N. 40 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2017

Ordinanza del 16 novembre 2017 del  Tribunale  di  Chieti  -  Sezione
distaccata di Ortona nel procedimento penale a carico di S. S.. 
 
Esecuzione  penale  -  Applicazione  della  disciplina  del  concorso
  formale e del reato continuato - Pluralita' di condanne intervenute
  per il medesimo reato permanente in relazione a  distinte  frazioni
  della  condotta   -   Potere   del   giudice   dell'esecuzione   di
  rideterminare la pena. 
- Codice di procedura penale, art. 671. 
(GU n.10 del 7-3-2018 )
 
                         TRIBUNALE DI CHIETI 
                    Sezione distaccata di Ortona 
 
    Ordinanza   di   remissione   di   questione   di    legittimita'
costituzionale, articoli 23, legge n. 87/1953 e n.  671  c.p.p.,  con
riferimento agli articoli 3 e 24 Cost. 
    Il giudice dell'intestato  Tribunale  dott.  Luca  De  Ninis,  in
funzione di G. E.; 
    Visti  gli  atti  del  procedimento  indicato  in  epigrafe   nei
confronti di: S. S., nato a /// il ///; 
    Letta l'istanza depositata il 29 giugno  2017  con  la  quale  il
difensore avv. Annalisa Cetrullo ha richiesto: 
        in via principale, ex articoli 649 e 669  c.p.p.,  dichiarare
la pluralita'  di  condanne  per  il  medesimo  reato  permanente  in
relazione alle due seguenti sentenze emesse da questo  Tribunale  per
il  reato  di  violazione  aggravata  degli  obblighi  di  assistenza
familiare (art. 570 cpv. c.p.): 
del dott. Di Geronimo del 22 settembre 2009, esecutiva il 4  febbraio
2010, con condanna a mesi 6 di reclusione  e  €  600  di  multa,  con
sospensione condizionata al pagamento di quanto liquidato alla  parte
civile entro il termine di mesi 2 dal  passaggio  in  giudicato,  per
fatti commessi dal 30 novembre 2005 al maggio 2007; con provvedimento
del G. E. dell'8 aprile  2010  e'  stato  applicato  l'indulto  nella
misura di mesi 4 di reclusione e € 400 di multa, determinando la pena
residua no coperta dall'indulto in mesi 2 di reclusione e  €  200  di
multa; 
della dott.ssa Allieri del 21 aprile 2011, confermata dalla Corte  di
appello di L'Aquila il 10 dicembre 2015, esecutiva il 22 giugno 2017,
con condanna a anni uno di reclusione e € 1.000 di multa,  per  fatti
commessi da maggio 2007 fino al 23 marzo 2009, 
e per l'effetto dichiarare che i fatti  contestati  nel  secondo  dei
predetti procedimenti sono coperti dal giudicato della prima sentenza
di condanna, con conseguente pronuncia di non doversi procedere; 
    Richiesta principale corretta con istanza integrativa, depositata
dal difensore il  12  ottobre  2017,  di  revoca  della  sentenza  di
condanna della dott.ssa Allieri del 21 aprile 2011, confermata  dalla
Corte di appello di L'Aquila il 10 dicembre  2015,  esecutiva  il  22
giugno 2017; 
        in via gradata, applicare la disciplina del reato  continuato
ex art. 671 c.p.p. tra i reati oggetto delle due condanne  definitive
sopra indicate; 
    Sentite le parti all'udienza del 2 novembre 2016; 
    Ritenuta la propria competenza ai sensi dell'art.  665,  comma  4
c.p.p.; 
 
                               Osserva 
 
§ 1. Proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    Ritiene  il  giudice  che  sussistano  le   condizioni   previste
dall'art. 23, legge n. 87/1953 per sollevare ex officio la  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  671  c.p.p.  di  seguito
specificata, in relazione agli articoli 3 e  24  della  Costituzione,
poiche' nell'attuale quadro normativo dubita  della  possibilita'  di
fornire una risposta costituzionalmente corretta all'istanza al G. E.
sopra indicata. 
