N. 158 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 luglio 2017
Ordinanza del 12 luglio 2017 del Consiglio superiore della magistratura - Sezione disciplinare nel procedimento disciplinare E. F.. Ordinamento giudiziario - Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati - Previsione della sanzione della rimozione per il magistrato, condannato in sede disciplinare, per i fatti previsti dall'art. 3, comma 1, lett. e), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109. - Decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita', nonche' modifica della disciplina in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della L. 25 luglio 2005, n. 150), art. 12, comma 5.(GU n.46 del 15-11-2017 )
LA SEZIONE DISCIPLINARE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA composta dai signori: avv. Antonio Leone - componente eletto dal Parlamento che presiede in sostituzione del Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura - Presidente; avv. Paola Balducci - componente eletto dal Parlamento - relatore; dott.ssa Maria Rosaria San Giorgio - magistrato di legittimita' - relatore; dott. Lorenzo Pontecorvo - magistrato di merito - relatore; dott. Nicola Clivio - magistrato di merito - componente; dott. Luca Palamara - magistrato di merito - componente. Ha pronunciato in Camera di Consiglio la seguente ordinanza nel procedimento disciplinare n. 162/2014 R.G. nei confronti del dott. F. E. (nato a ... il ...) giudice presso il Tribunale di Torino, incolpato: A) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma l, lett. e), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perche', al di fuori dell'esercizio delle funzioni di magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, a partire dal marzo 2009 - epoca del suo trasferimento presso tale ufficio - e fino al 30 novembre 2011, otteneva agevolazioni da C. C., sottoposto dalla stessa Procura della Repubblica a procedimento penale per il reato di associazione per delinquere, conclusosi con sentenza di condanna, divenuta definitiva, della Corte d'appello di Milano del 20 aprile 2012. Il C. infatti, nel menzionato arco temporale, concedeva al dott. E. l'uso gratuito dell'attico ammobiliato sito in Milano, via ... n. ..., per cui la locataria societa' D. C. s.r.l. - riconducibile allo stesso C. - corrispondeva il canone annuo di complessivi € 32.000,00; B) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perche', al di fuori dell'esercizio delle funzioni di cui al capo A), avendo la societa' D. C. s.r.l. formulato disdetta dal contratto di locazione del menzionato attico con effetto dal 30 novembre 2011, usava la qualita' di magistrato e le funzioni esercitate presso la Procura di Milano, per continuare ad abitare gratuitamente l'immobile. Il dott. E., infatti, promettendogli la presentazione di persone influenti e capaci di propiziargli occasioni di «business», induceva C. F. - tramite la societa' F. M. s.r.l. al medesimo riconducibile - a subentrare nel contratto di locazione dell'attico che abitava, cosi' da potervi permanere gratuitamente (dal 1° dicembre 2011) fino al 3l dicembre 2013, allorquando, per disdetta datane dalla societa' locataria, il contratto cessava di avere effetto; C, C1, C2, D, D1 (sospesi ai sensi dell'art. 15, comma 8, lett. a) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109); E) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2 lett. d) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perche', nell'esercizio delle funzioni di cui al capo A), poneva in essere una grave scorrettezza nei confronti del collega di ufficio dott. M. A. e di altri magistrati non identificati, in quanto, avendo ricevuto da C. F. prestiti infruttiferi per almeno euro 5.000,00 (condotta oggetto del predetto capo D.1), tacendo la situazione debitoria e l'intenzione di ricompensarlo dei favori economici ottenuti, presentava loro il C., chiedendo in favore di quest'ultimo l'affidamento di incarichi di consulenza; inoltre, quanto al dott. A., reiterava insistentemente la richiesta e prospettava al collega la spartizione dei futuri compensi da liquidare al professionista, condotta quest'ultima che, pur se tenuta con modalita' scherzose, era comunque idonea ad offenderne la dignita' del magistrato; F) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perche', al di fuori dell'esercizio delle funzioni di cui al capo A), usava la qualita' di magistrato e le funzioni esercitate presso la Procura di Milano, onde conseguire l'ingiusto vantaggio del prestito per complessivi settemila euro che - in piu' riprese - otteneva da M. M. senza interessi, garanzie e ricognizione per iscritto, oltre che con facolta' di determinazione unilaterale del termine di restituzione; G) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perche', al di fuori dell'esercizio delle funzioni di cui al capo A), usava la qualita' di magistrato e le funzioni esercitate presso la Procura di Milano, al fine di conseguire l'ingiusto vantaggio del prestito di cinquemila