(Allegato)
                                                             Allegato 
 
Proposta di modifica unionale del disciplinare  di  produzione  della
  denominazione di origine controllata dei vini «Romagna». 
 
    1. Alla denominazione di origine controllata dei  vini  «Romagna»
e' stata aggiunta la categoria di prodotto Vino Spumante di  Qualita'
(VSQ - Categoria 5), pertanto all'articolo 1 «denominazione  e  vini»
del disciplinare di produzione della medesima DOC viene indicata, per
le tipologie Bianco Vino Spumante e Rosato Vino  Spumante,  anche  la
predetta categoria VSQ. 
    2. All'articolo 1 - denominazione e vini - il testo del comma 1: 
      «1.1. La denominazione  di  origine  controllata  "Romagna"  e'
riservata ai vini che  rispondono  alle  condizioni  e  ai  requisiti
stabiliti nel presente disciplinare di produzione,  per  le  seguenti
tipologie,   specificazioni   aggiuntive   o   menzioni   geografiche
aggiuntive: 
        Albana spumante dolce (categoria Vino Spumante); 
        Bianco spumante (categoria Vino Spumante) 
        Rosato spumante (categoria Vino Spumante) 
        Cagnina; 
        Pagadebit, anche nella versione frizzante; 
        Sangiovese, anche con la specificazione novello e riserva; 
        Sangiovese passito (categoria Vino); 
        Sangiovese superiore, anche con la specificazione riserva; 
        Trebbiano, anche nella versione frizzante e spumante."», 
    e' sostituito con il seguente testo : 
      «1.1. La denominazione  di  origine  controllata  "Romagna"  e'
riservata ai vini che  rispondono  alle  condizioni  e  ai  requisiti
stabiliti nel presente disciplinare di produzione,  per  le  seguenti
tipologie,   specificazioni   aggiuntive   o   menzioni   geografiche
aggiuntive: 
        - Albana spumante dolce (categoria Vino Spumante); 
        - Bianco spumante (categoria Vino Spumante, Vino Spumante  di
qualita') 
        - Rosato spumante (categoria Vino Spumante, Vino Spumante  di
qualita') 
        - Cagnina; 
        - Pagadebit, anche nella versione frizzante; 
        - Sangiovese, anche con la specificazione novello e riserva; 
        - Sangiovese passito (categoria Vino); 
        - Sangiovese superiore, anche con la specificazione riserva; 
        - Trebbiano, anche nella versione frizzante e spumante.». 
    3. Conseguentemente alla modifica di cui al punto 1, all'articolo
9 «Legame con l'ambiente geografico» del disciplinare  di  produzione
della denominazione di origine controllata «Romagna», sono inseriti i
riferimenti ai prodotti vitivinicoli ai  quali  viene  attribuita  la
predetta Categoria VSQ. 
      
    4. All'articolo 9 - Legame con l'ambiente  geografico-  il  testo
vigente, di seguito riportato: 
      «A) Informazioni sulla zona geografica 
      1) Fattori naturali rilevanti per il legame 
      Il  disciplinare  "Romagna"  DOC  tiene  conto  delle  aree  di
insediamento   storiche   e   tradizionali   della   viti-vinicoltura
romagnola,  esaltando  le   migliori   espressioni   dell'interazione
"vitigno/ambiente". L'areale di coltivazione di  Sangiovese,  Albana,
Trebbiano romagnolo, Bombino bianco e  Terrano  comprende  parte  dei
territori di  quattro  province  (Bologna,  Ravenna,  Forli-Cesena  e
Rimini), con particolare  riferimento  alla  collina,  e  si  possono
individuare due zone principali ben distinte: una pre-collinare,  che
si estende  dalle  falde  delle  ultime  formazioni  collinari  degli
Appennini fino alla via Emilia, comprendendo una  fascia  di  terreni
tendenzialmente piani appartenenti al Quaternario recente, e una zona
nettamente collinare ascrivibile all'era Terziaria. Il  periodo  piu'
attivo dell'emersione dei rilievi della Romagna e' infatti riferibile
a Miocene superiore, Pliocene e Postpliocene.  L'Appennino  romagnolo
ha un'origine geologica comune e si compone, in  linea  generale,  di
formazioni calcaree e argillose. La formazione geologica che, per  la
sua  estensione,  maggiormente  caratterizza   la   Romagna   e'   la
"Marnoso-arenacea", una fascia piu' o meno ampia  di  stratificazioni
successive e alternate di arenarie torbiditiche e marne.  Durante  il
periodo Messiniano, quando il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano
Atlantico,  si  depositarono  rocce  evaporitiche  (gesso,  anidrite,
salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella  "Vena  del  gesso".
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante  argillosa,  che
si  presentano  spesso  con  la  tipica  morfologia   a   "calanchi",
riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione  di  rocce  e'
abbastanza naturale che siano  derivati,  per  effetto  dell'erosione
naturale e dell'intervento dell'uomo, terreni piu' o  meno  calcarei,
argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni  di  dilavamento  ed
erosione chimica,  terreni  residuali  di  costituzione  diversa.  In
passato si distinguevano "terreni vergini o integrali", di formazione
recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre,  e
"terreni  residuali",  decalcificati,  ferrettizzati,  antichi.   Tra
questi due estremi si ponevano i "terreni parzialmente ferrettizzati"
(mezze savanelle)  e  le  "terre  rosse"  (savanelle),  completamente
decalcificate.  Recenti  studi  di  zonazione   hanno   permesso   di
approfondire la conoscenza dei suoli e valutare anche l'influenza  di
questi su alcuni dei vitigni principali. Partendo  dalla  SS  9,  via
Emilia, e risalendo verso monte, si  incontrano  dapprima  le  "terre
parzialmente decarbonatate della  pianura  pedemontana",  a  pendenza
molto debole (0,2-1%), che si sono formate in  sedimenti  fluviali  a
tessitura media. Sono suoli molto profondi, con buona  disponibilita'
di  ossigeno,  elevata  capacita'  di  acqua  disponibile   e   buona
fertilita'  naturale;  da  scarsamente   a   moderatamente   calcarei
nell'orizzonte lavorato e con contenuti in calcare  decisamente  piu'
elevati negli orizzonti profondi. A seguire si incontrano  le  "terre
scarsamente calcaree del margine appenninico",  costituite  da  suoli
formatisi in sedimenti argilloso-limosi deposti dai fiumi,  profondi,
a tessitura moderatamente fine  o  fine,  moderatamente  calcarei  in
superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono  essere
soggetti a ristagno idrico. Le "terre limose  dei  terrazzi  antichi"
sono estese  paleosuperfici,  pianeggianti  o  dolcemente  inclinate,
formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con  una  componente
superficiale talvolta di origine eolica. Sono terreni molto profondi,
a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente  poco
stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare  la
fertilita' fisico-idrologica necessitano di buoni apporti di sostanza
organica. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote  comprese
tra 130 e 380  m  slm,  si  trovano  le  "terre  calcaree  del  basso
Appennino, localmente  associate  a  calanchi",  suoli  che  si  sono
formati  in  rocce  prevalentemente  argillose   o   pelitiche,   con
intercalazioni sabbiose di  eta'  pliocenica,  e  si  presentano  con
profondita' variabile da  moderata  a  molto  profonda,  a  tessitura
media, da scarsamente a fortemente  calcarei.  Talora  sono  presenti
orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il
substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100  cm  di  profondita'.