    Preliminarmente  evidenzia   che   la   medesima   questione   di
legittimita' e' stata gia' sollevata dallo scrivente nel procedimento
n. 52/2016 R. Es. SIGE di questo Tribunale, nei confronti di  R.  C.,
con atto di promovimento del 9 novembre 2016 che e' stato  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 35 del 30 agosto 2017 e che e' in  attesa
della decisione. 
    Quanto al caso in esame, si deve  ribadire  la  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione, per le ragioni che di seguito
si espongono. 
    1.1. Il difensore di S. S. ha  promosso  ricorso  al  G.  E.  per
chiedere che sia dichiarata l'unicita' del reato di violazione  degli
obblighi di assistenza familiare (aggravato dall'aver fatto mancare i
mezzi di sussistenza a moglie e i figli, tra cui un minore),  per  il
quale il medesimo ha subito le due sentenze  di  condanna  di  questo
Tribunale sopra riportate. 
    L'istanza fonda su un presupposto corretto (l'unicita' del  reato
permanente  per  il  quale  e'  stata  riportata  una  pluralita'  di
condanne) e sull'innegabile interesse difensivo ad evitare il  cumulo
tra le pene irrogate dalle singole sentenze, per complessivi anni uno
mesi 6 di reclusione e € 1.600 di multa  (con  parziale  applicazione
dell'indulto, nella misura di mesi 4 di reclusione e € 400 di multa).
Si tratta in effetti di pene detentive originariamente sospese ma  in
parte gia' eseguite, in parte suscettibili di  esecuzione:  la  prima
condanna infatti risulta gia' eseguita nella  misura  di  mesi  2  di
reclusione non coperta dall'indulto (la relativa sospensione e' stata
evidentemente revocata per inadempimento dell'obbligo  al  quale  era
stata condizionata), la seconda e'  invece  destinata  all'esecuzione
poiche' soggetta alla revoca della sospensione condizionale, concessa
in palese violazione dei limiti previsti dall'alt  164  c.p.  (S.  S.
risulta  condannato  anche  per  il  delitto  di  maltrattamenti   in
famiglia, alla pena di anni uno mesi 9 di  reclusione,  con  distinta
sentenza del medesimo Tribunale definitiva il 4 luglio 2013). 
    Il difensore conclude pertanto: 
        in via principale che, riconosciuta la natura permanente  del
reato contestato ed oggetto delle due pronunce di condanna, il G.  E.
faccia applicazione degli  articoli  649  e  669  c.p.p.  e  dichiari
esecutiva la sola  sentenza  di  condanna  emessa  per  prima  il  22
settembre 2009; 
        in subordine che faccia  applicazione  della  disciplina  del
reato continuato ex art. 671 c.p.p. e per  l'effetto  ridetermini  la
pena complessiva nel minimo di legge. 
    1.2. Tanto premesso, pur risultando fondato l'interesse difensivo
ad una pronuncia  sull'identita'  del  reato  oggetto  delle  plurime
condanne esecutive, l'accoglimento della domanda  principale  risulta
pero' precluso dalla giurisprudenza consolidata in tema di divieto di
secondo giudizio  e  di  condanna  per  medesimo  fatto,  che  limita
l'applicazione delle disposizioni di cui  agli  articoli  649  e  669
c.p.p.  ai  soli  casi  di  identita'  del  fatto   storico   oggetto
dell'imputazione, che nel caso in esame non ricorre, come  meglio  si
dira' al § 2. 
    1.3. Parimenti  precluso  risulta  l'accoglimento  della  domanda
subordinata di  applicazione  dell'istituto  della  continuazione  in
executivis, non sussistendo nel caso  in  esame  alcuna  (originaria)
pluralita' dei reati da unificare per la continuazione,  ma  solo  un
unico delitto di  natura  permanente,  oggetto  di  due  accertamenti
giudiziari  frazionati,  in  relazione  a  due  periodi  distinti   e
consecutivi tra loro della condotta omissiva censurata. 
    Ne   consegue   che   l'accoglimento   dell'istanza   subordinata
determinerebbe una commisurazione complessiva della pena -  aumentata
fino al triplo della pena piu' grave irrogata per il reato  commesso,
o comunque fino al cumulo materiale delle  condanne  inflitte  -  che
contrasta  con  i  limiti  edittali  dell'unico  delitto   permanente
commesso dal reo. 
