N. 58 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2017
Ordinanza del 12 gennaio 2017 del Tribuanle di Avezzano nel procedimento civile promosso da T.S. contro Pubblico Ministero. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Riconducibilita' al genere opposto in mancanza di caratteri sessuali primari corrispondenti. - Legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), art. 1, primo comma.(GU n.17 del 26-4-2017 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI AVEZZANO Il Tribunale, nella persona dei Giudici: dott. Eugenio Forgillo, Presidente relatore; dott. Andrea Dell'Orso - Giudice; dott. Francesco Lupia - Giudice; ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa civile di I Grado iscritta al n.r.g. 1679/2015 promossa da: S. T. (...), elettivamente domiciliato in via Garibaldi, n. 195, Avezzano con l'avv. Cipolloni Walter (CPLWTR72B04A515C), dal quale rappresentato e difeso, attore/i; e pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Avezzano (81004370664), convenuto/i. Conclusioni Parte attrice ha concluso come verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni del 29 giugno 2016. Ragioni di fatto e di diritto 1 - Svolgimento del processo. Con atto di citazione ai sensi della legge n. 164/1982 e ss. modifiche, parte attrice chiedeva al Tribunale di Avezzano di disporre la rettificazione di attribuzione di sesso, con conseguente ordine all'Ufficiale dello stato civile del Comune di .... (AQ) o altro competente di effettuare la rettificazione nel relativo registro, dell'atto concernente T. S. (...) da sesso maschile a sesso femminile, con cambiamento del nome a T. A., nonche' l'autorizzazione in via preventiva e futura e soprattutto eventuale all'adeguamento dei caratteri sessuali con trattamento medico chirurgico. Nel corso dell'istruttoria veniva disposta la CTU con seguente quesito «Dica il CTU attraverso accertamenti medico legali sulla persona, eventuale somministrazione di test o colloqui clinici, se necessari, se l'attore, anche a seguito della terapia ormonale e percorso psicologico in atto, come da documentazione in atti, percepisce la propria identita' sessuale come sesso femminile, e quali interventi sono necessari per il mutamento effettivo di sesso. Dica se sussiste nell'attore una identificazione formale sotto il profilo psicologico tale da rendere necessario il mutamento dei dati anagrafici e tratti somatici e caratteri sessuali, accerti se sussiste nell'attore una conflittualita' tra sesso anatomico identita' di genere e verifichi l'idoneita' dello stesso a sottoporsi a un cambiamento di genere». All'udienza del 29 giugno 2016 la causa veniva trattenuta per la decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Scaduti i suddetti termini - sospesi nel periodo feriale - la questione viene ora in rilievo. 2 - La petizione di parte attrice. Per una compiuta analisi della questione in esame giova riprendere alcuni passi della conclusionale di parte attrice, riepilogativi dell'evoluzione giurisprudenziale sulla materia. Cio' in quanto «l'attrice, nel richiedere la rettificazione di genere, esclude il ricorso all'intervento chirurgico» (letterale). I passi che seguono riportati in caratteri piu' piccoli e con rientri di paragrafo sono integralmente estratti dalla conclusionale di parte attrice. «Sul punto si fa rilevare la crescente sensibilizzazione dei Tribunali di merito (1) sulle problematiche connesse all'imprescindibilita' o meno di un intervento chirurgico per la riattribuzione anagrafica del sesso in considerazione dell'invasivita' dell'intervento richiesto che ha portato poi alle sentenza della Corte di cassazione (n. 15138/2015) e della Corte costituzionale (n. 221/2015) ampiamente citate nell'atto introduttivo. Lo scarso rigore terminologico della disposizione e la gia' evidenziata vaghezza dell'espressione «modificazione dei caratteri sessuali» avevano, altresi', determinato, all'interno del filone giurisprudenziale che riteneva comunque imprescindibile l'intervento chirurgico, significativi scostamenti in ordine al tipo e al grado di invasivita' dell'intervento chirurgico minimo ritenuto necessario ai fini della rettificazione. In difetto di specificazione normativa, infatti, l'intervento richiesto ben poteva riguardare la demolizione dei soli caratteri sessuali esterni (2) , oppure anche di quelli interni (3) , ovvero che fosse sufficiente l'intervento demolitorio di tutti (o alcuni) dei caratteri sessuali preesistenti (4) o, al contrario, che fosse necessario l'ulteriore e delicato intervento ricostruttivo dei caratteri propri del nuovo sesso (5) . Omissis. In questo contraddittorio panorama giurisprudenziale, infatti, poteva accadere che, da un lato, un/a transessuale non ottenesse la rettificazione di sesso (pur avendo affrontato un'invasiva terapia ormonale e la demolizione dei caratteri sessuali primari e secondari) soltanto perche', temendo per la propria salute, non si fosse sottoposto/a (anche) alla riattribuzione chirurgica del sesso; dall'altro, altro/a transessuale ottenesse la richiesta rettificazione pur in difetto di qualunque intervento medico-chirurgico perche', secondo il diverso tribunale adito, si poteva procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma. La Corte costituzionale, si ribadisce, ha anzitutto rilevato che l'art. 1, comma 1, della legge n. 164/1982 "...costituisce l'approdo di un'evoluzione culturale e normativa volta al riconoscimento del diritto all'identita' di genere quale elemento costitutivo del diritto all'identita' personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona (art. 2 della Costituzione e art. 8 CEDU)". La legge n. 164 del 1982, infatti, ha accolto un concetto di identita' sessuale che conferisce rilievo non solo agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita o "naturalmente evolutisi", ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. Presupposto della disciplina, in questa prospettiva, e' dunque la concezione di sesso quale dato complesso della personalita' determinato da un insieme di fattori dei quali va agevolato o ricercato l'equilibrio. Non solo. La legge si colloca, ha affermato la Corte, nell'alveo di una civilta' giuridica ancora in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori di liberta' e dignita' della persona umana, valori ricercati e tutelati anche nelle situazioni minoritarie ed considerate "anomale". Venendo alla specifica disposizione oggetto di censura, nella sentenza si legge che il fatto che essa preveda, senza ulteriori specificazioni, che "La rettificazione si fa in forza di sentenza passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali", indica che e' stato lasciato all'interprete il compito di definire il perimetro di tali modificazioni e delle modalita' attraverso le quali realizzarle. Ed invero, la mancanza di qualsivoglia riferimento testuale alle modalita' (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), ha portato la Consulta ad escludere la necessita', ai fini dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l'adeguamento dei caratteri sessuali. In coerenza con i supremi valori costituzionali, pertanto, essa ha stabilito che e' rimessa al singolo, con l'assistenza del medico e di altri specialisti, la scelta delle modalita' attraverso le quali realizzare il percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l'identita' di genere. In coerenza con i supremi valori costituzionali, pertanto, essa ha stabilito che e' rimessa al singolo, con l'assistenza del medico e di altri specialisti la scelta delle modalita' attraverso le quali realizzare il percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l'identita' di genere. Di conseguenza, ad ogni istanza di rettificazione anagrafica deve seguire un rigoroso accertamento giudiziale delle modalita' attraverso le quali il cambiamento e' avvenuto, nonche' del suo carattere definitivo, ma il trattamento chirurgico, in quest'ottica, costituisce solo, viene ribadito, uno strumento eventuale, che puo' aiutare a raggiungere la tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza e il conseguimento di un pieno benessere. Il Giudice delle leggi ha, inoltre, osservato come vada letto nella soprindicata prospettiva anche il riferimento alla eventualita' del trattamento medico-chirurgico di cui all'art. 31 del decreto legislativo n. 150 del 2011: il legislatore ha voluto lasciare apprezzare al giudice, nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'intervento, la sua effettiva necessita', in relazione alle specificita' del caso concreto. In particolare, l'intervento e' auspicabile nei casi in cui la divergenza tra sesso anatomico e psicosessualita' determina nel transessuale un atteggiamento di rifiuto della propria morfologia anatomica. In conclusione, la Consulta ha affermato l'importante principio secondo cui la corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico e' recessiva rispetto alla prevalente tutela della salute dell'individuo, con la conseguenza che l'intervento chirurgico non puo' mai essere un prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione anagrafica, ma solo un possibile mezzo per il conseguimento della salute intesa in senso lato. Il diritto all'identita' di genere, quale espressione del diritto all'identita' personale (art. 2 Cost. e art. 8 CEDU), nell'interpretazione abbracciata dalla Consulta, risulta quindi pienamente rispettato sia dall'art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164, sia dall'art. 31 del decreto legislativo n. 150 del 2011. Queste disposizioni, inoltre, lette nei predetti termini, non contrastano affatto, ma anzi promuovono, anche la piena realizzazione del diritto alla salute. Omissis. Alla luce delle considerazioni svolte va osservato come l'indirizzo giurisprudenziale che autorizzava la rettificazione di attribuzione di sesso "solo previo intervento chirurgico", tendenzialmente maggioritario nel nostro Paese sino alla sentenza della Corte costituzionale n. 221/2015 e di quella della Corte di cassazione n. 15138/2015, fosse in contrasto non solo con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, ma anche con l'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, da ultimo nel caso Y.Y. c. Turchia) e con i piu' recenti strumenti di soft law in tema di transessualismo. La sentenza della Consulta, in questa prospettiva, ha condivisibilmente allineato la lettura di una disposizione aperta, oltre che alla Costituzione, alle fonti sovranazionali, evitando che la questione, portata dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, potesse portare ad una condanna dell'Italia per ragioni analoghe a quelle del caso turco. In conclusione la Corte costituzionale e la Corte di cassazione, indicando ai giudici il percorso argomentativo che rende la disposizione censurata compatibile con i valori supremi della Costituzione, hanno altresi' allineato il diritto vivente italiano alle fonti sovranazionali». 