Infine si arriva in prossimita'  della  formazione  Marnoso-arenacea,
che ha dato origine alle "terre  calcaree  del  basso  Appennino  con
versanti a franapoggio e reggipoggio". Le quote sono tipicamente  tra
110 e 430 m slm. Sono suoli moderatamente ripidi, da moderatamente  a
molto profondi, a tessitura media, calcarei e che possono  presentare
il substrato roccioso entro  i  100  cm  di  profondita'.  Nel  basso
Appennino  romagnolo,  l'unita'   geologica   maggiormente   diffusa,
dall'Imolese al Forlivese, e' la formazione  delle  argille  azzurre,
mentre passando al Cesenate tendono a prevalere  i  terreni  calcarei
riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea,  che  poi  tendono  a
diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in
modo particolare sulle "terre calcaree del basso Appennino riminese",
che comprendono suoli formati in rocce  prevalentemente  argillose  o
pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica (Formazione
delle argille  azzurre  e  formazione  delle  arenarie  di  Borello).
Un'area marginale delle viticoltura si trova sulle "terre  dei  Gessi
del basso Appennino riminese", con suoli che si sono formati in rocce
stratificate di marne gessose e tripolacee. Altra formazione degna di
menzione e' la "Vena dello Spungone" che caratterizza in  particolare
il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per  arrivare
fino a Bertinoro, una delle aree di elezione dell'Albana. Per  quanto
riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie  termiche
intorno ai 2000- 2200 gradi giorno (indice  di  Winkler),  si  arriva
intorno  al  1400-1600  gradi  giorno  delle  aree  piu'  alte  della
viticoltura. 
      
      2) Fattori umani rilevanti per il legame. 
      
      La vite  e  il  vino  hanno  sempre  giocato  ruoli  economici,
sociali, politici e ideologici fondamentali  nella  storia  di  molti
paesi e, come noto, la storia e' in  grado  di  modellare  persone  e
paesaggi. E cio' e' vero anche per la Romagna, un'area i cui  confini
geografici sono stati dibattuti per secoli senza mai arrivare ad  una
definizione unanime, ma che trova nel carattere della  sua  gente  un
filo conduttore comune. Lucio Gambi scrisse che la "romagnolita',  e'
in primo luogo uno stato d'animo, un'isola del sentimento, un modo di
vedere e di comportarsi" e forse e' proprio per questo che la Romagna
e' stata piu' spesso definita, non con limiti fisici o amministrativi
bensi' attraverso i comportamenti  umani,  come  quell'area  in  cui,
chiedendo da bere, viene spontaneamente offerto  vino  e  non  acqua.
Indubbiamente si  tratta  di  un  retaggio  legato  alla  particolare
situazione del passato, per cui le acque erano spesso non potabili  e
il vino svolgeva un'importante azione disinfettante. La storia  e  la
letteratura classica ci parlano spesso di una Romagna particolarmente
produttiva, senza negare, pero', produzioni di eccellenza: i vini  di
Cesena in epoca Romana e anche  successiva,  l'Albana  di  Bertinoro,
come pure la "rosseggiante" Cagnina senza dimenticare  il  Pagadebito
gentile. A seguire alcune informazioni sulla diffusione  e  l'impiego
dei principali vitigni tradizionali della  Romagna,  contemplati  dal
presente Disciplinare. Terrano.  La  dominazione  bizantina  potrebbe
essere stata il momento in cui il Refosco d'Istria o Terrano d'Istria
si e' diffuso in Romagna. Sta di fatto che, in tempi storici, ha dato
origine ad un vino molto apprezzato chiamato "Cagnina",  riconosciuto
a DOC con DPR 17-03-1988 (Cagnina  di  Romagna).  Riferisce  Giovanni
Manzoni che la  Cagnina  e'  un'uva  probabilmente  originaria  della
Jugoslavia, "tenuta in gran pregio sebbene anticamente fosse  piccola
di grappolo e di acini radi. Coltivata in Romagna gia'  nel  1200  in
alcune piane del Cesenate, del Forlivese  e  del  Ravennate,  fu  poi
limitata solamente a qualche modesto vigneto, come lo e' ancora oggi,
per la sua scarsa resa". Diversi gli scritti e i componimenti poetici
tra  Ottocento  e   Novecento   che   attestano   la   diffusione   e
l'apprezzamento della Cagnina in Romagna. Bombino bianco.  Localmente
detto Pagadebito gentile, da cui il  nome  del  vino.  L'origine  del
vitigno non e' nota, ma si tratta di varieta' diffusa lungo tutta  la
fascia adriatica della Penisola con nomi diversi nelle varie regioni,
ma  che  richiamano  spesso  la  sua  capacita'  produttiva.  Secondo
Hohnerlein-Buchinger l'etimo sarebbe da "produce tanto  da  pagare  i
debiti", in realta' la  produttivita',  specie  in  collina,  non  e'
elevatissima ma costante negli anni; infatti si  tratta  di  varieta'
rustica e con sottogemme fertili, tanto che  se  una  gelata  tardiva
puo' compromettere gravemente la produzione della maggior parte degli
altri vitigni, con il Pagadebito  e'  comunque  garantita  una  buona
produzione. Nell'area di Bertinoro un tempo si facevano vigneti misti
di Albana gentile e Pagadebiti proprio per compensare  una  eventuale
carenza produttiva del primo vitigno. La prima citazione  scritta  di
un "Pagadebito bianco" tra  le  viti  "de'  contorni  di  Rimino"  e'
dell'Acerbi e risale al 1825. Nell'ambito della mostra  ampelografica
tenutasi a Forli' nel 1876 si ebbe la possibilita' di confrontare tra
loro grappoli di  Pagadebito  provenienti  da  diversi  areali  e  si
convenne che "Il Pagadebito gentile di Forli',  di  Bertinoro,  e  di
Predappio si differenzia dal Pagadebito verdone per  gli  acini  piu'
sferici, meno grossi, meno verdi e piu' dolci". Storicamente e' stata
riconosciuta una particolare e pregevole tradizione  di  coltivazione
del Pagadebito nell'areale di Bertinoro, messa in evidenza anche  nel
Disciplinare  della  DOC  "Pagadebit  di  Romagna"  accolto  con  DPR
17-03-1988.  Sangiovese.  La  zona  di  diffusione   principale   del
Sangiovese si colloca tra Romagna e  Toscana  ed  e'  in  questi  due
territori che da tempi  storici  si  sono  venuti  a  delineare  vari
biotipi, ma  soprattutto  vini  differenti,  frutto  dell'interazione
specifica e peculiare di territori diversi con questo vitigno.  Nello
studio della storia di un vino si fa spesso  riferimento  ai  miti  e
alle religioni  dei  popoli,  ma  non  bisogna  trascurare  un  altro
elemento fondamentale, la "tipicita'", poiche' essa passa  attraverso
il territorio, la metodologia di produzione e il contesto temporale e
sociale. Per quanto riguarda  il  Sangiovese  la  prima  attestazione
scritta della sua coltivazione in territorio Toscano risale alla fine
del 1500 (Soderini), ma Cosimo Villifranchi nella seconda  meta'  del
Settecento parla di un "San Gioveto romano" coltivato in  particolare
nel Faentino. E' conservato all'Archivio di Stato  di  Faenza  l'atto
notarile del 1672 che cita in podere Fontanella di Pagnano, comune di
Casola Valsenio, "tre filari di  Sangiovese".  Per  alcuni  linguisti
assunse in Appennino tosco-romagnolo  il  nome  "Sangue  dei  gioghi"
cioe' dei monti, contratto in dialetto locale in  "sanzves".  Secondo
Beppe  Sangiorgi,  le  prime  citazioni  del  Sangiovese  in  Romagna
