affidamenti strutturando flussi informativi tra il RUP, il RPCT e il collegio dei revisori aziendali, al fine di consentire di verificare, nel caso in cui l'appaltatore individuato risulti gia' affidatario del precedente appalto, se la scelta sia sorretta da idonea motivazione. Il RPCT puo' richiedere ai RUP dati e informazioni, anche aggregate, sulle scelte e le relative motivazioni nonche' su eventuali scostamenti tra l'importo del contratto e l'importo corrisposto all'appaltatore, illustrandone la motivazione; nel caso in cui sia rilevata la violazione dell'art. 35 del Codice dei contratti pubblici - in ordine al calcolo dell'importo dell'appalto, che deve comprendere i costi aggiuntivi connessi all'utilizzo o alla manutenzione dei beni - il RPCT provvede a segnalare il fatto agli organi di vertice e ad altri organi competenti. Acquisti autonomi e proroghe contrattuali Si richiama l'esigenza di motivazione espressa della scelta di ricorrere alla proroga contrattuale, con esplicitazione dei vari livelli di responsabilita' e relativa asseverazione da parte dei vertici aziendali. Per i beni e servizi che non rientrano per categoria e per importo nell'ambito di applicazione del d.p.c.m. 24 dicembre 2015 (in attuazione dell'art. 9, co. 3, del d.l. 66/2014), e' opportuno prevedere l'inserimento nel provvedimento autorizzativo della espressa indicazione che il bene o servizio acquistato «non rientra tra le categorie merceologiche del settore sanitario come individuate dal d.p.c.m. di cui all'art. 9 co. 3 del d.l. 66/2014 e s.m.i. e relativi indirizza applicativi». 4. Sotto-processo di adesione agli strumenti delle centrali di committenza o dei soggetti aggregatori Negli ultimi anni il processo di approvvigionamento, soprattutto in ambito sanitario, ha vissuto una profonda trasformazione. La costituzione di centrali di committenza a livello nazionale e l'avvio dei lavori dei soggetti aggregatori di cui all'art. 9 del d.l. 66/2014, nonche' le previsioni di cui all'art. 37 del d.lgs. 50/2016 in ordine alle varie forme di aggregazione e centralizzazione delle committenze, (di seguito, indicati tutti come "centrali di committenza"), stanno sempre piu' plasmando la geografia e la struttura della domanda pubblica. Di conseguenza il ruolo delle singole stazioni appaltanti muta, poiche' il venir meno delle fasi di progettazione, selezione del contraente e aggiudicazione richiede una maggiore attenzione alla programmazione e alla esecuzione dei contratti. I profili di rischio collegati si arricchiscono di aspetti peculiari e tipici che richiedono l'adozione di misure specifiche da aggiungere a quelle del processo piu' generale. L'AGENAS fornira' il necessario supporto per l'analisi e la corretta trattazione dei rischi. Processi e procedimenti rilevanti • Nella fase di programmazione possono rilevare le seguenti attivita': - formulazione ed invio della programmazione e dei relativi aggiornamenti nei tempi previsti dalla centrale di committenza; - definizione delle competenze per l'approvazione del fabbisogno e definizione dei livelli organizzativi (referenze qualificate); - verifica della pertinenza dei fabbisogni con strumenti gia' disponibili o programmati; formulazione del fabbisogno secondo codifiche proprie delle centrali di committenza anche mediante l'utilizzo di modelli e vocabolari comuni; - pubblicazione della programmazione e monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori della centrale. • Nella fase di adesione possono rilevare le seguenti attivita': - analisi ed esame del contenuto degli strumenti messi a disposizione dalle centrali (accordi quadro, convenzioni, SDA, ecc.) e compatibilita' con i fabbisogni espressi o non programmati; - definizione dell'oggetto degli atti di adesione (codifica dei fabbisogni non programmati e comparazione quali-quantitativa con i prodotti/servizi messi a disposizione dalle centrali); - formalizzazione delle adesioni (appalto specifico, ordine, contratto, ecc.) secondo le regole degli strumenti posti in essere dalla centrale. • Nella fase di esecuzione e rendicontazione dei singoli contratti rilevano gli aspetti legati alla interpretazione delle condizioni contrattuali, alla contrattualizzazione/ordinazione