3 - Inquadramento della fattispecie. Indubbiamente parte attrice ricostruisce in termini lucidi e fedeli l'interpretazione delle norme di riferimento. Tuttavia, come si dira' piu' oltre, non possono condividersi nella loro assolutezza alcune conclusioni della parte attrice. Sino ad un recente passato la gran parte della giurisprudenza, sulla base della constatazione che in biologia si distinguono i caratteri sessuali primari dai secondari, identificandosi i primi con gli organi genitali e riproduttivi, i secondi con altre caratteristiche psicofisiche, quali la conformazione fisica del corpo, il timbro della voce, gli atteggiamenti esteriori percepibili all'esterno, la rettificazione del sesso veniva concessa solo se il richiedente avesse dimostrato l'intervenuta modificazione dei caratteri sessuali «primari» mediante intervento medico-chirurgico di ablazione e ricostruzione degli organi genitali e riproduttivi ovvero la disponibilita' ad eseguirli previa autorizzazione del tribunale. La giurisprudenza piu' recente, invece, si riassume nel seguente principio: «Ai fini della rettificazione anagrafica del sesso (nella specie, da maschio a femmina), non e' necessario un previo intervento chirurgico demolitivo e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, allorche' vi sia stato l'adeguamento dei caratteri sessuali secondari estetico-somatici e ormonali e sia stata accertata (tenuto conto dell'interesse pubblico alla certezza degli stati giuridici) l'irreversibilita', anche psicologica, della scelta di mutamento del sesso da parte dell'istante» (Cass. n. 15138/2015). Dopo aver premesso che le norme di diritto positivo interno applicabili nella specie devono essere interpretate alla luce dei principi costituzionali e di provenienza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in particolare gli articoli 2, 3, 32 della Costituzione e l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, i giudici di legittimita' riconducono il diritto al cambiamento di sesso nell'area dei diritti inviolabili della persona, secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte costituzionale, per la quale «la legge n. 164 del 1982 si colloca nell'alveo di una civilta' giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di liberta' e dignita', della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale». In particolare, l'interpretazione data dalle giurisdizioni superiori fonda la lettura costituzionalmente orientata sulla massima espressione del diritto all'identita' personale in correlazione col diritto alla salute, senza (quasi) occuparsi della rilevanza sociale del mutamento di sesso. La Corte costituzionale ha avallato la versione fornita dalla Cassazione nel 2015 con una lettura costituzionalmente orientata della normativa vigente (Corte costituzionale sentenza n. 221/2015), che, tuttavia, non esamina direttamente alcune problematiche di cui v'e' trattazione nelle motivazioni seguenti, sicche' non v'e' alcun vincolo nell'interpretazione da parte dei giudici di merito, giacche' investe quella che la dottrina definisce «terza interpretazione» immune da precedente autorevole vaglio superiore. 3.1 - Mancata attenzione verso l'aspetto relazionale. Solo marginalmente la Corte costituzionale (nella decisione n. 161/1985) ebbe ad occuparsi della rilevanza «sociale» dell'effetto del cambiamento del sesso (allora dato per scontato susseguente all'operazione chirurgica), argomentando in tal modo: «Non si vede, infatti, quale possa essere il diritto fondamentale della persona che viene offeso quando un soggetto entra in rapporto con il transessuale che abbia vista riconosciuta la propria identita' e conquistato - per quanto possibile - uno stato di benessere in cui consiste la salute, bene, quest'ultimo che la Costituzione, come si e' ricordato, considera "interesse della collettivita'"». Affermava in quella sede la Corte, che, se la censura fosse da ritenersi proposta in riferimento al solo art. 2 della Costituzione, e la si volesse, in questi termini, ritenere ammissibile, certo e' che tale disposto non e' violato quando e per il fatto che sia assicurato a ciascuno il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identita' sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalita'. Correlativamente gli altri membri della collettivita' sono tenuti a riconoscerlo, per dovere di solidarieta' sociale. Tuttavia e' evidente come in quella sede la rilevanza della questione operava al contrario: in quanto la Corte riteneva dopo l'operazione concluso il processo di trasmigrazione verso l'altro sesso e, quindi, prevalente la solidarieta' sociale come accettazione di un mutamento di genere del tutto assimilato a quello agognato. In altri termini ed in quella prospettiva l'uomo diventa donna o viceversa attraverso l'operazione e la societa' non puo' subirne pregiudizio. Va dato conto che gia' in quella occasione la medesima Corte ebbe a rilevare, in linea con attenta dottrina, essere qualificabile l'identita' sessuale «come dato complesso della personalita' determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l'equilibrio, privilegiando [...] il o i fattori dominanti», senza, tuttavia, spingersi oltre nella distinzione tra caratteri primari e secondari. Nel caso oggi in esame il rapporto e' diametralmente opposto in quanto si dovrebbe accettare che il soggetto cambia nominalmente genere perche' alcuni dati sono in lui «prevalenti», pur mantenendo alcuni tratti (piu' che altro genitali primari) del sesso registrato alla nascita. Il che e' concettualmente diverso ed esclude che la decisione precedente abbia effetti preclusivi ad un riesame della costituzionalita'. Oggi e' in rilievo la possibilita' che alla distonia tra sesso biologico ed identita' sessuale venga posto rimedio attraverso il diritto e non mediante la chirurgia estetica. Secondo la sentenza della Cassazione 15138/2015 il mutamento del sesso e' una questione attinente ai diritti fondamentali della persona: se nessuno puo' essere sottoposto a un intervento chirurgico senza il proprio consenso, allora nessuno puo' essere costretto a subire un intervento ove esso si riveli non necessario, inutile o dannoso, previo accertamento medico svolto tramite perizia sul diretto interessato. Nella vicenda esame nell'anno 2015 la Corte ritenne assentire al mutamento di genere in assenza di intervento laddove una persona di 45 anni aveva gia' ottenuto nel 1999 una sentenza che l'autorizzava all'intervento chirurgico, ma, ciononostante aveva rinunciato alla demolizione/ricostruzione chirurgica dei propri caratteri primari, avendo raggiunto nel tempo un equilibrio psico-fisico da 25 anni vivendo ed essendo socialmente riconosciuta come donna, avendo peraltro effettuato tutta una serie di interventi sulle caratteristiche sessuali secondarie in grado di mutare sensibilmente anche l'aspetto esteriore. Alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, dell'art. 1 della legge n. 164 del 1982, nonche' del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2011, la Corte di cassazione statui': «L'interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrita' psico fisica sotto lo specifico profilo dell'obbligo dell'intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell'avvicinamento del some alla psiche. L'acquisizione di una nuova identita' di genere puo' essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessita', purche' la serieta' ed univocita' del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigoroso accertamenti tecnici in sede giudiziale». La conclusione della Corte, avallata da ampi riferimenti normativi europei e decisioni autorevoli di altri Stati, valorizza il dato intersoggettivo e l'asseconda ad un compiuto processo di maturazione da accertare con molto rigore da parte del giudice, senza peraltro occuparsi dei riflessi esteriori nella collettivita'. Non manca la suddetta decisione della S.C. di porsi il problema della interrelazione tra gli esseri, nel consapevole convincimento di evitare possa ingenerarsi la falsa enucleazione di un tertium genus distinto dal duopolio uomo / doma (v. in particolare le pagg. 29 e ss.), anche se finisce per dar prevalenza al dato individualistico una volta che si accerti la prevalenza anche dei soli caratteri sessuali secondari dell'individuo, omettendo di addentrarsi (perche' non in rilievo nel caso in esame) sul nucleo centrale del problema, costituito non gia' dal modo con cui il soggetto percepisce la sua sessualita', ma da come la societa' la percepirebbe nello svolgimento della vita quotidiana, quando, cioe', per necessita' o contatto, il soggetto che si percepisce d'altro genere svolge le proprie attivita' a contatto con gli altri. In altri termini, la pur articolata decisione della Corte, fonda il proprio convincimento sulla necessita' che il giudice accerti con rigore l'avvenuta modificazione delle caratteristiche sessuali del soggetto, pur senza intervento agli organi primari, in un contesto di profonde modificazioni degli organi sessuali secondari. In definitiva la Corte non si occupa direttamente ne' del rapporto con la collettivita' e neppure approfonditamente su cosa debba intendersi per organi sessuali primari e secondari perche' nel caso da esaminare dette questioni non venivano in rilievo. Caso analogo e' stato trattato davanti alla Corte costituzionale (sent. 221/2015) laddove fu condivisa la difesa della norma da parte dell'Avvocatura dello Stato nella parte in cui rammentava «Il trattamento medico-chirurgico sarebbe, infatti, necessario solo nel caso in cui occorra assicurare al soggetto transessuale uno stabile equilibrio psicofisico, ossia laddove la discrepanza tra il sesso anatomico e la psicosessualita' determini un atteggiamento conflittuale di rifiuto dei propri organi sessuali. Viceversa, laddove non sussista tale conflittualita', l'intervento chirurgico non sarebbe necessario». Secondo la Corte costituzionale, in questa prospettiva va letto anche il riferimento, contenuto nell'art. 31 del decreto legislativo n. 150 del 2011, alla eventualita' («Quando risulta necessario») del trattamento medico-chirurgico per l'adeguamento dei caratteri sessuali. In tale disposizione, infatti - secondo la Corte - lo stesso legislatore ribadisce, a distanza di quasi trenta anni dall'introduzione della legge n. 164 del 1982, di volere lasciare all'apprezzamento del giudice, nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'intervento chirurgico, l'effettiva necessita' dello stesso, in relazione alle specificita' del caso concreto. Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualita' sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione - come prospettato dal rimettente, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico». Sempre secondo la Corte «Il percorso ermeneutico sopra evidenziato riconosce, quindi, alla disposizione in esame il ruolo di garanzia del diritto all'identita' di genere, come espressione del diritto all'identita' personale (art. 2 della Costituzione e art. 8 della CEDU) e, al tempo stesso, di strumento per la piena realizzazione del diritto, dotato anch'esso di copertura costituzionale, alla salute». Anche in quella sede, dunque, non si ebbe a discutere della entita' delle modificazioni ne' della rilevanza nella collettivita'. A seguito dei suddetti autorevoli interventi, pero', la giurisprudenza di merito sembra aver interpretato in modo largheggiante gli interventi suddetti. Il Tribunale di Savona, con la sentenza del 30 marzo 2016 n. 357, ha accolto la richiesta di un uomo separato dalla moglie e padre di tre figlie che si era sottoposto unicamente ad una «terapia ormonale femminilizzante», sostenendo «non si ricava immediatamente quali debbano essere i caratteri sessuali da modificare, potendosi ritenere sufficiente anche una modifica dei caratteri sessuali secondari, per la quale e' normalmente sufficiente effettuare delle cure ormonali, e non anche una modifica dei caratteri sessuali primari (ossia gli organi genitali), che richiede, invece, una operazione chirurgica particolarmente invasiva». Con il supporto di una perizia tecnica da cui comunque emerge la necessita' dell'intervento chirurgico per il benessere della persona, il giudice ha ritenuto di autorizzare contestualmente la modifica anagrafica. Infatti, dalla perizia stessa risultava come un sicuro benessere potesse derivare dalla modifica dei documenti alla luce dei tempi, non definiti ma sicuramente non immediati, che avrebbero portato a procrastinare la modifica del sesso anagrafico e del nome. Invero, vi si leggeva come «la discrepanza tra l'attuale aspetto esteriore ... e i documenti anagrafici comporta sia uno stato di sofferenza interiore sia un reale impedimento a potersi vivere e progettare nella realta' con la dovuta serenita'». Per tali ragioni, il giudice ritiene l'adeguamento dei documenti anagrafici prioritario per il benessere psicofisico della persona, non possa essere subordinato alla riattribuzione chirurgica del sesso e, dunque, temporalmente procrastinato. La giurisprudenza di merito appena richiamata compie un deciso balzo in avanti rispetto alle due decisioni della Cassazione e della Corte costituzionale del 2015, valorizzando il solo dato psicologico soggettivo, concentrandosi ancor piu' sul beneficio psichico del richiedente. Com'era prevedibile in conseguenza dell'incertezza dell'interpretazione enucleata, la giurisprudenza di merito si e' trovata imbrigliata in una questione di non poco conto, da un lato non potendo costringere il richiedente ad un qualsiasi tipo d'intervento chirurgico per non violare il dictum del giudice delle leggi, dall'altra messa nella pericolosa prospettiva di finire per far rientrare dalla finestra cio' che la Cassazione aveva testualmente escluso, e cioe' che si potesse dare ingresso all'identita' del tertium genus, di fatto cosi conclamata valorizzando il solo dato psicologico dell'istante. Di fatto, dunque, gli autorevoli precedenti citati, rischiano di amplificare quelle difficolta' da sempre registrate in giurisprudenza per via della mancanza di precisi interventi normativi in grado di prendere definitivamente un orientamento su temi tanto rilevanti. Tutte le decisioni richiamate, tuttavia, non pongono in rilievo l'interesse della societa' ad avere una risposta chiara rispetto al genere delle persone. 