N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2016
Ordinanza del 5 luglio 2016 del Tribunale di Torino nel procedimento civile promosso da Ciotti Luigi Pio e altri contro Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro dell'interno. Elezioni - Disposizioni in materia di elezioni della Camera dei deputati (c.d. "Italicum") - Premio di maggioranza - Attribuzione di 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, il maggior numero di voti validi al ballottaggio - Ripartizione proporzionale ed assegnazione dei seggi tra le restanti liste. - Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), artt. 1, comma 1, lett. f) e 2, comma 25, [sostitutivo dell'] art. 83, in relazione al novellato comma 5 [, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati)]. Elezioni - Disposizioni in materia di elezioni della Camera dei deputati (c.d. "Italicum") - Previsione per il deputato eletto in piu' collegi plurinominali dell'obbligo di dichiarare al Presidente della Camera, entro otto giorni dalla proclamazione, il collegio plurinominale prescelto e, in caso di mancata opzione, previsione del sorteggio. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), art. 85, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati).(GU n.30 del 27-7-2016 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO Prima Sezione Civile Nella causa civile iscritta al n. r.g. 27796/2015 promossa da: Ciotti Luigi Pio, codice fiscale CTTPLG45P10G642I, con l'Avv. Lamacchia Roberto; D'Orsi Angelo, codice fiscale DRSNGL47A01G834Z, con l'Avv. Lenti Ennio; Novelli Diego, codice fiscale NVLDGI31E22L219D, con l'Avv. Lenti Ennio; Alfonzi Daniela, codice fiscale LFNDNL57B46L219K, con l'Avv. Lenti Ennio; Caputo Antonio, codice fiscale CPTNTN49R12E033R, con l'Avv. Lenti Ennio; Bruzzone Emanuele, codice fiscale BRZMNL48T10A479X, con l'Avv. Lenti Ennio; Naggi Giovanni Pietro Enrico, codice fiscale NGGGNN41D28L219A, con l'Avv. Lenti Ennio; Ortona Guido, codice fiscale RTNGDU47C16L750V, con l'Avv. Lenti Ennio; Dogliani Mario, codice fiscale DGLMRA46L06L219F, con l'Avv. Lenti Ennio; Cottino Gastone, codice fiscale CTTGTN25B08L219I, con l'Avv. Lenti Ennio; Pallante Francesco, codice fiscale PLLFNC72E07L219Y, con l'Avv. Lenti Ennio; Pepino Livio, codice fiscale PPNLVI44T12B720R, con l'Avv. Lenti Ennio; Revelli Marco, codice fiscale RVLMRC47T03D205J, con l'Avv. Lenti Ennio; Dadone Fabiana, codice fiscale DDNFBN84B52D205Y, con l'Avv. Lenti Ennio; Brunazzi Marco, codice fiscale BRNMRC42A26L219W, con l'Avv. Lenti Ennio; Algostino Alessandra, codice fiscale LGSLSN70T69L219Y, con l'Avv. Lenti Ennio; Di Giovine Alfonso, codice fiscale DGVLNS43A15E716G, con l'Avv. Lenti Ennio, attore contro Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, C.F., con l'Avv. Avvocatura dello Stato Torino, Ministro dell'interno pro-tempore, C.F., con l'Avv. Avvocatura dello Stato Torino, convenuto. Il Giudice dott. Maria Cristina Contini, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 23 marzo 2016, ha pronunciato la seguente ordinanza: In fatto I ricorrenti hanno convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Torino, nelle forme di cui agli articoli 702-bis e ss. c.p.c., il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore e il Ministro dell'interno pro-tempore chiedendo che venga accertato il diritto di «votare conformemente alla Costituzione» lamentando la lesione di tale diritto ad opera di specifiche norme della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 (il c.d. Italicum) che hanno sostituito o modificato il decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 30 marzo 1957 e le residue norme della legge elettorale n. 270/2005 che aveva modificato il Testo Unico per l'elezione del Senato della Repubblica, approvato con decreto legislativo n. 533 del 20 dicembre 1993. Hanno precisato di essere tutti cittadini italiani iscritti alle liste elettorali e quindi legittimati a far valere il diritto allo svolgimento di un procedimento elettorale regolare tale intendendosi quello che rispetta i diritti garantiti dalla Costituzione e in particolare il diritto di voto definito dall'art. 48 secondo comma a mente del quale «il voto e' personale ed eguale, libero e segreto». In ordine alla possibilita' di introdurre la domanda di accertamento di cui sopra nelle forme del rito sommario hanno specificato che oggetto della domanda era soltanto l'accertamento della violazione del loro diritto di votare secondo i dettami della Costituzione qualora si fosse andati al voto con applicazione delle disposizioni sospettate di illegittimita' costituzionale. Non e' stata invece proposta alcuna domanda inerente lo «status» di elettore di ciascuno dei ricorrenti, con conseguente sussidiarieta' dell'azione cosi' presentata ex art. 50-ter c.p.c., la cui decisione era attribuita in via generale al Tribunale in composizione monocratica per la quale era possibile adottare il rito sommario. Sempre in via preliminare i ricorrenti hanno argomentato in ordine alla sussistenza del loro attuale interesse ad agire tenuto conto del disposto dell'art. 1, comma I lettera c) della legge n. 52/20l5 che dispone: «la Camera dei deputati e' eletta secondo le disposizioni della presente legge a decorrere dal 1° luglio 2016» evidenziando che la legge e' stata promulgata ed e' entrata in vigore e, inoltre, con la promulgazione del decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, la legge ha avuto parziale attuazione, con la suddivisione dell'Italia in circoscrizioni e collegi. In forza dell'art. 2, comma 36 della legge n. 52/20l6, le disposizioni ritenute lesive del proprio diritto di voto avrebbero trovato applicazione in occasione delle «prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge». Dunque i ricorrenti evidenziano che le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento saranno regolate da tali disposizioni e che sussiste il loro interesse attuale a vederne accertata la contrarieta' a Costituzione, prima ancora che vengano indette elezioni dato che la semplice entrata in vigore del testo di legge contestato comportava di per se' la lesione del diritto di voto. Indicate specificamente le norme di legge e i parametri costituzionali ritenuti violati hanno concluso in via preliminare per l'accertamento della violazione del loro diritto di voto, previa rimessione delle questioni cosi' sollevate alla Corte costituzionale. La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'interno si sono costituiti concludendo per l'infondatezza del ricorso. Hanno eccepito la carenza di interesse ad agire ex art. 100 codice di procedura civile in quanto la nuova legge elettorale non era ancora entrata in vigore, essendo applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016 e non potendosi, pertanto postulare che una norma di legge non entrata in vigore possa ledere un diritto. Nel merito hanno eccepito che tutte le censure di costituzionalita' erano manifestamente infondate, posto che, in estrema sintesi la nuova legge elettorale per l'elezione della Camera di deputati: - Realizza l'obiettivo (costituzionalmente rilevante) della governabilita' ed efficienza decisionale con riduzione del numero delle formazioni politiche in Parlamento (con la soglia di accesso al 3% e con l'attribuzione di un premio di maggioranza alla sola lista e non alle coalizioni); - La legge n. 52/2016 e' in stretta correlazione con la modifica del bicameralismo perfetto ed ha lo scopo di evitare il rischio di differenti maggioranze nei due rami del Parlamento. Sentite le parti all'udienza del 23 marzo 2016 il Giudice si e' riservato di provvedere. In diritto La corretta instaurazione del giudizio nelle forme di cui agli artt. 702-bis e ss. codice di procedura civile e la sua decidibilita' da parte del Tribunale in composizione monocratica, ex art. 50-ter c.p.c.. I ricorrenti hanno esposto chiaramente di voler proporre un'azione finalizzata all'accertamento della portata del loro diritto di voto, ritenuta incerta e comunque soggetta a limitazioni a causa delle disposizioni introdotte con la legge n. 52/2016 e di volerne ottenere la riespansione quantomeno con la reviviscenza delle disposizioni vigenti a seguito dalla emanazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014. E' chiaramente esposto nel ricorso introduttivo che i ricorrenti intendono proporre la medesima azione di accertamento proposta nel procedimento nel corso del quale erano state sollevate dalla Corte di cassazione, con ordinanza 17 maggio 2013, le questioni di legittimita' costituzionale che avevano portato alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014 con cui era stata dichiarata l'illegittimita' dell'art. 83, comma 1, n. 5 e comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (approvazione del Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, dell'art. 17, commi 2 e 4 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica) e degli articoli 4, comma 2 e 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e dell'art. 14 comma 1, del decreto legislativo n. 533 del 1993 nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Le norme adottate dal legislatore dopo tale declaratoria di incostituzionalita', con la legge n. 52/2016 non vengono ritenute lesive, invece, dello status di elettore di cui ciascuno dei ricorrenti si afferma titolare e che non ritengono in se' violato dalle disposizioni contenute nella legge in questione che, invece, viene ritenuta pregiudizievole del pieno esercizio del diritto di voto. Non trattandosi quindi di azione avente ad oggetto l'accertamento della esistenza, inesistenza o di limiti alle prerogative che discendono dallo status di elettore, essa non ricade nell'ipotesi di cui all'art. 50-bis n. 1 codice di procedura civile che riserva al Collegio la decisione delle cause nelle quali sia obbligatoria la partecipazione del P.M.. Non rientrando la presente controversia, per le questioni prospettate, in nessuna delle altre ipotesi di c.d. riserva di collegialita', essa e' senz'altro decidibile dal Tribunale in composizione monocratica, secondo la clausola generale contenuta nell'art. 50-ter codice di procedura civile e, per questo, deve ritenersi correttamente instaurata nelle forme di cui all'art. 702-bis c.p.c., come chiaramente previsto dal primo comma della norma in questione. L'interesse ad agire La parte convenuta ha contestato l'interesse ex art. 100 codice di procedura civile dei ricorrenti, in considerazione del fatto che la legge n. 52/2015 non sarebbe entrata in vigore, essendo applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016. L'eccezione non e' fondata. La legge n. 52/2015 e' entrata in vigore, ossia ha assunto forza di legge dello Stato, a far data dal 23 maggio 2015, data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 105 dell'8 maggio 2015. E' stata esclusivamente differita la sua applicabilita', prevista, per le disposizioni di cui all'art. 2, a partire dal 1° luglio 2016 (come disposto dall'art. 2 comma 36). Gli attori lamentano quindi l'incertezza, nei termini che si sono esposti, della reale portata del loro diritto di voto come conformato da un corpus di norme gia' in vigore e la cui applicabilita', benche' differita al prossimo mese di luglio, non e' discutibile, trattandosi di disposizioni che, gia' in vigore, regoleranno certamente la prossima competizione elettorale per il rinnovo della Camera dei deputati. Sussiste quindi, ed e' attuale, l'interesse dei ricorrenti ad ottenere la pronuncia di accertamento di cui si e' detto prima ancora che la legge sia applicata, ossia prima ancora che vengano convocati i comizi elettorali. Sul punto e' condivisibile l'argomentazione svolta dalla parte ricorrente secondo cui vi e' interesse a tale accertamento anche e - soprattutto - prima della competizione elettorale, in quanto una volta emesso il decreto di convocazione dei comizi elettorali, non vi sarebbe piu' uno spazio di tutela effettiva per l'elettore che non potrebbe ottenere pronunce giurisdizionali che incidano sulle elezioni, anche se svolte sulla base di norme poi dichiarate incostituzionali (tale e' appunto la situazione che si e' verificata nel giudizio che ha portato alla citata sentenza n. 1/2014). La sentenza n. 8878/2014 emessa dalla Corte di cassazione dopo la sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale conferma che l'eventuale accertamento della lesione del diritto di voto come conseguenza della ritenuta illegittimita' costituzionale di alcune norme elettorali non puo' che portare ad un ripristino futuro della pienezza di tale diritto, non potendo tale accertamento toccare gli esiti delle elezioni che si erano tenute sotto la vigenza delle norme dichiarate incostituzionali (si veda la sentenza n. 8878/2014 prodotta dalla parte ricorrente). La rilevanza La valutazione della rilevanza della questione di costituzionalita' impone al giudice di verificare se sussista un collegamento giuridico tra la norma sospettata di non essere conforme a Costituzione e la domanda su cui il giudice e' chiamato a decidere. Deve in sostanza sussistere un rapporto di pregiudizialita' necessaria tra la questione di legittimita' costituzionale sollevata in un determinato giudizio e la sua decisione. Occorre quindi chiedersi se, nel presente caso, l'eventuale accoglimento delle questioni di costituzionalita' prospettate dai ricorrenti possa avere effetti nella presente controversia. Ritiene il Giudice che la risposta debba essere affermativa. Come insegna la Corte di cassazione, sezione I, ordinanza 17 maggio 2013, n. 12060 l'azione che, come quella promossa dagli odierni ricorrenti, e' volta a soddisfare non tanto l'esigenza di «sapere ... di non poter esercitare (nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di voto in modo conforme a Costituzione, ma ... di rimuovere un pregiudizio che invero non e' dato da una mera situazione di incertezza ma da una (gia' avvenuta) modificazione della realta' giuridica che postula di essere rimossa mediante un'attivita' ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali» non e' un'azione di mero accertamento, ha ad oggetto una questione non astratta ne' ipotetica ed essa non si risolve, in se' considerata, in «una mera richiesta di un parere legale al giudice». E' infatti individuabile una autonomia tra il dispositivo della sentenza costituzionale e quello della sentenza che dovrebbe definire il giudizio di merito, posto che quest'ultima dovrebbe accertare l'avvenuta lesione del diritto azionato e dovrebbe, in ipotesi di accoglimento della questione di costituzionalita', ripristinare tale diritto «nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale» con