(Allegato)
                                                             Allegato 
 
                  PROSCIUTTO VENETO BERICO-EUGANEO 
                 (denominazione di origine protetta) 
 
 
                        DISCIPLINARE GENERALE 
        e dossier di cui all'articolo 4 del Regolamento (CEE) 
             n. 2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992 
 
 
                                                             Scheda A 
 
                          NOME DEL PRODOTTO 
                     E DENOMINAZIONE DI ORIGINE 
 
    A.1 
    Il nome  del  prodotto  e':  «Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo»
ovvero «Prosciutto Veneto». 
    A.2 
    La denominazione di origine e' giuridicamente regolata e protetta
dalla Repubblica italiana attraverso la legge 4 novembre 1981, n. 628
«Norme relative alla tutela della denominazione  d'origine  e  tipica
del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo», di cui all'allegato 2/A, e dal
relativo  regolamento  di  esecuzione  approvato  con   decreto   del
Presidente  della  Repubblica  17  febbraio  1988,  n.  130,  di  cui
all'allegato 3/A. 
    I   dispositivi   suddetti    s'intendono    in    vigore    sino
all'approvazione da parte delle competenti Autorita' CEE  del  «Testo
Unico   delle   norme   per   la   tutela,   la   produzione   e   la
commercializzazione  del  Prosciutto  Veneto   Berico-Euganeo»   (nel
presente disciplinare citato come «Testo Unico»), di cui all'allegato
1/A, che li annullera' e li sostituira' integralmente. 
 
                                 --- 
 
 
                                                             Scheda B 
 
              DESCRIZIONE DEL PRODOTTO CON INDICAZIONE 
       DELLE MATERIE PRIME E DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE 
                 ORGANOLETTICHE, CHIMICHE E FISICHE 
 
    B.1 
    La denominazione di origine  «Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo»
ovvero «Prosciutto Veneto» e' riservata esclusivamente al  prosciutto
munito di contrassegno atto a garantirne in via permanente l'origine,
l'identificazione  e  l'osservanza  delle   disposizioni   produttive
contenute nel Testo unico e nel presente disciplinare. 
    Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo  e'  ottenuto  esclusivamente
dalle cosce fresche di suini nati, allevati e macellati in una  delle
regioni indicate nell'art. 3 del Testo unico, ed e' stagionato  nella
zona di produzione di cui all'art. 4 del Testo unico per  un  periodo
minimo di 10 mesi per i prosciutti tra i 7 e gli 8,5  chilogrammi,  e
di 12 mesi per quelli di peso eccedente gli 8,5 chilogrammi.  I  pesi
sono riferiti ai prosciutti con osso all'atto  dell'applicazione  del
contrassegno di cui sopra; il periodo di stagionatura  decorre  dalla
salagione. 
    B.2 
    Le specifiche caratteristiche merceologiche del prosciutto Veneto
Berico-Euganeo, a stagionatura ultimata, sono: 
      a) la forma esteriore naturale semipressata, privo della  parte
distale (piedino), privo di imperfezioni esterne tali da pregiudicare
l'immagine  del  prodotto,  con  limitazione  della  parte  muscolare
scoperta oltre la testa  del  femore  (noce)  a  un  massimo  di  sei
centimetri (rifilatura corta); 
      b) peso: normalmente tra gli  otto  e  gli  undici  chilogrammi
circa, fatta eccezione per i prosciutti destinati alla disossatura il
cui peso minimo non dovra' essere inferiore ai sette chilogrammi; 
      c) la legatura a mezzo corda  passata  con  un  foro  praticato
nella parte superiore del gambo; 
      d) la carne di colore rosa  tendente  al  rosso  con  le  parti
grasse perfettamente bianche; 
      e) l'aroma delicato, dolce, fragrante; 
      f) la rifinitura, con rivestimento protettivo della parte magra
scoperta  con  sostanze  alimentari  permesse  dalla  legge  e  senza
coloranti; 
      g) la  caratterizzazione  mediante  l'osservanza  di  parametri
analitici predeterminati. 
    B.3 
    Il  prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  e'  caratterizzato  anche
dall'osservanza di parametri  di  seguito  riportati,  e  considerati
rappresentativi delle caratteristiche medie del prosciutto munito del
contrassegno di cui al punto B.1: 
      l'umidita' percentuale dal 58% al 64%; 
      la percentuale di cloruro di sodio (sale) dal 4% al 6,8%; 
      l'indice di proteolisi dal 24% al 3 1%. 
    B.4 
    Le cosce fresche utilizzate  per  la  produzione  del  prosciutto
Veneto   Berico-Euganeo   presentano   i   seguenti    elementi    di
caratterizzazione: 
      non  devono  essere  di  peso  inferiore  ai   10   chilogrammi
(preferibilmente di peso compreso tra i 10 e i 15 Kg.); 
      lo spessore del grasso della parte esterna della coscia  fresca
rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza  della  testa  del
femore («sottonoce») con la coscia e la relativa faccia esterna posta
sul piano orizzontale non deve essere inferiore, cotenna compresa,  a
20 millimetri, in funzione della pezzatura; 
      la  consistenza   del   grasso   e'   stimata   attraverso   la
determinazione del  numero  di  jodio  e/o  del  contenuto  di  acido
linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo
adiposo sottocutaneo della  coscia.  Per  ogni  singolo  campione  il
numero di jodio non  deve  superare  70  ed  il  contenuto  di  acido
linoleico non deve essere superiore al 15%; 
      qualita' della carne: sono  escluse  le  cosce  provenienti  da
suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di processi
flogistici e traumatici, ecc.), certificate al macello da  un  medico
veterinario; 
      dopo la macellazione le cosce fresche non devono subire, tranne
la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione,  ivi  compresa
la congelazione. Per refrigerazione s'intende  che  le  cosce  devono
essere conservate,  nelle  fasi  di  deposito  e  trasporto,  ad  una
temperatura interna tra - 1°C e +4°C; 
      non e' ammessa l'utilizzazione di cosce che risultino  ricavate
da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore. 
    B.5 
    Il prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo,  oltre  che  intero,  puo'
essere  commercializzato  anche  disossato  e,   come   tale,   anche
confezionato in tranci di forma e peso variabili; in questo  caso  il
contrassegno di cui al  punto  B.1  dovra'  essere  apposto  in  modo
visibile su ogni singolo pezzo. 
    Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo  puo'  essere  venduto  anche
affettato ed  opportunamente  confezionato  in  atmosfera  modificata
ovvero sottovuoto; in questo caso il contrassegno  viene  apposto  in
modo indelebile ed inamovibile sulla confezione (che puo'  essere  di
dimensioni, peso e forma variabili) sotto il controllo dell'organismo
abilitato, ai sensi del Testo  unico.  Vengono  emanate  al  riguardo
specifiche  direttive  sottoposte   all'approvazione   dell'Autorita'
nazionale competente. 
    Le   successive   operazioni   di   disosso,    affettamento    e
pre-confezionamento possono essere svolte al di fuori della  zona  di
cui al punto C1, sotto il controllo dell'organismo di controllo. 
 
                                 --- 
 
 
                                                             Scheda C 
 
                 DELIMITAZIONE DELLA ZONA GEOGRAFICA 
                     E RISPETTO DELLE CONDIZIONI 
                 DI CUI ALL'ARTICOLO 2, PARAGRAFO 4 
 
    C.1 
    La   zona   tipica   di   produzione   del   prosciutto    Veneto
Berico-Euganeo, cosi' come individuata  nel  Testo  unico,  ed  ancor
prima  dalla  legge  n.  628/1981.  E'  geograficamente  limitata  ai
territori dei comuni di: Montagnana,  Saletto,  Ospedaletto  Euganeo,
Este, Pressana, Roveredo di Gua', Noventa Vicentina, Poiana Maggiore,
Orgiano,  Alonte,  Sossano,  Lonigo,   Sarego,   Villaga,   Barbarano
Vicentino.  Detti  comuni  sono   ricompresi   nell'area   padana   e
pedemontana dei colli Berici e dei colli Euganei, nelle  province  di
Padova,  Vicenza  e  Verona  del  territorio  della  Regione   Veneto
(Italia), di cui alla cartografia al punto C.10. 
    C.2 
    Nella zona  di  cui  al  punto  C.1  devono  essere  ubicati  gli
stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi
tutte le fasi di trasformazione  della  materia  prima  previste  dal
presente disciplinare. 
    C.3 
    La materia prima proviene da un'area geograficamente  piu'  ampia
della  zona  di   trasformazione,   che   comprende   il   territorio
amministrativo   delle   seguenti   regioni:    Veneto,    Lombardia,
Emilia-Romagna, Umbria e Lazio (Italia), - crf. punto C.11. 
    C.4 
    Tale zona  di  provenienza  della  materia  prima  e'  delimitata
rigorosamente dalla  legge  4  novembre  1981,  n.  628,  cosi'  come
modificata dall'art. 60 della legge 19 febbraio 1992, n. 142,  e  dal
Testo unico. 
    C.5 
    In tale zona hanno sede tutti gli allevamenti dei  suini  le  cui
cosce  sono  destinate  alla   produzione   del   prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo,  gli  stabilimenti  di  macellazione  abilitati  alla
relativa  preparazione,  nonche'   i   laboratori   di   sezionamento
eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata. 
    C.6 
    Per soddisfare alle esigenze nella successiva scheda  F,  per  la
produzione delle materie prime,  cosi'  come  definite  dall'art.  2,
paragrafo  5,  del  regolamento  (CEE)  n.  2081/92,  sussistono   le
condizioni particolari e le prescrizioni che seguono. 
    C.6.1 
    Le razze, l'allevamento e l'alimentazione dei suini devono essere
idonei a garantire le tradizionali qualita' del prodotto in  esito  a
precise prescrizioni produttive. 
    Sono ammessi gli animali, in  purezza  o  derivati,  delle  razze
tradizionali di base Large White e Landrace,  cosi'  come  migliorate
dal Libro genealogico italiano. Sono  altresi'  ammessi  gli  animali
derivati  dalla  razza  Duroc,  cosi'  come  migliorata   dal   Libro
genealogico italiano. 
    Sono inoltre ammessi gli  animali  di  altre  razze,  meticci  ed
ibridi, purche' provengano da schemi  di  selezione  o  incrocio  con
finalita' compatibili con quelle del Libro genealogico  italiano  per
la produzione del suino pesante. 
    In  osservanza  alla  tradizione,  restano  comunque  esclusi   i
portatori di caratteri antitetici, con particolare  riferimento  alla
sensibilita' agli stress (PSS), oggi rilevabili obiettivamente  anche
sugli animali «post mortem» e sui prosciutti stagionati. 
    Sono in ogni caso esclusi gli animali  che  non  producono  cosce
conformi al presente disciplinare, con riferimento alle  prescrizioni
di cui alla scheda B. 
    Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace
Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spot Poland. 
    C.6.2 
    I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di
pesi elevati con buone efficienze e,  comunque,  un  peso  medio  per
partita (peso vivo) di chilogrammi 160 (piu' o meno 10%). 
    L'eta' minima di macellazione e' di nove  mesi  ed  e'  accertata
sulla base del timbro apposto ai fini del comma  3  dell'art.  8  del
Testo unico. 
    I suini devono essere  macellati  in  ottimo  stato  sanitario  e
perfettamente dissanguati. 
    E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe. 
    C.6.3 
    Gli alimenti consentiti, le quantita' e le modalita'  di  impiego
devono essere quelle riportate nelle tabelle prescrittive che seguono
al punto C.9. 
    L'alimento dovra'  essere  preferibilmente  presentato  in  forma
liquida (broda o pastone) e, per tradizione, con siero di latte. 
    C.6.4 
    Le fasi di allevamento sono cosi' definite: 
      allattamento: da 0 a 30 giorni sotto scrofa; 
      svezzamento: da 30 a 80 giorni; 
      magronaggio: da 30 a 80 chilogrammi di peso; 
      ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi di peso e oltre. 
    Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un  suino
pesante, obiettivo che deve essere  perseguito  assicurando  moderati
accrescimenti giornalieri, nonche' la produzione di carcasse  incluse
nelle classi centrali della classificazione UE: classi «U», «R»,  «O»
della categoria H (pesante) della tabella dell'Unione. 
    Le strutture e le attrezzature dell'allevamento devono  garantire
agli animali condizioni di benessere. 
    I ricoveri devono risultare ben coibentati e ben aerati, in  modo
da garantire la giusta temperatura, il ricambio ottimale dell'aria  e
l'eliminazione dei gas nocivi. 
    I pavimenti devono essere caratterizzati da una  bassa  incidenza
di fessurazione e realizzati con materiali idrorepellenti, termici ed
antisdrucciolevoli. 
    In  relazione  alla  tipologia   dell'alimentazione,   tutte   le
strutture ed attrezzature devono  presentare  adeguati  requisiti  di
resistenza alla corrosione. 
    C.7 
    L'unicita' del  suino  pesante  italiano  e'  stata  riconosciuta
direttamente dalla Comunita', infatti in  sede  di  applicazione  del
regolamento  (CEE)  n.  3220/84  -  concernente  la   classificazione
commerciale  delle  carcasse  suine  -  ha  riconosciuto   unicamente
all'Italia la presenza sul territorio di due  popolazioni  suine:  il
suino leggero,  macellato  a  pesi  conformi  alle  medie  europee  e
destinato al consumo di carni fresche, ed il suino pesante, macellato
a pesi superiori ai 150/160 chilogrammi, le cui carni sono  destinate
all'industria salumiera. Questo ha portato a distinguere le  carcasse
in  «leggere»  e  «pesanti»  e  alla  applicazione  di  due   formule
nettamente   diverse   nella   valutazione   commerciale   (Decisione
commissione 21 dicembre 1988). 
    C.8 
    Salvo ogni specifico  ulteriore  approfondimento  demandato  alla
successiva  scheda  G,  il  regime  di  controllo  atto  a  garantire
l'osservanza delle condizioni particolari  per  la  produzione  delle
materie prime nonche' l'osservanza degli obblighi posti a  carico  di
tutti i soggetti ricompresi nel circuito  della  produzione  tutelata
dalle norme e dai disciplinari vigenti, si articola come segue: 
    C.8.1 
    Ogni fase del processo produttivo viene  monitorata  documentando
per ognuna, gli input e gli  output.  In  questo  modo  e  attraverso
l'iscrizione  in  appositi   elenchi,   gestiti   dall'organismo   di
controllo, degli allevamenti, dei  produttori  dei  macellatori,  dei
laboratori di sezionamento, degli stagionatori e dei  confezionatori,
la tenuta di registri di  produzione  e  di  confezionamento  nonche'
attraverso la dichiarazione  tempestiva  all'organismo  di  controllo
delle  quantita'  prodotte,  e'  garantita  la  tracciabilita'  e  la
rintracciabilita'  del  prodotto.  Tutte  le   persone,   fisiche   o
giuridiche,  iscritte  nei  relativi  elenchi  sono  assoggettate  al
controllo da parte  della  struttura  di  controllo,  secondo  quanto
disposto dal disciplinare di  produzione  e  dal  relativo  piano  di
controllo. 
    C.8.2 
    L'allevatore riconosciuto nelle forme previste  dal  punto  C.8.1
appone sulle cosce posteriori di  ogni  suino,  entro  il  trentesimo
giorno dalla nascita, un timbro indelebile recante il proprio  codice
di identificazione. 
    C.8.3 
    L'apposizione del timbro di cui  al  punto  C.8.2  e'  effettuata
mediante applicazione, con apposito strumento a compressione,  di  un
tatuaggio  indelebile  ed  inamovibile  anche  «post  mortem»,  sulla
porzione laterale di entrambe le  cosce  del  suinetto  posto  appena
sotto  una  linea  orizzontale  che  parte   dalla   rotula   ed   in
corrispondenza della parte inferiore del bicipite femorale. 
    La timbratura riproduce il codice di identificazione  di  cui  al
punto C.8.2  ed  una  ulteriore  lettera  alfabetica,  utilizzata  in
funzione variabile in relazione al mese di nascita dell'animale. 
    C.8.4 
    Nelle ipotesi in cui il suino timbrato venga trasferito ad  altro
allevamento,   quest'ultimo   deve   essere   stato   preventivamente
riconosciuto dall'organismo abilitato e deve apporre un nuovo  timbro
recante il proprio codice di identificazione su entrambe le cosce dei
suini, in modo da risultare indelebile  ed  inamovibile  anche  «post
mortem». 
    Il timbro suddetto deve comunque essere apposto prima  dell'invio
del suino alla macellazione.  Le  modalita'  di  codificazione  e  di
applicazione dei timbri sono stabiliti dall'organismo  abilitato.  La
timbratura e' apposta sotto la responsabilita' dell'allevatore. 
    C.8.5 
    Il timbro di cui al  precedente  punto  C.8.4  e'  apposto  sulla
porzione laterale della coscia con una  superficie  di  ingombro  non
superiore  a  45  millimetri  (altezza)  per  85  millimetri  (base),
evitando la sovrapposizione con il timbro di cui al precedente putito
C.8.2 e, preferibilmente non oltre l'ottavo mese di vita. 
    C.8.6 
    L'allevatore e' obbligato a rilasciare, per i suini avviati  alla
macellazione, un certificato attestante la conformita'  dei  medesimi
alle  prescrizioni  ed  alle  condizioni  particolari  previste   dal
presente disciplinare. 
    A tal fine, all'atto della spedizione dei suini presso un macello
riconosciuto, l'allevatore deve  compilare,  in  triplice  copia,  un
esemplare della certificazione di cui sopra, rilasciando un esemplare
al macellatore e trasmettendone un altro all'organismo abilitato. 
    Detta certificazione, identificativa dell'allevatore, prenumerata
e precodificata (cfr.  punto  C.8.1),  viene  datata  e  sottoscritta
dall'allevatore ed integrata, inoltre, dall'indicazione sintetica dei
genotipi  utilizzati,  dal  numero  dei   capi   e   dalla   relativa
destinazione. 
    C.8.7 
    Gli allevatori sono tenuti a consentire ogni forma  di  controllo
volta ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi loro derivanti
dal presente disciplinare, ivi comprese  le  ispezioni  necessarie  a
verificare l'idoneita' dei locali e  degli  impianti  e  l'osservanza
delle prescrizioni produttive. 
    L'organismo abilitato svolge i propri compiti di vigilanza  e  di
controllo  con  particolare   riferimento   alla   osservanza   delle
prescrizioni produttive ed  alla  regolare  apposizione  dei  timbri,
avvalendosi di proprio  personale  dipendente  o  di  altri  soggetti
preventivamente  incaricati  e  qualificati  professionalmente,  come
indicato nella successiva scheda G. 
    In base al Testo unico, il veterinario ufficiale  competente  per
territorio  mette  a  disposizione   dell'organismo   abilitato,   su
richiesta dello stesso, tutti gli atti d'ufficio  ritenuti  necessari
al controllo del regolare svolgimento delle operazioni  previste  dal
presente  disciplinare  e  dal  Testo  unico,   nonche'   tutti   gli
adempimenti ritenuti necessari. 
    C.8.8 
    I macelli che intendono fornire le cosce suine fresche  destinate
alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo devono inoltrare
all'organismo   abilitato   domanda   per   ottenere   un    apposito
riconoscimento. 
    La  domanda  e'  corredata  dalla  documentazione  attestante  il
possesso  dell'autorizzazione  sanitaria,   nonche'   dei   requisiti
igienico-sanitari richiesti dalle norme vigenti in materia. 
    L'organismo  abilitato,  effettuati  i  necessari   accertamenti,
provvede alla  attribuzione  di  un  codice  di  identificazione  del
macello  e  fornisce  uno  o  piu'  timbri  destinati  alla  relativa
apposizione sulle cosce suine fresche destinate alla  produzione  del
prosciutto Veneto Berico-Euganeo. 
    C.8.9 
    Sulle cosce suine fresche munite del timbro o dei timbri  apposti
dall'allevatore e pervenutegli con copia della certificazione di  cui
al punto C.8.6, accertatene la corrispondenza ai  requisiti  indicati
nella precedente scheda B, il macellatore e'  tenuto  ad  apporre  un
timbro  indelebile  impresso  a  fuoco  sulla  cotenna  in  modo  ben
visibile,   secondo   apposite   direttive   emanate   dall'organismo
abilitato. 
    Detto timbro riproduce il codice di identificazione  del  macello
presso il quale e' avvenuta la macellazione. 
    Il macellatore e' tenuto a munire ogni singola partita  di  cosce
fresche sulle quali ha provveduto ad apporre  il  timbro  di  cui  al
presente punto, di un esemplare o di una copia  della  certificazione
rilasciata nelle forme previste dal precedente punto C.8.6. 
    Qualora    la    certificazione    originariamente     rilasciata
dall'allevatore si riferisca a suini le cui cosce vengono destinate a
diversi  stabilimenti  e,  comunque,   a   separate   forniture,   il
macellatore e' tenuto a  trasmettere  al  prosciuttificio,  per  ogni
singola consegna di cosce fresche sulle quali  e'  stato  apposto  il
timbro di cui sopra, copia della certificazione stessa nonche'  altri
eventuali documenti richiesti dall'organismo abilitato. 
    I macellatori sono tenuti a consentire ogni  forma  di  controllo
intesa ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi posti a  loro
carico  dal  presente  disciplinare,  ivi   comprese   le   ispezioni
necessarie a verificare l'idoneita'  dei  locali  e  degli  impianti,
nonche' l'osservanza delle prescrizioni produttive. 
    C.8.10 
    I  laboratori  di  sezionamento  eventualmente   ricompresi   nel
circuito della produzione tutelata, soggiaciono agli stessi  obblighi
del macello di cui al punto precedente,  e  integrano  la  produzione
prevista con fotocopia dei documenti  che,  ai  sensi  della  vigente
normativa  amministrativa  e   sanitaria,   hanno   accompagnato   il
trasferimento delle mezzette o degli altri  tagli  da  un  altro  dei
macelli comunque riconosciuti. 
    C.8.11 
    Valgono, relativamente allo sviluppo delle attivita' di controllo
dell'organismo  abilitato,  e   relativamente   agli   obblighi   del
veterinario ufficiale, le indicazioni di cui al punto C.8.7. 
    I soggetti, allevatori e macellatori,  nei  confronti  dei  quali
siano accertate inadempienze od illegittimita',  ivi  comprese  false
dichiarazioni o falsificazioni, sono puniti nelle forme previste  dal
Testo unico, Capo V «Sanzioni». 
    All'accertamento delle  circostanze  di  cui  al  presente  punto
provvedono l'organismo abilitato ed altri organi di  vigilanza  e  di
controllo nelle forme meglio indicate nella successiva scheda G. 
    L'organismo abilitato provvede inoltre direttamente al  controllo
ed al  sistematico  riscontro  degli  obblighi  di  timbratura  e  di
certificazione da parte di allevatori e macellatori nell'ambito delle
procedure di controllo attuate nella zona di cui al punto C.1. 
    C.9 
 