3.2 - Limiti oggettivi delle conclusioni dell'interpretazione evolutiva. Proprio perche' le interpretazioni date dalla Corte di cassazione e dalla Corte costituzionale lasciano margini di dubbio, appare preliminarmente opportuno addentrarsi sul contenuto dell'indagine richiesto. Una parte del ragionamento fondante l'assunto che non puo' imporsi il trattamento chirurgico a chi non voglia appare in qualche modo viziato da una petizione di principio giacche' e' vero piuttosto il contrario: che chi vuole ottenere il riconoscimento del genere deve, se e' necessario, provare l'appartenenza al genere diverso da quello anagrafico. Per farlo ha numerose opzioni, che possono dipendere da varie circostanze, certamente non codificabili a priori. Puo' darsi, ad esempio, che una donna abbia dalla nascita gli attributi sessuali primari tipicamente maschili e sviluppi, con cure o anche senza, caratteristiche tipiche dell'uomo (es. peluria, barba, timbro voce), senza che sia necessario alcun intervento di conformazione genetica. Puo' darsi, altrimenti, che un uomo abbia vissuto all'estero ed abbia gia' effettuato ivi un intervento chirurgico nei caratteri secondari o primari per diventare donna. In questi casi, evidentemente, d'intervento chirurgico non v'e' necessita' alcuna, sicche' correttamente la legge prevede l'operazione come mera eventualita', sicche' anche la modifica processuale del 2011, citata dalla Corte costituzionale, in assenza di una specifica indicazione nei lavori preparatori non appare dirimente. D'altra parte, se un soggetto percepisce come pienamente esplicativo del proprio percorso l'intervento chirurgico, e' certamente corrispondente al diritto prevedere l' autorizzazione a farlo. In altri termini, se un soggetto e' stato caratterizzato dalla natura in modo non conforme a quella che pare la sua identita' prevalente sembra giusto che la legge preveda un intervento di riallineamento per poter riaffermare il genere in termini piu' corretti. Tuttavia solo in prospettiva degli unici due generi (uomo / donna) riconosciuti dall'ordinamento e riaffermati da tutte le decisioni sopra indicate, senza che sia possibile dare identita' (allo stato della legislazione vigente) ad ulteriori generi. Lo afferma chiaramente la medesima S. C. quando sostiene che « ... il diritto al mutamento di sesso puo' essere riconosciuto soltanto se non determini ambiguita' nella individuazione soggettiva dei generi, e nella certezza delle relazioni giuridiche, non potendo l'ordinamento riconoscere un tertium genus costituito dalla combinazione di caratteri sessuali primari e secondari di entrambi i generi. Al fine di tutelare l'interesse pubblico alla esatta differenziazione tra i generi in modo da non creare situazioni relazionali (unioni coniugali o rapporti di filiazione) non previste attualmente dal nostro sistema di diritto familiare e filiale e' necessario per il mutamento di sesso un irreversibile cambiamento dei caratteri sessuali anatomici che escluda qualsiasi ambiguita'». Escluso, dunque, che la S.C. abbia aperto al pieno riconoscimento della transessualita' ad ottenere piena ed autonoma collocazione ordinamentale (come pur erroneamente sostenuto di alcuni), indubbiamente risulta fallace il ragionamento quando si finisce per imporre comunque una dimostrazione di rigorosa delle modificazioni (quando occorrenti) dei caratteri secondari. In parecchi passaggi la S.C. sostiene «anche i secondari richiedono interventi modificativi anche incisivi come e' emerso anche dalle consulenze tecniche d'ufficio disposte nel giudizio di merito (trattamenti ormonali di lungo periodo, interventi di chirurgia estetica modificativi di tratti somatici appartenenti al genere originario, interventi additivi o ricostruttivi quali quelli relativi al seno, in caso di mutamento dal genere maschile o femminile)»; oppure «La complessita' del percorso, in quanto sostenuto da una pluralita' di presidi medici (terapie ormonali trattamenti estetici) e psicologici mette ulteriormente in luce l'appartenenza del diritto in questione al nucleo costitutivo dello sviluppo della personalita' individuale e sociale, in modo da consentire un adeguato bilanciamento con l'interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche che costituisce il limite coerentemente indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento»; ovvero «...il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso non puo' che essere preceduto da un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l'irreversibilita' personale della scelta». Ma il rigoroso accertamento degli interventi sui caratteri sessuali secondari, anch'essi per lo piu' presidiati dall'esigenza di interventi medici, spesso di non lieve entita', finisce per tradire la premessa della impossibilita' di poter esigere trattamenti chirurgici. Non si comprende, da questo punto di vista, come il giudice possa con rigore e attenzione, anche dal punto di vista medico, esigere mutamenti sostanziosi dei caratteri sessuali senza violare l'art. 32 della Costituzione, mentre lo farebbe solo se richiedesse mutamenti dei caratteri primari. Il ragionamento appare di fatto contraddittorio. Da questo punto di vista e' piu' coerente l'orientamento del Tribunale di Savona che, valorizzando solamente l'aspettativa del soggetto, prescinde totalmente da interventi, ritenendo sufficiente anche una sola cura ormonale (come, d'altra parte, accade in altri ordinamenti anche a noi vicini). Tuttavia, messi su questa scivolosa strada, a questo punto, anche la cura ormonale dovrebbe essere soggettivamente ritenuta una costrizione della propria identita' personale ovvero lesiva del diritto alla salute intesa in senso ampio, sicche', conclusivamente, qualsiasi petizione dovrebbe essere assentita dal giudice, sol giustificata dall'esigenza di adeguare la propria identita' fisica a quella psichica. Evidentemente questo modo di ragionare porterebbe a prescindere da ogni intervento ed anche il rigore di cui s'afferma il contenuto precettivo dell'indagine del giudice dovrebbe essere eluso. Il che non e' dato intravedere in una legge che tutt'oggi richiede un mutamento, quando esso e' necessario, per uniformare i caratteri sessuali al genere preteso; ben potendosi leggere quel testo, ancora oggi, nell'inciso «quando necessario», come esigenza correlata al caso concreto, essendo certamente noto in biologia come alcuni soggetti nascano gia' con i caratteri sessuali dell'altro sesso ovvero, in altro caso, ricorrano ad interventi all'estero, sicche', in questi casi, non v'e' necessita' alcuna d'intervento chirurgico. L'intervento chirurgico di cui alla norma non e' correlato al maggior o minore apporto del soggetto richiedente quanto piuttosto alla necessita' fisica di dover adeguare i caratteri sessuali, che, evidentemente, non c'e' quando il soggetto, per nascita o precedente intervento, appartiene gia' al diverso genere e vuole ottenere dall'autorita' autorizzazione a farlo, semmai, se occorrenti, previ ulteriori interventi sui caratteri secondari (e' altrettanto noto come esistano soggetti con caratteri sessuali primari dell'altro sesso ma caratteri secondari assolutamente coerenti col genere anagrafico d'apparenza). In sintesi, non sembra che dell'intervento chirurgico possa prescindersi tout court, dovendosi piuttosto opinare, secondo legge vigente, in termini di «mutamento» dei caratteri sessuali in senso oggettivo, un genere dovendosi tramutare in altro, o per allineamento dei caratteri all'altro sesso (che potrebbe essere addirittura dalla nascita ed esigere solo lievi modificazioni di dettaglio) o per profonde modificazioni degli organi sessuali primari e/o secondari che siano, in modo tale da non ingenerare confusione di generi, giacche', come evidenziano le stesse decisioni citate, tertium (genus) non datur. Il riferimento, contenuto nell'art. 31 del decreto legislativo n. 150 del 2011, alla eventualita' («Quando risulta necessario») del trattamento medico-chirurgico per l'adeguamento dei caratteri sessuali, che la Corte costituzionale assume come ulteriormente sintomatico di come lo stesso legislatore abbia sentito di dover ribadire, a distanza di quasi trenta anni dall'introduzione della legge n. 164 del 1982, di volere lasciare all'apprezzamento del giudice, nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'intervento chirurgico, l'effettiva necessita' dello stesso, in relazione alle specificita' del caso concreto, in realta' potrebbe essere letto nell'esatta portata opposta, giacche' la necessita', ora come allora, era correlata al mutamento dei caratteri sessuali, talvolta non necessario proprio perche' il soggetto gia' in tutto e per tutto dell'altro genere. Risolutiva appare l'obiezione che la legge non avrebbe potuto prevedere sempre e comunque un intervento anche quando non necessario! In conclusione, si legittima l'interpretazione della legge vigente in termini di necessita' dell'intervento quante volte sia necessario allineare il genere al genere contrario mentre, di contro, non e' indispensabile quelle volte in cui la gran parte dei caratteri sessuali primari e/o secondari siano gia' (irreversibilmente) dell'altro sesso. Va, per conversa, esclusa l'autorizzazione al cambiamento di sesso quando questo sia fondato esclusivamente su un desiderio irrefrenabile del soggetto agente, senza che questi appaia conforme, anche esteticamente ed esteriormente, al sesso richiesto, tant'e' che la S.C. valorizza, ritenendoli sufficienti, trattamenti ormonali di lungo periodo, interventi di chirurgia estetica modificativi di tratti somatici appartenenti al genere originario, interventi additivi o ricostruttivi quali. quelli relativi al seno. Cio' premesso, dunque, la portata delle interpretazioni fornite dalla S.C. e dalla Corte costituzionale e' meno ampia di quella da alcuni salutata come pieno riconoscimento del fenomeno del transatransessualismo, sia pure con le contraddizioni sopra esposte, fondandosi la conclusione sulla non obbligatorieta' dell'intervento chirurgico agli organi sessuali primari quante volte le mutazioni degli organi (primari e/o) secondari siano talmente evidenti da non esigere altro ai fini dell'esatta indicazione del genere (uomo/donna) riconosciuto dall'ordinamento. A questa prima conclusione deve aggiungersi come la dottrina abbia sottolineato che l'opinamento della Corte