N. 560 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 luglio 1999
N. 560 Ordinanza emessa il 7 luglio 1999 dal tribunale di Parma nel procedimento civile vertente tra Bianchi Tiziana, erede di Orlandini Ampelia e I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Modalita' di pagamento - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Incidenza sul diritto di difesa, sui principi di eguaglianza e della garanzia previdenziale - Indebita interferenza sulla funzione giurisdizionale - Riferimento alla ordinanza della Corte n. 31/1999 di restituzione atti per ius superveniens di analoghe questioni riferite alla precedente normativa. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 182, modificato dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, sostituito dalla legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 36). (Cost., artt. 3, 24, 38, secondo comma, 102 e 113).(GU n.42 del 20-10-1999 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 20 aprile 1999 nel procedimento n. 1485/95 r.g. promosso da Bianchi Tiziana erede di Orlandini Ampelia, avv. Luciano Petronio, ricorrente; Contro l'I.N.P.S., avv. Angelo Acquaviva + 1, convenuto; Ha pronunciato la presente ordinanza osservando quanto segue: Fatto e diritto Con ricorso del 28 giugno 1995 diretto al pretore di Parma in funzione di giudice del lavoro, la sig.ra bianchi Tiziana, quale erede di Orlandini Ampelia, dopo aver premesso che quest'ultima era titolare di pensione SO non integrata al minimo, aveva presentato domanda all'I.N.P.S. per ottenere tale integrazione quanto meno nella forma della c.d. "cristallizzazione", cio' essendo consentito in base ai limiti di reddito prescritti; Che la domanda pero' veniva respinta dall'I.N.P.S., di guisa che si rendeva necessario rivolgersi al giudice sulla base delle sentenze della Corte costituzionale n. 240/1994 e n. 495/1993, al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il pretore ill.mo contrariis reiectis, previa ogni pronuncia ed ogni accertamento, anche incidentale del caso e di legge: a) dichiarare tenuto e per l'effetto condannare l'INPS a riliquidare in favore di parte attrice, quale erede di Orlandini Ampelia, e con decorrenza dalla data dalla quale e' sorto il relativo diritto, la pensione di cui al punto 1) delle premesse di fatto del ricorso, integrando la stessa al trattamento minimo di tempo in tempo in vigore; b) dichiarare operanti in favore della dante causa di parte ricorrente il settimo comma dell'art. 6, d.-l. n. 638/1983 con conseguente ''cristallizzazione'' di quella delle pensioni menzionate in premesse non piu' integrabile al minimo nella misura percipienda de jure dalla Orlandini Ampelia alla data del 1 ottobre 1983 e cio' fino alla eventuale operativita', ex lege n. 140/1985, od in forza di altra normativa, di trattamenti pensionistici complessivamente piu' favorevoli, pure essi da liquidarsi, con applicazione, inoltre, ricorrendone le condizioni, dell'art. 22, legge 21 luglio 1965, n. 903, come risultante dopo Corte costituzionale n. 495/1993, dal momento in cui il 60% del trattamento pensionistico minimo di tempo in tempo in vigore sia risultato superiore all'importo della pensione cristallizzata (od anche di quella a calcolo, ove la cristallizzazione non fosse ritenuta operante); c) condannare, conseguentemente, l'I.N.P.S. a corrispondere alla parte attrice, quale erede di Orlandini Ampelia, tutte le differenze fra la pensione come sopra rideterminata e quella negli anni realmente goduta; oltre rivalutazione monetaria ed interessi, con la decorrenza di legge, fino al saldo effettivo; il tutto per la somma che risultera' in corso di giudizio, all'esito di apposita CTU. Con vittoria di spese, diritti ed onorari, (oltre CPA ed IVA) da distrarsi in favore del procuratore di parte attrice, che le ha anticipate". Dopo la notificazione del ricorso e del decreto, l'I.N.P.S. si costituiva in giudizio a mezzo di memoria difensiva ivi concludendo per la declaratoria di estinzione-inammissibilita' del giudizio, ai sensi del d.-l. n. 166/1996. Dopo alcuni rinvii in attesa della decisione della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' della normativa che dispone la estinzione d'ufficio dei giudizi in corso; e dopo la pubblicazione della ordinanza della Corte costituzionale n. 31/1999 venivano sollevate ancora "eccezioni di legittimita' costituzionale (di cui infra) dell'art. 1, comma 182, legge n. 662/1996; come modificato dal d.