                       ALIMENTAZIONE DEI SUINI 
           DESTINATI ALLA PRODUZIONE DI PROSCIUTTO VENETO 
                           BERICO-EUGANEO 
 
 
         Alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo 
         (Tutti quelli utilizzabili nel periodo di ingrasso, 
       in idonea concentrazione, nonche' quelli sottoelencati. 
              La presenza di sostanza secca da cereali 
        non dovra' essere inferiore al 45% di quella totale) 
 
      
 
         ===================================================
         |Semola glutinata di mais |s.s.: fino al 5% della |
         |  e/o corn gluten feed   |  s.s. della razione   |
         +=========================+=======================+
         |                         |s.s.: fino al 3% della |
         |Carrube denocciolate     |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |Farina di carne (solo se |s.s.: fino al 2% della |
         |di buona qualita')       |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |                         |s.s.: fino all'1% della|
         |Farina di pesce          |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |Farina di estrazione di  |s.s.: fino ad un       |
         |soia                     |massimo del 20%        |
         +-------------------------+-----------------------+
         |                         |s.s.: fino al 3% della |
         |Distillers               |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |                         |s.s.: fino ad un       |
         |                         |massimo di 6 lt.       |
         |Latticello*              |capo/giorno            |
         +-------------------------+-----------------------+
         |Lipidi con punto di      |s.s.: fino al 2% della |
         |fusione superiore a 36°C |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |                         |s.s.: fino all'1% della|
         |Lisati proteici          |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
         |                         |s.s.: fino al 10% della|
         |Silomais                 |s.s. della razione     |
         +-------------------------+-----------------------+
 
s.s. = sostanza secca 
 
               Alimenti ammessi nella fase di ingrasso 
  (La presenza di sostanza secca da cereali nella fase di ingrasso 
        non dovra' essere inferiore al 55% di quella totale) 
 
      
 
        =====================================================
        |                           |s.s.: fino al 55% della|
        |           Mais            |  s.s. della razione   |
        +===========================+=======================+
        |Pastone di granella e/o    |s.s.: fino al 55% della|
        |pannocchia                 |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 40% della|
        |Sorgo                      |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 40% della|
        |Orzo                       |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 25% della|
        |Frumento                   |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 25% della|
        |Triticale                  |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 25% della|
        |Avena                      |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 25% della|
        |Cereali minori             |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Cruscami e altri           |                       |
        |sottoprodotti della        |s.s.: fino al 20% della|
        |lavorazione del frumento   |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           | s.s.: fino al 15%     |
        |                           |della s.s. della       |
        |Patata disidratata ***     |razione                |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 5% della |
        |Manioca ***                |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Polpe di bietola           |s.s.: fino al 15% della|
        |surpressate ed insilate    |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 2% della |
        |Expeller di lino           |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Polpe secche esauste di    |s.s.: fino al 4% della |
        |bietola                    |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Marco mele e pere; buccette|                       |
        |d'uva o di pomodori quali  |s.s.: fino al 2% della |
        |veicoli di integratori     |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino ad un       |
        |                           |massimo di 15 lt.      |
        |Siero di latte *           |capo/giorno            |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s: fino ad un apporto|
        |                           |massimo di 250 grammi  |
        |                           |capo/giorno di sostanza|
        |Latticello *               |secca                  |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina disidratata di      |s.s.: fino al 2% della |
        |medica                     |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |                           |s.s.: fino al 5% della |
        |Melasso **                 |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina di estrazione di    |s.s.: fino al 15% della|
        |soia                       |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina di estrazione di    |s.s.: fino all'8% della|
        |girasole                   |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina di estrazione di    |s.s.: fino al 3% della |
        |sesamo                     |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina di estrazione di    |s.s.: fino al 5% della |
        |cocco                      |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Farina di estrazione di    |s.s.: fino al 5% della |
        |germe di mais              |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Pisello e/o altri semi di  |s.s.: fino al 5% della |
        |leguminose                 |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Lievito di birra e/o di    |s.s.: fino al 2% della |
        |torula                     |s.s. della razione     |
        +---------------------------+-----------------------+
        |Lipidi con punto di fusione|s.s.: fino al 2% della |
        |superiore a 40° C          |razione                |
        +---------------------------+-----------------------+
 
s.s. = sostanza secca 
    1. Ai fini di ottenere un grasso di copertura di  buona  qualita'
e' consentita una presenza massima di  acido  linoleico  pari  al  2%
della sostanza secca (s.s.) della dieta. 
    2. Sono ammesse tolleranze massime del 10%. 
    3. Siero e latticello insieme non  devono  superare  i  15  litri
capo/giorno (*). 
    4. Se associato a borlande il  contenuto  totale  di  azoto  deve
essere inferiore al 2% (**). 
    5. Patata disidratata e manioca insieme non  devono  superare  il
15% della sostanza secca della razione (***). 
    6. Per «latticello» si intende il sottoprodotto della lavorazione
del burro e per «siero di latte» il sottoprodotto di cagliate. 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda D 
 