delle prestazioni, alle comunicazioni con la centrale di committenza e alle comunicazioni alla centrale sulle verifiche (di processo, di outcome, ecc.) che la stessa pone in essere. Possibili eventi rischiosi • Per la fase di formulazione e comunicazione dei fabbisogni possono rilevare il mancato rispetto dei tempi di invio della programmazione e dei relativi aggiornamenti e la mancata o non chiara definizione delle competenze per l'approvazione del fabbisogno e la definizione dei livelli organizzativi (referenze qualificate). Cio' puo' comportare la parziale comunicazione con la centrale, generando una progettazione e un'aggiudicazione non allineata con i reali fabbisogni oppure l'aggiudicazione di prodotti che non corrispondono alle esigenze e che non verranno poi acquisiti; l'elusione degli obblighi di adesione causata dall'assenza di strumenti e procedure di verifica della pertinenza dei fabbisogni con strumenti gia' disponibili o programmati; il mancato rispetto o utilizzo dei vocabolari o delle codifiche previste dalla centrale porta alla formulazione di un fabbisogno non chiaro che puo' inficiare la corretta progettazione della gara da parte delle centrali; l'effettuazione di acquisizioni autonome in presenza di strumenti messi a disposizione dalla centrale, causato dal mancato monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori della centrale stessa. • Per la fase di adesione possono rilevare rischi legati ad una non corretta analisi del contenuto degli strumenti messi a disposizione dalle centrali, al fine di dichiararne la non compatibilita' con i fabbisogni espressi o non programmati o con le esigenze di appropriatezza dell'utilizzo dei prodotti; la definizione dell'oggetto degli atti di adesione allo scopo di rendere necessarie acquisizioni complementari; il mancato rispetto dei limiti temporali e quantitativi di adesione allo scopo di rendere necessarie acquisizioni in urgenza o frazionare artificiosamente il bisogno. • Per la fase di esecuzione e rendicontazione dei singoli contratti possono emergere rischi legati alla non corretta interpretazione delle condizioni contrattuali allo scopo di dichiararne la non compatibilita' con le esigenze di approvvigionamento; al mancato rispetto dei limiti quantitativi e qualitativi del contenuto delle prestazioni; richiesta di prestazioni non comprese nelle opzioni di variazione; la mancata o non corretta comunicazione delle inadempienze, delle penali, delle sospensioni, delle verifiche negative di conformita' e delle risoluzioni alla centrale di committenza che inficiano, da un lato, la corretta gestione degli accordi e delle convenzioni da parte della centrale e, dall'altra, possono essere utilizzati al solo scopo di giustificare acquisizioni autonome sovrapponibili; l'effettuazione di acquisizioni di prestazioni complementari che modifichino sostanzialmente il profilo qualitativo dei prodotti/servizi aggiudicati dalle centrali. Anomalie significative • Per la fase di formulazione e comunicazione dei fabbisogni possono costituire elementi rilevatori di rischio: il mancato rispetto dei tempi di invio della programmazione e dei relativi aggiornamenti; l'invio delle comunicazioni/informazioni da parte di soggetti non titolati; la pubblicazione/effettuazione di gare con oggetti sovrapponibili a quelli delle centrali di committenza; la presenza di proroghe contrattuali per beni e servizi oggetto di strumenti attivi delle centrali; presenza di solleciti da parte delle centrali di acquisto. • Nella fase di adesione, esecuzione e rendicontazione possono segnalare la presenza di rischi la stipula di contratti autonomi/affidamenti sotto soglia nelle categorie riservate ai soggetti aggregatori; l'approvazione di variazioni qualitative e quantitative che non dimostrino il rispetto dei limiti consentiti dagli strumenti delle centrali; la contrattualizzazione/il pagamento di prestazioni in variazione non motivati (nella determina o nei certificati di pagamento) con riferimento alle opzioni consentite; l'assenza di rendicontazioni circa le comunicazioni delle inadempienze, delle penali, delle sospensioni, delle verifiche negative di conformita' e delle risoluzioni alla centrale di