    1.4. Si ritiene  pertanto  necessario  l'intervento  del  giudice
delle leggi perche', con pronuncia eventualmente additiva, valuti  la
legittimita' dell'art. 671 c.p.p. nella parte in cui non prevede,  in
caso di pluralita' di condanne  intervenute  per  il  medesimo  reato
permanente in relazione a distinte frazioni  della  condotta  oggetto
dell'imputazione, il potere del  G.  E.  di  rideterminare  una  pena
unica, in applicazione degli articoli 132 e 133 c.p., che tenga conto
dell'intero  fatto  storico  accertato  nelle  plurime  sentenze   di
condanna irrevocabili e di  assumere  le  determinazioni  conseguenti
anche in tema di concessione della sospensione condizionale, ai sensi
degli articoli 163 e 164 c.p. 
    La disposizione censurata infatti - per l'analogia del fondamento
che la sostiene ed a differenza di quella dell'art. 669 c.p.p.,  come
interpretata  dalla  richiamata  giurisprudenza  costituente  diritto
vivente - appare l'unica suscettibile di una pronuncia  additiva  che
consenta di realizzare l'interesse del reo alla rivalutazione in sede
esecutiva del trattamento  sanzionatorio  complessivo  derivante  dai
giudizi di fatto accertati nelle  plurime  sentenze  di  condanna  in
relazione ad un reato unico, di natura permanente, ma reso oggetto di
accertamenti  giudiziari  frazionati  in  relazione   alle   condotte
successivamente intervenute. 
    Cio'  nondimeno  essa,  in  assenza  della   invocata   pronuncia
additiva, non puo' essere utilizzata ne' in via diretta  ne'  in  via
analogica, perche' il riferimento  al  cumulo  giuridico  delle  pene
irrogate  nelle  plurime  sentenze  esecutive  non  collima  con   la
necessita' di riparametrare la  pena  secondo  lo  schema  del  reato
unico, sia pure  diversamente  valutato  per  effetto  della  diversa
(cioe' piu' protratta e grave) configurazione del fatto  storico  che
deriva dall'esame complessivo di tutte le sentenze  di  condanna,  la
quale sembra quindi imporre un nuovo ricorso ai parametri di cui agli
articoli 132  e  133  c.p.  da  parte  del  giudice  dell'esecuzione,
sostitutivo di' quello  operato  dai  giudici  della  cognizione  sui
distinti frammenti della condotta oggetto dei rispettivi giudizi. 
§ 2. Sulla rilevanza della  questione:  A)  impossibile  applicazione
dell'art. 669 c.p.p. 
    Richiamato l'interesse del ricorrente ad una pronuncia del G.  E.
sull'unificazione  delle  plurime  sentenze  di  condanna  emesse  in
relazione ad un reato unico, si deve  innanzitutto  evidenziare  che,
secondo la consolidata giurisprudenza di  legittimita'  «in  tema  di
reato permanente, il divieto  di  un  secondo  giudizio  riguarda  la
condotta delineata nell'imputazione ed  accertata  con  sentenza,  di
condanna o di assoluzione,  divenuta  irrevocabile  e  non  anche  la
prosecuzione  della  stessa  condotta  o  la  sua  ripresa  in  epoca
successiva, giacche' si tratta di "fatto storico" diverso non coperto
dal giudicato e per il quale non vi e' impedimento alcuno a procedere
(fattispecie in tema di sottrazione di minore e di mancata esecuzione
dolosa di un provvedimento del giudice)» (cfr. Cass. Sez.  6ª  del  5
marzo 2015, n. 20315). 
    Inoltre, secondo Cass. S.U. del 28 giugno  2005,  n.  34655,  «ai
fini della preclusione  connessa  al  principio  "ne  bis  in  idem",
l'identita'  del  fatto  sussiste  quando   vi   sia   corrispondenza
storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato  in
tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e
con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.». 