riguardano l'area faentina imolese. Tra Settecento e  Ottocento  sono
poi numerosi i poemi e ditirambi che lodano questo vino. Nel 1839, il
conte Gallesio giunse a Forli', da  Firenze,  percorrendo  la  strada
aperta dal granduca Pietro Leopoldo lungo il corso del fiume  Montone
ed ebbe modo di descrivere i vigneti  incontrati  nel  percorso:  "le
vigne ... sono tutte a ceppi bassi attaccati ad un picciolo palo come
in Francia, le uve che vi si coltivano sono per la maggior  parte  il
Sangiovese di  Romagna".  Nei  vecchi  testi,  quindi,  viene  spesso
identificato un Sangiovese coltivato in Romagna  con  caratteristiche
sue proprie che lo fanno distinguere da  quelli  coltivati  in  altre
aree, ma soprattutto va  rimarcato  come  fosse  diverso  l'approccio
enologico al vitigno rispetto alla Toscana: in Romagna si  vinificava
in purezza, mentre in Toscana si trattava piu' spesso di uvaggi (come
il  ben  noto  Chianti)  o  di  tagli  con  altri   vitigni.   Questa
caratteristica  e'  stata  contemplata  nel  Disciplinare   "Romagna"
Sangiovese: l'uso della menzione geografica aggiuntiva per i vini  di
Sangiovese e' subordinata all'utilizzo di almeno il 95%  di  uve  del
vitigno.  La  DOC  "Sangiovese  di  Romagna",  confluita  nella   DOC
"Romagna", fu istituita con DPR 09-07-1967.  Trebbiano  romagnolo.  I
"Trebbiani" sono una famiglia di  vitigni  molto  antichi  che  hanno
trovato alcune zone di elezione che gli hanno  tributato  la  seconda
parte del nome: Trebbiano romagnolo, piuttosto che toscano, modenese,
abruzzese, per citarne  alcuni.  Nel  Trecento  il  Trebbiano  veniva
annoverato tra i vini "di lusso" del medioevo, mentre in  tempi  piu'
recenti appare un'immagine  piu'  differenziata  del  Trebbiano,  che
viene considerato anche un vino di carattere semplice. Lo  citano  il
Soderini  nel  Cinquecento,  il  Trinci  Settecento  e  tra  la  fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento  diversi  autori  cercano  di
mettere ordine tra le diverse tipologie e sinonimie.  In  Romagna  si
coltivava in  prevalenza  il  Trebbiano  della  fiamma,  cosi'  detto
perche'  i  grappoli  esposti  al  sole  prendono   una   colorazione
giallo-rossastra. Nel Molon  (1906)  si  legge  che  il  vitigno  era
coltivato soprattutto nelle province di Forli' e  Ravenna,  meno  nel
Cesenate, dove prevaleva l'Albana e si riporta  quanto  affermato  da
Pasqualini e Pasqui in merito  all'apprezzamento  del  Trebbiano  nei
filari di  pianura,  nonostante  l'elevata  umidita'.  La  sua  vasta
diffusione e' dovuta alla capacita' di adattarsi  alle  piu'  diverse
tipologie  di  terreno  e  condizioni   climatiche,   alla   costante
produttivita' ed alle caratteristiche del vino: gradevole, corretto e
facilmente commerciabile. Con il DPR 31-08-1973  viene  istituita  la
DOC "Trebbiano di Romagna", che ricomprende un'area  di  coltivazione
che si estende dalla collina verso quelle  aree  di  pianura  dove  i
terreni sono  piu'  argillosi  o  argilloso-sabbiosi.  Vini  amabili,
frizzanti e spumanti. La presenza in Romagna di vitigni tipicamente a
maturazione medio-tardiva o tardiva  (Trebbiano,  Pagadebiti)  faceva
si'  che  il  sopraggiungere  del  freddo  invernale   bloccasse   la
fermentazione lasciando nei  vini  residui  zuccherini  piu'  o  meno
importanti. Da qui l'uso di bere vini dolci  o  amabili  nel  periodo
autunno-invernale e vini frizzanti e spumanti nell'estate  successiva
la vendemmia. Infatti i vini con residuo zuccherino, una volta  messi
in bottiglia, riprendevano a fermentare con l'arrivo dei primi caldi,
originando una frizzantatura naturale. Vi era quindi una  tradizione,
se  si  vuole  involontaria,  di  spumanti  e  frizzanti,   che   con
l'accrescersi delle  conoscenze  enologiche  e'  stata  perfezionata:
l'uso del freddo in cantina consente di preservare profumi e aromi  e
l'uso   di   lieviti   selezionati   consente   di   ottimizzare   le
fermentazioni. 
      B) Informazioni sulla  qualita'  o  sulle  caratteristiche  del
prodotto essenzialmente o  esclusivamente  attribuibili  all'ambiente
geografico I diversi tipi di suolo che si incontrano negli areali  di
coltivazione della DOC Romagna, dalle argille evolute  di  Predappio,
alle sabbie molasse del Messiniano tra il Faentino e il Forlivese, al
calcare di Bertinoro  o  ancora  alle  arenarie  e  alle  argille  di
Brisighella, non possono non influenzare le note sensoriali dei  vini
su di essi prodotti. In particolare, il Sangiovese in  purezza  tende
ad acquisire caratteri distintivi ben  percepibili  a  seconda  delle
aree di coltivazione delle uve e gia'  all'inizio  del  Novecento  il
dott. Savelli, sulla base delle numerose analisi chimiche  effettuate
nel suo laboratorio, aveva suddiviso i  vini  di  Sangiovese  in  tre
gruppi:  "uno  speciale  Sangiovese  in  alcune   localita'   dell'ex
circondario di Forli' (Predappio e Civitella); un tipo, molto  vicino
al  precedente  per  caratteri  chimici  ed  organolettici,  prodotto
nell'ex circondario di Cesena; un tipo, diverso dai  due  precedenti,
prodotto nell'ex circondario di Rimini". Le differenze (minore  grado
alcolico, minore estratto, maggiore acidita' ed  in  particolare  una
maggiore sapidita' del Sangiovese di Rimini) derivavano dal fatto che
nel  Riminese  l'uva  Sangiovese  veniva  vinificata  con  una  certa
quantita' di Trebbiano, tradizione che si e' ormai  persa,  anche  se
rimangono alcuni di questi tratti distintivi. Altra  nota  importante
per la coltivazione del Sangiovese e'  relativa  al  clima:  per  una
corretta maturazione occorre privilegiare altitudini  medio-basse  ed
esposizioni nei quadranti da sud a ovest, onde conseguire un perfetto
soddisfacimento delle sue esigenze termiche (1800-2000 gradi giorno).
Per rendere merito delle differenze tra i vini di Sangiovese ottenuti
in situazioni pedo-climatiche differenti,  per  quei  produttori  che
intendono massimizzare l'interazione vitigno/ambiente,  nel  rispetto
di una tradizione  tipicamente  romagnola  che  vuole  il  Sangiovese
vinificato  sostanzialmente  da  solo,  sono  state  identificate  le
"sottozone"  che  possono  fregiarsi  di  una   menzione   geografica
aggiuntiva  rispetto  a  "Romagna  DOC   Sangiovese".   L'interazione
"vitigno-ambiente-uomo", per il Sangiovese, verra' meglio specificata
al punto C). I vini ottenuti con la varieta' Terrano si presentano in
genere  abbastanza  freschi,  profumati  e  con  un   certo   residuo
zuccherino, come vuole la tradizione, anche se qualche viticoltore ha
cercato di potenziarne la struttura, come richiedeva il  mercato  del
2000. Anche per quanto riguarda i vini bianchi, la varieta' di  suoli
e di situazioni meso-climatiche riscontrabili  sul  territorio  della
Denominazione "Romagna", consentono di ottenere tipologie differenti:
da vini piu' freschi a prevalente componente floreale,  magari  anche
frizzanti o spumanti, a vini bianchi piu' strutturati, con sentori di
frutta matura e talora aromi terziari  derivati  dalla  vinificazione
e/o affinamento in legno. 