di cassazione del 2015 esponga a problemi piuttosto gravi sul piano interpretativo laddove «...l'affermazione dei giudici di legittimita' secondo i quali "Il profilo diacronico e dinamico" della percezione di una "disforia di genere"» «costituisce una caratteristica ineludibile» di tale "percezione" e «la conclusione del processo di ricongiungimento tra "soma e psiche" non puo', attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell'intervento chirurgico"». Censurando detta ricostruzione si e' posto in rilievo «la evanescenza e la estrema vaghezza e volatilita' dei termini usati dalla Cassazione per giustificare il cambiamento di sesso, quali "percezione", elemento del tutto soggettivo, "disforia di genere", che si rifa' alla teoria del "gender", secondo la quale non esiste una diversita' sessuale biologica ma soltanto soggettiva e culturale, "diacronico e dinamico", che indicano un variazione continua e indefinita», evidenziandosi come, quando la Cassazione afferma che «il processo di ricongiungimento tra "soma e psiche" non puo' (...) essere stabilito invia predeterminata e generale", apre la strada alla possibilita' di una continua e nuova valutazione di tale processo, con la conseguente legittimazione di molteplici richieste di cambiamento di sesso in base agli svariati stati di "autopercezione" del soggetto che soffra di una "disforia di genere"», con quali conseguenze e' facile immaginare ai fini della "stabilita'" della decisione che il giudice deve assumere». Non a caso altra censura e' stata mossa sul piano del percorso motivazionale adottato, opinandosi come, ricorrendo al controverso concetto di «identita' di genere» - che e' cosa diversa dall'identita' sessuale - si sia ingenerato qualche equivoco. L'identita' sessuale indica la coscienza dell'identita' psico-biologica del proprio sesso, che si fonda sull'acquisita o tendenziale armonia tra soma e psiche e sulla polarita' dei due sessi o generi, maschile e femminile, ed e' alla base della legge n. 164/1982. Il concetto di «identita' di genere», costruito sulla base della distinzione tra sex (sesso morfologico) e gender (sesso psico-sociale) nella lingua inglese, indica invece la coscienza dell'identita' psico-sociale e culturale del «ruolo» che le persone di un determinato sesso o «genere» svolgono nella societa', costituisce solo una componente dell'identita' sessuale e non assume rilevanza autonoma nel nostro ordinamento, salvo come elemento dell'identita' personale che, al pari di altri, non puo' costituire motivo di persecuzione o di atti discriminatori. Non a caso il Comitato nazionale per la bioetica, in un recente parere approvato all'unanimita' sui disturbi della differenziazione sessuale nei minori (2010), distingue correttamente tra «strutturazione dell'identita' sessuale» e assunzione del «ruolo di genere». Secondo La Cassazione, la possibilita', anzi il diritto, di ottenere il cambiamento di sesso anagrafico anche senza ricorrere ad un intervento chirurgico, ma solo attraverso trattamenti estetici ed ormonali sarebbe espressione del «diritto di autodeterminazione in ordine all'identita' di genere», da ricondursi al catalogo aperto dei «diritti inviolabili della persona», e tale da poter «quasi» giustificare il riconoscimento di «un tertium genus costituito dalla combinazione di caratteri sessuali primari e secondari di entrambi generi» come esito di «un percorso di riconoscimento del proprio genere». Ma una simile ricostruzione, che sembra prefigurare l'identita' sessuale come oggetto di una mera scelta soggettiva dell'interessato, di cui la consulenza medica dovrebbe limitarsi ad accertare la serieta' ed univocita', non trova, pero', alcun fondamento nella legge, che fa discendere la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, oltre che dalla volonta' del soggetto ricorrente, dal dato oggettivo delle intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali, sulla base - qualora ritenuto necessario - di una consulenza medica che ne accerti le «condizioni psico-sessuali». Di fatto, comunque, a seguire letteralmente la decisione della S.C., si finisce per far rientrare dalla finestra, imponendolo (il percorso medico - sanitario sui caratteri secondari), cio' che e' uscito dalla porta (l'obbligo dell'intervento), ambedue i concetti avendo rilevanza ex art. 32 della Costituzione. Si e' osservato come la Corte non avrebbe dovuto procedere alla ridefinizione di un concetto - quello di identita' sessuale - tuttora ancorato, negli ordinamenti giuridici contemporanei e in particolare in quello italiano, all'evidenza (anche se non piu' esclusiva) di dati oggettivi, fisici e morfologici, che attestino l'«adeguamento dei caratteri sessuali» (art. 31, comma 4 decreto legislativo n. 150/2011) alla psiche del soggetto. E cio' in quanto, sulla base dell'evidente intentio del legislatore, «la modificazione artificiale del sesso in tanto puo' avvenire, in quanto sia rispondente ad un interesse oggettivamente e soggettivamente inteso della persona, ai fini dello sviluppo della sua personalita' (art. 2, 3, comma 2 della Costituzione) e nel sostanziale rispetto della sua dignita' (art. 32, comma 2 della Costituzione)». Il richiamo costante nella motivazione della sentenza al controverso concetto di «identita' di genere», inteso come espressione del diritto all'autodeterminazione del soggetto, tende erroneamente a fare di un problema specifico, quello del transessualismo, un paradigma generale per la ridefinizione del concetto di identita' sessuale, come pure e' stato lucidamente teorizzato in dottrina. Si e' anche detto essere «il concetto di identita' sessuale, come acquisito o apparente stato di armonia tra soma e psiche nella percezione dell'appartenenza sessuale del soggetto, non quello ambiguo di identita' di genere ad essere stato recepito dal nostro legislatore come fondamento degli status personali e primo elemento di identificazione del soggetto presso l'ufficio dello stato civile del comune di nascita o di residenza. Evocare da parte della Suprema Corte altri concetti, di controversa definizione e di incerta collocazione nel nostro ordinamento, oltre a tradire il ruolo proprio dei giudici, «soggetti soltanto alla legge» (art. 101 della Costituzione), ma a questa senz'altro, costituisce una forzatura che rischia di aggravare l'incertezza nell'interpretazione del sistema normativo e di aumentare la confusione nell'opinione pubblica, che su temi cosi' delicati avrebbe piuttosto bisogno di chiarezza e non di una giurisprudenza per concetti astratti e indeterminati». Sul piano dell'applicazione pratica, dunque, le aperture delle Supreme Giurisdizioni, sia pur entro i piu' angusti limiti sopra indicati, offrono il destro a ben piu' di qualche difficolta' e distonia d'interpretazione e/o applicazione. 3.3 - La rilevanza sociale. Ma dove l'esame e' ancora lacunoso e' sul piano dei rapporti sociali interrelazionali, come anticipato non oggetto in via principale di interpretazione costituzionalmente orientata della Corte di cassazione a Sezioni unite o della Corte costituzionale. Il fugace cenno alla solidarieta' sociale rinvenibile nella sentenza della Corte costituzionale del 1985 (come detto non vincolante per il giudice di merito in quanto contenuto in una sentenza di rigetto e in un passaggio secondario del percorso motivazionale) in realta' passa per una serie di implicazioni di non irrilevanti conseguenze sociali (allora non adombrate nell'ordinanza di rimessione) e interrelazionali. Anche chi ha commentato con favore le decisioni piu' recenti della S.C. e della Corte costituzionale si e' posto il problema della rilevanza dell'art. 2 della Costituzione posto a sostegno dei decisa rispetto alla societa' ed ha opinato che nel momento in cui sancisce il principio personalista, non lo declina nella sola prospettiva individualista, ma anche nelle relazioni sociali e, quindi, giuridiche che caratterizzano ogni persona umana, auspicando un rapido intervento del legislatore per la ricerca di un nuovo punto di equilibrio che garantisca, nelle forme e modalita' appropriate, anche la certezza del diritto. Insomma, la dottrina piu' attenta ha percepito immediatamente la pericolosita' di interpretazioni troppo evolutive. E' proprio sotto questo profilo che, nella ricerca di una lettura delle norme conforme alla nuova collocazione datane dalle supreme magistrature, occorre invocare autorevoli pronunciamenti in tenia di bilanciamento tra contrapposti interessi di rilievo costituzionale. Le decisioni sopra indicate in qualche misura accennano al problema. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 221/2015, richiama esplicitamente «un adeguato bilanciamento con l'interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche» (punto 4.1, Cons. dir.), dimostrandone cosi' la persistenza anche in questo contesto. La Cassazione appare sensibile sul contrasto tra autodeterminazione e interesse pubblico ora citato, laddove afferma: «L'individuazione del corretto punto di equilibrio [...] oltre che su un criterio di preminenza e di sovraordinazione, puo' essere ancorata al principio di proporzionalita' [...] [che] si fonda sulla comparazione tra il complesso dei diritti della persona e l'interesse pubblico da preservare» (sent. n. 15138/15). Tuttavia ambo le decisioni non approfondiscono il profilo speculare a quello personalistico, legittimando il dubbio posto dalla dottrina che «... diviene concreta anche la possibilita' che la persona possa ripensare alla nuova scelta sessuale e optare eventualmente per una soluzione a ritroso rispetto al percorso di transizione, gia' intrapreso, verso l'altro sesso, sicche' anche su questo punto sarebbe necessario un nuovo intervento del legislatore. Come gia' evidenziato, infatti, i rilievi critici proposti riguardano la necessita' di una revisione della legge n. 164/1982 che, per un verso, possa essere piu' chiara nel senso indicato dalla Consulta in tema di trattamento chirurgico, e che, per contro, provi ad individuare nuovi punti di ponderazione tra l'autodeterminazione della persona e la certezza del diritto, senza alcuna eccessiva compressione ne' dell'una ne' dell'altra nel rispetto del principio di proporzionalita' richiamato dalla Cassazione». In sintesi, quel che la Corte di cassazione e la Corte costituzionale intendevano valorizzare per dare una risposta a problemi indubbiamente rilevanti per una minoranza desiderosa di un proprio riconoscimento, se troppo allargato rischia di creare una serie di ricadute non indifferenti tanto dal punto di vista giuridico interpretativo che sociale. 