-l. 79/1997, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 140/1997 e da ultimo dall'art. 36 della legge n. 448/1998. Ha controdedotto l'I.N.P.S., sostenendo la manifesta infondatezza delle sollevate eccezioni. Ritiene il giudicante che le questioni di legittimita' costituzionale sollevate non sono manifestamente infondate. Invero, l'art. 1, comma 182, legge n. 662/1996 e l'art. 36, comma 5 della legge n. 448/1998 hanno disposto l'estinzione d'ufficio con compensazione delle spese dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore delle rispettive leggi e hanno privato di effetti i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato. Tale questione viene riproposta poiche' la Corte costituzionale non si e' pronunciata in ordine alla stessa con la citata ordinanza n. 31/1999; ne' con le successive 76 e 221/1999. A tal riguardo, giova pregiudizialmente rilevare che la questione relativa alla dichiarazione di estinzione dei giudizi, come legislativamente disposta, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale assume rilievo preliminare di carattere logico-processuale rispetto ad ogni altra possibile censura di incostituzionalita', in quanto costituente precetto ineludibile da parte del giudice (v. sent. n. 103/1995). La normativa sopra menzionata si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, poiche' con la disposta estinzione d'ufficio dei giudizi in corso viene sostanzialmente vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. Infatti, con la presunta verificatasi cessazione della materia del contendere e' precluso l'esame di tutte le domande e le eccezioni proposte (prescrizione, decadenza, limiti reddituali, ecc.); eccezioni che possono poi riemergere in sede amministrativa, nella quale pero' il pensionato si trovera' privato della tutela giurisdizionale e non piu' garantito del soddisfacimento delle sue pretese. Invero, il soddisfacimento integrale dei diritti del pensionato non puo' considerarsi essere un risultato del tutto scontato sulla base della idoneita' della normativa sopravvenuta a soddisfare le ragioni degli aventi diritto fatte valere nei giudizi in relazione al quali e' imposta l'estinzione ex lege. Ora, come ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 103 del 31 marzo 1995 (in Foro It. 1995, I, 1731), sotto tali profili, per individuare i limiti di costituzionalita' dell'intervento del legislatore nel processo, quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione occorre valutare il rapporto fra siffatto intervento e il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato per la via legislativa. E allorche' la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche se non integralmente le ragioni fatte valere in giudizio, si e' esclusa la illegittimita' costituzionale di tale ultima previsione, proprio perche' questa sarebbe coerente con il riconoscimento ex lege del diritto fatto valere. E invero, per escludersi la menomazione del diritto di azione, e' necessario e sufficiente che l'ambito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gli interessati risulti comunque "arricchito" a seguito della normativa che da' luogo alla estinzione dei giudizi. Cio' non verificandosi, come nel caso in cui lo ius superveniens non soddisfi le richieste degli interessati e si ponga in contrasto con l'interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilendo l'estinzione dei processi in corso, e si operi cosi' da parte del legislatore una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto, e' da ravvisarsi la violazione del diritto di azione, di cui all'art. 24 della Costituzione (cfr. Corte costituzionale n. 123/1987; n. 103/1995, cit. e Cass. 2 maggio 1996, ordinanza in Gazzetta Ufficiale - serie speciale, 18 dicembre 1996). Infatti, deve essere rilevato che l'art. 36 della legge n. 448/1998, sostituendo il comma 182 dell'art. 1 della legge n. 662/1996 ha disposto che sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data; contro la precedente previsione che non riconosceva alcunche' a titolo di interessi e rivalutazione. Come si vede, anche la nuova situazione normativa, sotto tale profilo, peggiora notevolmente la posizione del creditore previdenziale, poiche' nell'ambito della prescrizione decennale, sull'importo maturato alla data del 31 dicembre 1995 viene in effetti riconosciuta solo una semplice maggiorazione (onnicomprensiva) dello 0,5% annuo, in sostituzione degli interessi. La disparita' di trattamento, anche rispetto ai crediti previdenziali in genere, e' considerevole, specie ove si tenga conto che per tutto il periodo anteriore al 1 gennaio 1992 (entrata in vigore della legge n. 412/1991) sui crediti previdenziali erano dovuti interessi legali e rivalutazione, come da sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991; considerato anche il saggio d'interesse aumentato al 10% nel periodo dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 1996. Ora, dal necessario raffronto fra i dati oggettivi sopra menzionati, emerge chiaramente che il riconoscimento da ultimo operato dal legislatore e' solo formale e simbolico, dal momento che la maggiorazione prevista rapportata a L. 1.000.000 di capitale, maturato, e' pari a lire 5.000, in ragione d'anno (per un periodo di 10 anni). Tanto e' simbolico tale riconoscimento che si puo' ben dire che permane sostanzialmente la esclusione di qualsiasi accessorio come era nella previsione del comma 182 dell'art. 1 della legge n. 662/1996. Se cosi' e', non ci si puo' esimere dal richiamare, sul punto, la sentenza della stessa Corte costituzionale 23 dicembre 1998, n. 417 che ha dichiarato illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione l'art. 7, ultimo comma, legge n. 463/1959, come modificato dall'art. 12, legge n. 613/1966, nella parte in cui non prevede la corresponsione di interessi sui contributi indebitamente versati, da restituire. Ha affermato la Corte che in tal caso, il vulnus recato al principio di eguaglianza deriva non gia' dalla esclusione degli interessi legali, bensi' dalla totale esclusione di interessi, che la disciplina impugnata non riconosce neanche in misura ridotta. E, pertanto, "legittimamente il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', potrebbe decidere di quantificare gli stessi in una diversa, purche' non simbolica misura". E allora, con riferimento alla fattispecie, non si puo' non convenire, con la difesa di parte ricorrente, quando evidenzia la circostanza che lo ius superveniens non ha certo determinato un arricchimento della situazione patrimoniale dell'assicurata; bensi' un impoverimento di tale situazione attraverso il riconoscimento meramente simbolico e formale di una maggiorazione che, per la sua entita', esclude la configurabilita degli accessori di legge sulle somme maturate e come tale e' anche lesiva della dignita' umana. Sotto i profili, teste' enunciati, e' possibile anche ritenere la sussistenza della violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione poiche' la disciplina in esame viene ad incidere sfavorevolmente nel patrimonio di soggetti che appartengono a fasce sociali fra le piu' svantaggiate, avendo l'integrazione al minimo, ma anche gli accessori sugli arretrati della prestazione, la funzione di integrare la pensione quando risulti inferiore ad un minimo ritenuto necessario a soddisfare le esigenze della vita, in assenza di altri redditi (v. Corte costituzionale n. 240/1994). Gli accessori, infatti, come la pensione costituiscono credito previdenziale, quali componenti essenziali del credito principale (v. Corte costituzionale n. l56/1991). Sotto altro profilo, il dubbio di costituzionalita' investe la normativa censurata per quanto concerne ancora la disposta estinzione dei giudizi cui deve conseguire la compensazione delle spese. Il contrasto si pone non solo con riguardo agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ma anche rispetto agli artt. 102 e 113 della Costituzione, poiche' l'automatica estinzione di tutti i giudizi pendenti con la compensazione delle spese, senza che il giudice possa accertare se effettivamente, nel caso di specie sottoposto al suo esame, si sia verificata, anche se per riconoscimento ex lege, la cessazione della materia del contendere, realizza una illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera della giurisdizione; posto che, per le considerazioni sopra svolte, non e' possibile ravvisare, nella generale e astratta soluzione prospettata dalla legge, per i soggetti interessati, quel vantaggio tale da far presumere in punto di fatto soddisfatti, anche se in misura ridotta, ma pur sempre apprezzabile, i diritti azionati nelle singole cause soggette ad estinzione. Inoltre, e' a dire che il vulnus all'esercizio del diritto di azione e di difesa e l'indebita ingerenza nell'esercizio della giurisdizione e' palese anche con riguardo alla disposta compensazione delle spese del giudizio, poiche' - da un lato - si sottrae al giudice la cognizione di tale componente accessoria, ma necessaria della controversia, non potendo neanche accertare, pur sotto il profilo della soccombenza virtuale, se sussistono i presupposti per la relativa declaratoria, tenuto conto che la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e' un fenomeno di carattere sostanziale e non meramente processuale che il giudice deve poter valutare anche sotto il profilo della soccombenza virtuale. D'altro lato, non potendo il giudice decidere sulle spese, la legge finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso di fondatezza della sua domanda, a vedersi tenuto indenne dal pagamento, al proprio difensore, delle spese processuali sostenute, anche se anticipate all'avvocato, con la conseguente violazione del principio che le spese non possano gravare sulla parte che ha ragione, (come nel caso delle spese gia' anticipate) e che non ha dato causa al giudizio. Per quanto sopra, non sembra lecito dubitare che la questione di legittimita' come sollevata e' rilevante nel presente giudizio, sul quale e' destinata ad operare direttamente, avendo l'I.N.P.S. richiesto di dichiararlo estinto a spese compensate.
P. Q. M. Visto l'art.23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante per contrasto con gli artt. 3, 24 e 38, secondo comma, 102 e 113 della Costituzione, dell'art. 1, comma 182 della legge 23 dicembre 1996, come modificata dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e come sostituito dall'art. 36 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; Dispone la sospensione del presente giudizio e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso, in Parma il 7 luglio 1999. Il giudice estensore: Ferrau' 99C1011