N. 13 SENTENZA 6 dicembre 2017- 30 gennaio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Arbitrato - Lodo arbitrale - Impugnazione per violazione delle regole
  di diritto solo se espressamente disposta dalle parti o dalla legge
  - Inapplicabilita' del nuovo regime, secondo il diritto vivente, ai
  giudizi promossi dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006
  se  azionati  in  forza  di   clausola   compromissoria   stipulata
  anteriormente. 
- Codice di procedura civile, art. 829, terzo comma, come  sostituito
  dall'art. 24  del  decreto  legislativo  2  febbraio  2006,  n.  40
  (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo  di
  cassazione in  funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a  norma
  dell'articolo 1, comma 2, della L.  14  maggio  2005,  n.  80),  in
  combinato disposto con l'art. 27, comma  4,  del  medesimo  decreto
  legislativo. 
-   
(GU n.6 del 7-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 829,  terzo
comma, del codice di procedura civile, come sostituito  dall'art.  24
del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche  al  codice
di procedura civile in materia di processo di cassazione in  funzione
nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della
L. 14 maggio 2005, n. 80), in combinato disposto con l'art. 27, comma
4, del medesimo decreto legislativo, promosso dalla Corte di  appello
di Milano nel procedimento vertente tra la Ferri  Immobiliare  srl  e
l'Unicredit spa, con ordinanza del 16 dicembre 2016, iscritta  al  n.
61 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 dicembre  2017  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di appello di Milano, con ordinanza del 16  dicembre
2016,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  41   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 829,
terzo  comma,  del  codice  di  procedura  civile,  come   sostituito
dall'art.  24  del  decreto  legislativo  2  febbraio  2006,  n.   40
(Modifiche al codice di procedura civile in materia  di  processo  di
cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a   norma
dell'articolo 1, comma 2,  della  L.  14  maggio  2005,  n.  80),  in
combinato disposto con l'art.  27,  comma  4,  del  medesimo  decreto
legislativo, nell'interpretazione, che  ritiene  costituire  «diritto
vivente», enunciata dalle sentenze della Corte di cassazione, sezioni
unite, n. 9341, 9285 e 9284 del 9 maggio 2016. 
    L'art. 829, terzo comma, cod. proc. civ., nel  testo  attualmente
vigente, sostituito al precedente dall'art. 24 del d.lgs. n.  40  del
2006,  entrato  in  vigore  il   2   marzo   2006,   stabilisce   che
«[l]'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative  al
merito della controversia e' ammessa se espressamente disposta  dalle
parti o dalla legge. E' ammessa in  ogni  caso  l'impugnazione  delle
decisioni per contrarieta' all'ordine pubblico», precludendo con cio'
la sindacabilita' del lodo arbitrale per violazione delle  regole  di
diritto relative al merito della  controversia,  in  assenza  di  una
espressa previsione delle parti o della legge.  Prima  della  riforma
del 2006, la norma stabiliva, invece, che l'impugnazione del lodo per
violazione delle regole di diritto era sempre ammessa, salvo  che  le
parti avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo  equita'  o
avessero dichiarato il lodo non impugnabile. 
    L'art. 27, comma 4,  del  d.lgs.  n.  40  del  2006,  recante  la
disciplina  transitoria,  stabilisce  che  «[l]e  disposizioni  degli
articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti  arbitrali,
nei quali la domanda di arbitrato e' stata  proposta  successivamente
alla data di entrata in vigore del presente decreto». 
    Osserva il  rimettente  che,  alla  stregua  dell'interpretazione
indicata dalle menzionate sentenze gemelle delle  sezioni  unite,  il
mutato regime di impugnabilita' del lodo non sarebbe  applicabile  ai
giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006, se azionati in forza
di convenzioni di arbitrato stipulate prima della riforma. 
    Ad avviso del rimettente sarebbe da escludere la possibilita'  di
una  diversa  interpretazione,  costituzionalmente  orientata,  della
norma censurata, in quanto le citate  sentenze  delle  sezioni  unite
«hanno i requisiti per essere  qualificate  "diritto  vivente",  come
tale non suscettibile di  diversa  interpretazione,  fatto  salvo  il
sindacato di costituzionalita'». 