    Se dunque, nel caso in esame, e' stato  legittimamente  aperto  e
definito l'ulteriore giudizio relativo alle  condotte  di  violazione
aggravata degli obblighi familiari da maggio 2007 al 23  marzo  2009,
successive rispetto a quelle  oggetto  del  primo  giudizio  (dal  30
novembre 2005 al maggio 2007), ne  consegue  che  non  si  tratta  di
condanne irrogate «per il medesimo fatto»,  come  previste  dall'art.
669 c.p.p., ma solo per il medesimo reato, in  relazione  a  condotte
frazionate e distinte tra  loro,  omogenee  ma  non  coincidenti  con
riguardo al tempo della loro commissione. 
    E' evidente, peraltro, che ciascuna  delle  commisurazioni  delle
pene eseguita nelle predette due sentenze di condanna  ha  tenuto  in
esame  solo  le  condotte  accertate  nel  singolo  giudizio,  mentre
l'offesa complessivamente arrecata dal  delitto  deriva  dall'effetto
congiunto di tutte le  condotte  accertate,  nella  loro  complessiva
protrazione. 
    Ne consegue  che,  nonostante  l'unicita'  del  reato  permanente
accertato, certamente la questione proposta dal ricorrente  non  puo'
liquidarsi  dichiarando  eseguibile  la  sola  condanna  meno  grave,
perche' la stessa non contempla l'effetto  delle  condotte  esaminate
nell'altro giudizio (che anzi, a differenza del primo, ha condotto ad
una condanna ad una pena quasi coincidente con il massimo  edittale),
le quali  certamente  hanno  determinato  l'aggravamento  dell'offesa
penalmente rilevante e la necessita'  di  rideterminare  la  sanzione
secondo tutti i parametri dell'art. 133 c.p., ed in particolare della
gravita'  del  reato  desumibile  dal  tempo  e  da  ogni   modalita'
dell'azione. 
§  3.  Segue:  B)  impossibile  applicazione,  diretta  o  analogica,
dell'art. 671 c.p.p. 
    Escluso  il  fondamento  dell'istanza  principale,   ad   analoga
conclusione si deve pervenire in relazione all'istanza subordinata di
rideterminazione  delle  pene  ai  sensi  dell'art.  671  c.p.p.,  in
applicazione dell'istituto della continuazione, sia  in  via  diretta
sia in via analogica. 
    3.1. Quanto all'applicazione diretta si deve  osservare  che  nel
caso in esame nessuna interruzione della permanenza si e'  verificata
nel corso delle condotte incriminate nei tre  giudizi  esecutivi.  Ne
consegue che non e' possibile configurare alcun delitto  autonomo  in
relazione alle condotte oggetto  dei  giudizi  successivi  al  primo,
presupposto imprescindibile per scrutinare l'istanza di  unificazione
legale di plurimi reati, ai sensi dell'art. 671 c.p.p. 
    Consolidata e' infatti la giurisprudenza di legittimita'  secondo
cui «il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di
cui all'art. 570, comma  secondo,  n.  2,  codice  penale,  e'  reato
permanente, che non puo' essere scomposto in una pluralita' di  reati
omogenei, essendo unico ed identico il  bene  leso  nel  corso  della
durata dell'omissione, ne deriva che le cause di estinzione del reato
operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al  cessare
della permanenza, che si verifica o  con  l'adempimento  dell'obbligo
eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo  grado»
(cfr. Cass. Sez. 6ª del 20 ottobre 2015, n. 45462). 
    Orbene la prima sentenza di primo  grado  e'  quella  emessa  dal
dott. Di Geronimo il 22 settembre 2009, posteriore  all'ultima  delle
condotte contestate anche nel secondo  giudizio  (fino  al  23  marzo
2009). 
    Quanto all'ipotesi di adempimento intermedio dell'obbligo  eluso,
essa  dev'essere  esclusa  sulla  base  dell'accertamento  di   fatto
eseguito dal secondo giudizio di cognizione, vincolante per il G.  E.