euro che otteneva da P. T. senza interessi, garanzie e ricognizione per iscritto, nonche' con facolta' di determinazione unilaterale del termine di restituzione; H) stralciato al n. 39/16 D con successiva richiesta di non luogo a procedere; I) dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2 lett. d) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per aver posto in essere una grave scorrettezza nei confronti del collega della Procura di Milano, M. A., in quanto - appreso di essere sottoposto ad indagini presso la Procura di Brescia - faceva recapitare al medesimo un appunto manoscritto con cui gli raccomandava di non riferire degli incarichi di consulenza sollecitatigli in favore del dott. C. («se tu dovessi essere sentito a Brescia escludi pressioni, da parte mia per il commercialista, per favore puoi dire che te l'ho presentato ma non ti ho mai chiesto di nominarlo tuo C.T. Aiutami per favore»), nonche' di concordare previamente le versioni da rendere all'A.G. («inventiamoci qualcosa ... potresti concordare una versione con G. e poi dirmela per quando saro' interrogato, e' una cazzata ma e' importante che le versioni coincidano»). In tal modo il dott. E. offendeva la dignita' professionale del collega, in quanto lo istigava a compiere il reato di cui all'art. 371-bis c.p. o comunque a tenere una condotta contrastante con i doveri di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 109 del 2006, nel corso dell'interrogatorio davanti ai magistrati bresciani fissato per lo stesso giorno 11 marzo 2014. Notizia circostanziata dei fatti acquisita il 19 agosto 2014. In fatto e in diritto l. - Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha esercitato l'azione disciplinare nei confronti del dott. F. E. contestando al magistrato diversi addebiti tra i quali l'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma l, lett. e), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 perche', al di fuori dell'esercizio delle funzioni di magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, a partire dal marzo 2009 -- epoca del suo trasferimento presso tale ufficio - e fino al 30 novembre 2011, otteneva agevolazioni da C. C. il quale era stato sottoposto dalla stessa Procura della Repubblica a procedimento penale per il reato di associazione per delinquere conclusosi con sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello di Milano in data 20 aprile 2012 e divenuta definitiva. Il C. in particolare, nel menzionato arco temporale, aveva concesso al dott. E. l'uso gratuito dell'attico ammobiliato sito in Milano, via ... n. ..., per cui la locataria societa' D. C. s.r.l. - riconducibile allo stesso C. - aveva corrisposto il canone annuo di complessivi € 32.000,00. 2. - A norma del richiamato art. 3, comma 1, lett. e), del decreto legislativo n. 109 del 2006 costituisce illecito disciplinare al di fuori dell'esercizio delle funzioni: l'ottenere, direttamente o indirettamente, prestiti o agevolazioni da soggetti che il magistrato sa essere parti o indagati in procedimenti penali o civili pendenti presso l'ufficio giudiziario di appartenenza o presso altro ufficio che si trovi nel distretto di Corte d'appello nel quale esercita le funzioni giudiziarie, ovvero dai difensori di costoro, nonche' ottenere, direttamente o indirettamente, prestiti o agevolazioni, a condizioni di eccezionale favore, da parti offese o testimoni o comunque da soggetti coinvolti in detti procedimenti. La sanzione applicabile per l'illecito di cui all'art. 3, lett. e), del decreto legislativo n. 109 del 2006 e' in via obbligatoria quella della rimozione, ai sensi dell'art. 12, comma 5, dello stesso decreto legislativo. 2.1. - Tuttavia, l'applicazione automatica di tale sanzione pone dubbi di contrasto con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di ragionevolezza. La necessaria adozione di tale misura punitiva appare, infatti, basata su di una presunzione assoluta, del tutto svincolata, oltre che dal controllo di proporzionalita' da parte del giudice disciplinare, anche dalla verifica della sua concreta congruita'. Appare in particolare vulnerato il principio di «proporzione», fondamento della razionalita' che domina il principio di uguaglianza - inteso come regola di «indispensabile gradualita' sanzionatoria», principio enunciato dalla Corte costituzionale, che ha chiarito come esso postuli l'adeguatezza della sanzione al caso specifico, la quale puo' essere raggiunta solo attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell'illecito (v. Corte cost., sentt. n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988). 