l'eliminazione dall'ordinamento delle norme ritenute lesive della posizione giuridica fatta valere dai ricorrenti, di elettori che intendono esercitare il loro diritto di voto in conformita' ai precetti costituzionali. Come statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 59 del 1957 «la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimita' costituzionale sul quale il Giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi». Deve pertanto escludersi, anche nel presente caso, che la proposta questione di costituzionalita' esaurisca in se' ogni aspetto della controversia di merito, per le ragioni esposte in identico caso nella citata ordinanza della Corte di cassazione ed essa pertanto deve dirsi dotata di quel vincolo di pregiudizialita' costituzionale necessaria che la rende rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 a mente del quale «l'autorita' giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale ... emette ordinanza con la quale ... dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso». La legge n. 52/2015 e la riforma costituzionale: individuazione del corretto parametro di valutazione della conformita' a Costituzione della legge elettorale E' noto che il Parlamento ha approvato (in prima deliberazione al Senato nella seduta del 13 ottobre 2015 e dalla Camera nella seduta dell'11 gennaio 2016 e, in seconda deliberazione, dal Senato nella seduta del 20 gennaio 2016 e dalla Camera nella seduta del 12 aprile 2016) un testo di legge di riforma costituzionale. Il testo non e' entrato in vigore essendo sottoposto a referendum, ex art. 138 Costituzione, la cui data non e' stata ancora fissata e che dovrebbe, comunque, tenersi entro l'autunno del 2016. La riforma costituzionale attualmente in itinere prevede, per quanto di rilievo nel presente procedimento, il superamento del c.d. bicameralismo perfetto con l'adozione di un bicameralismo «differenziato» che conferma l'articolazione del Parlamento in due rami, la Camera dei deputati e il Senato, ma che nel nuovo assetto avranno composizione diversa e funzioni in gran parte non coincidenti e, in particolare, non parteciperanno piu' in modo paritario alla funzione legislativa. E' previsto che la Camera dei deputati che «rappresenta la Nazione» sara' titolare del rapporto fiduciario con il Governo, oltre che della funzione di indirizzo politico e di controllo dell'operato del Governo e manterra' la titolarita' della «produzione» legislativa. I componenti della Camera saranno eletti con il sistema previsto dalla legge n. 52/2015. Il Senato sara' invece, la camera di rappresentanza degli enti territoriali, con funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica, oltre che con l'Unione europea, e non avra' piu', salvo alcune specifiche materie, una potesta' legislativa. E' prevista l'eliminazione dell'elezione di questa Camera a suffragio universale e diretto: sara' infatti composto da 95 senatori, rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori di nomina Presidenziale, i primi saranno eletti in secondo grado dai consigli regionali tra i propri membri e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni nei rispettivi territori. Il disegno di riforma costituzionale mantiene il sistema bicamerale perfetto in sede di produzione legislativa solo in via residuale, per determinate categorie di leggi, previste espressamente dalla Costituzione. L'evidente strumentalita' della nuova legge elettorale rispetto al previsto, ma non ancora attuato, quadro di riforme istituzionali a livello costituzionale, dato che appunto si limita a disciplinare le regole per l'elezione della Camera dei deputati, ha indotto pressoche' tutti i commentatori, ed anche i ricorrenti, a valutarne la tenuta Costituzionale non solo sulla base del testo della Carta fondamentale oggi vigente, ma anche e soprattutto in base all'assetto istituzionale che risultera' dalla (eventuale) entrata in vigore del disegno di riforma. Viene infatti evidenziato che in un sistema come quello sopra delineato, il legislatore dovrebbe tenere conto, in modo ancora piu' attento, del rispetto della sovranita' e rappresentativita' popolare espressi attraverso il diritto di voto, rispetto alle esigenze di governabilita', essendo ormai la sola Camera dei deputati ad essere rappresentativa della Nazione in quanto l'unica eletta direttamente e a suffragio universale. Osserva il Tribunale che tali condivisibili valutazioni non potranno, nel presente procedimento, assumere rilievo quali parametri di verifica di conformita' alla Costituzione delle norme censurate dai ricorrenti, in relazione al diritto di voto come delineato dall'art. 48 Costituzione, per l'evidente ragione che non e' possibile, oggi, prendere in considerazione un testo della Costituzione non ancora in vigore e la cui entrata in vigore e', inoltre, solo eventuale, dipendendo essa dall'esito del referendum costituzionale di cui si e' detto. Per tali ragioni non verranno esaminate ne' prese comunque in considerazione le argomentazioni svolte dai ricorrenti e dalla dottrina che ha dibattuto su questi temi, dell'eventuale conformita' a Costituzione della legge n. 52/2015 nelle parti censurate, rispetto a un testo della Costituzione non attualmente in vigore. Le singole censure di illegittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti. La parte ricorrente denuncia l'illegittimita' costituzionale di diverse disposizioni della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 in relazione a piu' articoli della Carta costituzionale. Dette censure sono articolate in tredici motivi che saranno esaminati in modo analitico e separato (ad eccezione dei motivi 4 e 12, nonche' 10 e 13, che saranno, invece, esaminati «a coppie», per ragioni di chiarezza), incominciando da quelli che il Tribunale ritiene essere manifestamente infondati (n.ri 1, 2, 3, 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12 e 13), per trattare infine i motivi 6 e 8, rispetto ai quali il dubbio di illegittimita' non appare manifestamente infondato. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano che la legge n. 52/2015 sia stata approvata con una procedura diversa da quella imposta, per la legge elettorale, dalla Carta costituzionale all'art. 74 comma 4. La censura dei ricorrenti secondo cui l'approvazione della legge n. 52/2015, alla Camera, con l'adozione da parte del Governo della «questione di fiducia» ex art. 116 Regolamento parlamentare violerebbe la procedura di formazione della legge elettorale prevista dall'art. 72 commi 1 e 4 Costituzione appare manifestamente infondata. I ricorrenti muovono dal presupposto che la procedura di approvazione della legge con «riserva di assemblea» prevista dalla norma costituzionale citata sia, nella sostanza, incompatibile con la procedura prevista dall'art. 116 Regolamento parlamentare nell'ipotesi (non regolata direttamente, ne' espressamente prevista dalla Costituzione) che il Governo ponga «la questione di fiducia» sulla procedura di approvazione di una legge sottoposta all'esame del Parlamento quando questa legge, per la materia che e' destinata a regolare, sia una «legge elettorale», intendendosi per tale quella che, come la legge n. 52/2015, detta le regole per la configurazione del sistema elettorale, ossia individua le «formule dei sistemi elettorali» (cit. Sentenza Corte costituzionale 1/2014) attraverso le quali si stabilisce in via generale in che modo «ciascun voto contribuisce ... alla formazione degli organi elettivi» (stessa sentenza). Tale asserita incompatibilita' non appare sussistere, per le ragioni che seguono. L'art. 72 prevede, al primo comma che: «ogni disegno di legge, presentato a una Camera e, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che lo approva articolo per articolo e con votazione finale»; al terzo comma prevede che: «puo' altresi' stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge e' rimesso alla Camera se il governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto ....». Il quarto comma prevede che: «la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera e' sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale ...». Ritengono i ricorrenti che per la legge elettorale non possano essere adottate procedure diverse da quella definita «normale» dall'art. 72 Costituzione che prevede l'esame diretto del testo da parte della Camera, con approvazione articolo per articolo e votazione finale. La procedura speciale prevista dall'art. 116 Regolamento della Camera, in quando si discosterebbe da tale paradigma, non potrebbe essere applicata per la formazione della legge elettorale, non avendo il Governo, in questo caso, la corrispondente prerogativa. E' noto che per gli articoli 1, 2 e 4 della legge n. 52/2015 il Governo ha effettivamente posto la «questione di fiducia» cosi' adottando, alla Camera, la procedura prevista dal Regolamento parlamentare art. 116 comma IV che prevede, quanto alla procedura per il «mantenimento di un articolo», che la votazione avvenga sul singolo articolo «dopo che tutti gli emendamenti sono stati illustrati» e che, in caso di approvazione «gli emendamenti stessi si intendono respinti». Secondo la medesima disposizione, quando venga posta «la questione di fiducia» la votazione avviene per appello nominale, con facolta' per un solo deputato per ciascun gruppo di rendere dichiarazioni di voto. L'art. 116 Regolamento della Camera non indica, al quarto comma, la legge elettorale tra le materie per le quali viene espressamente esclusa la possibilita' di adottare la descritta procedura di voto (ossia per le quali il Governo non puo' porre la «questione di fiducia»). L'art. 49 dello stesso Regolamento prevede, invece, che sulle leggi elettorali (cosi' come su altri «argomenti») la votazione debba avvenire a scrutinio segreto ma solo se ne venga fatta esplicita richiesta. L'art. 24 comma 12 stesso Regolamento prevede inoltre che quando un progetto di legge debba essere votato a scrutinio segreto non possa essere oggetto di contingentamento dei tempi (salvo diversa unanime delibera della Conferenza dei capigruppo). Le norme regolamentari citate devono essere lette congiuntamente e, dal loro combinato disposto, si ricava, per quanto concerne il voto di approvazione alla Camera di una legge elettorale, che il Governo puo' porre la questione di fiducia, e quindi ricorrere alla speciale procedura di voto indicata dall'art. 116 del Regolamento per la quale, tuttavia, puo' essere richiesta (ma deve appunto esserlo) la votazione a scrutinio segreto, invece che per appello nominale, con conseguente divieto, in tal caso, di contingentamento dei tempi di discussione. Questa procedura non si discosta, in termini sostanziali, dalla c.d. procedura «normale» prevista dall'art. 72 commi 1 e 4 Costituzione. Infatti la procedura c.d. «normale» di cui al primo comma prescrive che la votazione avvenga «articolo per articolo e con votazione finale» ed essa consiste in una riserva all'assemblea dell'esame diretto e della approvazione del testo di legge la cui ratio e' quella di assicurare che su certi argomenti vi sia ampia e piena partecipazione alla formazione della legge anche da parte delle minoranze. Tale riserva di assemblea, nella sostanza, viene assicurata anche dalla procedura di cui al citato art. 116 comma IV del Regolamento parlamentare in quanto esso prevede che si proceda, come e' in effetti avvenuto, all'esame del singolo articolo e degli emendamenti, con votazione sul singolo articolo (con decadenza automatica degli emendamenti solo in caso di voto favorevole all'articolo). Con il secondo motivo la parte ricorrente censura gli articoli 1, comma 1 lettera f) nella parte in cui prevede che «sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi»·e 2 comma 25 capoverso «art. 83» con particolare riferimento ai commi: 1 numeri 5 e 6, 2, 3 e 4 in relazione agli articoli 1 comma secondo e 61 Costituzione. Le norme prevedono, molto in sintesi, che vengono attribuiti «comunque 340 seggi» (il c.d. premio di maggioranza) alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi. Ne viene censurata l'irrazionalita' in quanto nulla viene disposto per regolare l'ipotesi in cui due liste raggiungano, nella stessa tornata elettorale, «almeno il 40% dei voti validi» con conseguente diritto, per ciascuna di esse, di vedersi attribuire il premio di maggioranza, cosa pero' non possibile, non potendosi attribuire un numero di seggi superiore a quello massimo e immodificabile previsto dalla Costituzione. La parte ricorrente sostiene che in tale ipotesi la questione non potrebbe essere risolta in via interpretativa senza violare comunque le stesse disposizioni di legge in quanto: - Sarebbe assurdo e irrazionale interpretare la norma non attribuendo a nessuna delle due liste la vittoria e, quindi il premio di maggioranza; - Sarebbe arbitrario attribuire il premio di maggioranza alla lista che risultasse vincente anche per un solo voto (in quanto nulla prevede la legge); - Sarebbe arbitrario e non conforme alla legge indire il turno di ballottaggio in presenza di due liste che hanno superato lo sbarramento del 40% (essendo invece il ballottaggio previsto solo in caso di mancato raggiungimento di questa soglia). La questione, come posta, e' manifestamente infondata. Si deve anzitutto osservare che la parte ricorrente muove da un presupposto non condivisibile e non conforme ai generali canoni interpretativi di una disposizione normativa. Infatti viene censurato, per irrazionalita', l'art. 1 comma 1 lettera f) nella sola parte in cui prevede: «la presente legge, mediante le necessarie modificazioni al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati e le altre disposizioni in diretta correlazione con le medesime modificazioni stabilisce: ... sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale almeno il 40% dei voti validi ...». In realta' la norma prosegue prevedendo che: «o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione». L'interprete deve quindi farsi carico, prima di tutto, di verificare se il testo normativo possa essere interpretato in modo da ricavare la norma che regola il caso apparentemente non disciplinato e solo ove cio' non risultasse possibile potrebbe effettivamente essere sospettata di non conformita' a Costituzione secondo il canone della razionalita' (argomento ex articoli 1363 codice civile 1367 codice civile anche con una finalita' conservativa, come previsto dall'art. 1369 c.c., oltre che in base al generale dovere del Giudice di individuare, tra le varie opzioni possibili, l'interpretazione che risulti conforme alla Costituzione). L'art. 1 