Infatti, secondo la motivazione della sentenza della dott.ssa Alfieri
(la quale, in assenza di costituti difensivi alternativi, si dichiara
fondata sulle dichiarazioni della  persona  offesa  costituita  parte
civile e sul riscontro costituito da accertamenti  della  Guardia  di
finanza inerenti il ricevimento da parte dell'imputato, con  bonifico
da € 270.000 ed assegni da € 76.000, di un risarcimento  assicurativo
di ben € 346.000, in relazione  a  sinistro  stradale  del  29  marzo
2007), «lo S. non ha mai  provveduto  a  corrispondere  l'assegno  di
mantenimento stabilito dal Tribunale di Chieti con ordinanza  del  19
aprile 2005». Inoltre la parte civile I.  L.  «veniva  a  conoscenza,
pochi giorni prima della querela, che lo S. avendo perso  entrambi  i
genitori in un incidente stradale, aveva ricevuto ed incassato  dalla
compagnia assicuratrice il relativo indennizzo pari a €  270.000.  Di
tale somma nulla veniva dato ai figli  o  alla  moglie  dello  S.  (i
predetti percepivano la loro quota parte dall'assicurazione)». 
    In mancanza di interruzione della permanenza per l'intero periodo
incriminato nelle due imputazioni, ne consegue l'unicita' del delitto
per il quale lo S. ha  riportato  le  due  condanne  esecutive  sopra
richiamate e l'impossibilita' di operare una valutazione unitaria del
trattamento penale attraverso l'istituto della continuazione. 
    3.2. Tale valutazione unitaria, pur necessaria, non  puo'  essere
perseguita  neppure  attraverso  l'applicazione  analogica  in  bonam
partem dell'art. 671 c.p.p. 
    Si e' gia' detto infatti che il riferimento al  cumulo  giuridico
delle pene irrogate nelle plurime sentenze esecutive non collima  con
la necessita' di' riparametrare la pena secondo lo schema  del  reato
unico, sia pure  diversamente  valutato  per  effetto  della  diversa
configurazione e protrazione del fatto storico che deriva  dall'esame
complessivo delle due sentenze di condanna,  ed  in  particolare  non
collima con il reato unico il criterio di commisurazione  della  pena
dettato dall'art. 671 (aumento fino al triplo della condanna  per  il
reato  piu'   grave),   apparendo   invece   necessaria   una   nuova
commisurazione sanzionatoria attraverso il ricorso  ai  parametri  di
cui  agli  articoli  132  e   133   c.p.   da   parte   del   giudice
dell'esecuzione. 
    Tale  attivita'  non  e'  del  resto  preclusa  dal  vincolo   di
intangibilita' del giudicato e non esorbita dai  poteri  del  G.  E.,
come dimostra l'analogo principio stabilito dalla sentenza delle S.U.
del  26  febbraio  2015,  n.  37107,  in  materia  di  illegittimita'
costituzionale  della  norma  penale  che  modifichi  il  trattamento
sanzionatorio della fattispecie incriminatrice,  ed  in  generale  la
recente piu' ampia configurazione dei  poteri  attribuiti  al  G.  E.
dalla giurisprudenza di legittimita', finalizzata alla  tutela  della
legalita'  della  pena  anche  in  funzione   degli   arresti   della
giurisprudenza della CEDU, che ha portato a  parlare  di  «crisi  del
giudicato penale». 
§ 4. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    4.1.  Non  potendo  il  G.  E.  fare  applicazione,  per   quanto
illustrato, ne' dell'art. 669  ne'  dell'art.  671  c.p.p.,  rispetto
all'istanza   difensiva   si   configura   un   vuoto    di    tutela
giurisidizionale  che  pone  il  dubbio  della  compatibilita'  della
seconda disposizione del codice di rito indicata, quella  rispondente
alla medesima ratio della pronuncia additiva invocata, sia con l'art.
3, primo comma sia con l'art.  24  della  Carta  costituzionale,  per
rimanere l'istante S. S. soggetto al  cumulo  di  una  pluralita'  di
condanne emesse per un unico reato. 