2.1.1. - Questa Sezione disciplinare e' consapevole del costante orientamento della giurisprudenza costituzionale nel senso del riconoscimento al legislatore ordinario di un'ampia discrezionalita' nella identificazione delle condotte punibili e delle sanzioni applicabili alle stesse: discrezionalita' che, tuttavia, incontra, come dianzi sottolineato, il limite della non manifesta irragionevolezza, sub specie della giusta proporzione tra sanzione e fatto sanzionato. Alla stregua di tale orientamento, di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236 del 2016, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, codice penale (alterazione di stato civile nella formazione di un atto di nascita mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsita') nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni anziche' da un minimo di tre ad un massimo di dieci anni, pena prevista per il piu' grave reato di alterazione di stato civile mediante sostituzione di neonato. Nella citata pronuncia il giudice delle leggi, nel ribadire la esclusione della spettanza in capo a se' di valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, risultando queste tipicamente demandate alla rappresentanza politica, chiamata attraverso la riserva di legge sancita nell'art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell'ordinamento al cospetto di una lesione ad un determinato bene giuridico, ha chiarito definitivamente che laddove emergano sintomi di manifesta irragionevolezza, per sproporzione, di un trattamento sanzionatorio, e' possibile l'intervento del giudice delle leggi attraverso una valutazione da condurre alla stregua di precisi punti di riferimento gia' rinvenibili nel sistema legislativo, idonei a ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, senza alcuna sovrapposizione alla discrezionalita' del legislatore. 2.1.2. - L'orientamento dell'ordinamento verso la esclusione di sanzioni rigide, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza con il caso concreto e di coerenza generale, trova applicazione anche al procedimento disciplinare in considerazione delle ragioni della configurazione dello stesso secondo paradigmi di carattere giurisdizionale, identificabili nella esigenza di tutelare in forme piu' adeguate specifici interessi e situazioni connessi allo statuto di indipendenza della magistratura. Del resto, e' proprio con riferimento alla compatibilita' tra infrazione e prosecuzione del rapporto di impiego che la giurisprudenza costituzionale ha gia' affermato, come sopra ricordato, che essa va valutata, senza automatismo alcuno, graduando e adeguando la sanzione al caso concreto (cfr., ex plurimis, Corte cost., sentt. n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 e n. 40 del 1990, n. 971 del 1988, cit.). Ne' assume alcun rilievo in contrario la considerazione che lo stesso principio sia stato espresso con particolare riferimento ad ipotesi di sanzione espulsiva applicata de iure quale conseguenza automatica, prevista direttamente dalla legge, della condanna in sede penale per determinati reati, in assenza di procedimento disciplinare. Ed infatti, l'impedimento a calibrare con gradualita' ai diversi illeciti la sanzione piu' adeguata rimane illegittimo anche se rilevato nell'ambito di un procedimento disciplinare e non al di fuori di esso. Nemmeno puo' valere a ridimensionare la portata applicativa del principio illustrato la circostanza che la lesione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. attraverso il vulnus a quello di graduazione e proporzione della sanzione disciplinare sia stato ravvisato, con la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2015, nell'automatismo - imposto, con riferimento alle violazioni di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 109 del 2006, dall'art. 13, comma 1, secondo periodo, dello stesso decreto legislativo, norma pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima in parte qua, con la predetta sentenza - della (sola) sanzione accessoria del trasferimento di ufficio. Ed infatti, se tale disposizione e' stata espunta dall'ordinamento in quanto privava irragionevolmente il giudice disciplinare di ogni apprezzamento discrezionale in relazione all'adeguatezza della sanzione accessoria del trasferimento di ufficio alla consistenza e gravita' delle svariate condotte riconducibili alla previsione di cui all'art. 2, lett. a), del decreto legislativo n. 109 del 2006, deve riconoscersi che una siffatta conclusione costituisce espressione di un principio generale di necessaria proporzionalita' della sanzione. Il relativo giudizio va rimesso alla valutazione del giudice al fine del necessario adattamento della sanzione stessa alla fattispecie concreta, per evitare che comportamenti di diversa offensivita' deontologica siano puniti allo stesso modo, con vulnus di quella razionalita' che, come chiarito, permea di se' il principio di uguaglianza. Peraltro, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (v. sentt. n. 23778 del 2013, n. 15399 del 2003), ove sia riconosciuta la responsabilita' dell'incolpato, la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, non gia' in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto; a tal fine devono formare oggetto di valutazione la gravita' dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensita' dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalita' dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attivita' professionale