3.4 - La rilevanza sociale specifica. Ma se gia' sul piano delle ricadute in termini personalistici le conseguenze soffrono di troppo labili confini e' sul piano della rilevanza sociale che si pongono problemi e ricadute irrisolvibili allo stato. Anzitutto e' del tutto ovvio come all'aspetto intersoggettivo condivisibilmente da considerare (anche perche' spesso nasconde veri e propri drammi psicologici del richiedente) occorre correlare le ripercussioni sul contesto sociale in cui il tutelato opera. Se e' vero che anche il matrimonio del mutato di genere e' salvo (Corte costituzionale n. 170/2014) e' pur vero come la vita di relazione conservi parecchie occasioni di contatto in cui anche i caratteri sessuali primari della persona rilevano; si considerino, ad esempio, ma non esaustivamente, i seguenti casi: * Frequentazioni di palestre e relativi spogliatoi * Bagni pubblici * Ispezioni personali di polizia * Scuole con classi settoriali * Reparti ospedalieri settoriali * Reparti lavorativi settoriali * Carceri * Concorsi * costumi da tenere in spiaggia. In tutti questi casi e' certamente rilevante stabilire con sicurezza il «genere» della persona perche' nessuno, men che meno se minore d'eta', possa in qualche misura essere disorientato sull'identita' del genere del «mutato di sesso», fondando, ancora oggi, la legge italiana (cosi' come ribadito dalla sentenza della S.C. del 2015), a torto o a ragione che sia, la differenza sul duopolio uomo/donna. Laddove dovesse optarsi per la prevalenza del dato cartolare su quello fisico - a questo punto visivamente «ibrido» - dovrebbe paradossalmente sostenersi che la societa' non e' piu' fondata sul detto duopolio, ma su un numero indeterminati di generi, solo dalla giurisprudenza ricondotti, secondo un criterio assai vago d'interpretazione caso per caso, all'una come all'altra macro categoria di assai incerti confini. Il che produce incertezze (6) . Con la conseguenza che la societa' dovrebbe adeguarsi a sostenere questa promiscuita' fondata sul dato cartolare ed a tutela di quella che la Cassazione ha piu' volte ritenuta una «minoranza» ed in danno della maggioranza ancorata ad altri valori guida, non fosse altro che per la naturalistica dominanza dei detti due generi prevalenti e che andrebbe a ledere quel principio di uguaglianza che la Corte ha piu' volte posto come uno dei valori fondanti del Paese. Quante volte si dovesse intervenire d'urgenza in stato d'incoscienza sul mutato di sesso (es. ricovero ospedaliero) ovvero in condizioni che non ammettono dilazione (es. ispezione di polizia) si creerebbero altrettante situazione d'incertezza proprio in ragione della non netta appartenenza ad un genere «codificato», con la conseguenza di ribaltare sugli operatori la «scelta» di far prevalere il dato cartolare su quello effettivo o viceversa, con tutte le illazioni del caso. In siffatte ipotesi esemplificative il paziente incosciente potrebbe essere collocato in un reparto femminile (facendo prevalente il documento) o maschile (facendo prevalere i caratteri genitali primari) a seconda dell'interpretazione dell'operatore, con conseguenti problemi di carattere pratico per chi, ad esempio, deve convivere (es. altri pazienti in corsia) o gestire (es. personale infermieristico) il paziente. Parimenti, in caso d'ispezione di polizia si dovrebbe lasciare agli interpreti la scelta se far operare un agente uomo o donna a seconda della diversa prevalenza attribuita al dato cartolare o a quello formale, peraltro con sensibili problemi di coordinamento col disposto dell'art. 79 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale giacche' ispezioni e perquisizioni devono essere eseguite, a termini degli articoli 245 e 249 codice di procedura penale nel rispetto della dignita' e, se possibile, del pudore della persona. In sintesi, tanto da parte di chi deve agire che da parte di deve subirla, potrebbero proporsi innumerevoli problemi di bilanciamento di valori che, allo stato della legislazione attuale, sarebbero irrisolvibili. Di piu', in caso d'assenza di documento, si porrebbero ulteriori piu' gravi problemi ed imbarazzi, se non vere e proprie problematiche sul diritto del lavoro delle persone che debbono procedere ad ispezione personale (7) Il tutto, ovviamente, con sensibile compromissione dei valori costituzionalmente rilevanti di rispetto della dignita' e del modo di sentire altrui, di buon andamento della pubblica amministrazione, di rispetto del tutela dei lavoratori nella esecuzione di prestazioni correlate al loro genere, etc. Emblematicamente anche in spiaggia si proporrebbero problemi di non poco rilievo, posto che anche qualora il mutato di genere indossasse un costume tipicamente femminile verrebbero in evidente visibile rilievo i caratteri sessuali primari di nascita, con quali difficolta' di adattamento nei confronti dei minori e' d'intuitiva evidenza. In altri ordinamenti in cui il diritto viene anche creato attraverso pronunzie giurisprudenziali e' accaduto che il Tribunale dell'Ontario per i diritti umani ha stabilito che, in caso di sedicente di sesso opposto non operato sottoposto alla perquisizione devono essere date tre alternative: perquisizione eseguita soltanto da un agente maschio, soltanto da un agente femmina, oppure da Ima coppia di agenti, maschio e femmina. Soluzione questa che non potrebbe essere percorsa nel nostrano sistema allo stato delle leggi attuali. Cio' per dimostrare quanto sia complesso arrivare per via pretoria a dare una bilanciamento dei valori in gioco. Insomma, non sembra che attraverso pur apprezzabili interpretazioni del dato normativo possa giungersi ad una soluzione compiuta in una materia dove il problema e' conosciuto da quando e' vecchio il mondo e mai, almeno in Italia, la legislazione ha saputo dare una risposta concreta, tant'e' che gia' la Corte costituzionale del 1985 enunciava i numerosi progetti di legge giacenti. E, d'altra parte, se si considera come la pur recente legge sulle «coppie di fatto» non si e' spinta sino al punto da prevedere espressamente una modifica delle norme sul cambiamento di sesso, pur in un contesto in cui la sessualita' e' ritenuta certamente in modo piu' consapevole, personalistico e moderno, non sembra vi sia spazio in via pretoria per un'interpretazione concretamente in grado di ingenerare piu' problemi (per certi versi anche allo stesso interessato - costretto di volta in volta a subire le perplessita' di chi deve avere contatti con lui) di quanto voglia risolverne. Le osservazioni che precedono assumono maggiore pregnanza se comparate con quello che succede in altri ordinamenti e segnatamente in America, laddove, tendenziali maggiori aperture ad una societa' piu' permissiva hanno di recente dovuto indurre a fare marcia indietro in alcuni Stati dove ad una iniziale apertura al principio di libera scelta erano conseguiti tali e tanti abusi (segnatamente nell'accesso ai bagni pubblici di sedicenti «dell'altro sesso») da indurre a rimeditare la liberta' incontrollata e reintrodurre il principio del sesso di nascita. Insomma, l'impossibilita' per via pretoria di poter definire diritti e doveri di chi e' tramutato di sesso senza avere caratteristiche del tutto simili al genere corrispondente, rischia di generare gravi problemi operativi e, comunque, di obbligare, in una materia in cui il legislatore non e' ancora intervenuto, la collettivita' ad elaborare regole di comportamento certamente molto lontane dalla tradizione secolare e di indubbia uniformita'. Checche' se ne dica, dunque, non basta che i caratteri secondari siano in qualche misura mutati (senza che se ne stabiliscono neppure le percentuali di cambiamento), in parecchie occasioni rilevando anche i caratteri primari sessuali. La scelta solamente personalistica del proprio orientamento sessuale e' solo una parte, certamente rilevante e degna di considerazione, del problema, ma essa non puo' reputarsi avulsa dalla rilevanza che essa assume nell'ordinamento rispetto a regole d'altrettante rilevanza costituzionale. Si dovrebbe allora interpretare il contesto normativo, sia pur nell'ambito di una maggiore consapevolezza e modernita' onde favorire anche la tutela delle minoranze, secondo un criterio di ragionevolezza. (almeno sin quando il legislatore non dovesse decidere di dare pieno ed autonomo riconoscimento a tutti i generi). Com'e' stato osservato in un recente studio «il principio di ragionevolezza e' utilizzato come complemento e in appoggio a qualunque altro principio costituzionale richiamato a parametro del giudizio della Corte». Si nota nel medesimo lavoro appena citato che il principio di ragionevolezza ha assunto un connotato conformativo rispetto ad ogni parametro costituzionale; di qui deriva la pervasivita' del canone quale principio costante e onnipresente nella giurisprudenza delle leggi specie in correlazione con altri diritti di pari dignita'. Come e' stato efficacemente sentenziato dalla Corte «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignita' della persona. Quindi, tra pari diritti di rilievo costituzionale in gioco, nessun diritto fondamentale e' protetto in termini assoluti dalla Costituzione, ma - al contrario - e' soggetto a limiti per integrarsi con una pluralita' di altri diritti e valori. Se questo e' vero, dunque, non puo' apoditticamente affermarsi la prevalenza del diritto alla personalita' su ogni altro diritto (8) , essendovene altrettanti su valori pregnanti da controbilanciare con criteri di ragionevolezza e proporzionalita'. Criteri che, se da un lato devono considerare la «massima espansione delle tutele» di tutti i diritti coinvolti, dall'altra devono tener, sul piano degli effetti, che se una normativa sacrifica parzialmente un diritto fondamentale deve esservi corrispondente beneficio di altri interessi di pari rilievo. Di detto bilanciamento la Corte ha fatto ampio uso quando ha individuato interessi costituzionali «atipici» (nel senso di non nominati in Costituzione): ad es., il diritto delle coppie omosessuali alla regolazione giuridica della propria convivenza, ricavato dall'art. 2 della Costituzione; il diritto dell'adottato di conoscere le proprie origini, ricavato dall'art. 2 della Costituzione come componente del diritto all'identita'; la generale liberta' di autodeterminazione. In materia affine l'intervento della Corte piu' prossimo e' quello della valutazione degli interessi coinvolti dalla rettificazione di sesso di un coniuge, facendo sopravvivere il matrimonio anche quando i due coniugi abbiano, per effetto della mutazione, oramai lo stesso sesso. Con la sentenza n. 170/2014 si disse, bilanciando i valori: «La fattispecie peculiare che viene qui in considerazione coinvolge, infatti, da un lato, l'interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio (e a non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta venuto meno il requisito essenziale della diversita' di sesso dei coniugi) e, dall'altro lato, l'interesse della coppia, attraversata da una vicenda di rettificazione di sesso, a che l'esercizio della liberta' di scelta compiuta dall'un coniuge con il consenso dell'altro, relativamente ad un tal significativo aspetto della identita' personale, non sia eccessivamente penalizzato con il sacrificio integrale della dimensione giuridica del preesistente rapporto, che essa vorrebbe, viceversa, mantenere in essere». Com'e' stato acutamente osservato dalle dottrine straniere i principi costituzionali sono «precetti di ottimizzazione», ossia precetti che non necessariamente richiedono un rispetto assoluto, bensi' il maggior grado di osservanza. compatibile con le contingenze fattuali e giuridiche, di talche' la scelta tra i valori compatibili passa necessariamente attraverso un adeguato bilanciamento, talvolta in grado di far spostare la leva a seconda dei valori coinvolti. Ad esempio, il legislatore soddisfa il principio di tutela della salute (art. 32 della Costituzione) tenendo conto di quello dell'equilibrio finanziario (art. 81 della Costituzione), dando al primo un peso maggiore o minore a seconda del proprio orientamento; il legislatore soddisfa il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 della Costituzione) in misura maggiore o minore, tenendo conto, ad es., del principio di cui all'art. 24 della Costituzione (diritto di difesa). Come sostiene la dottrina costituzionalistica occorre distinguere, all'interno della Costituzione, tra «principi» e «regole», i primi possibili di bilanciamento, le seconde da applicare senza opzioni. Certe volte principi e regole stanno insieme: l'inviolabilita' della liberta' personale e' un principio ma la riserva di legge assoluta e' una regola. La tutela della salute e' un principio, ma l'intangibilita' del contenuto minimo del diritto alla salute e' una regola. Cio' anteposto, e' stato piu' volte posto in rilievo come valori costituzionalmente rilevanti quali la manifestazione del pensiero, la liberta' di coscienza, la dignita' umana, l'iniziativa economica privata e simili, hanno si' rilievo primario ma devono pur essere contemperati con l'ordine sociale, con il costume corrente e con le regole di tollerabile convivenza (Corte