      C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui
alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B). A partire dagli anni
'70 il miglioramento della tecnica agronomica ed enologica  e'  stato
importante e la Romagna ha recepito bene  l'innovazione  del  settore
viti-vinicolo,  facendo  perno,  pero',  su  una   tradizione   ormai
consolidata.    Ne    sono    conseguiti    una     razionalizzazione
nell'allestimento e nella  gestione  degli  impianti  e  un  radicale
miglioramento delle strutture e delle tecniche enologiche in cantina.
Il risultato e' stato che anche nei vini della  tradizione  romagnola
si  e'  assistito  ad  un  importante   miglioramento   del   livello
qualitativo. Un altro cambiamento importante e' legato agli studi  di
zonazione viticola, che hanno contribuito ad una migliore definizione
degli ambienti pedo-climatici piu' idonei  per  i  vari  vitigni,  ma
soprattutto hanno  aumentato  la  sensibilita'  dei  viticoltori  nei
confronti della scelta varietale, portandoli a porsi in maniera  piu'
critica  di  fronte  a  questa  questione.  Per  quanto  riguarda  il
Sangiovese, l'esperienza e la perizia che  i  viti-vinicoltori  hanno
acquisito in relazione ai vari contesti  ambientali  e  culturali  ha
permesso di connotare in modo piu' preciso alcune produzioni  locali,
definendo quelle che sono definite  "sottozone".  Partendo  da  ovest
verso est si incontrano le seguenti aree tipiche  per  la  produzione
del Sangiovese: 
        Serra. Storicamente e' indicato in Romagna come un territorio
molto  vocato.  Il  clima  e'  tendenzialmente  continentale  e  poco
mitigato dalla rilevante  distanza  dal  mare.  In  generale  i  vini
possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una
corretta esposizione delle vigne. 
        Brisighella.   Comprensorio   particolare   anche   per    il
microclima,  che  ha  altresi'  consentito  il  consolidarsi  di  una
tradizione oleicola importante. L'areale ricomprende anche i  terreni
prossimi alla vena del gesso, oltre a  suoli  ricchi  di  arenarie  e
argilla, che consentono di avere vini di buona  struttura,  eleganti,
con note floreali e fruttate spiccate e una buona freschezza. 
        Marzeno. In questo territorio si trova un primo  affioramento
importante della formazione dello "Spungone" che  si  intercala  alle
argille azzurre plio-pleistoceniche. Territorio aspro  e  forte,  che
imprime forza anche ai vini che qui si producono. Il fruttato tende a
prevalere decisamente sul floreale. 
        Modigliana. Qui il  territorio  si  inasprisce  ulteriormente
consentendo di produrre vini dalla struttura decisa, potenti, austeri
e longevi. 
        Oriolo. Una zona con un terreno  particolare,  caratterizzato
dalla presenza di sabbie gialle  che  spesso  affiorano  tra  terreni
argillosi o limoso-argillosi.  A  seconda  dell'esposizione  e  della
prevalenza di sabbia o argilla e' possibile ottenere vini  di  grande
struttura che acquisiscono la giusta morbidezza solo  dopo  un  certo
affinamento, oppure vini fruttati e floreali piu' pronti  e  di  buon
equilibrio. 
        Castrocaro-Terra del Sole.  Terre  della  cosiddetta  Romagna
Toscana, hanno risentito molto dell'influenza del  Granducato,  tanto
che la definizione dell'area deriva piu' dalla  storia  e  tradizione
locale che non da una differenza sostanziale  con  i  prodotti  della
limitrofa area di Oriolo. 
        Predappio. Il  Sangiovese  di  questo  territorio  ha  sempre
goduto di una nomea importante tramandata dalla  tradizione  popolare
orale.  Soprattutto  dal  biotipo  locale  ad  acino  allungato,   si
ottengono vini dal fruttato molto evidente e  con  tannini  piuttosto
duri e austeri. 
        Meldola. L'areale era gia' coltivato in  epoca  romana  e  da
allora si e' evoluta  e  stratificata  la  tecnica  agricola  che  ha
portato  agli  attuali  risultati  anche   nel   settore   enologico.
L'esposizione principale da Nord-Ovest a Nord-Est consente  di  avere
vini di Sangiovese fini e dal profilo aromatico fruttato. 
        Bertinoro. Tradizionalmente territorio  di  Albana  (che  qui
vanta una lunga tradizione) ha scoperto solo recentemente  una  buona
vocazione  anche  per  il  Sangiovese,  che  presenta  una  struttura
importante che necessita di tempi di maturazione abbastanza lunghi. 
        Cesena. Citati anche dagli Autori classici latini, i vini  di
Cesena hanno sempre goduto di  una  chiara  fama.  Il  Sangiovese  su
queste colline riesce a ricomprendere in se' una struttura importante
ma mai  eccessiva  e  un  fruttato  di  ciliegia  matura  sempre  ben
percepibile. Struttura ed eleganza insieme. 
        San Vicinio. Comprende l'area in cui si  esprime  al  massimo
grado la formazione Marnoso-arenacea romagnola. I  suoli  Celincordia
"Celincordia" [CEL, in riferimento alla Carta dei  suoli  dell'Emilia
Romagna,  scala  1:250.000.  Classificazione  Soil  Taxonomy  (Chiavi
1990): loamy, mixed, mesic Typic  Ustochrepts.  Legenda  FAO  (1990):
Haplic Calcisols)], specialmente ad altitudine inferiore ai 150-200 m
slm, si sono  rivelati  quelli  piu'  vocati  alla  coltivazione  del
Sangiovese, che fornisce mosti e vini molto equilibrati, con un  buon
rapporto tra alcolicita' e acidita' e una tannicita' piuttosto dolce. 
        Longiano. I vini  dell'area  sono  caldi  e  ricchi,  con  un
fruttato molto evidente  e  una  buona  struttura,  che  puo'  essere
guidata con adeguati accorgimenti agronomici anche verso  espressioni
molto forti, che pero' finiscono per penalizzare la naturale eleganza
del connubio tra il vitigno e il territorio. 
      Anche per gli altri vitigni l'interazione  col  suolo  porta  a
varianti interessanti  e  talora  particolarmente  significative.  La
predilezione del Bombino bianco,  come  del  resto  dell'Albana,  per
l'areale bertinorese e' sicuramente da mettere  in  relazione  con  i
terreni poveri e calcarei derivati dalla formazione  geologica  dello
Spungone, che proprio in quest'area presenta le sue "emergenze"  piu'
significative. I suoli riescono a contenere la  naturale  vigoria  di
questi vitigni, consentendo un miglior equilibrio vegeto-produttivo e
di conseguenza una piu' equilibrata composizione dei mosti; mentre il
calcare contribuisce alla maggiore finezza olfattiva  dei  vini.  Nei
terreni argillosi di pianura, che limitano naturalmente la vigoria  e
la produttivita' del Trebbiano romagnolo,  si  riescono  ad  ottenere
vini di buona struttura e con una buona finezza aromatica, nonostante
il vitigno sia normalmente definito "neutro". Vini di  Trebbiano  con
maggiore struttura si ottengono nei terreni piu' poveri  di  collina.