    Dopo aver motivato in punto  di  rilevanza  della  questione,  in
ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente  evidenzia  che
la norma  risultante  dall'interpretazione  delle  sezioni  unite  si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  per  violazione  del
principio di uguaglianza, comportando una disparita'  di  trattamento
tra situazioni analoghe. 
    E cio' perche', a coloro che hanno, comunque, proposto domanda di
arbitrato dopo la data di entrata in vigore  del  d.lgs.  n.  40  del
2006, verrebbe applicato un diverso regime processuale, a seconda che
la clausola compromissoria sia stata stipulata prima o dopo  di  tale
data, nonostante la nuova disciplina assuma rilievo  solo  sul  piano
processuale, non incidendo  in  alcun  modo  sulla  validita'  e  sul
contenuto  della  clausola  compromissoria  su  cui  la  domanda   di
arbitrato e' fondata. 
    In altri termini, ad avviso del rimettente, il  riferimento  alla
data di stipula della clausola compromissoria non potrebbe, in  alcun
modo, giustificare l'applicazione di un diverso regime a soggetti che
hanno, comunque, proposto domanda di arbitrato dopo il 2 marzo 2006. 
    La norma  che  scaturisce  dall'intervento  delle  sezioni  unite
violerebbe, pertanto,  il  principio  tempus  regit  processum  e  il
principio di uguaglianza, ponendo in comparazione due entita',  nella
sostanza, eterogenee: la  clausola  compromissoria  (atto  di  natura
sostanziale)  e  l'atto  d'impugnazione  del  lodo  (atto  di  natura
processuale). 
    La Corte di appello di Milano ritiene, inoltre, che la norma  che
scaturisce   dall'intervento   delle   sezioni   unite,   consentendo
l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto  anche
nel caso in cui  le  parti  non  hanno  previsto  espressamente  tale
possibilita' successivamente all'entrata in vigore  del  nuovo  testo
dell'art. 829, terzo comma,  cod.  proc.  civ.,  violi  il  principio
dell'autonomia  privata  e  della  liberta'  contrattuale   stabilito
dall'art. 41 Cost. 
    2.- Con memoria depositata in data 23 maggio 2017, e' intervenuto
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata non fondata. 
    L'interveniente osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dal
giudice a quo, l'orientamento  espresso  dalle  sezioni  unite  della
Corte  di  cassazione  offre  un'interpretazione   costituzionalmente
orientata delle norme impugnate, consentendo  alle  parti  che,  alla
luce del precedente regime, non avevano inserito nella convenzione di
arbitrato alcuna specifica clausola per consentire l'impugnazione del
lodo per violazione delle regole di diritto, di non essere  sottratte
a tale  facolta'  in  conseguenza  delle  modifiche  della  normativa
intervenute nel 2006. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri,  la  diversa
interpretazione sostenuta  dal  rimettente,  si  porrebbe,  anzi,  in
aperto contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. 
    Sotto   il   primo   profilo,   infatti,   tale   interpretazione
determinerebbe una irragionevole disparita' di trattamento tra quanti
hanno  stipulato  la  clausola  arbitrale  dopo  la  riforma,   nella
consapevolezza del significato del loro silenzio nel  nuovo  contesto
normativo, e quanti l'hanno, invece, sottoscritta  prima,  quando  al
silenzio era attribuito dalla legge un opposto significato. 
    Sotto il secondo profilo,  detta  interpretazione  violerebbe  il
diritto di difesa delle parti che abbiano stipulato la convenzione di
arbitrato prima del 2 marzo  2006,  in  quanto  le  priverebbe  della
facolta' di impugnare il lodo per  errores  juris  in  iudicando  che
esse, pur con il loro silenzio, avevano voluto riconoscersi alla luce
della precedente disciplina contenuta  nell'art.  829,  terzo  comma,
cod. proc. civ. 
    Per queste ragioni, la questione di costituzionalita', ad  avviso
del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe,  quindi,  essere
dichiarata non fondata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di  appello  di  Milano  dubita  della  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 della  Costituzione,
dell'art. 829, terzo comma, del  codice  di  procedura  civile,  come
sostituito dall'art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio  2006,  n.
40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di
cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a   norma
dell'articolo 1, comma 2,  della  L.  14  maggio  2005,  n.  80),  in
combinato disposto con l'art.  27,  comma  4,  del  medesimo  decreto
legislativo, nell'interpretazione, che  ritiene  costituire  «diritto
vivente», enunciata dalle sentenze della Corte di cassazione, sezioni
unite, n. 9341, 9285 e 9284 del 9 maggio 2016. 