costituzionale n. 141/1996). Il diritto e' pieno di regole che astrattamente si pongono in contrasto col principio di autodeterminazione o della tendenziale massima espansione della personalita' in tutte le sue forme: e' vietato, ad esempio, circolare in luoghi pubblici nudi (9) ; andare in motocicletta senza casco anche se maggiorenni; fare schiamazzi; accedere in aree protette senza permesso, etc. Ove si volesse ritenere che sempre e comunque prevale la scelta individuale della persona detti limiti non dovrebbero piu' ammettersi. Eppure la Corte costituzionale (n. 180/1994) reputa legittima la norma che impone l'uso del casco a chi vuole andare in motocicletta a tutela imposta della sua stessa salute. La salute, in questo caso, assume pregnanza prevalente ed imposta rispetto alla libera scelta dell'individuo, a dimostrazione di un bilanciamento non irragionevole ma che vede recessivo l'interesse della persona alla piena estrinsecazione del proprio ego. Eppure nessuno (ancora oggi, nonostante una mutata concezione della societa' e qualche sentenza di segno contrario) nega che mostrarsi in pubblico con i propri genitali sia offensivo e sanzionato come reato, essendo, a questo punto, non piu' un problema soggettivo di esplicazione della personalita' ma di interrelazione con gli altri esseri. Cosi', ancora, in tema di vaccinazioni obbligatorie ovvero di trattamenti sanitari obbligatori. Cioe' a dire che la piena estrinsecazione della personalita' umana ben puo' subire regole e limitazioni. E normalmente il bilanciamento e' fatto tra norme dello stesso rango: l'art. 21 della Costituzione, mettendo in relazione la liberta' di pensiero e il divieto di manifestazioni contrarie al «buon costume», traccia uno schema di bilanciamento applicabile in concreto. Cosi', nel giudizio intorno al reato di pubblicazione di stampati con immagini impressionanti o raccapriccianti in modo da turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di delitti o suicidi, il rigetto del dubbio di legittimita', sollevato con riferimento proprio al primato della liberta' di stampa, viene argomentato sulla base del significato del buon costume, inteso come «comune senso della morale». Secondo dottrine accreditate, il controllo di proporzionalita' si dipana in tre test che la Corte e' chiamata a fare in questi casi: necessita', sufficienza e proporzionalita'. Per la «necessita'», si richiede che la scelta di limitare o postergare un diritto o un interesse costituzionale deve giustificarsi per la necessita' di dare attuazione a un altro diritto o interesse di pari rango. Per la «sufficienza» deve essere dimostrato che nel privilegiare un interesse o un diritto la disciplina positiva pur sempre soddisfi in maniera non insufficiente le esigenze di garanzia dell'interesse o del diritto limitato o ristretto, «valutando l'interazione reciproca tra l'accrescimento di tutela dell'uno e la corrispondente diminuzione di garanzia dell'altro, come disposti dal legislatore in vista della composizione dell'eventuale contrasto». I limiti o la compressione di un diritto o di un interesse costituzionale devono essere, infine, «proporzionati» ovvero non eccessivi in relazione alla misura del sacrificio costituzionalmente ammissibile che, in ogni caso, non puo' mai essere tale da annullarne il contenuto essenziale. Piu' in particolare la stessa Corte costituzionale ha, talvolta implicitamente, effettuato detti bilanciamenti di valori, quando, ad esempio, ha posto in correlazione proprio l'art. 2 con la liberta' di espressione di pensiero ex art. 21 della Costituzione in riferimento al «buon costume» (sent. n. 368/1992) o alla «morale» del comune senso di sentire (sent. n. 293/2000), del costume corrente (sent. n. 168/1971) o ad altri valori costituzionalmente rilevanti (sent. 86/1974 - 11/1968), fissando regole di adeguata proporzionalita'. Pur ripudiandosi la tesi che la mutazione di genere anagrafica e senza intervento chirurgico leda direttamente i principi sopraindicati, indubbiamente e' inevitabile come una soluzione del genere determini nella vita di tutti i giorni pesanti ricadute nella vita delle altre persone quante volte i caratteri sessuali primari per scelta o circostanze del caso possano o debbano essere mostrati, emergendo a questo punto l'esigenza di raccordo tra diritti individui e diritti della collettivita'. Orbene, com'e' evidente, nessuna delle suddette valutazioni ha compiuto in precedenza la Corte costituzionale su questi aspetti, sicche' il giudice di merito e' certamente libero di trovare la soluzione piu' appropriata pur sempre nel solco dell'interpretazione costituzionalmente orientata, nell'alveo di un adeguato bilanciamento tra le giuste esigenze dell'istanze di parte e quelle, di altrettanta rilevanza costituzionale, al rispetto del comune modo di sentire, del lavoro, della tutela dei minori, etc. (10) Detta in parole povere dovra' darsi pieno riconoscimento al mutamento di sesso, anche senza intervento sui caratteri sessuali primari, quelle volte in cui per caratteristiche innate, per precedenti interventi o per altra causa il richiedente abbia gia' tutte quelle caratteristiche tipiche del genere opposto (e mai terzo genere) cui vuole accedere, senza che nella collettivita' possa sorgere imbarazzo, disorientamento, disdoro, incertezza a seconda del modo di interpretare o sentire le cose. La pur apprezzabile esigenza del singolo a vedere adeguate le risultanze anagrafiche, in sintesi, non puo' tradursi in un aggravio per la societa' (cui pur si annette un generale dovere di solidarieta' sociale), al punto da esigere sino che siano i piu' a doversi adeguare alle esigenze delle minoranze. Se, infatti, in conseguenza del cambio anatomico di sesso nessun problema sociale si genera in quanto il soggetto assume sembianze in tutto e per tutto riallineate a quelle del genere opposto, per chi non esegue l'operazione indubbiamente si determinano parecchie conseguenze anche di rilevanza sociale. Come e' stato piu' volte evidenziato, la Carta costituzionale tutela e garantisce i diritti delle minoranze. Il concetto di minoranza, inteso come gruppo di persone che si distingue per qualche aspetto da tutti gli alti, e' difficilmente precisabile e «potenzialmente infinito, perche' infiniti sono i possibili elementi di distinzione: si puo' appartenere ad una minoranza in quanto uomo o in quanto donna, in quanto religioso o in quanto ateo, in quanto analfabeta o in quanto laureato» (11) . Tuttavia, proprio nella suddetta affermazione e' indubbio come l'identita' sia, allo stato della legge vigente, esclusivamente confinata nel duopolio uomo / donna, senza che possa riconoscersi un carattere di prevalenza di genere fondata su labili e vaghi valori percentuali di dominanza dei caratteri secondari su quelli primari. Anche a voler seguire la tesi piu' largheggiante, e' indubbio come si ponga, a questo punto, un rilevante problema di tutela delle maggioranze, ponendosi una questione di parita' di trattamento, per cosi' dire, all'incontrario, dovendo, a questo punto, stabilirsi come la maggioranza debba integrarsi ed attrezzarsi per rendere compatibile il trattamento dei mutati di sesso senza operazione con i diritti degli alti consociati a ricevere servizi differenziati in ragione dell'appartenenza ad un sesso anziche' all'altro. Mutuando elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in materie affini - come quelle religiose o linguistiche, con richiami agli articoli 6, 7, 8 della Costituzione (peraltro riassunte nello scritto citato nella nota precedente), lo Stato deve rimuovere le discriminazioni che si pongono nell'esercizio dei diritti fondamentali ma anche attivarsi per una tutela «positiva» o «attiva» delle stesse 21, quale «forma di necessaria attuazione del principio di uguaglianza, inteso in senso "sostanziale"». E', tuttavia, ben chiaro come, il riconoscimento dei diritti fondamentali non significa conseguentemente attribuire al singolo poteri di adeguamento dell'apparato alle proprie esigenze: riconoscere all'individuo il proprio diritto d'identita' linguistica non implica, ad esempio, che la scuola debba aprire un corso della lingua di appartenenza. Riconoscere il diritto di appartenenza religiosa non implica che lo Stato debba costruire luoghi di culto differenziati. Viceversa, sul diritto di genere, le problematiche derivate potrebbero essere infinite. Intervenendo per via pretoria sulla sola legge sul cambiamento di sesso, stabilendo l'equipollenza anagrafica, detti obiettivi non sono affatto raggiungibili, creandosi situazioni di obiettivo disagio tanto per lo stesso interessato, che potrebbe essere trattato in modo diverso a seconda della sensibilita' degli interlocutori, tanto per la collettivita' nel suo complesso. In definitiva, pur salvaguardata l'identita' sessuale (Corte costituzionale n. 161 del 1985) e la liberta' sessuale (Corte costituzionale n. 561 del 1987), mancano ulteriori addentellati costituzionali per giustificare un passaggio ulteriore all'adeguamento che la societa' dovrebbe fare per supportare l'integrale esplicazione del diritto in questione. Come dimostrano i piu' recenti studi comparati di altri ordinamenti sull'argomento, e' soltanto con interventi normativi coordinati e complessivi che puo' realizzarsi obiettivamente la piena integrazione richiesta. In questi termini, dunque, l'aspetto che ora interessa dovra' essere valorizzato alla luce delle risultanze accluse agli atti. 4 - Gli esiti degli accertamenti svolti. Prima di approfondire, anche in questo caso e' utile riprendere buona parte della conclusionale di parte attrice. Si sostiene nella stessa quanto di seguito. «.......la storia clinica e psicologica e l'evoluzione del vissuto dell'attrice, ci si riporta all'atto introduttivo, ribadendo in questa sede che la graduale femminilizzazione del corpo derivante dall'inizio della terapia ormonale, iniziata alla fine del 2013, veniva accompagnata da un evidente miglioramento del quadro psicopatologico, consentendogli di vivere con maggiore serenita' il rapporto con il proprio corpo, ma anche di sentirsi piu' sicura nelle relazioni sociali ed affettive, che sono aumentate all'esito della terapia ormonale ed hanno portato anche ad una stabile relazione sentimentale, con un uomo (doc. 1 e 2). L'attrice utilizza ormai da tempo il nome di "A.", nome da cui si sente identificata e che viene utilizzato anche da familiari ed amici. Tuttavia permangono le difficolta' legate all'impatto sociale di riconoscersi in un corpo sempre piu' femminile ma con una identita' anagrafica maschile che risulta essere limitante nella sfera socio-lavorativa. La rettificazione anagrafica dell'identita' di genere appare, quindi, una tappa fondamentale nel percorso di trasformazione, nonche' per una maggiore integrazione sociale e lavorativa. L'incongruenza tra i dati anagrafici riportati sui documenti di identita' ed il suo aspetto, esteriore ed interiore, creano in A. un disagio insostenibile in una societa' non pronta ad accogliere serenamente la predetta discrasia. In quest'ottica e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali costituzionali e anche sovrannazionali, ed in ossequio ai principi giurisprudenziali succintamente gia' riportati, il Tribunale e' chiamato, nel caso di specie, ad accertare il radicato convincimento di appartenenza al genere femminile, l'integrazione delle caratteristiche femminili gia' acquisite con l'identita' psicofisica (e, senza che sia avvertito il contrasto con la realta' anatomica e la necessita' di sottoporsi all'intervento chirurgico di amputazione dei genitali maschili e costruzione di quelli femminili) la consolidata modifica dei caratteri sessuali secondari nonche' il suo carattere definitivo a prescindere da un eventuale intervento chirurgico, principi tra l'altro gia' condivisi dal Tribunale di Avezzano nella sent. n. 754/2014. Nel caso