Buona finezza olfattiva anche per i vini ottenuti da uve coltivate su
terreni sabbiosi (Terrano e Trebbiano, ad esempio). Anche  le  Albane
tendono a differenziarsi sui vari tipi di suolo: vini  strutturati  e
con  sentori  di  miele  e  albicocca  essiccata  nei  terreni   piu'
argillosi, fruttato di albicocca piu' deciso nell'Imolese  e  sentori
piu' floreali nelle  Albane  del  Faentino.  La  tradizione  di  vini
frizzanti e spumanti ottenuta a partire dai vitigni bianchi romagnoli
e' stata molto migliorata grazie all'introduzione  del  freddo  e  di
altre tecnologie in cantina, senza dimenticare che  la  maggior  cura
nella produzione e nella scelta delle uve in campo ha fatto  comunque
la sua parte.», 
      
    e' sostituito con il seguente testo: 
      «A) Informazioni sulla zona geografica 
      
      1) Fattori naturali rilevanti per il legame 
      
      Il  disciplinare  "Romagna"  DOC  tiene  conto  delle  aree  di
insediamento   storiche   e   tradizionali   della   viti-vinicoltura
romagnola,  esaltando  le   migliori   espressioni   dell'interazione
"vitigno/ambiente". L'areale di coltivazione di  Sangiovese,  Albana,
Trebbiano romagnolo, Bombino bianco e  Terrano  comprende  parte  dei
territori di  quattro  province  (Bologna,  Ravenna,  Forli-Cesena  e
Rimini), con particolare  riferimento  alla  collina,  e  si  possono
individuare due zone principali ben distinte: una pre- collinare, che
si estende  dalle  falde  delle  ultime  formazioni  collinari  degli
Appennini fino alla viaEmilia, comprendendo  una  fascia  di  terreni
tendenzialmente piani appartenenti al Quaternario recente, e una zona
nettamente collinare ascrivibile all'era Terziaria. Il  periodo  piu'
attivo dell'emersione dei rilievi della Romagna e' infatti riferibile
a Miocene superiore, Pliocene e Postpliocene.  L'Appennino  romagnolo
ha un'origine geologica comune e si compone, in  linea  generale,  di
formazioni calcaree e argillose. La formazione geologica che, per  la
sua  estensione,  maggiormente  caratterizza   la   Romagna   e'   la
"Marnoso-arenacea", una fascia piu' o meno ampia  di  stratificazioni
successive e alternate di arenarie torbiditiche e marne.  Durante  il
periodo Messiniano, quando il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano
Atlantico,  si  depositarono  rocce  evaporitiche  (gesso,  anidrite,
salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella  "Vena  del  gesso".
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante  argillosa,  che
si  presentano  spesso  con  la  tipica  morfologia   a   "calanchi",
riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione  di  rocce  e'
abbastanza naturale che siano  derivati,  per  effetto  dell'erosione
naturale e dell'intervento dell'uomo, terreni piu' o  meno  calcarei,
argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni  di  dilavamento  ed
erosione chimica,  terreni  residuali  di  costituzione  diversa.  In
passato si distinguevano "terreni vergini o integrali", di formazione
recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre,  e
"terreni  residuali",  decalcificati,  ferrettizzati,  antichi.   Tra
questi due estremi si ponevano i "terreni parzialmente ferrettizzati"
(mezze savanelle)  e  le  "terre  rosse"  (savanelle),  completamente
decalcificate.  Recenti  studi  di  zonazione   hanno   permesso   di
approfondire la conoscenza dei suoli e valutare anche l'influenza  di
questi su alcuni dei vitigni principali. Partendo  dalla  SS  9,  via
Emilia, e risalendo verso monte, si  incontrano  dapprima  le  "terre
parzialmente decarbonatate della  pianura  pedemontana",  a  pendenza
molto debole (0,2-1%), che si sono formate in  sedimenti  fluviali  a
tessitura media. Sono suoli molto profondi, con buona  disponibilita'
di  ossigeno,  elevata  capacita'  di  acqua  disponibile   e   buona
fertilita'  naturale;  da  scarsamente   a   moderatamente   calcarei
nell'orizzonte lavorato e con contenuti in calcare  decisamente  piu'
elevati negli orizzonti profondi. A seguire si incontrano  le  "terre
scarsamente calcaree del margine appenninico",  costituite  da  suoli
formatisi in sedimenti argilloso- limosi deposti dai fiumi, profondi,
a tessitura moderatamente fine  o  fine,  moderatamente  calcarei  in
superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono  essere
soggetti a ristagno idrico. Le "terre limose  dei  terrazzi  antichi"
sono estese  paleosuperfici,  pianeggianti  o  dolcemente  inclinate,
formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con  una  componente
superficiale talvolta di origine eolica. Sono terreni molto profondi,
a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente  poco
stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare  la
fertilita' fisico-idrologica necessitano di buoni apporti di sostanza
organica. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote  comprese
tra 130 e 380  m  slm,  si  trovano  le  "terre  calcaree  del  basso
Appennino, localmente  associate  a  calanchi",  suoli  che  si  sono
formati  in  rocce  prevalentemente  argillose   o   pelitiche,   con
intercalazioni sabbiose di  eta'  pliocenica,  e  si  presentano  con
profondita' variabile da  moderata  a  molto  profonda,  a  tessitura
media, da scarsamente a fortemente  calcarei.  Talora  sono  presenti
orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il
substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100  cm  di  profondita'.
Infine si arriva in prossimita'  della  formazione  Marnoso-arenacea,
che ha dato origine alle "terre  calcaree  del  basso  Appennino  con
versanti a franapoggio e reggipoggio". Le quote sono tipicamente  tra
110 e 430 m slm. Sono suoli moderatamente ripidi, da moderatamente  a
molto profondi, a tessitura media, calcarei e che possono  presentare
il substrato roccioso entro  i  100  cm  di  profondita'.  Nel  basso
Appennino  romagnolo,  l'unita'   geologica   maggiormente   diffusa,
dall'Imolese al Forlivese, e' la formazione  delle  argille  azzurre,
mentre passando al Cesenate tendono a prevalere  i  terreni  calcarei
riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea,  che  poi  tendono  a
diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in
modo particolare sulle "terre calcaree del basso Appennino riminese",
che comprendono suoli formati in rocce  prevalentemente  argillose  o
pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica (Formazione
delle argille  azzurre  e  formazione  delle  arenarie  di  Borello).
Un'area marginale delle viticoltura si trova sulle "terre  dei  Gessi
del basso Appennino riminese", con suoli che si sono formati in rocce
stratificate di marne gessose e tripolacee. Altra formazione degna di
menzione e' la "Vena dello Spungone" che caratterizza in  particolare
il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per  arrivare
fino a Bertinoro, una delle aree di elezione dell'Albana. Per  quanto
riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie  termiche
intorno ai 2000- 2200 gradi giorno (indice  di  Winkler),  si  arriva
intorno  al  1400-1600  gradi  giorno  delle  aree  piu'  alte  della
viticoltura. 
      
      2) Fattori umani rilevanti per il legame. 
      
      La vite  e  il  vino  hanno  sempre  giocato  ruoli  economici,
sociali, politici e ideologici fondamentali  nella  storia  di  molti
paesi e, come noto, la storia e' in  grado  di  modellare  persone  e
paesaggi. E cio' e' vero anche per la Romagna, un'area i cui  confini
geografici sono stati dibattuti per secoli senza mai arrivare ad  una
definizione unanime, ma che trova nel carattere della  sua  gente  un
filo conduttore comune. Lucio Gambi scrisse che la "romagnolita',  e'
in primo luogo uno stato d'animo, un'isola del sentimento, un modo di
vedere e di comportarsi" e forse e' proprio per questo che la Romagna
e' stata piu' spesso definita, non con limiti fisici o amministrativi
bensi' attraverso i comportamenti  umani,  come  quell'area  in  cui,
chiedendo da bere, viene spontaneamente offerto  vino  e  non  acqua.