lettera f) legge n. 52/2015, letta per intero, indica che la soglia di «almeno» il 40% e' quella che consente l'attribuzione del premio di maggioranza, in presenza della quale e' escluso il ricorso al turno di ballottaggio. Tuttavia la medesima disposizione contiene un criterio di indubbio carattere generale, che e' quello della prevalenza della lista che ha ottenuto il maggior numero di voti. Tale criterio e' menzionato espressamente per identificare il vincitore del premio di maggioranza al turno di ballottaggio ma esso e' certamente utilizzabile, proprio per la sua valenza generale, nell'ipotesi prevista dai ricorrenti, ossia del superamento da parte di due liste dello sbarramento del 40%. In tal caso la norma non potrebbe che essere interpretata ritenendo che debba essere considerata vincitrice, con diritto di accedere al premio di maggioranza, quella tra le due liste che abbia ottenuto, rispetto all'altra, il maggior numero di voti. Non si vede, per contro, quale sia l'ostacolo a questa interpretazione, pure presa in considerazione dalla parte ricorrente, che del tutto apoditticamente, afferma che si tratterebbe di ipotesi «non prevista» (quella, teorica, di prevalenza di una lista sull'altra, anche per un solo voto). La ratio della disposizione e' infatti quella di attribuire il premio di maggioranza (a fini di stabilita' e di «governabilita'» alla lista o gruppo di liste collegate (l'apparentamento e il collegamento tra liste e' infatti espressamente vietato per il solo turno di ballottaggio) che abbia ottenuto piu' voti. E' allora corretto e conforme alla Costituzione interpretare la disposizione, leggendola nella sua totalita', nel senso che essa prevede che in caso in cui due liste raggiungano la soglia del 40% al primo turno, il premio di maggioranza debba essere attribuito alla lista che, cosi' come previsto per il turno di ballottaggio, ottenga un numero di voti superiore rispetto all'altra. Si deve del resto osservare che la verifica del raggiungimento della soglia del 40% viene effettuata sulla base della cifra elettorale nazionale raggiunta da ciascuna lista (v. art. 2 comma 25 (contenente la riformulazione dell'art. 83 del decreto Presidente della Repubblica n. 361/l957), dato che viene ottenuto dalla «somma delle cifre elettorali circoscrizionali conseguite nelle singole circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo contrassegno», ma e' ben possibile che si tratti di liste che, in termini assoluti, hanno ricevuto un differente numero di voti (espressi e validi, evidentemente). Con il terzo motivo si censurano gli articoli: 1 comma 1 lettera f, 2 comma 25 capoverso «art. 83» numeri 5 e 6, commi 2 e 5; capoverso «art. 83-bis» commi 1, numeri 1, 2 e 3 e 4 della legge n. 52/215 in relazione agli articoli 1, 3, 48, 49, 51 e 67 della Costituzione. I ricorrenti prendono in considerazione la possibilita' che, in presenza di una forte dispersione del voto verso liste che non raggiungano la soglia del 3%, si verifichi il caso che una lista ottenga 340 seggi al primo turno, ma che non raggiunga la percentuale del 40%. Si sostiene che, in questo caso, non si potrebbe attribuire il premio di maggioranza (per difetto del presupposto del raggiungimento di una soglia di almeno il 40%) e ne' si potrebbe applicare la norma di «salvaguardia» prevista dall'art. 83 comma 1, n. 7) che consente di mantenere ferma l'attribuzione dei 340 seggi conquistati al primo turno costringendo tale lista, oggettivamente maggioritaria, al ballottaggio. Si produrrebbe allora l'effetto - irragionevole e contraddittorio rispetto ai fini dichiarati dal legislatore - di costringere una lista che ha gia' la maggioranza dei seggi a confrontarsi al ballottaggio con la seconda lista per numero di voti. L'irragionevolezza e la contraddittorieta' denunciate dai ricorrenti, inoltre, sarebbero ancor piu' evidenti qualora, all'esito del suddetto ballottaggio, risultasse vincente la lista che al primo turno aveva preso meno voti dell'altra. Anche questo motivo appare manifestamente infondato essendo basato su una interpretazione non conforme al dettato normativa. L'art. 83, comma 1 numeri 3, 4, 5, 6 e 7 prevede che l'ufficio centrale nazionale, dopo avere determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, procede al riparto dei seggi tra le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 3% dei voti validi espressi e le liste rappresentative delle minoranze linguistiche, ottenendo cosi' il «quoziente elettorale nazionale». Con la divisione della cifra elettorale nazionale per il quoziente ottenendo cosi' il numero di seggi da attribuire a ciascuna lista. Effettuata tale operazione, verifica se la lista con maggiore cifra elettorale abbia raggiunto il 40% dei voti validi espressi (ipotesi prevista dal n. 5) e verifica se tale lista abbia ottenuto almeno 340 seggi e, qualora una lista abbia ottenuto 340 seggi «resta ferma l'attribuzione dei seggi» effettuata in base al n. 4. La norma indica quindi che, nel caso in cui una lista al primo turno non abbia raggiunto il 40% dei voti, calcolato ai sensi del n. 2 del nuovo testo dell'art. 83 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 (che e' il comma 25 dell'art. 2 legge n. 52/2015) ma abbia conseguito «almeno 340 seggi» (avendo cosi' la maggioranza) dei seggi alla Camera, tale attribuzione viene mantenuta ferma (in base appunto al n. 7 dell'art. 83), il che significa che essa non viene messa in discussione per il fatto di non avere raggiunto anche la soglia del 40% dei voti validi. Questo significa, non apparendo altrimenti la disposizione citata avere un significato, che in tale ipotesi la lista o coalizione di liste che abbia ottenuto tale risultato, non e' costretta ad andare al ballottaggio. In sostanza le norme in esame, lette nel loro insieme, indicano che il premio di maggioranza debba essere attribuito alla lista che raggiunga il 40% dei voti validi espressi (ovvero, in caso di parita', a quella che abbia ottenuto il 40% e il numero di voti piu' alto in termini assoluti) ma che non abbia anche conseguito 340 seggi. Se pero' una lista, pur al di sotto della soglia del 40% ha ottenuto comunque 340 seggi, non vi sara' necessita' di costringerla al ballottaggio in quanto il risultato che il legislatore ha inteso conseguire con il premio di maggioranza, al primo o al secondo turno, e' stato gia' raggiunto in via diretta da una delle liste in competizione. Vanno quindi disattese le censure proposte dai ricorrenti che muovono dal presupposto che si ritiene errato e non sostenibile con una adeguata interpretazione delle norme, secondo cui il mantenimento della attribuzione dei 340 seggi ottenuto direttamente da una lista sarebbe soggetto all'ulteriore requisito del raggiungimento anche della soglia del 40% dovendosi, in tal caso andare necessariamente al ballottaggio per attribuire il premio di maggioranza. Si ritiene, per tutte le ragioni che si sono in precedenza esposte, che l'interpretazione offerta dalla parte ricorrente, estremamente formalistica, condurrebbe ad una applicazione irrazionale delle citate disposizioni, che finirebbe per disattendere il risultato dei voti espressi e favorirebbe l'applicazione di un meccanismo correttivo in vista della governabilita', quale e' appunto l'attribuzione del premio di maggioranza, in un caso in cui di tale correttivo non vi e' necessita'. Con il quarto motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 legge n. 52/2015 per violazione dell'art. 138 della Costituzione. Con il dodicesimo motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2 comma 8 legge n. 52/2015 e degli articoli 14 e 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 per violazione dell'art. 92 Costituzione. I due motivi vengono accorpati. Con il quarto motivo i ricorrenti espongono le ragioni per le quali, in generale, si debba ritenere incompatibile l'impianto complessivo della legge elettorale in esame «con la forma di governo parlamentare vigente in Italia a norma di Costituzione» dato che, secondo le nuove disposizioni elettorali il Presidente del Consiglio dei ministri verrebbe «eletto» - da un punto di vista sostanziale, non formale, in via diretta contestualmente al Parlamento, con conseguente svuotamento delle prerogative del Presidente della Repubblica in materia. Affermano infatti che: «con un premio di maggioranza attribuito ad una sola lista vincente, con indicazione sulla scheda del Capo di quella stessa lista e seguito di un ballottaggio, le dette prerogative del Presidente della Repubblica risultano sostanzialmente annichilite. Si e' di fronte, nei fatti a una quasi elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, circostanza che necessariamente produce un mutamento della forma di governo, da parlamentare ad un premierato assoluto tendenzialmente presidenzialistico, ma senza i contrappesi della forma di governo presidenziale classica (USA)», con conseguente surrettizio mutamento della forma di governo, aggirando la procedura prevista dall'art. 138 Costituzione. Con il dodicesimo motivo si sottolinea che l'indicazione della «persona da loro indicata come capo della forza politica», specialmente in caso di ricorso al turno di ballottaggio comporta, in sostanza, un mutamento della forma di governo da parlamentare a presidenziale in quanto il ·programma elettorale» di cui al comma 1 dell'art. 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 non e' altro se non il programma del partito che quella lista (o coalizione di liste) esprime. Pertanto in caso di attribuzione del premio di maggioranza in sede di ballottaggio (al quale non possono accedere coalizioni di liste, ma solo le due liste risultate vincitrici al primo turno) la pretesa di affermare, come fa il primo comma del nuovo art. 14-bis, che «restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall'art. 92 secondo comma della Costituzione» sarebbe una vacua formalita', essendo stato, in realta', completamente svuotata tale prerogativa, non potendo far altro, il Capo dello Stato, se non prendere atto del risultato del primo turno ovvero del ballottaggio. Osserva il Tribunale, prima di esaminare nel merito la censura, che i motivi come configurati appaiono di dubbia rilevanza. Infatti le questioni cosi' sollevate, a differenza delle altre (per le quali valgono le generali considerazioni sulla rilevanza che si sono svolte in precedenza) non attengono al modo in cui viene esercitato il voto rispetto al parametro costituzionale di uguaglianza e liberta' posto dall'art. 48 secondo comma della Costituzione, riguardando invece l'asserita restrizione, o meglio eliminazione, di una prerogativa attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica che secondo il disegno costituzionale vigente - viene esercitata solo dopo che il corpo elettorale si e' espresso: L'art. 92 comma II prevede che: «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Non si comprende come l'eventuale violazione del disposto dell'art. 92 Costituzione, anche letto in relazione all'art. 138 Costituzione, possa, nella presente controversia, tradursi in una restrizione del diritto di voto che e' la posizione soggettiva che i ricorrenti assumono essere stata lesa dalle norme in esame e rispetto alla quale viene chiesta tutela avanti a questo Tribunale. Al contrario, ne viene prospettato un eccessivo ampliamento, la' dove, secondo i ricorrenti, viene attribuito al corpo elettorale il potere di nomina diretta del Presidente del Consiglio dei ministri. A prescindere da ogni valutazione in ordine alle conseguenze che una simile disposizione possa avere sulla «forma di governo», non appare apprezzabile la violazione, da parte delle disposizioni censurate, delle prerogative assicurate all'elettore dall'art. 48 Costituzione. Ma anche ritenendo che rientri nella definizione di voto «uguale» e «libero» il diritto dell'elettore di esprimere un voto i cui effetti siano prevedibilmente limitati alla scelta dei rappresentanti della Camera, senza che ad esso e al suo esito siano collegabili effetti diretti sul potere di nomina attribuito al Presidente della Repubblica, le censure svolte dai ricorrenti appaiono manifestamente infondate. Si osserva, inoltre, che benche' con il dodicesimo motivo si censuri espressamente la non conformita' a Costituzione anche dell'art. 14 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957, di esso e del suo contenuto non viene fatta menzione nei ritenuti motivi di illegittimita' Costituzionale, interamente dedicati al primo comma dell'art. 14-bis del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, introdotto con la legge n. 52/2015. La norma in questione, inoltre, inserita nel Titolo III del decreto del Presidente della Repubblica dedicato al «procedimento elettorale preparatorio» regola le modalita' di deposito, presso il Ministero dell'interno, dello statuto e dei simboli che i partiti politici o i gruppi politici organizzati intendono presentare nei collegi. Tale disposizione non contiene norme che incidano di per se' sulla determinazione del voto in uscita rispetto al voto in entrata e non pare pertanto neppure idonea a ledere, per gli aspetti prospettati dai ricorrenti, il loro diritto di voto nel senso di cui si e' detto in precedenza. Il suo inserimento nel dodicesimo motivo deve allora essere ricondotto a un mero errore materiale. In ogni caso di essa non si terra' conto nell'analisi dei motivi quarto e dodicesimo, in quanto neppure i ricorrenti si dolgono in modo specifico del suo contenuto. La censura cade, invece, sull'art. 1 lettera f (premio di maggioranza) letto in combinazione con l'art. 2 nella parte in cui modifica l'art. 14-bis primo comma nella parte in cui prevede che, contestualmente al contrassegno, i partiti o i gruppi organizzati che si candidano a governare devono depositare il programma elettorale nel quale «dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica» con la precisazione che «restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall'art. 92 secondo comma, della Costituzione». Ricordano i ricorrenti che questa norma deve essere considerata insieme alle disposizioni che attribuiscono il premio di maggioranza (al primo turno o al ballottaggio) in forza delle quali all'esito del voto c'e' necessariamente una lista vincitrice, anche qualora non abbia ottenuto la maggioranza dei voti potendo, anzi, attribuirsi la vittoria sulla base di percentuali di consenso anche di molto inferiori al 40%. In questo caso, per effetto della preventiva indicazione del capo della forza politica che tale lista incarna, vi sarebbe una automatica «designazione» del Presidente del Consiglio dei