                  ORIGINE DEL PRODOTTO IN RELAZIONE 
                        ALLA ZONA GEOGRAFICA 
 
    D.1 
    Nella  produzione  agroalimentare  italiana  trovano  uno  spazio
importante i prodotti tipici,  vale  a  dire  quei  prodotti  che  si
distinguono  per  le  materie  prime   impiegate,   per   una   forte
caratterizzazione  del  processo  produttivo   ed   infine   per   la
delimitazione della zona di produzione; queste  produzioni  sono,  in
Italia, ben conosciute dal consumatore. 
    I prodotti tutelati per origine e  tecniche  di  produzione  sono
sottoposti  ad  un  complesso  di  controlli  che  nel  loro  insieme
garantiscono specifiche caratteristiche qualitative che  scaturiscono
da un concatenarsi di elementi naturali, ambientali ed umani,  dovuti
alle  profonde  relazioni  che  nel  tempo  si  sono  create  tra  la
produzione agricola e la trasformazione del prodotto. 
    D.2 
    L'indicazione degli elementi che comprovano che  il  prodotto  e'
originario della zona geografica richiamata dalla  denominazione  che
lo designa, deve necessariamente  considerare  l'articolazione  della
delimitazione fissata con la precedente Scheda C. 
    Infatti  il  prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  e'   sicuramente
originario della zona geografica descritta nel precedente punto  C.1.
e le relative caratteristiche sono essenzialmente dovute all'ambiente
geografico comprensivo dei fattori  naturali  ed  umani;  inoltre  la
relativa    trasformazione    avviene    esclusivamente     nell'area
geograficamente delimitata. 
    Nel  contempo,  la  stessa  materia  prima  utilizzata   per   la
preparazione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' originaria della
zona geografica delimitata come indicato  al  precedente  punto  C.3,
dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le  relative
caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente,  comprensivo
dei fattori naturali ed umani. 
    D.3 
    Per i fini di cui al paragrafo  4  dell'art.  2  del  Regolamento
(CEE) n. 2081/92 si nota che: 
      la denominazione «Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo»  e'  gia'
riconosciuta dallo Stato italiano come  denominazione  di  origine  a
livello nazionale; 
      i requisiti pregiudiziali indicati nel  succitato  paragrafo  4
sono stati  argomentati  e  risultano  soddisfatti  nella  precedente
Scheda C; 
      le considerazioni svolte al precedente punto D.2 possono essere
provate   da   riscontri   di   carattere   giuridico,   storico    e
socio-economico; 
      sotto il profilo giuridico si  richiama  il  Testo  unico,  che
sara' abrogativo e sostitutivo della legge 4 novembre 1981, n. 628; 
      sotto il profilo storico, si rimanda  a  quanto  descritto  dai
successivi punti D.4 e seguenti. 
    D.4 
    Premesso che  la  lavorazione  del  prosciutto  crudo  stagionato
appartiene alla cultura storica di tutta l'Italia settentrionale, nel
Veneto, come in ogni terra contadina il prosciutto ha antica storia e
gloriosa tradizione. 
    I reperti delle tante stazioni  preistoriche  che  costellano  il
Veneto, ma soprattutto le colline  berico-euganee,  e  tra  le  quali
proprio il castelliero di Montagnana, diedero  conto  della  presenza
del maiale gia' in quei tempi lontani; non  erano  ancora  ovviamente
figli di allevamento, ma i boschi allora molto estesi, ne  ospitavano
piu' che a sufficienza per chi avesse astuzia e forza per catturarli.
Fu allora che  si  misero  a  punto  le  prime  tecniche,  ovviamente
rudimentali, della trasformazione delle sue carni. 
    Gli storici romani, gia'  nel  III  secolo  a.C,  accennano  alla
presenza di maiali nella grande foresta  che  da  Lugo  risaliva  nel
Veneto  fino  a  Venezia  (la  foresta  Litana),  e   alla   fiorente
esportazione di carni  conservate  da  quei  luoghi  verso  i  grandi
mercati di Roma. Fu da allora che il prosciutto Veneto  comincio'  ad
uscire dai suoi confini, un'esportazione che si chiuse con il  crollo
dell'impero romano e dovette attendere  non  pochi  secoli  prima  di
tornare a fiorire. 
    Il trapasso dall'eta' romana al medioevo non misero  tuttavia  in
grande crisi l'allevamento del maiale. Lo  sfruttamento  dei  terreni
abbandonati, di quelli comuni e del bosco  diedero  infatti  vita  ai
contratti detti di soccida. E' il periodo in cui gli  enfiteuti  e  i
coloni si fanno carico dei primi allevamenti comuni, e  mano  a  mano
che si afferma l'eta' feudale chiese, monasteri e  signori  impongono
decime e diritti tra cui proprio il maiale o intero o  gia'  lavorato
rappresenta una delle prestazioni principali. 
    Nel XII secolo alcuni bassorilievi del protiro  della  chiesa  di
San Zeno in Verona raffigurano scene di lavorazione del maiale; se ne
notano altri simili anche sull'archivolto del portale maggiore  della
chiesa di San. Marco in Venezia: infatti, complice pure il  sale  che
veniva dalle saline di Venezia e Chioggia, la carne di maiale  veniva
abbondantemente lavorata e trasformata. 
    Mano a mano che il Medioevo cede al Rinascimento,  il  maiale  si
vede rinserrato in citta' e stallini, ma ce n'e' sempre in abbondanza
per offrire sapidi prosciutti, soprattutto ai  signori;  entra  cosi'
nella grande cucina dei tempi e non c'e' quasi testo classico che non
ne faccia menzione (si veda, ad esempio, l'Opera di Bartolomeo Scappi
del 1570 e un ricettario padovano del '600). 
    In epoche piu' recenti (sul finire del secolo XIX) il  prosciutto
Veneto, anche per  contrastare  i  prosciutti  cotti  e/o  affumicati
d'oltre Italia, comincia ad essere meno salato e si avvia  ad  essere
apprezzato come prodotto allo stato naturale, ossia crudo.  Anche  il
suo pubblico e' ora diverso: da tempo le cosce non sono  piu'  decime
riservate ai signori ma diventano prodotto di mercato. 
    E' nata infatti la borghesia, non necessariamente con  terre  nel
contado. 
    Nascono le prime aziende artigiane, nasce la  prima  concorrenza,
ci si batte per fare un prosciutto che  dia  risonanza  al  nome  del
produttore. 
    Sulle pareti di tante aziende - aderenti all'odierno Consorzio  -
si possono ammirare  i  risultati  di  quello  sforzo.  Nel  1881  il
Ministro Quintino Sella firma un diploma di partecipazione e vittoria
all'Esposizione nazionale di Milano di quell'anno. Quando Torino, tre
anni dopo, chiude l'Esposizione generale italiana, un  altro  diploma
prende la strada del Veneto. Nel 1904,  un  diploma  verra'  da  piu'
lontano, dal Crystal Palace di Londra nell'ambito  dell'International
Food, Groeery and Allied Trades. 
    La prima fase prettamente artigianale si e'  sviluppata  fino  ai
giorni nostri attraverso un processo di  industrializzazione  che  ha
mantenuto intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto. 
    Le notizie storiche sono state cosi' sintetizzate per non gravare
il presente disciplinare con eccessive notizie e citazioni,  peraltro
ampiamente documentabili da una bibliografia accessibile  a  chiunque
avesse interesse a consultarla. 
    D.5 
    Sempre allo scopo di non appesantire il dispositivo del  presente
disciplinare, si rimanda  alla  consultazione  delle  trattazioni  in
appendice alla presente scheda, ai punti D.6 (G. Ballarini «I fattori
di produzione del prosciutto: origine  preistoriche  e  storiche  del
prosciutto di maiale nell'area padana») e D.7 (A. Caleffi  «Il  suino
pesante italiano: tipo genetico, qualita' delle carni e  tecniche  di
allevamento»), che richiamano la  ricerca  bibliografica  di  cui  in
allegato n. 7/D. 
    E' in ogni caso certo che, acquisita la motivazione storica della
differenziazione esistente tra le diverse aree  geografiche  («micro»
quella di  trasformazione,  «macro»  quella  della  produzione  della
materia prima) comunque coincidenti in un legame culturale, storico e
socio-economico diversamente modulatosi nel tempo, la qualita'  e  le
caratteristiche del prodotto a  denominazione  di  origine  dipendono
esclusivamente  dall'ambiente  geografico,  comprensivo  dei  fattori
naturali ed umani che hanno esercitato, nel tempo, il  loro  influsso
nell'area  delimitata  con  le  modalita'  considerate  dal  presente
disciplinare, che  definisce  un'area  della  quale  il  prodotto  e'
sicuramente originario. 
    Un'ulteriore conferma di  cio'  si'  trovera'  nelle  indicazioni
della seguente scheda F, che riprende e sviluppa parte di quanto  fin
qui trattato a proposito del legame con l'ambiente geografico. 
    D.6 
Premessa 
    I prosciutti  padani  ed  in  particolare  il  Prosciutto  Veneto
Berico-Euganeo, il Prosciutto di San Daniele, il Prosciutto di  Parma
e il Prosciutto di Modena prendono le loro  origini  da  due  precisi
elementi: il maiale domestico e  le  tecnologie  di  produzione,  che
comprendono anche le specifiche condizioni  sociali  e  le  tipologie
ambientali di allevamento e produzione. 
    Infatti esistono «prosciutti» e cioe' cosce «prosciugatissime»  o
«perxuctus» di maiale selvatico ed anche domestico, ma  prodotti  con
tecnologie diverse da quelle padane ed in particolare del  Prosciutto
Veneto Berico-Euganeo, del Prosciutto di San Daniele, del  Prosciutto
di Parma e del Prosciutto di Modena. 
    Oggi e' stato riconosciuto che da un punto  di  vista  sociale  e
culturale, ma soprattutto delle tecnologie di produzione sviluppate e
conservate dalla tradizione, che la Padania  costituisce  una  unita'
anche per quanto riguarda l'allevamento del maiale e  soprattutto  la
lavorazione di alcune sue parti di  grande  pregio,  come  la  coscia
dalla quale si origina il prosciutto. Questa unita' nel tempo  si  e'
differenziata, dando origine  al  Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo,
Prosciutto di San  Daniele*  Prosciutto  di  Parma  e  Prosciutto  di
Modena. 
    Oggi pertanto, pur avendo radici  comuni,  i  quattro  prosciutti
padani sopra indicati hanno una loro precisa individualita'. 
    Per conoscere la unicita' ed al tempo stesso  la  diversita'  dei
quattro «prosciutti  padani»  bisogna  risalire,  almeno  per  rapidi
cenni, alla formazione del maiale domestico padano, al  suo  sviluppo
nel tempo e nelle 
    differenziazioni locali, assieme al sorgere ed  allo  svilupparsi
delle tecnologie di lavorazione e produzione dei prosciutti. Un campo
di indagine vastissimo, oggi in  buona  parte  esplorato,  nel  quale
anche recentemente si sono avuti importanti progressi ed al quale  e'
dedicata la presente esposizione. 
Il maiale padano 
Origini del maiale domestico Padano 
    Il maiale  e'  un  animale  intelligente,  abbastanza  facile  da
domesticare, onnivoro e di agevole alimentazione anche con «rifiuti».
Per questi motivi e' da ritenere che il passaggio dalla  selvaticita'
alla domesticazione sia avvenuto piu' volte,  in  diversi  luoghi,  a
partire da diverse razze suine, varieta' e sottovarieta'. Per  questo
motivo ogni «regione culturale»  ha  il  «suo  maiale»  ed  a  questo
principio non fa eccezione la Padania. 
    La domesticazione del maiale, in ogni area o  regione  culturale,
e' stata per lunghissimo tempo parziale. Solo in tempi  relativamente
recenti il maiale e' divenuto realmente un «maiale domestico» e cioe'
completamente  dipendente  dall'uomo.  Recentissimamente  poi  questa
dipendenza   si   e'   ulteriormente   accentuata    attraverso    la
tecnicizzazione degli allevamenti, con la quale  si  e'  arrivati  al
maiale denominato «maiale tecnologico» o «maiale industriale». 
    Tutto questo non fa che  complicare  la  risposta  alle  domande:
quando, dove e come il maiale e' stato  domestico  (Bokonyi  et  al.,
1973). 
    Secondo Pound (1983) le origini dell'addomesticamento  del  suino
si perdono nella storia. Si ritiene che il  primo  tentativo  si  sia
svolto verso il 6740 a.C.  nell'area  oggi  identificata  come  Iraq.
D'altra parte uno studioso cinese ha asserito che  animali  domestici
si trovavano nel suo Paese fino al  2900  a.C.  Clutton-Brock  (1981)
identifica invece un'area  molto  piu'  vasta,  che  si  estende  dal
Giappone al Portogallo ed all'Africa del Nord. 
    Probabilmente l'addomesticamento fu in origine favorito dal fatto
che il maiale si presentava come un efficiente spazzino,  consumatore
di ogni tipo di scarto commestibile. Questo e' il suo ruolo in  molti
Paesi in via di sviluppo. 
    Inoltre  il  problema  dell'«origine»  del  maiale  domestico  e'
complicato dal fatto che i maiali, o meglio i suini  selvatici,  sono
numerosi e la loro «classificazione»  e'  ancora  controversa  ed  in
evoluzione, sulla base di sempre nuovi  criteri  tassonomici  (Hoyny,
1973-1974). Marcuzzi e Vannozzi (1981) oltre al Sus scrofa con le sue
diverse varieta' (S.s. attila, ferus, nigripes, palustris, ussuricus)
ricordano il Sus  cristatus,  Sus  indicus,  Sus  mediterraneus,  Sus
meridionalis, Sus palustris (e la sua varieta' S.p. rutimeyeri),  Sus
vittatus. Si tratta inoltre di classificazioni su base morfologica  e
tenendo conto della grande plasticita' della specie e'  per  lo  meno
molto dubbio trattarsi di vere «specie»; molto piu' probabilmente  si
tratta di «razze» e «varieta'» locali. 
    Il Sus scrofa selvatico noto come cinghiale era diffuso in  tutto
il mondo antico (Europa, Asia occidentale, Nord Africa,  alcune  zone
dell'Asia Orientale); il Sus cristanus era diffuso nel Nepal  e  Nord
dell'India; il  Sus  vittatus  era  presente  nell'Asia  Orientale  e
soprattutto in Cina (Marcuzzi e Vannuzzi, 1981, Forni, 1976;  Keller,
1909-1913; Bokonyi et al., 1973). 
    La domesticazione del maiale, o per lo meno  l'inizio  della  sua
domesticazione, e' quasi certamente avvenuta in  piu'  luoghi  ed  in
tempi diversi. Il primo di questi pare doversi riconoscere  nell'area
cinese  dove,  durante  il  Neolitico,  furono  domesticati  il   Sus
cristatus ed il Sus vittatus (Marcuzzi e Vannozzi 1981). In  Birmania
vi sarebbe il piu' antico ritrovamento di maiali con  caratteristiche
ritenute di tipo «domestico». Gia' Darwin (1868) aveva segnalato  che
le forme addomesticate od in cattivita' perdono fino al 20% del  peso
encefalico e cio' vale anche  per  l'uomo  in  prolungata  prigionia.
Questo criterio permette di supporre se un cranio  appartiene  ad  un
suino selvatico o  domestico.  Un'altra  prova  di  domesticazione  a
partire da reperti fossili e' la lunghezza  della  corona  del  terzo
molare,  essendo  statisticamente  provato  che   la   domesticazione
influisce negativamente su  detta  lunghezza  (Marcuzzi  e  Vannozzi,
1981). 
    Secondo  Forni  (1976)  il  maiale  come  animale  «grufolatore»,
antropofilo od almeno come sinantropo gradito o tollerato  e  con  un
inizio di domesticazione sarebbe  presente  in  Eurasia  dall'VIII-DC
millennio a.C. 
    Tuttavia i primi «veri» allevamenti  dei  suini  sarebbero  stati
effettuati in Mesopotamia, Iran e Iraq circa nel 3500 a.C. o  per  lo
meno a tale data i maiali  presentano  gia'  rilevanti  modificazioni
morfologiche. Una statuetta sumera datata al 2500 a.C. rappresenta un
maiale grasso, privo di setole con le  orecchie  lunghe  e  pendenti,
completamente diverso dagli esemplari selvaggi coevi. 
    Il maiale non  sarebbe  stato  addomesticato  in  Europa,  ma  vi
sarebbe giunto in piu' riprese e  da  varie  razze  e  stipiti  dalle
regioni dell'Est. Non e' comunque facile  stabilire  una  cronologia,
anche perche' in Europa esisteva il maiale selvatico o cinghiale  con
il quale i maiali semidomestici o domestici si incrociavano,  perche'
in generale l'allevamento del maiale era di tipo brado o  semi-brado.
Relativamente scarsi erano i maiali presenti nei villaggi o citta'. 
    Secondo Keller (1909-1913) nelle palafitte svizzere  e'  presente
il S. indicus domestico uguale a quello trovato a Ninive.  Alla  fine
del Neolitico (Marcuzzi e  Vannozzi,  1981)  in  questi  insediamenti
umani esistono tre tipi di maiali domestici:  uno  derivato  dal  Sus
scrofa locale, di grande taglia ed adatto al  pascolo,  evidentemente
tenuto in condizioni brade  o  semibrade,  un  secondo  animale  piu'
piccolo  riferibile  al  sopracitato  indicus   mantenuto   nell'area
palafitticola; un terzo maiale molto piccolo che,  come  il  maialino
cinese, vive probabilmente nelle capanne. 
    Di maiali domestici in Europa si puo' parlare  con  certezza  nel
Neolitico e precisamente nella Penisola Iberica, Francia  meridionale
e occidentale. Arene Candide, Renania, Sardegna e nella  gia'  citata
Svizzera. Nell'Europa centrale il maiale e' allevato  fin  dall'epoca
della prima «ceramica a nastro» (Muller-Karope, 1968) ed in  Ungheria
appare con la cultura del Tibisco. 
    In Italia, oltre ai gia' citati ritrovamenti del  Neolitico  alle
Arene Candide, il maiale domestico  si  trova  nell'eta'  del  bronzo
nelle palafitte di Ledro (Trentino sud-occidentale)  (Riedel,  1976).
Nelle torbiere del Garda il  porco  delle  miniere  o  Sus  palustris
potrebbe forse derivare dal Sus meridionalis,  presente  in  Sardegna
oltre che in Maremma, se non e' frutto di  addomesticamento  (Riedel,
1955-1956). Anche a Barche di Solferino, Isolone (eta' del Bronzo) ed
a Colombare (Eneolitico) nel  Veneto  Riedel  (1976;  1948;  1948/50;
1957; 1950) ritrova maiali, cinghiali e  forme  intermedie  giudicate
esisti di incroci. A S. Bricco  di  Lavagno  presso  Verona  (Riedel,
1940/50), nell'eta' del ferro, gli animali domestici sono  nettamente
prevalenti su quelli selvatici, il maiale ha  notevoli  dimensioni  e
forse e' riportabile al Sus palustris (Riedel, 1940-1950).  Anche  in
Venezia Giulia nell'ambito della cultura dei castellieri  tarda  Eta'
del ferro - epoca romana, vi sono resti di maiali domestici  (Riedel.
1951; 1950; 1957). 
    Da ricordare anche le ricerche di Moroni e Annermann  (1970)  sui
maiali veneti. 
    Forse il maiale e' stato domesticato in  Europa,  ma  molto  piu'
probabilmente  e'  stato  importato   gia'   domestico   dall'Est   e
successivamente sono stati domesticati i suini europei autoctoni  (il
cinghiale ancora esistente - noto come Sus scrofa  ferus  sarebbe  il
residuo di tali maiali). Comunque con incroci tra il Sus vittatus  di
importazione e il Sus scrofa autoctono, il processo di domesticazione
del maiale ha interessato prevalentemente l'Europa  mediterranea.  E'
intatti agevole constatare che in epoca preistorica la domesticazione
del  maiale  e'  avvenuta  soprattutto  nell'Italia  del  nord  (Alpi
Pre-Alpi, Pianura Padana) e questo in rapporto al tipo di vegetazione
dominante. Il  maiale  e'  infatti  un  animale  «selvatico»  che  si
alimenta largamente dei frutti della selva o bosco come le ghiande. 
    Tutto porta quindi a ritenere che vi sia stato lo sviluppo di una
semi-domesticazione nell'Italia  Settentrionale  del  maiale,  tipica
dell'area culturale  padana,  soprattutto  in  ambito  della  cultura
celtica. 
    Nell'area mediterranea invece  prevalevano  i  piccoli  ruminanti
(pecore e capre)  e  la  pastorizia.  Tutto  cio'  non  escludeva  la
presenza del maiale, ma in  misura  limitata,  anche  nell'area  piu'
propriamente mediterranea. A solo titolo di esempio si puo' ricordare
che in Egitto il maiale e' un «animale da lavoro» che dissoda i campi
grufolando e camminando tra gli stessi: dopo le piene del  Nilo,  per
stanare i vermi di cui e' ghiotto, con il grifo e gli zoccoli traccia
nel limo dei solchi di profondita' perfetta per la semina del grano. 
    Ricerche glottologiche (Devoto,  1962;  Benveniste,  1969,  1976)
recentemente analizzate da Marcuzzi  e  Vannozzi  (1981)  per  quanto
concerne l'area delle lingue indoeuropee, dimostrano che l'etimo «us»
e «sus» indoeuropeo  e'  usato  indifferentemente  per  il  cinghiale
(maiale selvatico) ed il maiale domestico.  L'etimo  «porko»  designa
invece per l'animale giovane e soprattutto quello lattante  (Marcuzzi
e Vannozzi, 1981; Benveniste, 1969), piu'  frequentemente  usato  per
l'animale da macello, per cui il termine di «porchetta». 
Il maiale padano nei tempi storici 
    Tutto porta a ritenere che nel lento passaggio tra la  preistoria
e la storia, nella Pianura Padana esistessero piu' «tipi»  di  suini,
differenziati piu' per le dimensioni e le  abitudini  che  per  altri
motivi. Tutti inoltre costituivano un'unica  «specie»  biologica  con
possibilita' di reciproco incrocio fecondo. 
    Il cinghiale (Sus scrofa ferus) viveva libero nei  vasti  terreni
boschivi e/o paludosi della pianura e nelle boscaglie delle colline e
montagne, si alimentava dei frutti del bosco,  in  particolare  delle
ghiande,  ed  era  oggetto  di  caccia.   Branchi   di   animali   di
relativamente  grande  taglia  e  semidomestici,  ma   con   continue
possibilita' di incrocio con i cinghiali,  vivevano  nelle  boscaglie
attorno  agli  insediamenti  umani;  da  questi  branchi  gli  uomini
prelevavano  i  giovani  per  la  macellazione.  Maiali  ancora  piu'
domestici e di minor taglia vivevano  inoltre  in  stretta  vicinanza
dell'uomo, nei suoi villaggi e abitazioni, in stretta «antropofilia»,
alimentandosi di rifiuti. 
    Fin dagli inizi  della  civilizzazione  umana  il  maiale  assume
quindi due aspetti: quello  di  animale  «di  bosco»  in  opposizione
quindi agli animali «di pascolo» come le pecore, e come  animale  «di
citta'». 
    Per quanto concerne l'allevamento del maiale in periodo etrusco e
nella pianura  padana,  come  riferito  anche  da  Dancer  (1984)  e'
necessario riferirsi a Polibio (Storie, XII, 4) ed a M.T. Vairone (De
Re Rustica, II, 4,9). 
    Estremamente interessanti sono  le  recenti  ricerche  su  di  un
insediamento etrusco a Forcello  (Bagnolo  S.  Vito,  nei  pressi  di
Mantova) eseguiti da Olivieri del Castrilo (1990) e  riguardanti  una
citta' etrusca del V secolo a.C. Tra i reperti  ossei  oltre  il  60%
riguarda il maiale e seguono nell'ordine ovicaprini e bovini.  L'eta'
di macellazione dei maiali era verso i due, tre anni. 
    Questo significa che gli Etruschi padani praticavano un  tipo  di
allevamento stabile e specializzato per la produzione di carne suina.
Gli studi effettuati dimostrano che si trattava di maiali di  piccola
taglia (65-75 centimetri di  altezza  al  garrese  al  momento  della
macellazione); erano allevati sia i maschi  che  le  femmine,  in  un
rapporto di 1:1,5. Si tratta di maiali simili a  quelli  allevati  in
un'altra citta' etrusca padana, Spina, ed analoghi a quelli di  razze
suine pre-romane, di altezza e  robustezza  sicuramente  inferiori  a
quelli di razze piu' antiche. 
    Quella ora tratteggiata e' piu' o meno la  situazione  che  nella
Pianura padana si trova all'inizio della dominazione  romana,  quando
il gia' citato Polibio  ricorda  la  estensione  dei  querceti  e  la
conseguente abbondanza di suini. Conferma ulteriore viene da Strabone
secondo il quale l'Emilia riforniva di carni suine e di  maiali  vivi
tutta l'Italia:  «Tanta  e'  l'abbondanza  di  ghiande  raccolte  nei
querceti della pianura, che la maggior parte dei suini  macellati  in
Italia,  per  le  necessita'  dell'alimentazione  domestica  e  degli
eserciti, si ricava da quella zona» (Polibio, II secolo a.C). 
    Nel periodo romano, e per questo possiamo riferirci a  Columella,
esistevano allevamenti stanziali e «razionali» di maiali.  Le  scrofe
con i loro maialini sono allevate in  parchetti  singoli,  nei  quali
Columella consiglia di mettere un gradino davanti a ogni  cella.  Che
questo espediente, atto ad impedire la  uscita  della  scrofa,  fosse
«reale» e' stato dimostrato dai reperti archeologici  nella  fattoria
di Settefinestre recentemente  scavata  in  Toscana  e  descritta  da
Carandini e Settis (1979). Si deve quindi ritenere che, almeno  nelle
fattorie piu' «moderne», i Romani  avessero  attuato  un  allevamento
razionale ed intensivo del maiale, nel quale  eseguivano  una  scelta
dei singoli riproduttori e  quindi  una  selezione,  ed  effettuavano
un'alimentazione guidata, seppure integrata dal pascolo, come appunto
fa supporre l'artificio  del  «gradino»  per  impedire  o  permettere
l'uscita della scrofa dal suo parchetto. 
    La grande crisi agricola e demografica  del  III-IV  secolo  d.C.
vide  grandemente  estendersi  le  aree  incolte  e  boschive  e   di
conseguenza rilancio' l'allevamento brado e semibrado  dei  suini,  a
scapito dell'allevamento degli animali pascolativi (ovini e  bovini).
Un'ulteriore spinta in questa direzione venne dalle successive ondate
di invasioni di popoli dell'Est e  del  Nord  Europa  e  decisiva  fu
soprattutto l'invasione longobarda (anno 569),  che  a  poco  a  poco
diffuse  consuetudini  economiche  e  alimentari  diverse  da  quelle
romane. 
    Nella Pianura Padana si diffusero le  abitudini  tipiche  di  una
civilta' seminomade che sfruttava  soprattutto  cio'  che  la  natura
offriva spontaneamente, e quindi  utilizzava  il  bosco  con  i  suoi
diversi frutti e «sottoprodotti»: tra questi il maiale  era  uno  dei
piu' importanti (Baruzzi e Montanari, 1981). 
    Con l'ingresso in Italia dei Longobardi, dalle Venezie sino  alla
Pianura Padana, si creo' quindi una «frattura»  politica,  economica,
di usi e costumi. 
    Nei territori orientali e litoranei che i Bizantini riuscirono  a
preservare   dall'invasione   longobarda   rimasero   le    abitudini
«mediterranee» legate alla pastorizia e  piu'  propriamente  «romane»
(Romania, da cui Romagna) dove permane  l'uso  della  carne  ovina  e
soprattutto del «castrato» (Caroselli, 1970). 
    Nelle altre parti della  Pianura  Padana  invase  dai  Longobardi
(Longobardia da cui Lombardia) l'allevamento del  maiale  subisce  un
ulteriore rafforzamento e  si  estende  nei  boschi,  soprattutto  di
querce. 
    La zona di Parma, Modena e di  tutte  le  Venezie  sono  comprese
nella vasta area di cultura longobarda del maiale. 
    Nel Medioevo fra le attivita' silvo-pastorali  un  rilievo  tutto
particolare aveva il pascolo  dei  maiali,  al  punto  che  i  boschi
venivano «misurati» non in termine di superficie, ma  di  maiali.  Ad
esempio si diceva «il bosco di Alfiano puo' ingrassare 700  porci»  e
con questa unica stima si forniva il dato che si riteneva piu'  utile
(Baruzzi e Montanari, 1981). I branchi di maiali erano  «guidati»  da
un verro secondo le leggi  longobarde,  denominato  sonorpair  quando
comanda un gregge di almeno  trenta  capi,  o  da  una  scrofa  detta
ducaria, sempre secondo le leggi  longobarde  (Baruzzi  e  Montanari,
1981; Grand-Delatouche, 1968). I branchi di  maiali  erano  sotto  la
custodia di un porcaro molto spesso  «legato»  al  territorio  (servo
della  gleba)  che  inoltre  provvedeva  ai  maiali  nei  periodi  di
«difficolta'». 
    Ricoveri  provvisori,   denominati   porcaritie   dai   documenti
altomedioevali, venivano approntati nei boschi  quando  il  tempo  si
faceva inclemente. D'inverno i maiali venivano riportati a casa,  per
brevi e provvisori periodi di stabulazione, durante i  quali  inoltre
si procedeva alla macellazione dei soggetti  previamente  ingrassati.
Un significativo  segno  di  importanza  del  capo-porcaro  (magister
porcarius) risulta dall'Editto di Rotari del 653:  la  somma  che  si
pagava al loro proprietario, come risarcimento, qualora uno di questi
venisse ucciso  o  ferito,  ha  il  valore  piu'  alto  in  assoluto,
uguagliato solo da quello di un maestro artigiano. 
    I maiali  medioevali  che  in  Francia  sono  stati  recentemente
studiati da Oger (1982) hanno ancora aspetti molto simili  ai  maiali
selvatici e con i quali continuano ad incrociarsi. 
    Sulla base della abbondante iconografia recentemente  raccolta  e
discussa da Baruzzi e Montanari (1981)  i  maiali  padani  medioevali
erano magri e snelli, con gambe lunghe e sottili,  di  colore  scuro,
rosso o nerastro, ma non mancavano anche animali con pelo piu' chiaro
o animali con  «fasce»,  ad  esempio  del  tipo  della  razza  «cinta
senese». La testa e' grande e lunga, il grifo e' appuntito ed  adatto
al grufolare, le orecchie sono corte ed erette, le setole sono forti,
abbondanti e ritte sulla schiena; i denti  canini  emergono  bene  in
vista. 
    Da non dimenticare infine che il maiale  medioevale  aveva  anche
una vita «cittadina», che si svolgeva nei cortili delle  case,  nelle
vie e nelle piazze. Da tale consuetudine collegata al  «riciclo»  dei
rifiuti urbani, nascevano problemi di igiene e di  «ordine  pubblico»
(Baruzzi e Montanari, 1981). Negli Statuti di Bologna dell'anno  1288
(Fasoli e Sella, 1939) risulta: «Ordiniamo che  nessuno  tenga  troie
con i piccoli nella citta' di Bologna, e neppure  senza  piccoli  nei
pressi della citta', fino alla distanza di un miglio. E  che  nessuno
lasci andare per la citta' e i borghi scrofe e maiali,  se  non  sono
castrati e non hanno l'anello al muso; dal primo maggio alla festa di
S.  Michele  (29  settembre)  neppure  quelli  con  l'anello  possono
circolare per la citta'. Ordiniamo che nessun porco  o  scrofa  entri
nella Piazza del  Comune  o  nella  Piazza  di  Porta  Ravegnana.  Si
eccettuano da questa proibizione i greggi di porci ivi  condotti  dai
mercanti, o da altre persone, per essere venduti,  le  bestie  devono
pero' essere legate». 
    Il Capitolato per il pubblico porcaro del Comune  di  San  Damele
(1574) «assegna a Zuan Rondela di Ragogna il compito di  pascolare  i
maiali (esclusi quelli da latte) di tutti coloro che ne possiedono  e
stabilisce per questi l'onere del mantenimento del porcaro  -  un  di
per porco - il tutto per lire 24 al mese». 
    Ai soli cittadini di San Daniele e'  consentito  il  pascolo  sui
terreni pubblici e la macellazione nell'apposita struttura  comunale;
occorrono 20 anni di residenza  per  acquisire  i  diritti  sui  beni
pubblici, le deroghe a tale precetto sono eccezionali.  (Rebellano  e
Santese, 1993). 
    Il  passaggio  dal  bosco  al  porcile  avviene  con  la  ripresa
dell'agricoltura ed il connesso sviluppo demografico che  inizia  nei
secoli X-XI e continua, sia pine con alterne vicende, in  connessione
all'estendersi  dei  territori  destinati  all'agricoltura  ed   alla
sottrazione all'uso comune dei boschi e  delle  selve  acquisite  dai
ceti dominanti a favore della  selvaggina  «Res  regalis».  Piero  De
Crescenzi, agronomo bolognese del XIII secolo, scrive che «si  devono
dar loro le ghiande, le castagne e simiglianti cose,  o  le  fave,  o
l'orzo, o il grano: imperocche' queste cose non solamente ingrassano,
ma danno dilettevole sapore alla carne». 
    Con la comparsa della mezzadria (Roda, 1979-80) l'allevamento del
maiale tende a restringersi, ma soprattutto si modifica. 
    Il contadino continua a tenere qualche  animale  all'interno  del
podere al quale dedica tutta la  sua  attivita'  non  svolgendo  piu'
attivita' silvo-forestali (Montanari, 1979  -  Baruzzi  e  Montanari,
1981). 
    Tuttavia, come risulta da una relazione del Du Tillot della  fine
del 1700, relazione riguardante il territorio di Parma e recentemente
messa in luce e discussa da Dall'Olio  (1983),  in  tale  periodo  la
produzione del maiale era ancora strettamente legata  la  pascolo  ed
alle ghiande, cosi' vi  erano  annate  favorevoli  a  sfavorevoli  in
rapporto alla produzione di ghiande. Sempre alla  fine  del  1700  il
consumo di carne di maiale a Parma era relativamente  elevato  (4.500
maiali circa macellati ogni anno, ad uso soprattutto dei monasteri  e
conventi) e si propose di allestire due macelli per suini analoghi al
Pelatoio di Bologna. 
    In  tutto  il  medioevo  e  fino  alle  soglie  del  1900,   come
recentemente ha fatto notare Mondini (1978),  la  denominazione  piu'
usata e' quella di «Porco», indipendentemente dal fatto che si tratti
di  animali  selvatici,  semidomestici  o  domestici.   L'etimo   sus
(sonopair longobardo, scroa per  scrofa)  e'  invece  riservato  agli
animali da vita, e dara' origine al termine  «suino»  ora  largamente
diffuso e che si affianca a quello di maiale. Per il cinghiale e'  in