    Si rimarca sul punto: 
        che il reo ha  diritto  ad  una  valutazione  unitaria  delle
condotte oggetto delle due sentenze di condanna la quale, da un lato,
eviti il cumulo delle condanne frazionate irrogate in relazione ad un
reato  unico,  dall'altro  commisuri  la  sanzione  all'effettiva   e
complessiva  offesa  arrecata  con  tutte  le  condotte  oggetto  dei
giudizi; 
        che  il  cumulo  derivante  dall'occasionale  pluralita'   di
condanne per un reato  unico  non  fonda  su  alcuna  giustificazione
razionale, ma anzi  determinerebbe  un  trattamento  deteriore  anche
rispetto ai casi disciplinati dall'art. 671 c.p.p., che  non  possono
essere  ritenuti  meno  gravi  rispetto  a  quello  in  esame,  della
pluralita' di reati avvinti dal concorso  formale  o  dall'esecuzione
del medesimo disegno criminoso; 
        che tale pluralita' di condanne risulta determinata da eventi
indipendenti dalla condotta e dalle  scelte  del  reo,  riconducibili
essenzialmente alle modalita' ed ai tempi  con  i  quali  sono  stati
esercitati il diritto di querela e l'azione  penale  per  le  singole
frazioni  della  condotta  contestata  ed  al  mancato  raccordo  dei
procedimenti  penali  cosi'  incardinati,   finalizzato   alla   loro
riunione. 
    Si configura pertanto il dubbio sulla legittimita' costituzionale
dell'art. 671 c.p.p. nella parte in  cui  non  prevede,  in  caso  di
pluralita' di condanne intervenute per il medesimo  reato  permanente
in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del G.  E.
di rideterminare una pena unica, in applicazione degli articoli 132 e
133 c.p., che tenga conto dell'intero fatto storico  accertato  nelle
plurime sentenze irrevocabili. 
    4.2. Tale dubbio si presenta ulteriormente aggravato nell'ipotesi
in cui piu' condanne per il medesimo  reato  permanente  siano  state
emesse, in relazione a condotte distinte, con  pene  condizionalmente
sospese. 
    Tale ipotesi, a ben vedere, non riguarda caso in esame, in cui il
primo  beneficio  risulta  gia'  revocato,  mentre  quello   concesso
nell'ultimo giudizio  esecutivo  appare  erroneo  e  suscettibile  di
revoca, per la  mancata  considerazione  dei  precedenti  ostativi  a
carico dell'istante. Ma certamente riguarda il caso, configurabile in
astratto, di benefici correttamente  concessi  (e  non  revocati  per
inadempimento della condizione) in uno o piu' dei  giudizi  esecutivi
per il medesimo reato permanente. 
    In tale caso infatti, in assenza del potere di unificazione delle
condanne frazionate da parte del G. E., l'istante rimarrebbe  esposto
non solo  al  cumulo  delle  condanne  ma  anche  alla  revoca  delle
sospensioni condizionali gia' concesse (nelle stesse plurime sentenze
per il medesimo reato permanente o anche  in  un'altra  precedente  o
successiva  eventualmente  irrogata)   senza   la   possibilita'   di
beneficiare di una rivalutazione analoga a quella prevista  dall'art.
671, comma terzo c.p.p., risultando indebitamente  fruitore  di  piu'
sospensioni condizionali per il medesimo reato. 
    Si  configura  pertanto  l'ulteriore  dubbio  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 671 c.p.p. nella parte in cui  non  prevede,
in caso di pluralita' di' condanne intervenute per il medesimo  reato
permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere
del  G.  E.  di  valutare  l'unicita'  del  reato  ed   assumere   le
determinazioni conseguenti in tema  di  concessione  o  revoca  della
sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e 164 c.p. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
perche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale  dell'art.  671
c.p.p., in relazione agli articoli 3 e 24 della  Costituzione,  nella
parte  in  cui  non  prevede,  in  caso  di  pluralita'  di  condanne
intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a  distinte
frazioni della condotta, il potere del G.  E.  di  rideterminare  una
pena unica, in applicazione degli articoli 132 e 133 c.p., che  tenga
conto dell'intero fatto  storico  accertato  nelle  plurime  sentenze
irrevocabili, e di assumere le determinazioni conseguenti in tema  di
concessione o revoca della sospensione condizionale, ai  sensi  degli
articoli 163 e 164 c.p. 
    Sospende il giudizio di esecuzione in corso. 
    Manda la cancelleria per le notifiche e le comunicazioni previste
dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
      Ortona, 16 novembre 2017 
 
                        Il Giudice: De Ninis