ministri. Cio' comporterebbe una sostanziale privazione del potere di nomina attribuito al Capo dello Stato dall'art. 92 con conseguente surrettizio mutamento della forma di governo, senza tuttavia il rispetto della procedura di revisione di cui all'art. 138 Costituzione. Tale rilievo, ad avviso dei ricorrenti, dimostrerebbe ulteriormente l'avvenuta violazione dell'art. 72 commi primo e quarto Costituzione, in sede di approvazione della legge n. 52/2015 per mancato rispetto delle procedure normali di formazione della legge elettorale laddove contiene in se' la modifica di norme costituzionali. Si deve obiettare che non vi sono effettivi margini per dubitare della violazione delle prerogative del Capo dello Stato ad opera delle norme sopra citate, lette in combinazione tra loro, non solo per l'espressa salvaguardia di esse che si ricava dall'inciso «restano ferme ... » (che pare addirittura ultronea, dato che non potrebbe una norma di rango inferiore modificare la norma costituzionale che viene riconfermata). Infatti, oltre a quanto gia' evidenziato sul medesimo tema dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 23/2011, non vi e' nelle norme sospettate di illegittimita' costituzionale alcuna disposizione testuale dalla quale si possa far discendere l'esistenza di un vincolo derivante dall'indicazione del capo della «forza politica» alla quale si riferisce o si ispira la lista che viene depositata (art. 14-bis primo comma) e che poi risulti vincitrice e il potere di nomina del Presidente del Consiglio da parte del Capo dello Stato. Si deve inoltre considerare che la prerogativa del Presidente della Repubblica di cui si discute e', sulla base dello stesso attuale disegno costituzionale, intrinsecamente connessa al risultato della competizione elettorale posto che, ferma restando l'assenza di vincoli formali nella scelta del Presidente del Consiglio dei ministri, la nomina cosi' effettuata costituisce un atto di un procedimento complesso, dato che il Presidente del Consiglio cosi' nominato potra' insediarsi, con il Governo, solo dopo e se avra' ottenuto la fiducia delle due Camere (art. 94 Cost.). Questo significa che il potere di nomina non puo' che essere esercitato tenendo conto necessariamente del risultato elettorale, dovendo il nominato confrontarsi con il gradimento del Parlamento, indubbiamente influenzato dalla sua composizione, quale risultata dall'indicazione del corpo elettorale. Sulla base delle norme censurate, che in nulla mutano tale disegno (quanto alla necessita' della fiducia del Parlamento e alla necessita' che il Presidente del Consiglio venga scelto tenendo conto della concreta possibilita' di ottenere tale fiducia dal Parlamento), l'unico dato certo da esse ricavabile e che la lista vincitrice ha gia' indicato colui o colei che - verosimilmente - in quanto capo della corrispondente forza politica, verra' indicato al Capo dello Stato come futuro Presidente del Consiglio in sede di consultazioni. Non vi e', nelle norme in esame, alcun automatismo che imponga, invece, al Presidente della Repubblica di nominare alla Presidenza del Consiglio proprio la persona indicata come capo della forza politica della lista vincitrice. Anche in caso di vittoria al primo o al secondo turno di una sola lista, il Capo dello Stato, in sede di nomina ex art. 92 II comma Costituzione potra' e dovra' tenere conto di tutte le variabili pertinenti quali, ad esempio, le eventuali cause di ineleggibilita' sopravvenute o l'esistenza di gravi ragioni di opportunita' in presenza delle quali il Presidente della Repubblica ben potrebbe, senza incorrere in alcuna violazione della legge elettorale, chiedere alla forza politica vincente l'indicazione di un nome alternativo o lui stesso individuare un'altra soluzione. Per tutte queste ragioni i motivi quarto e dodicesimo appaiono irrilevanti ovvero manifestamente infondati. Con il quinto motivo si censurano gli articoli: 1 lettera f), 2 commi 1 e 25 capoverso «art. 83» legge n. 52/2015 (ossia il nuovo testo dell'art. 83 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957) in relazione agli articoli 1, 3, 48 comma II, 51, 56 comma I e 122, 2 Costituzione. I ricorrenti, in sintesi, denunciano la non conformita' a Costituzione di tali disposizioni nella parte in cui prevedono di attribuire il c.d. premio di maggioranza (attribuzione di 340 seggi) alla lista che abbia ottenuto, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi e al contempo stabiliscono una soglia di accesso minima del 3% di voti validi per accedere alla distribuzione dei seggi. La combinazione di tali meccanismi produrrebbe effetti irragionevolmente distorsivi dell'uguaglianza del voto, in quanto si finirebbe con l'attribuire irrazionalmente il premio di maggioranza e verrebbero lesi anche i principi di rappresentanza democratica e di divieto di mandato imperativo. Sarebbe, infatti, sproporzionato attribuire il premio di maggioranza, pari a oltre il 14% dei voti validi, a una lista che non ha ottenuto la maggioranza dei consensi senza neppure tenere conto del fatto che la lista premiata abbia conquistato seggi nella circoscrizione estero fino al numero di 12. A sostegno della tesi della assoluta irrazionalita' delle disposizioni in esame i ricorrenti richiamano quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1/2014 che, quanto al parametro che anche il legislatore deve rispettare, ha ricordato che l'obiettivo, certamente di rilievo costituzionale, che e' quello di garantire, con le norme che disegnano il sistema elettorale, la stabilita' di Governo e l'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, non e' tale da giustificare qualsiasi sacrificio di altri interessi e valori che pure hanno rilievo costituzionale. In quella occasione la Corte aveva ritenuto che la funzione rappresentativa dell'assemblea parlamentare, cosi' come l'uguaglianza del diritto di voto, pur potendo subire delle limitazioni in vista di quel valore, dovrebbero essere sacrificati nella misura minima possibile, per non incorrere in una profonda e inammissibile alterazione tra il voto espresso e la rappresentazione che di esso si da nella composizione assembleare. Ritiene il Tribunale che il motivo sia manifestamente infondato, tenuto conto del tenore delle disposizioni censurate e anche alla luce dei principi dettati dalla citata sentenza della Corte costituzionale. Le norme in esame in fatti stabiliscono, a differenza di quelle dichiarate illegittime dalla sentenza in questione, che il premio di maggioranza non sia svincolato dal raggiungimento di una soglia minima di consenso elettorale. Tale soglia, come osservato da coloro che hanno preso parte al dibattito dottrinario seguito alla approvazione della legge, non e' - in termini assoluti - cosi' bassa da essere ragionevole, rappresentando il 40% dei consensi che la lista (o la coalizione di liste) al primo turno deve conquistare con il raggiungimento della cifra nazionale piu' alta che si calcola sulla base dei voti validi espressi. La dottrina che si e' specificamente occupata di verificare, in concreto, se le norme della legge n. 52/2015 che attribuiscono il premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto il 40% dei voti validi espressi, presenti i medesimi sintomi di irrazionalita' che avevano caratterizzato le disposizioni previgenti ha escluso, conti alla mano, che si possa ipotizzare una eccessiva distorsione tra il voto espresso e la sua rappresentazione in termini di seggi attribuiti, in virtu' del premio di maggioranza, ad una lista che non ha ottenuto la maggioranza dei voti validi espressi dagli elettori. Si deve infatti muovere dall'insegnamento della sentenza n. 1/2014 a mente della quale: «..... l'Assemblea Costituente "pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria" ... pertanto la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicita' della scelta legislativa ... il principio costituzionale di eguaglianza del voto ... esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di parita', in quanto "ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi· ... ma "non si estende ... al risultato concreto della manifestazione di volonta' dell'elettore ... che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni elettorali. Non c'e', in altri termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalita' del legislatore la scelta del sistema che ritenga piu' idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalita' legislativa non e' esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalita' quando risulti manifestamente irragionevole». In questa logica, anche un sistema maggioritario, in se' considerato, e' conforme alla Costituzione purche' il legislatore non superi il parametro della ragionevolezza, adottando disposizioni che evitino una eccessiva sovra rappresentazione della lista alla quale viene attribuito il premio di maggioranza, cosa che produrrebbe un'eccessiva distorsione tra voti espressi e attribuzione dei seggi, il che comporterebbe un'effettiva lesione del principio di uguaglianza del voto. L'adozione di norme che prevedono, a certe condizioni, l'attribuzione di un premio di maggioranza, pur comportando inevitabilmente una sovra rappresentazione di una lista (che non aveva la maggioranza, ma la ottiene grazie al «premio») e una corrispettiva limitazione del principio di uguaglianza del voto, non possono di per se' essere ritenute incostituzionali se si mantengono all'interno di un criterio di ragionevolezza che la Corte verifica sulla base del c.d. «test di proporzionalita'». Questo test verifica se la norma censurata, come configurata dal legislatore e secondo le modalita' di applicazione stabilite ·sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra misure piu' appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi». Come indicato dalla dottrina che tale specifico tema ha affrontato, si puo' allora senz'altro muovere da una definizione di voto «uguale» (ossia conforme a una Costituzione che contempla il modello elettorale maggioritario) per cui e' tale quel voto che contribuisce in modo «uguale» alla formazione degli organi elettivi. Risponde a tale definizione il voto unico in entrata. Non vi sono dubbi sul fatto che le norme di cui si discute prevedano voti «unici» in entrata (non essendo prevista la possibilita' di voti multipli: un voto che vale piu' di 1, ovvero voti plurimi: aventi diritto al voto che lo possono esercitare piu' di una volta nella stessa tornata). E' voto «uguale», secondo questa definizione, anche quello che «in uscita» non abbia un identico peso sul risultato concreto della votazione, dovendosi diversamente ipotizzare che la Costituzione che lo prevede non contempli un sistema elettorale maggioritario, ma solo sistemi privi di qualunque correttivo di questo voto anche in uscita, il che non e' nel nostro sistema, come appunto chiarito dalla Corte costituzionale. Il limite costituzionale e' dato, in questo caso, dalla adozione di sistemi che limitano ragionevolmente tale inevitabile distorsione (insita in ogni sistema maggioritario che preveda l'attribuzione di un premio di maggioranza) e, sempre sulla scorta dei principi di ragionevolezza ricavabili dalla citata decisione della Corte costituzionale, si puo' senz'altro assumere come parametro di valutazione dell'entita' della distorsione il peso che in uscita ha il voto unico in entrata. Si puo' sicuramente dire di essere in presenza di una eccessiva distorsione di rappresentativita' del voto, quando il voto unico in entrata, espresso dagli elettori a favore della coalizione vincente, destinata a ricevere il premio di maggioranza, finisca per valere piu' del doppio rispetto ai voti espressi dagli elettori a favore delle altre liste o coalizioni di liste, destinate ad essere escluse dal premio di maggioranza. I costituzionalisti che hanno commentato la sentenza n. 1/2014 hanno, infatti, condivisibilmente evidenziato che la Corte, quando ha affermato che gli effetti del premio di maggioranza non possono distorcere eccessivamente l'esito del voto, ha evidentemente voluto dire che la vittoria conseguita con il premio di maggioranza deve, per essere razionale e non eccessivamente distorsiva dei risultati del voto, dipendere piu' dal numero di voti ottenuti che dal premio di maggioranza il cui peso, in sostanza, non puo' essere maggiore del peso del consenso che quella lista (o coalizione di liste) si e' conquistato attraverso le urne. Traducendo in formule questo principio, e' necessario che il sistema elettorale sia tale da mantenere un rapporto quantitativo tra il valore del voto individuale in entrata espresso a favore di chi si vede attribuito il premio di maggioranza e quello espresso a favore di chi da tale premio resta escluso in misura sempre inferiore a 2. In sostanza l'attribuzione del premio di maggioranza non puo' comportare che il voto unico dato dall'elettore alla coalizione vincente valga o «pesi» piu' di due voti. L'art. 1 lettera f) legge n. 52/2015 prevede che vengano attribuiti 340 seggi (ossia il 55% del totale di 618 seggi, cui si devono aggiungere i 12 seggi riservati alla Circoscrizione estero) alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi, con attribuzione in via automatica di un premio del 15% a fronte del conseguimento del 40% dei voti validi di lista. Questo significa che la percentuale di distorsione del voto espresso a favore della lista vincitrice e' pari a 1,375, dato che il 55% dei seggi viene attribuito a chi ha ottenuto il 40% dei voti. Invece il voto «perdente» ha un coefficiente di sotto rappresentazione pari allo 0,75, dato che il restante 45% dei seggi viene distribuito a chi si e' aggiudicato il restante 60% dei voti validi. Il voto unico in entrata a favore della lista vincitrice per effetto del premio di maggioranza viene effettivamente sovra rappresentato, come lamentano i ricorrenti, ma non in modo tale da vanificare un effettivo rapporto di rappresentativita' tra seggi conseguiti in base ai voti espressi e quelli conseguiti per effetto del premio di maggioranza. Si ritiene pertanto che il test di ragionevolezza previsto dalla Corte nella sentenza n. 1/2104 sia positivamente superato dalle norme censurate che, per tutte le ragioni esposte, non possono dirsi distorcere in modo eccessivo, in «uscita» l'uguaglianza del voto unico e uguale espresso in «entrata». Con il settimo motivo i ricorrenti censurano gli articoli: 1 lettera b) per le parole « ... salvo i capilista nel limite di 10 collegi» c) per le parole «..... dapprima i capilista nei collegi, quindi ...»; 2 comma 26 capoverso «art. 84» comma 1 per le parole «... a partire dal candidato