uso il termine di Porci silvestres (Salimbene da Adam). 
Cenni sull'uso alimentare del maiale nella Padania 
    Il maiale, come maiale selvatico (cinghiale)  o  semiselvatico  o
domestico, e' stato quasi esclusivamente un animale «da carne» ed  e'
sempre stato impiegato nell'alimentazione Europea e Padana, dove  non
risultano i «divieti» o «tabu'», che invece  hanno  riguardato  altre
aree culturali, tra le quali sono da ricordare  quella  egiziana  per
taluni periodi storici, ebrea e musulmana (Ballarini, 1981). 
    Precise documentazioni dell'uso alimentare del  maiale  si  hanno
dallo studio dei reperti ossei preistorici, davanti alle grotte o nei
primi insediamenti  umani  (terramare).  Etruschi,  Galli  (a  questo
ultimo riguardo esiste la testimonianza di Ateneo)  e  soprattutto  i
Romani della Pianura Padana usavano  ampiamente  le  carni  suine.  A
questo ultimo proposito, come ricorda Susini (1960), poche  comunita'
romane come  quella  bolognese,  hanno  restituito  un  numero  cosi'
cospicuo di menzioni artigianali e professionali, e tra queste quella
di suarius. 
    Bisogna infatti ricordare  che  la  funzione  della  citta'  come
incrocio tra la Via Emilia e le strade dell'Appennino e del Delta del
Po cui forse conduceva una via d'acqua, aveva determinato, gia' dalla
fiorentissima eta' felsinea etrusca, il formarsi di un cospicuo  ceto
mercantile ed artigianale. 
    In modo analogo era avvenuto in altri centri lungo la Via Emilia,
ad esempio Parma nella  quale  la  Via  Emilia  si  incrocia  con  il
Torrente Parma e con una via appenninica che portava al mare Tirreno;
una via quest'ultima che ebbe incremento con lo sviluppo del porto di
Luni e da questo le derrate alimentari prodotte nella zona  di  Parma
arrivavano agevolmente via mare fino a Roma. 
    Le   menzioni   artigianali   padane   (in   questo    caso    di
Felsina-Bononia- Bologna) derivano anche da stele funerarie,  tra  le
quali e' molto importante quella  di  Q.  Valerius  Restitutus  della
prima meta' del I secolo dopo Cristo, che rappresenta la  bottega  di
un macellaio (lanius). 
    Un altro monumento sepolcrale che ha riferimento al commercio  ed
alla lavorazione della carne di suino e' composto da due  steli,  una
delle quali mostra la figura di mi suarius (allevatore o mercante  di
proci) che sospinge innanzi a  se'  sette  maialetti;  l'altra  stele
presenta un mortaio con relativo pestello, gli strumenti  mediante  i
quali la carne,  il  sale  e  le  spezie  venivano  tirate  per  dare
l'impasto necessario alla preparazione  degli  insaccati  suini,  ben
noti ed apprezzati anche in eta' romana (Susini, 1958). In  proposito
non e' superfluo ricordare che il nome moderno di  mortadella  sembra
derivare appunto da quello di «mortarium». 
    Venivano destinati alla macellazione  animali  di  peso  limitato
(dai 30-40 chilogrammi ad un massimo di 70-80  chilogrammi)  (Silcher
Van Bath, 1972; Pesez, 1973; Stouff,  1969,  Anselmi,  1975;  Rouche,
1973; Montanari, 1979), spesso castrati (se maschi) per togliere loro
il non gradevole odore-sapore «urinoso» del verro. 
    Si trattava di animali che difficilmente avevano meno di un  anno
di vita e le  ossa  riportate  alla  luce  dagli  scavi  archeologici
appartengono il piu' delle volte ad animali uccisi fra il primo e  il
secondo anno di vita, ma anche al terzo e perfino al quarto  anno  di
vita (Marcuzzi e Vannozzi, 1981; Barker, 1973; Tozzi, 1980). Il lungo
periodo di  allevamento  era  la  conseguenza  delle  caratteristiche
genetiche delle  razze  allevate,  ad  alta  rusticita'  ed  a  bassa
precocita' e ad una alimentazione certamente non adeguata e ricca  di
carenze. 
    Il periodo dell'uccisione era per lo piu' nei mesi di novembre  e
dicembre, comunque sempre nell'inverno (Marcuzzi e  Vannozzi,  1981);
vedasi ad esempio la tradizionale fiera di Santa Caterina  il  25  di
novembre, a Montagnana (Veneto). Da  un'ampia  iconografia  e'  anche
nota la tecnica di mattazione con stordimento tramite un colpo  sulla
testa e successiva iugulazione o colpo al cuore; seguiva la  raccolta
del sangue e la successiva pulitura della pelle con  fuoco  ed  acqua
bollente, apertura e divisioni in mezzene e successivamente in parti.
I «tagli» erano destinati al consumo fresco od alla conservazione. 
I prosciutti padani 
Notizie storiche sui prosciutti padani 
    Una tecnica fondamentale di conservazione della carne era  quella
della salagione, la cui origine si perde nella notte dei  tempi,  che
certamente e'  stata  «scoperta»  piu'  volte  ed  indipendentemente,
applicata su carni di tipo diverso, ma soprattutto su carni  prodotte
stagionalmente, in particolare di maiale e di pesce. «Nulla  e'  piu'
utile del sale e del sole» scriveva  nel  I  secolo  a.C.  Plinio  Il
Vecchio e nel VII ripeteva Isidoro Di Siviglia. 
    La prima importante, anche se «indiretta», testimonianza di cosce
salate di maiale (prosciutti o proto-prosciutti) nella Pianura Padana
la si ricava dalle gia' citate indagini archeologiche di Olivieri del
Castillo (1990) a Porcello (Bagnolo S. Vito di Mantova) e riguardante
un  insediamento  etrusco  del  V  secolo   a.C.   Infatti   tra   le
numerosissime ossa di maiale ritrovate (circa 30.000 reperti!!)  sono
sorprendentemente rare quelle degli arti posteriori. Questo fatto non
puo' essere casuale e fa ritenere che  le  cosce  di  maiale  fossero
utilizzate altrove e quindi esportate, ovviamente dopo  essere  state
salate e quindi trasformate in prosciutti o  «proto-prosciutti».  Non
e' escluso che questi prosciutti fossero esportati  fino  in  Grecia,
dove erano noti. Infatti indizi sulla conoscenza del prosciutto nella
Grecia Antica li ricaviamo anche dai termini usati di kolia  e  perna
(Aristofane: Plutus, Luciano: Lessifane XXXIV, 6). 
    I  romani  conoscevano  bene  il  Prosciutto   di   maiale,   che
denominavano «perna» (Vairone, De Lingua  Latina)  e  che  ritroviamo
anche in una insegna di taverna (Tacca, 1990). E' anche da  ricordare
Q. Orazio Flaccio (Satira II, w 116-117) e l'uso medicinale dell'osso
di  prosciutto  (Marcello  Empirico  -  De   medicamentibus   fisycis
razionalibus). 
    Columella (I secolo d.C.) nel  suo  De  Re  Rustica  ricorda  che
«tutti gli animali, ma specialmente il maiale, devono  essere  tenuti
senza bere il giorno  prima  della  macellazione,  perche'  la  carne
risulti piu' asciutta ... Quando avrai ucciso il maiale ... disossalo
accuratamente; con questo si rende la carne salata  meno  soggetta  a
decomporsi e  piu'  durevole,  salalo  con  del  sale  torrefatto,  e
soprattutto riempi di sale con tutta abbondanza quelle parti  in  cui
sono state lasciate le ossa; dopo aver predisposto  le  placche  o  i
pezzi sopra dei tavolati, mettili sopra dei larghi pesi, in modo  che
scolino  bene.  Al  terzo  giorno   rimuovi   i   pesi   e   strofina
diligentemente con le mani la carne  salata,  quando  poi  la  vorrai
rimettere a posto, aspergila di sale sminuzzato e ridotto in polvere,
e riponila cosi'; non tralasciare di strofinare tutti  i  giorni  col
sale finche' sara' matura. 
    Se mentre si strofina la carne ci sara' bel  tempo,  la  lascerai
sotto sale per nove giorni; ma se il cielo sara' nuvoloso, bisognera'
portare la carne salata alla vasca dopo undici o dodici giorni:  dopo
i quali prima si scuote il sale, poi si lava accuratamente con  acqua
dolce, in modo che da nessuna parte rimanga attaccato del sale e dopo
averla lasciata asciugare un poco,  la  sospenderemo  nella  dispensa
della carne, dove giunga un po' di  fumo  che  possa  asciugarla  del
tutto, nel caso che contenesse ancora un po' d'acqua. 
    Questo tipo di salatura si potra' fare molto bene durante l'epoca
del solistizio invernale, ma anche nei mesi di febbraio, prima  pero'
delle idi». E' facile rilevare una serie di consigli tuttora  validi:
attenzione alle parti vicine all'osso,  uso  di  sale  ben  asciutto,
schiacciamento  per  estrarre  l'umidita',  macellazione  del  maiale
durante il periodo freddo (dal 21 di dicembre  a  meta'  febbraio)  e
cosi' via. 
    Tuttavia qui si parla di carni salate e poi in parte asciugate al
calore del fuoco e non affumicate, disossate, e non  del  «prosciutto
crudo» quale ora lo intendiamo, ma con una tecnica analoga  a  quella
ancora attuale per quest'ultimo. 
    Per quanto riguarda la conservazione di cosce  intere  di  maiale
tramite  «prosciugamento»  (da  cui  il  termine  di  «perxuctus»   o
prosciugatissimo) bisogna arrivare a Catone Il Censore che nella  sua
De Agricoltura (II secolo a.C.) indica  che  le  cosce  devono  venir
poste in un doglio a strati, coprendo ogni strato  ed  il  tutto  con
abbondante sale, avendo l'avvertenza che i pezzi non si tocchino  tra
loro; dopo una permanenza di dodici giorni i pezzi di  carne  vengono
tolti dal sale, accuratamente lavati, fatti asciugare al vento  secco
per due giorni, quindi unti con olio ed aceto,  ed  appiccati  ad  un
palo nei pressi del focolare. 
    «Ne' tarli ne' vermi li toccheranno», dice Catone, in conseguenza
del trattamento misto salagione-affumicamento. 
    Anche in questo caso non vi e' alcun affumicamento,  ma  soltanto
un asciugamento favorito dall'aria calda. 
    Nel  Medioevo,  quando   abbiamo   ulteriori   e   piu'   precise
informazioni, era diffusa l'abitudine di tagliare il maiale  a  meta'
in senso longitudinale, costituendo due «mezene» da  cui  il  termine
ancora diffuso di mezzetta, di peso abbastanza limitato (Messedaglia,
1943-44) e che venivano conservate tramite salagione. In Francia tali
mezzette, denominate baccones da cui il bacon inglese, a disposizione
dei monaci di Corbie nel secolo IX pesavano circa trenta chilogrammi,
(Rouche, 1973). 
    Quando il maiale non veniva conservato  intero,  si  salavano  le
parti piu' pregiate: coscia o prosciutto e  «gambuccio»,  «scamarita»
(parte della schiena vicina alla coscia; Sella, 1937), spalla. Non si
salvano parti meno pregiate a causa dell'alto prezzo del sale. 
    L'importante ruolo del sale per la conservazione della carne come
di altri alimenti tra cui pesci e formaggi, ed equilibratore  di  una
alimentazione umana  prevalentemente  vegetariana,  quindi  ricca  di
potassio,  mantenne  sempre  vivo  un  intenso  commercio  di  questa
derrata. Come anche recenti autori hanno dettagliatamente descritto e
discusso (Meyer,  1981)  il  sale  delle  saline  costiere  (Venezia.
Cornacchie,  Cervia)  risaliva  all'interno  della   Pianura   Padana
orientale, soprattutto tramite le vie fluviali, lungo il Po ed i suoi
affluenti. A causa del costo non tanto  di  trasporto,  quanto  delle
gabelle alle quali era sottoposto, appunto perche' derrata alimentare
«indispensabile», si  cercava  di  produrlo  in  loco  sfrattando  le
miniere  di  salgemma  ed  in  particolar  modo  le  sorgenti  saline
dell'entroterra. 
    La  Pianura  Padana,  formatasi  lentamente  per  sedimentazione,
contiene nelle sue profondita' e  racchiusi  tra  strati  di  argilla
impermeabile notevoli quantita' di sale marino fossile e  per  questo
acque e pozzi salati pullulano nella bassa pianura, sulle  colline  e
nella montagna (Marenghi, 1963). 
    Famosi erano i  pozzi  di  acque  salse  della  collina  parmense
attorno ai  paesi  denominati  appunto  Salsomaggiore  e  Salsominore
(Baruzzi e Montanari, 1981;  Bonatti,  1981).  In  questi  luoghi  si
svilupparono quelle che furono denominate «fabbriche  del  sale»  che
risalgono probabilmente al tempo dei  romani  (Bonatti,  1981;  Drei,
1939). 
    Evidentemente la lavorazione delle carni e la loro  conservazione
con il sale esigeva una determinata tecnologia e fin dall'inizio  del
IX secolo il capitolare di Carlo Magno sulla gestione  delle  Aziende
Regie prescriveva che «Omino praevidendum est cum omni diligentia  it
quicquid manibus laboraverint aut facerint, id est lardum,  siccamen,
sulcia, niusaltus ... omnia cum summo nitore sint facta vel parata». 
    Il maiale produceva una derrata che doveva servire per una intera
annata. Accanto alle frattaglie, sangue e talune parti da  utilizzare
immediatamente, ve ne erano altre da  conservare  a  lungo,  le  gia'
citate  preparazioni   salate.   La   quota   intermedia   a   «media
conservazione» era costituita dagli insaccati,  il  cui  mantenimento
era affidato a fermentazioni  guidate  da  una  serie  di  fattori  e
condizioni: alcuni di  questi  (sale,  umidita',  temperatura)  erano
molto efficaci, altri meno. 
    Tra questi ultimi vi sono le spezie, che tuttavia avevano  almeno
il ruolo di «mascherare» eventuali odori o sapori  non  completamente
graditi, o di servire quali elementi di «controllo»  e  «repressione»
nell'uso alimentare dell'insaccato stesso. Questo e'  il  caso  delle
spezie piccanti  che  inducono  a  mangiare  «molto»  pane  e  «poco»
companatico. 
    Tra gli insaccati padani si ricordano i salami, i cotechini e gli
zamponi, i cappelli da prete e le bondiole,  e  cosi'  via.  Numerose
sono le attestazioni iconografiche dell'uso padano di  conservare  il
maiale sotto forma di insaccati. 
    Tra le spezie di cui e' documentato l'uso nei  secoli  passati  e
fin dal medioevo (Baruzzi e Montanari, 1981), si possono ricordare il
pepe ed altre  spezie  di  origine  orientale  (cannella,  chiodi  di
garofano, noce moscata, zenzero, comino, zafferano), oppure  le  erbe
aromatiche prodotte negli orti casalinghi: timo, maggiorana,  salvia,
anice, rosmarino,  prezzemolo,  coriandolo,  ma  soprattutto  l'aglio
(Baruzzi e Montanari, 1981). 
    Il maiale era  inoltre  una  preziosa  fonte  di  grasso.  Esiste
intatti una «carta geografica dei grassi culinari»: nel  Nord  Italia
(Centro  Europea)  dominano  i  grassi  animali,  mentre  nell'Italia
Centro-meridionale  (Mediterranea)  dominano  quasi  incontrastati  i
grassi vegetali e soprattutto  l'olio  di  olivo.  Fin  dal  Medioevo
nell'Italia del Nord si usavano prevalentemente i  grassi  di  maiale
(lardo e strutto) e limitatamente il burro. 
    L'olio non era tuttavia sconosciuto, ed era di olivo per i ricchi
e di noce per i poveri. Il lardo fin dal  periodo  longobardo  veniva
conservato tramite salatura; i  muratori  longobardi  ricevevano  una
quota fissa  di  lardo  di  circa  cinque  chilogrammi  per  il  loro
sostentamento prima di  iniziare  il  lavoro  stagionale  (Baruzzi  e
Montanari, 1981).  Fin  dall'VIII  secolo  nella  Pianura  Padana  lo
strutto era noto come uncto, grassa, sunzia, assungia (Tanara,  1965;
Rosselli, 1518). 
    Da quanto esposto e' facile individuare,  della  Pianura  Padana,
una antichissima «vocazione» suinicola, che  e'  stata  intensificata
dalla dominazione longobarda. In questa vasta «area», fin  dai  tempi
molto antichi, si sono sviluppate alcune tecnologie di  conservazione
delle carni, ad esempio la salagione. Contemporaneamente si e'  avuta
una quasi infinita serie di «varianti», per le quali non e' possibile
individuare singole origini e motivazioni storiche. Una di queste  e'
per esempio tipica dell'area bolognese e risalente almeno al  periodo
romano. Con la finissima triturazione delle carni e  del  grasso,  si
ottiene un impasto da conservare tramite l'aggiunta di sale e  spezie
ed eventualmente tramite cottura  (mortadella),  da  consumare  cruda
(salsicce e salami) o dopo cottura (cotechini e zamponi). 
    Piu' ad Ovest, in una zona in cui erano presenti affioramenti  di
sali iodati con bromo e  piccole  quantita'  di  salnitro  (Marenghi,
1963), si sviluppa la tecnologia di conservazione di cosce di  maiale
di dimensioni medie, ma soprattutto elevate, con la sola salagione  e
la loro «asciugatura» in ambiente asciutto come indicato da Catone Il
Censore. 
I prosciutti padani nel II millennio 
    Con la rivoluzione agraria dell'inizio  di  questo  millennio  la
Pianura Padana fu disboscata e contemporaneamente  le  acque  vennero
regolate:  il  coltivo  prese  il  sopravvento  sull'incolto   e   di
conseguenza  il  maiale  al  pascolo  ridusse  sempre  piu'  la   sua
importanza, ma trovo' una  nuova  opportunita':  il  siero  di  latte
derivato dalla produzione dei formaggi,  soprattutto  nelle  zone  di
produzione  del  Formaggio  Grana  (Parmigiano,  Parmigiano-Reggiano,
Grana Padano) e di altri formaggi, come nelle Venezie. La rivoluzione
agraria, se ridusse e fece scomparire gran parte  degli  animali  che
sfruttavano l'incolto,  non  influi'  sul  maiale,  che  anzi  se  ne
avvantaggio', come risulta ad esempio dalle opere di Tanara (1965)  e
di Laudi (1969). 
    La evoluzione della alimentazione del maiale padano alla fine del
XIX secolo si associo' alla modifica delle popolazioni suine, con  la
introduzione  delle  «razze  bianche»  inglesi,  di  buona  taglia  e
particolarmente vocate alla  produzione  di  grasso.  Caratteristiche
queste che influirono positivamente sulla taglia  del  prosciutto  da
stagionare. 
    Nonostante i cambiamenti avvenuti  nella  alimentazione  e  nelle
popolazioni  di  maiali  allevati,  rimasero  assolutamente  costanti
alcune  caratteristiche  indispensabili  per  la  produzione  di   un
prosciutto crudo (stagionato) di tipo padano: 
      accrescimento corporeo «lento» e quindi macellazione di  maiali
«maturi» e non con carni «giovani»; 
      peso «elevato» dell'animale,  ma  soprattutto  della  coscia  e
buona copertura di grasso sottocutaneo anche a livello della coscia. 
    La salagione delle carni di maiale ed in  particolare  dei  tagli
piu' pregiati, come le cosce e quindi il prosciutto, e' sempre  stata
presente nella Pianura Padana fino ai giorni nostri. 
    Una tecnologia di conservazione fondamentalmente unitaria  e  che
ha avuto una differenziazione territoriale importante  secondo  anche
alcune fondamentali caratteristiche climatiche ambientali  e  che  ha
portato ad una certa distinzione tra allevamento e  stagionatura  dei
prosciutti. 
Allevamento dei maiali 
    In  tutta  la  Padania  l'allevamento  del   maiale   ha   sempre
prevalentemente  interessato  la  parte  pianeggiante  e   collinare.
Inizialmente perche' coperta da querceti che fornivano le ghiande con
cui  il  maiale,   onnivoro,   veniva   prevalentemente   ingrassato.
Successivamente l'allevamento e l'ingrasso si basarono con i prodotti
derivati  dall'allevamento  di  bovini  (siero  di  latte)  ed  altri
vegetali, come il grano turco (mais). L'allevamento e' quindi  sempre
stato prevalentemente di pianura od al massimo di collina. 
Stagionatura dei prosciutti 
    La salatura delle carni e' possibile in  qualsiasi  ambiente  che
abbia talune caratteristiche di temperatura ed umidita'. Non  a  caso
la tradizione riservava la macellazione del maiale e  la  lavorazione
delle sue carni al periodo  dicembre-febbraio  e  gli  stessi  Autori
antichi sopra citati davano periodi di salagione  diversi  a  seconda
delle condizioni climatiche. Diversamente e' per quanto  concerne  la
successiva  «stagionatura»  che  necessita   di   un   ambiente   non
eccessivamente umido (vicino al  focolare,  ad  esempio).  In  questo
contesto di ambiente non eccessivamente umido si  comprende  come  la
stagionatura dei prosciutti di maiale nella Padania si sia sviluppata
nelle colline che circondano la  pianura:  verso  Sud  nelle  colline
parmensi  (anche  per   la   locale   disponibilita'   di   sale)   e
successivamente   modenesi,   verso   Nord   nelle   colline   venete
berico-euganee, e nella parte della  padania  delle  colline  di  San
Daniele. La stagionatura e' quindi una attivita' delle zone collinari
od immediatamente ai loro piedi, dove sia possibile  avere  un  clima
non eccessivamente umido,  soprattutto  durante  l'estate  successiva
alla macellazione del maiale. La stagionatura infatti deve permettere
di mantenere il prosciutto per almeno un anno. Vi era  un  detto  che
«per avere un prosciutto padano il maiale aveva  dovuto  passare  due
inverni ed il prosciutto  due  estati»:  un  maiale  «maturo»  ed  un
«prosciutto maturato». 
    Una chiara linea unisce quindi il  prosciutto  padano  dalle  sue
origini (probabili nel V secolo a.C; certe nel  II  secolo  a.C.)  ad
oggi con una precisa distinzione e caratterizzazione dei: 
      territori di allevamento: bassa pianura; 
      aree di stagionatura: pre-collinare e collinare; 
      tipologia  del  maiale:  «maturo»  e  con  sufficiente   grasso
sottocutaneo; 
      trattamento con limitata quantita' di sale (prosciutti «dolci»)
in conseguenza della «maturita' del maiale»; 
      assenza di altri trattamenti «conservativi» e  soprattutto  del
fumo; 
      possibilita'  di  una  lunga  stagionatura  (e  quindi  di  una
naturale, elevata aromatizzazione) in  conseguenza  della  «maturita'
del maiale», limitata quantita' di sale e caratteristiche  ambientali
di stagionatura. 
I prosciutti padani moderni  -  unico  modello  e  sue  «modulazioni»
  nell'area padana 
    La lunghissima storia dei Prosciutti Padani testimonia della loro
origine  comune,  strettamente  legata  alla  unita'   ambientale   e
culturale  della  Padania.  Le  particolari  caratteristiche  di   un
allevamento di pianura e di stagionatura  collinare  e  precollinare,
unitamente alle caratteristiche qualita' del maiale  che,  nonostante
le modificazioni di popolazioni e di alimentazioni,  hanno  mantenuta
intatta la «maturita'», il peso relativamente «elevato» e  una  certa
copertura  di  grasso  sottocutaneo.  Tutti  questi   elementi   sono
indispensabili per una «lunga stagionatura», ma ancor  piu'  per  una
ridotta quantita' di sale che condiziona una elevata  aromatizzazione
naturale del Prosciutto. 
    La  indubbia  «unicita'»  del  Prosciutto  Padano  non  ha  pero'
impedito che si siano potute avere delle «modulazioni», alcune  delle
quali ben definite e con una piu' o  meno  lunga  storia  (Prosciutto
Veneto  Berico-Euganeo,  Prosciutto  di  Parma,  Prosciutto  di   San
Daniele, Prosciutto di Modena). 
    Questa «modulazione» ha interessato diversi caratteri, ad esempio
la forma del prosciutto, ma soprattutto  la  entita'  e  la  qualita'
della sua «aromatizzazione naturale» derivata dai processi maturativi
endogeni, guidati da: 
      qualita' (maturita') dei maiali allevati; 
      ambiente di maturazione; 
      tecnologia di produzione. 
Il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo 
    Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo rientra nel «modello»  padano
di allevamento del maiale e della stagionatura del prosciutto crudo. 
    I reperti delle tante stazioni  preistoriche  che  costellano  il
Veneto, ma soprattutto le  colline  berico-euganee  e  tra  le  quali
proprio il castelliere di Montagnana, diedero  conto  della  presenza
del maiale gia' in quei lontani tempi. Gli storici  romani,  nel  III
secolo a.C, accennavano gia' alla presenza  di  maiali  nella  grande
foresta che da Lugo risaliva nel Veneto fino a  Venezia  (la  foresta
Litann), e alla fiorente esportazione di  carni  conservate  da  quei
luoghi verso i grandi mercati di Roma. 
    Nel Medio Evo gli enfiteuti e i coloni si fanno carico dei  primi
allevamenti comuni, e a mano a mano che  si  afferma  l'eta'  feudale
chiese, monasteri e  signori  impongono  decime  e  diritti  tra  cui
proprio il maiale o intero o  gia'  lavorato  rappresenta  una  delle
prestazioni  principali.  Nel  XII  secolo  alcuni  bassorilievi  del
protiro della chiesa  veronese  di  San  Zeno  raffigurano  scene  di
lavorazione  del  maiale,  e  cosi'  pure  se  ne  notano  di  simili
sull'archivolto del portale maggiore della  chiesa  di  San  Marco  a
Venezia. Infatti, complice pure il sale che veniva  dalle  saline  di
Venezia e Chioggia la carne di maiale veniva gia' da allora  lavorata
e trasformata. 
    I maiali veneti, analogamente a quelli padani,  in  tempi  a  noi
piu' vicini erano gia' addomesticati, come documenta la perdita di un
folto pelame ed il colore roseo della pelle. Infatti nel 1772 Antonio
Frizzi nel poemetto La salameide parlava di tre varieta'  di  maiali:
quella a setole bianche, la nera e l'altra di quel color ti piaccia -
che mentiscono le donne sulla faccia e cioe' il roseo. 
    Anche nel Veneto e nella zona di San Daniele,  come  recentemente
ricorda  Alberini  (1992)  un  tempo  l'allevamento  del  maiale  era
domestico, poi passo' all'industria casearia per la utilizzazione del
siero di latte,  con  l'aggiunta  di  sottoprodotti  della  industria
molitoria, in particolare di «grano turco» o mais e con la crusca  di
grano. 
    L'uso alimentare del maiale nelle Venezie  e  in  Friuli  e'  ben
radicato  e  di  antica  data,  come  tra  l'altro  indica   Gerolamo
Savonarola, medicinae professori celeberrimo nel suo Libreto di  tute
le cose che se manzano (circa 1450), nel  quale  si  citano  anche  i
«persuti». Il prosciutto e' anche citato nell'«Opera»  di  Bartolomeo
Scappi del 1570, in un ricettario veneziano del  Seicento  (Alberini,
1992). Nella Secchia Rapita di Alessandro Tassoni nel canto  VIII  e'
ricordato che uno dei comandanti di «quei di  Montagnana»  «i  titoli
vendea per un presciutto». 
    Questa millenaria storia non si ferma li'. Da tempo, le cosce non
sono piu' decima riservata ai signori:  e'  nata  la  borghesia,  non
necessariamente con terre nel contado, e  il  prosciutto  diventa  un
prodotto di mercato. Nascono le prime aziende artigiane e ci si batte
per fare un prosciutto che dia  risonanza  al  nome  del  produttore.
Sulle pareti di  tante  aziende  aderenti  all'odierno  Consorzio  si
possono ammirare gli splendidi risultati di quello sforzo.  Nel  1881
il Ministro Quintino Sella  firma  un  diploma  di  partecipazione  e
vittoria all'Esposizione Nazionale di Milano  di  quell'anno.  Quando
Torino, tre anni dopo, chiude  l'Esposizione  Generale  Italiana,  un
altro diploma prende la strada  del  Veneto.  Nel  1904,  un  diploma
verra' da piu' lontano, dal Crystal Palace di Londra. 
    Per  quanto  concerne  la  produzione   del   Prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo si ripete lo schema degli altri  prosciutti  padani  e
cioe' l'allevamento dei maiali nelle zone pianeggianti della  pianura
padana-veneta  e  la   stagionatura   dei   prosciutti   nella   zona
pedecollinare e collinare. 
    E' inoltre stabilito quanto segue: 
      l'allevamento del  maiale  e'  una  antica  tradizione  che  si
riallaccia a quella celtica-longobarda padana; 
      l'allevamento del maiale fin dal medioevo ha avuto l'attenzione
sia delle istituzioni pubbliche che dei privati; 
      l'allevamento del maiale nel Veneto  ha  interessato  tutto  il
territorio di pianura, sfruttando i querceti e le ghiande  da  questi
prodotti  (allevamento  semibrado).  Successivamente  vi   e'   stato
l'utilizzazione del siero di latte e quindi uno stretto  collegamento
tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la  produzione  dei
diversi formaggi veneti. Un  ulteriore  elemento  e'  derivato  dallo
sviluppo della maiscoltura (o «polenta»); 
      la salagione delle carni di maiale nel territorio ha una antica
tradizione anche per la disponibilita' delle vicine saline; 
      la produzione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo esclude  nel
modo  piu'  assoluto  l'uso  del  fumo  o   di   altri   procedimenti
conservativi, ad esclusione del sale e del controllo della umidita' e
temperatura ambientale; 
      la industrializzazione della produzione del  Prosciutto  Veneto
Berico- Euganeo e' passata attraverso una fase di artigianato che  ha
mantenuto le caratteristiche tradizionali del prodotto. 
Conclusioni 
    Sulla base delle notizie archeologiche,  storiche,  linguistiche,
delle  tradizioni  e  della  iconografia  esistente,  nonche'   delle
conoscenze  scientifiche  di  biologia,  allevamento  del  maiale   e
tecnologie di trasformazione degli  alimenti,  in  particolare  della
conservazione  delle  carni  tramite  la  salagione,   e'   possibile
riconoscere quanto segue. 
    Da un punto di vista sociale e culturale,  ma  soprattutto  delle
tecnologie di produzione sviluppale e conservate dalla tradizione, la
Padania  costituisce  una  «unita'»   anche   per   quanto   riguarda
l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione di  alcune  sue
parti di grande pregio, come la coscia  dalla  quale  si  origina  il
prosciutto. 
    La «unita'» padana ha dato  origine  ad  un  unico  «modello»  di
addomesticamento  e  allevamento  del  maiale  e  di  produzione   di
prosciutto   stagionato.   Questo   «modello»   nel   tempo   si   e'
successivamente differenziato dando origine  alle  «modulazioni»  che
oggi corrispondono al Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, Prosciutto di
San Daniele, Prosciutto di Parma e Prosciutto di Modena. 
    Pur avendo radici  comuni,  i  quattro  prosciutti  padani  sopra
indicati, in quanto «modulazioni» di un unico  «modello»,  hanno  una
loro individualita'. 
    Nella  Padania  ed  in  tempi  protostorici  vi  e'   stata   una
semidomesticazione del maiale, soprattutto in  ambito  della  cultura
celtica e successivamente longobarda. La  zona  di  Parma,  Modena  e
tutte le Venezie sono comprese nella vasta area di cultura longobarda
del maiale. 
    Nonostante  taluni  cambiamenti  avvenuti  nei   millenni   nella
alimentazione e nelle popolazioni di maiali  allevati,  sono  rimaste
assolutamente costanti alcune caratteristiche indispensabili  per  la
produzione di un prosciutto crudo (stagionato) di «modello padano»: 
      accrescimento corporeo «lento» e quindi macellazione di  maiali
«maturi» e non con carni «giovani»; 
      peso «elevato» dell'animale,  ma  soprattutto  della  coscia  e
buona copertura di grasso sottocutaneo anche a livello della coscia. 
    Una chiara linea unisce il prosciutto padano  dalle  sue  origine
(probabili del V secolo a.C; certe nel II secolo a.C) ad oggi con una
precisa distinzione e caratterizzazione dei: 
      territori di allevamento: bassa pianura e collina; 
      aree di stagionatura: pre-collinare e collinare; 
      tipologia  del  maiale:  «maturo»  e  con  sufficiente   grasso
sottocutaneo; 
      trattamento con limitata quantita' di sale (prosciutti «dolci»)
in conseguenza della «maturita' del maiale»; 
      assenza di altri trattamenti «conservativi» e  soprattutto  del
fumo; 
      possibilita'  di  una  lunga  stagionatura  (e  quindi  di  una
naturale, elevata aromatizzazione) in  conseguenza  della  «maturita'
del maiale», limitata quantita' di sale e caratteristiche  ambientali
di stagionatura. 
    Per le diverse «modulazioni» del «modello padano»  di  prosciutto
stagionato e' stato accertato quanto segue: 
    Prosciutto Veneto Berico-Euganeo: 
      l'allevamento   del   maiale   e'   una    antica    tradizione
veneto-friulana che si riallaccia a quella celtica-longobarda padana; 
      l'allevamento del maiale fin dal medioevo ha avuto l'attenzione
sia delle istituzioni pubbliche che dei privati; 
      l'allevamento del maiale nel Veneto  ha  interessato  tutto  il
territorio di pianura, sfruttando i querceti e le ghiande  da  questi
prodotti  (allevamento  semibrado).  Successivamente  vi   e'   stato
l'utilizzazione del siero di latte e quindi uno stretto  collegamento
tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la  produzione  dei
diversi formaggi. Un ulteriore elemento e'  derivato  dallo  sviluppo
della maiscoltura (o «polenta»); 
      la salagione delle carni di maiale nel territorio ha una antica
tradizione anche per la disponibilita' delle vicine saline; 
      la produzione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo esclude  nel
modo  piu'  assoluto  l'uso  del  fumo  o   di   altri   procedimenti
conservativi, ad esclusione del sale e del controllo della umidita' e
temperatura ambientale; 
      la industrializzazione della produzione del  Prosciutto  Veneto
Berico- Euganeo e' passata attraverso una fase di artigianato che  ha
mantenuto le caratteristiche tradizionali del prodotto. 
    D.7 
 