di specie, risulta inequivocabilmente dalla documentazione medica che l'attrice ha acquisito una consolidata modifica dei caratteri sessuali secondari e sviluppato, sul piano psichico un radicato convincimento di appartenenza al genere femminile senza avvertire la necessita' di adeguamento chirurgico anatomico ovvero senza avvertire la necessita' dell'intervento chirurgico di amputazione dei genitali maschile e ricostruzione di quelli femminili. La disforia di genere, avvertita sin dalla puberta', sebbene segni di disagio fossero presenti fin dall'infanzia anche se in maniera ancora inconsapevole, aveva portato A. a sviluppare una sintomatologia depressiva che e' regredita e si e' risolta solo a seguito dell'inizio della terapia farmacologia di femminilizzazione (doc. 1). Durante il colloquio con il CTU l'attore "esprime il desiderio di ottenere la riattribuzione anagrafica dell'identita' di genere, per lui vissuta non solo come tappa fondamentale nel percorso di trasformazione ma anche come condizione importante per una maggiore integrazione socio-lavorativa". Sul lato prettamente ovvero sull'aspetto, il ricorso alla terapia ormonale c.d. "femminilizzante" ha determinato da un lato la netta riduzione e/o atrofia dell'attivita' testicolare e/o un quasi azzeramento delle funzioni sessuali maschili, e dall'altro, ginecomastia, riduzione di ricrescita del pilifero e modificazione della distribuzione dell'adipe. Le caratteristiche femminili risultano, pertanto, integrate con l'identita' psicofisica e certamente non piu' reversibili. E' escluso, quindi, che l'intervento chirurgico di rettificazione possa essere considerato nel caso di specie necessario al completamento dell'acquisizione della nuova identita' di genere mentre risulta indispensabile allo scopo, la riattribuzione anagrafica dell'identita' di genere quale tappa conclusiva dell'iter di trasformazione. Alle medesime conclusioni e' pervenuto il CTU: "T. S. percepisce la propria identita' sessuale come sesso femminile e per il mutamento effettivo di sesso non e' necessario l'intervento chirurgico (tenuto anche conto dell'espresso desiderio di non sottoporvisi, da parte del periziato, il cui tono dell'umore peggiora gravemente al pensiero); l'intervento chirurgico sarebbe giustificato solo se finalizzato a ridurre il disagio e non a peggiorarlo; sussiste nell'Attore una identificazione formale sotto il profilo psicologico, tale da rendere necessario il mutamento dei dati anagrafici e tratti somatici e caratteri sessuali secondari.... Si puo' concludere che T. S. e' in possesso dell'idoneita' psicofisica al cambiamento di genere". Anche nella relazione clinica della dott.ssa Annadelia Cipolla, psicologa incaricata dal CTU, si legge: "La paziente [...] presenta chiaramente caratteri secondari del tutto femminili e un abbigliamento congruente con il sesso di identificazione. Risulta evidente un'incongruita' tra sesso biologico e identita' di genere [...]. Attualmente A. oltre a presentare un aspetto femminile, e ad identificarsi come tale, evidenzia un reale disagio sociale legale all'identita' anagrafica maschile che assume una valenza negativa soprattutto in ambito sociale e lavorativo. Nei colloqui e' emerso il desiderio primario di cambiare identita' anagrafica alfine di migliorare la propria qualita' della vita seppur allo stato attuale non appaia ancora fondamentale una riattribuzione chirurgica di sesso". In conclusione da un lato l'accertamento giudiziale (la CTU) ha portato al riconoscimento di quanto gia' dedotto nell'atto di citazione circa la diagnosi di disforia di genere (dalla CTU: "il punteggio della scala Mf, che si riferisce alle differenze tra gli uomini e le donne risulta essere abbastanza elevato (mf 73), tipicamente alti punteggi vengono riscontrati in soggetti transgender come nel caso di specie") e modificazione certa dei caratteri sessuali (sempre dalla CTU: "l'aspetto esteriore e' tipicamente femminile, con assenza della caratteristica distribuzione pilifera maschile (la cute e' depilata e liscia, anche grazie ai ripetuti trattamenti estetici. Presenza di ginecomastia, modificazione della distribuzione dell'adipe con caratteristiche ginoidi [...] Presenta chiaramente caratteri secondari del tutto femminili e un abbigliamento congruente con il sesso di identificazione e risulta evidente un'incongruita' tra sesso biologico e identita' di genere") dall'altro viene esclusa la necessita' dell'intervento chirurgico nel caso di specie non solo non necessario al completamento del mutamento dell'identita' di genere ma addirittura peggiorativo del disagio: "Tono dell'umore, durante la visita appare leggermente livellato sul versante depressivo; peggiora notevolmente in concomitanza di pensieri intorno alla eventuale prescrizione, da parte del Giudice, della necessita' di intervento chirurgico per il cambio di genere (che il periziato rifiuta decisamente) [...] Assenti ansia o particolari preoccupazioni. Mostra solo preoccupazione riguardo ad un eventuale intervento chirurgico al quale sarebbe costretto a sottoporsi per il cambio di genere (lo esclude nettamente e asserisce che 'questo pensiero mi ha frenata, in passato'". (cit. CTU). Non esistono ulteriori impedimenti per la rettifica come da parere positivo del PM». Com'e' agevole riassumere, l'attore reputa di aver raggiunto un sufficiente gado di maturazione prevalentemente psicologica per poter accedere al mutamento di genere, avendo peraltro iniziato un percorso di «femminilizzazione» solo a partire dall'anno 2013. Interessanti sono alcuni passi della relazione di consulenza tecnica d'ufficio. Il dott. Di Salvatore scrive: ..« ...Riferisce di essersi identificato in un corpo femminile gia' dalla prima infanzia e da qualche anno si fa chiamare con il nome di donna «A.». Esclude espressamente l'intervento chirurgico per modificare i caratteri sessuali secondari» (verosimilmente si tratta di errore materiale, dovendosi intendere il riferimento ai caratteri primari). Aggiunge il consulente «...L'aspetto esteriore e' tipicamente femminile, con assenza della caratteristica distribuzione pilifera maschile (la cute e' depilata e liscia, anche grazie ai ripetuti trattamenti estetici). Presenza di ginecomastia, modificazione della distribuzione dell'adipe con caratteristiche ginoidi, testicoli in sede e con ridotto trofismo, non varicocele, pene normale» ... «In seguito, T. S. ha effettuato un colloquio con una psicologa specialista in sessuologia e ha quindi intrapreso la terapia ormonale antiandrogena e femminilizzante». Riportando i dati di uno psicoterapeuta il dott. Di Salvatore scrive «... Nel tempo si sono osservate sensibili modificazioni in senso ginoide dei caratteri sessuali secondari (mammella, peli, adipe, testicoli, ecc.). Ha mostrato ottima compliance alla terapia, ha subito un chiaro miglioramento del tono dell'umore e delle relazioni sociali, rispondendo completamente alle aspettative del test di vita reale». Lo specialista conclude: «Per quanto riguarda il giudizio di mia competenza, il/la signor/signora T. S. e' idonea alla prosecuzione dell'iter transizionale"». Riporta, inoltre, che nel periodo di osservazione il paziente assume farmaci «Androcur (ciproterone acetato), Progynova (estradiolo valerato), Spirolang (spironolattone), tutti con effetti antiandrogeni e/o femminilizzanti» e che «... il punteggio della scala Mf che si riferisce alle differenze tra gli uomini e le donne risulta essere abbastanza elevato (mf 73), tipicamente alti punteggi vengono riscontrati in soggetti transgender come nel caso in questione». Conclude nei seguenti termini: «T. S. presenta una Disforia di genere DSM 5) che ha avuto un esordio precoce con manifestazioni evidenti fin dall'infanzia, continuato poi in adolescenza e conclamato in eta' adulta. La condizione e' associata a disagio clinicamente significativo e a compromissione dell'area sociale e lavorativa. Tenuto conto dell'anamnesi, del colloquio psico-sessuologico, della visita medica, le visite e le terapie specialistiche andrologiche, i test di personalita', gli esami di laboratorio, le condizioni mentali attuali, si puo' concludere che, anche a seguito della terapia ormonale e percorso psicologico in atto, come da documentazione in atti, T. S. percepisce la propria identita' sessuale come sesso femminile e per il mutamento effettivo di sesso non e' necessario l'intervento chirurgico (tenuto anche conto dell'espresso desiderio di non sottoporvisi, da parte del periziato, il cui tono dell'umore peggiora gravemente al solo pensiero); l'intervento chirurgico sarebbe giustificato solo se finalizzato a ridurre il disagio e non a peggiorarlo; sussiste nell'Attore una identificazione formale sotto il profilo psicologico, tale da rendere necessario il mutamento dei dati anagrafici e tratti somatici e caratteri sessuali secondari; non sussiste nell'attore una conflittualita' tra sesso anatomico e identita' di genere. Si puo' concludere che T. S. e' in possesso della idoneita' psicofisica al cambiamento di genere». Sennonche' dette conclusioni non solo non esprimono un definitivo, irreversibile cambiamento di genere, legittimando, se ammesse, il pieno riconoscimento del transgender che proprio la Cassazione ha escluso come tertium genus, per quanto comporterebbe, quale implicita conclusione, un'analisi solo delle caratteristiche psichiche del soggetto agente, restando molto sfumate le identita' sessuali secondarie di cui pur si dovrebbe tener conto. Se si ripudiasse l'orientamento espresso da alcuni tribunali (si e' citato in premessa tribunale Savona) in quanto non linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione nell'anno 2015, e, quindi, esclusa la rilevanza dei soli aspetti psicologici o della cura ormonale, evidentemente il test sui caratteri sessuali secondari non potrebbe essere cosi' evanescente da includere solo una diminuzione della superficie pilifera (principalmente dovuta a depilazione) o una non meglio identificata ginecomastia (caratteri presenti in molti uomini pur non affetti da fenomeni transgender). Ne', a maggior ragione, vestirsi come una donna disvela la definitiva trasmigrazione all'altro genere. E cio' tenuto conto del fatto che le cosiddette non meglio precisate cure femminilizzanti sono iniziate solo nell'anno 2013 e la causa e' stata proposta nell'anno 2015, sicche' non v'e' neppure quel consistente lasso di tempo che fece affermare in alcune pronunzie storiche essere rilevante il lasso temporale di percezione, anche nella societa', di detto mutamento. E' appena il caso di rilevare come i tecnici parlino di idoneita' alla prosecuzione dell'iter transizionale e non gia' di avvenuta maturazione; di percezione autonoma della condizione femminile e non gia' della obiettiva percezione da parte della collettivita'; di punteggio nella scala Mf a 73 e non gia' a 100 o poco meno; di caratteristiche sessuali primarie tipiche dell'uomo (pene, testicoli); di ginecomastia (fenomeno tipicamente maschile) e non di seno (di cui fa cenno uno psicoterapeuta di parte, indicando le «mammelle», senza che il dott. Di Salvatore confermi il dato, limitandosi ad evidenziare la suddetta ginecomastia). Il tutto a dimostrazione dell'assenza delle caratteristiche piene ed integrali delle donne, dell'astratta reversibilita' della scelta e di una «convinzione» del richiedente che e' possibile documentare solo di recente. D'altra parte, se il medesimo e' oramai consapevole del suo status attuale, al punto da vestirsi tipicamente da doma e convivere stabilmente con un uomo, evidentemente quelle esigenze che a suo tempo diedero luogo a fenomeni depressivi proprio in ragione del disagio percepito devono ritenersi sopite, tant'e' che l'unica giustificazione plausibile della ragione della richiesta il T. l'ha fornita in sede di sua personale audizione, affermando di non voler piu' spiegare alle forze dell'ordine di essere sostanzialmente doma e non uomo come risulta dai documenti d'identita'. Ma questa esigenza - pur apprezzabile e comprensibile - non puo' essere valorizzata sino al punto da annichilire tutti gli altri elementi di cui sopra si e' detto, dovendo certamente esservi piu' una maggior serie di valori da ponderare in quel che la stessa Corte di cassazione ritiene essere un giudizio rigoroso. Sotto l'aspetto «relazionale» infine, proprio le considerazioni precedenti, disvelano la difficolta' di risolvere per via pretoria quel che e' uno problema atavico ancora oggi irrisolto dal legislatore nostrano, come peraltro anche in altri ordinamenti. In questi termini, una interpretazione aderente all'interpretazione delle norme cosi' come suggerita dall'interpretazione della S.C. e della Corte costituzionale nel 2015 porterebbe verso la strada del rigetto della petizione di parte. 