N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 novembre 2017

Ordinanza  del  2  novembre  2017  della  Corte  di  cassazione   nel
procedimento  civile  promosso   da   Comensoli   Antonietta   contro
Commissione nazionale per le societa' e la borsa - Consob. 
 
Borsa - Abuso di informazioni privilegiate -  Illeciti  depenalizzati
  dalla legge n. 62 del 2005 commessi  anteriormente  all'entrata  in
  vigore della legge -  Trattamento  sanzionatorio  -  Applicabilita'
  della confisca per equivalente. 
- Legge 18 aprile 2005, n.  62  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
  obblighi derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
  europee. Legge comunitaria 2004), art. 9, comma 6 
(GU n.2 del 10-1-2018 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda Sezione civile 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati: 
    dott. Stefano Petitti - Presidente; 
    dott. Guido Federico - consigliere; 
    dott. Alberto Giusti - consigliere; 
    dott. Antonello Cosentino - rel. consigliere; 
    dott. Milena Falaschi - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
9302-2010 proposto da: 
        Comensoli Antonietta, elettivamente domiciliata in Roma,  via
Paolo Emilio 7, presso lo studio  dell'avvocato  Achille  Chiappetti,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Elisa  Bonzani,
Renato Sirma e Giovanni Arieta, quest'ultimo  a  seguito  di  procura
speciale rep.n. 10633 del 31 marzo 2015 in Brescia per notaio  dr.ssa
Camilla Barzellotti; ricorrente; 
    Contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa - Consob,
elettivamente domiciliato in Roma, via  G.B.  Martini  3,  presso  lo
studio dell'avvocato Fabio Biagianti, che lo  rappresenta  e  difende
unitamente  agli  avvocati  Rocco  Vampa,  Maria   Letizia   Ermetes;
controricorrenti; 
    avverso la sentenza n. 273/2009 della Corte d'appello di Brescia,
depositata il 26 febbraio 2009; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
14 settembre 2017 dal consigliere dott. Antonello Cosentino; 
    udito il pubblico ministero in persona, del sostituto procuratore
generale dott. Lucio Capasso che  ha  concluso  per  il  rigetto  del
ricorso; 
    uditi  gli  avvocati  Achille  Chiappetti  e   Giovanni   Arieta,
difensori della ricorrente, che hanno  chiesto  l'accoglimento  delle
difese depositate; 
    uditi gli avvocati Fabio Biagianti e Rocco Vampa, difensori della
controricorrente, che hanno chiesto il rigetto del ricorso. 
Premessa. 
    1. - Il Collegio e' investito dell'esame di un  ricorso  proposto
contro una  sentenza  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Brescia  ha
rigettato l'opposizione a  un  provvedimento  sanzionatorio  adottato
dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa  -  Consob  in
fattispecie  di   abuso   di   informazioni   privilegiate   commesso
dall'insider secondario. 
    Con tale provvedimento sanzionatorio la Consob  ha  applicato  la
sanzione amministrativa pecuniaria  «di  euro  705.579,  la  sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi, nonche' la confisca per equivalente di beni di  proprieta'
della sig.ra Comensoli per un valore di euro 6.592.665. 
    La violazione sanzionata e' stata commessa nell'anno 2002, quando
l'abuso  di   informazioni   privilegiate   dell'insider   secondario
costituiva reato  ai  sensi  dell'art.  180,  comma  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria - TUF). 
    La pena comminata per tale reato era la  reclusione  fino  a  due
anni e la multa da venti a seicento  milioni  di  lire.  Era  inoltre
prevista la confisca diretta dei mezzi, anche finanziari,  utilizzati
per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono  il  profitto
(salvo che essi appartenessero a persona estranea al reato). 
    L'art. 9 della legge 18 aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - legge  comunitaria  2004)  ha  depenalizzato
tale   condotta,   trasformandola   in    illecito    amministrativo;
contestualmente, riformulando l'art. 187-bis del TUF, ne ha  previsto
la punizione con una sanzione pecuniaria da euro ventimila a euro tre
milioni (sanzione poi quintuplicata  dall'art.  39,  comma  3,  della
legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante «Disposizioni per  le  tutela
del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), nonche' - ove
non  sia  possibile  la  confisca  diretta  -  con  la  confisca  per
equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF. 
    In particolare, l'art. 9, comma 6, della stessa legge n.  62  del
2005 ha aggiunto che, limitatamente agli illeciti  depenalizzati,  la
confisca per equivalente si applica anche  alle  violazioni  commesse
anteriormente all'entrata in vigore  della  legge  n.  62  del  2005,
purche' il procedimento penale non sia stato definito. 
    2. - All'esito dell'udienza pubblica svoltasi il 5  giugno  2015,
questa Corte di cassazione,  con  ordinanza  14  settembre  2015,  n.
18029, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 187-sexies del decreto legislativo n.  58  del  1998,  e  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli articoli  3,
25,  secondo  comma,  e  117,  primo   comma,   della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998 e l'art.
9, comma 6, della legge n. 62 del 2005  sono  stati  impugnati  nella
parte in cui prevedono che la confisca per  equivalente  si  applichi
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate. 
    3. - La Corte costituzionale, con sentenza n.  68  del  2017,  ha
dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale.
La Corte costituzionale ha ritenuto: 
    inammissibile la questione sollevata in  riferimento  all'art.  3
Cost., perche' priva di motivazione; 
    inammissibile la questione avente per oggetto  l'art.  187-sexies
del decreto legislativo n. 58 del 1998, perche' tale disposizione non
ha la portata  lesiva  che  il  giudice  rimettente  le  attribuisce.
Infatti - ha sottolineato il giudice  delle  leggi  -  «la  norma  in
questione si limita  a  disciplinare  la  confisca  per  equivalente,
mentre e' soltanto all'art. 9, comma 6, della legge n.  62  del  2005
che va  attribuita  la  scelta  del  legislatore  di  rendere  questo
istituto di applicazione retroattiva, dando cosi' luogo al dubbio  di
costituzionalita' che ha animato il giudice a quo»; 
    inammissibile la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, perche' basata  «su  un  erroneo
presupposto interpretativo», ossia «sulla base di una  considerazione
parziale della complessa vicenda normativa verificatasi nel  caso  di
specie». L'ordinanza di rimessione ha «omesso  di  tenere  conto  del
fatto che la natura penale, ai sensi dell'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, del  nuovo  regime  punitivo  previsto  per  l'illecito
amministrativo   comporta   un   inquadramento   della    fattispecie
nell'ambito della successione delle leggi  nel  tempo  e  demanda  al
rimettente il compito di verificare in concreto  se  il  sopraggiunto
trattamento  sanzionatorio,  assunto  nel  suo  complesso  e   dunque
comprensivo della confisca per equivalente, si renda,  in  quanto  di
maggior favore, applicabile al fatto pregresso,  ovvero  se  esso  in
concreto denunci un carattere maggiormente  afflittivo.  Soltanto  in
quest'ultimo caso, la cui  verificazione  spetta  al  giudice  a  quo
accertare e adeguatamente motivare, potrebbe venire in considerazione
un dubbio sulla legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma  6,
della legge n. 62 del 2005, nella  parte  in  cui  tale  disposizione
prescrive  l'applicazione  della  confisca  di  valore  e  assoggetta
pertanto il reo a una sanzione penale, ai  sensi  dell'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, in concreto piu' gravosa di quella che sarebbe
applicabile in base alla legge vigente  all'epoca  della  commissione
del fatto». 