e agli eventuali precedenti disciplinari. Tale valutazione deve essere particolarmente approfondita qualora la scelta si rivolga alla piu' grave delle sanzioni disciplinari, quella espulsiva, sul presupposto che l'illecito contestato al magistrato sia di tale entita' che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire. 2.2. - In applicazione di tali principi al caso in esame, non e' manifestamente infondato il sospetto di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di ragionevolezza, dell'art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 109 del 2006 nella parte in cui impone l'applicazione della sanzione massima della rimozione in relazione indiscriminatamente a tutte le ipotesi di agevolazione previste dall'art. 3, lett. e), dello stesso decreto, senza consentire al giudice disciplinare alcuna possibilita' di graduazione della sanzione in ragione della diversa intensita' del disvalore della condotta di volta in volta tenuta dal magistrato. Tanto piu' che il concetto di agevolazione appare connotato da un notevole grado di genericita' ed elasticita'. Questa Sezione disciplinare non ignora lo spazio che, nella giurisprudenza costituzionale, trova il principio alla stregua del quale la peculiarita' e delicatezza dei compiti affidati ad una particolare categoria di soggetti, connessi alla salvaguardia di diritti fondamentali delle persone ed alla difesa della collettivita', giustifica una disciplina che ne valuti con particolare rigore la condotta. In ossequio a tale principio, la sentenza n. 112 del 2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma, lett. c), del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, che prevede la destituzione di diritto dell'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza in caso di applicazione nei suoi confronti di una misura di sicurezza personale di cui all'art. 215 codice penale. E, tuttavia, tale decisione non costituisce un precedente utilmente invocabile nel caso di specie, siccome fondato su di un giudizio di pericolosita' sociale, presupposto dell'applicazione della misura di cui si tratta, ostativo alla permanenza di detto rapporto di impiego. 2.3. - Altro profilo di irragionevolezza del denunciato automatismo della sanzione di cui all'art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 109 del 2006 in relazione alla fattispecie di illecito disciplinare di cui all'art. 3, lett. e), dello stesso decreto e' ravvisabile nella comparazione di tale fattispecie con le altre ipotesi per le quali il citato comma 5 dispone la medesima sanzione. Si tratta della interdizione, perpetua o temporanea, dai pubblici uffici, in seguito a condanna penale, della condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli artt. 163 e 164 codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'art. 168 codice penale. Come e' evidente, le ulteriori ipotesi in cui e' prevista la sanzione espulsiva sono collegate alla commissione di reati, mentre le condotte riconducibili alla nozione di agevolazione di cui all'art. 3, lett. e), non presentano necessariamente rilievo penale. 2.4. - La previsione in esame appare, infine, irragionevole sotto un ulteriore profilo, quello del deteriore trattamento, quoad poenam, della fattispecie di illecito disciplinare di cui si tratta rispetto ad altre fattispecie di maggior disvalore deontologico. Si pensi a quella di cui all'art. 3, lett. a), del decreto legislativo n. 109 del 2006, concernente l'uso della qualita' di magistrato per ottenere vantaggi ingiusti per se' o per altri - che potrebbe comprendere in astratto anche l'ipotesi di cui alla lettera e) - punita con la sanzione non inferiore alla censura, o alla perdita di anzianita' se abituale e grave, nonostante il consapevole sviamento della funzione magistratuale insita in tale condotta, che non e', invece, elemento costitutivo della fattispecie in esame; o a quella di cui alla lett. b) dello stesso art. 3, consistente nel frequentare persona sottoposta a procedimento penale trattato dal magistrato ovvero nell'intrattenere rapporti consapevoli di affari con tale persona o con persona dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza, punita con la sanzione minima della perdita di anzianita'. Dette soluzioni costituiscono tertia comparationis cui e' ragionevole uniformare quella all'odierno esame, e fornisce il dato, rinvenibile nel sistema legislativo, al quale fare riferimento, come chiarito sub 2.1.1., per eliminate la manifesta irragionevolezza denunciata senza che il giudice delle leggi sovrapponga la propria discrezionalita' a quella del legislatore. 