                 L'ALLEVAMENTO SUINO NEL NORD ITALIA 
                    E SUA EVOLUZIONE NELLA STORIA 
 
    Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari  scavi  si  deduce
che  l'allevamento  del  bestiame  suino,  bovino  ed  ovino  si   e'
sviluppato nel nord Italia nel periodo neolitico. 
    Inizialmente pero', come risulta dai reperti ossei  ritrovati  in
proporzione omogenea, il  bestiame  veniva  allevato  unicamente  per
soddisfare le necessita' della famiglia o del villaggio. 
    Solo in epoca etrusca viene  praticato  un  tipo  di  allevamento
stabile e specializzato, il cui obiettivo e' la produzione  di  carne
suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non  solo  a
soddisfare i fabbisogni locali ma anche alla esportazione. 
    Particolare menzione meritano, a tal  proposito,  gli  scavi  del
Forcello, un insediamento Etrusco (V°  sec.  a.C.)  posto  a  Sud  di
Mantova, sul terrazzo della  sponda  destra  del  Mincio,  non  molto
lontano da Andes, localita' che diede i natali a Virgilio. 
    In detta localita' furono  trovati  mi  numero  notevolissimo  di
reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il  60%
appartenenti alla specie suina,  segno  evidente  della  predilezione
degli etruschi per l'allevamento del maiale;  seguono  in  ordine  di
importanza gli ovini ed i bovini. 
    Dallo studio delle ossa si pote' dedurre che i maiali erano stati
macellati  in  eta'  adulta  a  due  o  tre  anni  ed   inoltre   che
proporzionalmente mancavano molti arti posteriori. 
    A tal proposito gli esperti  di  archeologia  che  studiarono  il
fenomeno cosi' si esprimono: «poiche' il campione studiato e' ampio e
rappresentativo, questo fatto non puo'  esser  casuale  ed  induce  a
ritenere che le cosce del maiale, dopo la salatura e/o  affumicatura,
venissero esportate»  (P.  Olivieri  del  Castillo  -  Il  suino  nel
Mantovano, cenni storici - 1990). 
    Gli  stessi  esperti  formularono  l'ipotesi  che  attraverso  il
Mediterraneo la carne suina salata  giungesse  insieme  al  grano  ai
mercati di Atene. Infatti - essi affermano  -  fonti  greche  antiche
decantano  la   varieta'   di   merci   straniere   provenienti   dal
Mediterraneo, fra esse le carni dall'Italia. 
La popolazione suina dell'Italia Centro Settentrionale 
    L'allevamento del maiale ha sempre  costituito  una  fra  i  piu'
importanti rami dell'industria zootecnica italiana. 
    Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati  presenti  in
Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe. 
    Nel 1926, secondo  il  Fotticchia,  i  capi  allevati  in  Italia
assommano a 2.750.000 di cui ben 1.400.000 in Italia settentrionale e
570.000 nell'Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio e Marche). 
    All'inizio del secolo, e fino alla  Prima  Guerra  Mondiale,  tre
sono i sistemi di allevamento tradizionalmente praticati: 
      l'allevamento familiare, un tempo il piu' diffuso  nella  valle
padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente  ben
curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ertivi. Tali capi
sono destinati all'autoconsumo ed  in  parte  al  rifornimento  delle
salumerie locali. Questo allevamento e' andato riducendo via  via  la
sua importanza con il diffondersi della specializzazione; 
      l'allevamento allo stato brado o semibrado era preminente lungo
l'Appennino ed i suoi contrafforti, nonche' sulle  Prealpi  lombarde,
venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed i boschi di quercia; 
      l'allevamento di tipo industriale primeggiava in  Lombardia  ed
in Emilia gia' nel secolo scorso, perche' collegato al caseificio per
lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero  e  latticello),
dell'industria molitoria (farinette, crusca  e  cruschello)  e  della
brillatura del riso (pula di riso). 
    Il 1872 puo' essere indicato come l'anno in cui  ebbe  inizio  in
Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell'anno, per iniziativa
del   Ministero   dell'agricoltura,   che   si   avvalse   dell'opera
dell'Istituto Sperimentale di  Zootecnia  di  Reggio  Emilia,  furono
importati dall'Inghilterra in alcune province della  Valle  Padana  i
primi riproduttori Yorkshire. 
Le razze indigene 
    Esistevano   in   Italia   molte   razze   indigene,   che,   con
l'introduzione della Yorkshire, a seguito dei ripetuti incroci  fatti
nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso,
maggiore precocita'  e  con  scheletro  piu'  ridotto,  finirono  per
perdere la loro importanza e la loro identita'. 
    Le  razze   piu'   diffusamente   allevate   in   Italia   centro
settentrionale ed ancora  presenti  agii  inizi  della  Prima  Guerra
Mondiale, divise per regioni, sono le seguenti: 
      Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour,  a  mantello
nero, orecchie pendenti, maschera  facciale  bianca,  allevata  sulla
riva destra del Po; la Garlasco che si  allevava  invece  sulla  riva
sinistra; razza un po' piu' ridotta con pelle e  setole  color  rosso
giallastro.  Le  caratteristiche  di  entrambe  le  razze  erano   la
robustezza, la precocita' e la buona attitudine al pascolo. 
      Lombardia: si allevava la  razza  Lombarda  dal  mantello  nero
rossiccio con varie  macchie  bianche,  di  grande  mole,  facile  da
ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg. 
      Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel  parmense
anche  nel  piacentino  ed  in  parte  a  Reggio  Emilia.  Essa   era
caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto
prolifica, alta, robusta, viveva al  pascolo  per  la  maggior  parte
dell'anno. 
      Altra razza emiliana che occupava  un'area  assai  piu'  estesa
della parmigiana (bolognese,  modenese  e  parte  del  reggiano,  del
mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore  della  precedente,
era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le  quali  traspariva  la
cute di color rosso violaceo. Le sue carni, come riferisce il  Marchi
nel suo testo del 1914 «hanno costituito la  fama  degli  zamponi  di
Modena, delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna». 
      Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa  in
tutta  la  Romagna  e  detta  appunto  razza  Romagnola.  Lo   Stanga
(Suinicultura pratica, 1922)  la  considerava  una  sottorazza  della
Bolognese.  Le  caratteristiche  che  contraddistinguevano  la  razza
Romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm al garrese), il
tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e  soprattutto  la
cosiddetta linea sparta, «costituita da  robustissime  irte  e  fitte
setole che trovansi lungo tutta la linea dorsale» (Ballardini). 
      Veneto: oltre alle razze lombarda e  la  romagnola  nel  Veneto
troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare,  sia
al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma  di  mediocre
fertilita', molto affine ai maiali stiriani e croati. 
      Toscana: terra ricca di boschi di leccio, quercia,  castagno  e
cerro che costituivano ambiente ideale per il pascolo dei  suini;  si
allevavano tre razze: la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di  esse
la piu' importante era la Cinta senese, maiale  lungo  ed  alto,  con
tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso
retratta. 
    Altre caratteristiche di detta razza riguardano  la  testa  molto
lunga, le orecchie piccole portate in avanti, il mantello color  nero
ardesia a setola sottile e folta, con fascia bianca che, partendo dal
garrese, scende alle spalle e  cinge  tutto  il  torace  estendendosi
anche agli arti anteriori. La cinta era prolifica e precoce. Il Dondi
ne fa una accurata descrizione e riferisce che «la carne e' ottima  e
molto saporita e  sono  noti  nel  commercio  i  prodotti  senesi  di
salumeria, in particolar  modo  salsicce,  mortadelle  e  prosciutti,
prodotti  in  notevole  quantita'  da  stabilimenti  locali  che   di
preferenza attingono la materia  prima  dalla  montagna  senese».  Il
Mascheroni (Zootecnia speciale, 1927) afferma che  «questa  razza  e'
allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la  cattiva
stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile. 
    L'alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui
produzione in ghianda  e'  variabilissima,  integrata  con  beveroni,
farina di castagne, granoturco e crusche». 
      Umbria: la  popolazione  suina  umbra,  genericamente  chiamata
Perugina variava parecchio dal monte al piano. 
    In montagna prevalevano i suini «da  macchia»  a  manto  scuro  e
setole abbondanti, con testa lunga e orecchie  pendenti;  maiali  nel
complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi
erano poi i suini perugini di collina e di pianura, molto simili alla
razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta  statura,
da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso
lombare convessa accompagnata  da  groppa  spiovente  e  da  cosce  e
natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con  setole
poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani. 
    In  collina  ed  in  pianura,  dove  esistevano  zone   boschive,
l'allevamento  era  semibrado;  se  mancava  il  pascolo  in   genere
prevaleva l'allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni,
riservando all'ingrasso solo qualche capo. 
Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna 
    La  sostituzione  delle  popolazioni  suine  locali   con   razze
selezionate piu' produttive,  iniziata  gia'  alla  fine  del  secolo
scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto  lenta  e  graduale.
Cio', non tanto per  le  difficolta'  proprie  del  settore  primario
nell'acquisire ed introdurre le novita' emergenti, ma  per  il  fatto
che pure molto lenta e graduale e' stata l'evoluzione dei sistemi  di
allevamento. 
    Finche' brado e semibrado hanno rappresentato per molte regioni i
sistemi piu' comuni e piu' economici per  l'ingrasso  del  maiale  la
rusticita', la resistenza, l'attitudine al pascolo e piu' in generale
la  capacita'  di  procurarsi  cibo  hanno  rappresentato  condizioni
prioritarie ed irrinunciabili;  detti  caratteri  sono  propri  delle
razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale. 
    Nel periodo intercorrente tra le due  guerre  mondiali,  anche  a
seguito  della  notevole  espansione   nella   Valle   Padana   degli
allevamenti da latte, andarono via via  aumentando  le  richieste  di
lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici. 
    Gli ingrassatori rivolgevano le  loro  preferenze  ai  maiali  di
grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di elevata  capacita'
di utilizzare il siero, i cruscanti e le farine; caratteristiche  che
si riscontravano nei prodotti di incrocio delle razze locali  con  il
verro Yorkshire-Large White. 
    Contemporaneamente, poiche' a causa del disboscamento era  andato
scomparendo il sistema brado e semibrado per l'ingrasso  dei  maiali,
in  Emilia  Romagna,  in  Toscana  ed  in  Umbria  si  era  affermato
l'allevamento delle scrofe per la produzione di  suinetti,  ricercati
dagli ingrassatori della valle padana. 
    Questa   suddivisione   di   compiti    tra    regioni    diverse
nell'allevamento del suino  favori  ed  accelero'  il  processo  gia'
iniziato di incrociare le popolazioni suine,  e  tra  esse  in  primo
luogo la Romagnola, la Cinta senese, la  Perugina,  e  la  Cappuccia,
razze rustiche e di buona taglia, con verri della piu' precoce e piu'
selezionata razza Large White. 
    Vi e' da osservare a questo punto  che,  nonostante  l'affermarsi
degli allevamenti industriali, permane  e  si  accentua,  proprio  in
questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali  fino  al  peso  di
160-180 Kg ed oltre. 
    Il motivo va ricercato nel fatto  che  la  produzione  del  suino
pesante  trova  concordi  sia  i  suinicoltori  che   gli   operatori
industriali. 
    L'industria richiedeva, come richiede tuttora,  carcasse  pesanti
per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati
e stagionati, primi  fra  tutti  i  prosciutti,  quelle  insuperabili
caratteristiche organolettiche che hanno reso  famosa  nel  mondo  la
salumeria italiana. 
    I caseifici  dell'Emilia  e  della  bassa  Lombardia,  in  grande
maggioranza  orientati  alla  produzione   del   formaggio   «grana»,
iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo
svezzamento dei vitelli, e chiudevano  a  fine  novembre,  quando  le
vacche andavano in asciutta. 
    I suini, allevati per il consumo  del  siero  e  del  latticello,
venivano percio' acquistati verso il mese di marzo al peso  di  35-45
Kg (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del  caseificio,  durante
l'inverno, nel periodo piu' adatto per la  lavorazione  delle  carni,
considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante  i  9-10
mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva  il  peso  di
160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva  le  esigenze  del
mercato e quelle del caseificio. 
    Un solo  ciclo  annuale  consentiva,  d'altra  parte,  di  meglio
ammortizzare il costo della rimonta nonche' di contenere  le  perdite
per malattie e per mortalita', molto piu' frequenti  nel  periodo  di
ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema  riguarda
l'alto consumo di alimenti necessari, nell'ultima fase dell'ingrasso,
per produrre un Kg di incremento. Pero' bisogna tener  presente  che,
in detta fase, piu' di un terzo del valore nutritivo della dieta  era
fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza. 
    La produzione di incroci utilizzando verri Large White  e  scrofe
di razze locali continuo' per alcuni anni anche dopo l'ultima  guerra
mondiale. Pero', gia' da tempo, le razze  autoctone,  a  seguito  dei
ripetuti  incroci,  al  fine  di  ottenere  animali  piu'  adatti  al
caseificio, finirono, come  sopra  accennato,  per  perdere  la  loro
importanza fino a scomparire del tutto, per essere sostituite da  una
popolazione avente le caratteristiche proprie del Large White. 
    Soggetti «filmati» (Large  White  x  Romagnola)  provenienti  dal
mercato di Cesena e soggetti  «grigi»  o  «tramacchiati»  provenienti
dalla Toscana (Large White x Cinta) erano ancora presenti in  qualche
porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi  degli  anni  '50,  pero'
gia' allora si preferivano soggetti a mantello  completamente  bianco
perche' considerati meno carichi di grasso. 
    Cambiavano le abitudini alimentari; si riduceva  il  consumo  dei
grassi ed aumentava quello  delle  carni;  il  mercato  si  orientava
sempre piu' verso soggetti con predominanza di tagli magri. 
    Per adattare la produzione a questi nuovi orientamenti si ricorse
in un primo momento alla importazione dalla  Svezia  di  riproduttori
Landrace,  particolarmente  magri  e   dotati   di   prosciutti   ben
sviluppati, da usare per coprire scrofe del tipo Large  White.  Ma  i
prodotti di questo incrocio, ingrassati nelle porcilaie del Nord, non
diedero i risultati sperati. Il Landrace svedese era  dotato  di  una
mole e di uno scheletro troppo ridotto per produrre il suino  pesante
richiesto dal mercato. 
    Risultati decisamente piu' favorevoli si ottennero da  successive
importazioni di Landrace olandese di grande taglia. 
    In questo stesso periodo, in conseguenza delle piu'  approfondite
conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo  dell'industria
mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti  specializzati
suini non collegati ai caseifici, in quanto il siero  non  costituiva
piu'  un  elemento  indispensabile  alla  integrazione  della   dieta
alimentare. 
    A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina  subisce
in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento. 
    Contro una  consistenza  media,  nel  quinquennio  1951-1955,  di
3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unita'. 
    Nella sola Provincia di Mantova, sempre nello stesso  periodo,  i
suini aumentano da 160.000 a 400.000. 
    Incrementa la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si
estende l'ingrasso suino; pero' all'aumento dei capi concorrono  pure
gli allevamenti specializzati, per lo piu' senza terra, non collegati
ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da  attivita'
extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto  che
all'ingrasso. 
    Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, e con
l'aiuto dei centri di  controllo  genetico  istituiti  dal  Ministero
dell'agricoltura (1960), si diede inizio ad  un  serio  programma  di
selezione delle razze Large White e Landrace. 
    Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicultura  avendo
sempre come traguardo la produzione di un suino pesante,  dotato  dei
requisiti richiesti dall'industria di trasformazione  in  continua  e
rapida espansione. 
    Dal 1960  al  1970  furono  molte  ed  importanti  le  tecnologie
innovative  introdotte  negli  allevamenti,  specie  in   quelli   da
riproduzione, che ne risultarono del tutto rivoluzionati. 
    Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da  poche
unita',  condizione  irrinunciabile  per  combattere  le   pericolose
malattie  neonatali,  si  passo',  nel  giro  di  pochi  anni,   alla
concentrazione di centinaia di fattrici  in  allevamenti  industriali
completamente automatizzati. 
    Dette innovazioni, che consentirono  la  produzione  di  suinetti
anche negli allevamenti intensivi della Valle  Padana,  causarono  la
rottura degli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni del
Nord,  prevalentemente  dediti  all'ingrasso  e  quelle  del  centro,
specializzate nella riproduzione. 
    Mentre nel Nord la suinicoltura trovo' motivo  per  un  ulteriore
rafforzamento ed espansione, Romagna, Toscana ed Umbria in particolar
modo,  furono  costrette  dai  nuovi  indirizzi   ad   una   completa
ristrutturazione dell'intero settore suinicolo. 
    La  consistenza  della  popolazione  suina  italiana  passa   dai
4.800.000 capi nei 1962 ai 9.014.600  del  1981,  con  un  incremento
medio annuo del 4,4%. 
    Negli anni immediatamente successivi e piu' precisamente fino  al
1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un
ritmo di crescita molto piu' modesto rispetto al decenni  precedente.
Pero',  anche  a  seguito  delle   difficolta'   sopra   evidenziate,
l'espansione risulta ancora meno accentuata nelle regioni del  centro
Italia. 
    Secondo i dati ISTAT il patrimonio suinicolo  italiano  nel  1970
era localizzato per il 56% al Nord, per il 26,3% al centro e  per  il
17,7% al Sud. 
    Nel 1985 la percentuale di suini censiti saliva  al  72,2%  nelle
regioni settentrionali,  mentre  in  quelle  centrali  e  meridionali
regrediva rispettivamente al 16,9% ed al 10,9%. 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda E 
 