committenza; il superamento delle soglie di spesa annua per le categorie merceologiche riservate ai soggetti aggregatori e stabilito dal d.p.c.m. di cui all'art. 9, co. 3 del d.l. 66/2013. Indicatori • Per la fase di formulazione e comunicazione dei fabbisogni e di adesione possono considerarsi indicatori significativi il rapporto tra il numero degli affidamenti in adesione ed il numero totale dei contratti; gli importi affidati in adesione sul totale degli affidamenti; il numero di affidamenti in autonomia nelle categorie merceologiche riservate ai soggetti aggregatori in rapporto al totale degli affidamenti della singola stazione; gli importi di acquisizione comunicati alla centrale di committenza e gli importi delle adesioni effettuate in un determinato arco temporale e lo scostamento (in difetto o eccesso) rispetto al 100%; lo scostamento dai livelli medi di adesioni ai contratti delle centrali di committenza registrati da amministrazioni comparabili. • Per la fase di esecuzione e rendicontazione indicatori utili possono essere costituiti da: rapporto tra il numero delle varianti/servizi e forniture complementari e quello delle adesioni; rapporto tra gli importi delle variazioni/servizi e forniture complementari e quello delle adesioni; confronto (anche in termini di rapporto semplice o di incidenza) tra il numero (anche come media) delle variazioni/servizi e forniture complementari effettuate sui contratti stipulati in autonomia e quelle poste in essere sui contratti in adesione. Possibili misure • In fase di programmazione: - obbligo di evidenziare, nella programmazione annuale, il ricorso agli strumenti delle centrali di committenza nonche' di prevedere una sezione separata per le categorie riservate ai soggetti aggregatori; - adozione e pubblicazione di procedure interne di segregazione di responsabilita' e compiti per le fasi di manifestazione, elaborazione, analisi e validazione del fabbisogno ed identificazione dei soggetti titolati a trasmettere i fabbisogni alle centrali; - previsione di una fase di aggiornamento della programmazione in corso di anno; - previsioni di audit interni circa il rispetto dei tempi e delle codifiche di prodotti e servizi rilevati dalle centrali di committenza; - obbligo di motivare sul piano tecnico e gestionale, anche mediante valutazioni di appropriatezza d'uso, la formulazione di bisogni che fuoriescano dagli standard comunicati alla centrale di committenza in corso di programmazione. • In fase di adesione: - previsione di istanze di controllo interno (o di validazione tecnica) in caso di acquisizione di beni e servizi in quantita' diverse da quelle programmate e comunicate; - adozione di modelli di contratto di adesione ad accordi quadro, convenzioni che standardizzino i processi di adesione anche mediante l'utilizzo di check list dei contenuti e dei passaggi obbligatori; - previsione generalizzata di documentare l'esame degli strumenti delle centrali; - comunicazioni alle centrali di acquisto delle adesioni parziali o in quantita' diverse da quelle programmate, accompagnate da eventuali relazioni circa la non compatibilita'/sovrapponibilita' con i fabbisogni espressi o emersi in seguito alla relativa comunicazione, nonche' con le esigenze di appropriatezza d'uso sopravvenute; - attivazione di audit interni in caso di segnalazioni, osservazioni o richiami da parte delle centrali di committenza a causa di mancate o parziali adesioni che richiedano necessarie acquisizioni complementari, nonche' in caso di mancato rispetto dei limiti temporali e quantitativi di adesione o di attivazione degli strumenti (mancato rispetto dei limiti minimi di ordinazione; dichiarazione di inadeguatezza dei tempi di consegna o realizzazione della prestazione, ecc.). • In fase di esecuzione e rendicontazione dei singoli contratti: - pubblicazione delle acquisizioni realizzate in autonomia, a prescindere dagli importi; - necessita' di motivazione in ordine alle esigenze sia tecniche che cliniche qualora l'acquisizione autonoma si fondi su ragioni di infungibilita'; - pubblicazione delle acquisizioni in adesione che contengano delle variazioni rispetto ai profili qualitativi e quantitativi di beni e servizi oggetto delle convenzioni (oltre i limiti opzionali gia' previsti nei medesimi strumenti); - previsione di una valutazione di outcome (oltre che di conformita', sui maggiori vantaggi ottenuti) in caso di acquisizioni autonome o in variazione rispetto agli standard previsti negli strumenti delle centrali; - pubblicazione dei certificati di conformita'/parziale, conformita'/mancata, conformita' che tengano conto anche delle penali, delle sospensioni, delle verifiche e delle risoluzioni parziali, ecc.; - trasmissione di report periodici alle centrali contenente le citate informazioni. 