    4. - Ripreso il processo e discussa la causa all'udienza  del  14
settembre 2017, con la presente ordinanza di rimessione la  Corte  di
cassazione propone, nell'ambito dello  stesso  giudizio  a  quo,  una
nuova  questione  di  legittimita'  costituzionale,  nei  termini  di
seguito precisati, limitandola all'art. 9, comma 6, della legge n. 62
del  2005,  reimpostando  il  petitum  e  integrando  la  motivazione
dell'ordinanza di  rinvio  si'  da  eliminare  i  vizi  e  le  lacune
riscontrati  dalla  Corte  costituzionale,  e  che  avevano  impedito
l'esame nel merito del dubbio sollevato. 
Descrizione dei fatti di causa 
    1. - In data  8  gennaio  2003  il  Presidente  della  Consob  ha
segnalato alla Procura della Repubblica di Milano il  presunto  reato
di abuso di informazioni privilegiate  -  di  cui  all'art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998 - per avere Emilio Gnutti, Ornella
Pozzi, Maurizia Gallia, Ennio  Barozzi,  Romeo  Liberini,  Antonietta
Comensoli e Osvaldo Savoldi acquistato obbligazioni Unipol  2000-2005
2,25% e Unipol 2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. 
    Il Tribunale di Milano, con sentenza  n.  10597  del  19  ottobre
2005, ha prosciolto gli imputati (ad eccezione di Emilio  Gnutti)  in
ragione della  depenalizzazione  del  reato  contestato,  avvenuta  a
seguito dell'entrata in vigore della legge  n.  62  del  2005,  e  ha
trasmesso gli atti alla Consob. 
    La Consob, ritenuta  accertata  la  violazione  di  cui  all'art.
187-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 1998,  dopo  aver
disposto a carico di Antonietta Comensoli la misura del sequestro  di
beni di sua pertinenza, fino al raggiungimento del valore equivalente
al prodotto dell'illecito, ha applicato a carico  della  medesima  la
sanzione amministrativa  pecuniaria  di  euro  705.579,  la  sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187- quater del decreto legislativo n. 58 del 1998,
nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies dello stesso TUF, la  confisca
di beni di sua proprieta' per un valore di euro 6.592.665. 
    2. - Antonietta Comensoli ha proposto  opposizione  dinanzi  alla
Corte d'appello di Brescia; la Consob si e' costituita e  ha  chiesto
il rigetto dell'opposizione. 
    3. - Con sentenza depositata il 26 febbraio 2009,  l'adita  Corte
d'appello ha rigettato l'opposizione. 
    La Corte territoriale ha escluso che  la  depenalizzazione  abbia
portato  ad  un  aggravio  della  sanzione  applicata   alla   sig.ra
Comensoli,  rilevando  che  la  nuova  disciplina,  conseguente  alla
riforma del  2005,  e'  piu'  favorevole  rispetto  alla  precedente,
giacche' la condotta integra un illecito  amministrativo  punito  con
una sanzione amministrativa pecuniaria e non piu' un delitto  per  il
quale era prevista anche  la  pena  della  reclusione.  La  Corte  di
Brescia   ha    altresi'    escluso    l'incostituzionalita'    della
retroattivita' della confisca per equivalente, e  cio'  data  la  sua
natura amministrativa. I principi di legalita' e di  irretroattivita'
- hanno affermato i giudici di appello - sono  oggetto  di  copertura
costituzionale  soltanto  per   la   materia   penale,   sicche'   il
legislatore,  quanto   all'illecito   depenalizzato   di   abuso   di
informazioni privilegiate, ben  puo'  prevedere  lo  strumento  della
confisca per equivalente anche per i  comportamenti  precedenti  alla
entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, non  configurandosi  in
tal modo nessuna violazione della legge 24 novembre 1981, n. 689. 
    4. - Per La  Cassazione  della  sentenza  della  Corte  d'appello
Antonietta Comensoli ha proposto ricorso, affidato a otto motivi. 
    La Consob ha resistito con controricorso. 
    Entrambe le parti hanno depositato memoria difesiva. 
    5. - Con il primo motivo di ricorso Antonietta Comensoli denuncia
violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 11 della  legge
n. 689 del 1981 e dell'art. 187-bis, comma 5, del decreto legislativo
n. 58 del 1998, cosi' come introdotto dall'art. 9 della legge  n.  62
del 2005. Nel ritenere legittima  la  sanzione  pecuniaria  applicata
dalla  Consob,  la  Corte  d'appello  avrebbe  addebitato  a  ciascun
incolpato la complessiva operazione di acquisto  delle  obbligazioni,
cosi'  prescindendo  dal  piano  individuale  di  valutazione   della
gravita' della condotta e dell'elemento soggettivo,  apprezzando  una
gravita' d'insieme della  condotta  in  spregio  al  principio  della
responsabilita'  personale  e  della  rilevanza  della   personalita'
dell'agente  e  delle  sue  condizioni  economiche  ai   fini   della
determinazione della sanzione. 
    Con il secondo motivo la Comensoli denuncia  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-bis del  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, in relazione agli articoli 3, 5 e 12 della  legge  n.  689  del
1981, nonche' omessa e contraddittoria  motivazione.  La  censura  si
riferisce  alla  dichiarata  sussistenza,  da   parte   della   Corte
d'appello, di un concorso di persone nel medesimo  illecito,  pur  se
nella ricostruzione della vicenda la stessa Corte ha rilevato che  le
condotte significative erano state poste  in  essere  prevalentemente
dalla Gallia (assistente di Gnutti). In sostanza, la Corte  d'appello
si sarebbe  limitata  a  indagare  in  ordine  alla  unitarieta'  del
contesto temporale  e  spaziale  nel  quale  maturarono  gli  eventi,
desumendone la sostanziale riferibilita' della condotta ad  un  unico
agente, ma imputando l'illecito a piu' persone in  asserito  concorso
tra loro. 
    Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione  e
falsa applicazione degli articoli 117 e 97 Cost.  con  riguardo  alla
direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio;  solleva
altresi' questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  187-bis
del decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione degli articoli
117 e 97 Cost., in relazione alla direttiva 2003/6/CE del  Parlamento
europeo e del Consiglio, con relativa  istanza  di  rimessione  della
questione  alla   Corte   costituzionale,   nonche'   contraddittoria
motivazione sul punto. La ricorrente si duole del fatto che la  Corte
d'appello  abbia  ritenuto  «congrua  e  adeguata»  la  misura  della
sanzione pecuniaria irrogata dalla Consob in suo danno e sostiene che
vi sarebbe stata la violazione dei principi del diritto  comunitario,
vincolanti per il giudice nazionale ex art. 117, primo  comma,  Cost.