                 METODO DI OTTENIMENTO DEL PRODOTTO 
 
    E.1 
    I metodi di ottenimento del prosciutto Veneto Berico-Euganeo sono
contemplati dalla normativa vigente in materia e dal Testo unico. 
    Sono confermate le metodologie e le  prescrizioni  relative  alla
materia prima, gia' illustrate  nelle  schede  B  e  C  del  presente
disciplinare. 
    Il procedimento per la  lavorazione  delle  cosce  suine  fresche
corrispondenti alle prescrizioni ed ai requisiti  gia'  indicati  nel
presente disciplinare prevede le seguenti fasi: 
      1) isolamento; 
      2) raffreddamento; 
      3) rifilatura; 
      4) salagione; 
      5) semipressatura; 
      6) riposo; 
      7) lavatura; 
      8) asciugatura; 
      9) stagionatura. 
    E.1.1 
    Isolamento: il maiale deve essere sano, riposato e a  digiuno  da
almeno 15 ore. Solamente in presenza di queste condizioni  il  maiale
puo' essere macellato, procedendo  in  seguito  all'isolamento  della
coscia dalla mezzena. 
    E. 1.2 
    Raffreddamento: la coscia suina fresca viene portata in  apposite
celle di raffreddamento per un periodo di 24 ore al fine  di  portare
la temperatura della stessa a 0° C, e perche' il  freddo  rassodi  la
carne che puo' cosi' essere piu' facilmente rifilata. Durante la fase
di raffreddamento la coscia suina subisce un  calo  di  peso  pari  a
circa l'1%. 
    E. 1.3 
    Rifilatura: attraverso la rifilatura, asportando parti di grasso,
di frazione muscolare e di cotenna,  si  conferisce  alla  coscia  la
caratteristica forma. La rifilatura consente di correggere  eventuali
imperfezioni del taglio, di agevolare il  verificarsi  di  condizioni
ottimali per la successiva azione di  penetrazione  del  sale,  e  di
identificare eventuali condizioni tecniche  pregiudizievoli  ai  fini
della successiva  lavorazione.  Durante  questa  lavorazione  vengono
scartate le cosce che presentano ogni  minima  imperfezione.  Con  la
rifilatura la coscia perde grasso e muscolo per circa il 24% del  suo
peso. 
    Sigillo di omologazione: prima delle operazioni di salagione,  il
produttore verificata la corrispondenza della singola  coscia  fresca
ai requisiti prescritti dal Disciplinare,  deve  apporre  il  sigillo
metallico costituito nelle forme seguenti: 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    Il sigillo e' di forma esagonale e reca la scritta «C.VENETO», il
mese  (in  cifre  romane)  e  l'anno  (in  cifre  arabe)  di   inizio
lavorazione. 
    Il sigillo e' elemento indispensabile per il computo del  periodo
minimo di stagionatura e, inoltre, equivale alla data  di  produzione
ai sensi delle  vigenti  leggi  nazionali  in  materia  di  vigilanza
sanitaria delle carni. 
    Il sigillo e' conformato in modo che una volta applicato  da  una
idonea sigillatrice, risulta inamovibile. 
    E. 1.4 
    Salagione: le cosce rifilate vengono sottoposte  alla  salagione;
e' molto importante che questa operazione sia effettuata su cosce con
temperatura  giusta  e  uniforme.  Preliminarmente  le   cosce   sono
massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre  la
carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni,
il perfetto dissanguamento. Le cosce vengono quindi cosparse di  sale
in modo che ne venga coperta la superficie esposta del lato  interno.
Per questa operazione viene  utilizzato  esclusivamente  sale  marino
essendo  assolutamente   proibito   l'uso   di   sostanze   chimiche,
conservanti o altri  additivi;  e'  altresi'  vietato  il  ricorso  a
procedimenti  di  affumicatura.  Successivamente  le  cosce,  riposte
orizzontalmente su un piano, vengono collocate in  una  cella  idonea
mantenuta ad una temperatura variabile tra 1°  e  4°  C,  e  con  una
umidita' di circa 75-95%. La  tecnica  di  salagione  del  prosciutto
Veneto Berico-Euganeo e' tipica e  rispecchia  gli  usi  e  i  metodi
tradizionali: essa infatti si basa sul rapporto  tra  il  peso  della
coscia fresca e la durata del periodo in cui la stessa riposa  «sotto
sale», periodo corrispondente a circa un giorno per ogni  chilogrammo
del suo peso. Verso  la  meta'  del  periodo  indicato  si  opera  il
ripasso, operazione consistente nell'asportazione  del  sale  rimasto
sulla superficie esterna  della  coscia  che  viene  rimassaggiata  e
ricoperta con ulteriore sale secondo  le  modalita'  gia'  descritte.
Riposta in cella la coscia salata completa il  restante  periodo  del
processo alle medesime condizioni di temperature e umidita'. 
    E. 1.5 
    Semipressatura:  questa  operazione,  effettuata   sulla   coscia
estratta dalla cella, consiste nell'esercitare una pressione uniforme
sulla massa muscolare che  finira'  per  assumere  la  caratteristica
forma  semischiacciata.  La  spinta  necessaria  viene  impressa  con
supporti meccanici, ad esempio con una massaggiatrice spremivena. Gli
scopi della semipressatura sono  molteplici:  mediante  la  pressione
esercitata si favorisce un ulteriore spurgo  della  vena  femorale  e
delle sue derivazioni venose; si agevola un assestamento della  parte
grassa rispetto alla sua distribuzione attorno alla  parte  magra  il
che permette, tra l'altro, una  migliore,  approfondita  ed  omogenea
penetrazione del sale. 
    E.1.6 
    Riposo: ultimata la salatura  e  operata  la  semipressatura,  le
cosce salate vengono poste in una cella  di  riposo  per  un  periodo
variabile tra i 75 e i 100 giorni, con un'umidita' compresa tra il 70
e l'80% ad una temperatura compresa tra i 2° e  i  6°  C.  Nel  corso
della fase di riposo prosegue il processo di disidratazione  iniziato
con il trattamento con il sale e le basse temperature. 
    Il sale assorbito penetra con  graduale  omogeneita'  all'interno
della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme. 
    E.1.7 
    Lavatura: ultimato il riposo la coscia viene  sottoposta  ad  una
lavatura della superficie esterna operata con getti d'acqua miscelati
con aria, ad una temperatura di circa 40° C. Questa operazione, oltre
ad avere un generale effetto rivitalizzante,  rimuove  le  formazioni
superficiali  ammorbidite  precedentemente  e  tonifica   i   tessuti
esterni. 
    E.1.8 
    Asciugatura: completato il lavaggio, le cosce vengono  trasferite
nelle celle di asciugamento dove si procede ad un rinvenimento  delle
carni mediante  ricircolo  interno  dell'aria,  e  in  condizioni  di
umidita' di nuovo elevata (90% circa) e temperature variabili  tra  i
15° e i 24° C. I valori sono variabili in funzione delle tecniche del
successivo trattamento, la stagionatura. Il tempo impiegato in questa
fase e' mediamente di 7 giorni. 
    E.1.9 
    Stagionatura: in questa fase si possono considerare  tre  diversi
aspetti:    la    prestagionatura,     la     stuccatura     e     la
puntatura-stagionatura. 
    Prestagionatura: in questa fase i  prosciutti  vengono  collocati
per un  periodo  di  circa  35-40  giorni  in  appositi  saloni  dove
proseguono il processo di rinvenimento-acclimatamento delle  carni  a
temperature che passano  dai  12°C  ai  14°C  iniziali  ai  14°C-19°C
finali, in condizioni di umidita' in progressiva riduzione. 
    Stuccatura:  per  stuccatura  (o   «sugnatura»)   s'intende   una
operazione che comporta la distribuzione sulla superficie aperta  del
piatto della coscia, e  su  eventuali  screpolature,  di  un  impasto
composto da sugna o strutto finemente tritato, sale, pepe,  farina  e
amidi di cereali, applicato finemente ed  uniformemente  mediante  un
massaggio manuale. Tale impasto  svolge  esclusivamente  funzioni  di
protezione dagli agenti esterni e di ammorbidimento della  superficie
esterna esposta, senza compromettere  la  prosecuzione  del  processo
osmotico tra la massa muscolare  e  l'ambiente  esterno.  Per  questo
motivo  tale  impasto  non  e'  considerato   ingrediente   ai   fini
dell'etichettatura (art. 21, comma 3, Testo unico). 
    Puntatura-Stagionatura;  in  questa  fase  i  prosciutti  vengono
trasferiti  in  appositi  saloni  di  stagionatura,  locali  in   cui
l'andamento  delle  condizioni  climatiche  e'  di   norma   regolato
dall'apertura  delle  numerose  finestrature,  disposte  in  funzione
trasversale rispetto alla  disposizione  dei  prosciutti,  e  dipende
dalle condizioni atmosferiche esterne; solo  quando  tali  condizioni
siano irregolari od anomale rispetto al normale andamento stagionale,
e' ammesso  l'uso  di  impianti  di  climatizzazione,  che  impiegano
comunque l'aria  esterna.  In  questi  locali  i  prosciutti  sostano
mediamente otto mesi;  la  durata  e'  comunque  sempre  in  funzione
variabile alla pezzatura della partita, fermi restando  ovviamente  i
tempi minimi stabiliti dal Testo unico. 
    In questa fase si procede, anche piu'  volte,  alla  «puntatura»,
operazione eseguita con un ago di osso di  cavallo  che  per  la  sua
porosita' ha la proprieta'  di  trattenere  e  trasferire  gli  aromi
rilevati all'interno della massa muscolare che sonda con  una  rapida
introduzione in vari punti; tutto cio' viene  eseguito  da  personale
specializzato e dotato di particolari caratteristiche olfattive. 
    Nel corso della stagionatura nelle carni si verificano importanti
processi biochimici ed  enzimatici  che  completano  il  processo  di
conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni,  determinando  le
proprieta'   organolettiche   caratteristiche,   grazie   all'apporto
dell'ambiente naturale esterno. 
    Durante la stagionatura e dopo  la  sua  ultimazione  e'  vietata
qualsiasi  ripetizione  delle   fasi   di   lavorazioni   precedenti,
eccettuata la stuccatura e un eventuale lavaggio finale. Rimangono in
vigore   i   divieti   dell'aggiunta   di   qualsiasi   sostanza    e
dell'affumicatura del prodotto. 
    Trascorso  almeno  il  periodo  minimo  di  stagionatura  -  che,
ricordiamo, e' di 10 mesi per i prosciutti di peso finale tra i  7  e
gli 8,5 chilogrammi e di 12 mesi per i prosciutti di  peso  eccedente
gli 8,5 chilogrammi - vengono  effettuati  appositi  accertamenti  da
parte  degli  ispettori  dell'organismo  abilitato  che   autorizzano
l'apposizione del contrassegno, di cui  al  punto  B.1  del  presente
disciplinare,   che    contraddistingue    il    prosciutto    Veneto
Berico-Euganeo. 
    Il contrassegno di conformita' persiste sul prosciutto  disossato
e sui tranci da esso ottenuti. 
    I prosciutti recanti il contrassegno di conformita' destinati  al
successivo affettamento e pre-confezionamento  devono  presentare  le
seguenti caratteristiche: 
      stagionatura non inferiore a 14 mesi; 
      umidita' percentuale pari od inferiore al 64%; 
      conservazione dei requisiti  richiesti  per  l'apposizione  del
contrassegno e quindi assenza delle cause di non conformita' di  tipo
tecnologico, qualitativo ed igienico sanitario. 
    Sulle derivanti confezioni il contrassegno  e'  apposto  in  modo
indelebile ed inamovibile sulla  confezione,  sotto  la  sorveglianza
dell'organismo di controllo. 
    Commercializzazione. 
    Porzionamento,  affettamento  e  condizionamento:  il  Prosciutto
Veneto Berico-Euganeo, oltre che intero, puo' essere commercializzato
anche disossato e, come tale, anche confezionato in tranci di forma e
peso variabili; in questo caso il contrassegno di conformita' di  cui
alla scheda H, dovra' essere apposto in modo visibile su ogni singolo
pezzo. 
    Il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo  puo'  essere  venduto  anche
affettato, in questo caso  il  contrassegno  viene  apposto  in  modo
indelebile ed inamovibile sulla confezione. 
    Le operazioni di porzionamento,  affettamento  e  condizionamento
del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo sono  assoggettate  a  controllo
per: 
      assicurare l'impiego di prodotto  gia'  certificato  per  l'uso
della DOP e, in tal modo, confermare i corrispondenti elementi  della
rintracciabilita' e della prova dell'origine secondo le  prescrizioni
del Disciplinare; 
      verificare la  persistenza  dei  requisiti  tecnico-qualitativi
prescritti dal Disciplinare, l'assenza di eventuali pregiudizi ed  il
riscontro delle condizioni di stagionatura e di aW; 
      attestare  il  confezionamento  con  l'uso  di  vesti  grafiche
conformi  alla  disciplina  in   vigore   e   rispondenti   a   tutte
indistintamente le prescrizioni per l'uso della DOP; 
      accertare l'esecuzione  di  attivita'  di  confezionamento  con
l'uso della DOP di prodotto affettato in quantita' corrispondente  al
prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  effettivamente   disponibile   ed
appositamente identificato per tale impiego. 
    I prosciutti interi da disossare  sono  avviati  alla  successiva
elaborazione  unitamente  ad  apposito  certificato  rilasciato   dal
produttore  con  idonea  quantificazione   e   la   descrizione   dei
corrispondenti elementi anagrafico-identificativi in applicazione del
piano di controllo della DOP e, in particolare, di: 
      a) data di inizio della lavorazione (data del sigillo); 
      b) numero e peso; 
      c) codice del produttore. 
    Il soggetto che opera  l'attivita'  di  disosso,  affettamento  e
pre-confezionamento ai fini della DOP e' tenuto a rendere disponibile
la documentazione utile  alla  verifica  della  conformita'  e  della
congruita' delle operazioni svolte,  secondo  le  istruzioni  emanate
dall'Organismo  di  controllo,   inoltre   deve   notificare   sempre
all'Organismo di controllo la propria  condizione  di  confezionatore
per consentire verifiche e sopralluoghi, sostenendone i costi. 
    E.2 
    Gli  stabilimenti  (prosciuttifici)  che  intendono  produrre  il
prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  devono   essere   preventivamente
riconosciuti dall'organismo  abilitato  e,  a  tal  fine,  presentano
apposita domanda dal quale risultino: 
      a)  l'iscrizione   alla   Camera   di   commercio,   industria,
agricoltura e artigianato competente per territorio; 
      b) la denominazione e la sede della ditta; 
      c) la sede dello stabilimento  nonche'  la  relativa  capacita'
produttiva,  con  gli  estremi   dell'autorizzazione   sanitaria   in
conformita' alle norme vigenti in materia. 
    L'organismo  abilitato  all'atto  del   riconoscimento   provvede
all'attribuzione di un numero di identificazione del produttore; tale
numero figura sul contrassegno di cui all'art. 2 del Testo unico. 
    Sono a carico delle aziende interessate tutte le  spese  derivate
dagli adempimenti previsti dal presente  punto  e  le  spese  per  le
perizie   a   tal   fine   richieste   dall'organismo   abilitato   o
dall'interessato. 
    Per essere considerati  idonei  alla  produzione  del  prosciutto
Veneto Berico-Euganeo, gli stabilimenti  devono  essere  in  possesso
delle  autorizzazioni  igienico-sanitarie  prescritte   dalle   norme
vigenti e devono essere muniti di: 
      a) locale per il ricevimento  ed  il  primo  trattamento  delle
cosce suine; 
      b) celle dotate di apparecchiature o sistemi idonei a mantenere
l'umidita'  e  la  temperatura  ai  livelli  prescritti  dalle  leggi
vigenti, per le fasi di salagione e riposo; 
      c) altri locali indipendenti per le operazioni di stagionatura. 
    I locali  di  stagionatura  devono  essere  muniti  di  superfici
finestrate tali da consentire una opportuna ventilazione  naturale  e
un adeguato ricambio dell'aria. Tali locali possono essere muniti  di
attrezzature  idonee  a  mantenere  il   giusto   equilibrio   e   le
caratteristiche termo-igrometriche, proprie dell'ambiente della  zona
geografica indicata al punto C.1. 
    E.3 
    Salvo che nei primi sei mesi della lavorazione, e' consentito  il
trasferimento  delle  cosce   munite   del   sigillo   presso   altro
stabilimento  abilitato  alla  produzione   del   prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo. 
    Da  parte  dell'interessato  deve  essere  presentata  preventiva
richiesta scritta all'organismo abilitato, che prescrive le modalita'
da osservare, esercita  i  necessari  controlli  e  puo'  opporsi  al
trasferimento con motivato provvedimento scritto. 
    Il trasferimento e' consentito, in deroga a quanto suddetto,  ove
sussistano provate motivazioni di forza maggiore tali da pregiudicare
la lavorazione dei prosciutti o determinare la loro perdita o il loro
deperimento; si applicano in tal caso le procedure sopra descritte. 
    E.4 
    Ogni singolo stabilimento riconosciuto deve  tenere  un  apposito
registro, suddiviso in fogli mensili; le registrazioni devono  essere
effettuate nella parte mensile del registro corrispondente al mese ed
all'anno indicati nel sigillo di cui alla scheda H. 
    Su tale  registro  vengono  annotate  le  scritture  relative  al
prodotto  lavorato   con   le   procedure   previste   dal   presente
disciplinare, nella forma prescritta dall'art. 18, comma 2, del Testo
unico,  nonche',  in  apposita   sezione   le   eventuali   decisioni
dell'organismo abilitato. 
    Il produttore e' tenuto ad  osservare  le  prescrizioni  disposte
dall'art.  51  del   Testo   unico   per   la   conservazione   delle
certificazioni, dei documenti rilasciatigli dall'organismo  abilitato
e dei registri, nonche' per la relativa compilazione e tenuta. 
    Il  produttore  e'  inoltre  tenuto  ad   osservare   particolari
prescrizioni, relative alle procedure di  controllo  ed  ai  relativi
esiti. 
    E.5 
    Tutti  gli   aspetti   relativi   ai   requisiti   necessari   al
confezionamento del prosciutto Veneto Berico-Euganeo affettato ed  ai
conseguenti  controlli  dell'organismo   abilitato,   sono   regolati
dall'art. 29 all'art. 32 compresi del Testo unico e  dalle  direttive
tecniche emanate dall'organismo abilitato e notificate  all'Autorita'
nazionale di controllo. 
    E.6 
    Tutte  le  procedure  di  cui  alla  presente   scheda   E   sono
assoggettate  ai  controlli   esercitati   dall'organismo   abilitato
previsto dal Testo unico, che li espleta con  le  modalita'  indicate
nella successiva scheda G. 
    Il veterinario ufficiale, competente per territorio e  incaricato
della  vigilanza  sanitaria,  mette  a  disposizione   dell'organismo
abilitato, su  richiesta  dello  stesso,  tutti  gli  atti  d'ufficio
ritenuti  necessari  al  controllo  del  regolare  svolgimento  delle
operazioni e degli adempimenti previsti dal presente disciplinare. 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda F 
 