5. Rilevazione delle performance gestionali delle aziende sanitarie e degli enti del SSN in tema di acquisti: strumento operativo Al fine di introdurre un sistema di monitoraggio periodico da parte delle regioni sulle performance gestionali delle aziende sanitarie e degli enti del SSN in tema di acquisti, le regioni dovrebbero dotarsi di uno strumento operativo di rilevazione dei dati finalizzato ad implementare una banca dati utile, anche per le centrali di committenza, per la definizione del piano triennale dei fabbisogni e il piano annuale degli acquisti, nonche' per le attivita' di pianificazione e controllo. L'AGENAS fornira' il necessario supporto alle regioni e province autonome attraverso materiale pubblicato sul proprio sito istituzionale. Nomine Premessa L'ambito di attivita' relativo al conferimento degli incarichi, alla valutazione o alla revoca o conferma degli stessi, si configura, nel servizio sanitario, tra le aree a "rischio generali" di cui alla determinazione ANAC del 28 ottobre 2015, n. 12. Nel settore sanitario il "rischio" connesso alla mancata e/o carente osservanza delle norme in materia di trasparenza e/o dei criteri di imparzialita' e/o all'uso distorto della discrezionalita', assume ulteriore rilievo anche per gli aspetti inerenti la qualita' delle cure. Una delle principali componenti della qualita', infatti, risiede proprio nella capacita', competenza ed esperienza dei professionisti in rapporto alla tipologia del servizio, alle caratteristiche del contesto organizzativo e, soprattutto, al livello di responsabilita' che l'incarico comporta. Il conferimento degli incarichi e' una delle dirette prerogative del Direttore generale delle aziende sanitarie in cui si misura in maniera piu' evidente la capacita' e l'integrita' manageriale e l'adeguatezza degli strumenti dallo stesso utilizzati al fine di assicurare la corretta programmazione, pianificazione e valutazione del valore delle risorse umane e professionali e, conseguentemente, dell'organizzazione dei servizi. Per tale ragione prioritaria, il presente approfondimento si occupa, estendendo le previsioni gia' contenute nella citata determinazione dell'Autorita' (27), degli incarichi relativi alla dirigenza medica e sanitaria (28). Cio' allo scopo di fornire alle aziende sanitarie indicazioni e suggerimenti su possibili misure di prevenzione del rischio - nell'accezione sopra richiamata -, da porre in essere tuttavia anche per i procedimenti di attribuzione di incarichi riferiti alla dirigenza non sanitaria (29), per quanto applicabili ai sensi delle disposizioni normative e regolamentari e delle specifiche discipline contrattuali vigenti. Vale, infatti, a prescindere dal ruolo, dalla qualifica e dal settore di riferimento, il principio per il quale ogni azienda deve dare evidenza dei processi di nomina e di conferimento degli incarichi in modo da assicurare il massimo livello di trasparenza e l'utilizzo di strumenti di valutazione che privilegino il merito e l'integrita' del professionista aspirante all'incarico, al fine di garantire la tutela ed il perseguimento del pubblico interesse. 