In particolare, la  ricorrente  rileva  che,  nel  mentre  la  citata
direttiva prescrive che le sanzioni siano sufficientemente dissuasive
e che a tal fine debbano essere  proporzionate  alla  gravita'  della
violazione  e  agli  utili  realizzati  e   applicate   coerentemente
(considerando  n.  38)  e  tiene  distinte  le  ipotesi  in  cui   la
provenienza dell'informazione sia legata a una professione  o  a  una
funzione e quella in cui la fonte sia connessa  allo  svolgimento  di
attivita' criminali (considerando n. 17), ovvero ancora l'ipotesi  in
cui l'abuso delle informazioni venga  effettuato  sapendo  o  dovendo
sapere del loro  carattere  privilegiato  (considerando  n.  18),  il
legislatore  nazionale  avrebbe  accomunato  nell'unico   trattamento
sanzionatorio piu' condotte di  abuso  di  informazioni  privilegiate
diverse tra loro. L'art. 187-bis del TUF -  rileva  la  ricorrente  -
prevede la medesima sanzione edittale  per  l'insider  primario,  per
l'insider in grado di operare a seguito di attivita' delittuose,  per
gli insider secondari che agiscono con la consapevolezza della natura
privilegiata della informazione della  quale  dispongono  e  per  gli
insider secondari che agiscono con colpa, dovendo conoscere  in  base
all'ordinaria diligenza il carattere privilegiato della informazione.
Inoltre, a tutte le categorie considerate viene applicato  lo  stesso
regime di aggravamento della sanzione (comma 5). 
    Con il quarto mezzo la  ricorrente  lamenta  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del  decreto  legislativo
n. 58 del 1998, per avere la Corte d'appello disatteso  il  principio
tempus regit  actum,  avendo  applicato  retroattivamente  l'istituto
della confisca per equivalente di cui  all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, vale a dire una normativa meno  favorevole  per
l'autore della condotta rispetto a quella vigente  al  momento  della
commissione del fatto. 
    Il quinto motivo riguarda  la  violazione  e  falsa  applicazione
degli articoli 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del
1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62  del  2005,  anche  in
relazione agli articoli 3 e 25 Cost. Con esso la ricorrente eccepisce
l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli
187-sexies, comma 2, del TUF e dell'art. 9, comma 6, della  legge  n.
62 del 2005, in relazione agli articoli 3 e 25 Cost. e  all'art.  117
Cost., per violazione dell'art. 7 della Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Secondo la ricorrente, la confisca per  equivalente  difetterebbe
della finalita' di prevenzione  tipica  delle  misure  di  sicurezza,
essendo diretta a privare il reo  di  qualsiasi  beneficio  economico
derivante  dal  comportamento  criminoso,   aggredendo   anche   beni
manchevoli del carattere della pericolosita' e della  pertinenza  con
l'illecito stesso. 
    Con il  sesto  motivo  di  ricorso  la  sig.ra  Comensoli  deduce
violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge  n.  689  del
1981 ed  eccepisce  l'illegittimita'  costituzionale  degli  articoli
187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58  del  1998,  e  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, per violazione dell'art. 3 Cost.
e dei principi di ragionevolezza, legalita' e irretroattivita'  delle
sanzioni amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del 1981. 
    Il settimo mezzo concerne  la  denuncia  di  violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma  2,
del decreto legislativo  n.  58  del  1998,  anche  in  relazione  ai
principi sanciti nella direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e
del   Consiglio;   con   esso   viene    eccepita    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del
1998, anche in combinato disposto con  l'art.  187-bis  dello  stesso
decreto legislativo, per violazione dell'art. 117 Cost. 
    Con l'ottavo motivo  di  ricorso  la  sig.ra  Comensoli  denuncia
violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  187-bis  del   decreto
legislativo n. 58 del 1998, anche in combinato  disposto  con  l'art.
187-sexies, comma 2, TUF, in relazione all'art.  14  della  direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;  solleva  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-sexies  del  decreto
legislativo n. 58 del 1998, anche in combinato disposto con il citato
art. 187-bis, per violazione degli articoli  117,  3  e  97  Cost.  A
conclusione del motivo il ricorrente formula il  quesito  di  diritto
se, in sede di determinazione della sanzione dell'illecito  di  abuso
di informazioni privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico
della finanza, l'autorita' irrogante debba attenersi -  alla  stregua
di quanto disposto dall'art. 14 della direttiva 2003/6/CE - anche  al
rispetto  del  criterio  della  proporzionalita'  delle  sanzioni  in
concreto applicate e se queste  ultime  debbano  intendersi  come  il
complesso delle penalita' amministrative  irrogate  all'insider,  ivi
compresa la misura della confisca per equivalente. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. - Con il provvedimento sanzionatorio adottato dalla Consob  e'
stata applicata, oltre alla  sanzione  amministrativa  pecuniaria  di
euro 705.579  e  alla  sanzione  accessoria  dell'interdizione  dagli
uffici direttivi per  un  periodo  di  nove  mesi,  la  misura  della
confisca per equivalente di beni di proprieta' della sig.ra Comensoli
per un valore di euro  6.592.665,  giudicata  legittima  dalla  Corte
d'appello. 
    Tra i motivi di ricorso per cassazione vi  e'  la  illegittimita'
dell'applicazione  della  misura  della  confisca  per   equivalente,
introdotta dalla legge n. 62 del 2005, perche'  i  fatti  sono  stati
commessi in epoca anteriore all'entrata in vigore di tale legge. 
    La premessa da cui muove la ricorrente e'  che  la  confisca  per
equivalente abbia natura, non di misura di  sicurezza  con  finalita'
preventive, ma di misura con connotati  sostanzialmente  sanzionatori
afflittivi, sicche' la stessa non potrebbe  trovare  applicazione  se
non con riguardo a illeciti amministrativi commessi dopo  la  entrata
in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005;  essa   sarebbe   quindi
inapplicabile nel caso di  specie,  in  quanto  i  fatti  di  insider
trading contestati sono stati commessi nel 2002. 
    2.  -  Il  Collegio  esclude  di  poter  giungere  gia'  in   via
interpretativa  a  dichiarare  l'illegittimita'  della  misura  della
confisca. 
    Infatti,  la  pretesa  del  ricorrente  di   affermare   la   non
applicabilita', nel caso di specie, della confisca per equivalente di
cui  all'art.  187-sexies  del  TUF,  trova  un  ostacolo   letterale
insuperabile nella disposizione di cui all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, il quale prevede espressamente l'applicabilita'
delle disposizioni della parte  V,  titolo  I-bis,  del  testo  unico
approvato con il decreto legislativo  n.  58  del  1998  «anche  alle
violazioni commesse anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo  procedimento
penale non sia stato definito». 