      ELEMENTI COMPROVANTI IL LEGAME CON L'AMBIENTE GEOGRAFICO 
 
    F.1 
    L'inquadramento generale della materia  trattata  nella  presente
scheda non puo' prescindere dalle considerazioni generali argomentate
nelle schede D e C. e soprattutto di quanto trattato  nei  precedenti
punti D.6 e D.7 qui richiamati integralmente  ai  fini  del  presente
disciplinare.  L'excursus  storico  descritto  nei   suddetti   punti
dimostra  ampiamente  ed  inequivocabilmente  quanto  sia  stretto  e
profondo il legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del
prodotto con  le  rispettive  aree  di  riferimento,  geograficamente
delimitate, il legame che nel corso dei secoli si  e'  venuto  sempre
piu' a rinsaldare attraverso l'evolversi dei fattori  socio-economici
e produttivi sommati all'esperienza umana. 
    A riguardo dell'area ben delimitata di  approvvigionamento  della
materia prima  esistono  fattori  geo-ambientali  e  un  bagaglio  di
esperienza produttiva  nell'allevamento  caratteristici  e  costanti,
come diffusamente trattato nel punto: 
      D.7.  -  Per  quanto  concerne  la  piu'  ristretta   zona   di
trasformazione, di cui all'art. 4 del  Testo  unico,  si  rimanda  al
punto F.2. 
    F.2 
    In questo punto procederemo ad un approfondimento del legame  con
l'ambiente geografico propriamente riferito all'area delimitata nelle
forme indicate al precedente punto C.1, relativamente  alla  zona  di
produzione cosi' come individuata dall'art. 4 del Testo unico. 
    F.2.1 
    Tale area,  che  presenta  condizioni  ambientali  particolari  e
precise,    e'    geograficamente     individuata     nella     parte
centro-meridionale della Regione Veneto,  comprende  i  territori  di
quindici comuni con una superficie interessata di soli Km/q 355,63 ed
e' posizionata nella zona pedecollinare dei monti Berici e dei  colli
Euganei. Tale zona dista sia dalle Prealpi Venete  sia  dal  lago  di
Garda alcune decine di chilometri, e in linea d'aria  solo  45  -  50
chilometri dal mare Adriatico,  e  piu'  precisamente  dal  golfo  di
Venezia. 
    F.2.2 
    Nell'area tipica di produzione sono comprese distinte zone: 
      a) la zona  subalpina  veneta  e'  costituita  da  dei  rilievi
collinari, che da una parte si incastrano  nella  zona  prealpina  e,
dall'altra, si allungano verso la pianura, arrivando a comprendere  i
monti Berici e i colli  Euganei.  Questa  fascia  e'  molto  larga  e
interessa territori diversi sia per morfologia che  per  costituzione
geologica. Come detto  della  zona  subalpina  fanno  parte  i  monti
Berici, comprendenti una serie di alture uniformi e per lo  piu'  con
dolci pendii, e i colli Euganei, gruppo che si  eleva  isolato  nella
pianura caratterizzato da rilievi a forma di cono  spesso  di  grande
regolarita'; 
      b) la zona di transazione tra  la  montagna  e  la  pianura  e'
interessata da un considerevole processo di sedimentazione  da  parte
dei corsi d'acqua con la  conseguente  formazione  di  vaste  conoidi
alluvionali; 
      c)  la  pianura  invece  ci  offre  una  notevole  varieta'  di
struttura e di aspetto, costituita da una immensa coltre di materiali
alluvionali depositatisi, colmandolo, sull'ampio golfo dell'Adriatico
nell'era quaternaria: la pianura a sua volta puo' essere distinta  in
alta e bassa pianura, questo per il diverso comportamento delle acque
dei fiumi che depositano  dapprima  i  materiali  piu'  grossolani  e
sciolti  (ciotoli  e  ghiaia),  creando  quindi  terreni  di   natura
permeabilissima, e poi, verso le foci, quelli piu' minuti  (arenarie,
sabbie, argille) dando luogo a terreni meno permeabili. 
    F.2.3 
    Il clima della zona varia da sub-mediterraneo  a  sub-montano,  a
seconda dell'altimetria, ed e' fortemente influenzato  dall'andamento
dei venti che determinano una particolare e caratteristica aerazione.
La  provenienza  di  tali  venti  e'  prevalentemente  dai  quadranti
settentrionali ed orientali per quanto riguarda  la  pianura,  mentre
nelle zone collinari arriva dal nord il «fohn», un  vento  caldo  che
invade la pianura facendo sentire il suo effetto, seppure  attenuato,
fino quasi a Venezia. Molto importanti sono pure le brezze, venti che
provengono dal  mare  durante  il  giorno  e  che  si  spingono,  per
l'assenza dei  rilievi,  molto  all'interno  della  pianura,  fino  a
raggiungere la zona subalpina. 
    F.2.4 
    Alla luce di quanto fin qui descritto, si  puo'  dedurre  che  la
zona di produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo si avvale  di
un microclima costante e caratteristico, effettivamente  limitato  al
contesto geografico considerato, che ha  come  risultato  una  vivace
ventilazione   permanente    che,    unita    alle    caratteristiche
geo-morfologiche del terreno, assicura un ambiente scarsamente umido,
produce  elementi   caratteristici   derivati   dai   profumi   della
vegetazione collinare (come ad esempio l'olivo), e determina i tipici
aromi del prodotto. 
    Questi requisiti ambientali  hanno  anche  storicamente  influito
sulla caratterizzazione del prodotto e sulla  conseguente  formazione
della denominazione; cio' e' riconducibile alle linee di  valutazione
fenomenologica descritte ai punti D.6 e D.7. 
    F.3 
    Tutto cio' porta alla consapevolezza, al di la' di  ogni  dubbio,
che  le  condizioni  ambientali  di  questa   zona   ristretta   sono
fondamentali  per  la  tipologia  produttiva  del  prosciutto  Veneto
Berico-Euganeo. Anche nel  gia'  citato  Testo  unico  si  e'  voluto
sancire  specifiche  norme  per  la  salvaguardia  dell'ambiente   in
questione,  riconoscendone  una   sorta   di   funzione   strumentale
essenziale ai fini della denominazione di origine. 
    Citiamo qui di seguito testualmente l'art. 62 del Testo unico: 
      «1.  Ai  fini  della  salvaguardia  delle  condizioni   proprie
dell'ambiente di  produzione  da  cui  dipendono  le  caratteristiche
organolettiche e merceologiche del prosciutto Veneto  Berico-Euganeo,
a  far  tempo  dall'entrata  in  vigore  del  presente  Testo  unico,
l'insediamento nell'ambito della zona tipica di  cui  all'art.  4  di
industrie insalubri di prima classe, cosi' come individuate  a  norma
dell'art. 216 del testo unico delle  leggi  sanitarie  approvato  con
regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e di ogni altra attivita'  che
pregiudichi un equilibrato mantenimento delle  condizioni  ambientali
e' subordinato al preventivo favorevole parere del comitato regionale
per l'inquinamento atmosferico competente per territorio. 
      2. In ogni caso, la salvaguardia  delle  condizioni  ambientali
della zona  tipica  di  produzione,  con  particolare  riguardo  alla
qualita' dell'aria, e' demandata alle regioni  competenti,  nei  modi
previsti dall'art. 4, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente
della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203.». 
    E'  intuibile  che  l'adozione  di   cosi'   severe   misure   di
salvaguardia  (per  «azienda  insalubre  di  primo  grado»  la  norma
nazionale citata considera  praticamente  quasi  tutte  le  attivita'
manufatturiere e perfino le stalle per bovini), e' giustificata  solo
da una radicata e condivisa consapevolezza di necessita' obiettive. 
    Vogliamo anche ricordare in questo contesto che la stessa Regione
Veneto considera la zona dei monti Serici e dei colli  Euganei  «Aree
di particolare interesse naturalistico» (vedasi allegato n.  9/F).  A
conferma di cio' e' stata emanata la legge regionale 10 ottobre 1989,
n. 38, che istituisce il «Parco Regionale dei Colli Euganei». 
    F.4 
    Esiste un altro elemento, non certo meno importante, che comprova
il legame esistente tra  materia  prima  e  zona  geografica.  Se  e'
infatti vero che la caratterizzazione produttiva di natura zootecnica
e' strettamente funzionale ai requisiti del prodotto a  denominazione
di origine, tanto da assumere tratti distintivi esclusivi e peculiari
con riferimento all'area geografica, deve essere altrettanto vero che
il riconoscimento di questa peculiarita', che definisce il legame  di
cui si discute, interviene a conferma di quanto fin qui sostenuto. 
    L'elemento distintivo che collega il  territorio,  la  produzione
agricola e la trasformazione del prodotto a denominazione di  origine
«prosciutto Veneto Berico-Euganeo» e' senza dubbio sintetizzabile nel
concetto di «suino pesante», come gia' specificato  ai  punti  D.6  e
D.7.  nel  Testo  unico  e   sostanzialmente   anche   nel   presente
disciplinare.   Questo   particolare   indirizzo   produttivo   della
suinicultura delle aree delimitate e la definizione di suino pesante,
e'  stato  riconosciuto  formalmente  dalla  CEE  per   mezzo   della
legislazione per la classificazione commerciale delle carcasse suine:
si tratta  del  regolamento  (CEE)  n.  3220  del  13  novembre  1984
(allegato  n.  10/F),  che  costituisce  l'ultimo  aggiornamento   in
materia. 
    Questo regolamento, in vigore  dal  1°  gennaio  1989,  introduce
metodi di misura oggettivi per la valutazione  della  percentuale  di
carne magra contenuta nelle carcasse, suddividendole in cinque classi
commerciali con le lettere della sigla RUROP e la  possibilita',  per
ogni Paese, di introdurre mia classe speciale denominata «S». 
    Vogliamo  ricordare  che  in  sede  di  applicazione  del  citato
Regolamento, solo all'Italia e' stata riconosciuta  la  presenza  sul
territorio di due popolazioni suine:  «suino  leggero»,  macellato  a
pesi conformi le medie europee; «suino pesante», macellato a pesi  di
150-160 chilogrammi, le cui carni sono destinate alla trasformazione.
Questo ha portato ad una Decisione della Commissione del 21  dicembre
1988 (allegato n. 10/F) che autorizza la distinzione  delle  carcasse
in «leggere» (peso morto < a 120 chilogrammi) e «pesanti» (peso morto
> a 120 chilogrammi), a cui si applicano due formule diverse  per  la
valutazione commerciale. Anche  sul  piano  nazionale  il  competente
dicastero ha elaborato un piano di attuazione per l'art. 3, comma  4,
del citato regolamento (CEE) n. 3222/84, che focalizza i  criteri  di
valutazione della qualita' della carne che possono essere associati a
quelli della qualita' del magro. 
    Se si  considera  lo  sdoppiamento  della  popolazione  suinicola
nazionale,  accolto  in  sede  comunitaria,  come  un  riconoscimento
dell'esistenza   di   diverse   caratteristiche   che,   con   totale
sovrapposizione, si identificano con  quelle  previste  dal  presente
disciplinare, si arriva facilmente alla conclusione  che  vi  e'  una
identificazione della categoria «suino pesante» con quella  esistente
nell'area  delimitata  e  ad  essa  legata  da  precise   motivazioni
storiche, economiche e sociali. 
    Ne  consegue  che  il  riconoscimento  della  presenza   di   due
popolazioni  cosi'  profondamente  diverse  sullo  stesso  territorio
nazionale costituisce una formale  anticipazione  del  riconoscimento
del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici. 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda G 
 
                              CONTROLLI 
 
    G.1 
    Il controllo sulla conformita' del prodotto  al  Disciplinare  e'
svolto,  da  un  Organismo  di  controllo,  conformemente  a   quanto
stabilito dal titolo V, capo I, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012. 
    G.2 
    Richiamate e  confermate  tutte  le  operazioni  controllo  sulla
materia prima considerate alla scheda C  del  presente  disciplinare,
l'organismo abilitato, mediante i propri incaricati, attua un  regime
di controllo atto a garantire l'osservanza  degli  obblighi  posti  a
carico di tutti i soggetti ricompresi nel circuito  della  produzione
tutelata dalle norme e dai disciplinari vigenti, che si articola come
segue: 
    G.2.1 
    Durante le fasi della lavorazione, gli incaricati  dell'organismo
abilitato possono operare controlli ed ispezioni sia  per  effettuare
verifiche ed esami sulle carni,  sia  per  accertare  la  regolarita'
della tenuta dei registri e di ogni  altra  documentazione,  sia  per
constatare  che  le  modalita'  di  lavorazione  corrispondano   alle
prescrizioni del presente disciplinare e del Testo unico. 
    In caso di contestazione, ovvero in caso di accertamenti  il  cui
esito non sia  immediato,  gli  incaricati  dell'organismo  abilitato
provvedono ad una speciale identificazione del prodotto. 
    Il veterinario ufficiale  incaricato  della  vigilanza  sanitaria
mette a disposizione dell'organismo  abilitato,  su  richiesta  dello
stesso, tutti gli atti d'ufficio ritenuti necessari  per  controllare
il  regolare  svolgimento  delle  operazioni  e  l'osservanza   delle
prescrizioni previste dal presente disciplinare e dal Testo unico. 
    G.2.2 
    Per ogni operazione di introduzione di  cosce  fresche  destinate
alla preparazione del prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  presso  uno
stabilimento riconosciuto,  un  incaricato  dell'organismo  abilitato
verifica la  documentazione  sanitaria  di  accompagnamento,  nonche'
quella di cui all'art. 12, comma 4, ed accerta: 
      a) gli allevamenti ed il macello  di  provenienza,  l'eventuale
laboratorio di sezionamento e la data di spedizione allo stabilimento
di lavorazione; 
      b) il numero delle cosce fresche munite dei timbri di cui  agli
articoli 8 e 12 del Testo unico; 
      c) l'assenza di trattamenti diversi dalla refrigerazione. 
    Per ottenere l'apposizione del sigillo  sulle  cosce  fresche  il
produttore deve farne richiesta all'organismo abilitato che, mediante
i propri incaricati, controlla il corretto svolgimento  di  tutte  le
operazioni. 
    L'apposizione del sigillo e' effettuata a  cura  del  produttore,
comunque  prima  della  salagione,  in  modo  da  rimanere   visibile
permanentemente. 
    Il sigillo riporta l'indicazione del mese e dell'anno  di  inizio
della lavorazione; tale data equivale  alla  data  di  produzione  ai
sensi delle leggi vigenti in materia  di  vigilanza  sanitaria  sulle
carni. 
    L'incaricato dell'organismo  abilitato  vieta  l'apposizione  del
sigillo: 
      a) sulle cosce ritenute non idonee alla produzione tutelata; 
      b) sulle cosce non accompagnate dalla prescritta documentazione
o prive dei timbri di cui agli articoli 8 e 12 del Testo unico; 
      c) sulle cosce che risultino ricavate  da  suini  macellati  da
meno di 24 ore o da oltre 120 ore. 
    Qualora    circostanze    pregiudizievoli    vengano    accertate
successivamente, il sigillo eventualmente gia' apposto e'  rimosso  a
cura degli incaricati dell'organismo abilitato, che redigono apposito
verbale. 
    Il produttore puo' far inserire a verbale sue  eventuali  ragioni
di dissenso in merito  all'operato  degli  incaricati  dell'organismo
abilitato e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo  esame
tecnico, con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria
delle conserve alimentari di  Parma,  con  facolta'  di  nominare  un
proprio consulente. 
    G.2.3 
    Al termine delle operazioni di cui agli  articoli  19  e  41  del
Testo unico, viene redatto per ogni partita avviata  alla  produzione
tutelata apposito verbale contenente le seguenti indicazioni: 
      a) gli estremi del documento sanitario di accompagnamento; 
      b) la data della salagione; 
      c) il numero ed il peso complessivo delle cosce  fresche  sulle
quali e' stato apposto il sigillo; 
      d) il numero  ed  il  peso  complessivo  delle  cosce  ritenute
inidonee od oggetto di contestazione; 
      e) il numero ed il peso complessivo delle cosce sulle quali non
e' stato apposto  il  sigillo,  trattenute  presso  lo  stabilimento,
ovvero da rendere al macello conferitore, ovvero da avviare ad  altro
stabilimento. 
    L'operazione  di   apposizione   del   sigillo   deve   risultare
distintamente per ciascuna partita nell'apposito registro. 
    Il verbale e' redatto in duplice copia, di cui una e'  conservata
presso  lo  stabilimento  di  lavorazione  e  l'altra  dall'organismo
abilitato. 
    Il produttore puo' far inserire a verbale sue  eventuali  ragioni
di dissenso in merito  all'operato  degli  incaricati  dell'organismo
abilitato e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo  esame
tecnico, con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria
delle conserve alimentari di  Parma,  con  facolta'  di  nominare  un
proprio consulente. 
    Qualora, in esito al nuovo esame  effettuato,  le  cosce  oggetto
della contestazione risultino idonee  alla  produzione  tutelata,  la
data della relativa operazione e'  quella  del  giorno  dell'avvenuta
contestazione; le cosce oggetto di contestazione sono  custodite  con
le cautele necessarie  per  impedire  la  loro  manomissione,  previa
identificazione, a cura dell'organismo abilitato  che  le  affida  in
custodia al produttore presso lo stabilimento di lavorazione. 
    L'incaricato  dell'organismo  abilitato   puo'   procedere   alla
identificazione  delle  cosce  ritenute  non   idonee   e   che   non
costituiscano oggetto di contestazione, in tutti i  casi  in  cui  lo
ritenga necessario, mediante l'applicazione di specifici contrassegni
indicati a verbale. 
    G.2.4 
    Gli  incaricati   dell'organismo   abilitato   presenziano   alla
apposizione   del   contrassegno,   accertando   preliminarmente   la
sussistenza dei seguenti requisiti: 
      a) compimento dei periodo minimo  di  stagionatura  prescritto,
previo esame dei registri, della  documentazione  e  del  sigillo,  e
computando nel periodo stesso il mese nel quale e' stato  apposto  il
sigillo; 
      b) conformita' delle modalita' di lavorazione; 
      c) esistenza delle caratteristiche merceologiche prescritte dal
presente disciplinare e dal Testo unico; 
      d) rispetto dell'osservanza dei parametri analitici. 
    Gli incaricati procedono preliminarmente alla  spillatura  di  un
numero di prosciutti sufficiente per ricavarne un  giudizio  probante
di  qualita';  se  necessario,  possono  effettuare  l'ispezione  del
prodotto, mediante apertura di  prosciutti  fino  ad  un  massimo  di
cinque per mille o frazione  di  mille,  che  restano  a  carico  del
produttore. 
    Le caratteristiche organolettiche sono valutate nel loro  insieme
potendosi operare una compensazione solo per lievissime deficienze. 
    Il contrassegno e' apposto, anche in piu'  punti,  sulla  cotenna
del prosciutto in  modo  da  rimanere  visibile  fino  alla  completa
utilizzazione del prodotto. 
    L'organismo abilitato custodisce la matrice degli  strumenti  per
l'apposizione del contrassegno; gli strumenti devono recare  ciascuno
il  numero  di  identificazione  del  produttore,  e  sono   affidati
dall'organismo  abilitato   ai   propri   incaricati   in   occasione
dell'applicazione del contrassegno sui prosciutti,  che  puo'  essere
eseguita anche a cura del produttore. 
    Gli strumenti per l'applicazione del contrassegno possono  recare
anche  speciali  segni  di  identificazione  disposti  dall'organismo
abilitato in finizione delle procedure di controllo. 
    G.2.5 
    L'incaricato   dell'organismo   abilitato   compila,   per   ogni
operazione di apposizione del contrassegno, apposito verbale  da  cui
risultino: 
      a) il numero dei prosciutti presentati  per  l'apposizione  del
contrassegno; 
      b) la data dell'inizio della lavorazione; 
      c) i riferimenti per l'individuazione  del  prodotto  riportati
nell'apposito registro; 
      d) il numero complessivo dei prosciutti sui quali e' apposto il
contrassegno e la data delle relative operazioni; 
      e) il numero dei prosciutti ritenuti inidonei  alla  produzione
tutelata; 
      f)  il  numero  dei   prosciutti   eventualmente   oggetto   di
contestazione. 
    I prosciutti oggetto di  contestazione  sono  custoditi,  con  le
cautele  necessarie  e  con  l'apposizione  di  eventuali  segni   di
identificazione, per impedire la loro sostituzione e comunque la loro
manomissione, a  cura  dell'organismo  abilitato  che  li  affida  in
custodia al produttore. 
    Il produttore, al quale viene consegnata una copia  del  verbale,
puo' farvi inserire sue osservazioni e chiedere, entro il termine  di
tre giorni, un nuovo esame tecnico con  l'intervento  della  Stazione
sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma,  con
facolta' di nominare un proprio consulente. 
    I prosciutti non idonei alla produzione tutelata sono privati del
sigillo;  l'operazione  di  annullamento  e'  compiuta  a  cura   del
produttore, alla presenza dell'incaricato dell'organismo abilitato. 
    Le operazioni di apposizione del contrassegno o  di  annullamento
del sigillo devono essere trascritte nell'apposito  registro  di  cui
all'art. 18 del Testo unico. 
    G.2.6 
    Gli   incaricati   dell'organismo   abilitato   provvedono   alla
asportazione del  contrassegno  in  occasione  di  verifiche  da  cui
risulti che lo stesso e' apposto  su  prosciutti  non  idonei  o  non
conformi. 
    Delle operazioni eseguite e' redatto apposito verbale, dal  quale
risultano i dati identificativi dei prosciutti a cui e' stato rimosso
il contrassegno. 
    Il produttore, al quale viene consegnata una copia  del  verbale,
puo' farvi inserire sue osservazioni e chiedere, entro il termine  di
tre giorni, un nuovo esame tecnico con  l'intervento  della  Stazione
sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma,  con
facolta' di nominare un proprio consulente. 
    G.3 
    In conseguenza a quanto sopra descritto,  ai  fini  del  presente
disciplinare e della normativa vigente, per organismo  abilitato  e/o
per organismo di controllo si intende: 
      l'Istituto Nord Est Qualita' -  I.N.E.Q.,  Via  Rodeano,  71  -
33038  San  Daniele  del  Friuli  (Udine),  tel.:  0432/940349,  fax:
0432/943357, posta elettronica: info@ineq.it 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda H 
 