1. Dirigenza medica e sanitaria I CCNL della dirigenza del SSN prevedono le seguenti tipologie di incarichi: a) incarico di direzione di struttura complessa; b) incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario o di presidio ospedaliero di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502; c) incarico di direzione di struttura semplice; d) incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo; e) incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attivita'. Tali tipologie di incarichi costituiscono gli elementi di base offerti dalla disciplina contrattuale su cui costruire percorsi di sviluppo delle carriere dirigenziali, secondo le strategie organizzative proprie di ogni azienda nel quadro della normativa vigente e della programmazione regionale in tema di politiche del personale. L'approfondimento svolto e' rivolto, nello specifico, alle tipologie di incarichi di cui ai punti a), b) e c) della elencazione, essendo interessate da un maggior grado di competitivita' e, per tale ragione, e' necessario che venga data piena evidenza delle relative procedure di conferimento, al fine di garantirne la trasparenza, la correttezza e le motivazioni ad esse sottese. In via generale, si fa presente che gli obblighi di pubblicazione dei dati, gia' previsti per la dirigenza sanitaria dall'art. 41, co 2 e 3, d.lgs. 33/2013 - ovvero direttori generali, direttori sanitari, direttori amministrativi, responsabili di dipartimento e di strutture complesse - sono estesi anche ai responsabili di struttura semplice, per effetto della modifica apportata dal d.lgs. 97/2016. Al fine di rendere coerente l'applicazione della norma di cui all'art. 41, co 3, cit., il riferimento all'art. 15 del d.lgs. 33/2013 ivi contenuto, e presumibilmente rimasto immutato per un difetto di coordinamento normativo, deve intendersi all'art. 14 del medesimo decreto; diversamente si avrebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra i dirigenti medici e gli altri dirigenti. 1.1 Incarichi di direzione di struttura complessa Degli incarichi di direzione di struttura complessa si e' gia' trattato in via generale nella determinazione ANAC n. 12/2015, sezione II Sanita', § 2.1.2 «Incarichi e nomine». In questa sede si affrontano in dettaglio le singole tipologie di incarichi afferenti alle varie fattispecie di struttura complessa e alle relative procedure di conferimento (30). 1.1.1 Direttore di dipartimento La natura di tale incarico e' di tipo prevalentemente organizzativo-gestionale con implicazioni anche con il settore degli acquisti, e' infatti in capo al Direttore del dipartimento, sia esso ospedaliero o territoriale, la responsabilita' anche in ordine alla corretta e razionale programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti. La relativa procedura di conferimento dell'incarico prevede la scelta, da parte del Direttore generale, fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento stesso. In questo contesto, eventuali rischi possono configurarsi nell'uso non trasparente e adeguatamente motivato dell'esercizio del potere discrezionale di scelta. Per evitare e contrastare tali rischi e al fine di garantire comunque il prevalere dei profili di merito nell'attribuzione del suddetto incarico, le aziende sanitarie dovranno orientare le opportune misure di prevenzione al rafforzamento della trasparenza, avuto riguardo delle seguenti indicazioni: a) esplicitazione, all'interno degli atti del procedimento, della conformita' dello stesso alle previsioni dell'atto aziendale ed agli indirizzi di programmazione regionale; b) predeterminazione dei criteri di scelta e, ove non sussista apposita disciplina regionale, ai sensi dell'art. 17 bis, co. 3, del d.lgs. 502/1992, esplicitazione delle modalita' di partecipazione del Comitato di dipartimento alla individuazione dei direttori di dipartimento; c) esplicitazione, negli atti relativi al procedimento di nomina, della motivazione sottesa alla scelta in relazione ai requisiti professionali, ai compiti affidati e alla pregressa performance della struttura dipartimentale, al fine di delineare il perimetro di valutazione rispetto anche al raggiungimento degli obiettivi di miglioramento che la struttura si pone; d) pubblicazione degli atti del procedimento con evidenziazione di quanto previsto ai punti a) e b). 