    3. - Ritiene questo giudice a quo che  nondimeno  si,  ponga,  in
riferimento agli articoli 3, 25, secondo  comma,  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, un dubbio di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in cui  prevede  che
la confisca per equivalente, disciplinata  dall'art.  187-sexies  del
TUF, si applica, allorche'  il  procedimento  penale  non  sia  stato
definito, anche alle violazioni commesse anteriormente alla  data  di
entrata in vigore' della stessa legge n.  62  del  2005  -che  le  ha
depenalizzate  introducendo  l'autonomo  illecito  amministrativo  di
abuso di informazioni privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis
del TUF - e cio' pur quando il  complessivo  trattamento  sanzionato;
rio generato attraverso la  depenalizzazione  sia  in  concreto  meno
favorevole di quello  applicabile  in  base  alla  legge  vigente  al
momento della commissione del fatto. 
    4.  -  Occorre  premettere  che  la  misura  della  confisca  per
equivalente in questione ha un contenuto sostanzialmente  afflittivo,
che eccede la finalita' di  prevenire  la  commissione  di  illeciti,
perche' non colpisce  beni  in  «rapporto  di  pertinenzialita'»  con
l'illecito. 
    La giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte e' univoca
in tal senso con  riferimento  alle  disposizioni  che  prevedono  la
confisca per equivalente quale misura  applicabile  a  seguito  della
commissione di specifici  reati  per  i  quali  la  detta  misura  e'
espressamente prevista. Cassazione pen., Sez. II, n. 31988  del  2006
ha cosi' affermato  che,  nel  caso  in  cui  il  delitto  di  truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche sia costituito
da piu' violazioni commesse prima e dopo l'entrata  in  vigore  della
legge che ha previsto per detto reato l'applicazione  della  confisca
per equivalente, questa  misura  puo'  riguardare  esclusivamente  le
violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore della legge
stessa. In questa medesima direzione, Cassazione pen.,  Sez.  U.,  n.
18374  del  2013  ha  affermato  che  la  confisca  per  equivalente,
introdotta per i reati tributari dall'art. 1, comma 143, della  legge
n. 244 del 2007, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non
essendo estensibile ad essa  la  regola  dettata  per  le  misure  di
sicurezza dall'art. 200  codice  penale,  non  si  applica  ai  reati
commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge citata. 
    Soprattutto, e' la giurisprudenza della  Corte  costituzionale  a
riconoscere la natura prevalentemente afflittiva e  sanzionatoria  di
questa peculiare forma di confisca. Le ordinanze n. 97 del 2009 e  n.
301 del 2009 hanno infatti affermato che la confisca per  equivalente
prevista dall'art.  322-ter  codice  penale  non  puo'  avere  natura
retroattiva, perche' - «in ragione della  mancanza  di  pericolosita'
dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all'assenza  di  un
'rapporto di pertinenzialita' (inteso come nesso diretto,  attuale  e
strumentale) tra il reato ed  i  beni»  -  da'  luogo  a  una  misura
«'eminentemente sanzionatoria', tale da impedire  l'applicabilita'  a
tale misura patrimoniale del principio generale della  retroattivita'
delle misure di sicurezza, sancito dall'art. 200 codice penale». E  -
con specifico riferimento  alla  confisca  per  equivalente  prevista
dall'art. 187-sexies del TUF - la sentenza n. 68  del  2017  ha  gia'
statuito che «[essa] si applica a beni  che  non  sono  collegati  al
reato da un  nesso  diretto,  attuale  e  strumentale,  cosicche'  la
privazione imposta al reo risponde  ad  una  finalita'  di  carattere
punitivo, e non preventivo», precisando che «lo stesso legislatore si
mostra consapevole del tratto afflittivo  e  punitivo  proprio  della
confisca  per  equivalente,   al   punto   da   non   prevederne   la
retroattivita' per i fatti che continuano a  costituire  reato  (art.
187 del decreto legislativo n. 58 del 1998)». 
    4.1. -  La  soluzione,  ad  avviso  del  Collegio,  non  muta  in
considerazione  del  fatto  che,  nella  specie,  la   confisca   per
equivalente e' prevista quale sanzione  accessoria  per  un  illecito
amministrativo. 
    Infatti, alla confisca per equivalente  prevista  per  l'illecito
amministrativo di abuso  di  informazioni  privilegiate  deve  essere
assegnata natura  penale  ai  sensi  dell'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, in quanto essa  svolge  «con  tratti  di  significativa
afflittivita' una funzione punitiva» - (Corte cost., sentenza  n.  68
del 2017). 
    Del  resto,  le  nozioni  di  sanzione  penale  e   di   sanzione
amministrativa non possono essere desunte, semplicemente,  dal  nomen
iuris utilizzato  da  legislatore,  ne'  dall'autorita'  chiamata  ad
applicarla, ma devono essere  ricavate,  in  concreto,  tenuto  conto
delle finalita' e della portata del precetto sanzionatorio  di  volta
in volta contemplato. La preoccupazione di evitare che singole scelte
compiute  da  taluni   degli   Stati   aderenti   alla   Convenzione,
nell'escludere che un determinato  illecito  ovvero  una  determinata
sanzione  restrittiva   appartengano   all'ambito   penale,   possano
determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che
la Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali riserva alla materia penale, e' alla base
dell'indirizzo interpretativo che, fin dalle sentenze 8 giugno  1976,
Engel c. Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania,  ha
portato la Corte europea dei diritti  dell'uomo  all'elaborazione  di
propri  criteri,  in   aggiunta   a   quello   della   qualificazione
giuridico-formale  attribuita  nel  diritto  nazionale,  al  fine  di
stabilire la natura penale o meno di un  illecito  e  della  relativa
sanzione.  Tali  criteri  sono  stati  individuati  nella   rilevante
severita' della sanzione, nell'elevato importo di questa inflitto  in
concreto  e  comunque  astrattamente  irrogabile,  nelle  complessive
ripercussioni  sugli  interessi  del  condannato,   nella   finalita'
sicuramente repressiva. 
    E, proprio in applicazione  di  quei  criteri,  la  stessa  Corte
europea (sentenza  307A/1995,  Welch  c.  Regno  Unito)  ha  ritenuto
assistita dalla garanzia dell'art. 7 della Convenzione l'applicazione
di una confisca  di  beni  riconducibile  proprio  ad  un'ipotesi  di
confisca per equivalente; e (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c.
Italia) ha riconosciuto carattere penale alle  sanzioni  per  insider
trading qualificate dal nostro diritto interno come amministrative. 
    Va inoltre ricordato che la Corte costituzionale, con riferimento
all'applicazione retroattiva di disposizioni che introducono sanzioni
amministrative, ha richiamato, con la sentenza n. 104  del  2014,  il
principio, gia' enunciato dalla sentenza n. 196 del 2010, secondo  il
quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono  essere
soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in  senso
stretto. Si tratta di un principio di derivazione  convenzionale,  ma
desumibile anche dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.:  infatti,  il
precetto costituzionale - data l'ampiezza della  sua  formulazione  -
«puo'   essere   interpretato   nel   senso   che   ogni   intervento
sanzionatorio, il quale non  abbia  prevalentemente  la  funzione  di
prevenzione criminale (e quindi non  sia  riconducibile  -  in  senso
stretto - a vere e  proprie  misure  di  sicurezza),  e'  applicabile
soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente  al  momento
della commissione del fatto sanzionato» (sempre sentenze n.  196  del
2010 e n. 104 del 2014). 