                ELEMENTI SPECIFICI DELL'ETICHETTATURA 
                    CONNESSI ALLA DICITURA DOP E 
                   DICITURE NAZIONALI EQUIVALENTI 
 
    H.1 
    Come gia' precedentemente  indicato  il  vigente  dispositivo  di
legge nazionale ed il Testo unico dispongono per il prosciutto Veneto
Berico-Euganeo  norme  particolari  per  la  identificazione   e   la
protezione giuridica del prodotto,  sia  nel  contesto  del  circuito
produttivo sia al momento  della  sua  preparazione  finale,  sia  al
momento della presentazione  nella  fase  commerciale,  con  elementi
diversi da quelli della semplice etichettatura. 
    Il  contrassegno  previsto  dal  Testo  unico  e   dal   presente
disciplinare e'  un  elemento  costitutivo  ed  identificativo  della
denominazione del prodotto; tale contrassegno viene apposto sotto  la
diretta sorveglianza e responsabilita'  dell'organismo  abilitato,  e
comprova la rispondenza del prodotto  alla  disciplina  giuridica  di
protezione. 
    Inoltre il  presente  disciplinare,  ed  anche  il  Testo  unico,
prevedono, prima dell'apposizione del contrassegno stesso, tutta  una
serie di timbri, segni e sigilli (non meno  di  tre  e  non  piu'  di
quattro), il  cui  riscontro  e'  funzionale  ed  indispensabile  per
attestare la rispondenza del prodotto, anche in corso di lavorazione,
ai requisiti ed agli adempimenti che sono obbligatori per  i  diversi
soggetti produttivi nel sistema di  filiera  che  forma  il  circuito
della produzione tutelata. La verifica di tali elementi e' funzionale
a consentire anche  una  immediata  riprova  della  autenticita'  del
contrassegno, vista la possibilita' che venga immesso al  consumo  un
prodotto dotato di un contrassegno contraffatto. 
    H.2 
    Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' identificato dal  seguente
contrassegno  di  conformita'  apposto  sulla  cotenna   in   maniera
permanente ai sensi dell'art. 2 del Testo unico. 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    Tale contrassegno raffigura il leone di San Marco sovrastante  la
parola «Veneto», approvato con decreto ministeriale 5 aprile  1991  e
derivato dal  primo  marchio  privato  consortile  del  1971.  Questo
contrassegno svolge la funzione di identificare il prodotto  tra  gli
altri prosciutti marchiati e garantisce che  il  prodotto  stesso  ha
subito tutti i passaggi produttivi  previsti.  Su  tale  contrassegno
figura anche una sigla, assegnata dall'organismo abilitato al momento
dell'abilitazione dell'azienda, che identifica il produttore. Solo la
presenza  del  contrassegno  assicura,  qualsiasi  sia  la  forma  di
presentazione del prodotto, la legittima qualificazione del  prodotto
come prosciutto Veneto Berico-Euganeo. La  riproduzione  grafica  del
contrassegno  e'  riservata  all'organismo   abilitato   come   segno
distintivo della propria attivita' e in ogni  iniziativa  volta  alla
valorizzazione del prodotto  tutelato;  l'organismo  abilitato  puo',
volta per  volta,  autorizzare  terzi  alla  produzione  grafica  del
simbolo, ponendo le condizioni e le limitazioni che ritiene opportune
e  predisponendo  i  controlli  del  caso:  ogni   riproduzione   non
autorizzata e' perseguibile penalmente e civilmente. 
    H.3 
    Per ottenere il contrassegno di cui  al  punto  H.1,  e  comunque
anche  dopo   la   relativa   apposizione,   il   prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo deve recare i seguenti timbri e/o sigilli: 
      timbro di cui al punto C.8.2 apposto dall'allevatore; 
      timbro di cui al  punto  C.8.4  apposto  dall'allevatore  nelle
circostanze consideratevi (se  questo  timbro  non  sussiste,  quello
esistente riporta lo stesso codice di identificazione dell'allevatore
prestampato sulla certificazione di cui al punto C.8.6); 
      timbro di cui al punto C.8.9 apposto dal macellatore; 
      sigillo apposto dal produttore prima della salagione di cui  al
punto H.4. 
    H.4 
    Prima della salagione e solo sulle cosce fresche  provenienti  da
macelli abilitati e muniti dei timbri gia' descritti,  viene  apposto
un sigillo (vedi scheda E 1.3). Tale sigillo e' stato  approvato  con
decreto ministeriale 5 aprile 1991, e' di forma esagonale e  reca  la
scritta «C.VENETO», il mese, in  cifre  romane,  e  ranno,  in  cifre
arabe, di inizio lavorazione. Tale sigillo, apposto  dal  produttore,
e' elemento indispensabile per  il  computo  del  periodo  minimo  di
stagionatura e, inoltre, equivale alla data di  produzione  ai  sensi
delle vigenti leggi nazionali in materia di vigilanza sanitaria delle
carni. 
    Il sigillo non puo'  essere  apposto  sulle  cosce  mancanti  dei
timbri dell'allevatore e del macellatore,  nonche'  non  accompagnate
dalla documentazione sanitaria e merceologica prescritta  e  che  non
rispondano  alle  caratteristiche  sostanziali  e  qualitative,   ivi
compreso il rispetto  delle  parametrazioni  oggettive  di  cui  alla
scheda B. 
    H.5 
    Le  regole   per   la   etichettatura   del   prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo  non  possono  prescindere,  ovviamente,  dal  decreto
legislativo della  Repubblica  italiana  27  gennaio  1992,  n.  109,
(attuazione  delle  direttive  CEE  concernenti  l'etichettatura,  la
presentazione  e  la  pubblicita'  dei  prodotti  alimentari).   Come
richiesto dal Testo unico e dal presente disciplinare  il  prosciutto
Veneto Berico-Euganeo reca le seguenti indicazioni obbligatorie: 
      a) L'etichetta del prosciutto Veneto Berico-Euganeo intero  con
osso  munito  del  contrassegno  di  conformita'  reca  le   seguenti
prescrizioni: 
        nel  campo  visivo  principale  deve   essere   indicata   la
denominazione  «Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo»   seguita   dalla
menzione «Denominazione di Origine Protetta»; 
        nel campo visivo principale devono essere indicati la ragione
sociale o/e il marchio aziendale depositato del  produttore  iscritto
all'Organismo di controllo; 
        deve essere indicata la sede del produttore. 
      b) L'etichetta del prosciutto Veneto Berico-Euganeo  disossato,
confezionato,  intero  o  in  tranci  munito  del   contrassegno   di
conformita' reca le seguenti prescrizioni: 
        nel  campo  visivo  principale  deve   essere   indicata   la
denominazione  «Prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo»   seguita   dalla
menzione «Denominazione di Origine Protetta»; 
        nel campo visivo principale devono essere indicati la ragione
sociale o/e il marchio aziendale depositato del  produttore  iscritto
all'Organismo di controllo; 
        deve essere indicata la sede del produttore; 
        la sede dello stabilimento di confezionamento e  la  data  di
produzione, qualora il sigillo di cui al  precedente  punto  H.3  non
risulti piu' visibile. 
    Nel caso di prodotto affettato e pre-confezionato, le  confezioni
(vaschette e/o gli  altri  involucri)  devono  essere  realizzate  in
materiale  trasparente  ed  essere  adatte  alla  conservazione   del
prodotto. Non si possono utilizzare confezioni composte da  materiali
che  possano,  anche  indirettamente,  alterare  le   caratteristiche
chimico-fisiche ed organolettiche del prodotto. 
    Le  etichette  delle   confezioni   devono   essere   posizionate
nell'angolo in alto a sinistra della  superficie  principale  (fronte
anteriore) della confezione e devono riprodurre le seguenti menzioni: 
      il contrassegno della DOP raffigurante il leone  di  San  Marco
sovrastante la parola «VENETO»; 
      il logo dell' Unione della DOP; 
      la denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo»; 
      la dicitura «Denominazione di Origine Protetta» ai sensi  della
legge n. 628/1981 e del regolamento (CE) n. 1107/96; 
      la dicitura «Certificato da Organismo di Controllo  autorizzato
dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali». 
    Ogni confezione di prodotto affettato deve riportare  all'interno
dell'etichetta tecnica e/o  dell'etichetta  commerciale  nella  parte
bassa a destra: 
      la denominazione sociale dell'azienda produttrice  (impresa  di
lavorazione) oppure del confezionatore che ha affettato il prodotto; 
      la   sede   dello   stabilimento   di   produzione    e/o    di
confezionamento; 
      nel caso di confezionamento o di commercializzazione  da  parte
di un produttore va indicato anche il relativo codice  identificativo
dell'effettivo produttore; 
      nel caso di confezionamento presso un  laboratorio  diverso  da
quello del produttore va  indicata  la  sede  dello  stabilimento  di
confezionamento. 
    Puo' essere riportato un solo nominativo tra i tre soggetti sopra
indicati (produttore,  produttore  che  commercializza  il  prodotto,
confezionatore e/o commercializzatore) con l'esclusione di  ulteriori
riferimenti ad altri soggetti. 
    Per codice identificativo si intende il numero di identificazione
attribuito dall'organismo di controllo all'impresa di lavorazione, al
momento della sua iscrizione negli elenchi di cui al punto C.8.1. 
    La ragione/denominazione sociale  dell'azienda  produttrice  puo'
eventualmente essere fatta precedere dalle  sole  diciture  «prodotto
da» ovvero «prodotto e confezionato  da»  (in  italiano  o  in  altra
lingua). Diversamente, il confezionatore che non  sia  anche  azienda
produttrice,  deve  sempre  indicare  il  codice  identificativo  del
produttore in abbinamento alla sede dello stabilimento di  produzione
e far precedere  l'indicazione  della  propria  ragione/denominazione
sociale dalla specifica «confezionato da» (in  italiano  o  in  altra
lingua). 
    H.6 
    Agli  effetti  del  presente  disciplinare,  valgono  inoltre  le
seguenti   regole   per   l'etichettatura   del   prosciutto   Veneto
Berico-Euganeo: 
      e' vietata l'utilizzazione di qualificativi  quali  «classico»,
«autentico», «extra», «super», e di altre qualificazioni, menzioni ed
attribuzioni abbinate alla denominazione di vendita, ad esclusione di
«disossato» e «affettato»; 
      negli imballaggi e nella presentazione del  prodotto  e'  fatto
divieto  di  utilizzo  di  menzioni  qualificanti  non  previste  nel
disciplinare di produzione, fatte salve le esigenze di adeguamento ad
altre prescrizioni di legge; 
      i divieti di cui al presente  punto  si  estendono  anche  alla
pubblicita' e alla promozione, in  qualsiasi  forma,  del  prosciutto
tutelato; 
      l'uso delle denominazioni  geografiche  riferentesi  ai  comuni
compresi  nella  zona  tipica  di  produzione  o   loro   variazioni,
deformazioni, derivazioni o abbreviazioni, e'  vietato  nella  ditta,
ragione o denominazione sociale o marchio  di  impresa,  a  meno  che
l'imprenditore  interessato  non  ne  dimostri  l'utilizzazione  (con
riferimento al prosciutto) da epoca anteriore alla data di entrata in
vigore della legge 4 novembre 1981, n. 628; 
      il contrassegno di cui al  punto  H.1  puo'  essere  riprodotto
sull'etichettatura del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, a condizione
che il  relativo  contesto  grafico  e  di  presentazione  sia  stato
preventivamente approvato dall'organismo  abilitato,  dietro  formale
richiesta degli interessati. 
 
                                 -- 
 
 
                                                             Scheda I 
 
                      CONDIZIONI DA RISPETTARE 
                 IN FORZA DI DISPOSIZIONI NAZIONALI 
                         E/O INTERNAZIONALI 
 
    I.1 
    La prima legge di tutela della Repubblica italiana emanata per la
protezione del prosciutto Veneto  Berico-Euganeo  risale,  come  gia'
ricordato, al 1981. 
    L'esperienza applicativa accumulata  in  questi  dodici  anni  ha
dettato l'esigenza di individuare i presupposti di un piu' funzionale
e completo assetto  legislativo,  che  cercasse  di  armonizzare  gli
orientamenti e le istanze della base  produttiva  con  gli  obiettivi
atti a garantire i diritti del consumatore e,  contemporaneamente,  i
contenuti economici e qualitativi caratteristici  di  una  produzione
tipica ben regolamentata. 
    A tale scopo si  e'  pervenuti  alla  definizione  di  un  quadro
normativo evolutivo, che tiene conto delle piu' moderne  esigenze  di
controllo, verifica e  conseguenti  sanzioni,  estendendole  a  nuovi
settori ove risultavano  indispensabili  o  piu'  funzionali,  e  che
meglio  precisasse  le  norme  che   investono   il   momento   della
commercializzazione. 
    Si e' giunti cosi' alla stesura del «Testo unico delle nonne  per
la tutela, la produzione  e  la  commercializzazione  del  prosciutto
Veneto Berico-Euganeo» (in questo  disciplinare  citato  come  «Testo
unico» ed in allegato n. 1/A), che aggiorna e  sviluppa  quanto  gia'
sancito dalla normativa in vigore ed introduce prescrizioni normative
severe, chiare e ben applicabili, che, in definitiva, inducono ad una
maggiore responsabilizzazione a tutti  gli  addetti  del  sistema  di
filiera, dagli allevatori ai  macellatori  ed  ai  produttori,  nello
spirito di salvaguardia delle qualita' tipiche, di valorizzazione dei
contenuti originali, di massima trasparenza del  mercato  e  di  piu'
efficace tutela del consumatore  finale,  nella  misura  in  cui  gli
stessi consumatori ed il mercato interno ed estero legittimamente  lo
pretendono,  in  riferimento  ad  una  denominazione  di  origine  di
indiscussi prestigio e qualita'. 
    I.2 
    Al riguardo di quanto sopra descritto al  punto  I.1  desideriamo
richiamare l'attenzione e confermare la validita' anche nei confronti
nel presente disciplinare delle norme sanzionatone previste dal «Capo
V - Sezione I  e  Sezione  II»  del  Testo  unico  e  delle  relative
modalita' di applicazione. 
    Sempre al riguardo ci sia permesso riportare integralmente l'art.
34 «Norme di garanzia»  del  Testo  unico,  in  quanto  assolutamente
specifico e caratteristico della tendenza  ad  individuare  tutte  le
categorie oggetto di divieto per il prodotto non tutelato che possano
creare confusione sul mercato e/o trarre in inganno il consumatore: 
      «1. E' vietato porre in vendita e comunque immettere al consumo
prosciutto non tutelato,  recante  sul  prodotto,  sulle  confezioni,
imballaggi, involucri, etichette  e  simili,  nonche'  sui  documenti
comunque riferentisi al  prodotto  medesimo,  indicazioni  idonee  ad
ingenerare confusione  con  il  prosciutto  Veneto  Berico-Euganeo  o
rivendicare le qualita' tipiche di esso. 
      2. E' comunque vietato per il prosciutto non tutelato: 
        a)   utilizzare   la   denominazione    "Prosciutto    Veneto
Berico-Euganeo"  o  "Prosciutto  Veneto"  nonche'   qualsiasi   altra
denominazione o indicazione facente riferimento al  nome  "Veneto"  o
"Veneto Berico-Euganeo" nonche' a  qualsiasi  altro  nome  di  comune
compreso nella zona tipica di cui al precedente art. 4; 
        b) utilizzare espressioni quali  "tipo  Veneto",  "stagionato
nel Veneto", anche se riferite ad altri  comuni  della  zona  tipica,
ovvero quali "stagionato nella zona tipica del Veneto Berico-Euganeo"
e "lavorazione alla veneta"; 
        c) utilizzare nella indicazione della ragione sociale e della
sede dell'impresa produttrice e dello stabilimento  di  produzione  i
nomi dei  comuni  della  zona  tipica  con  caratteri  di  dimensioni
superiori a 4 millimetri di altezza e a 3 millimetri di larghezza; 
        d) utilizzare segni grafici, timbri, sigilli e simili che per
ubicazione, colore, grandezza e tipo di caratteri possano  trarre  in
inganno gli acquirenti ed i consumatori con riferimento  al  prodotto
tutelato ed alle qualita' dello stesso. 
    3. I divieti di cui sopra si estendono,  in  quanto  compatibili,
alla  pubblicita'  ed  alla  promozione,  in  qualsiasi  forma,   del
prosciutto non tutelato. 
    4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 si applicano anche  ai
prosciutti le cui modalita' di produzione siano di  tipo  diverso  da
quelle del prosciutto tutelato,  quali  il  prosciutto  cotto  ed  il
prosciutto affumicato.». 
    I.3 
    Tutte le direttive tecniche ed applicative emanate dall'organismo
abilitato  a  seguito  di  quanto  sancito  dal  Testo  unico,  dalla
normativa vigente e dallo statuto consortile, vengono notificate  per
l'approvazione all'Autorita' Nazionale di controllo. 
    I costi dei controlli previsti  dal  presente  disciplinare  sono
sostenuti dai soggetti economici interessati,  nelle  forme  previste
dal Testo unico. 
    Valgono, in quanto applicabili, le norme sancite dall'art. 62 del
Testo unico, relative  alla  salvaguardia  delle  condizioni  proprie
dell'ambiente di produzione.