Indubbiamente si  tratta  di  un  retaggio  legato  alla  particolare
situazione del passato, per cui le acque erano spesso non potabili  e
il vino svolgeva un'importante azione disinfettante. La storia  e  la
letteratura classica ci parlano spesso di una Romagna particolarmente
produttiva, senza negare, pero', produzioni di eccellenza: i vini  di
Cesena in epoca Romana e anche  successiva,  l'Albana  di  Bertinoro,
come pure la "rosseggiante" Cagnina senza dimenticare  il  Pagadebito
gentile. A seguire alcune informazioni sulla diffusione  e  l'impiego
dei principali vitigni tradizionali della  Romagna,  contemplati  dal
presente Disciplinare. Terrano.  La  dominazione  bizantina  potrebbe
essere stata il momento in cui il Refosco d'Istria o Terrano d'Istria
si e' diffuso in Romagna. Sta di fatto che, in tempi storici, ha dato
origine ad un vino molto apprezzato chiamato "Cagnina",  riconosciuto
a DOC con DPR 17-03-1988 (Cagnina  di  Romagna).  Riferisce  Giovanni
Manzoni che la  Cagnina  e'  un'uva  probabilmente  originaria  della
Jugoslavia, "tenuta in gran pregio sebbene anticamente fosse  piccola
di grappolo e di acini radi. Coltivata in Romagna gia'  nel  1200  in
alcune piane del Cesenate, del Forlivese  e  del  Ravennate,  fu  poi
limitata solamente a qualche modesto vigneto, come lo e' ancora oggi,
per la sua scarsa resa". Diversi gli scritti e i componimenti poetici
tra  Ottocento  e   Novecento   che   attestano   la   diffusione   e
l'apprezzamento della Cagnina in Romagna. Bombino bianco.  Localmente
detto Pagadebito gentile, da cui il  nome  del  vino.  L'origine  del
vitigno non e' nota, ma si tratta di varieta' diffusa lungo tutta  la
fascia adriatica della Penisola con nomi diversi nelle varie regioni,
ma  che  richiamano  spesso  la  sua  capacita'  produttiva.  Secondo
Hohnerlein-Buchinger l'etimo sarebbe da "produce tanto  da  pagare  i
debiti", in realta' la  produttivita',  specie  in  collina,  non  e'
elevatissima ma costante negli anni; infatti si  tratta  di  varieta'
rustica e con sottogemme fertili, tanto che  se  una  gelata  tardiva
puo' compromettere gravemente la produzione della maggior parte degli
altri vitigni, con il Pagadebito  e'  comunque  garantita  una  buona
produzione. Nell'area di Bertinoro un tempo si facevano vigneti misti
di Albana gentile e Pagadebiti proprio per compensare  una  eventuale
carenza produttiva del primo vitigno. La prima citazione  scritta  di
un "Pagadebito bianco" tra  le  viti  "de'  contorni  di  Rimino"  e'
dell'Acerbi e risale al 1825. Nell'ambito della mostra  ampelografica
tenutasi a Forli' nel 1876 si ebbe la possibilita' di confrontare tra
loro grappoli di  Pagadebito  provenienti  da  diversi  areali  e  si
convenne che "Il Pagadebito gentile di Forli',  di  Bertinoro,  e  di
Predappio si differenzia dal Pagadebito verdone per  gli  acini  piu'
sferici, meno grossi, meno verdi e piu' dolci". Storicamente e' stata
riconosciuta una particolare e pregevole tradizione  di  coltivazione
del Pagadebito nell'areale di Bertinoro, messa in evidenza anche  nel
Disciplinare  della  DOC  "Pagadebit  di  Romagna"  accolto  con  DPR
17-03-1988.  Sangiovese.  La  zona  di  diffusione   principale   del
Sangiovese si colloca tra Romagna e  Toscana  ed  e'  in  questi  due
territori che da tempi  storici  si  sono  venuti  a  delineare  vari
biotipi, ma  soprattutto  vini  differenti,  frutto  dell'interazione
specifica e peculiare di territori diversi con questo vitigno.  Nello
studio della storia di un vino si fa spesso  riferimento  ai  miti  e
alle religioni  dei  popoli,  ma  non  bisogna  trascurare  un  altro
elemento fondamentale, la "tipicita'", poiche' essa passa  attraverso
il territorio, la metodologia di produzione e il contesto temporale e
sociale. Per quanto riguarda  il  Sangiovese  la  prima  attestazione
scritta della sua coltivazione in territorio Toscano risale alla fine
del 1500 (Soderini), ma Cosimo Villifranchi nella seconda  meta'  del
Settecento parla di un "San Gioveto romano" coltivato in  particolare
nel Faentino. E' conservato all'Archivio di Stato  di  Faenza  l'atto
notarile del 1672 che cita in podere Fontanella di Pagnano, comune di
Casola Valsenio, "tre filari di  Sangiovese".  Per  alcuni  linguisti
assunse in Appennino tosco-romagnolo  il  nome  "Sangue  dei  gioghi"
cioe' dei monti, contratto in dialetto locale in  "sanzves".  Secondo
Beppe  Sangiorgi,  le  prime  citazioni  del  Sangiovese  in  Romagna
riguardano l'area faentina imolese. Tra Settecento e  Ottocento  sono
poi numerosi i poemi e ditirambi che lodano questo vino. Nel 1839, il
conte Gallesio giunse a Forli', da  Firenze,  percorrendo  la  strada
aperta dal granduca Pietro Leopoldo lungo il corso del fiume  Montone
ed ebbe modo di descrivere i vigneti  incontrati  nel  percorso:  "le
vigne ... sono tutte a ceppi bassi attaccati ad un picciolo palo come
in Francia, le uve che vi si coltivano sono per la maggior  parte  il
Sangiovese di  Romagna".  Nei  vecchi  testi,  quindi,  viene  spesso
identificato un Sangiovese coltivato in Romagna  con  caratteristiche
sue proprie che lo fanno distinguere da  quelli  coltivati  in  altre
aree, ma soprattutto va  rimarcato  come  fosse  diverso  l'approccio
enologico al vitigno rispetto alla Toscana: in Romagna si  vinificava
in purezza, mentre in Toscana si trattava piu' spesso di uvaggi (come
il  ben  noto  Chianti)  o  di  tagli  con  altri   vitigni.   Questa
caratteristica  e'  stata  contemplata  nel  Disciplinare   "Romagna"
Sangiovese: l'uso della menzione geografica aggiuntiva per i vini  di
Sangiovese e' subordinata all'utilizzo di almeno il 95%  di  uve  del
vitigno.  La  DOC  "Sangiovese  di  Romagna",  confluita  nella   DOC
"Romagna", fu istituita con DPR 09-07-1967.  Trebbiano  romagnolo.  I
"Trebbiani" sono una famiglia di  vitigni  molto  antichi  che  hanno
trovato alcune zone di elezione che gli hanno  tributato  la  seconda
parte del nome: Trebbiano romagnolo, piuttosto che toscano, modenese,
abruzzese, per citarne  alcuni.  Nel  Trecento  il  Trebbiano  veniva
annoverato tra i vini "di lusso" del medioevo, mentre in  tempi  piu'
recenti appare un'immagine  piu'  differenziata  del  Trebbiano,  che
viene considerato anche un vino di carattere semplice. Lo  citano  il
Soderini  nel  Cinquecento,  il  Trinci  Settecento  e  tra  la  fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento  diversi  autori  cercano  di
mettere ordine tra le diverse tipologie e sinonimie.  In  Romagna  si
coltivava in  prevalenza  il  Trebbiano  della  fiamma,  cosi'  detto
perche'  i  grappoli  esposti  al  sole  prendono   una   colorazione
giallo-rossastra. Nel Molon  (1906)  si  legge  che  il  vitigno  era
coltivato soprattutto nelle province di Forli' e  Ravenna,  meno  nel
Cesenate, dove prevaleva l'Albana e si riporta  quanto  affermato  da
Pasqualini e Pasqui in merito  all'apprezzamento  del  Trebbiano  nei
filari di  pianura,  nonostante  l'elevata  umidita'.  La  sua  vasta
diffusione e' dovuta alla capacita' di adattarsi  alle  piu'  diverse
tipologie  di  terreno  e  condizioni   climatiche,   alla   costante
produttivita' ed alle caratteristiche del vino: gradevole, corretto e
facilmente commerciabile. Con il DPR 31-08-1973  viene  istituita  la
DOC "Trebbiano di Romagna", che ricomprende un'area  di  coltivazione
che si estende dalla collina verso quelle  aree  di  pianura  dove  i
terreni sono  piu'  argillosi  o  argilloso-sabbiosi.  Vini  amabili,
frizzanti, spumanti e spumanti di qualita'. La presenza in Romagna di
vitigni tipicamente a maturazione medio-tardiva o tardiva (Trebbiano,
Pagadebiti) faceva si' che il  sopraggiungere  del  freddo  invernale
bloccasse la fermentazione lasciando nei vini residui zuccherini piu'
o meno importanti. Da qui l'uso di bere  vini  dolci  o  amabili  nel
periodo autunno-invernale e vini  frizzanti  e  spumanti  nell'estate
successiva la vendemmia. Infatti i vini con residuo  zuccherino,  una
volta messi in bottiglia, riprendevano a fermentare con l'arrivo  dei
primi caldi, originando una frizzantatura naturale. Vi era quindi una
tradizione, se si vuole involontaria, di spumanti  e  frizzanti,  che
con l'accrescersi delle conoscenze enologiche e' stata  perfezionata:
l'uso del freddo in cantina consente di preservare profumi e aromi  e
l'uso   di   lieviti   selezionati   consente   di   ottimizzare   le
fermentazioni. L'elaborazione dei vini spumanti e  vini  spumanti  di
qualita' rappresenta quindi il risultato dell'innovazione tecnologica
nel  processo   di   elaborazione   che,   partendo   dall'ancestrale
rifermentazione in bottiglia applicata fino al secolo scorso,  si  e'
poi evoluta anche verso l'elaborazione in  autoclave,  coniugando  la
migliore tecnica enologica attuale con  la  tradizione  secolare  del
territorio. 