capolista ...» e comma 2 per le parole «... a partire dal candidata capolista» della legge n. 52/2015 nonche' dell'art. 59-bis commi da 1 a 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2015 come novellato dall'art. 2 comma 21 legge n. 52/2015. In relazione agli articoli: 2, 48 II comma, 51 primo comma e 67 Costituzione. Le disposizioni citate vengono ritenute non conformi a Costituzione in quanto consentono solo a determinate categorie di candidati, scelti dai partiti senza alcuna forma di controllo esterno o di trasparenza del relativo procedimento, di essere eletti prescindendo completamente dall'esistenza di una indicazione di voto in loro favore da parte degli elettori. Si tratta dei candidati ai quali la forza politica che presenta una lista alle elezioni della Camera attribuisce la posizione di «capo lista», consentendo all'elettore di esprimere «sino a due preferenze per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista». Le stesse disposizioni consentono inoltre, in via eccezionale, ai soli candidati che siano anche «capi lista» di candidarsi simultaneamente in piu' collegi, fino al limite massimo di 10. Il nuovo testo dell'art. 59-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361/57 ai commi da 1 a 3 stabilisce: al comma 1 che il voto espresso a favore del capo lista (cioe' con il segno di voto tracciato sul nominativo del candidato capo lista) senza tracciare un segno sul contrassegno della lista, valga come voto a favore della lista, al comma 2 che se l'elettore traccia un segno su una linea posta a destra del contrassegno senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima si intende che abbia votato per la lista stessa; al comma 3 che se l'elettore esprime uno o due voti di preferenza, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima, si intende che abbia votato anche per la lista medesima. I capi lista, inoltre, per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 2 comma 26 (ossia il nuovo testo dell'art. 84 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957) si vedono attribuire per primi (in precedenza cioe' sugli altri candidati della stessa lista ma in posizione successiva alla prima) i seggi che la lista da loro capeggiata si e' conquistata, conteggiati secondo quanto previsto dall'art. 83-bis stesso decreto. Sostengono i ricorrenti che queste disposizioni, esattamente come aveva fatto la legge n. 270/2005, privano di liberta' l'elettore, dato che il descritto meccanismo dei c.d. «capilista bloccati» consentirebbe ai partiti di scegliere, prescindendo completamente dalla volonta' espressa dall'elettore, circa 300 deputati e richiamano sul punto le motivazioni con cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/2014 aveva dichiarato illegittime le disposizioni della precedente legge elettorale che non consentivano agli elettori di esprimere preferenze e che inoltre imponeva loro la scelta di un elenco bloccato di candidati e che pertanto alteravano per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti. Il motivo e' manifestamente infondato. Prima di esaminarlo si deve rilevare che non e' chiara la ragione di sospetta illegittimita' costituzionale dell'art. 59-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361/57 II comma, dato che la norma in esso contenuta si limita a contenere indicazioni volte a rendere inequivoco che il voto espresso con una certa modalita' (voto espresso con un segno tracciato «su una linea posta a destra del contrassegno, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima») deve intendersi come voto validamente espresso in favore della lista. Tale disposizione non regola in via diretta e speciale lo «statuto» dei capi lista, questione che, invece, i ricorrenti sostengono sia stata regolata dal legislatore in modo lesivo del loro diritto di voto uguale e libero. Di tale disposizione non si terra' pertanto conto nell'esame del motivo. Nel merito si deve, anzitutto, escludere che il principio affermato con la citata sentenza n. 1/2014 possa essere trasposto, tal quale, alle disposizioni della legge n. 52/2015 in quanto esse hanno sostanzialmente modificato il sistema delle liste previsto dalla legge previgente. Nel sistema precedente non era possibile esprimere nessuna preferenza e l'elettore era costretto a votare in blocco per una lista relativamente lunga di candidati, sicche' per effetto delle candidature multiple (previste anche dalla legge precedente) e della possibilita' per l'eletto in piu' di un collegio di optare «per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni di partito», veniva alterata in modo serio la stessa possibilita' di ipotizzare che si costituisse realmente un rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti. Diversa e', obiettivamente, la condizione di voto delineata, per questi profili, dalla legge n. 52/2015 in quanto l'art. 14-bis lettera c) prevede che «ogni lista, all'atto della presentazione, composta da un candidato capolista e da un elenco di candidati, presentati secondo un ordine numerico. La lista e' formata da un numero di candidati pari almeno alla meta' del numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale e non superiore al numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale...» il che comporta la possibilita' di presentare liste relativamente «corte», con specifiche ulteriori disposizioni volte a salvaguardare la parita' di genere nell'accesso alle cariche elettive. Come previsto, inoltre, dall'art. 2 comma 21 legge n. 52/2015 (testo dell'art. 59-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957) l'elettore puo' esprimere fino a due preferenze, mentre l'eventuale preferenza espressa per il capolista, senza segno sul contrassegno della lista, vale come voto a favore della lista stessa. Il complesso delle disposizioni censurate non esclude pertanto l'esistenza di un effettivo rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, proprio in quanto e' previsto, a differenza della legge precedente, che si possano esprimere fino a due preferenze. Queste preferenze non sono in assoluto vanificate dal meccanismo dei c.d. «capilista bloccati» che permette la loro elezione per primi rispetto ai candidati che li seguono in lista dato che in caso di candidature plurime, il capolista dovra' poi optare per un solo collegio, cosi' dando luogo alla elezione del candidato non capolista negli altri collegi (la norma che regola tale meccanismo di opzione sara' esaminata a parte, in quanto oggetto di un autonomo motivo di censura). Non e' chiaro in che modo i ricorrenti siano giunti a determinare il numero di 300 candidati che con il descritto sistema i partiti riuscirebbero, secondo quanto prospettato, a «imporre» agli elettori a prescindere dalla loro volonta'. L'effetto distorsivo lamentato dai ricorrenti da un punto di vista numerico, non e' pertanto evidente, risultando oscuro il criterio con cui e' stato determinato. La dottrina che si e' occupata di verificare l'impatto che il meccanismo dei capilista bloccati potra' avere sulla composizione della Camera eletta con le disposizioni in esame, ha evidenziato che le norme citate saranno destinate a condizionare maggiormente l'accesso alla carica di deputato per i candidati espressi dai partiti minori dato che, evidentemente, maggiore e' il numero di seggi che una lista si e' aggiudicata e minore e' il numero di capilista eletti, specie se quella lista avra' utilizzato nella massima estensione la possibilita' delle candidature multiple, mentre e' certamente inversa la situazione dei candidati espressi da liste di minoranza, dato che minore sara' il numero di seggi disponibile, con una prevedibile maggiore concentrazione di capilista eletti. Si deve inoltre osservare che la facolta' accordata ai partiti, di consentire, con il sistema delle candidature bloccate, l'elezione di alcuni candidati, come sottolineato dalla dottrina, non puo' essere considerata del tutto priva di giustificazione, in quanto consente non solo, come prospettato dai ricorrenti, di operare candidature «calate dall'alto» attraverso procedimenti di selezione non trasparenti e comunque non prestabiliti dalla legge, ma anche di consentire, in questo modo, l'accesso alle cariche pubbliche a soggetti che, pur potendo dare il loro importante contributo alla vita parlamentare, potrebbero non essere, per la loro estrazione e formazione, particolarmente adatti a contendersi i voti in campagna elettorale (ad esempio come si potrebbe ipotizzare in presenza di candidature espresse dal mondo del mondo accademico o dell'arte, prive pero' di esperienza politica militante). Inoltre queste candidature sono pur sempre, attraverso il voto di lista, sottoposte alla scelta degli elettori. E' insita una certa, ma non irragionevole, distorsione del voto in un sistema che, come quello in esame, contempli una speciale categoria di candidati (i capilista) che possono essere eletti grazie al solo voto di lista, e le cui possibilita' di elezione vengono rafforzate con la possibilita' di estendere territorialmente la candidatura. Per tali ragioni le censure di non conformita' alla Costituzione prospettate dai ricorrenti con riferimento alle disposizioni in esame devono dirsi manifestamente infondate. I ricorrenti concludono evidenziando inoltre che: «i candidati capilista e gli altri non concorrono alle cariche elettive in condizione di uguaglianza, con lesione dell'art. 51 comma 1 Costituzione». Appare evidente pero' che sotto questo profilo la questione prospettata e' priva di rilevanza in quanto, come piu' volte si e' ricordato, essi lamentano la restrizione del loro diritto di voto attivo, non gia' delle eventuali restrizioni che derivano, dalle disposizioni censurate, all'esercizio del diritto di elettorato passivo, tutelato appunto dall'art. 51 comma 1 Costituzione. Con il nono motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale degli articoli 2 comma 25 legge n. 25/2015, 83 comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 per violazione dell'art. 56 comma II Costituzione, articoli 2 commi 29, 30, 31 e 32 legge n. 52/2015 in relazione agli articoli 3, 48 e 51 Costituzione oltre che dell'art. 1 comma 1 lettera f) legge n. 52/2015 nella parte in cui non prevede l'esclusione dalla partecipazione al voto al turno di ballottaggio gli elettori della Regione Valle d'Aosta e Trentino Alto-Adige in relazione all'art. 3 Costituzione. Tale disposizione non e' menzionata dai ricorrenti, ma si evince dal contenuto del nono motivo, il cui contenuto si articola in tre distinte questioni, espresse per la verita' in modo assai sintetico. Anzitutto, secondo i ricorrenti, il procedimento di ripartizione dei seggi disciplinato dalle sopra indicate disposizioni sarebbe congegnato in modo tale da condurre, in concreto, a una possibile attribuzione di un numero di seggi superiore al numero totale fissato dalla Costituzione (630). Questo potrebbe infatti verificarsi, secondo quanto prospettato, nel caso in cui, per i nove collegi uninominali attribuiti a VDA e TAA (rispettivamente 1 + 8) siano proclamati vincitori candidati espressione di liste risultate minoritarie su base nazionale. Il motivo, come articolato, e' manifestamente infondato. L'argomentazione dei ricorrenti, infatti, non tiene conto del dato insuperabile costituito dal numero massimo di 630 deputati, compresi i 12 della Circoscrizione estero indicato nella norma costituzionale che si assume violata e del fatto che, per questo, il dato numerico in questione costituisce il canone ermeneutico che non puo' non guidare l'analisi delle disposizioni della legge n. 52/2015. Nelle norme sospettate di illegittimita' costituzionale non vi e' un espresso riferimento al numero di seggi che a seguito dei conteggi debba essere attribuito alle liste che partecipano alla loro distribuzione. Questo comporta che, come evidenziato dalla dottrina che si e' occupata di questo aspetto della nuova legge elettorale, le norme dettate in ordine al modo in cui si deve operare il conteggio della quota dei seggi da ripartire tra le liste minoritarie su base nazionale, debbano necessariamente essere interpretate in conformita' al ricordato precetto Costituzionale e quindi, nel caso prospettato dai ricorrenti, che i seggi attribuiti a tali liste siano da computare in riduzione ulteriore della quota di seggi da ripartire tra le liste minoritarie nazionali, al fine di evitare di dover proclamare eletti ulteriori deputati (eletti nei collegi di VDA e TAA) fino a superare il limite di 630 deputati. La seconda parte del motivo censura l'asserita irrazionalita' delle previsioni dettate per il solo TAA nella parte in cui stabiliscono, solo per i voti espressi dagli abitanti di questa regione, che l'attribuzione dei corrispondenti seggi avvenga con la «previsione di 8 collegi uninominali e 3 deputati di recupero proporzionale», ipotesi non prevista per nessun'altra regione italiana, neppure per le altre regioni a statuto speciale e non giustificabile neppure dalla presenza di una minoranza linguistica riconosciuta (per quanto riguarda la VDA, i ricorrenti riconoscono che «la riserva di collegi uninominali» per quella regione costituisce una «soluzione obbligata».). Anche per questa parte il motivo appare manifestamente infondato. Infatti la scelta del legislatore di dotare la regione TAA di una peculiare modalita' di attribuzione dei seggi trova fondamento razionale nel fatto che la regione TAA e' costituita da due Province Autonome in una delle quali (Trentino Alto Adige) la porzione di popolazione di lingua germanofona e ladina costituisce si' una minoranza linguistica a livello nazionale ma che e', al contempo, rilevante maggioranza all'interno del corrispondente territorio. Secondo la dottrina, questa particolare conformazione etnico-linguistica della regione implica la necessita' di garantire, in particolare in Alto Adige, la giusta rappresentanza alla minoranza nazionale di lingua tedesca, e contemporaneamente anche alla minoranza locale di lingua italiana, nel quadro di una legge elettorale con premio nazionale di maggioranza. In tale quadro di particolare complessita' (unica fra le venti circoscrizioni elettorali del Paese), si puo' senz'altro affermare che il c.d. «recupero proporzionale» concorra ad evitare che chi e' minoranza linguistica in quel territorio non trovi alcuna rappresentazione. Non si rileva pertanto alcuna evidente violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 ed anche di uguaglianza del voto di cui agli articoli 48 e 51 Costituzione. Con la terza parte del motivo i ricorrenti censurano le disposizioni della legge n. 52/2015 nella parte in cui