    Il problema interpretativo origina dalla disposizione transitoria
contenuta nel citato art. 27, secondo cui  «[l]e  disposizioni  degli
articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti  arbitrali,
nei quali la domanda di arbitrato e' stata  proposta  successivamente
alla data di entrata in vigore del presente decreto». 
    Osserva il  rimettente  che,  alla  stregua  dell'interpretazione
indicata dalle menzionate sentenze gemelle delle  sezioni  unite,  il
mutato regime di impugnabilita' del lodo non sarebbe  applicabile  ai
giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006, se azionati in forza
di convenzione di arbitrato stipulata prima della riforma. 
    Ad avviso del rimettente sarebbe da escludere la possibilita'  di
una  diversa  interpretazione,  costituzionalmente  orientata,  della
norma censurata in quanto le  citate  sentenze  delle  sezioni  unite
«hanno i requisiti per essere  qualificate  "diritto  vivente",  come
tale non suscettibile di  diversa  interpretazione,  fatto  salvo  il
sindacato di costituzionalita'». 
    Ad avviso del rimettente, la norma che scaturisce dall'intervento
delle sezioni unite violerebbe il principio tempus regit processum  e
il principio di uguaglianza, in quanto a coloro che hanno,  comunque,
proposto domanda di arbitrato dopo l'entrata in vigore del d.lgs.  n.
40 del 2006 verrebbe  applicato  un  diverso  regime  processuale,  a
seconda che la clausola compromissoria sia stata  stipulata  prima  o
dopo di tale data, nonostante la circostanza che la nuova  disciplina
non incida, in alcun modo, sulla  validita'  e  sul  contenuto  della
clausola compromissoria su cui l'arbitrato risulta fondato. 
    Secondo il giudice a quo, infatti, alla  nuova  disciplina  posta
dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, che ha novellato l'art.  829,
terzo comma,  cod.  proc.  civ.,  dovrebbe  riconoscersi  un  rilievo
esclusivamente processuale e, quindi, darle immediata applicazione ai
sensi del principio tempus regit processum. 
    La Corte di appello di Milano ritiene, inoltre, che la norma  che
scaturisce   dall'intervento   delle   sezioni   unite,   consentendo
l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto  anche
nei casi in cui  le  parti  non  hanno  previsto  espressamente  tale
possibilita', successivamente all'entrata in vigore del  nuovo  testo
dell'art. 829, terzo comma,  cod.  proc.  civ.,  violi  il  principio
dell'autonomia privata e della liberta' contrattuale di cui  all'art.
41 Cost. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    2.1.- Preliminarmente, va osservato che il giudice a quo  ritiene
ostativa ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
disposizione censurata l'esistenza di un "diritto  vivente",  di  cui
sarebbero espressione le  richiamate  sentenze  delle  sezioni  unite
della Corte di cassazione. 
    L'interpretazione, della cui legittimita' dubita  il  rimettente,
corrisponde a un orientamento delle  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione,  espresso  con  tre  sentenze,  per  cui,  nel  caso   in
questione,  puo'  ritenersi  che  ricorra  un'ipotesi   di   "diritto
vivente", a cui  il  giudice  a  quo  puo'  uniformarsi  o  meno  (ex
plurimis, sentenze n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004), restando  pero'
libero, nel secondo caso, di assumere il "diritto vivente" ad oggetto
delle proprie censure. 
    2.2.- Secondo  il  costante  orientamento  di  questa  Corte,  la
violazione  del  principio  di  uguaglianza  sussiste  solo   qualora
situazioni  sostanzialmente  identiche  siano  disciplinate  in  modo
ingiustificatamente diverso e non, invece, quando alla diversita'  di
disciplina corrispondano situazioni non  assimilabili  (ex  plurimis,
sentenze n. 155 del 2014, n. 108 del 2006 e n. 340 del 2004). 
    Tali non risultano, nel caso in esame,  le  fattispecie  poste  a
confronto, contrariamente all'avviso del giudice rimettente. 