5 - La soluzione piu' favorevole. Tuttavia, laddove volesse accedersi alla tesi piu' favorevole - come pur potrebbe farsi in ragione della valorizzazione integrale delle caratteristiche psico-fisiche individuali piu' volte addotte dalla S.C. e dalla Corte costituzionale - evidentemente discenderebbero conseguenze rilevanti. Ammettere l'attuale attore al trattamento di genere vorrebbe dire legittimarlo a comportarsi da donna in tutte quelle tipiche manifestazioni delle attivita' umane che comportano contatto anche solo visivo degli organi sessuali primari con i terzi. Dal mutamento anagrafico egli sarebbe legittimato a dare piena estrinsecazione della personalita' femminile e con corrispondente possibilita' di esporre i suoi caratteri sessuali primari (maschili) alla presenza di donne o minori, senza minimamente doversi preoccupare della potenziale lesivita' dei diritti costituzionalmente garantiti delle altre persone (cosi' come intesi nella tradizione millenaria). Negli stessi termini egli avrebbe diritto a pretendere trattamenti equiparati a quelli femminili, esponendo la collettivita' ad incertezze ovvero a possibilita' di obiezione per il contrasto tra identita' cartolare e quella effettiva. In definitiva, la valorizzazione di una sua scelta interiore (dal punto di vista dei caratteri sessuali certamente non affini a quelli femminili) obbligherebbe la societa' intera ad un adeguamento non irrilevante ne' indolore. A ben vedere, piu' complessivamente, non vi sarebbe nessuna persistente ragione per mantenere la separazione uomini / donne riscontrabile in tante attivita' della vita quotidiana, dovendosi, per gli stessi principi d'uguaglianza e rispetto dell'individualita', assecondare qualsiasi richiesta di frequentazione di reparto opposto quante volte il soggetto dichiari di trovarsi meglio altrove. A ben vedere, attraverso opzioni tautologiche di scarso rilievo scientifico, si finirebbe per dare piena legittimazione al transessualismo pur negato dalla Corte di cassazione nelle sue forme «ibride». Ma cio' non sembra consentito dalla normativa vigente ne' affine al comune modo di sentire, benche' non possa negarsi l'auspicio che il legislatore intervenga definitivamente su un problema oramai troppo grande per essere ancora eluso. 6 - La violazione dei parametri costituzionali. Si e' gia' detto come, valorizzando al massimo gli aspetti individualistici dovrebbe darsi prevalenza al dato singolare su quello sociale, rischiando di creare diseguaglianze, per cosi' dire, al contrario, laddove, potrebbe risultare violato: l'art. 2 della Costituzione, «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale» nella parte in cui la valorizzazione dei diritti del singolo non collimerebbe con i doveri inderogabili di solidarieta' sociale, cui lo stesso deve pur attenersi; l'art. 3, primo comma, della Costituzione «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» se inteso nel senso che il diritto del transgender ad ottenere pieno riconoscimento del genere diverso da quello di nascita e' prevalente su quello della gran parte dei consociati a conservare il pieno duopolio uomo / donna; l'art. 3, secondo comma, della Costituzione «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» se inteso nel senso che il pieno riconoscimento alla mutazione di sesso implichi che la societa' debba adeguarsi alla sua estrinsecazione anche verso minori, lavoratori, istituzioni imponendo loro comunque un mutamento dei tradizionali valori comunemente accettati, tesi a superare la rigida dicotomia tra uomo e donna, con conseguenti adeguamenti tali da imporre, alternativamente, o la valorizzazione del solo dato cartolare conseguente ovvero, il dispiegamento di risorse umane ed economiche per superare la transizione e, quindi, attrezzare percorsi strutturali e metodologie per il trattamento conseguente. 7 - La rilevanza della questione. Nei termini che precedono ed evidenziati in sintesi nei precedenti paragrafi 5 e 6, qualora il contesto normativo dovesse interpretarsi nella piu' favorevole misura della valorizzazione dell'interesse individuale, la questione di costituzionalita' appare rilevante e non manifestamente infondata in quanto dirimente nel caso in esame. Se, invero, il corpus normativo dovesse interpretarsi nel senso proposto dal ricorrente ed in qualche misura avallato da alcuni passi delle decisioni indicate, evidentemente dovrebbe porsi il problema della comparazione con gli altri valori di pari rilievo piu' sopra evidenziati nel paragrafo 6. La questione, allora, assume rilevanza in quanto, non sembrandovi esservi altra soluzione costituzionalmente compatibile, l'unica praticabile appare una pronunzia di costituzionalita' che affermi direttamente il riconoscimento del tertium genus o, comunque, il buon diritto del mutato di genere senza cambiamento dei caratteri sessuali primari ad ottenere prestazioni o riconoscimenti dalla societa' indipendentemente dai caratteri sessuali primari, sol perche' la sua scelta e' assolutamente prevalente rispetto a tutti gli altri valori coinvolti. (1) Altri tribunali di merito pronunciandosi su casi analoghi, con una lettura costituzionalmente orientata delle norme di riferimento avevano reputato sufficiente per ottenere la rettificazione l'accertamento della transessualita' degli istanti, del loro fermo convincimento di appartenere al sesso opposto a quello attribuito alla nascita nonche' del raggiungimento di uno stabile equilibrio psicofisico, con piena accettazione del proprio corpo (Trib. Roma 7 novembre 2014, inedita; Trib. Messina, 4 novembre 2014; Trib. Siena 12 giugno 2013, in NGCC, 2013, I, 1116, con nota di Bilotta; Trib. Roma 11 marzo 2011 e Trib. Roma, 22 marzo 2011, in NGCC, 2012, 243, con nota di Schuster; Tribunale Roma 18 ottobre 1997 in Dir. fam. pers., 1998, 1033). Altri, facendo leva sul disposto dell'art. 31, comma quarto, del decreto legislativo n. 150 del 2011, a tenore del quale «Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato», avevano,affermato che l'adeguamento dei caratteri sessuali mediante intervento non integrasse affatto, per il legislatore, condizione indefettibile per la rettificazione. In particolare, secondo questo orientamento, non potevano essere «costretti al bisturi» quanti, aspirando alla rettificazione, corressero gravi rischi per la propria salute col sottoporsi all'intervento, o semplicemente, avendo gia' completato il percorso di transizione sessuale, non lo ritenessero utile ne', appunto, necessario (Trib. Rovereto cit.; Trib. La Spezia 25 luglio 1987, in Arch. civ. 1987, 1233). (2) cosi' Trib. Milano 2 novembre 1983, in Foro it., 1984, I, 582. (3) Si pensi alla transizione da donna a uomo e all'imposizione o meno, ai fini della rettificazione, dell'intervento di asportazione dell'utero e delle ovaie. Per esempio, nel senso che fosse necessaria anche l'asportazione dell'utero, delle ovaie e delle ghiandole mammarie v. Trib. Bologna 5 agosto 2005 in Foro it., 2006, 12, I, 3542 (4) Tribunale Pavia 2 febbraio 2006 in Foro it. 2006, 5, I, 1596; Trib. Bologna cit.; Trib. Benevento 10 gennaio 1986 in Dir. Famiglia 1986, 614 nonche' Riv. it. medicina legale, 1988, 264 (5) Trib. Cagliari 25 ottobre 1982, Giur. it., 1983, I, 2, 590 (6) Per le ragioni anzidette e diversamente da quanto sostiene il Tribunale di Trento, con ordinanza del 28 aprile 2015 di remissione alla Corte costituzionale, opinando «Questo Tribunale si rende perfettamente conto delle conseguenze pratiche che comporterebbe una declaratoria di incostituzionalita' (nel senso che, allora, l'esame «esteriore» della persona, sarebbe inidoneo a rilevare il suo sesso); ma cio', a ben osservare, non puo' ragionevolmente suscitare alcuna perplessita', perche' in un paese civile l'identita' sessuale viene accertata tramite i documenti di identita' e non certo per mezzo di un'ispezione corporale». E' piuttosto vero che in molti casi contano anche l'aspetto esteriore ed i caratteri sessuali. (7) Vedasi, ad esempio, il regolamento di polizia carceraria che impone l'obbligo di corrispondenza di sesso tanto nel caso di ispezione su detenuti che su visitatori sui quali cada il sospetto di intromissione di oggetti vietati. (8) Negandosi in questa sede dapprima l'identificazione tra la scelta personalistica e il principio della dignita' umana e, poi, l'ulteriore proposizione, tentata da qualche dottrina, di impossibilita' di bilanciare la dignita' umana con altri diritti, giacche' nel nostro ordinamento non ha usbergo prevalente sugli altri. (9) Oltre la contravvenzione di cui all'art. 726 del codice penale, si rammenta come la Corte dei diritti dell'uomo abbia di recente (anno 2014) affermato essere contrario alla morale comune delle societa' democratiche odierne andare in giro in pubblico senza veli. Eppure, se si volessero mettere sulla bilancia i valori fondanti, certamente l'opinione di chi reclama il diritto della propria personalita' «nuda» non e' astrattamente meno valente di chi invoca il diritto al sesso che gli e' congeniale, nell'uno come nell'altro caso essendovi un desiderio di estrinsecare il proprio ego nel modo piu' conforme al personale modo di sentire le cose. (10) E' proprio concomitante alla stesura della motivazione della decisione la notizia della conferma da parte del giudice del lavoro di Venezia del provvedimento disciplinare di sospensione dal lavoro di un docente per alcuni giorni in quanto l'outing improvvisamente comunicato agli studenti non e' stato «responsabile e corretto»; a dimostrazione di quanto la societa' attuale sia ancora lontana dall'aver trovato un assetto compiuto su tanto rilevanti interessi. Assetto che, certamente non puo' essere imposto per provvedimenti giudiziari ma che deve verosimilmente trovare regolazione nella legge. (11) Relazione svolta in occasione dell'incontro con la delegazione della Corte costituzionale del Kosovo il 7 giugno 2013 al Palazzo della Consulta.
P. Q. M. Il Tribunale di Avezzano, cosi' dispone: visto l'art. 134 della Costituzione, e gli articoli 23 e ss. della legge 11 marzo 1957, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n 164, come interpretato dalla Corte di cassazione nella decisione n. 15138/2015 e dalla Corte costituzionale nelle decisioni n. 221/2015 e n. 161 del 1985 nella parte in cui, pur escludendo la necessita' di interventi chirurgici anche ricostruttivi dei caratteri sessuali primari, prevede la riconducibilita' al genere opposto in mancanza di caratteri sessuali primari corrispondenti pur nominalmente ripudiando il fenomeno del transessualismo, cosi' di fatto prevedendo un adeguamento da parte della societa' dai contorni incerti rispetto alla maggioranza dei consociati, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli articoli 2, 3 della Costituzione. dispone la immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale e sospende il giudizio. manda la cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Avezzano, 12 gennaio 2017 Il Presidente estensore: Forgillo