    Deve  inoltre  aggiungersi  che,  come  ha  chiarito   la   Corte
costituzionale (sentenze n. 49 del 2015, n. 68 del 2017 e n. 109  del
2017), le sanzioni che il legislatore costruisce come  amministrative
restano tali nel nostro ordinamento, ma sono ulteriormente  assistite
dalle garanzie previste dall'art. 7 della Convenzione europea per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  ove
abbiano carattere sostanzialmente penale alla luce della Convenzione.
L'adozione di criteri sostanziali per la  definizione  della  materia
penale e' funzionale ad una piu' ampia garanzia dell'individuo:  essa
si  muove  infatti  «nel   segno   dell'incremento   delle   liberta'
individuali, e mai del loro detrimento (...),  come  invece  potrebbe
accadere  nel  caso  di  un  definitivo  assorbimento   dell'illecito
amministrativo  nell'area  di  cio'  che  e'  penalmente   rilevante»
(sentenza n. 68 del 2017). 
    5.  -  Ad  avviso   del   Collegio,   e'   l'intero   trattamento
sanzionatorio  introdotto  dalla  legge   di   depenalizzazione   per
l'illecito amministrativo di abuso di  informazioni  privilegiate  di
cui al nuovo art. 187-bis del TUF a rivestire natura  sostanzialmente
penale, integrando esso i caratteri di afflittivita' delineati  dalla
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  dato
l'elevato importo della sanzione prevista. 
    6. - Ritiene questo giudice a quo che la confisca per equivalente
sia  legittimamente  applicabile  ai  fatti  pregressi  di  abuso  di
informazioni   privilegiate,   senza   dar   luogo   a    dubbi    di
costituzionalita', solo quando il nuovo trattamento sanzionatorio per
l'illecito   depenalizzato,    complessivamente    e    unitariamente
considerato, possa  ritenersi  non  peggiorativo  rispetto  a  quello
precedentemente previsto. 
    Invero,  come  ha  chiarito  la  Corte  costituzionale   con   la
richiamata  sentenza  n.  68  del  2017,  «il  passaggio  dal   reato
all'illecito  amministrativo,  quando  quest'ultimo  conserva  natura
penale   ai   sensi   dell'art.   7   della   Convenzione,   permette
l'applicazione retroattiva del nuovo regime punitivo soltanto  se  e'
piu' mite di quello precedente. In tal caso, infatti, e solo  in  tal
caso, nell'applicazione di una pena sopravvenuta, ma in concreto piu'
favorevole,  non  si  annida  alcuna  violazione   del   divieto   di
retroattivita', ma una scelta in favore del reo». Non  in  ogni  caso
e', quindi, costituzionalmente vietato applicare retroattivamente  la
confisca per equivalente. 
    «Infatti,  qualora  il  complessivo   trattamento   sanzionatorio
generato attraverso la depenalizzazione, nonostante la previsione  di
tale  confisca,  fosse  in  concreto  piu'   favorevole   di   quello
applicabile in base  alla  pena  precedentemente  comminata,  non  vi
sarebbero  ostacoli  costituzionali  a  che  esso  sia  integralmente
disposto». 
    6.1. - Il dubbio di legittimita'  costituzionale  risiede  invece
nella previsione  di  applicabilita'  -  assoluta,  incondizionata  e
inderogabile  -  della  confisca  per  equivalente,  quand'anche   il
complessivo risultato sanzionatorio risultante dalla riforma  sia  in
concreto meno favorevole per il trasgressore rispetto  a  quello  che
sarebbe applicabile  in  base  alla  legge  vigente  all'epoca  della
commissione del fatto. 
    7.  -  Al  fine  di  stabilire  quale  sia  il  trattamento  piu'
favorevole in tema di successione di leggi incriminatrici nel  tempo,
la giurisprudenza penale di questa  Corte  ha  enunciato  i  seguenti
principi: 
    la disposizione piu' favorevole deve essere  individuata  tenendo
conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e specifici
aspetti della stessa (Cass. pen., Sez. III,  sentenza  n.  14198  del
2016); 
    deve aversi riguardo  al  complessivo  trattamento  sanzionatorio
scaturente dall'applicazione della legge  preesistente  o  di  quella
sopravvenuta senza che si possa procedere ad una  combinazione  delle
disposizioni piu'  favorevoli  della  nuova  legge  con  quelle  piu'
favorevoli della vecchia, in quanto cio' comporterebbe  la  creazione
di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella  in
vigore, occorrendo invece applicare integralmente  quella  delle  due
che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla  vicenda  concreta
oggetto di giudizio, piu' vantaggiosa per il reo  (Cass.  pen.,  Sez.
III, n. 23274 del 2004); 
    l'individuazione del regime di maggior favore per il reo ai sensi
dell'art. 2 codice penale deve essere operata in concreto, comparando
le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo (Cass.  pen.,
Sez. IV, n. 49754 del 2014). 
    7.1. - Va precisato che il principio  dell'efficacia  retroattiva
della norma sopravvenuta piu' favorevole implica che, qualora  questa
sia in concreto meno  favorevole,  debba  applicarsi  la  precedente,
ancorche' non piu' in vigore. 
    Cio' non puo' accadere nel caso della  depenalizzazione,  perche'
all'autorita'  amministrativa  non  e'  consentito  in   alcun   modo
applicare la sanzione penale, anche se  in  ipotesi  piu'  favorevole
rispetto a quella amministrativa (sostanzialmente penale). 
    Inoltre,  il  giudice  penale,  in  presenza  di  un'ipotesi   di
successione  di  leggi  penali  nel  tempo,  nell'individuare   quale
trattamento in concreto si  presenti  piu'  favorevole,  deve  tenere
conto di tutti gli istituti  propri  del  diritto  penale,  quali  la
sospensione  condizionale  della  pena,  la  conversione  della  pena
detentiva in pena pecuniaria, l'indulto, la prescrizione del reato. 
    Nel  caso  in  esame,  pertanto,  il  confronto  tra  le  diverse
discipline non puo' che assumere un carattere peculiare,  trattandosi
di  ordinamenti  sanzionatori  diversi,  l'uno   penale   e   l'altro
amministrativo, che possono essere  posti  sullo  stesso  piano  solo
perche' il secondo va considerato sostanzialmente penale alla stregua
della convenzione EDU. 
    7.2. - Ora, ponendo a raffronto  i  due  quadri  sanzionatori  in
successione, emerge quanto segue. 
    Il complessivo trattamento sanzionatorio per il delitto di  abuso
di informazioni privilegiate, previsto al momento  della  commissione
del fatto dall'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del  1998,  era
della reclusione fino a due anni, congiunta con la multa da  venti  a
seicento milioni di lire, cui doveva aggiungersi la confisca soltanto
in forma diretta. 
    La condanna,  inoltre,  ai  sensi  ai  sensi  dell'art.  182  del
medesimo  decreto  legislativo  n.  58  del  1998  (allora  vigente),
comportava sempre l'applicazione delle pene accessorie previste dagli
articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter codice penale  per  una  durata  non
inferiore a  sei  mesi  e  non  superiore  a  due  anni,  nonche'  la
pubblicazione della sentenza su almeno due  quotidiani,  di  cui  uno
economico, a diffusione nazionale. 