1.1.2 Direttore di distretto sanitario o di presidio ospedaliero La procedura di conferimento di tale incarico (31), ai sensi dell'art. 3 sexies del d.lgs. 502/1992, presenta un maggior livello di competitivita', essendo piu' ampia la platea dei potenziali aspiranti in ragione dell'esperienza maturata nei servizi territoriali e dell'adeguata formazione nella loro organizzazione. In questo ambito, fatte salve le eventuali specifiche discipline regionali, e' opportuno, per le medesime ragioni enucleate con riferimento agli incarichi di cui al paragrafo precedente, che le aziende - ove la regione non regoli la materia - adottino tutti i possibili interventi ed azioni finalizzati a garantire i principi di imparzialita' e parita' di trattamento, attraverso apposite procedure selettive improntate a tali principi e, piu' in generale, al principio di buona amministrazione. Sarebbe auspicabile al riguardo, mutuare buone prassi gia' adottate da altre regioni/aziende sanitarie (32) confluite, in parte, nelle indicazioni che seguono e che per tale ambito si richiamano, quali misure di prevenzione, ove non previste come obblighi da eventuali norme/discipline regionali: a) avvio di procedura selettiva attraverso avviso/bando pubblico in cui siano esplicitati i requisiti previsti dalla normativa vigente nazionale ed eventualmente regionale; b) costituzione della commissione selezionatrice; c) predeterminazione dei criteri di selezione; d) esplicitazione, negli atti relativi al procedimento di nomina, della motivazione sottesa alla scelta in relazione ai requisiti di partecipazione e ai criteri di selezione di cui ai rispettivi punti a) e c); e) pubblicazione degli atti del procedimento. 1.2 Incarichi di direzione di struttura semplice Le strutture semplici rappresentano, nell'assetto dell'azienda sanitaria, l'articolazione organizzativa di base di cui si compone la struttura complessa. Gli indirizzi di programmazione e gli standard di riferimento recati dalla normativa nazionale e dai relativi regolamenti attuativi, pongono chiari limiti all'istituzione e/o mantenimento di unita' operative complesse e, conseguentemente, anche le unita' operative semplici devono riparametrarsi in relazione alle prime sulla base di un rapporto predeterminato. Ne deriva, quindi, un presupposto vincolo di programmazione riferito alla circostanza che dette strutture devono essere predeterminate negli strumenti di programmazione regionale e aziendali, in numero (nel rispetto del rapporto posto come riferimento) (33) e tipologia (nel rispetto degli standard per l'assistenza ospedaliera e territoriale) (34). Pertanto, sebbene la preposizione a tali strutture rientri tra gli incarichi da conferirsi, ai sensi dell'art. 15, co. 7-quater, d.lgs. 502/1992 e s.m.i., ai dirigenti che abbiano maturato un'anzianita' di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell'incarico, la competitivita' e' relativa - in questo ambito - sia al numero definito delle posizioni oggetto di conferimento dell'incarico, sia al potenziale numero di aspiranti che possiedono i previsti requisiti soggettivi. Questa tipologia di incarico (35) presenta procedure di conferimento che, rispetto ai casi gia' trattati nei precedenti paragrafi, risultano meno disciplinate da criteri generali e da atti di indirizzo nazionale, se non quelli derivanti dalla disciplina del Contratto collettivo nazionale (CCNL), sicche' e' piu' frequente riscontrare in questo ambito una certa variabilita' di prassi regionali e/o aziendali sia nelle procedure di conferimento che nella durata degli incarichi (nei limiti del range stabilito da tre a cinque anni). Come indicato per gli incarichi di cui al § 1.1.2, anche per questa fattispecie - ove la regione non regoli la materia - e' opportuno che le aziende sanitarie adottino tutti i possibili interventi ed azioni finalizzati a rafforzare la trasparenza delle relative procedure di conferimento, avuto riguardo delle buone prassi gia' adottate da alcune aziende e delle seguenti indicazioni che, in parte, le ripropongono: a) verifica, all'interno degli atti del procedimento, della conformita' dello stesso alle previsioni dell'atto aziendale ed agli indirizzi di programmazione regionale; b) pubblicazione delle unita' operative semplici per le quali va conferito l'incarico (e' auspicabile che le funzioni delle UOS vengano qualificate nell'ambito di atti di organizzazione in modo tale che i requisiti degli aspiranti di cui al punto successivo trovino nei citati atti la loro motivazione); c) avvio di procedura selettiva attraverso avviso/bando pubblico in cui siano stati esplicitati i requisiti