      B) Informazioni sulla  qualita'  o  sulle  caratteristiche  del
prodotto essenzialmente o  esclusivamente  attribuibili  all'ambiente
geografico. I diversi tipi di suolo che si incontrano negli areali di
coltivazione della DOC Romagna, dalle argille evolute  di  Predappio,
alle sabbie molasse del Messiniano tra il Faentino e il Forlivese, al
calcare di Bertinoro  o  ancora  alle  arenarie  e  alle  argille  di
Brisighella, non possono non influenzare le note sensoriali dei  vini
su di essi prodotti. In particolare, il Sangiovese in  purezza  tende
ad acquisire caratteri distintivi ben  percepibili  a  seconda  delle
aree di coltivazione delle uve e gia'  all'inizio  del  Novecento  il
dott. Savelli, sulla base delle numerose analisi chimiche  effettuate
nel suo laboratorio, aveva suddiviso i  vini  di  Sangiovese  in  tre
gruppi:  "uno  speciale  Sangiovese  in  alcune   localita'   dell'ex
circondario di Forli' (Predappio e Civitella); un tipo, molto  vicino
al  precedente  per  caratteri  chimici  ed  organolettici,  prodotto
nell'ex circondario di Cesena; un tipo, diverso dai  due  precedenti,
prodotto nell'ex circondario di Rimini". Le differenze (minore  grado
alcolico, minore estratto, maggiore acidita' ed  in  particolare  una
maggiore sapidita' del Sangiovese di Rimini) derivavano dal fatto che
nel  Riminese  l'uva  Sangiovese  veniva  vinificata  con  una  certa
quantita' di Trebbiano, tradizione che si e' ormai  persa,  anche  se
rimangono alcuni di questi tratti distintivi. Altra  nota  importante
per la coltivazione del Sangiovese e'  relativa  al  clima:  per  una
corretta maturazione occorre privilegiare altitudini  medio-basse  ed
esposizioni nei quadranti da sud a ovest, onde conseguire un perfetto
soddisfacimento delle sue esigenze termiche (1800-2000 gradi giorno).
Per rendere merito delle differenze tra i vini di Sangiovese ottenuti
in situazioni pedo- climatiche differenti, per  quei  produttori  che
intendono massimizzare l'interazione vitigno/ambiente,  nel  rispetto
di una tradizione  tipicamente  romagnola  che  vuole  il  Sangiovese
vinificato  sostanzialmente  da  solo,  sono  state  identificate  le
"sottozone"  che  possono  fregiarsi  di  una   menzione   geografica
aggiuntiva  rispetto  a  "Romagna  DOC   Sangiovese".   L'interazione
"vitigno-ambiente-  uomo",   per   il   Sangiovese,   verra'   meglio
specificata al punto C). I vini ottenuti con la varieta'  Terrano  si
presentano in genere abbastanza freschi, profumati  e  con  un  certo
residuo zuccherino,  come  vuole  la  tradizione,  anche  se  qualche
viticoltore ha cercato di potenziarne la struttura,  come  richiedeva
il mercato del 2000. Anche per quanto riguarda  i  vini  bianchi,  la
varieta' di suoli e di situazioni meso- climatiche riscontrabili  sul
territorio della  Denominazione  "Romagna",  consentono  di  ottenere
tipologie differenti: da vini piu' freschi  a  prevalente  componente
floreale, magari anche frizzanti o  spumanti,  a  vini  bianchi  piu'
strutturati, con sentori di frutta matura  e  talora  aromi  terziari
derivati dalla vinificazione e/o affinamento in legno. 
      C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui
alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B). A partire dagli anni
'70 il miglioramento della tecnica agronomica ed enologica  e'  stato
importante e la Romagna ha recepito bene  l'innovazione  del  settore
viti-vinicolo,  facendo  perno,  pero',  su  una   tradizione   ormai
consolidata.    Ne    sono    conseguiti    una     razionalizzazione
nell'allestimento e nella  gestione  degli  impianti  e  un  radicale
miglioramento delle strutture e delle tecniche enologiche in cantina.
Il risultato e' stato che anche nei vini della  tradizione  romagnola
si  e'  assistito  ad  un  importante   miglioramento   del   livello
qualitativo. Un altro cambiamento importante e' legato agli studi  di
zonazione viticola, che hanno contribuito ad una migliore definizione
degli ambienti pedo-climatici piu' idonei  per  i  vari  vitigni,  ma
soprattutto hanno  aumentato  la  sensibilita'  dei  viticoltori  nei
confronti della scelta varietale, portandoli a porsi in maniera  piu'
critica  di  fronte  a  questa  questione.  Per  quanto  riguarda  il
Sangiovese, l'esperienza e la perizia che  i  viti-vinicoltori  hanno
acquisito in relazione ai vari contesti  ambientali  e  culturali  ha
permesso di connotare in modo piu' preciso alcune produzioni  locali,
definendo quelle che sono definite  "sottozone".  Partendo  da  ovest
verso est si incontrano le seguenti aree tipiche  per  la  produzione
del Sangiovese: 
        Serra. Storicamente e' indicato in Romagna come un territorio
molto  vocato.  Il  clima  e'  tendenzialmente  continentale  e  poco
mitigato dalla rilevante  distanza  dal  mare.  In  generale  i  vini
possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una
corretta esposizione delle vigne. 
        Brisighella.   Comprensorio   particolare   anche   per    il
microclima,  che  ha  altresi'  consentito  il  consolidarsi  di  una
tradizione oleicola importante. L'areale ricomprende anche i  terreni
prossimi alla vena del gesso, oltre a  suoli  ricchi  di  arenarie  e
argilla, che consentono di avere vini di buona  struttura,  eleganti,
con note floreali e fruttate spiccate e una buona freschezza. 
        Marzeno. In questo territorio si trova un primo  affioramento
importante della formazione dello "Spungone" che  si  intercala  alle
argille azzurre plio-pleistoceniche. Territorio aspro  e  forte,  che
imprime forza anche ai vini che qui si producono. Il fruttato tende a
prevalere decisamente sul floreale. 
        Modigliana. Qui il  territorio  si  inasprisce  ulteriormente
consentendo di produrre vini dalla struttura decisa, potenti, austeri
e longevi. 
        Oriolo. Una zona con un terreno  particolare,  caratterizzato
dalla presenza di sabbie gialle  che  spesso  affiorano  tra  terreni
argillosi o limoso-argillosi.  A  seconda  dell'esposizione  e  della
prevalenza di sabbia o argilla e' possibile ottenere vini  di  grande
struttura che acquisiscono la giusta morbidezza solo  dopo  un  certo
affinamento, oppure vini fruttati e floreali piu' pronti  e  di  buon
equilibrio. 
        Castrocaro-Terra del Sole.  Terre  della  cosiddetta  Romagna
Toscana, hanno risentito molto dell'influenza del  Granducato,  tanto
che la definizione dell'area deriva piu' dalla  storia  e  tradizione
locale che non da una differenza sostanziale  con  i  prodotti  della
limitrofa area di Oriolo. 
        Predappio. Il  Sangiovese  di  questo  territorio  ha  sempre
goduto di una nomea importante tramandata dalla  tradizione  popolare
orale.  Soprattutto  dal  biotipo  locale  ad  acino  allungato,   si
ottengono vini dal fruttato molto evidente e  con  tannini  piuttosto
duri e austeri. 
        Meldola. L'areale era gia' coltivato in  epoca  romana  e  da
allora si e' evoluta  e  stratificata  la  tecnica  agricola  che  ha
portato  agli  attuali  risultati  anche   nel   settore   enologico.
L'esposizione principale da Nord-Ovest a Nord-Est consente  di  avere
vini di Sangiovese fini e dal profilo aromatico fruttato. 
        Bertinoro. Tradizionalmente territorio  di  Albana  (che  qui
vanta una lunga tradizione) ha scoperto solo recentemente  una  buona
vocazione  anche  per  il  Sangiovese,  che  presenta  una  struttura
importante che necessita di tempi di maturazione abbastanza lunghi. 
        Cesena. Citati anche dagli Autori classici latini, i vini  di
Cesena hanno sempre goduto di  una  chiara  fama.  Il  Sangiovese  su
queste colline riesce a ricomprendere in se' una struttura importante
ma mai  eccessiva  e  un  fruttato  di  ciliegia  matura  sempre  ben
percepibile. Struttura ed eleganza insieme. 
        San Vicinio. Comprende l'area in cui si  esprime  al  massimo
grado la formazione Marnoso-arenacea romagnola. I  suoli  Celincordia
"Celincordia" [CEL, in riferimento alla Carta dei  suoli  dell'Emilia
Romagna,  scala  1:250.000.  Classificazione  Soil  Taxonomy  (Chiavi
1990): loamy, mixed, mesic Typic  Ustochrepts.  Legenda  FAO  (1990):
Haplic Calcisols)], specialmente ad altitudine inferiore ai 150-200 m
slm, si sono  rivelati  quelli  piu'  vocati  alla  coltivazione  del
Sangiovese, che fornisce mosti e vini molto equilibrati, con un  buon
rapporto tra alcolicita' e acidita' e una tannicita' piuttosto dolce. 
        Longiano. I vini  dell'area  sono  caldi  e  ricchi,  con  un
fruttato molto evidente  e  una  buona  struttura,  che  puo'  essere
guidata con adeguati accorgimenti agronomici anche verso  espressioni
molto forti, che pero' finiscono per penalizzare la naturale eleganza
del connubio tra il vitigno e il territorio. 
      Anche per gli altri vitigni l'interazione  col  suolo  porta  a
varianti interessanti  e  talora  particolarmente  significative.  La
predilezione del Bombino bianco,  come  del  resto  dell'Albana,  per
l'areale bertinorese e' sicuramente da mettere  in  relazione  con  i
terreni poveri e calcarei derivati dalla formazione  geologica  dello
Spungone, che proprio in quest'area presenta le sue "emergenze"  piu'
significative. I suoli riescono a contenere la  naturale  vigoria  di
questi vitigni, consentendo un miglior equilibrio vegeto-produttivo e
di conseguenza una piu' equilibrata composizione dei mosti; mentre il
calcare contribuisce alla maggiore finezza olfattiva  dei  vini.  Nei
terreni argillosi di pianura, che limitano naturalmente la vigoria  e
la produttivita' del Trebbiano romagnolo,  si  riescono  ad  ottenere
vini di buona struttura e con una buona finezza aromatica, nonostante
il vitigno sia normalmente definito "neutro". Vini di  Trebbiano  con
maggiore struttura si ottengono nei terreni piu' poveri  di  collina.
Buona finezza olfattiva anche per i vini ottenuti da uve coltivate su
terreni sabbiosi (Terrano e Trebbiano, ad esempio). Anche  le  Albane
tendono a differenziarsi sui vari tipi di suolo: vini  strutturati  e
con  sentori  di  miele  e  albicocca  essiccata  nei  terreni   piu'
argillosi, fruttato di albicocca piu' deciso nell'Imolese  e  sentori
piu' floreali nelle  Albane  del  Faentino.  La  tradizione  di  vini
frizzanti, spumanti e spumanti di qualita'  ottenuta  a  partire  dai
vitigni  bianchi  romagnoli  e'   stata   molto   migliorata   grazie
all'introduzione del freddo e di altre tecnologie in  cantina,  senza
dimenticare che la maggior cura nella produzione e nella scelta delle
uve in campo ha fatto comunque la sua parte. Le peculiarita' dei vini
frizzanti, dei vini spumanti, dei vini  spumanti  di  qualita'  sopra
descritte sono il risultato  delle  condizioni  pedoclimatiche  della
zona di produzione combinate con i fattori umani che tradizionalmente
hanno inciso sulle proprieta'  enologiche  intrinseche  delle  uve  e
sulle  tecnologie  di  elaborazione.   In   particolare,   l'ambiente
geografico della zona di produzione e'  caratterizzato  da  un  clima
continentale ma sufficientemente ventilato per la vicinanza  al  mare
Adriatico e da  terreni  ben  drenanti  per  effetto  delle  tecniche
agronomiche consolidate nel tempo che determinano una  disponibilita'
idrica adeguata tale  da  consentire  una  ottimale  maturazione  dei
grappoli. Le escursioni termiche notte-giorno durante la  maturazione
dei grappoli concorrono a mantenere il patrimonio aromatico ed  acido
dell'uva che assicura la conseguente freschezza dei vini. Inoltre,  i
viticoltori con l'esperienza hanno affinato  tecniche  di  conduzione
dei vigneti atte a mitigare gli eccessi di calore e  le  variabilita'
della  disponibilita'  idrica  che  si  sono  verificate  nell'ultimo
decennio, al fine di ottenere uve innanzitutto di ottima  qualita'  e
con il giusto equilibrio tra le componenti zuccherine  e  aromatiche,
tenendo in considerazione  l'esigenza  di  effettuare  la  successiva
elaborazione per la produzione di vini  frizzanti,  vini  spumanti  e
vini spumanti di qualita' che siano in possesso  di  contenuto  acido
adeguato.».