    Era  prevista,  inoltre,  la  possibilita'  per  il  giudice   di
aumentare  la  multa  fino  al  triplo  quando,  per   la   rilevante
offensivita'  del  fatto,  le  qualita'  personali  del  colpevole  o
l'entita' del profitto che ne era derivato, essa appariva  inadeguata
anche se applicata nel massimo. 
    Il trattamento sanzionatorio di cui all'art. 9 della legge n.  62
del 2005 consiste, invece, nella sanzione  amministrativa  pecuniaria
da euro ventimila a euro tre milioni  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo  n.  58  del  1998  (non  potendosi  tener  conto
dell'ulteriore modifica apportata dall'art. 39, comma 3, della  legge
n. 262 del 2005 che ha quintuplicato la sanzione). 
    Anche in questo caso il comma 5 del citato art.  187-bis  prevede
che le sanzioni possano essere aumentate fino al  triplo  o  fino  al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto  conseguito
dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito,
esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. 
    Inoltre ai sensi dell'art. 187-quater del decreto legislativo  n.
58 del 1998 sono previste le sanzioni amministrative accessorie della
perdita temporanea dei requisiti di onorabilita'  per  gli  esponenti
aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle
societa' di  gestione  del  mercato,  nonche'  per  i  revisori  e  i
promotori finanziari e,  per  gli  esponenti  aziendali  di  societa'
quotate,  dell'incapacita'  temporanea  ad  assumere   incarichi   di
amministrazione,  direzione  e  controllo  nell'ambito  di   societa'
quotate e di societa' appartenenti al  medesimo  gruppo  di  societa'
quotate per una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre
anni. 
    Infine, ai sensi del  successivo  art.  187-sexies,  e'  prevista
l'ulteriore sanzione accessoria della confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e  dei  beni  utilizzati  per  commetterlo  e,
qualora non sia possibile eseguire  tale  confisca,  la  stessa  puo'
avere ad oggetto somme di denaro, beni o  altre  utilita'  di  valore
equivalente. 
    7.2. - Nei fenomeni di depenalizzazione  finora  non  si  e'  mai
posto il problema dell'applicabilita' del principio di retroattivita'
della norma piu' favorevole: essendosi, da un lato,  sempre  ritenuto
che tale principio non trovi applicazione nel  campo  delle  sanzioni
amministrative, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 689 del  1981,  e
presumendosi,   dall'altro,   che   il   trattamento    sanzionatorio
successivo, per la sua stessa natura amministrativa,  sia  sempre  da
considerare piu' favorevole  rispetto  a  quello  precedente,  avente
natura penale. 
    Anche in questo caso, con l'art. 9, comma 6, della  legge  n.  62
del 2005, il legislatore ordinario muove  dalla  presunzione  che  la
sanzione amministrativa sia sempre piu' favorevole di quella  penale,
perche'  soltanto  quest'ultima  ha  un  contenuto  stigmatizzante  e
normalmente ha o puo' avere un'incidenza sulla liberta' personale. 
    Ma si tratta di una postulato che non e' esatto  in  assoluto,  e
che non lo e' nell'ipotesi all'esame del Collegio rimettente. 
    L'affermazione secondo la quale la  pena  detentiva  deve  sempre
considerarsi come piu' gravosa rispetto  a  quella  pecuniaria  trova
significative eccezioni nei casi in cui la stessa pena detentiva  non
possa  essere  eseguita  per  effetto  dell'applicazione   di   altri
istituti, come, ad esempio, la sospensione condizionale della pena ex
art. 163 e ss. codice penale  Secondo  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, infatti, in tema di successione di leggi penali, con  riguardo
ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace (nella specie
si  trattava  del  delitto  di  lesioni),  non  puo'  applicarsi   il
trattamento  sanzionatorio  previsto   dall'art.   52   del   decreto
legislativo n. 274 del 2000, ancorche' in  linea  di  principio  piu'
favorevole, qualora sia stata concessa  la  sospensione  condizionale
della  pena,  in   quanto   il   successivo   art.   60,   escludendo
esplicitamente la concessione del beneficio della pena sospesa, rende
in concreto le nuove disposizioni meno favorevoli all'imputato (Cass.
pen., Sez. V, n. 7215 del 2006; Cassazione pen., Sez. V, n. 46793 del
2004). 
    7.3. - Deve precisarsi che, nella specie, non emerge  dagli  atti
l'esistenza di situazioni impeditive  della  concessione,  in  favore
della ricorrente, della sospensione condizionale della pena. 
    Dunque, nei suoi confronti, la pena  detentiva  di  due  anni  di
reclusione era ragionevolmente destinata a rimanere  condizionalmente
sospesa, e quindi non eseguita, o, qualora fosse rimasta  nel  limite
di sei mesi, ad essere convertita in pena pecuniaria  in  una  misura
estremamente  ridotta  (secondo  il  criterio  di  ragguaglio  allora
vigente). 
    Inoltre la ricorrente avrebbe potuto beneficiare dell'indulto  di
cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Tutto cio' premesso, dal punto di vista della ricorrente,  se  si
guarda alla reale carica di afflittivita' della sanzione, e'  agevole
rendersi conto che questa si e' vista. sottratta la  possibilita'  di
usufruire del beneficio della  sospensione  condizionale  della  pena
(che si estende anche alle pene accessorie), della conversione  della
pena detentiva in pena pecuniaria (che avrebbe portato ad  una  multa
inferiore perfino rispetto a quella inflittagli con la sola  sanzione
amministrativa pecuniaria applicata in via  principale,  senza  tener
conto  della  ulteriore  sanzione  accessoria  della   confisca   per
equivalente),  e  dell'indulto;  soprattutto,  alla  fattispecie  non
sarebbe stata applicabile la sanzione accessoria della  confisca  per
equivalente ex art. 186-sexies del TUF. 
    Nei suoi confronti, dunque, l'applicazione della sanzione  penale
in concreto sarebbe stata  piu'  favorevole  rispetto  alla  sanzione
pecuniaria amministrativa irrogata, oggetto di certa riscossione,  di
ammontare  massimo  notevolmente  superiore  e,  si  ribadisce,   con
l'aggiunta di una sanzione accessoria del tutto nuova,  imprevedibile
ed estremamente gravosa quale quella della confisca  per  equivalente
per un valore pari a euro 6.592.665. 
    Per il  trasgressore  incensurato,  pertanto,  l'applicazione  ai
fatti pregressi della nuova ipotesi della  confisca  per  equivalente
determina un trattamento sanzionatorio per  l'illecito  depenalizzato
complessivamente piu' sfavorevole. 
    7.4. - Questa valutazione trova conferma nel  trattamento  penale
applicato al concorrente nel reato, Emilio Gnutti, insider  primario,
il quale ha riferito la notizia privilegiata all'odierna ricorrente. 