3. - La questione sollevata non puo', ad avviso di questa Sezione disciplinare, essere risolta nel senso auspicato attraverso il ricorso ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma denunciata, sul modello del dictum della sentenza disciplinare n. 4 del 2010. In quella sentenza, con riferimento ad una fattispecie cui era applicabile la previgente normativa di cui al regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, caratterizzata dalla atipicita' degli illeciti disciplinari, e che concerneva la condanna in sede penale di un magistrato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione (pena sospesa e non menzione) per il reato di cui all'art. 479 codice penale, il giudice disciplinare ritenne di non applicare la sanzione espulsiva prevista in tali ipotesi dall'art. 29 (effetti disciplinari dei giudicati penali) del citato regio decreto legislativo n. 511, opinando che il rigore di tale disposizione - secondo cui «Il magistrato ( ... ) condannato alla reclusione per delitto non colposo, diversa da quelli previsti dagli articoli 581, 582 capv., 594 e 612 prima parte del codice penale, e' destituito di diritto» - deve intendersi fortemente ridotto con l'entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990 n. 19 («modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti») che, con disposizione generale (art. 9) da ritenersi applicabile anche al procedimento disciplinare dei magistrati ordinari, ha stabilito che la sanzione espulsiva puo' (e non deve) essere applicata solo a seguito di procedimento disciplinare, allineando cosi' la normativa disciplinare del pubblico impiego alle indicazioni della Corte costituzionale circa il divieto di automatismi nella applicazione di sanzioni disciplinari. In detta occasione, sulla base di tale principio, il giudice disciplinare, con decisione confermata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. n. 23778 del 2010, cit.) - inflisse all'incolpato la sanzione disciplinare della perdita di anzianita' per due anni. Va al riguardo rilevato che tale conclusione e' stata adottata con riguardo a fattispecie di condanna in sede penale dell'incolpato, in relazione alla quale si e' posto il problema della graduazione della sanzione disciplinare in ragione della necessita' di valutazione dell'elemento soggettivo del reato, anche con riferimento ai profili deontologici. La medesima soluzione non puo' adottarsi nella fattispecie in esame. Invero, in un sistema, quale quello oggi vigente, caratterizzato, a differenza di quello previgente, dalla tipicita' degli illeciti, e delle relative sanzioni, con indicazione, relativamente ad alcune fattispecie, di una particolare cornice edittale, la previsione testuale, operata dal legislatore, della rimozione quale conseguenza della affermazione della responsabilita' disciplinare per l'illecito di cui all'art. 3, lett. e), del decreto legislativo n. 109 del 2006 non puo' trovare rimedio, ad avviso di questa Sezione disciplinare, se non attraverso l'incidente di costituzionalita', operandosi, in caso contrario, una non consentita disapplicazione di una norma dal tenore testuale univoco. 4. - In punto di rilevanza della questione, si osserva che il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla soluzione della prospettata questione di legittimita' costituzionale. La delibazione sulla sussistenza della responsabilita' dell'incolpato in relazione alla piattaforma probatoria acquisita dovrebbe, infatti, comportare necessariamente l'applicazione della norma sospettata di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, apparendo l'unica alternativa ipotizzabile - quella dell'applicazione dell'art. 3-bis del decreto legislativo n. 109 del 2006, con conseguente assoluzione per scarsa rilevanza del fatto - non percorribile nella specie, quantomeno in ragione del valore economico dell'agevolazione ottenuta. E tuttavia l'automatismo della sanzione non consente di apprezzare se la condotta dello stesso incolpato abbia attinto la soglia della massima offensivita', avuto riguardo al diverso livello di disvalore ipotizzabile in ragione del differente atteggiarsi dell'elemento soggettivo, considerando altresi' che l'incolpato, magistrato di prima nomina chiamato a svolgere le delicate funzioni in un importante Ufficio di Procura, aveva un consolidato rapporto di amicizia con il soggetto che gli aveva garantito le agevolazioni prima ancora di entrare in magistratura.
P.Q.M. La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, letti gli artt. 1, legge n. 1 del 1948 e 23 legge 87 del 1953; Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 n. 5 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 in riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui prevede in via obbligatoria la sanzione della rimozione per il magistrato che sia stato condannato in sede disciplinare per i fatti previsti dall'art. 3, lett. e), del decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109. Dispone la sospensione del presente giudizio. Ordina la notifica del presente provvedimento anche nella parte motiva alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone altresi', che il presente provvedimento sia comunicato, a cura della cancelleria della Sezione, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Roma, 19 giugno 2017 Il Presidente: Leone Il relatore: Pontecorvo