consentono (ossia non vietano espressamente) agli elettori delle regioni Valle d'Aosta e TAA di partecipare all'eventuale turno di ballottaggio nonostante essi eleggano tutti i loro rappresentanti al primo turno, in modo indipendente dall'esito del voto su base nazionale (sotto il profilo del conseguimento gia' al primo turno del premio di maggioranza). Si ritiene che tale sia, infatti, il contenuto del motivo in esame cosi' espresso dai ricorrenti: «Gli elettori di VDA e TAA eleggono i loro rappresentanti al primo turno ... ma hanno il privilegio di partecipare al secondo turno di ballottaggio per decidere come debbano essere governati gli altri italiani». Il denunciato «privilegio» che avrebbero gli elettori di questi due collegi, di disporre di un «primo voto» tale da determinare con precisione il risultato elettorale locale e di un «secondo voto» finalizzato all'attribuzione del premio di maggioranza sul piano nazionale, non tiene pero' conto delle misure di carattere compensativo che il legislatore ha avuto cura di introdurre. Il rilievo sul piano nazionale dei voti espressi dagli elettori del VDA e del TAA e', infatti, compensato dalla previsione secondo la quale i seggi guadagnati in quelle due circoscrizioni da candidati collegati ad una lista che abbia vinto il premio di maggioranza sono scomputati dal traguardo dei 340 seggi. Con il decimo motivo si censura l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 1) lettera a), e) e i) e art. 2 commi 1, 2, 3, 4, 5, 25 capoverso «art. 83» commi 1 numeri 3, 6, 29, 30, 31 e 32 della legge n. 52/2105 in relazione agli articoli 1, 2, 3, 6, 10, 11, 48, 49, 51, 117 comma II lettera f) Costituzione nella parte in cui non tutelano in modo effettivo e attivo le altre minoranze linguistiche riconosciute (diverse cioe' da quelle francofone e germanofone e ladine residenti in VDA e TAA) per le quali non sono previste disposizioni specifiche idonee a dare effettiva rappresentativita' agli elettori appartenenti a tali minoranze. Ritengono infatti i ricorrenti che la disposizione di cui all'art. 83 comma 1 numero 3 a mente della quale l'Ufficio elettorale nazionale: «individua quindi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno il 20% dei voti validi espressi nella regione medesima», non sia idonea a superare tale mancanza di effettiva tutela in quanto il descritto peculiare sistema di conteggio dei voti si applicherebbe solo per le liste che siano espressione di minoranze linguistiche che risiedano in regioni a statuto speciale e solo a condizione che il relativo statuto ne preveda in modo specifico una particolare tutela. Verrebbero conseguentemente esclusi da tale speciale sistema di conteggio tutti gli elettori che abbiano votato per liste espressione di minoranze linguistiche (riconosciute) presentate in regioni non ad autonomia speciale, ovvero in quelle regioni ad autonomia speciale che nulla prevedano sul punto, sicche' forse solo la minoranza linguistica slovena residente in Friuli Venezia-Giulia sarebbe tutelata dal combinato disposto delle disposizioni statutarie regionali e dal citato art. 83 primo comma n. 3) legge n. 25/2015. Con il tredicesimo motivo viene censurata l'illegittimita' costituzionale della TABELLA A approvata dall'art. 1 decreto legislativo n. 122/2015 per violazione dell'art. 76 Costituzione e dell'art. 4 della legge n. 52/2015 per violazione degli articoli l, 2, 3, 6, 48, 49 e 51 Costituzione. L'art. 4 legge n. 52/2015 contiene una delega al Governo per la «determinazione dei collegi plurinominali», da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, secondo i criteri dettati dalle lettere da a) a g) dell'art. 4. La delega e' stata attuata con il decreto legislativo n. 122/2015 che ha individuato i confini «geografici» di detti collegi, contenuti nella Tabella A approvata con l'art. 1 del decreto in questione. Lamentano i ricorrenti che nel dare attuazione alla delega il Governo avrebbe disatteso (ossia non applicato) i criteri di cui alle lettere c) (ultimo periodo) e g) con violazione, quindi, della delega. La mappa dei collegi plurinominali che si ricava dalla Tabella A, inoltre, non solo violerebbe la delega, ma produrrebbe anche una violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche. Molto in sintesi, secondo quanto prospettato, sarebbero stati separati comuni caratterizzati dalla presenza di determinate minoranze linguistiche, con l'effetto pratico di «annacquarne» il peso del voto in uscita (cio' avverrebbe, in particolare, per la minoranza di lingua slovena, nonostante il riconoscimento da parte della Regione ad autonomia speciale), tenuto conto della soglia di sbarramento posto dall'art. 83 primo comma n. 3 che le liste rappresentative di minoranze linguistiche devono superare per concorrere alla ripartizione dei seggi alla Camera. I motivi decimo e tredicesimo, in quanto vertono sul comune argomento della distorsione del voto in uscita dovuto alle norme dettate per la tutela delle minoranze linguistiche in sede elettorale, devono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi appaiono, anzitutto, privi di rilevanza ed essi sono, in ogni caso manifestamente infondati per come prospettati. La rilevanza Come si e' accennato i ricorrenti lamentano la restrizione del loro diritto di voto secondo i parametri della uguaglianza e liberta', che sarebbe stato ingiustamente compresso da molte norme della legge n. 52/2015 sospettate di essere non conformi alla Costituzione. Nessuno dei ricorrenti afferma di appartenere a una minoranza linguistica riconosciuta dalla legge e nessuno di loro e' residente in FVG ovvero nella Regione Sardegna (dal complesso dei motivi emerge, infatti, che i ricorrenti riconoscono la correttezza delle disposizioni che agevolano le minoranze linguistiche insediate in VDA e TAA, mentre lamentano l'irragionevolezza delle norme che vanificano il riconoscimento operato a livello di statuto speciale dalla regione Friuli in favore della minoranza slovena e l'irragionevolezza delle norme che non attribuiscono alcun correttivo al voto espresso in favore delle liste che siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute dalla legge nelle regioni a statuto ordinario e nella regione Sardegna il cui statuto speciale nulla prevede sul punto). Si legge, alla pag. 92 del ricorso, a conclusione della illustrazione delle ragioni per le quali il nuovo disegno dei collegi plurinominali comporterebbe nei fatti in una consapevole distorsione del voto espresso in favore delle liste rappresentative di tali minoranze: «... le minoranze linguistiche riconosciute e tutelate dalla legge n. 482/1999 sono state suddivise in due collegi in Piemonte, Puglia e Calabria. Le considerazioni che precedono vengono qui richiamate dai ricorrenti anche se non specifiche della Regione di appartenenza dei ricorrenti. In ogni caso, vale il principio per cui la violazione di norme costituzionali in materia elettorale, anche se non produttiva di conseguenze dirette sull'esercizio del diritto dei ricorrenti al voto uguale e libero diretto, lede, pur sempre e per tutti gli elettori/elettrici - in via mediata - il diritto ad un voto conforme a costituzione. Il principio di tutela delle minoranze linguistiche di cui all'art. 6 Cost. rappresenta il superamento delle concezioni nazionalistiche dello stato ottocentesco e si situa ad un punto di incontro con altri principi fondamentali: quello pluralistico ex art. 2 Cost. e quello di uguaglianza ex art. 3 Cost. Ne consegue che la violazione della norma costituzionale di tutela della minoranze linguistiche si qualifica direttamente e contemporaneamente come violazione degli articoli 2 e 3 Cost. non solo con riferimento diretto agli appartenenti a dette minoranze linguistiche ma pure con riferimento, seppur mediato, a tutti gli elettori ...». Si osserva che i ricorrenti sono tutti residenti in Piemonte sicche' appare poco spiegabile l'affermazione secondo cui l'accorpamento di collegi plurinominali che ha interessato anche le minoranze linguistiche riconosciute e insediate in Piemonte, sarebbe un fatto che non interessa la regione nella quale risiedono i ricorrenti. Nonostante questa affermazione contraddittoria i due motivi evidenziano, come riconosciuto in sostanza dalla stessa parte ricorrente, l'assenza di una violazione diretta del diritto di voto da ciascuno espresso per effetto delle norme censurate con i motivi in esame. La prospettata restrizione del voto a causa della sostanziale impossibilita', che deriverebbe dalle nuove disposizioni dettate dalla legge n. 52/2015 (e decreti attuativi), di raggiungere per le liste espressione di minoranze linguistiche diverse da quelle presentate in VDA e TAA di raggiungere la soglia di accesso del 3% (in quanto calcolata su base nazionale) ovvero del 20% per la sola minoranza slovena, ma sulla base di un disegno dei collegi plurinominali fortemente penalizzante per tale minoranza) non riguarderebbe pertanto in via diretta la posizione giuridica fatta valere dai ricorrenti nel presente giudizio. I ricorrenti manifestano, non a caso, in relazione alle norme censurate con i motivi in esame, un interesse mediato e quindi di mero fatto, ad ottenere un giudizio di legittimita' costituzionale di norme che tutelano interessi costituzionali dei quali essi non sono titolari ma solo portatori quali cittadini italiani, e non quali elettori interessati dalla applicazione proprio delle disposizioni censurate. E' allora evidente che le norme in questione non sono rilevanti ai fini della decisione della presente controversia, basata sulla asserita restrizione del diritto di voto spettante ai ricorrenti quali «semplici» cittadini e non quali elettori che sono anche appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute dalla legge che esprimono un voto in una regione non a Statuto speciale. Le disposizioni censurate non potranno, per questo, trovare applicazione diretta nella presente controversia, non contenendo il paradigma in relazione al quale si valutera' l'ampiezza e l'uguaglianza del diritto di voto da loro espressa, ferma restando l'esistenza di un generico interesse (che pero' non puo' trovare tutela giurisdizionale e quindi non puo' condurre all'invio delle norme sospettate di illegittimita' alla Corte costituzionale) al rispetto, quali cittadini italiani, delle minoranze linguistiche anche qualora ad esse non si appartenga. La manifesta infondatezza di entrambi i motivi Quand'anche si ritenesse, invece, che il diritto fatto valere dai ricorrenti alla espressione di un voto uguale e libero, ricomprenda anche l'interesse ad esprimerlo con le restrizioni che da esso possono derivare (in uscita) dalla necessaria adozione di norme speciali che tutelano interessi di rilievo costituzionale, quali le norme dettate a tutela del voto espresso dagli appartenenti a minoranze linguistiche, entrambi i motivi, per come prospettati, sono manifestamente infondati. Il decimo motivo muove dal presupposto, che non puo' dirsi condivisibile, proprio alla luce del parametro generale di uguaglianza (art. 3 Costituzione) che tutte le minoranze linguistiche del Paese - per tali intendendosi quelle formalmente riconosciute dalla legge n. 482/99 debbano necessariamente trovare rappresentanza in Parlamento (nella specie alla Camera), a prescindere dalla loro consistenza numerica rispetto al territorio nel quale sono insediate e che costituisce la base per il conteggio dei voti al fine di attribuire i seggi alla Camera. Si deve considerare che, in linea generale, e' principio ragionevole che un determinato gruppo di cittadini che appartenga a una minoranza riconosciuta (come appunto gli appartenenti alle minoranze linguistiche) per avere una propria rappresentativita' elettorale debba necessariamente avere una determinata consistenza numerica rapportata al territorio in cui detta minoranza e' insediata (v. anche in generale quanto disposto dall'art. 56 IV comma Costituzione). Diversamente, attribuendo cioe' una rappresentativita' elettorale che di tale dato non tenga conto (che cioe' non determini con criteri appropriati il «peso» in uscita espresso da questo gruppo di cittadini) si avrebbe il prevedibile e irrazionale effetto di attribuire al voto espresso dal cittadino che a tale minoranza appartiene un valore superiore a 2 o comunque nettamente superiore a 1, ossia al valore numerico che deve essere attribuito a un voto «uguale». Gli stessi ricorrenti riconoscono che vi sono nel nostro Paese minoranze linguistiche insediate in determinati territori la cui consistenza numerica e' estremamente esigua. Qualora venisse adottato un criterio che, con gli opportuni correttivi, consentisse a ciascuna minoranza linguistica riconosciuta di esprimere un proprio rappresentante in Parlamento, sarebbe evidente l'alterazione del peso del voto in uscita espresso dagli appartenenti a tale gruppo linguistico rispetto a quello espresso da un «normale» elettore, tale da superare di gran lunga il rapporto di ragionevole correzione del voto in entrata uguale a 1 con il voto in uscita uguale a 1. Questo implica che non necessariamente l'assenza di appositi contrappesi correttivi per favorire la rappresentanza degli appartenenti alle minoranze linguistiche costituisce violazione dei precetti costituzionali volti alla tutela delle minoranze, essendo rinvenibili le ragioni per le quali tale correzione, in certi casi, porterebbe a una eccessiva e irragionevole sovra rappresentazione del voto degli esponenti di tali minoranze. Gli stessi ricorrenti, pur ricordando che vi sono alcuni specifici casi in cui alcune minoranze linguistiche godono di un simile strumento di correzione, non si fanno carico di indicare in modo oggettivo per quali ragioni i rappresentanti delle minoranze linguistiche da essi menzionate, in particolare quelli insediati nella Regione Piemonte, avrebbero in concreto una consistenza numerica significativa. Si deve infatti rilevare che nei casi previsti dalle norme censurate (minoranze linguistiche presenti in VDA e TAA oltre che la minoranza slovena per il caso del Friuli) gli appartenenti a tali gruppi linguistici nei territori di riferimento rappresentano un numero significativo della popolazione li' insediata tale da essere in sostanza la maggioranza. Rispetto a questi gruppi (specie VDA e TAA) senza un adeguato correttivo del voto da loro espresso, vi sarebbe in effetti una non ragionevole distorsione tra il voto in entrata e il voto in uscita per quel gruppo di elettori, in maggioranza nel territorio che costituisce il collegio elettorale ma che mai potrebbe rappresentare tale propria condizione a livello nazionale. E' pero' indubbio