    Ed,   invero,   coloro   che   hanno   stipulato   una   clausola
compromissoria nella vigenza del vecchio testo dell'art.  829,  terzo
comma, cod. proc. civ., che prevedeva l'impugnabilita' del  lodo  per
violazione delle regole di diritto, salvo che le parti  non  avessero
autorizzato  gli  arbitri  a  decidere  secondo  equita'  o  avessero
dichiarato  il  lodo  non  impugnabile,  sono   in   una   situazione
obiettivamente diversa rispetto ai contraenti che, dopo  il  2  marzo
del 2006, vigente la nuova regola posta dall'art. 24  del  d.lgs.  40
del 2006, debbono esprimere una specifica volonta' per realizzare  il
medesimo obiettivo dell'impugnazione del lodo  per  violazione  delle
regole di diritto. 
    Il punto di riferimento ai fini della valutazione sulla identita'
delle fattispecie non puo', infatti, essere  individuato  solo  nella
data di proposizione  dell'arbitrato,  in  quanto  cosi'  facendo  si
astrarrebbe la  domanda  dal  suo  contesto,  trascurando  il  quadro
normativo in cui la volonta' delle parti si e' formata e il ruolo che
questa assume nell'arbitrato, come suo indefettibile fondamento. 
    Va, poi, riconosciuta  la  natura  sostanziale  e  non  meramente
processuale della regola posta dal novellato art. 829,  terzo  comma,
cod. proc. civ., a nulla rilevando che all'arbitrato  sia  attribuita
natura giurisdizionale, poiche', come rilevato  dalle  sezioni  unite
della Corte di  cassazione  nelle  richiamate  sentenze,  «la  natura
processuale dell'attivita' degli arbitri  non  esclude  che  sia  pur
sempre  la  convenzione  di  arbitrato  a  determinare  i  limiti  di
impugnabilita' dei lodi»  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,  9
maggio 2016, n. 9341, 9285 e 9284). 
    Quanto, poi, alla ritenuta violazione del principio tempus  regit
processum, la censura deve, pure,  ritenersi  infondata,  considerato
che, come rilevato dalle sezioni unite, «la presenza di  un'esplicita
disciplina transitoria priva di rilevanza  esclusiva  il  riferimento
alla natura processuale degli atti  per  risolvere  le  questioni  di
diritto intertemporale» (Corte di cassazione, sezioni unite, 9 maggio
2016, n. 9341, 9285 e 9284) e che, quindi, l'interpretazione  offerta
dalle citate pronunce della Corte  di  cassazione  appare  pienamente
conforme alla disciplina transitoria, regolata dall'art. 27, comma 4,
del d.lgs. n. 40 del 2006. 
    2.3.- Con riferimento all'asserita violazione dell'art. 41 Cost.,
la questione deve, pure, ritenersi non fondata. 
    Anche nel regime precedente alla riforma  del  2006,  l'autonomia
negoziale  si  poneva  come  momento  fondamentale  della  disciplina
dell'arbitrato, in quanto  la  legge  consentiva  l'impugnazione  del
lodo, per violazione delle regole di diritto, salva diversa  volonta'
delle parti. 
    Il  mutamento  di  disciplina,  che   restringe   i   motivi   di
impugnazione del lodo arbitrale non puo', quindi, essere  considerato
come  fondato  sulla  scelta  di  attribuire  un   maggiore   rilievo
all'autonomia delle stesse  parti,  visto  che  essa  era  pienamente
salvaguardata anche nel vigore della precedente normativa. 
    Si deve, anzi, ritenere che l'interpretazione avanzata, a  fronte
del nuovo regime di impugnazione del lodo, dalle sezioni unite  della
Corte di cassazione tuteli, proprio, quell'autonomia delle parti che,
invece, il giudice rimettente ritiene violata. 
    3.-  Pertanto,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale,
sollevata dall'ordinanza di rimessione  indicata  in  epigrafe,  deve
essere dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 829, terzo comma, del  codice  di  procedura  civile,  come
sostituito dall'art. 24 del decreto legislativo 2 febbraio  2006,  n.
40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di
cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a   norma
dell'articolo 1, comma 2,  della  L.  14  maggio  2005,  n.  80),  in
combinato disposto con l'art.  27,  comma  4,  del  medesimo  decreto
legislativo,  sollevata  dalla  Corte  di  appello  di   Milano,   in
riferimento agli artt. 3 e 41  della  Costituzione,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA