IL PRESIDENTE
  del consiglio dell'Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici

  Con  l'emanazione  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
21 dicembre 1999, n. 554, e' stata data attuazione alla previsione di
cui  all'art.  3  delle  legge-quadro sui lavori pubblici 11 febbraio
1994,  n. 109, ed e' stato in tal modo completato quasi integralmente
il  nuovo  assetto  normativo  del  settore.  Nella pubblicazione del
decreto,  sono  state,  tra  le  altre,  espunte le norme di cui agli
articoli  52  e 75, relative alle cause di esclusione dalle procedure
di    affidamento    dei   servizi   attinenti   all'architettura   e
all'ingegneria  e  degli appalti e delle concessioni per l'esecuzione
di  lavori  pubblici.  Tali  due  articoli non erano stati ammessi al
visto della Corte dei conti ed il Governo aveva ritenuto di non dover
richiedere  la  registrazione  con  riserva  al fine di non ritardare
ulteriormente  l'entrata  in  vigore  della complessiva disciplina di
completamento della legge-quadro in materia di lavori pubblici.
  Allo  scopo,  tuttavia, di voler completare il quadro normativo che
si  andava  a  delineare,  relativamente  alle  cause  di  esclusione
indicate,  dalla  data  (del 28 luglio 2000) di entrata in vigore del
richiamato  regolamento  generale  n.  554/1999  - stante la prevista
abrogazione,  a decorrere dalla data stessa, dell'art. 18 del decreto
legislativo  19 dicembre  1991,  n.  406,  ed il rinvio fatto, per la
disciplina  delle  esclusioni  dalle  gare  di  appalto di lavori, al
regolamento   generale   dall'art.   28   di  quello  in  materia  di
qualificazione  (n.  34/2000) - il Governo provvedeva, nella medesima
data  del  28 luglio  2000,  ad  approvare  uno schema di decreto del
Presidente della Repubblica recante modifiche al regolamento generale
indicato  e  contenente le norme non ammesse al visto della Corte dei
conti  che,  per  contro,  si  riteneva  di  formulare  in maniera da
assicurare la stretta attuazione dei rilievi contenuti nella delibera
n.  40/2000  della  sezione  di  controllo  della Corte medesima. Non
risulta,  tuttavia,  concluso  il relativo procedimento; sicche', dal
28 luglio  2000  ad  oggi,  per le ragioni in precedenza esposte, non
esiste  una  rinnovata  disciplina positiva in merito alla esclusione
dalle gare di affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria
e  dalle  gare  di  appalto  e concessione per l'esecuzione di lavori
pubblici  e  comunque  la  situazione  di  carenza  normativa  potra'
perdurare  per  tutto  il periodo successivo al 28 luglio e sino alla
data  di  entrata  in  vigore  delle  anzidette  norme di modifica al
regolamento generale.
  In  un  siffatto  contesto,  allo  scopo  di  evitare  che,  per la
presumibile incertezza delle stazioni appaltanti sui comportamenti da
tenere con riferimento alle gare gia' bandite ed a quelle da bandire,
derivi   un   prevedibile   rallentamento   nello  svolgimento  delle
procedure, e stante il ruolo che le e' riconosciuto nel sistema della
disciplina    dei    lavori    pubblici,   soccorrono   le   seguenti
considerazioni.
  E'  riconosciuto in dottrina ed e' consolidato in giurisprudenza il
principio  secondo  cui,  nelle  procedure  per  l'aggiudicazione dei
contratti  della  pubblica  amministrazione,  e' il bando di gara che
costituisce la legge del procedimento e ad esso devono attenersi, non
soltanto   i   partecipanti   al   concorso,   ma   anche  la  stessa
amministrazione  procedente.  Piu'  propriamente,  e' stato precisato
che,  in  un  pubblico  appalto,  l'amministrazione  appaltante  deve
applicare  le  norme  del  bando  che, insieme alla lettera d'invito,
costituiscono la lex specialis del procedimento concorsuale, la quale
non e' derogabile neppure se alcune delle sue regole risultassero non
piu'  conformi  allo  ius  superveniens, con il solo ovvio limite del
ricorso  ai  poteri di autotutela. (Cons. St. sez. V, 11 maggio 1998,
n.  1403). E nella stessa prospettiva e' stato ritenuto anche che ove
si  abbia in corso di gara l'abrogazione di una norma cui il bando di
gara  aveva fatto riferimento, si deve continuare ad applicare questa
norma  che  e'  divenuta  regola  del  bando mai disapplicabile, come
detto,  in  quanto il rinvio operato che ha carattere materiale e non
dinamico  la rende indifferente alle mutazioni successive (Cons. St.,
sez. V, 3 settembre 1998, n. 591).
  Deriva  da  tali premesse l'irrilevanza, per le gare gia' bandite e
per  le  quali  si  applica  il decreto legislativo n. 406 del 1991 o
altre   norme,   del   "vuoto  normativo"  che  si  e'  prodotto  con
l'abrogazione  delle  norme  predette  e per la mancata emanazione di
quella  nuova  regolamentazione gia' contenuta negli articoli 52 e 75
del regolamento generale di attuazione della legge-quadro non ammessi
a  registrazione  dalla  Corte  dei  conti.  In tali gare le stazioni
appaltanti  continueranno  ad applicare le regole del bando ancorche'
le  stesse siano state redatte, per l'aspetto in esame, sulla base di
norme non piu' operanti e da altre non sostituite.
  Con   riferimento,  poi,  alle  gare  da  bandire,  va  considerato
ulteriormente che la disciplina positiva riguardante l'individuazione
delle   cause   di   esclusione   dalle   gare   di  appalto  attiene
all'attuazione   di   un  principio  di  carattere  generale,  insito
nell'ordinamento,  secondo  il quale la contrattazione dei negozi con
l'amministrazione  pubblica  puo' essere consentita soltanto a coloro
che  siano  in  possesso  di una ritenuta, adeguata idoneita' morale,
oltre  che  tecnica.  Il  legislatore ha preferito, poi, disciplinare
direttamente ed in linea generale la materia, sottraendola, pertanto,
alla   discrezionalita'   della   singola  stazione  appaltante,  per
l'esigenza di assicurare l'uniformita' dei comportamenti dei pubblici
poteri  e  per prevenire possibili applicazioni distorsive ed elusive
della   finalita'   sottesa   all'indicato   principio.  La  concreta
individuazione,  poi,  delle ipotesi che precludono la partecipazione
alle  gare  medesime e' stata quasi sempre fatta in maniera meramente
ricognitiva   di   situazioni   di   incompatibilita'  conseguenti  a
comportamenti  dai  quali appare obiettivamente ragionevole presumere
la  mancanza  dell'affidabilita'  necessaria  alla stipulazione di un
contratto di appalto. Ne costituisce dimostrazione il fatto che vi e'
un  costante  riferimento,  nella  normativa nazionale e comunitaria,
alle  condizioni  soggettive  dell'imprenditore  (dissesto economico,
condanne   per   reati   di   particolare   gravita',  violazioni  di
fondamentali doveri civici, inadempienze in precedenti contratti) che
lo  fanno  oggettivamente presumere non idoneo in quanto inaffidabile
in  ordine  alla instaurazione di un rapporto che presuppone, invece,
quale requisito indefettibile quello della moralita'.
  Da  tali premesse consegue che, venuta meno la disciplina normativa
generale  della  materia,  si  intende  ripristinato  nella sua piena
espansione il potere discrezionale generale delle stazioni appaltanti
che  potranno,  quindi,  in  sede  di  redazione  dei  bandi di gara,
provvedere  autonomamente  alla  individuazione  dei requisiti morali
minimali occorrenti ai concorrenti.
  Risulta coerente, peraltro, che tale individuazione avvenga tenendo
conto innanzitutto di quanto stabilito dalla normativa comunitaria di
riferimento, sia stata o meno la stessa recepita sul piano interno.
  Detta  normativa ancorche' direttamente applicabile, con prevalenza
su  quella  nazionale con essa contrastante, soltanto agli appalti di
importo  superiore alla soglia comunitaria, viene comunque in rilievo
dovendo  ad  essa  farsi  riferimento  per  l'integrazione  dei vuoti
dell'ordinamento,  quanto alla disciplina delle fattispecie similari,
in  una  prospettiva  di  interpretazione estensiva o analogica delle
norme allo stesso inerenti.
  D'altra  parte,  non  sembra contestabile che le scelte operate dal
legislatore  comunitario,  con  riferimento alla individuazione delle
ipotesi che precludono la partecipazione alle gare di appalto, se non
altro   perche'   vincolanti   per  ordinamenti  a  caratterizzazione
differenziata,    siano   da   ritenere   condivisibili   in   quanto
ragionevolmente   relativa  a  situazioni  che  implichino  effettiva
inidoneita'.  Il  fatto,  quindi,  che  una  stazione  appaltante, in
mancanza  di  regole  interne  che dispongono diversamente, si sia ad
esse  attenuta nella formulazione di un bando per una gara di appalto
mette  la stessa a riparo da eventuali censure di strumentalizzazione
ovvero  di uso distorto del potere di esclusione discrezionalmente ad
essa riconosciuto.
  D'altra  parte  va anche considerato che i principi contenuti nella
normativa  comunitaria  suddetta  sono  stati  tutti  recepiti  nella
disposizione  contenuta nell'art. 17 del decreto del Presidente della
Repubblica   n.   34/2000  che  si  riferisce  ai  requisiti  per  la
qualificazione   delle  imprese  da  parte  delle  SOA  e  che  viene
richiamato   in   via  transitoria  (art.  29,  comma  3)  anche  per
l'ammissione  alle  gare  di  appalto  fino all'entrata in vigore del
regolamento  generale  che ad oggi come detto e' carente sotto questo
aspetto.  Per  i  bandi  di  gara  da  bandire, pertanto, le stazioni
appaltanti possono anche far riferimento nel bando, con un sistema di
rinvio  materiale,  alle  disposizioni  contenute in detta norma, con
cio'  intendendo  recepirne  le  cause  di  esclusione  dalle gare di
appalto in clausola del bando.
  Per quanto riguarda i servizi di ingegneria ed architettura valgono
analoghe  considerazioni solo che il riferimento che occorre fare nei
bandi,  anche  di importo inferiore a 200.000 euro, e' alla specifica
normativa  contenuta  nel  decreto legislativo n. 157/1995 e s.m. che
contiene precetto (art. 12) analogo di esclusione al quale puo' farsi
riferimento con rinvio recettizio di carattere materiale.
    Roma, 30 agosto 2000
                                                 Il presidente: Garri