    Come risulta  dalla  documentazione  prodotta  dalla  difesa  del
ricorrente   -   ammissibile   in   quanto    rilevante    ai    fini
dell'individuazione in concreto del  trattamento  piu'  favorevole  -
Gnutti e' stato condannato con sentenza del Tribunale di  Milano  del
25 ottobre 2006 alla pena della reclusione di sei mesi e al pagamento
di euro 100.000 di multa con pena sospesa. Questa pronuncia e'  stata
parzialmente riformata dalla  Corte  d'appello  di  Milano  che,  con
sentenza pronunciata in data  12  novembre  2007  sull'accordo  delle
parti, ritenuta la continuazione tra i fatti oggetto del  giudizio  e
altri reati giudicati con pregressa sentenza della Corte d'appello di
Brescia irrevocabile dal 10 luglio  2006,  ha  rideteminato  la  pena
complessiva a suo carico in euro 140.520  di  multa,  ferma  la  pena
accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici  e  dagli
uffici direttivi delle persone  giuridiche  e  della  incapacita'  di
contrattare con la pubblica amministrazione per un anno e  due  mesi.
La pena e' stata calcolata partendo da una pena base di mesi  sei  di
reclusione - reclusione convertita, ai sensi dell'art.  53  legge  n.
689 del 1981, in 6.840 euro di multa e aumentata fino ad euro 20.520,
pari al triplo della  pena  convertita  ex  articoli  133-bis  codice
penale, 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 e  180,  comma
4, decreto legislativo n. 58 del 1998 - ed euro 120.000 di multa. 
    La stessa Corte d'appello, successivamente, in sede di' incidente
di esecuzione, ha ridotto la suddetta pena a 10.000 euro di multa, in
applicazione dell'indulto di cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Pertanto,    il     complessivo     trattamento     sanzionatorio
dell'originario  concorrente  nel  reato,  Emilio   Gnutti,   si   e'
concretizzato nella complessiva  multa  di  euro  10.000,  nonostante
questi fosse l'insider primario, la  cui  condotta  doveva  ritenersi
necessariamente  piu'  grave  di  quella  del  ricorrente,  tanto  da
continuare ad essere penalmente rilevante. 
    La Consob,  invece,  all'esito  del  procedimento  sanzionatorio,
ritenuta sussistente  la  violazione  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, ha applicato alla  ricorrente  la
sanzione amministrativa  pecuniaria  di  euro  470.386,  la  sanzione
accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi  dell'art.  187-sexies  del  medesimo  decreto,  la
confisca per equivalente di beni di sua proprieta' per un  valore  di
euro 6.592.665. 
    8. - A parere di questo collegio cio' che risulta determinante ai
fini  della   valutazione   di   maggiore   gravosita'   e'   proprio
l'applicazione retroattiva della sanzione accessoria  della  confisca
per equivalente ex art. 186-sexies  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, sanzione non  prevista  e  non  prevedibile  al  momento  della
consumazione dell'illecito. 
    Tale   sanzione   accessoria,   infatti,   determina   una   tale
sproporzione nella pena complessivamente inflitta, rispetto a  quella
che sarebbe scaturita  dall'applicazione  del  citato  art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, da rappresentare  l'elemento  che
rende in concreto maggiormente afflittivo il complessivo  trattamento
sanzionatorio derivante dalla legge di depenalizzazione. 
    In  altri  termini,  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
risiede nel fatto che la previsione  dell'applicabilita'  -  in  modo
incondizionato, inderogabile e non graduabile -  della  confisca  per
equivalente rende il  complessivo  risultato  sanzionatorio  previsto
dalla riforma, in concreto, meno favorevole per il trasgressore. 
    A parere del Collegio, una volta eliminata  l'applicazione  della
confisca per equivalente ai fatti antecedenti la sua introduzione, il
trattamento sanzionatorio amministrativo  (anche  se  nella  sostanza
penale) che residua, riacquista quella valenza complessiva di maggior
favore naturalmente correlata alle sanzioni amministrative rispetto a
quelle corrispondenti penali. 
    Il Collegio non ritiene, infatti, di poter condividere l'assunto,
prospettato nella memoria e nella discussione orale della  difesa  di
parte  ricorrente,  secondo  cui  dovrebbe  attribuirsi   valore   di
principio  generale,   immanente   alla   disciplina   di   qualunque
depenalizzazione, alla disposizione recata dall'art. 8, comma 3,  del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (il quale recita: «Ai fatti
commessi prima della data di entrata in vigore del  presente  decreto
non puo' essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria  per
un importo superiore al massimo della pena  originariamente  inflitta
per il reato, tenuto conto dei criterio di ragguaglio di cui all'art.
135 del codice penale. A tali fatti  non  si  applicano  le  sanzioni
amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo  che
le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.»). 
    Al riguardo il Collegio osserva  che  non  vi  sono  ragioni  per
ritenere che tale disposizione - che detta la disciplina  transitoria
della depenalizzazione recata dal decreto legislativo n. 8 del 2016 -
esprima un principio  di  carattere  generale  idoneo  a  fungere  da
tertium comparationis nel vaglio di legittimita' costituzionale delle
difformi discipline transitorie dettate da altre, e precedenti, leggi
di depenalizzazione. 
    Cio' posto, va considerato che la comparazione  tra  la  sanzione
penale e quella amministrativa non puo'  risolversi  in  una  stretta
equiparazione quantitativa, in  quanto  la  sanzione  penate  ha  una
pluralita' di effetti negativi, incidendo  con  forza  peculiare  non
soltanto sulla liberta', ma anche sul  complessivo  profilo  pubblico
della persona, segnandolo  con  lo  «stigma»  del  disvalore  sociale
derivante da una sentenza  di  condanna  del  giudice  penale  (basti
pensare   al   rilievo,   anche   pratico,   della   condizione    di
incensuratezza). 
    Nel caso dell'insider  secondario,  dunque,  la  sanzione  penale
risulterebbe   in   concreto   meno   favorevole    della    sanzione
amministrativa pecuniaria, pur quantitativamente  piu'  elevata,  ove
quest'ultima  non  risultasse  accompagnata  anche   dalla   sanzione
accessoria della confisca per equivalente. 
    9.  -   Di   qui   la   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli articoli 3,  25,  secondo  comma,
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, dell'art. 9, comma 6, della legge  n.  62  del
2005, nella parte in cui prescrive l'applicazione della  confisca  di
valore e assoggetta pertanto il trasgressore a una sanzione penale in
concreto piu' gravosa di quella che sarebbe applicabile in base  alla
legge vigente all'epoca della commissione del fatto. 
    Ad avviso del Collegio,  il  contrasto  con  l'art.  3  Cost.  si
profila in riferimento al principio di ragionevolezza, per eccesso di
contenuto sanzionatorio  rispetto  allo  scopo  della  retroattivita'
della  nuova  disciplina  sanzionatoria,  che  era  di  evitare   che
rimanessero impunite, nella fase transitoria della  depenalizzazione,
condotte comunque illecite, laddove l'aggiunta  della  retroattivita'
della  confisca   per   equivalente   costituisce   un   aggravamento
sproporzionato non destinato a trovare la propria giustificazione nel
riempimento del vuoto punitivo. 