che non tutte le minoranze linguistiche riconosciute presenti in Italia abbiano tale peculiare condizione e i ricorrenti non indicano quali tra esse soffrano di una irragionevole sotto rappresentazione a causa delle norme elettorali censurate. Non appare allora di dubbia costituzionalita' la disposizione contenuta nell'art. 83 comma 1, n. 3 che prevede che l'ufficio centrale nazionale, nell'individuazione la soglia di accesso da parte delle liste rappresentative di minoranze linguistiche ne tiene conto esclusivamente nelle regioni ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche e non, evidentemente, nelle regioni ad autonomia speciale che tale tutela non prevedano (come ad esempio il caso dello Statuto della Regione Sardegna, menzionato dalla parte ricorrente) e nelle regioni a statuto «ordinario» nelle quali siano insediate minoranze linguistiche riconosciute dalla legge n. 482/99. Per le ragioni appena esposte deve in conclusione escludersi l'irrazionalita' di norme che tale correttivo non attribuiscano alle liste per il solo fatto di essere espressione di una minoranza linguistica. Con l'undicesimo motivo i ricorrenti censurano gli articoli 2 comma 10 e comma 36 legge n. 52/2015 e 18-bis commi 1 e 2 (?) in relazione agli articoli 3, 48, 49 e 51 Costituzione, nonche 24, 113 Costituzione e 13 CEDU. I ricorrenti lamentano infatti che in modo del tutto irragionevole i nuovi soggetti politici che intendono partecipare alla competizione elettorale, per poter presentare le loro liste devono munirsi di un numero di firme di elettori iscritti nelle liste elettorali (di comuni compresi nei Collegi nei quali si intende partecipare) ricompreso tra 1.500 e 2 mila firme ovvero, in caso di scioglimento della Camera di deputati prima di 120 giorni, da un numero pari alla meta' delle firme richieste in via ordinaria. Invece nessuna sottoscrizione e' richiesta per i partiti e gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei Comizi, ovvero per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento di cui all'art. 14-bis (a condizione che il collegamento venga fatto on due partiti o gruppi politici che abbiano conseguito almeno un seggi in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo). Il tutto con l'adozione di criteri di esenzione disomogenei e contraddittori rispetto allo scopo dichiarato di garantire la governabilita'. Come emerge dalle motivazioni esposte a sostegno del motivo in esame, i ricorrenti evidenziano che le disposizioni censurate lederebbero il diritto dei partiti alle pari opportunita' nelle competizioni elettorali in violazione degli articoli 3, 48, 49 e 51 della Costituzione e lamentano inoltre l'assenza di un «giusto processo» (o meglio di un rimedio effettivo ex art. 113 C.E.D.U.) che consenta ai partiti esclusi per insufficienza di firme di ottenere tutela giurisdizionale con ulteriore violazione degli articoli 24 e 113 Costituzione, atteso che il Governo, nuovamente violando l'art. 76 Costituzione, non aveva attuato i principi contenuti nella legge delega n. 69/2009 art. 44 comma 2 lettera b) che avrebbe consentito l'impugnazione delle operazioni elettorali preparatorie, tra le quali le ammissioni e le esclusioni di liste per il Parlamento. Tale effettiva tutela non sarebbe oggi garantita dalla «abnorme estensione dell'autodichia ex art. 66 Costituzione» che tale competenza attribuisce attualmente alla Camera. Il motivo e' privo di rilevanza e comunque manifestamente infondato nel merito. Sulla rilevanza appare sufficiente osservare che le disposizioni censurate pongono - piu' che limiti - alcune condizioni per la legittima presentazione delle liste che intendono partecipare alla competizione elettorale. L'eventuale lesione che da tali disposizioni deriverebbe riguarderebbe, proprio per come prospettata, la lesione del diritto di elettorato passivo, subita dai gruppi di cittadini che a causa delle disposizioni censurate non potrebbero presentare se non entro i limiti individuati dal legislatore, liste legittimate alla partecipazione elettorale e quindi alla raccolta di voti validi. Gli odierni ricorrenti, pero', hanno adito questo Tribunale facendo valere la loro posizione di elettori attivi, il cui diritto ad esprimere, nei termini piu' volte ricordati, un voto uguale e libero sarebbe stato violato dalla legge n. 52/2015. Non viene fatta invece valere la posizione di cittadini che aspirano alla presentazione di liste che a causa delle disposizioni censurate verrebbero illegittimamente (ossia irragionevolmente) pregiudicati nel diritto di partecipare alla competizione elettorale. Ancora una volta, quindi, le norme in esame produrrebbero, al piu', una violazione mediata del diritto di voto attivo, dato che esse non precluderebbero ne' l'esercizio del diritto di voto in quanto tale ne' ne distorcerebbero il risultato in uscita per effetto di meccanismi di conteggio, ma ne limiterebbero la possibilita' di scelta, riducendo l'ampiezza dell'offerta elettorale, non potendosi esprimere il voto se non per le liste che riescano a soddisfare tutti i criteri di ammissibilita' richiesti dalle norme della cui legittimita' si dubita. Il motivo e', comunque, manifestamente infondato. Esso infatti muove dal presupposto, non condivisibile in quanto apodittico, secondo cui sarebbe in se' irragionevole porre qualsiasi limitazione in sede di presentazione delle liste che possono contendersi il voto. Il diritto dei cittadini di aggregarsi in gruppi che esprimono liste che aspirano a raccogliere le preferenze degli elettori ben puo' subire limitazioni ragionevoli in vista di un altro valore di rango costituzionale, quale e' quello della governabilita' che, per quanto attiene l'adozione delle regole che disciplinano le modalita' di presentazione delle liste elettorali, ben puo' avere lo scopo di evitare, a monte, una eccessiva frammentazione del voto che deriverebbe, appunto, da un sistema di regole che consentisse un accesso illimitato e indiscriminato di qualsiasi gruppo alla competizione elettorale. I criteri individuati dal legislatore del 2015 non appaiono in se' irragionevoli ne' appaiono irragionevoli i criteri che distinguono tra liste che devono legittimarsi con l'acquisizione di un certo numero di firme e liste che ne sono esentate. La raccolta delle firme e' infatti un criterio pertinente, in quanto espressione di radicamento del gruppo nella societa' civile, e non e' pertanto arbitrario adottare criteri di selezione «dal basso» ossia rimessa a cittadini «selezionatori» che poi saranno (come i ricorrenti) gli elettori attivi, dei gruppi legittimati a partecipare alla competizione. La soglia numerica minima di firme indicata dal legislatore in termini assoluti non viene in se' censurata dai ricorrenti, e non puo' dirsi in se' abnorme o comunque tale da ostacolare in modo serio l'accesso alla competizione elettorale. Neppure puo' dirsi irragionevole l'adozione dei criteri in presenza dei quali le liste vengono invece esentate, trattandosi di criteri che si fondano su una preesistente legittimazione dovuta al voto validamente espresso precedentemente in loro favore e che ne ha consentito l'accesso alla Camera nazionale ovvero al Parlamento europeo. Appare inoltre manifestamente infondata la pretesa dei ricorrenti di censurare le norme in esame sulla base della asserita illegittimita' (questa e' in sostanza la valutazione che viene espressa dai ricorrenti in relazione all'art. 66 della Costituzione) di una norma costituzionale che fino ad oggi avrebbe, in estrema sintesi, consentito di privare i partiti o i movimenti che intendono partecipare alla competizione elettorale di avere un effettivo rimedio giurisdizionale in caso di non ammissione delle loro liste nella fase preparatoria della competizione. Con il sesto motivo vengono censurati: l'art. 1, comma 1 lettera f); art. 2 commi 1, 25 capoverso «art. 83» della legge n. 52/2015 e 93 comma 2 n. 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 relativamente al turno di ballottaggio in relazione agli articoli 1, 3, 48 II comma, 49, 51, 56 commi I e IV 67 Costituzione e art. 3 del Protocollo addizionale CEDU nella parte in cui disciplinano il turno di ballottaggio e l'attribuzione, all'esito del premio di maggioranza. Ritengono i ricorrenti che il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza al secondo turno di ballottaggio tra liste, violi il principio di ragionevolezza e di uguaglianza del voto in quanto consente l'attribuzione del premio con modalita' che, senza adeguati correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una forza politica addirittura in modo inversamente proporzionale al grado di consenso ricevuto. L'effetto fortemente e irragionevolmente distorsivo del voto espresso sarebbe dovuto al fatto che: - le disposizioni in esame attribuiscono il premio di maggioranza sulla base dei voti validi espressi nel turno, senza porre un correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un quorum minimo al primo turno, con la conseguenza che potrebbe risultare vincitrice al ballottaggio una lista che in termini assoluti (per voti espressi in suo favore) e' in realta' minoritaria; - il voto dei cittadini che avesse scelto la lista di minoranza (tale al primo turno) finirebbe, con l'esito del secondo turno, ad esprimere un voto di valore piu' che doppio rispetto al voto espresso dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste (nel ricorso viene fatto l'esempio della lista che va al ballottaggio avendo ottenuto, al primo turno, il 25% dei voti, e che vincerebbe il turno di ballottaggio ottenendo 186 seggi di «premio» che le farebbero conseguire il 54% dei deputati; in tale situazione le altre liste, che rappresenterebbero il 75% dei voti validi espressi nella competizione, si vedrebbe attribuita la restante quota minoritaria di seggi, pari a 278). Il che comporterebbe la violazione del principio di uguaglianza del voto e di rappresentativita' democratica dell'assemblea eletta con tale sistema. Si ritiene non manifestamente infondato il motivo nei termini che seguono. Come i ricorrenti ricordano, il legislatore, nel determinare i modi con i quali attribuire il premio di maggioranza deve operare in modo tale da contemperare in modo ragionevole i due contrapposti interessi di pari rilievo costituzionale che sono il principio di rappresentativita' e il principio di governabilita'. Conseguentemente, provvedendo sul testo della legge n. 270/2005, la Corte costituzionale ha statuito che: «il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270/2005, in quanto combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio e' pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di uguaglianza (art. 48 comma II, Cost.). Esso infatti pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla funzione degli organi elettivi ... ». La dottrina ha ritenuto che il principio cosi' espresso abbia portato all'individuazione di un limite costituzionalmente necessario per la legittima attribuzione del premio di maggioranza, dal quale il legislatore non puo' prescindere in sede di adozione di una legge elettorale che intenda garantire la governabilita' attraverso questo specifico meccanismo. Tale limite intrinseco dovrebbe imporre al legislatore di adottare, in tali casi, tutti i correttivi necessari ad assicurare che il premio di maggioranza (che consiste nella attribuzione del numero di seggi necessario a raggiungere, secondo la legge n. 52/2015, il 55% dei seggi alla Camera) vada attribuito alla formazione che tale limite ha almeno raggiunto, se non superato. Il quadro complessivo della legge n. 52/2015 prevede che la governabilita' sia garantita, nel caso in cui nessuna delle liste che partecipano alla competizione elettorale si aggiudichi la maggioranza dei seggi alla Camera, con l'attribuzione del premio di maggioranza alla formazione che abbia raggiunto almeno il 40% dei voti validi espressi. Nel caso in cui nessuna lista raggiunga almeno il 40% dei voti, e' previsto un ulteriore turno elettorale strutturato secondo il modello (tra i tanti possibili) del ballottaggio di tipo binario, al quale hanno diritto di partecipare le sole prime due liste che al primo turno abbiano raggiunto il maggior numero di voti, con espresso divieto di collegamento tra liste o apparentamento tra i due turni di votazione, con esclusione della possibilita' di esprimere preferenze e con conteggio dei voti che tiene conto soltanto dei voti validi espressi nel turno di ballottaggio. Nel dibattito seguito all'adozione della legge n. 52/2015 si e' evidenziata la profonda differenza del meccanismo di voto del primo turno rispetto all'eventuale turno di ballottaggio. Infatti nel primo turno all'elettore e' consentito esprimere il voto per la formazione politica nella quale maggiormente si identifica e in tal modo si esprime nella massima ampiezza, il voto di rappresentanza. Nell'eventuale turno di ballottaggio di lista (quale e' appunto quello previsto dalla legge in esame) gli elettori vengono chiamati a esprimere un voto, volto alla identificazione della lista che, tra le due «superstiti» del primo turno, sara' chiamata a governare, con evidente maggiore compressione del voto di rappresentanza, proprio per la inevitabile riduzione delle opzioni tra le quali l'elettore puo' scegliere, oltre che per l'espresso scopo delle tornata elettorale (nella quale, infatti, non si esprimono preferenze). In caso di ballottaggio, dunque, il premio di maggioranza verra' attribuito a chi ha ottenuto, nella seconda tornata, la maggioranza dei voti validi espressi quale conseguenza diretta di una scelta degli elettori che e' pero', in questo caso, l'esito necessitato che deriva sia dalla limitazione dei soggetti nei confronti dei quali si puo' esprimere il voto (due liste essendo espressamente vietato l'apparentamento o la coalizione) sia dalla scelta di conteggiare detta maggioranza sui voti validi espressi nella tornata, senza dare alcun peso al raggiungimento, ad esempio, di un determinato quorum di votanti tra gli aventi diritto. Le caratteristiche del turno di ballottaggio delineate dal legislatore del 2015 hanno quindi indotto la dottrina a riflettere sul se si possa effettivamente dirsi rispettato il sopra ricordato principio costituzionale del necessario rispetto di un limite ontologico di rappresentanza del voto in presenza del quale possa essere attribuito, a una sola lista, il premio di maggioranza, senza incorrere in censure di irragionevolezza e di eccessiva distorsione del voto. Gli studiosi hanno, come e' noto, espresso opinioni differenti che possono essere molto sinteticamente riassunte nell'esistenza