soggettivi degli aspiranti; d) costituzione della commissione selezionatrice; e) predeterminazione dei criteri di selezione; f) misure di trasparenza, nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza, della rosa degli idonei; g) esplicitazione, negli atti relativi al procedimento di nomina, della motivazione sottesa alla scelta in relazione ai requisiti di partecipazione e ai criteri di selezione di cui ai rispettivi punti a) e c); h) esplicitazione della motivazione alla base della scelta della durata dell'incarico piu' o meno lunga all'interno del minimo/massimo previsto (la durata degli incarichi dovrebbe essere definita non volta per volta ma in modo "standard", oppure la stessa dovrebbe essere esplicitamente collegata a provvedimenti di programmazione); i) pubblicazione degli atti del procedimento. Per tutti i casi in cui si avvii una procedura selettiva a evidenza pubblica, con la costituzione della commissione, oltre alle misure di cui ai punti precedenti, e' necessario sottoporre i componenti delle commissioni a processi di rotazione nonche' alla sottoscrizione, da parte degli stessi, delle dichiarazioni di insussistenza o di eventuale sussistenza di incompatibilita' o conflitto di interesse. Sarebbe auspicabile prevedere, nella composizione della commissione di selezione, almeno un componente esterno. Nel caso, inoltre, di avviso pubblico in cui non si proceda alla costituzione della commissione, e' opportuno fornire indicazioni per la composizione degli organi di natura tecnica che dovranno selezionare i candidati (es. sorteggio informatico). Laddove invece non si preveda l'apertura di procedure competitive, e' necessario - quale misura di prevenzione - richiedere un atto di responsabilita' dell'organo nominante sul rafforzamento delle motivazione della scelta e di pubblicazione di quest'ultima. Come precisato al § 1, si evidenzia che il d.lgs. 97/2016 ha introdotto l'obbligo di pubblicazione dei dati, gia' previsti per la dirigenza sanitaria, anche per i responsabili di struttura semplice. 1.3 Incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo Le procedure di conferimento di tali incarichi (36) sono particolarmente dettagliate nella disciplina contrattuale di cui al CCNL 8.6.2000 (art. 28) I biennio economico e, per quanto concerne in particolare gli effetti della valutazione per la conferma o il conferimento di nuovi incarichi di maggior rilievo professionali o gestionali, nella disciplina di cui all'art. 33 del CCNL 8.6.2000, come sostituito dall'art. 28 del CCNL 3.11.2005. Occorre pertanto che le aziende sanitarie osservino il massimo livello di trasparenza per l'affidamento o revoca degli incarichi dirigenziali di cui trattasi, attraverso la pubblicazione dell'atto di conferimento sul sito dell'azienda, comprendendo l'ambito del programma che si intende realizzare, l'oggetto dell'incarico e i criteri di scelta. 2. Sostituzione della dirigenza medica e sanitaria L'istituto delle sostituzioni (37) rappresenta un ambito particolarmente vulnerabile al rischio di eventi corruttivi legati alla possibile messa in atto di condotte elusive delle ordinarie procedure di selezione. Possibili rischi sono, ad esempio, ritardo o mancato avvio delle procedure concorsuali alla base della necessita' di copertura del posto vacante con la sostituzione oppure, a sostituzione avvenuta, prolungamento intenzionale dei tempi occorrenti per l'avvio delle procedure ordinarie di conferimento al titolare dell'incarico, con conseguente prolungamento del periodo di sostituzione per oltre sei mesi (vantaggio, in quest'ultimo caso, del sostituto la cui retribuzione viene integrata ai sensi di quanto previsto dal CCNL). Per quanto i casi in cui fare ricorso alle sostituzioni siano puntualmente disciplinati dal CCNL, per contrastare i connessi rischi, la misura di prevenzione prioritaria in questo ambito e' quella di rendere quanto piu' possibile trasparenti le relative procedure avuto riguardo delle seguenti indicazioni: a) pubblicazione, aggiornamento e monitoraggio periodico del numero dei posti oggetto di sostituzione/sostituibili per anno; b) esplicitazione in dettaglio e relativa pubblicizzazione della motivazione del ricorso alla sostituzione.