    Secondo questo giudice  a  quo,  la  norma  denunciata  contrasta
inoltre con l'art. 25, secondo  comma,  Cost.  Infatti,  in  base  al
precetto costituzionale, ogni intervento sanzionatorio e' applicabile
soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente  al  momento
della commissione del fatto sanzionato.  Invece,  il  legislatore  ha
imposto di applicare retroattivamente  la  confisca  per  equivalente
solo  perche'  si  riferisce   a   un   illecito   qualificato   come
amministrativo   nell'ordinamento   interno,   mentre,   nel   regime
transitorio, avrebbe potuto consentirne l'applicazione  -  versandosi
in un'ipotesi di depenalizzazione accompagnata  dall'introduzione  di
un corrispondente illecito amministrativo -  soltanto  ove  la  nuova
sanzione completi un trattamento  sanzionatorio  nel  complesso  piu'
mite della pena prevista per l'originario reato. 
    Infine, il dubbio  di  non  manifesta  infondatezza  sussiste  in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7
della convenzione  europea,  perche'  la  norma  censurata  prescrive
l'applicazione retroattiva della confisca per  equivalente  -  «pena»
secondo la  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  e  quindi  ricompresa  nel
nucleo delle garanzie che la convenzione riconosce  all'individuo  in
materia  penale  -   anche   qualora   il   complessivo   trattamento
sanzionatorio per l'illecito amministrativo sia  meno  favorevole  in
concreto del  precedente  trattamento  sanzionatorio  applicabile  al
reato. 
    10.  -  La  questione  sollevata  e'  rilevante  ai  fini   della
definizione del ricorso per cassazione. 
    10.1. - Innanzitutto perche' l'impugnato art. 9, comma  6,  della
legge n. 62 del 2005 e' la norma applicabile nel processo.  I  motivi
di ricorso per cassazione investono, infatti, anche  la  legittimita'
dell'applicazione retroattiva della confisca per  equivalente  ad  un
fatto di abuso di informazioni privilegiate commesso nel 2002, ed  e'
appunto la norma censurata a prevedere l'applicazione di tale  misura
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge di depenalizzazione. 
    10.2. - In secondo  luogo  perche'  dall'esito  del  giudizio  di
costituzionalita' dipende la sorte di alcuni dei motivi  del  ricorso
per cassazione. 
    10.3. - Infine - sempre sul piano della rilevanza -  il  Collegio
evidenzia  che  la  questione  relativa   alla   legittimita'   della
applicazione della confisca presenta  il  requisito  dell'attualita',
non essendo superata dal deposito, ai sensi dell'art. 372  codice  di
procedura civile, della sentenza con la quale il GUP del Tribunale di
Bologna ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Giovanni
Consorte e di Ivano Sacchetti in ordine al reato loro ascritto per il
reato di abuso di informazioni privilegiate nell'ambito della  stessa
vicenda del prestito obbligazionario Unipol,  perche'  il  fatto  non
sussiste. 
    Occorre  premettere  che  la  ricorrente  sostiene   bensi'   che
l'avvenuta assoluzione dei due imputati perche' il fatto non sussiste
comporterebbe  il  venir   meno   dell'elemento   costitutivo   della
fattispecie, consistente nella informazione privilegiata  e,  poiche'
l'informazione  in   questione   sarebbe   la   stessa   oggetto   di
contestazione  nel   presente   giudizio   a   titolo   di   illecito
amministrativo, ritiene che, per effetto del principio dell'efficacia
riflessa del giudicato, dovrebbe  pervenirsi  alla  cassazione  della
sentenza impugnata per insussistenza dell'illecito. 
    Sennonche',  tale  assunto  non  e'  condivisibile  per   diverse
ragioni. 
    In primo luogo osta alla configurabilita'  stessa  dell'efficacia
riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione
di cui all'art. 187-duodecies del decreto legislativo n. 58 del 1998,
a norma del quale «il procedimento amministrativo di  accertamento  e
il procedimento  di  opposizione  di  cui  all'art.  187-septies  non
possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento  dipende  la
relativa definizione». Premesso che non rilevano,  nella  specie,  le
problematiche concernenti la possibilita' della applicazione  di  una
doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo  fatto  a
carico del medesimo soggetto, la richiamata  disposizione  stabilisce
un  regime  di  assoluta  autonomia   tra   procedimento   penale   e
procedimento sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la
possibilita' stessa di far  valere  nel  procedimento  amministrativo
l'efficacia della pronuncia adottata in sede penale; senza dire  che,
nel  caso  di  specie,  non  ricorre  neanche   una   situazione   di
opponibilita' a Consob della pronuncia adottata  in  sede  penale  in
considerazione del fatto che Consob non risulta essere stata parte di
quel procedimento. 
    Osta,  inoltre,  alla  esplicazione  di  qualsivoglia   efficacia
dell'invocato giudicato nel  presente  giudizio  il  rilievo  che  le
condotte contestate in sede penale,  lungi  dall'essere  identiche  a
quelle oggetto della contestazione della  Consob,  sono  diverse,  in
ragione  delle  qualita'  soggettive  rivestite  dagli  imputati  nel
processo penale e dalla ricorrente nel presente giudizio. 
    Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio,
ritenersi coperta dal  giudicato.  Invero,  nessuno  dei  motivi  del
ricorso principale contesta  l'accertamento  in  fatto  svolto  dalla
Corte d'appello e la conclusione alla quale essa e'  pervenuta  circa
la natura privilegiata delle informazioni utilizzate. La  ricorrente,
invero, ha posto in discussione esclusivamente  i  profili  attinenti
all'aspetto  sanzionatorio,  dubitando   della   legittimita'   delle
sanzioni irrogategli. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, visti gli articoli 134 della Costituzione  e  23  della
legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata,   in
riferimento agli articoli 3, 25, secondo  comma,  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
9, comma 6, della legge 18  aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - legge comunitaria 2004), nella parte in  cui
prevede che  la  confisca  per  equivalente,  disciplinata  dall'art.
187-sexies  del  testo  unico  delle  disposizioni  in   materia   di
intermediazione  finanziaria  (TUF),   approvato   con   il   decreto
legislativo 24  febbraio  1998,  n.  58,  si  applica,  allorche'  il
procedimento penale non sia stato  definito,  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge  n.  62  del  2005  -  che  le  ha  depenalizzate  introducendo
l'autonomo  illecito  amministrativo   di   abuso   di   informazioni
privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis del TUF -, e cio' pur
quando il complessivo trattamento sanzionatorio  generato  attraverso
la  depenalizzazione  sia  in  concreto  meno  favorevole  di  quello
applicabile in base alla legge vigente al momento  della  commissione
del fatto; 
        dispone la sospensione del presente giudizio; 
        ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza
sia notificata alle parti del giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
        ordina,  altresi',  che  l'ordinanza  venga  comunicata   dal
cancelliere ai presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
 
    Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio della II  Sezione
civile della Corte di cassazione, il 14 settembre 2017. 
 
                       Il Presidente: Petitti