di due contrapposti filoni interpretativi. Un primo filone evidenzia il fatto che il turno di ballottaggio (come delineato dalle norme in esame) non puo' essere, per definizione, sospettato di violare il ricordato principio costituzionale di rappresentanza del voto in quanto, in questa tornata, tutti gli elettori sono chiamati ad esprimere il loro voto tra due liste in vista della governabilita' (piuttosto che della rappresentativita', intesa come identificazione tra voto espresso in favore di una formazione piu' vicina alle idee dell'elettore) e in tal caso, il premio di maggioranza viene attribuito a chi si conquista il consenso del 50% + 1 dei voti espressi nel turno di ballottaggio, soglia questa indubbiamente ragionevole per vedersi attribuire il premio di maggioranza alla Camera, che consentira' quindi del tutto legittimamente a quella formazione di governare avendo il pieno controllo dell'assemblea. Un secondo filone evidenzia, invece, la sostanziale artificiosita' della maggioranza del 50% + 1 che scaturisce dal turno di ballottaggio come disegnato dalla legge n. 52/2015, in quanto si tratterebbe di una maggioranza solo virtuale perche' priva, se non adeguatamente corretta, di una effettiva valenza rappresentativa del corpo elettorale, tale per cui finirebbe, nonostante il dato formale, per non essere rispettato il principio immanente alla Costituzione, per cui il premio non potrebbe essere ragionevolmente attribuito alla formazione che non abbia ricevuto una certa soglia «critica» di consensi. Si ritiene maggiormente convincente questo seconda corrente di pensiero. Infatti essa si fa carico di dare consistenza effettiva al principio espresso dalla Corte costituzionale secondo cui senza una soglia minima di voti che sia espressione di rappresentativita' della forza politica, l'attribuzione ad essa del premio di maggioranza non puo' dirsi rispettosa di tale principio. Il legislatore si e' limitato, infatti, a prevedere che accedano al secondo turno le sole due liste piu' votate al primo turno, purche' abbiano raggiunto almeno la soglia del 3% (ovvero del 20% nel caso di liste espressione di minoranze linguistiche). Cosi' facendo ha implicitamente riconosciuto, da un lato, che sussiste un problema della rappresentativita' delle liste ammesse al ballottaggio, da misurare sulla base dei voti riportati nella prima tornata elettorale. D'altro lato pero' il parametro utilizzato e' quello, diverso, delle soglie minime previste in generale dalla legge elettorale in esame, per partecipare alla attribuzione dei seggi, criterio adottato per scoraggiare una eccessiva «polverizzazione» del voto. Nel valutare l'effettiva forza rappresentativa del 50% + 1 dei voti espressi al ballottaggio si deve anche considerare che e' previsto che tale maggioranza venga calcolata sui voti validi espressi, il che finisce per non dare alcun rilievo al peso dell'astensione, che potrebbe essere anche molto rilevante quale prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell'offerta elettorale nel ballottaggio. Il sistema del ballottaggio, quindi, nonostante si tratti di una tornata di votazioni radicalmente differente dal primo turno, mantiene la stessa base di calcolo del voto, non contiene regole che consentano di rafforzare l'elemento di rappresentativita' del voto e, anzi, adotta disposizioni che allontanano da questo obiettivo, dato che solo per questa fase il legislatore pone un esplicito divieto di apparentamento o coalizione tra liste. Tale divieto, evidentemente espressione di un favore per la governabilita' (ritenendosi piu' stabile una maggioranza ottenuta da una sola lista, invece che da una coalizione di liste) risulta tuttavia irrazionale in quanto rende il voto espresso al turno di ballottaggio eccessivamente sbilanciato in favore di tale valore, a scapito del valore - di rilievo costituzionale - della rappresentativita' del voto che viene, in tal modo, eccessivamente compresso proprio in vista della sua idoneita' a far conseguire alla lista vincitrice il controllo della Camera dei deputati. Senza l'adozione di meccanismi che garantiscano una adeguata espansione della componente rappresentativa del voto (ovvero senza l'eliminazione del divieto di cui si e' detto) l'attribuzione del premio di maggioranza alla sola lista che, all'esito del ballottaggio, si aggiudichi il premio di maggioranza finisce per essere svincolata dalla esistenza di parametri oggettivi che consentano di affermare che lista vincitrice ha ottenuto quella «ragionevole soglia di voti minima» in presenza della quale e' possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza. Appare allora non manifestamente infondato il dubbio di conformita' a Costituzione espresso dai ricorrenti, in relazione agli articoli 1 II comma, 3, 48 II comma Costituzione, la' dove essi evidenziano, in accordo con le opinioni espresse da molti costituzionalisti, che l'attuale sistema, privo di correttivi, pone il concreto rischio che il premio venga attribuito a una formazione che e' priva di adeguato radicamento nel corpo elettorale. Con l'ottavo motivo i ricorrenti censurano la non conformita', rispetto agli articoli 48 e 51 Costituzione delle disposizioni di cui all'art. 2 comma 11 Legge n. 52/2015 «sulle candidature multiple» nella parte in cui consentono al candidato capolista in piu' collegi «di optare ad elezione avvenuta con successo, per un collegio piuttosto che per un altro», senza dare indicazioni sulle modalita' di esercizio di detta opzione e cosi' influendo in modo arbitrario e potenzialmente molto «pesante» sul voto di preferenza espresso dagli elettori a favore di un candidato che, senza l'opzione del capolista, verrebbe senz'altro eletto avendo raggiunto il numero maggiore di preferenze rispetto agli altri competitori della sua stessa lista. Si deve preliminarmente osservare che i ricorrenti non hanno indicato in modo completo le norme che, a loro dire, comporterebbero una lesione del diritto di voto uguale e libero. Infatti l'art. 2 comma 11 citato dai ricorrenti regola il c.d. sistema delle candidature multiple ma nulla dice riguardo alla scelta dell'eletto nell'ambito di tale sistema. La disposizione della legge n. 52/2015 che attiene alla liberta' (assoluta) di opzione per il candidato plurieletto di scegliere, tra i vari collegi nei quali egli puo' aspirare all'elezione, va invece rinvenuta nel successivo comma 27 del medesimo art. 2 cit. che, nel mantenere ferma la disposizione contenuta nell'art. 85, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957, apporta ad essa esclusivamente le variazioni testuali necessarie ad armonizzarla alle altre modifiche apportate dalla legge. L'art. 85 (unico comma) decreto del Presidente della Repubblica n. 361/57, come modificato dalla legge n. 52/2015, cosi' dispone: «il deputato eletto in piu' collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga, mancando l'opzione si procede al sorteggio». Con questa precisazione, si puo' pertanto ritenere che, attraverso il motivo qui esaminato, i ricorrenti abbiano lamentato l'illegittimita' costituzionale di tutte le disposizioni teste' richiamate che, nel loro combinato disposto, consentono ai soli candidati capilista di candidarsi in piu' collegi (fino ad un limite massimo di 10 come si e' detto in precedenza) ed attribuiscono loro, nel caso conseguano la proclamazione in piu' di un collegio, di optare senza alcun vincolo per il collegio nel quale vogliono ricollegare la loro elezione. Il motivo, nei termini suindicati, non appare manifestamente infondato, limitatamente alla disposizione che consente di operare la scelta del collegio senza alcun tipo di vincolo, mentre il motivo non appare fondato nella parte in cui viene censurato (nuovamente) in se' il sistema della candidatura «bloccata o multipla»: censura che e' gia' stata esaminata in precedenza, laddove si e' proceduto all'esame del settimo motivo per dichiararne la manifesta infondatezza. Una volta che sia stata, dunque, riconosciuta la non irragionevolezza della candidatura multipla per una sola categoria di candidati (i capilista) e sottratti questi ultimi al voto di preferenza da parte dell'elettore, e' giocoforza ammettere la necessita' di un meccanismo di scelta che trovi applicazione nel caso in cui, all'esito del voto, il candidato capolista risulti eletto in piu' collegi. Due sono gli effetti pratici che questa scelta comporta: il capolista decade automaticamente nei collegi diversi da quello prescelto ed in questi si procede pertanto all'attribuzione dei seggi in modo «normale» secondo i voti di preferenza che i candidati non capolista si sono aggiudicata ed in ragione dei seggi disponibili; nel collegio prescelto, invece, i candidati che abbiano riportato piu' preferenze possono aspirare all'elezione solo qualora vi siano ulteriori seggi disponibili. Questi effetti, proprio a ragione della loro inevitabilita', obbligano a spostare l'attenzione sulla scelta dell'eletto, da cui essi discendono: una scelta che il legislatore elettorale affida in tutto e per tutto alla mera decisione dell'eletto. L'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 - come novellato dalla legge n. 52/2015 - non contiene, infatti, alcuna disposizione che vincoli l'opzione del candidato capolista plurieletto a qualsivoglia criterio oggettivo e predeterminato ma la rimette ad una mera valutazione di opportunita' da parte del candidato stesso. Il dubbio di incostituzionalita' di questa norma e', evidentemente, distinto da quello gia' affrontato circa le candidature «plurime e bloccate» e riguarda, appunto, il momento della scelta del capolista e le modalita' disegnate dal legislatore per il suo esercizio. Il Tribunale non puo' non rilevare, su questo specifico tema, che il voto di preferenza viene, in questi casi, sostanzialmente annullato nel collegio optato dal capolista. In virtu' dell'opzione, anzi, e' del tutto possibile che il candidato che abbia ricevuto molte preferenze (addirittura il piu' votato in assoluto) sia surclassato da uno o piu' candidati di altri collegi, con meno preferenze. L'assenza di qualsivoglia criterio al quale il capolista debba ispirarsi nella scelta rende impossibile per l'elettore effettuare valutazioni prognostiche sulla «utilita'» del suo voto di preferenza, dato in favore di un candidato che faccia parte di una lista con capolista candidato anche in altri collegi, non potendosi effettuare alcuna previsione circa le modalita' con cui, all'esito del voto, quel capolista esercitera', in caso di vittoria plurima, la sua scelta. Imprevedibilita' ulteriormente confermata dal meccanismo alternativo alla scelta, costituito dal sorteggio. Ne' il contenuto inequivoco dell'art. 85 cit. consente di intravedere una interpretazione che superi i rilievi che si sono esposti. La scelta del collegio nel quale il candidato plurieletto vorra' conseguire la proclamazione, in quanto rimessa al suo mero arbitrio, si concreta in una distorsione tra il voto di preferenza espresso dagli elettori e il suo esito «in uscita» in quel collegio che appare irrazionale rispetto al diritto di uguaglianza e liberta' del voto, in quanto lede in modo eccessivo tale diritto, senza che vi sia un altro correlativo valore di rilievo costituzionale da salvaguardare. Ne' puo' invocarsi, in proposito, il valore della governabilita' perche' questo, al piu', viene in considerazione laddove il legislatore ha dato il giusto rilievo, con il sistema del «blocco» della candidatura del capolista e con la possibilita' di operare anche una candidatura multipla, all'interesse delle forze politiche che esprimono le liste elettorali di riservare, in caso di vittoria elettorale, un seggio sicuro alla Camera a favore di personalita' da loro prescelte. Appare, invece, eccessivamente sproporzionato perseguire il valore della governabilita' oltre che con il descritto sistema di garanzie delle candidature bloccate e multiple, con un ulteriore meccanismo che consente, senza una specifica ragione, di escludere dal Parlamento (quale che sia la ragione che in concreto guida la scelta del candidato plurieletto) un candidato senza che tale scelta sia condizionata dal numero di voti di preferenza ottenuti dal candidato destinato all'esclusione, ovvero da altro sistema che consenta di salvaguardare nel massimo grado possibile il voto di preferenza espresso dagli elettori in favore di chi non e' capo lista. Non e' quindi manifestamente infondato il dubbio sollevato dai ricorrenti in ordine alla non conformita' agli articoli 3 e 48 comma II Costituzione dell'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 come modificato dall'art. 2 comma 27 legge n. 52/2015 nella parte in cui attribuisce al capolista eletto in piu' collegi la facolta' di optare in modo illimitato (se si eccettua il limite temporale di 8 giorni) e cioe' non vincolandola a criteri oggettivi e predeterminati, rispettosi - nel massimo grado possibile - della volonta' espressa dagli elettori. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, devono essere dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' sollevate nel giudizio, tutte indicenti sulle modalita' di esercizio della sovranita' popolare (art. 1 Cost., comma 2, 3, 48 II comma Cost.), aventi ad oggetto: - l'art. 1 comma 1 lettera f) [sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione] e art. 2 comma 25 «art. 83» [relativamente al novellato comma 5: «Qualora la verifica di cui al comma 1, numero 5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio fra le liste che abbiano ottenuto al primo turno le due maggiori cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui al comma 1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi al turno di ballottaggio l'Ufficio assegna 340 seggi. L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti seggi tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi del comma 3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai sensi del comma 4.»], della legge n. 52/2015; - l'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 come modificato dall'art. 2 comma 27 legge n. 52/2015.
P.Q.M. Il Tribunale di Torino dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione agli articoli 1 comma 2, 3 e 48 comma 2 Costituzione, le questioni di legittimita' sollevate in relazione agli articoli: 1 comma 1 lettera f) della legge n. 52/2015; 2 comma 25 «art. 83» della legge n. 52/2015 in relazione al novellato comma 5; 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 come modificato dall'art. 2 comma 27 legge n. 52/2015. Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. Si comunichi. Torino, 5 luglio 2016 Il giudice: Contini